XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 28 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione del direttore dell'Agenzia del demanio, Roberto Reggi:
Causin Andrea , Presidente ... 3 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 3 ,
Castelli Laura (M5S)  ... 9 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 9 ,
Causin Andrea , Presidente ... 9 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 9 ,
Causin Andrea , Presidente ... 11 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 11 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 11 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 11 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 11 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 12 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 12 ,
Reggi Roberto , direttore dell'Agenzia del demanio ... 12 ,
Causin Andrea , Presidente ... 12 

(La seduta, sospesa alle 11.15, riprende alle 11.35) ... 12 

Audizione dell'assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano, Gabriele Rabaiotti:
Morassut Roberto , Presidente ... 12 ,
Rabaiotti Gabriele , assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano ... 12 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 19 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 19 ,
Gelmini Mariastella (FI-PdL)  ... 19 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 20 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 20 ,
Rabaiotti Gabriele , assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano ... 20 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 24 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 24 ,
Rabaiotti Gabriele , assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano ... 25 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 26

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore dell'Agenzia
del demanio, Roberto Reggi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'Agenzia del demanio, Roberto Reggi, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono, inoltre, presenti il direttore centrale legislativo e contenzioso, Anna Lilli, e la responsabile della comunicazione, Renza Malchiodi, che ringrazio per la loro presenza.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Reggi, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. Cercherò di rappresentare sinteticamente le risposte alle domande pervenute, partendo dalla prima, che riguarda il patrimonio immobiliare pubblico italiano, la qualità degli indirizzi generali, gli standard costruttivi e la relativa vetustà.
  Intanto occorre precisare che la proprietà degli immobili pubblici è in capo prevalentemente agli enti territoriali e, per buona parte, al Ministero della difesa, che ha ancora in uso parecchi beni strategici, e al Ministero dei beni culturali. Tutti i rimanenti beni sono gestiti dall'Agenzia del demanio, in particolare quelli in uso governativo della pubblica amministrazione centrale. L'Agenzia del demanio è all'interno di un sistema in cui il Mef, il Ministero dell'economia e delle finanziarie, è l'ente vigilante e collabora direttamente con Inail, Invimit e Cassa depositi e prestiti per quanto riguarda le attività di valorizzazione. Le valorizzazioni possono essere fatte direttamente con risorse Inail, quando si tratta di acquistare beni in uso governativo di proprietà dei privati oppure di sviluppare, grazie a una norma recente, immobili pubblici sempre destinati all'uso governativo. Possono essere fatte con Invimit per quanto riguarda lo sviluppo di fondi immobiliari diretti e indiretti che consentono di portare investimenti all'interno del perimetro pubblico su beni dello Stato o degli enti territoriali. Possono essere fatte poi con Cassa depositi e prestiti che, pur essendo al di fuori del perimetro pubblico, realizza interventi di valorizzazione su beni acquistati dall'Agenzia del demanio che vengono poi sviluppati e utilizzati per altri fini.
  I ministeri che vedete qui a fianco, in particolare il Ministero dello Sviluppo economico, collaborano con noi per quanto riguarda tutte le attività e gli interventi di efficientamento energetico. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti collabora con l'Agenzia per quanto riguarda gli interventi del Manutentore unico, cioè gli interventi Pag. 4di manutenzione ordinaria e straordinaria attraverso il Provveditorato alle opere pubbliche. Il Ministero dell'interno è il luogo dove giace buona parte dei beni gestiti dall'Agenzia del demanio, in particolare quelli delle forze dell'ordine. Infine, il Ministro dell'ambiente collabora con noi per tutti gli interventi di tutela e di investimento per quanto riguarda le attività ambientali.
  Le attività relative agli immobili gestiti dall'Agenzia del demanio, come ho detto prima, sono una quota parte dell'intero patrimonio pubblico. Si tratta di 44.623 beni al 31 dicembre 2016, per un valore di circa 60 miliardi di euro, suddivisi nel modo che descriverò.
