XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Martedì 27 giugno 2017
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 

SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SETTORE FISCALE:

Audizione di rappresentanti della Confindustria.
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 ,
Mariotti Francesca , direttrice delle politiche fiscali della Confindustria ... 2 ,
Tabacci Bruno , Presidente ... 16 ,
Mariotti Francesca , direttrice delle politiche fiscali della Confindustria ... 18 ,
Tabacci Bruno , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 13.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Confindustria.

  PRESIDENTE. Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel settore fiscale, la seduta di oggi è dedicata all'audizione di rappresentanti della Confindustria.
  Sono presenti: Francesca Mariotti, direttrice delle politiche fiscali, Simona Finazzo, direttrice dei rapporti istituzionali, e Moreno Maurizi, dell'area politiche fiscali.
  Do la parola alla dottoressa Francesca Mariotti, nella certezza che i nostri ospiti daranno un contributo importante all'indagine, e li ringrazio anche per il documento che ci hanno trasmesso.

  FRANCESCA MARIOTTI, direttrice delle politiche fiscali della Confindustria. Buon pomeriggio.
  Illustre presidente, a nome del presidente Boccia e del direttore generale Marcella Panucci, vi ringrazio per aver invitato Confindustria a prendere parte a quest'indagine conoscitiva che tocca un tema vitale per le imprese: la semplificazione fiscale.
  Senza dubbio, possiamo dire che la complessità del sistema fiscale è un male antico. Già Guido Carli, circa sessant'anni fa, Pag. 3a nome di Confindustria, denunciò la presenza di lacci e lacciuoli che impastoiavano il nostro sistema economico, frenandone lo sviluppo. Senza dubbio, oggi come allora, purtroppo molti di quelli sono di natura fiscale.
  Confindustria è stata audita sul tema delle semplificazioni fiscali in diverse occasioni, come nell'ambito dell'attuazione della delega fiscale, la legge n. 23 del 2014 e, in particolare, durante l’iter di approvazione del decreto legislativo n. 175 del 2014, che peraltro fu il primo atto di attuazione di quella legge delega. In quell'ambito, manifestammo la necessità e l'urgenza di semplificare il sistema fiscale italiano, offrendo spunti e proposte di intervento. Non nego che oggi ci piacerebbe sottolineare che quelle denunce e quelle critiche potessero essere cose passate, ma purtroppo non è questa la situazione. Sul fronte della semplificazione fiscale, sicuramente è stata fatta qualche cosa e, utilizzando qualche aggettivo, possiamo dire che gli interventi sono stati importanti, ma decisamente non sufficienti. Volendo ripercorrere la metafora di Guido Carli, possiamo dire che la matassa di lacci e lacciuoli è stata scossa, ma certamente non districata. Non mi dilungherò in elencazioni di dettaglio, anche se, volendo, siamo assolutamente a disposizione per farlo, ma vorrei proporre un'analisi complessiva del problema, riflettendo per principi e per grandi temi.
  Il tema della semplificazione fiscale in Italia sembra essere la tela di Penelope: il legislatore, come Penelope, appare impegnato in un continuo fare e disfare, senza intravedere l'esito positivo, come fu appunto per quella tela. Vorremmo, invece, dare qualche spunto di riflessione per aiutare tutti a progettare azioni future più efficaci rispetto a quelle condotte fino a oggi. In tal senso, vorrei rimarcare che abbiamo molto apprezzato i lavori della Commissione da Lei presieduta e che siamo certi emergeranno da quest'indagine utili indicazioni di intervento. Pag. 4
  Nell'illustrare le diverse criticità e, se volete, anche quei tratti perversi che logorano il sistema fiscale, consentiteci di utilizzare una metafora: sembra quasi che il sistema fiscale, visto dall'ottica della semplificazione, sia pervaso da sette vizi, come quelli capitali.
