XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Martedì 27 giugno 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione della ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Valeria Fedeli:
Causin Andrea , Presidente ... 3 
Fedeli Valeria , ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 
Causin Andrea , Presidente ... 12 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 12 
Fedeli Valeria , ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 12 
Castelli Laura (M5S)  ... 13 
Fedeli Valeria , ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 14 
Librandi Gianfranco (CI)  ... 14 
Fedeli Valeria , ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 14 
Morassut Roberto (PD)  ... 15 
Fedeli Valeria , ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 15 
Causin Andrea , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione della ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Valeria Fedeli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Valeria Fedeli, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione e per l'interesse e l'attenzione che dimostra per i lavori che stiamo portando avanti, che incontrano in modo significativo e sostanziale appunto il tema della scuola e dell'educazione dei giovani.
  Non perderei altro tempo, perché immagino che avrà tantissime cose da dirci. Do la parola alla Ministra Fedeli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  VALERIA FEDELI, ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Vi ringrazio, perché considero l'opportunità di essere audita nell'ambito del lavoro di approfondimento che state svolgendo sullo stato della sicurezza e del degrado delle città e delle loro periferie, un punto di necessità dell'insieme del sistema Paese, oltre che per il ministero di cui ricopro la responsabilità.
  Indagare sulle periferie, conoscerne le caratteristiche complessive di cittadinanza – sottolineo il termine «complessive» – le condizioni socio-economiche, avere una mappa del territorio cui si fa riferimento con questa parola, sono tutti elementi importanti per coordinare e dare nuovi impulsi agli interventi e alle politiche pubbliche in queste aree. Le periferie sono oggi certo geografiche, economiche, sociali, ma anche di dislivello di cittadinanza. Se ne osservano di antiche e di nuove, ma sono ferite nel nostro tessuto urbano che, se non curate, rischiano di diventare dei non luoghi e delle non comunità, minando così la coesione e il capitale umano e sociale delle nostre società ed evidenziando un fallimento dello Stato, che non può e non deve accettare l'esistenza di una cittadinanza differenziata con diritti, opportunità, speranze diverse secondo i luoghi in cui si vive.
  Per quanto riguarda la scuola, il tema delle periferie si intreccia in modo inestricabilmente stretto con quello dell'esclusione, della dispersione scolastica, della povertà educativa in genere, fenomeni che alimentano e ripropongono diseguaglianze che già esistono, rendendole più profonde e più gravi. Tengo molto a sottolineare questo aspetto. Al tempo stesso, le scuole, durante gli anni della crisi, così come in passato e anche in zone di grande povertà e di presenza dell'illegalità e della criminalità, hanno saputo rappresentare in tanti casi con la presenza quotidiana un presidio dello Stato, un'area «salva» ma importante della Repubblica legale alla quale rivolgersi, perché con spirito improntato all'articolo 3 della Costituzione si sono prodigate per limitare le differenze sociali e rendere esigibile il diritto all'istruzione per tutte e Pag. 4tutti, per ogni bambina e ogni bambino nati nei territori dell'esclusione. La scuola pubblica nelle nostre periferie ha dimostrato di saper essere punto di riferimento, di aggregazione, di riscatto possibile, di riflessione comune su come crescere meglio nel nostro tempo e partecipare alla speranza e ai concreti progetti di riscatto che nascono grazie al lavoro di docenti, educatori, famiglie attive, privato sociale, parrocchie, associazionismo, cittadini. Le scuole delle nostre periferie sono ogni volta parte di attivazione sociale, come mostra la stessa maggiore capacità di fruizione dei beni culturali delle città là dove sono le scuole a proporlo ai genitori e ai cittadini nelle periferie, o l'animazione grazie alle sinergie scuole-enti locali dei luoghi municipali di studio e aggregazione. Penso alle biblioteche o alle videoteche, a spazi pubblici disattesi e riqualificati o al movimento di adozione di piazze, giardini e luoghi pubblici anche abbandonati e riqualificati che partono dagli studenti e dai docenti delle scuole.
  Esiste ed è documentata una costante correlazione biunivoca tra povertà minorile e fallimento formativo precoce. Dal momento che il fallimento formativo nelle sue forme più varie tende a perdurare attraverso le generazioni e a concentrarsi entro i territori di massima esclusione precoce multifattoriale e povertà educativa, è importante vi siano politiche di contrasto costanti nel tempo e articolate in modo da poter rispondere a ognuno degli aspetti di un fenomeno complesso. Lo sottolineo, servono politiche di sistema. È bene sapere che le gambe sulle quali possono marciare queste politiche sono le nostre scuole, soprattutto perché hanno saputo costruire impianti culturali, didattici e organizzativi capaci di promuovere uguaglianza dando di più a chi parte con meno nella vita e perché lo hanno fatto mediante reti educative e comunità educanti più larghe.
  Il compito politico di contrastare il fenomeno del fallimento formativo e della dispersione si iscrive, dunque, in una sfida ampia, che ha a disposizione una forza civile già in campo, esperto nell'educare, cooperativo, attento ai diritti, impegnato in modo operativo. L'istruzione deve essere lo strumento principale per garantire una vera mobilità sociale per permettere a tutte le ragazze e ai ragazzi di emanciparsi e diventare cittadine e cittadini consapevoli a prescindere da quali siano le condizioni familiari e territoriali di partenza. Questa deve essere la missione e la responsabilità della scuola nel nostro tempo.
  Mutuando le parole di don Milani, la scuola non può essere un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Deve fare il contrario. Deve essere lo strumento fondamentale con cui diamo attuazione al secondo comma dell'articolo 3 della Carta costituzionale: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La scuola deve diventare un agente effettivo di cambiamento per il passaggio verso un modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sia economico sia sociale e ambientale, come quello che ci siamo impegnati a realizzare sottoscrivendo l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite a settembre del 2015, in cui in particolare – lo voglio sottolineare in questa Commissione – l'Obiettivo 4 c'impegna a fornire un'educazione di qualità equa e inclusiva, che vuol dire estesa per l'insieme del territorio nazionale, e opportunità di apprendimento per tutti, in linea con i tanti documenti sottoscritti negli ultimi anni a livello comunitario e internazionale. L'Obiettivo 4 è fondamentale, perché a esso si legano molti altri obiettivi, come la lotta alla povertà in tutte le sue forme, la riduzione del divario di genere, la possibilità di uno sviluppo inclusivo.