  L'84 per cento in valore è rappresentato dai beni in uso governativo, ossia in uso ai ministeri e a tutte le articolazioni territoriali dei ministeri e della pubblica amministrazione centrale; si tratta di 21.942 beni, con un valore medio di circa 2,30 milioni di euro, quindi beni di una determinata consistenza e rilevanza. Vi è poi un 12 per cento rappresentato dal demanio storico-artistico e dall'altro patrimonio indisponibile, che è rappresentato dai musei, dalle biblioteche, dai palazzi storici, ma anche da quei beni che sono invendibili e indisponibili, come i fari costieri, che svolgono ancora la loro funzione di segnalamento, o come le miniere, che non possono essere vendute, ma solo date in concessione. Qui parliamo di 6.418 beni, per un valore complessivo di 7,2 miliardi di euro, con un valore medio di circa 1,1 milioni di euro ciascuno. Anche questi sono beni di una determinata consistenza. C'è poi un 4 per cento, per un valore di circa 2,3 miliardi di euro, di patrimonio disponibile, cioè non più strategico per la pubblica amministrazione centrale, che quindi può essere venduto o trasferito ad altri soggetti attraverso, per esempio, il federalismo demaniale, che offre la possibilità di trasferire i beni da un livello all'altro di governo. Sono moltissimi beni, 16.263, un terzo del totale, ma con un valore unitario molto basso, di 140.000 euro, a testimonianza del fatto che sono beni molto parcellizzati e distribuiti su tutto il territorio. Parliamo anche di reliquati, di pezzi di strada, di sedimi ferroviari su cui si possono realizzare piste ciclabili, fino ad arrivare ad aree agricole anche di piccola e media dimensione, o a piccoli fabbricati non più strategici per la pubblica amministrazione centrale. Si tratta di un patrimonio edificato prevalentemente in epoca successiva al 1900, con una particolare concentrazione tra il secondo dopoguerra e i primi anni Novanta, quindi nel periodo peggiore dal punto di vista delle modalità di costruzione e dei materiali utilizzati, come le scuole. Diversa è la situazione del patrimonio in uso governativo, che, essendo prevalentemente destinato a ufficio, è oggetto di periodici interventi manutentivi. Abbiamo visto che ha un valore più consistente. Lo stato manutentivo dei beni appartenenti al patrimonio disponibile è quello che presenta le maggiori criticità, sia per la tipologia variegata di beni, sia per la vetustà e difficoltà di riutilizzo.
  Come si è evoluto questo patrimonio negli ultimi anni? Lo vedete da questo grafico. Qui ci sono le consistenze, cioè i numeri di beni che, come vedete, stanno diminuendo progressivamente. Negli ultimi due anni in particolare abbiamo dato un'accelerazione forte alla diminuzione in numero di beni poco pregiati, beni non strategici, soprattutto attraverso il federalismo demaniale. Parallelamente, c'è un incremento di valore conseguente alle operazioni di razionalizzazione che concentrano nei beni più prestigiosi e di valore maggiore tutte le occupazioni di uso governativo. Attraverso le nuove costruzioni, i trasferimenti dal Ministero della difesa dei beni non strategici, le sdemanializzazioni, i beni confiscati per reati tributari, l'eredità e le donazioni e l'acquisizione per debiti di imposta, che sono per legge di competenza dell'Agenzia, abbiamo delle assunzioni in consistenza che ci fanno crescere in valore. La diminuzione è data appunto dal federalismo demaniale e da altri trasferimenti che possono essere verso le università, verso l'edilizia residenziale pubblica, oppure attraverso le vendite che continuiamo a fare ogni anno sia di natura ordinaria, sia di natura straordinaria. Pag. 5
  Nella prossima slide vedete com'è dislocata nell'ultimo anno la variazione della consistenza numerica, del valore complessivo e del valore unitario. Dove c'è il blu sulle consistenze ci sono le diminuzioni maggiori. Ciò vuol dire che il federalismo demaniale ha avuto più effetto, prevalentemente. Il valore è aumentato nelle zone rosse. È lì che ci sono state le assunzioni in consistenza più rilevanti, che hanno dato origine a un valore unitario maggiore come trend nell'ultimo anno in queste regioni segnate in rosso. L'atto di indirizzo triennale 2017-2019 del Ministro Padoan, ci ha affidato il compito di coordinare un piano di riqualificazione sismica ed energetica del patrimonio dello Stato in uso alla pubblica amministrazione, che stiamo elaborando: stiamo parlando di oltre 34 milioni di metri quadri di superficie. Ci stiamo organizzando per attivare il piano di riqualificazione sismica ed energetica a partire dalle zone rosse, quelle più a rischio sismico per conseguire questi obiettivi. Intanto la diagnosi sismica sarà abbinata a quella energetica. Sarà fatta, in particolare, sulle priorità che ho detto prima, per arrivare agli interventi per la messa in sicurezza sismica degli immobili e, conseguentemente, alle diagnosi per ridurre la bolletta energetica di circa un terzo rispetto al totale – oggi spendiamo ancora circa 1,1 miliardi di euro in bolletta energetica, tra consumi di energia elettrica e consumi di combustibile – nonché per avere una maggior conoscenza di consistenze e qualità del costruito, che, rispetto a quello che vi ho detto prima, non è completamente conosciuto su tutti gli immobili gestiti, o comunque c'è una conoscenza che si può migliorare molto.