  Il primo è sicuramente quello della superficialità, che è legato da un doppio filo alla genesi delle norme: prima di adottare ciascun atto normativo, servono valutazioni che analizzino l'impatto. Troppo spesso, ci sembra che si dedichi troppo poco spazio al tema delle valutazioni preventive e che non vi sia una piena consapevolezza che qualsiasi cambio di norma, anche solo per l'implementazione, rappresenta un costo per le imprese. Fin dal 2005, è stata introdotta la disciplina dell'Analisi d'impatto della regolamentazione (AIR), che avrebbe il compito di fare appunto quella valutazione ex ante, per evitare, prima ancora che queste si manifestino, conseguenze negative di un'azione inconsapevole degli effetti che produce sulla vita reale dei cittadini e delle imprese. Si tratta di una vita reale che, in campo fiscale, per le imprese è fatta di adempimenti, F24, comunicazioni, dichiarazioni e temi che forse hanno uno scarso appeal nell'agenda della politica. Eppure, semplificare il sistema fiscale – mi si consenta di poterlo dire – dovrebbe essere la prima ambizione da perseguire con estremo coraggio. Delle analisi di impatto, dovrebbe restare traccia in una relazione che, in buona sostanza, identifichi e chiarisca perché si è scelta una soluzione in luogo di altre, quali effetti siano stati mappati e, soprattutto, chi e in che misura resterà inciso delle disposizioni varate. Eppure, nonostante un certo miglioramento nell'utilizzo di questo strumento, possiamo sicuramente dire che, ancora oggi, le relazioni AIR risultano sistematicamente assenti per gli atti che intervengono in maniera incisiva in materia fiscale. Da ultimo – lo dico per citare i più recenti – c'è stata Pag. 5la legge di stabilità del 2016, quindi il collegato alla legge di bilancio per il 2017 nonché la stessa legge di bilancio del 2017. Tuttavia, la qualità delle relazioni AIR rimane abbastanza scarsa: basti pensare che l'83 per cento di quelle presentate nel 2016 ha richiesto comunque delle integrazioni da parte del DAGL. Nell'intento del legislatore, peraltro, l'AIR doveva accompagnarsi alle verifiche di impatto regolatorio: accanto a una valutazione ex ante, occorreva una valutazione ex post. Eppure, anche per questo motivo, i risultati sono, a dir poco, allarmanti: delle 25 relazioni nel 2016, nessuna ha riguardato la materia fiscale.
  Passo a quello che abbiamo ribattezzato come il secondo vizio: la venalità. Lo stato delle finanze pubbliche richiede da parte di tutti responsabilità e pragmatismo nelle scelte. Ne siamo consapevoli: il fisco è partecipazione alle sorti del bilancio pubblico e, in quanto compartecipi di queste sorti, abbiamo compreso e, a tratti, anche condiviso talune scelte. Tuttavia, anche in questo caso, a volte la constatazione è più di metodo che non di merito. Vorrei fare qualche esempio: la relazione tecnica troppo spesso rappresenta lo scrigno nel quale rintracciare ogni singola ratio di ciascun provvedimento di rilevanza fiscale. Alcuni esempi sono rinvenibili nel più recente decreto-legge n. 50, la cosiddetta «manovrina», cioè quel provvedimento cui è stato affidato fondamentalmente il compito di recuperare le risorse necessarie all'attuazione di una manovra correttiva, dove sono stati introdotti nuovi adempimenti o modifiche di adempimenti in campo IVA.
  Sin dalla loro prima lettura, le norme introdotte hanno manifestato perplessità o criticità, anche solo sul piano operativo. È apparso chiaramente, sin da subito, che quelle norme avrebbero scaricato su un'immensa platea di operatori alcune complessità procedurali, che, anche al netto del difficile scenario Pag. 6 finanziario noto a tutti, avrebbero dovuto essere comunque soppesate di fronte ai ritorni economici per l'erario. Ne cito alcune. Riguardo alla prima, nella modifica dei termini di esercizio del diritto alla detrazione IVA, recata dall'articolo 2 di questo decreto, è abbastanza paradigmatico il fatto che la relazione tecnica assegni a queste modifiche introiti alle casse dell'erario per circa 100 milioni di euro annui. Bisogna chiedersi appunto se, per 100 milioni di euro anni, era davvero necessario addossare su una platea così numerosa di contribuenti – parliamo di circa 5 milioni di partite IVA – nuovi termini e difficoltà operative, che appunto la disposizione comporta. Nel caso di specie, non è secondario quello che ho appena detto e sono stati addirittura trascurati gli aspetti più elementari di una corretta produzione legislativa in materia tributaria. Dapprima, è stato omesso di esplicitare la decorrenza di queste nuove disposizioni, che intervenivano in qualche modo a gamba tesa su adempimenti in corso. Successivamente, quando appunto è stata esplicitata la decorrenza di queste nuove disposizioni, lo si è fatto in violazione del principio di irretroattività delle norme tributarie, specie quelle che incidono sui tributi periodici.