  Il nostro obiettivo per questo è stato e ancora continuerà a essere con maggiore impegno e determinazione quello di superare tutte le condizioni di discriminazione e diseguaglianza di studentesse e studenti, comprese quelle che possono derivare dal vivere in alcune aree del nostro Paese e delle nostre città. Pag. 5
  La dispersione è sfaccettata e diversificata, si verifica a diversi stadi del percorso scolastico, si presenta sotto forma di fenomeni differenti per ambiente sociale, genere, età, collocazione geografica, si manifesta nelle forme dell'abbandono, dell'uscita precoce dal sistema formativo, dell'assenteismo, del deficit nelle competenze di base. I numeri e le conseguenze della dispersione sono una vera emergenza nazionale. Il MIUR, in linea con le indicazioni europee, e con quanto emerso anche dalle indagini conoscitive sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica condotte dalle commissioni parlamentari, sta intervenendo in senso preventivo, diretto e compensativo. A fronte di un fenomeno così variegato e di origine multifattoriale, è però necessario che i diversi interventi siano coordinati e rientrino in una strategia unitaria, pur nel rispetto delle diverse realtà ed esperienze. Per questo credo davvero che il lavoro di questa Commissione d'inchiesta abbia un grandissimo valore, non solo per il mio ministero, ma per l'insieme del sistema Paese su questi temi e per il futuro del Paese.
  La situazione di povertà educativa dell'Italia in termini quantitativi è migliorata negli ultimi anni. Tuttavia, rimane estremamente critica per l'intreccio di tre elementi, che insieme disegnano una crisi strutturale: alti tassi di abbandono, uniti a molte ripetenze; alto numero di ragazzi con bassi livelli nelle conoscenze oggi irrinunciabili ai fini dello sviluppo sociale e personale nonché per esercitare la cittadinanza; presenza, che sottolineo, della povertà minorile.
  Il carattere strutturale del fallimento formativo acquista ancor più peso, perché a uscire dal sistema di istruzione e formazione sono quasi sempre i figli di genitori poveri con bassi livelli di istruzione e che vivono in situazioni multifattoriali di esclusione. La nostra scuola deve rilanciare la sua decisiva funzione democratica di ascensore sociale.
  Un esame del trend evidenzia una decrescita del fenomeno della dispersione, dal 20,8 per cento del 2006 all'attuale 14,7 per cento, che però è un dato ancora troppo alto. I dati evidenziano una differenziazione tra sessi (donne intorno al 12 per cento e uomini oltre il 16 per cento) e forti differenze nei tassi di abbandono tra le diverse regioni rispetto al raggiungimento dell'obiettivo stabilito dall'Unione europea, l'obiettivo 2020, del 10 per cento entro l'anno 2020. Si va da un +14 per cento rispetto al traguardo dell'Unione europea (24 per cento di abbandoni di Sicilia e Sardegna) al –2 per cento del Veneto (8 per cento di abbandoni). A tali dati, ancora preoccupanti, si aggiunge un'altra considerazione derivante dalla concentrazione del fenomeno in alcune aree delle regioni. Così, a cinquant'anni dalle denunce di don Milani, la nostra scuola è ancora in parte esclusiva, perché i tassi elevati di abbandoni e di livelli critici di conoscenza coincidono con le zone più povere d'Italia, dove sono concentrate le famiglie socialmente escluse e dove è minore l'accesso a libri, biblioteche, musei, rete dei servizi per la prima infanzia, sport, fruizione digitale e agli altri servizi.
  La scuola quindi deve e può svolgere un ruolo più attivo, potenzialmente decisivo, nelle nostre periferie, combattendo il disagio e la marginalità, ricostruendo comunità e offrendo nuove opportunità di crescita.
  Solitamente, associamo alle periferie concetti come esclusione sociale, degrado, abbandono e insicurezza. Facciamo le stesse associazioni di idee anche riferendoci alla scuola in un contesto di periferia urbana. Questo però è un punto di vista parziale e arrendevole, secondo me, che forse fotografa l'oggi, ma che senz'altro non può restare così domani. Se vogliamo puntare sulla scuola per sostenere il rilancio di questi territori e delle comunità che li abitano, dobbiamo invertire questa associazione. Le scuole di periferia devono diventare avanguardie di sperimentazione di nuove forme di didattica, mettere in campo intelligenze, energie, esperienze, e a noi spetta il compito di garantire risorse economiche e umane adeguate alla sfida che si pone in carico: questa è una scelta anche di priorità di intervento.
  Proprio perché abbiamo diffuse esperienze di reti e alleanze educative dal nord Pag. 6al sud, tutte le periferie urbane devono e possono diventare un laboratorio di innovazione didattica e sociale, con forte competenza nelle azioni di inclusione. Possiamo già ora fare in modo che siano volano di un nuovo sviluppo per tutto il territorio, un presidio di socialità, di cultura e di inclusione per l'intera comunità. Abbiamo la possibilità di credere all'ottimismo della volontà quando pensiamo alla rete di scuole del «Provaci ancora, Sam!» di Torino, ai progetti del Veneto «Fuori scuola», che intercettano gli adolescenti persi allo studio, ai «Maestri di strada» di Napoli, alla crescita delle esperienze di scuole che danno di più nelle periferie del napoletano e del casertano, alle scuole pugliesi, che hanno prolungato il tempo scuola negli ultimi anni, alle esperienze di attivazione tra scuole e privato sociale a Palermo e in Sicilia, alle scuole della Locride o di Vibo Valentia, che hanno trasformato la propria azione coinvolgendo l'intero territorio. Potrei citarne tante altre, tante esperienze ancora che trasformano aree pauperizzate in laboratori di riscatto educativo unendo la scuola e i quartieri circostanti grazie a una più intensa opera di alfabetizzazione e anche di alfabetizzazione digitale, sviluppo di musica, danza, teatri, arti, cinema, percorsi scuola/lavoro, sport. Chi visita questi luoghi di promessa rimane ogni volta impressionato dalla capacità di attivazione e vede l'Italia migliore all'opera proprio lì dove si sono fatte strada in tante periferie l'idea e le pratiche concrete di scuola/comunità capaci di innovare l'alleanza adulta tra genitori e docenti, di promuovere occasioni culturali, di richiedere anche il miglioramento degli edifici e degli spazi educativi di quartiere, di attivarsi per un'idea di apprendimento più largo delle mura scolastiche.
  Il cosiddetto importante «rammendo» delle periferie deve e può partire soprattutto dalle oltre 13.000 scuole statali delle 14 aree metropolitane, di cui 4.000 dell'infanzia, oltre 5.000 della primaria, oltre 4.000 della secondaria di primo e secondo grado. A queste si aggiungono oltre 5.600 istituzioni scolastiche paritarie.