  Il secondo quesito riguarda la distribuzione del patrimonio immobiliare pubblico sul territorio nazionale con particolare riguardo alle aree periferiche delle 14 città metropolitane. Sempre in riferimento al patrimonio pubblico gestito dall'Agenzia del demanio abbiamo la seguente distribuzione nelle città metropolitane: il numero dei beni è il 29 per cento del totale, distribuito sulle aree metropolitane, ma rappresenta in valore il 62 per cento, ossia una buona parte dei 60 miliardi complessivi. Come è distribuito? Vi mostro alcune città. La città metropolitana di Bari ha la distribuzione che vedete nella slide. Il totale della distribuzione degli immobili statali è distribuito nel modo che vedete. Qui abbiamo il totale degli immobili in uso governativo. Sono la quasi totalità, tranne alcuni, che sono sostanzialmente quelli di patrimonio disponibile. Trovate su ogni città metropolitana la distribuzione, il numero di fabbricati, il totale dei beni e il totale dei valori. Se non volete soffermarvi su qualcuna in particolare, scorrerei rapidamente, lasciando eventualmente alle domande ulteriori approfondimenti. Troviamo Bologna, Cagliari, Catania, Firenze Genova e Messina – come vedete, la distribuzione è sempre più o meno analoga e quasi tutti sono in uso governativo. Ci sono anche le caserme, ma ci sono anche le sedi dell'Agenzia delle entrate, del Ministero dell'interno, di Polizia e Carabinieri. La stessa cosa vale per Milano. Anche Milano ha un numero di beni in uso governativo piuttosto consistente. Passiamo a Napoli, Palermo e Reggio Calabria. Reggio Calabria ha una distribuzione di beni di patrimonio disponibile più numerosa rispetto alle altre situazioni. A Roma è concentrato circa un terzo di tutto il patrimonio gestito dall'Agenzia del demanio. Poi vedete Torino e Venezia.
  Un altro quesito riguarda le possibili modalità di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e la contestuale messa in sicurezza, la recente esperienza dell'Agenzia del demanio per la riqualificazione degli edifici demaniali destinati a ospitare i primi 34 federal building e l'esposizione delle modalità con cui è avvenuta la riqualificazione e dei criteri seguiti. Quali obiettivi ci proponiamo, quando progettiamo i federal building? Il contenimento della spesa pubblica, la razionalizzazione degli spazi, la rifunzionalizzazione di patrimonio pubblico non utilizzato, il servizio più efficiente alla comunità e quindi ai cittadini, e il benessere del personale. Normalmente rifunzionalizziamo beni prevalentemente abbandonati, come le vecchie caserme. Occupiamo tutti gli spazi, rilasciando locazioni passive, con contenimento Pag. 6 della spesa pubblica, e ottemperiamo all'obbligo di legge di mantenere lo spazio sotto i 25 metri quadri per addetto. Razionalizziamo gli spazi e diamo un servizio più efficiente alla comunità, perché concentriamo tutte le funzioni pubbliche in uno stesso ambiente, e diamo benessere al personale, che in un bene rifunzionalizzato, efficientato e migliorato dal punto di vista tecnico può lavorare meglio.
  Con riguardo ai requisiti dell'operazione per realizzare i federal building, è necessario che sia soddisfatta una serie di requisiti. Innanzitutto è necessario che la sede sia di proprietà pubblica – lavoriamo sulle sedi di nostra proprietà – che ci sia la copertura economica dell'operazione, che ci siano le condizioni tecniche favorevoli per l'intervento e che ci sia la convenienza economica dell'operazione ovvero il risparmio della spesa.
  Vediamo quali progetti abbiamo già in corso di realizzazione e di progettazione in parecchie città del Paese. Sono nove i progetti in corso in avvio, per un investimento di 340 milioni di euro, undici in progettazione, per un investimento da 383 milioni, e quattordici «cittadelle della giustizia» in progettazione, per circa 400 milioni nelle città che vedete, con una distribuzione omogenea nel Paese. Non ci sono concentrazioni in una parte del Paese, ma in tutte le città capoluogo di regione e anche in altre stiamo sviluppando progetti di questo tipo, per un investimento di circa 1,5 miliardi di euro, in parte già finanziati, in particolare con finanziamenti della Ragioneria dello Stato, quindi direttamente dello Stato, per il 45 per cento e con altri finanziamenti attraverso le norme Inail per il 55 per cento per le razionalizzazioni. Per i federal building la distribuzione è questa. La recente finanziaria ci ha consentito di avere una disponibilità molto rilevante di risorse Inail. In sostanza, questa norma ne ha corretto una esistente che consentiva già all'Inail di acquistare beni in uso governativo di proprietà di privati. Con quegli acquisti Inail riporta all'interno del perimetro pubblico beni in uso governativo, di fatto interrompendo la locazione passiva. Con questa norma la possibilità di Inail è di acquistare anche beni pubblici per rifunzionalizzarli e ottenere lo stesso obiettivo di uso governativo, sviluppando un prodotto di proprietà pubblica. Questo ci consente di avere un ammontare di risorse molto rilevante, che per i prossimi 3-4 anni potremmo sviluppare per questo importo complessivo. Grazie a questo investimento potremmo continuare a ridurre la spesa pubblica come stiamo facendo da qualche anno. Queste sono le spese in locazioni passive che lo Stato sostiene per la pubblica amministrazione centrale: siamo partiti da 936 milioni nel 2012 e nel 2016 abbiamo chiuso a 876. Questo è il programma di riduzione in seguito allo sviluppo dei federal building. Ci sarà un risparmio di spesa dal 2014 al 2022, quando avremo completato questi interventi di rifunzionalizzazione complessi, stimato in circa 200 milioni l'anno rispetto ai circa 900 iniziali.