  Passo a un altro esempio, confessando che non avrei voluto portarlo in quest'audizione. Mi riferisco a una nuova norma introdotta con il decreto-legge n. 50: il cosiddetto «split payment». Il decreto-legge n. 50 provvede sostanzialmente a prorogare una misura introdotta nel 2015, a seguito, peraltro, di un'autorizzazione della Commissione europea. Vorrei anche sottolineare che lo Stato italiano nel 2015 si era impegnato a non chiedere una proroga dello split payment, ma oggi lo fa, prevedendo appunto lo split payment fino al 2020 e operando anche un'estensione dei soggetti coinvolti: non più solo talune pubbliche amministrazioni, ma tutte le pubbliche amministrazioni Pag. 7 e, soprattutto, tutte le società partecipate dalla pubblica amministrazione nonché alcune società private quotate e inserite nell'indice FTSE MIB. Ho detto che non avrei voluto citare anche questo esempio perché le nuove disposizioni entreranno in vigore il primo luglio, ossia tra quattro giorni. Ebbene, ancora oggi, manca un decreto attuativo che individui sostanzialmente come, quando e in quali casi le imprese sono chiamate ad applicare le nuove regole, con buona pace della certezza del diritto e dell'affidamento del contribuente, e principi che, prima ancora di essere tracciati nello statuto del contribuente o di essere apprezzabili sul piano costituzionale, dovrebbero assurgere a basilare espressione di buonsenso e di civiltà giuridica. Queste norme, peraltro, generano forti impatti di liquidità per le imprese. La Commissione europea, in merito alla disciplina IVA, prevede che deroghe di questo tipo debbano essere autorizzate, quindi si richiama a un tema molto annoso in Italia, quello dei rimborsi di imposta, in relazione ai quali le imprese continuano a denunciare ritardi. Anche in questo caso, cito un semplice esempio per indicare alcune storture del nostro sistema. Sempre in sede di conversione del decreto-legge, è stata introdotta una norma che dovrebbe abbreviare i tempi di rimborso, cioè quello di restituzione delle imposte dovute alle imprese. Si tratta di un intervento che, a nostro avviso, non appare assolutamente in grado di scalfire un quadro di spiacevoli ritardi e lungaggini, ma soprattutto appare quasi come il tipico ritocco procedurale che promette, senza eccessivi costi e senza eccessivi patemi, di efficientare un meccanismo da tempo inefficiente, per cui viene il pensiero: perché questo non si è fatto prima, se era poco incisivo?
  Passo al terzo vizio: l'ossessione per la patologia. Spesso e volentieri, si ha il sospetto che, nell'elaborarle, le norme fiscali si costruiscano sul pregiudizio che, dietro ciascun contribuente Pag. 8onesto, si celi un infimo evasore. La patologia rischia di diventare la fisiologia e si finisce con l'oberare la generalità dei contribuenti con oneri di vario genere: dalla raccolta alla trasmissione di dati e al cambiamento in corsa di applicativi informatici, fino a vere e proprie deleghe a terzi o la preventiva validazione di specifici comportamenti. Anche in questo caso, vale pena ribadire l'importanza di operare in modo sistematico una valutazione ex post quantitativa e qualitativa, specie sugli adempimenti antielusivi, rispetto ai maggior oneri che questi generano su tutti i contribuenti. Sarebbe interessante, per esempio, conoscere quale effetto, in chiave di prevenzione e contrasto all'evasione fiscale, hanno sortito gli adempimenti, come il vecchio spesometro e la comunicazione dei dati delle operazioni effettuate nei confronti di operatori economici localizzati in Paesi black list. La lista potrebbe continuare, ma mi limito sostanzialmente a citare quest'esempio.
  Vale la pena richiamare anche quanto è accaduto pochi giorni fa, con la modifica delle regole per effettuare le compensazioni orizzontali di crediti fiscali mediante l'F24. Anche questa è una norma contenuta nel decreto-legge n. 50, la cosiddetta «manovrina». Le imprese hanno reagito esprimendo preoccupazioni con riferimento all'obbligo che prevede di avvalersi esclusivamente di canali telematici messi a disposizione dell'Agenzia delle entrate per effettuare le compensazioni di qualsiasi genere. È stato richiesto agli operatori di adeguarsi in tempi ristrettissimi: dapprima, sostanzialmente è stato richiesto loro di farlo dall'oggi al domani e, poi, a seguito di un opportuno intervento da parte dell'Agenzia delle entrate, entro 40 giorni. È stato loro richiesto di abbandonare prassi consolidate che prevedevano sostanzialmente la delega tramite home banking e cui, pur faticosamente, si erano adeguate, per transitare a un sistema diverso, ossia quello dei canali telematici messi a Pag. 9disposizione dall'Agenzia delle entrate, che richiede modifiche gestionali e, a volte, ha richiesto addirittura la convocazione straordinaria di consigli di amministrazione per cambiare le deleghe di pagamento in corso.
  Aggiungo, per rafforzare il concetto, un ulteriore esempio: l'estensione, sempre operata dal decreto-legge n. 50, dell'apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni. Si tratta di un caso emblematico di un adempimento che semplicemente trasla ad un soggetto privato, dietro ovvio compenso, l'onere di un controllo proprio dell'amministrazione. In questo modo, i contribuenti onesti si ritrovano sostanzialmente a pagare un frammento di burocrazia privatizzata, priva di qualsiasi valore aggiunto. Gli oneri aggiuntivi non sono mai neutrali perché, quando si sposta un adempimento da un soggetto all'altro, quel soggetto che se ne avvantaggia mostrerà tutte le resistenze affinché quell'adempimento possa essere successivamente rimosso.
  Alla luce di quello che ho esposto fino a ora, in particolare sul tema specifico degli adempimenti IVA, vi sono anche altri esempi, come quello sui depositi IVA.