  Nelle 14 aree metropolitane, le studentesse e gli studenti che hanno abbandonato il sistema scolastico nella scuola secondaria di primo grado nel corso dell'anno scolastico 2014/2015 e nel passaggio all'anno successivo sono l'1,1 per cento. Il dato complessivo che si registra in Italia è lo 0,9 per cento. Salgono al 5,2 per cento nella scuola secondaria di secondo grado rispetto al 4,6 per cento del tasso di abbandono complessivo che si registra in Italia. Sono ovviamente dati caratterizzati da importantissimi divari tanto a livello macro-territoriale quanto a quello micro-territoriale, con punte anche del 7,5 per cento in alcune zone del Paese. La sfida è chiara. Oggi, un obiettivo generale delle politiche del ministero è di mettere le scuole delle periferie al centro delle comunità di quei territori per fare delle aule un grande strumento di riscatto, uguaglianza, opportunità e cittadinanza per tutte e per tutti.
  Le periferie hanno caratteristiche anche demografiche peculiari. La popolazione che le abita è solitamente più giovane rispetto al resto della città, con un'alta presenza di ragazzi e ragazze di cittadinanza non italiana, spesso seconde e terze generazioni dell'immigrazione. Pertanto, il cambiamento in direzione della multiculturalità della nostra scuola può essere più difficile da gestire e più dirompente proprio in un contesto di periferia urbana, non solo per la composizione demografica, ma anche per il modo di vivere lo spazio pubblico, le relazioni con le famiglie, la varietà delle lingue e delle religioni e dei diversi punti di vista sull'educazione. Un modello inclusivo deve offrire opportunità a tutti i cittadini, nativi e non, a partire dalle nuove generazioni italiane, di realizzare un sistema sociale coeso, deve garantire le fondamenta dell'integrazione su tre elementi: cultura condivisa, pluralismo culturale e partecipazione civica. Per quanto mi riguarda, significa conoscere la nostra Costituzione e le nostre leggi e poterle applicare.
  Gli alunni e gli studenti di origine non italiana nelle scuole del nostro Paese sono circa 815.000, il 9,2 per cento del totale della popolazione scolastica. Qui va ricordato come fatto positivo, riconosciuto all'Italia Pag. 7 dall'OCSE recentemente, che noi, Paese di migranti dalla fine dell'800 fino agli anni Sessanta del secolo scorso, siamo diventati in pochissimo tempo Paese di accoglienza e siamo passati in 15 anni dall'inclusione di 15.000 ragazzi e bambini non italiani nelle nostre scuole agli attuali 815.000, costruendo un modello di inclusione che rappresenta la vera grande fucina dell'accoglienza italiana. Le nostre periferie sono luogo di incontro grazie alle nostre scuole, di scambio tra culture, di conoscenza, di convivialità e di rispetto. Ormai da qualche anno, gli alunni stranieri, ma corre l'obbligo evidenziare nati nel nostro Paese, costituiscono la maggioranza: erano il 55,3 per cento degli iscritti stranieri nell'anno 2014/2015; tale percentuale sale all'84,8 per cento nella scuola dell'infanzia.
  L'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e l'educazione interculturale, istituito con il preciso scopo di lavorare su queste tematiche e svolgere attività di consulenza e monitoraggio, oltre che di proporre misure nell'ambito delle politiche scolastiche e dell'integrazione interculturale, ha al suo interno un gruppo di lavoro, «Fare scuola nelle periferie urbane multiculturali», il cui obiettivo è far conoscere, valorizzare e mettere a confronto esperienze e buone pratiche di lavoro delle scuole nelle periferie urbane delle grandi città, pratiche che esistono già e che andrebbero potenziate e diffuse.
  Passando alle altre domande che mi sono state poste in vista di quest'audizione, in particolare sulle misure messe in campo, segnalo che sono molte quelle che recentemente il Governo e il MIUR hanno costruito per curare la dispersione e la povertà educativa per incidere sulle aree più problematiche dal punto di vista socioeconomico e per mettere a disposizione risorse importanti per dare un segnale tangibile di cambiamento. Cito in quest'occasione solo alcune, che credo siano le più significative.
  L'articolo 11 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, varato pochi giorni fa, e recante disposizioni urgenti per la crescita economica del Mezzogiorno, prevede un intervento finanziato con i fondi del PON scuola 2014-2020 per promuovere iniziative pilota nelle aree di esclusione sociale del sud caratterizzate da povertà educativa minorile, alto tasso di dispersione scolastica e da una forte presenza di criminalità organizzata. Tali iniziative saranno poste in essere attraverso reti di scuole con la comunità territoriale del Terzo settore. Tali reti si configurano come comunità educanti verticali, dalla prima infanzia al completamento dell'obbligo di istruzione e formazione, e territoriali. Particolare attenzione sarà dedicata proprio alla scuola dell'infanzia, come indicato dalle indagini internazionali e dalla letteratura in materia. Intervenire sui più piccoli e sulle più piccole, infatti, vuol dire darsi un obiettivo di prevenzione investendo sul futuro successo scolastico. Si tratta di obiettivi a lungo termine, ma irrinunciabili su questo tema. Ogni rete di scuola potrà ricevere un finanziamento per un progetto biennale, che potrà essere di 30, 60 o 100 ore. Le scuole, nell'ambito della propria autonomia, potranno decidere di utilizzare tali ore aggiuntive di formazione in orario extrascolastico durante l'anno o nei periodi di chiusura delle scuole, e pertanto anche nei mesi estivi, contribuendo così in modo netto a una maggiore e più ampia funzione educativa della scuola aperta al territorio. Questa misura di Governo che parte da aree disagiate del Paese sotto i tre profili indicati dalla norma in questione rappresenta un primo passo di un auspicato potenziamento educativo di sistema nelle aree di massima concentrazione della povertà e della povertà educativa del nostro Paese.