  Tenete presente che una quota di questa spesa è inattaccabile, perché rappresenta la spesa per le piccole caserme di Carabinieri e di Polizia che sono, per motivi di sicurezza, dislocate in tutto il territorio nazionale anche in luoghi piuttosto piccoli dal punto di vista della dislocazione come comuni. Non abbiamo in quei luoghi beni pubblici, ragion per cui saremo sempre costretti ad avere un canone passivo per garantire la sicurezza diffusa. Pertanto, c'è una quota di circa 300 milioni di euro di questi circa 900 che non potrà essere ridotta, se non in seguito a rinegoziazione coi privati, mentre tutte le altre spese sì, in particolare quella che stiamo attaccando noi.
  Quello che vedete qui sotto rappresenta un'eredità di tanti anni fa, quando lo Stato vendette parte del patrimonio in uso governativo per abbattere il debito pubblico, un'operazione che in quegli anni fu utile per abbattere il debito, ma che ci costa ogni anno, per 18 anni, un canone attorno ai 300 milioni di euro. Non è stato un grande affare per lo Stato, ma per chi li ha comprati di sicuro. L'abbattimento del debito di allora fu di circa 3-4 miliardi circa e noi paghiamo circa 300 milioni l'anno per 18 anni. Dico questo perché spesso si parla di Pag. 7utilizzare il patrimonio pubblico per abbattere il debito. Ci abbiamo già provato e questo è l'effetto. Avendo patrimonio pubblico della pubblica amministrazione centrale praticamente tutto in uso governativo, l'effetto è evidentemente questo.
  Questi sono i 9 federal building in corso e in avvio. Li vedete tutti. Vedete le città e l'operazione. Ad Aosta, per esempio, l'ex palazzo del Governo e caserma Mottino è già praticamente completato, con un intervento da 8 milioni di euro. Chieti ha il federal building che le consentirà di essere la prima città in Italia ad avere locazioni passive zero, perché concentreremo nell'ex caserma Berardi, attualmente abbandonata, tutte le locazioni passive della città, risparmiando oltre 2,1 milioni di euro l'anno di locazioni. Anche a Firenze la caserma De Laugier diventerà la sede di tutta la Polizia di Stato della città. L'operazione è in corso e terminerà quest'anno. A Roma abbiamo tre interventi su viale America, viale Boston e viale Trastevere, la sede del MEF, e a piazza Mastai, via Carucci e via Salaria, dove c'è la Guardia di finanza. A Milano la caserma Montello e la Santa Barbara consentiranno, tra l'altro, di realizzare un campus all'Università Cattolica nella caserma Garibaldi, con un investimento significativo, e così anche la caserma Lucania a Potenza. Queste sono tutti i federal building in fase di progettazione a cura dell'Agenzia del demanio. Queste sono le quattordici «Cittadelle della giustizia» in fase di progettazione in tutte le parti d'Italia.
  Passo al quesito su demolizione e ricostruzione, legislazione vincolistica, leggi urbanistiche e modalità di calcolo degli oneri concessori. Un po’ tutte le regioni e ormai anche buona parte dei comuni si stanno orientando a politiche di rigenerazione urbana senza consumo di suolo e con volume zero. Questa scelta determina il riuso massiccio e diffuso dei beni pubblici non utilizzati o comunque non pienamente utilizzati. Vi faccio vedere solo alcuni esempi di riusi significativi. Una piccola città come Pavia ha un grandissimo ex arsenale nel centro storico, che stiamo riutilizzando per fare il polo regionale degli archivi del MiBAC e della regione Lombardia. Anche dal punto di vista della razionalizzazione i poli regionali sono concentrati in questi tipi di immobili. L'ex ergastolo dell'isola di Santo Stefano a Ventotene diventerà una sede di alta formazione, con un recupero che abbiamo già avviato a cura dell'Agenzia del demanio. Questo è un altro esempio, relativo all'Università degli studi Statale di Milano, che, se confermerà il trasferimento di Expo, lascerà libera quest'area alla Città studi, che dovrà essere completamente riutilizzata e riusata. Vi ho fornito tre esempi di come comparti anche molto rilevanti richiedano progettazioni consistenti per valorizzarli e utilizzarli. Un altro esempio di utilizzo di discipline regionali e comunali urbanistiche è la caserma Guido Reni a Roma. È stata acquistata da Cassa depositi e prestiti. L'abbiamo venduta noi dell'Agenzia del demanio e loro la stanno sviluppando, prevedendo di edificare 72.000 metri quadri di edifici pubblici e privati, in coerenza con i vincoli della Sovrintendenza, prevedendo la costruzione di abitazioni di edilizia sociale e corrispondendo al comune il contributo straordinario di urbanizzazione, che è il 66 per cento del valore aggiunto. Solo Roma Capitale ha questo valore così elevato. Normalmente gli altri comuni hanno numeri molto più bassi.