  Credo che sia urgente, quindi consentiteci di poter lanciare una sorta di appello in questa sede, il momento di avviare una riflessione serena e pacata, con tempi adeguati. Credo sia necessaria una riflessione che consenta a tutti gli operatori coinvolti di mettersi intorno a un tavolo e che conduca a incentivi reali ed efficaci per l'utilizzo della fatturazione elettronica da parte delle imprese.
  Tutti concordano – anche l'amministrazione finanziaria – sul fatto che questo sia il vero strumento o, forse, l'unico, come ci ricorda anche la Commissione europea, per contrastare le frodi IVA. Tuttavia, gli ultimi interventi normativi, di fatto, Pag. 10hanno depotenziato l'interesse da parte delle imprese a optare per l'utilizzo della fatturazione elettronica.
  Passo a un altro vizio: l'instabilità normativa. Quella fiscale, anche se forse non è l'unica, sembra quasi che sia una delle materie in cui il legislatore ci ha abituati, come nei miglior film dell'orrore e nei thriller, a continui capovolgimenti di fronte, a colpi di scena, a battute d'arresto e ad accelerazioni. Un esempio per tutti riguarda le nuove comunicazioni dei dati e delle operazioni rilevanti ai fini IVA, introdotte, in questa versione, con il collegato all'ultima legge di bilancio. Ebbene, possiamo dire che, a partire dal 1993, questo rappresenta il settimo intervento su uno stesso adempimento. Tale intervento può assumere sfumature diverse, ma sempre della stessa cosa stiamo parlando. Ve ne sono stati, a partire dal 1994, da quando è stato abolito il preesistente elenco clienti e fornitori, in vigore dal 1979. Nel 2006, è stato reintrodotto l'elenco clienti e fornitori, quindi, due anni dopo, nel 2008, questo venne di nuovo abrogato. Nel 2010, è stato introdotto uno strumento analogo, lo spesometro, il quale ha avuto necessità di continui rimaneggiamenti, che ci sono stati nel 2012, nel 2016 e, da ultimo, nel 2017. Parliamo sempre, più o meno, dello stesso adempimento: la comunicazione dei dati delle fatture ricevute ed emesse all'amministrazione finanziaria. Si tratta di un andamento erratico e sicuramente avulso da ogni logica di semplificazione. Cito altri due esempi. Il primo di questi ci sta particolarmente a cuore perché Confindustria ci aveva lavorato molto, anche in accordo con l'amministrazione finanziaria. Sostanzialmente, si tratta non solo di un adempimento di buonsenso, ma anche di un sistema che avrebbe limitato i problemi di liquidità che le imprese comunque hanno. Mi riferisco al recupero dell'IVA e dei crediti non riscossi, per i quali il cliente debitore, purtroppo, cade in procedure fallimentari Pag. 11 e in procedure concorsuali. Ebbene, per recuperare l'IVA che il fornitore ha comunque versato all'erario, già in sede di fatturazione, ma non ha ancora riscosso dal cliente debitore, l'anno scorso avevamo ottenuto, d'accordo con l'amministrazione finanziaria, un'utilissima norma che consentiva questo recupero a partire dal momento di avvio della procedura concorsuale, senza doverne attendere i lunghi tempi di ultimazione, quindi l'esito infruttuoso della procedura concorsuale. Quest'anno, con la legge di bilancio, con un tratto di penna e quattro parole, questa norma è stata abrogata. Un altro esempio di mala regolamentazione è rappresentato, invece, dalla gestione degli obblighi degli esportatori abituali. Anche in questo caso, c'è stata una modifica della disciplina che è intervenuta a ridosso del momento dell'adempimento, ossia all'inizio del mese di dicembre e pochissimi giorni prima rispetto al momento in cui le imprese effettuano il maggior numero di invii delle dichiarazioni d'intento. Anche per questa normativa, bastava introdurre la modifica due mesi prima e, forse, lo spauracchio della complessità sarebbe stato debellato sin dall'inizio.
  Non vi è dubbio che un ruolo importante, che oserei definire quasi salvifico, viene, a volte, attribuito a comunicati stampa, financo ad audizioni dei vertici dell'amministrazione finanziaria, note d'indirizzo o, addirittura, interviste. Questi momenti sono fondamentali per le imprese – lo ripeto – e sono, a tratti, salvifici perché, se non vi fossero questi interventi da parte dell'amministrazione finanziaria, le norme non sarebbero applicabili. Però – questo va sottolineato – si tratta di mezzi certamente irrituali.