  Quanto alle azioni sulle competenze finanziate dal PON scuola 2014-2020, sono stati varati proprio in questo mese e stanziati 840 milioni di euro per dieci avvisi per una scuola aperta, inclusiva e innovativa. Il PON per la scuola 2014-2020 ha una duplice finalità: da un lato, perseguire l'inclusività, l'equità, la coesione e il riequilibrio territoriale, favorendo la riduzione della dispersione scolastica e dei divari tra territori, scuole e studenti in condizioni diverse; dall'altro, mira a valorizzare e sviluppare le potenzialità, i talenti e i meriti personali anche attraverso la promozione delle competenze trasversali degli studenti, Pag. 8comprese quelle di cittadinanza globale. I bandi riguardano molteplici aree e finanziano progetti extra-orario scolastico, che mirano a tenere aperte le scuole e a farne un luogo di costruzione di una comunità educante territoriale. C'è stata una grande partecipazione da parte delle scuole italiane. I progetti in corso di valutazione partiranno durante il prossimo anno scolastico. Nel documento, che lascerò in Commissione, potete trovare anche il dettaglio delle attività e dei finanziamenti delle principali azioni sulle competenze. In particolare, si segnalano interventi su competenze di base (120 milioni di euro). Gli interventi mirano a rafforzare le competenze di base delle studentesse e degli studenti allo scopo di compensare svantaggi culturali, economici e sociali di contesto, garantendo il riequilibrio territoriale, e a ridurre il fenomeno della dispersione scolastica attraverso approcci innovativi in grado di superare la dimensione frontale trasmissiva dei saperi. L'obiettivo è rafforzare le competenze di comunicazione in lingua madre e in lingua straniera, quelle logico-matematiche e le competenze di base in campo scientifico.
  Per l'inclusione e l'integrazione ci sono 60 milioni di euro. Le sfide della nuova società moderna pongono alla scuola la responsabilità educativa di valorizzare le differenze e promuovere l'integrazione e il dialogo interreligioso e interculturale al fine di costruire una maggiore coesione sociale. L'obiettivo del bando è fornire alle studentesse e agli studenti informazioni sul fenomeno dell'emigrazione dal punto di vista storico, geografico, politico, sulle culture e sulle religioni. L'obiettivo dei percorsi è offrire conoscenze, attività ed esperienze, tese a sviluppare competenze relazionali, interculturali, comunicative e linguistiche, e utili nei percorsi di accoglienza e integrazione. Le aree tematiche sono lingua italiana come seconda lingua, l'arte per l'integrazione, sport e gioco per l'integrazione, alfabetizzazione digitale, multimedialità e narrazione, percorsi di lingua straniera e valorizzazione della diversità linguistica, percorsi per i genitori e le famiglie – lo sottolineo, perché considero anche questo un punto importante – competenze digitali, orientamento al lavoro ed educazione all'imprenditorialità (solo per i CPA e le sezioni carcerarie).
  Per l'orientamento ci sono 40 milioni di euro per percorsi di didattica orientativa, azioni di informazione orientativa, progetti di continuità, curricula verticali nonché azioni di orientamento a sostegno delle scelte e sbocchi occupazionali collegati ai diversi percorsi formativi scolastici. L'orientamento scolastico, in questo momento storico sociale di transizione, è uno dei fattori strategici di sviluppo del Paese. È chiaro come siano fondamentali l'educazione alla scelta, alla conoscenza di sé e delle proprie vocazioni, la conoscenza delle opportunità del territorio e delle nuove frontiere dello sviluppo, la prevenzione della dispersione e dell'abbandono scolastico al fine di garantire le migliori opportunità di crescita culturale, economica e sociale delle nuove generazioni. Uno strumento chiave è quello dell'orientamento contro la dispersione.
  Sono da segnalare poi gli impatti che possono avere, in modo particolare sulle periferie, anche il bando su patrimonio artistico, paesaggistico e culturale, che permette alle scuole, ad esempio, di progettare interventi di riqualificazione delle aree periferiche e marginali nei territori dove insistono; il bando su cittadinanza globale, che finanzia più linee di intervento, tra cui una sulla cittadinanza attiva, che ha l'obiettivo di diffondere tra i più giovani la conoscenza della Costituzione e farne vivere i valori di rispetto e partecipazione, di promuovere il valore dei beni comuni e le pratiche innovative di cittadinanza attiva attraverso cui le scuole potranno ad esempio finanziare progetti di amministrazione condivisa dei beni pubblici urbani, di sperimentazione di forme di democrazia partecipata per la gestione delle scuole, di educazione pratica di cittadinanza attiva, di conoscenza degli strumenti innovativi, di partecipazione, progetti di educazione al rispetto delle differenze.
  C'è poi il bando sperimentale «Scuola al Centro». Per il 2016, si è promossa una sperimentazione con 10 milioni di euro per interventi di prevenzione della dispersione Pag. 9scolastica nelle zone periferiche delle città metropolitane di Palermo, Napoli, Milano e Roma, finanziamento massimo per ciascun progetto di euro 15.000, con priorità data alle istituzioni scolastiche con il più elevato tasso di dispersione scolastica per iniziative di didattica integrativa e innovativa. Nel documento avete le aree metropolitane e l'importo erogato: Milano, 2.587.504 euro per 85 scuole; Roma, 2.044.566 euro per 92 scuole; Napoli, 4.132.333 euro per 148 scuole; Palermo, 1.235.597 euro per 70 scuole. Questo è quello del 2016.
  Quello di quest'anno, che abbiamo concluso ieri con le graduatorie e pubblicato sul sito del Ministero, è un progetto che vale per tutta l'Italia. Sono 240 milioni di euro per tutto il territorio nazionale per un'iniziativa di contrasto alla dispersione scolastica e di inclusione sociale, finanziata dal fondo sociale europeo nell'ambito del PON 2014-2020. Questo consentirà alle istituzioni scolastiche di prolungare il loro orario di apertura, offrendo in tutta Italia ai ragazzi coinvolti un arricchimento del percorso formativo e garantendo alle famiglie e al territorio un presidio di contrasto alla dispersione scolastica e di recupero delle sacche di disagio sociale. Le procedure di selezione delle candidature delle scuole si sono appena concluse e ieri sono state pubblicate le graduatorie, di cui riporto solo alcuni dettagli, perché comunque anche su questo vi mandiamo tutti i dati e tutto lo schema, quindi avrete proprio l'elenco dettagliato di tutte le scuole. È interessante che vi riferisca il tasso di adesione. L'adesione all'avviso pubblico da parte delle scuole è stato il seguente: regioni più sviluppate, 37-38 per cento; regioni in transizione, 41,16 per cento; regioni meno sviluppate, 81,42 per cento. Si tratta del primo avviso PON rivolto a tutto il territorio nazionale, ed è per questo che le regioni del sud, ex regioni obiettivo, quindi storicamente beneficiare dei fondi PON, sono state più pronte a partecipare. Lo sottolineo, perché questa può essere una lettura della differenza di partecipazione. Il tasso di partecipazione delle scuole è stato maggiore per le scuole a più alto abbandono e che esprimono maggior disagio di contesto.