  Il quadro normativo di riferimento è quello che vi ho sintetizzato in questa slide, in particolare il DPR 6 giugno 2001 n. 380, che riguarda il testo unico delle disposizioni in materia di edilizia (contributo per il rilascio del permesso a costruire e riduzione o esonero del contributo di costruzione). Poi c'è lo «Sblocca Italia», con una serie di norme che riguardano la rigenerazione edilizia. Infine, è in discussione il disegno di legge n. 2039 «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», con l'obiettivo stabilito dall'Unione europea di azzerare il consumo di suolo entro il 2050.
  L'ultimo quesito è su un possibile piano per il recupero urbanistico e la riqualificazione delle aree periferiche delle città metropolitane alle quali il demanio pubblico possa contribuire con un ruolo di primo piano. L'Agenzia del demanio è impegnata Pag. 8 direttamente in due piani del Governo, il piano aree urbane degradate, che è un progetto con un fondo istituito per gli anni 2015-2017. I comuni che hanno elaborato i progetti di riqualificazione hanno già consegnato questi progetti. La Commissione sta lavorando. C'è un comitato, a cui l'Agenzia del demanio partecipa, che ha sinora proceduto all'accertamento della completezza delle domande presentate dai comuni e alla verifica di tutti i documenti dei requisiti di ammissibilità richiesti. Degli 870 comuni ne sono rimasti 442. In questo momento sono in corso le valutazioni da parte del comitato dei progetti relativi nel contenuto. Si tratta di un lavoro molto lungo. Il bando era molto complicato ed è stato anche ridotto l'importo a disposizione.
  Poi c'è il Programma periferie, in cui i comuni hanno presentato progetti anche molto complessi, di ambito vario, immobili di proprietà propria e dello Stato. Per farvi alcuni esempi, negli interventi ammissibili a finanziamento dei primi 24 finanziati 5 hanno beni di proprietà dello Stato all'interno dei comuni di Vicenza, Torino, Mantova, Roma e Cagliari. Addirittura Torino ha 16 immobili dello Stato. In questi 5 progetti sono coinvolti 21 immobili dello Stato, a testimonianza del fatto che il nostro lavoro di relazione continua con gli enti locali produce una collaborazione che si concretizza anche nel richiedere finanziamenti su beni di reciproca proprietà. Lo facciamo noi per loro e lo fanno loro per noi. Anche gli altri progetti in graduatoria coinvolgono 12 comuni che hanno presentato progetti con 20 beni dello Stato, che sono tutti elencati, per un finanziamento complessivo richiesto di oltre 168 milioni di euro. Questo è un esempio del Programma periferie: l'ex caserma Fantuzzi di Belluno, che sarà il federal building della pubblica sicurezza, perché confluiranno in questa caserma, totalmente abbandonata, tutte le locazioni passive in rosso di Polizia di Stato, prefettura, pretura, Corpo forestale dello Stato. Quelli in verde sono beni dello Stato che vengono rilasciati e valorizzati a parte. Questi in violetto sono beni dei comuni e degli enti territoriali.
  C'è un intervento che vale al lordo degli affidamenti. Immaginate un abbattimento di circa un terzo del valore nel momento in cui gli affidamenti vengono completati, quindi 30 milioni che devono essere finanziati tutti all'inizio, che diventeranno probabilmente 20 per finanziare un intervento che consentirà un risparmio non tanto alto, anzi, piuttosto basso, perché siamo in un luogo dove gli affitti sono bassi. Quindi, il margine di recupero della risorsa spesa in locazione passiva è ridotto, mentre è molto più alto sulle città dove ci sono effetti alti. Comunque, ci sarà la rifunzionalizzazione di un bene abbandonato, con un efficientamento di tutti questi interventi.
  Infine, tutto quello che vi ho raccontato lo potete vedere direttamente via web. Vi faccio vedere soltanto una cosa, perché così vi potete rendere conto della potenzialità. Questo è il sito dell'Agenzia del demanio. Se premete il banner OpenDemanio, entrate in un ambiente che vi consente di vedere tutti i fabbricati dello Stato georeferenziati, i cantieri in corso e le razionalizzazioni di federal building progettate. Vi mostro solo un esempio. Questi sono tutti gli immobili dello Stato gestiti. Andiamo a vederne uno qui a Roma, per vedere la potenzialità dello strumento. Ampliando, a mano a mano si va nel dettaglio. Andiamo, per esempio, a vedere il nostro ente vigilante. Questo è il MEF, uno degli edifici pubblici più grandi d'Europa. Il sito vi fornisce le informazioni di base del Ministero dell'agricoltura e foreste, la via, il patrimonio indisponibile in uso alla pubblica amministrazione e i metri quadri. I dati aggiornati del dicembre 2016 portano 138 cantieri in corso. Per esempio, andiamo a vedere un cantiere importante a Sassari, il carcere di San Sebastiano, con i lavori di restauro e risanamento conservativo dell'ex carcere finalizzati al recupero integrale dell'immobile da adibire alle nuove funzioni degli uffici giudiziari. Siamo nella fase in avvio e spenderemo 12 milioni di euro. Il collaudo è previsto nel giugno 2021. Questo lo potete vedere per tutti gli interventi, come per i federal building. Potete vedere anche le singole schede. Sull'OpenDemanio potete vedere le immagini in Google Pag. 9 View, come vedete qui tutti gli immobili. Ne potete vedere lo stato di manutenzione, oltre tutti gli interventi che vi ho raccontato prima.