  Passo al quinto vizio: la debolezza. Direi che la stessa solerzia impiegata nell'affastellare norme e adempimenti dovrebbe essere, forse, più utilmente impiegata nel rimuovere Pag. 12quegli adempimenti o quegli interventi normativi non pienamente efficaci, nell'ottica di un bilanciamento tra costi imposti e vantaggi attesi. Basti pensare al lungo e travagliato iter di approvazione dell'unico decreto sulle semplificazioni fiscali, ossia quello che ho citato sin dall'inizio, in attuazione della delega fiscale. Si tratta di un decreto legislativo che non fece altro, nella sostanza, che rianimare un disegno di legge sulle semplificazioni fiscali che giaceva in Parlamento da oltre un anno, ma si tratta di un decreto legislativo al quale purtroppo non è seguito nessun altro decreto attuativo, di cui pur si aveva bisogno.
  L'unico pacchetto di semplificazioni venne inserito durante l’iter di conversione del decreto-legge n. 193, cioè il cosiddetto «collegato fiscale» alla legge di bilancio 2017. Consentitemi di dire che questo è un pacchetto di semplificazioni che poco ha guardato alle imprese ed è stato rivolto, in via principale, a limare alcuni aspetti propri dell'operatività di intermediari e dell'amministrazione finanziaria.
  Non posso non citare anche un esempio che ci ha visti coinvolti in prima linea. Confindustria ha sollecitato e attivato un tavolo di lavoro presso il Ministero dell'economia e delle finanze, in particolare presso il Dipartimento delle finanze, per attuare una serie di norme di raccordo fiscale ai nuovi principi contabili nazionali, in vigore a partire dai bilanci chiusi al 31 dicembre 2016. Nonostante questo costante lavoro sia stato condiviso con i vertici dell'amministrazione finanziaria, dell'Agenzia delle entrate e del Dipartimento, ma anche con i componenti della Presidenza del Consiglio e dell'Organismo italiano di contabilità, e sia stata definita una serie di norme, c'è stato un tappo di bottiglia e le norme vennero sostanzialmente introdotte, in extremis, all'inizio dell'anno. Anche in questo Pag. 13caso, se fossimo arrivati un po’ prima, forse lo spauracchio della complessità sarebbe stato debellato a monte.
  Come molte altre materie, anche quella fiscale oggi risente di un non perfetto bilanciamento dei ruoli di centro e periferia, a livello tanto normativo quanto amministrativo. Dal punto di vista normativo, penso che sia sufficiente riflettere sul numero dei tributi locali oggi in vigore. In merito, non abbiamo una pretesa di esaustività e ce ne scusiamo, però possiamo affermare che ciascun livello di governo oggi beneficia, manovra e gestisce circa sette tributi. Alle regioni è demandata l'IRAP, oltre che varie addizionali su IRPEF e accise, fino ad arrivare alle imposte sui carburanti per autotrazione e sulle emissioni sonore degli aeromobili. A livello provinciale, oltre le addizionali, vengono gestite le tasse automobilistiche, i canoni per l'occupazione di spazi pubblici e alcuni elementi di fiscalità ambientale. Non da ultimo, a livello comunale, esiste l'intricata matassa della fiscalità, fatta di IMU, TASI, TARI, TOSAP, COSAP, imposta di soggiorno, sulle affissioni e di scopo. Questo sembra quasi uno scioglilingua, ma – ahinoi! – non lo è.
  In questo ginepraio di tributi, è di tutta evidenza la necessità di una razionalizzazione. Molto probabilmente, si potrebbe dire anche della necessità di una forte riduzione del carico impositivo, specie per imposte patrimoniali che colpiscono fattori della produzione, ma, in questa sede, ci limitiamo appunto a rappresentare l'urgenza di una semplificazione e di una razionalizzazione. Considerate, solamente come esempio, le imprese che sono multilocalizzate, ossia imprese che hanno sedi operative, uffici e stabilimenti in più comuni o in più regioni e si ritrovano, oggi, a dover far fronte a un livello di imposizione che è declinato in venti regioni, 93 province e 7.978 comuni e la cui disciplina non è sempre armonizzata. Pag. 14
  Faccio due esempi fin troppo banali, anche per rappresentare la complessità che raggiunge dei tratti di assurdità della complessità in questi ambiti. Per il versamento dell'IMU e della TASI, cui appunto sono soggetti tutti gli immobili d'impresa, i comuni, a differenza di quello della TARI, non sono tenuti a inviare i bollettini precompilati, quindi, per l'assolvimento di alcuni tributi che hanno, per alcuni tratti, un peso significativo, ma il cui adempimento è, tutto sommato, potenzialmente semplice, la spesa dell'adempimento è, in taluni casi, superiore al gettito rinveniente.
  Non solamente per le imprese, ma anche per qualsiasi cittadino che si è imbattuto nel capire quale fosse l'aliquota o la detrazione o l'esenzione o la misura agevolativa di IMU, TASI e TARI, c'è la possibilità, come unico strumento di conoscenza e di indagine, di consultare tutte le delibere comunali, che sono ben raccolte presso il sito Internet del Dipartimento delle finanze. Ebbene, non esiste un database, per cui chiunque abbia fatto un esperimento facile da fare si imbatterà in 7.978 file, ciascuno con il suo PDF e ciascuno con il suo carattere. Occorre leggere ogni delibera perché non esiste un database in cui sia possibile fare una ricerca. Perché manca una norma: i comuni sono tenuti a inviare al Dipartimento delle finanze le delibere, così come le producono, e non vi sono delle griglie di informazioni comuni per tutti o di intelligibilità. Anche in questo caso, immaginate il costo solamente di recepimento delle informazioni che un'impresa multilocalizzata o qualsiasi contribuente è tenuto a pagare per poter acquisire questo tipo di informazione.