  Venendo alle scuole finanziate e alle ore di didattica aggiuntive, il numero di scuole è di 4.633, di cui 1.785 nelle aree metropolitane e 221 nelle aree colpite dal sisma. Il numero di ore di didattica aggiuntiva è di 1.061.520. Quanto al coinvolgimento delle studentesse e degli studenti e delle famiglie, abbiamo 650.000 tra studentesse e studenti e 28.000 genitori, per dire anche delle cifre significative che progrediscono. Quanto al periodo di svolgimento dei progetti, tutti i progetti PON sono integrativi rispetto all'ordinaria attività didattica: il pomeriggio o nel periodo di sospensione della didattica. Il 10 per cento delle scuole hanno scelto questa seconda opzione.
  Presso il MIUR è stata costituita la cabina di regia per il contrasto alla dispersione scolastica e per l'inclusione delle periferie. L'abbiamo insediata il 12 maggio del 2017: i lavori sono coordinati dal professor Marco Rossi Doria. Entro fine luglio, la cabina di regia produrrà un documento operativo contenente le linee guida per coordinare gli interventi del ministero su questi obiettivi. Quando l'avremo pronta, mi sembrerà utile fornirvela come ulteriore documentazione. Alla luce della situazione attuale, possiamo individuare alcune aree di lavoro per rafforzare nei prossimi mesi il grande impegno su queste tematiche, con l'obiettivo di migliorare l'impatto delle politiche già adottate. È infatti urgente sostenere alcune novità recentemente introdotte e innovare alcune altre politiche. Per farlo in un'ottica integrata e di sistema, è importante favorire la costruzione di una stabile rete nazionale di persone con competenze elevate nelle politiche e nei dispositivi di contrasto, legandola alle buone pratiche esistenti nelle scuole e fuori, e creare un solido coordinamento nazionale, che non può che essere prerogativa del Governo con il contributo del Parlamento. Nel dettaglio, si dovrebbe lavorare per costituire una regia unica nazionale, in modo da riunire e ottimizzare misure e risorse coordinando le diverse competenze; valutare, ricostruire, sostenere e migliorare quanto già fatto, sia le scuole sia il privato sociale, in accordo con regioni ed enti locali entro indirizzi unitari stabiliti dalla Conferenza Pag. 10 unificata, perché si tratta di decisioni che riguardano i tre livelli di governo indicati; dare slancio all'innovazione pedagogica e alle azioni delle scuole che hanno ottenuto risultati nel contrasto alla dispersione scolastica e al fallimento formativo. Ciò potrà avvenire: aumentando gli investimenti per rendere le scuole più sicure, accoglienti e inclusive, legate al territorio e alle sue vocazioni e opportunità; sostenendo le buone pratiche preventive, a partire da quelle molto precoci dedicate all'infanzia, che sono forti compensatori di diseguaglianza; favorendo la didattica laboratoriale; sostenendo l'innovazione digitale; promuovendo ancora di più lo studio con metodo sperimentale; rilanciando sport, musica, cinema, teatro e danza a scuola; aumentando le occasioni di formazione dei docenti; promuovendo occasioni di coordinamento tra docenti per una programmazione condivisa, la verifica e una riflessione comune; promuovendo un piano mense di qualità in ogni scuola, a partire da quelle dell'infanzia e primaria, nelle aree di massima povertà educativa; estendendo il tempo prolungato e pieno nelle scuole; dando una nuova forza alle tante buone pratiche, rafforzando e coordinando le esperienze italiane di seconda occasione, gli interventi tra scuola e territorio con i ragazzi in maggiore difficoltà; dando stabilità alle reti contro la dispersione.
  C'è un altro tema importante quando si discute di deficit formativo e di come l'istruzione e la formazione possono essere leve di riscatto sociale e strumenti per ricucire divari e diseguaglianze, e sono le competenze degli adulti. Sottolineo anche questo, perché è un tema decisivo, importantissimo, spesso sottovalutato o accantonato.
  Le indagini nazionali e anche quelle internazionali evidenziano un significativo deficit formativo della nostra popolazione adulta, che concorre a pregiudicare lo sviluppo economico, politico e sociale del nostro Paese. Molto interessanti sono, a questo proposito, i risultati dell'indagine del 2014 fatta dal PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), un programma ideato dall'OCSE. Nella ricerca, le competenze misurate sugli ambiti letterari, matematici di ICT, sono classificate in cinque livelli, da 1, il più basso, a 5, il più alto, e l'analisi ha l'obiettivo di indagare la distribuzione della popolazione adulta nei vari Paesi tra i diversi livelli. Gli adulti italiani per il 70 per cento si collocano al di sotto del livello 3, il livello di competenze considerate necessarie per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo. Questo significa che «un adulto medio italiano – riprendo proprio il pezzo che stava su questo report – è capace di fare inferenze di livello poco complesso: è capace di integrare gli elementi di informazione contenuti in diverse parti di un documento sulla base di appositi criteri, confrontare e contrapporre o ragionare su informazioni e fare inferenze di basso livello. Un adulto medio italiano è capace di navigare all'interno dei testi digitali per accedere e individuare le informazioni presenti nelle varie parti di un documento», tutto questo «mentre un adulto medio del Giappone è capace di comprendere testi lunghi o densi di informazione su testi di tipo continuo, discontinuo o misto, rispondendo in modo appropriato. È in grado di comprendere testi e strutture retoriche e di identificare, interpretare o valutare uno o più pezzi di informazioni e di fare inferenze appropriate. È anche in grado di eseguire operazioni in più fasi e di selezionare le informazioni corrette presenti in testi contenenti informazioni contraddittorie.».
  Questo è un dato che non può lasciarci indifferenti. La situazione vede le fasce più giovani della popolazione in posizione migliore rispetto a quelle più anziane, una situazione dovuta principalmente alle leggi istitutive dell'obbligo scolastico. Si può ritenere che il grado di scolarizzazione giochi un ruolo essenziale nella costruzione delle competenze studiate in quel rapporto, ma non è l'unica determinante. È evidente che c'è una forte correlazione tra competenze e background socioculturale. A fronte di questi dati sulle competenze degli adulti, la situazione dell'educazione formale e informale ci vede, secondo lo stesso rapporto, in grande difficoltà. Solo il 24 per cento Pag. 11degli adulti intervistati dichiara di aver partecipato a un percorso del genere nell'anno precedente all'intervista, contro una media OCSE del 52 per cento. Coloro che seguono percorsi formativi, formali o informali, appartengono prevalentemente alla classe d'età 25-34 anni (31 per cento) e 35-44 anni (29 per cento). La partecipazione comincia a decrescere nella classe d'età 45-54 anni (24 per cento), fino a toccare il 10 per cento nella fascia d'età 55-64. Chi ha partecipato ad attività di istruzione o formazione risulta nella larghissima maggioranza dei casi occupato (81 per cento), mentre il 7 per cento risulta disoccupato e il 12 per cento non appartiene alle forze lavoro. Inoltre, tra i possessori di laurea o titolo superiore alla laurea, il 58 per cento dichiara di aver partecipato ad attività formative nei 12 mesi precedenti l'intervista, percentuale che scende al 30 per cento per i possessori di diploma. Non arriva al 12 per cento chi possiede un titolo di studio inferiore al diploma.