  LAURA CASTELLI. Grazie per questa approfonditissima relazione. Volevo chiedere due cose. L'abusivismo edilizio è un tema che molto spesso si collega alle periferie, ma anche alla responsabilità di uno Stato che dovrebbe provare a fare delle cose: su questo fronte sono moltissime le sentenze di demolizione inevase. Ci chiedevamo se fosse possibile provare a pensare di mettere a disposizione, visto che mi sembra di aver capito che ci sono immobili inutilizzati, gli immobili del demanio per fare quell'attività che spesso viene complicata. Penso a casi di famiglie che avrebbero problemi a svolgere una demolizione. Il numero delle sentenze inevase è veramente altissimo. Forse insieme, soprattutto per quelle zone in cui l'abusivismo va a braccetto con le periferie, potrebbe essere un lavoro che ci sentiamo di proporvi e in merito al quale ci sentiamo di chiedervi se sareste interessati.
  Il secondo punto riguarda le finalità e la razionalizzazione di queste risorse. Chi decide o attraverso quali strumenti possiamo decidere meglio insieme la finalità di un immobile del demanio? Mi spiego. C'è una parte chiaramente politica, nella quale penso che voi non entriate, che fa riferimento al fatto che è giusto che ci siano 100 direzioni distaccate di un dipartimento in giro per l'Italia. Ci sono però zone le cui popolazioni avrebbero necessità di aree e strutture per provare a svolgere attività a volte risolutive in aree periferiche. Vorrei sapere da lei se è possibile capire qual è il bottone da spingere per ridefinire finalità e razionalizzazione di queste aree.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Prima di tutto, mi interessava capire, considerato il dibattito che si è prodotto quando è iniziato il percorso del federalismo demaniale, che ho visto già che ha funzionato, se, secondo lei, potrebbe funzionare meglio. Si è arenato perché di fatto i comuni si trovano in una difficoltà di investimenti o altro?
  Il secondo tema è una curiosità. Nel riordino di chi fa che cosa, che in Italia è il tema dei temi, una delle questioni del passato – non c'entra nulla con le periferie, ma c'entra con il riordino delle risorse – riguarda le prefetture. Esse sono solitamente patrimoni delle province, con entrate ridicole dal punto di vista del valore di mercato degli edifici. Si era valutata la possibilità che questi patrimoni passassero all'Agenzia del demanio per liberare anche dai costi che spesso le province o le città metropolitane sostengono. Mi interessava capire su questo argomento se ci sia un fascicolo aperto di discussione.
  Un'altra questione riguarda le caserme dei Carabinieri. Il tema periferie e sicurezza non va messo mai insieme, ma poi in realtà sta insieme. Nel tempo, visto che lei ha fatto il sindaco lo sa, le caserme venivano aperte quando i comuni investivano sulle caserme. Poi c'è stata tutta la stagione dei bandi fatti con l'affitto e con il project financing. Esiste un problema ancora, però, di non chiarezza anche rispetto allo sviluppo delle caserme dei Carabinieri. Ho avuto occasione di parlare con i sindaci di alcune città e della città metropolitana di Milano, che hanno problemi di cantieri aperti. Per aprire un ufficio postale in Italia nel passato – non so come sia l'attuale presente – o una caserma dei Carabinieri o della Polizia di Stato i comuni dovevano dissanguarsi: sarebbe molto interessante, in un riordino di competenze, ma anche di giuste responsabilità di funzioni e di costi per le funzioni, capire se questo sia un altro fascicolo aperto.