  Sono giunta alla fine delle relazione e al tema che riteniamo sia più importante: il settimo vizio, quello dello spregio sistematico di alcune previsioni dello statuto dei diritti del contribuente. Lo statuto dei diritti del contribuente è una legge Pag. 15ordinaria e, da 17 anni, conserva la sua capacità di raccogliere in un unico provvedimento, probabilmente, il miglior antidoto ai mali del nostro ordinamento fiscale. Credo che, se vi fosse un rispetto tassativo e puntuale di molte delle previsioni dello statuto dei diritti del contribuente, tutto ciò consentirebbe di generare quegli anticorpi e di debellare gradualmente la complessità e l'instabilità del sistema fiscale. Purtroppo, però, questa legge si è guadagnata il titolo poco ambito di legge più derogata d'Italia e potremmo dire, a volte, quasi ignorata, come tutte le volte in cui si introducono norme retroattive, cui ho fatto, per esempio, riferimento con riguardo, più recentemente, alla disposizione che modifica i termini sulla detrazione dell'IVA, o nuovi adempimenti senza gli opportuni spazi di adeguamento temporale oppure vi sono disposizioni normative oscure e rese scarsamente intellegibili dai richiami incrociati oppure tutte le volte che si introduce un uso non conforme degli strumenti legislativi, quali appunto l'uso costante e reiterato del decreto-legge in materia fiscale, o tutte le volte in cui si frappongono ostacoli alla completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in cui non si garantisca a tutti i contribuenti, anche quelli sforniti di conoscenza in materia tributaria, l'agevole comprensione di un modello.
  Siamo certi – e concludo – che semplificare il sistema fiscale sia uno dei temi cruciali per la crescita del Paese. Non v'è dubbio che, al pari della competizione sulle aliquote d'imposta, il grado di trasparenza di un sistema, la qualità della sua amministrazione finanziaria e la certezza e la prevedibilità nell'applicazione della legge siano elementi centrali per la localizzazione degli investimenti, la creazione di posti di lavoro e la produzione di reddito da parte delle imprese. Pag. 16
  Per noi, il miglior auspicio, in vista di ulteriori occasioni di confronto su questi temi, è che il cahier de doléances che oggi abbiamo esposto possa essere sensibilmente sfoltito o, se non altro, non contempli ancora a lungo le stesse criticità.
  C'è sempre spazio per nuove e incisive azioni di semplificazione, il che è nostro dovere, compito e impegno. La promessa che ci impegniamo qui a fare è che faremo del nostro meglio per analizzare e veicolare prontamente le esigenze e i suggerimenti delle imprese. Non vi è dubbio che una buona dose di entusiasmo ci potrà venire, se vedremo, almeno in parte, raccolti i frutti di un tale lavoro.
  Vi ringrazio per l'attenzione e sono ovviamente a vostra disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Non so se se ci sono integrazioni da parte dei suoi colleghi, ma, se non ce ne sono, vi ringrazio molto per il documento assai completo e complesso che ci avete trasmesso. Mi è piaciuto molto il riferimento ai sette vizi capitali, che noi riporteremo nel documento conclusivo, facendo una premessa: c'è un super vizio capitale nel nostro Paese per cui la disonestà fiscale non viene bollata come un comportamento gravemente lesivo dell'interesse generale, come avviene in altri Paesi con cui noi competiamo, quali gli Stati Uniti o la Germania, ma come una furbizia fisiologica e quasi una medaglia da appuntarsi al petto. Qui c'è una critica profonda al modo di essere cittadino nel nostro Paese, per cui la complessità è la risposta assurda di un Paese che ha perso la qualità della cittadinanza.
  La dimensione della nostra economia sommersa, come viene certificato dall'Istat, ci fa impallidire perché se l'Istat dice che c'è un 18 per cento di sommerso – e lo imputa solo all'economia irregolare, aggiungendo che ci sono due altre voci, l'economia informale, che sarebbe l'economia tollerabile degli interstizi e Pag. 17l'economia malavitosa – a quel 18 per cento, va aggiunto un 5 per cento di informale, che c'è negli altri Paesi che sono nostri competitori, specie quelli del nord e del centro di Europa, e un 5 per cento di economia malavitosa: viene così fuori un dato che si fa fatica anche a pronunciare. Se noi applichiamo un 28 per cento sul PIL, vengono fuori dei numeri che non si riescono neanche a contabilizzare. Questo avviene attraverso articolazioni quotidiane della vita di ognuno di noi, come con la richiesta «lo vuoi con la fattura o senza?», che è un comportamento che ci troviamo ad affrontare. Non faccio neanche l'elenco delle vessazioni in cui ci troviamo e che vengono da parte di altri nostri concittadini, i quali, approfittando del ruolo che svolgono in quel momento, rispetto a un bisogno che abbiamo, ci mettono in condizioni di assoluta debolezza, non avendo poi neppure la possibilità di utilizzare il vantaggio di poter detrarre, in tutto o in parte, questi documenti contabili. Questo è il contesto nel quale ci troviamo.