  Questo primo dato comincia a delineare un sistema di apprendimento per gli adulti non adeguatamente inclusivo e nel quale sono meno coinvolti proprio i soggetti che ne avrebbero più bisogno. Sono numeri di fronte ai quali reagire. La formazione è infatti un fattore che contribuisce alla tenuta delle competenze nel tempo, oltre ad avere la funzione fondamentale di aumentare e riqualificare le competenze offrendo opportunità di crescita economica e sociale. Proprio in quest'ottica, sono stati riordinati gli assetti organizzativi e didattici dei percorsi di istruzione degli adulti e sono stati istituiti CPIA, centri provinciali per l'istruzione degli adulti. I CPIA sono istituzioni scolastiche autonome, articolati in reti territoriali di servizi. Ogni CPIA si compone di una sede centrale e di più sedi associate, ex CTP, e si avvale di sedi operative, mediante accordi con le istituzioni scolastiche di secondo grado, dove si svolgono i percorsi di secondo livello, ex corsi serali. Nell'anno scolastico in corso, le sedi centrali dei CPIA sono 125, le sedi associate 635 e le sedi operative 872, per un totale complessivo di 1.507 punti di erogazione del servizio, fatta eccezione per le sedi attive negli istituti penitenziari.
  Questi numeri dimostrano come nel nostro Paese sia presente una rete di servizi diffusa su tutto il territorio nazionale, con particolare incidenza proprio nelle aree metropolitane, che si fa carico degli adulti, specie di quelli in situazioni di svantaggio, come NEET, dropout, analfabeti di ritorno, inoccupati e disoccupati, soggetti con provvedimenti di cautela personale, adulti stranieri che maggiormente rischiano l'emarginazione sociale appartenenti a minoranze al fine di far conseguire loro più elevati livelli di istruzione e di potenziarne le competenze di base, anche nella prospettiva delineata dall'agenda 2030, che si pone l'obiettivo di assicurare, appunto, un'educazione di qualità equa e inclusiva e di promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti. Il nuovo sistema di istruzione degli adulti è pertanto finalizzato a innalzare i livelli di istruzione degli adulti potenziandone le competenze di base, in modo da sviluppare anche quelle linguistiche, digitali e finanziarie nonché quelle per il mercato del lavoro. Il sostegno ai CPIA deve essere parte delle nostre priorità di sistema, a partire proprio dalle periferie urbane. Nell'anno scolastico in corso, gli iscritti ai percorsi di istruzione degli adulti sono complessivamente 222.431, di cui 42.153 iscritti a percorsi di primo livello, 109.965 ai percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana e 70.313 ai percorsi di secondo livello.
  Con riferimento ai corsi serali nell'ambito delle scuole statali, nel corso dell'anno scolastico 2015-2016 il 3,3 per cento degli studenti, di cui lo 0,2 per cento con cittadinanza non italiana, frequenta i licei; il 55,9 per cento, di cui il 51,3 con cittadinanza non italiana, gli istituti tecnici; il 49 per cento, di cui il 46,7 con cittadinanza non italiana, gli istituti professionali.
  Per favorire la messa a regime del nuovo sistema di istruzione degli adulti, il MIUR ha avviato una collaborazione interistituzionale con le altre amministrazioni, in particolare con il Ministero dell'interno e il Ministero della giustizia, predisponendo un Pag. 12piano organico di interventi e destinando apposite risorse finanziarie.
  Resta molto da fare in quest'ambito, attraverso l'educazione sia formale sia informale, ma non basta l'impegno di questo ministero. Servono investimenti forti nei meccanismi di formazione legati ai centri per l'impiego, l'incentivo dei percorsi formativi per i lavoratori, specialmente per quelli a bassa qualifica, e una serie di iniziative che in modo coordinato permettano di far avanzare le competenze nei vari ambiti della popolazione adulta.

  PRESIDENTE. Mi pare che questa comunicazione abbia parecchi spunti e dati, che adesso saranno anche oggetto di discussione con i colleghi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Signora ministra, l'avevo già ascoltata non su questo tema, ma con quest'articolazione, in sede di Commissione affari costituzionali in riferimento alla lotta alla radicalizzazione e allo jihadismo, e lì emergeva il fatto di capire come dare continuità a una serie di interventi e come costruire una rete.
  Vorrei domandarle due cose, visto che poi dovremo tirare delle sintesi e fare proposte.
  Sulle modalità di selezione dei dirigenti destinati alle scuole, si prevedono o si potrebbero prevedere o hanno senso, secondo lei, specializzazioni di coloro che sono collocati in aree periferiche? Se è vero, e io concordo, che la scuola è il soggetto che può agire su più fronti, sicuramente quello della prevenzione, ma anche quello della costruzione di percorsi per persone, quindi investendo sul capitale umano, servono poi dirigenti che abbiano certe capacità. Soprattutto, ho rilevato e rilevo, almeno nel mio territorio, che l'autonomia scolastica, che io condivido, continua a rimanere importante, ma spesso alcuni dirigenti scolastici vivono questa cosa come separatezza dal territorio. C'è, da una parte, la debolezza anche della politica e delle persone nuove che ricoprono il ruolo di assessore, ad esempio, ma oggettivamente da quello che oggi emerge in tutte le cose che vediamo che richiedono un approccio complessivo e non soltanto settoriale, in particolar modo per la scuola, sarebbe interessante capire come portare avanti nel tempo un'azione mettendo al centro le scuole da una parte con la dirigenza scolastica e dall'altra parte con un rapporto diverso col territorio.