  PRESIDENTE. Se non c'è nessun altro, pongo una domanda veloce anch'io, che riguarda il tema che ha toccato dei presìdi delle forze dell'ordine, in modo particolare nelle zone periferiche del Sud. Con riguardo ai beni confiscati alla criminalità organizzata volevo capire se ci sia un'attività dell'Agenzia del demanio di acquisizione e di ammodernamento.

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. Il federalismo demaniale ha dato un esito molto positivo. In particolare Pag. 10negli ultimi due anni abbiamo trasferito a oltre 1.200 comuni nel totale degli 8.000, oltre 4.000 beni, per un controvalore di circa 1,5 miliardi. Tenete presente che a ogni bene trasferito gratuitamente è associato un progetto di valorizzazione più o meno complesso.
  È chiaro che, se il trasferimento riguarda un reliquato stradale, al comune serve solo per completare una strada, ma abbiamo anche trasferito, per esempio, Palazzo Madama alla città di Torino, che si è impegnata a fare un programma di investimenti di svariati milioni di euro per i prossimi anni. Questa è un'operazione straordinariamente positiva, a mio avviso, ma ad avviso anche delle amministrazioni comunali, che hanno sfruttato la riapertura dei termini, richiedendo ulteriori 2.000 immobili, che lavoreremo nel corso del 2017. Sono anche in quel caso circa un migliaio di comuni quelli che hanno richiesto questi beni. C'è una determinata attenzione da parte delle amministrazioni comunali ad acquisire i beni, perché noi richiediamo sempre progetti di valorizzazione e quindi impegni almeno dal punto di vista della manutenzione ordinaria e straordinaria. Il bene viene proprio trasferito con un rogito, che viene però verificato dopo tre anni: se il progetto di valorizzazione non è avviato, il bene ritorna di proprietà dello Stato. Abbiamo cominciato adesso a fare un monitoraggio attento, ma credo che sia stata una bellissima operazione, che ha consentito allo Stato di riutilizzare beni che non erano più strategici al servizio delle comunità locali e di vendere anche beni che lo Stato non sarebbe mai riuscito a vendere, piccoli fabbricati in montagna che da Roma è quasi impossibile vendere, mentre il sindaco del comune magari riesce, con tutte le sue conoscenze, a piazzarlo. A quel punto, si porta un introito relativo al 75 per cento del valore, mentre il 25 per cento va allo Stato. Si tratta di un'operazione molto positiva.
  Per quanto riguarda le prefetture e le caserme dei Carabinieri, Invimit, uno dei soggetti che vi ho rappresentato all'inizio, ha proprio il compito di costituire fondi immobiliari destinati alla valorizzazione di beni dello Stato. In particolare, ha costituito il fondo denominato Patrimonio Italia, in cui è stato fatto confluire un determinato numero di prefetture e di caserme dei Carabinieri e dei Vigili del fuoco che avevano la necessità di essere rifunzionalizzate e messe in sicurezza. Invimit acquista questi beni proprio pagando il valore: quindi il bene viene conferito nel fondo. Il fondo fa lo sviluppo, cioè fa la manutenzione ordinaria e straordinaria del bene. Il fondo è partito l'anno scorso a inizio del 2016 e ha già acquisito oltre 200 milioni di beni in valore, ma sta continuando. Nel primo anno si è concentrato sui beni di proprietà delle province e quest'anno andrà a interessare beni sempre in uso al Ministero dell'interno di proprietà dei comuni. Il fondo Patrimonio Italia si arricchirà di beni di proprietà dei comuni sempre con queste finalità, prefetture, Polizia di Stato e Carabinieri.
  Sulla possibilità di utilizzare i beni disponibili non più strategici per lo Stato per finalità sociali o comunque pubbliche o anche imprenditoriali esiste una grande opportunità portata dallo «Sblocca Italia», in particolare all'articolo 26, che consente a chiunque, al singolo cittadino, all'associazione, all'imprenditore e all'amministrazione locale, di richiedere un bene dello Stato non utilizzato, cioè disponibile, con finalità di edilizia residenziale pubblica, per contrastare l'emergenza abitativa. Laddove l'emergenza abitativa ha già trovato altre soluzioni, il bene può essere utilizzato anche per altre finalità. Si tratta di un potentissimo strumento, molto semplice come applicazione, perché è sufficiente che il singolo cittadino, l'associazione o l'imprenditore si rivolgano al sindaco del comune di appartenenza o su cui insiste il bene dello Stato e convinca il sindaco che quella è un'operazione da fare. Il sindaco scrive all'Agenzia del demanio una semplice lettera in carta libera, indicando solamente la finalità del bene. L'Agenzia del demanio deve rispondere entro 30 giorni e può rispondere negativamente solo se su quel bene c'è già un progetto finanziato, altrimenti dà il via a una procedura che, una volta superate le formalità di acquisizioni Pag. 11 documentali, si deve concludere in 90 giorni con un accordo di programma che fa variante urbanistica, con 90 giorni di termine e un mese per la ratifica in consiglio comunale. In quattro mesi questo consente all'amministrazione comunale di acquisire il bene. L'amministrazione comunale deve fare poi un bando a evidenza pubblica per finalizzarlo al progetto che ha condiviso con il privato o direttamente costruito. Anche l'articolo 24 dello «Sblocca Italia» consente di fare le stesse cose con i beni dei comuni. Un bene non utilizzato del comune può essere richiesto da un'associazione con l'articolo 24. Anche il contrasto all'emergenza abitativa, che è la finalità principale, può essere fatto con beni disponibili dello Stato. L'abusivismo edilizio chiaramente non è una competenza nostra, ma possiamo mettere a disposizione beni per contrastare l'emergenza abitativa. Sull'abusivismo edilizio, normalmente quando abbiamo un bene di proprietà dello Stato in cui ci sono degli abusi, insieme ai comuni che hanno la titolarità interveniamo e cerchiamo di risolvere il problema. L'ultimo caso che abbiamo risolto è con il comune di Napoli sulla collina di Pizzofalcone. Abbiamo fatto una permuta di un immobile occupato da cittadini che, grazie alla titolarità che hanno i comuni abbiamo permutato al comune di Napoli, che ha così avuto modo di agire direttamente sull'immobile. Cerchiamo di fare in situazioni analoghe delle permute, acquisendo beni di interesse dello Stato e restituendo in cambio beni di eguale valore ai comuni, che poi riescono a fare la gestione di questi abusi eventuali. Naturalmente, l'abusivismo lo contrastiamo in tutti i modi. La dottoressa Lilli è responsabile dell'ufficio che si occupa anche di queste vicende. Facciamo un'azione capillare molto attenta.
  Infine, sui beni confiscati, sapete che esiste un'Agenzia dedicata ai beni confiscati, che, una volta acquisito il bene, se non lo utilizza direttamente, chiede a noi se abbiamo un uso governativo da proporre. La prima scelta è l'uso governativo, per esempio la caserma dei Carabinieri. L'ultima che stiamo completando – ve la illustro perché è abbastanza efficace come esempio – a Rosarno è una casa confiscata a un boss della zona che si è fatto tatuare la fiamma simbolo dei Carabinieri sotto il piede destro per poterla calpestare a ogni passo: è la verità. In questo immobile stiamo realizzando la sede dei Carabinieri di Rosarno. Siamo a buon punto e la inaugureremo a breve.
  Questo per dire che i beni confiscati hanno un uso a volte anche simbolico, oltre che utile per la comunità. Qualora non fosse di nostro interesse per l'uso governativo, la seconda scelta è a favore degli enti locali, che decidono se utilizzarlo oppure no. Infine, qualora anche l'amministrazione locale non prevedesse di utilizzarlo, si va verso la vendita come ultima funzione.