  Ovviamente, la risposta data dall'amministrazione è una risposta che condivido. Questi sette punti vanno tutti inseriti nel documento conclusivo, ma sia ben chiaro che ciò non risolve il problema, se, a monte, c'è un deficit di cittadinanza o culturale o un surplus di furbizia, che viene considerata un atteggiamento normale. Quest'atteggiamento non c'è solo a Napoli, ma è diffuso. Questo vale anche per l'impatto che ci può essere a Milano o a Torino, quindi non c'è nessuna volontà di individuare delle regioni o delle città del nostro Paese. Questa è la condizione con cui dobbiamo fare i conti.
  Che cosa viene fuori conclusivamente? C'è una battuta che qualche volta mi viene da fare: il convento (lo Stato) è certamente povero ed è alle prese con la necessità di tenere l'equilibrio nei conti del suo bilancio, ma molti frati del convento sono ricchi. Questa è una contraddizione evidente ed è chiaro Pag. 18che ci sono delle differenze abissali anche nel nostro Paese. Che ci siano dei frati ricchi è dimostrato dal fatto che la ricchezza immobiliare e finanziaria nel nostro Paese ha un multiplo del proprio PIL superiore a quello che c'è in Germania o in Francia, per cui è evidente che il sommerso produce una ricchezza che non si può nascondere. Lo dico perché, se compro una casa o un immobile o, comunque, ho delle attività di natura finanziaria, quelle ci sono ed esistono e non le possiamo togliere, quindi il contesto è oggettivamente quello descritto.
  Dopodiché, visti dal vostro versante, questi sette vizi capitali appaiono nella loro totale insopportabilità, però, se non ne abbiamo una visione generale, è difficilissimo il nostro compito. Come si vede chiaramente nell'ultima pagina, mettete sostanzialmente in ridicolo le contraddizioni dello statuto dei diritti del contribuente e avete perfettamente ragione a farlo perché si tratta dello stesso meccanismo delle grida manzoniane e non di una cosa diversa. Dentro quello statuto, c'è lo stesso meccanismo delle grida manzoniane. Il Manzoni descrive che c'erano delle leggi fatte con intenti espliciti di tagliagole, che, in realtà, il popolo considerava così come le descrive il Manzoni.

  FRANCESCA MARIOTTI, direttrice delle politiche fiscali della Confindustria. Innanzitutto, la ringrazio di questi spunti perché mi danno l'occasione anche per offrirne altri. La delega fiscale ha rappresentato un buon punto di partenza, anche per i temi che lei ha affrontato. Tant'è che la delega fiscale ha previsto la costituzione di una Commissione che elaborasse un'indagine annuale sull'economia sommersa e che stimasse la conseguente evasione, definendo anche una serie di criteri che la Commissione avrebbe dovuto seguire. In effetti, la relazione rilasciata alla fine del 2016 dalla Commissione presieduta dal professor Giovannini offre un quadro allarmante: infatti, è allarmante il tax gap attribuito a tutto il mondo del lavoro degli autonomi, Pag. 19quindi al mondo dei servizi. Si tratta di uno strumento essenziale che consegna una fotografia dell'esistente perché avere una buona consapevolezza dell'esistente dovrebbe aiutare a mettere in campo degli efficaci strumenti di contrasto. Fino a oggi, invece, abbiamo in qualche modo assistito alla mancata introduzione di tali strumenti di contrasto, come, per esempio, nel caso l'IVA, che ha una centralità nel mondo dell'evasione, essendo un'imposta centrale. Questi strumenti di contrasto all'evasione fiscale, come le nuove comunicazioni dei dati delle fatture e le nuove comunicazioni delle liquidazioni o le sette modifiche cui abbiamo fatto cenno, forse andrebbero introdotti, facendo una corretta analisi di impatto ex ante, ma anche una corretta analisi di impatto ex post.
  L'evasione è sostanzialmente il primo elemento di non concorrenza, quindi, oltre al disvalore sociale, anche vista dal lato meramente economico, è un fattore di concorrenza sleale abnorme, per cui l'analisi dell'efficacia e della tenuta di tutti gli strumenti messi in campo dovrebbe essere fatta sia ex ante che ex post, ma questo, purtroppo, nel nostro sistema manca. La nostra sembra essere un po’ una legislazione che rincorre i tempi e che non ha ben presente l'evoluzione che in campo economico le imprese stanno subendo. Lo dico perché il modo di fare impresa del 2007 non è quello di oggi, quindi anche la legislazione deve tenere il passo e deve essere adeguata.