  Termino, ringraziandola, sul tema degli organi collegiali, che, così come l'abbiamo visto, è fallito. Se la scuola è il centro, andrebbe obbligata a una programmazione, come peraltro dovrebbe fare, che tenga conto del rapporto con gli enti locali e con le reti territoriali. Spesso, su alcuni temi si assiste alla doppia progettazione, specialmente sulla dispersione scolastica, sul disagio, sui dropout: scuola da una parte, enti locali dall'altra, che poi interagiscono sullo stesso bacino con le stesse associazioni. A questo punto, ci vuole qualcuno che faccia da cabina di regia. A mio avviso, potrebbe essere la scuola questo soggetto, o l'ente locale, ma in tal caso la scuola sentirebbe ledere la sua autonomia. Si tratta di capire quale sia il meccanismo, ma visto che di intergruppi e di modalità di lavoro diverso parleremo anche in questa Commissione nelle conclusioni, sarebbe utile anche da parte sua un ragionamento su questo argomento.

  VALERIA FEDELI, ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. La ringrazio della domanda. In parte, quello che lei sostiene è una delle cose che sostengo anch'io e vi avevo accennato nella parte finale della mia relazione.
  Penso che si debba assolutamente sviluppare il terreno della rete, non tanto decidendo ora chi sia il capofila, ma facendo svolgere sia alla scuola sia agli enti locali – il rapporto col territorio è fondamentale – il significato dell'intervento di sistema in un territorio. Lo dicevo prima al presidente: da questo punto di vista, considero anche l'esito del lavoro di questa Commissione molto importante. Ritengo che, se da un lato occorre mettere al centro e riconoscere il valore propulsivo e fondamentale Pag. 13 della scuola, dall'altro non possa non esserci una programmazione degli interventi fatta proprio in sede di programmazione territoriale, chiamando tutti i soggetti a perseguire lo stesso obiettivo, mettendo anche le risorse in comune: su questo spingiamo molto. È un tema già aperto – lo dico onestamente – dall'anno scorso. Lo stiamo riprendendo in modo molto forte anche quest'anno con la Conferenza Stato-Regioni, perché quello è il vero tema, cioè riuscire a fare un'operazione di sistema sul territorio una volta individuato. Non so, onestamente, se si possa far capo esclusivamente, da un punto di vista del coordinamento, alla scuola, perché anche le scuole devono stare in rete, avere un plesso. L'esperienza che vogliamo fare con il decreto Mezzogiorno che citavo, che è un primo elemento sperimentale che proviamo a fare di sistema, sta proprio in capo ai soggetti degli enti locali. Il tema necessario che va risolto è coordinarsi, indipendentemente da chi coordini.
  Sulla questione delle specializzazioni, personalmente in questo momento non sarei per vederla in modo specializzato. Intanto, se si condivide di mettere l'innovazione al centro anche delle scuole, dei plessi che stanno nelle periferie, e vale anche poi per le tipologie dei CPIA, credo invece che sia proprio un elemento di formazione e di innovazione culturale di chiunque vada, dal dirigente ai docenti, su quel terreno, che invece devono poter affrontare in modo innovativo la loro stessa formazione, a parte alcune specializzazioni. Capisco il senso. Specializzare vuol dire avere competenze mirate. Questo sarebbe giusto in sé, ma la mia preoccupazione è sempre quella che poi diventi un percorso chiuso, più una separazione. Penso che si debbano affrontare le competenze per quello che si sta facendo, quindi è importante il livello di conoscenza e di specializzazione, ma vedo la specializzazione come acquisizione di conoscenze e di competenze su ciò che si debba fare, più che una specializzazione che separa, come se si dovesse fare solo quello. Questo mi preoccuperebbe.

  LAURA CASTELLI. Intanto, le vorrei dare un feedback: abbiamo notato in queste visite nelle varie città metropolitane una cosa che mi ha colpito moltissimo, e cioè che i dirigenti migliori, con la miglior grinta, sono proprio nelle periferie. Devo dire che è un piacere entrare in una scuola di una periferia, a volte anche denominata come il pezzo peggiore d'Italia, e trovare un dirigente che ha voglia e grinta.
  Sulla questione di creare rete vorrei chiederle se secondo lei è possibile fare una riflessione di approfondimento anche su quello che riguarda i conti pubblici. È chiaro che, in un momento in cui in linea generale si pensa di tenere all'osso gli enti locali, tutto questo ragionamento di ricreare la rete con le associazioni e i servizi che un comune fornisce a sostegno di scuola, istruzione e così via, non può non passare, io credo, da un pensiero rispetto a quello che in questi anni è stato tolto, o comunque che continua a essere non bastante agli enti locali. Siccome questa Commissione si occuperà anche di una parte che riguarda proprio questo, cioè il denaro che dallo Stato deve arrivare agli enti, o comunque questo scambio, secondo lei tutto questo giustissimo e coerente rapporto di costruzione di rete non è penalizzato dal fatto che a un certo punto non si dica che servono comunque risorse? Tra l'altro, potrebbero anche essere quelle che uno risparmia. Costruire una rete fa risparmiare dei soldi e, se riusciamo a risparmiare dei soldi, forse si potrebbe anche pensare di allocarli in una maniera differente, ma considerando il fatto che gli enti locali comunque hanno necessità di denaro. Pensiamo anche alle città metropolitane, che gestiscono servizi che vanno in questa direzione.
  Quanto alla stabilità dei finanziamenti – lei parlava del fatto che devono essere stabili – sono d'accordo, ma quello che ci è arrivato anche da queste visite è che la stabilità sta anche nel fatto che un ragazzo con serie difficoltà familiari, ma anche di apprendimento, perché sta in un luogo difficile, oltre alla stabilità dei fondi dei progetti, a cui sicuramente tiene, pensa alla stabilità dei docenti. Spesso, ci è stato detto andando in giro, il ragazzo ha un disagio se Pag. 14da un anno all'altro gli cambiano il docente.
  Le lascio lì la questione. Abbiamo colto il tema, che ci è stato più volte sottoposto. È vero che la stabilità dei fondi deve essere sacrosanta, ma anche quella di persone che a un certo punto diventano dei perni. In questi luoghi i docenti diventano delle figure perno, spesso più della famiglia.

  VALERIA FEDELI, ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Intanto, è evidente, secondo me, che su qualunque cosa che riguarda la messa al centro dell'istruzione e della formazione – insisto su questo punto – che significa applicare davvero, avendola letta e compresa, l'Agenda 2030, dovremmo decidere come sistema Paese di continuare a investire, punto. Ne consegue poi che si finalizza l'investimento perché si realizzano le reti, e quindi si riprende in mano anche il terreno dagli enti locali.
  Se, però, mi posso permettere, su questo condivido un'affermazione che lei ha fatto. Nella prima fase – possiamo farlo quindi da subito – la messa in rete è anche il fatto di coordinarsi su risorse che ciascuno già utilizza, e quindi è l'ottimizzazione delle risorse finalizzate allo stesso obiettivo. Penso che già questo cambi l'efficacia delle diverse risorse che si mettono in campo.