  La Sua riflessione mi ha dato lo spunto per sottolinearlo, quindi La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Dobbiamo considerare, a proposito delle osservazioni che ci siamo scambiati, che l'Istat sino a pochi anni fa lo non considerava. Con il predecessore di Giovannini, nelle audizioni fatte a suo tempo, quando ero presidente della Commissione Attività produttive, insistevo molto per avere una fotografia reale della ricchezza del Paese perché, Pag. 20altrimenti, ci basiamo su una fotografia falsa. Quella parte veniva utilizzata solo per rettificare la portata del PIL in sede europea, ma non entravamo nel merito della dimensione degli effetti nazionali. Si tratta di una cosa che ci siamo portati dietro, per cui mi fa piacere che Giovannini se ne sia occupato con la sua Commissione. Il tema del contrasto a questa propensione all'evasione spesso viene contraddetto dalla tecnica condonistica, per cui, in realtà, dentro la testa della gente, c'è la convinzione che, alla fine, si trova una soluzione o un inghippo ed è difficile sconfiggere questa modalità. Poi, ci sono anche gli errori delle politiche fiscali: quando vedo che c'è l'esenzione indifferenziata della prima casa, mi viene un moto di rabbia perché è chiaro che questo vuol dire considerare in maniera uguale delle cose che sono totalmente diverse. Oppure il modo con cui facciamo fatica a entrare dentro strumenti di fotografia come l'ISEE, per esempio. L'ISEE è stato aggiornato recentemente e non vi dico qual era l'uso che dell'ISEE facevano i diversi comuni. Sono stato assessore al bilancio nel comune di Milano, dove c'erano due ISEE, uno per i vecchi e l'altro per i bambini. Sto parlando di Milano e non ho citato Catanzaro perché, altrimenti, poteva essere troppo semplice l'esempio. Per l'ISEE che abbiamo introdotto, è già venuta fuori una serie di discussioni su quello che deve essere detto e su quello che non deve essere scritto, come, per esempio, nel caso di uno che già riceve una pensione di invalidità. Scusate, ma io voglio una fotografia della ricchezza e della povertà. Ho fatto l'amministratore quando ero ragazzo e posso dire che c'era, negli anni Settanta, l'imposta di famiglia, ossia un'imposta unica che riassumeva il rapporto tra la famiglia e il comune di residenza. In quel caso, non scappava nessuno perché i comuni avevano una struttura che consentiva di fotografare esattamente la ricchezza e la povertà delle famiglie, quindi di sapere Pag. 21se uno aveva un invalido o dei bambini e degli anziani di cui si faceva carico. Per esempio, se uno aveva le mucche nella stalla, si andavano a contare quante erano e si immaginava quanto latte si poteva produrre. Oggi non posso togliere l'IMU in agricoltura perché considero allo stesso modo il boschetto che dà reddito zero e l'impianto della vigna di Barolo o di Sangiovese.
  Sulla concorrenza, lei ha perfettamente ragione: questo è un Paese che spesso fa a botte con la concorrenza perché, in realtà, la vede molto bene a carico degli altri, ma fa fatica a utilizzarla come un argomento che dovrebbe farci crescere e non indebolire. Si presuppone che, se c'è competizione, alla fine, ne dovremmo uscire più forti e soprattutto si dovrebbe realizzare una capacità di produrre delle cose che possano essere messe a confronto e verificate, senza raggirare il consumatore, in modo tale che tutte le cose paiano uguali. La mia era una constatazione per dire che avete fatto un lavoro importante. Non c'è dubbio che, per questa parte propositiva, non avete fatto un lavoro inutile perché la inseriremo nel documento conclusivo, quando, tra non molto, avremo finito le audizioni.
  Tuttavia, resta il contesto generale che chiama in causa tutti. Non voglio dire che la colpa è dell'artigiano o del tappezziere, però è evidente che si dovrà trovare una qualche soluzione. Il contrasto di interessi tra contribuenti deve essere allargato: siccome non siamo un popolo di santi, è evidente che dobbiamo metterci in condizione di essere in contrasto gli uni con gli altri sul tema fiscale. Se ci mettiamo d'accordo, quello che viene fregato è lo Stato: è un sillogismo. Due persone si possono accordare, dicendosi «ti faccio un prezzo più basso perché a te non serve pagare l'IVA che non ti arriva in tasca»: è chiarissimo il concetto di fondo. Pag. 22
  La ringrazio per le ulteriori precisazioni, anche se già il documento è stato importante. Credo che dobbiamo essere grati alla presidenza di Confindustria e alle sue strutture, che hanno dato, come sempre, un segno di grande professionalità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.10.