  Poi è evidente che più risorse hai, più efficacia hai, ma il terreno nuovo – è quello che verifico anch'io girando – è innanzitutto quello di costruire le reti. Siccome le reti si costruiscono sulle persone, sui soggetti che oggi hanno le responsabilità, è proprio questo il terreno nuovo su cui dobbiamo investire. Da lì è chiaro che le risorse possono sempre venire, ma la razionalizzazione è già un passaggio importante, perché vuol dire un'efficacia di tutte le azioni che si fanno. Quanto alla stabilità del finanziamento, è ovvio, evidente.
  Quanto alla stabilità dei docenti, dobbiamo continuare a costruire un organico, di diritto e non di fatto. Su questo abbiamo fatto un primo step. Lo dico obiettivamente, anche se quest'anno, alla fine, 52.000 nuovi ingressi come organico di diritto sono un punto, non sono il finale, ma è chiaro che anche quello è un elemento importante. Non c'è dubbio, soprattutto su percorsi didattici nel tempo... Occorre avere un minimo di coerenza di tempo della didattica, di mantenimento dello stesso profilo presente. Vale per il ragazzo, vale per le famiglie, ma vale soprattutto per i percorsi, che diventano sempre più individuali, di apprendimento, quindi anche di conoscenza. Questo, sono d'accordo, è un elemento in progress, ma è corretto sottolinearlo.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Penso che un modo per cercare di risolvere molti problemi della scuola e dell'economia sia avvicinare le scuole alle aziende, italiane ed estere, quindi mi chiedo quali siano le strategie per favorire l'avvicinamento della scuola alle aziende e viceversa, per indirizzare alcuni studenti per il futuro, per agevolare fiscalmente quelle aziende che collaborano con la scuola, per prevedere la partecipazione degli studenti alle attività aziendali, soprattutto negli ultimi anni di scuola.

  VALERIA FEDELI, ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Abbiamo in campo più iniziative. Abbiamo l'alternanza scuola/lavoro, l'innovazione didattica che abbiamo inserito nella legge 107, che, come lei sa, dall'anno scolastico 2018-2019 entra anche negli esami di Stato, quindi è veramente aver fatto una scelta di rompere i saperi tradizionali solo della scuola, con i saperi e le conoscenze del mondo del lavoro. Ne abbiamo fatto, secondo me, una delle più significative, anche se vanno gestite, attuate, qualificate, monitorate: scelta che abbiamo fatto negli anni precedenti sull'alternanza scuola/lavoro. Questo è il punto. Se mi posso permettere – lo dico qui, perché lo dico anche negli incontri con le associazioni di impresa – l'alternanza/scuola lavoro qualifica e deve qualificare anche dal punto di vista delle imprese che cosa offrono in termini di formazione alle ragazze e ai ragazzi. Questo è un primo aspetto.
  Il secondo aspetto che stiamo molto qualificando sono gli ITS (Istituti tecnici Pag. 15superiori), l'altro elemento, che ha caratteristiche diverse di rapporto più diretto con le offerte del mercato del lavoro esterno. Questo è un altro degli elementi importanti su cui non solo come ministero, ma in questo caso anche come rapporto con il MISE e con il Ministero del lavoro, attraverso «Industria 4.0», stiamo molto incrementando anche in termini proprio di investimento economico. Dimostrano anche i dati che chi fa gli ITS all'84-86 per cento ha sbocchi professionali nel giro di due o tre mesi, perché c'è un collegamento con le aziende.
  Quanto alla sua domanda, su cosa diamo alle aziende che collaborano con le scuole, sono le scuole e le aziende che insieme costruiscono, ciascuno per la propria responsabilità, il futuro di quel territorio: dovrebbe essere una funzione imprenditoriale quella di avere la possibilità di utilizzare successivamente anche le competenze nuove.
  C'è una questione aperta – forse, lei si riferiva a questo – ovvero quella dell'apprendistato di primo e di terzo livello. Su questo terreno le dico che proprio la settimana scorsa, nel dibattito pubblico con il Ministro Poletti in particolare, abbiamo iniziato un approfondimento, perché anche nel rapporto con le imprese ci sono alcuni istituti, anche nuovi, presenti nella nostra legislazione che non sono stati finalizzati in modo utile. Bisogna fare anche attenzione agli strumenti che abbiamo, a come vengono potenziati e applicati, e non confusi con altri. L'alternanza scuola/lavoro, ad esempio, non può essere confuso con gli strumenti di apprendistato. So che lei ne è consapevole, ma in giro questa incertezza e confusione nell'utilizzo c'era. Sono due aspetti differenti. In quel senso, allora, c'è il rapporto che lei mi chiedeva tra scuola, formazione e rapporto con le imprese.

  ROBERTO MORASSUT. Ringrazio il ministro per la sua ampia documentazione. Avremo modo di approfondire nei lavori della nostra Commissione.
  Vorrei soltanto fare una richiesta, più che una domanda, perché purtroppo non è tra quelle che le abbiamo inviato preliminarmente. È più una richiesta di aggiornamento successiva di dati, ed è riferita allo stato di attuazione e di avanzamento del programma per l'edilizia scolastica, che ormai ha già qualche anno di gestazione e che risulta articolato in varie funzioni amministrative, a partire dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Lo chiedo perché in Commissione di vigilanza sull'attività degli enti gestori, durante un'audizione con il vertice di Inail abbiamo potuto accertare che il programma finanziario per gli interventi di recupero, ristrutturazione e realizzazione di nuovi complessi scolastici è stato ulteriormente incrementato, anche a valere su fondi messi a disposizione dagli enti, in particolare dall'Inail, a cui la normativa consente di intervenire in questa materia. Sarebbe interessante per la Commissione avere un aggiornamento dello stato di avanzamento di questo programma, vista la centralità del tema del patrimonio fisico, del patrimonio edilizio scolastico italiano, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo delle periferie.

  VALERIA FEDELI, ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Assolutamente, sì. Forniremo tutti i dettagli, anche perché abbiamo riattivato l'osservatorio presso il MIUR sull'edilizia scolastica, e costituito l'anagrafe, per cui ci sono anche tutti i dettagli dei finanziamenti, in quali scuole, dove, come, distinti per tipologia di intervento, compresa la questione dell'utilizzo dei mutui BEI. Forniremo anche tutto questo materiale allegato alla mia relazione. È anche questo un punto assolutamente importante per le periferie.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto per il lavoro che ha svolto, con l'impegno di rimanere in contatto anche nei prossimi mesi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.15.