  PRESIDENTE. C'è un'ultima questione. Avete conoscenza di beni demaniali occupati abusivamente in aree periferiche e, se sì, come vengono trattati questi casi?

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. In realtà, come avete visto, le occupazioni sono tutte in usi governativi e comunque funzioni pubbliche. Abbiamo pochissimi beni occupati da famiglie che comunque pagano il canone regolarmente. Qualora non lo pagassero, verrebbero perseguite in tutti i modi. Abbiamo una serie di interventi che progressivamente arrivano allo sfratto. Dicevo prima che nei trasferimenti passiamo spesso ai comuni questi immobili rimasti ancora in gestione all'Agenzia del demanio, come beni che possono essere usati per l'edilizia residenziale pubblica, in modo che li possano gestire direttamente loro, avendo la titolarità legislativa.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. A questo punto ci vuole una legge per dire che trasferiamo tutte le caserme di proprietà dei comuni al demanio con riguardo a quelle di Carabinieri e Polizia di Stato.

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. No, diciamo che, in realtà...

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Però avrebbe una logica.

Pag. 12

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. Diciamo che quelli sono soldi «gialli», perché è tutto all'interno dell'ambito pubblico. Quando lo Stato paga un affitto a una caserma dei carabinieri di proprietà di un comune, è comunque all'interno del perimetro pubblico, no?

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. A Cinisello Balsamo, la mia città, per un prezzo di mercato che poteva essere – avevamo fatto un'operazione – sui 150.000 euro all'anno di affitto poi lo Stato ne paga 40.000, quando paga.

  ROBERTO REGGI, direttore dell'Agenzia del demanio. Il «quando paga» non va bene. La dottoressa Lilli dice «e viceversa». Se i comuni utilizzano un bene dello Stato, se pagano, pagano canoni ridotti. La legge lo stabilisce. Cerchiamo sempre di lavorare in modo da fare permute in questi casi, per regolarizzare ed evitare i pagamenti, i flussi di denaro. Questa è un'operazione che stiamo facendo massicciamente sul territorio per evitare questi pagamenti, che hanno poco senso, per la verità.

  PRESIDENTE. Se non c'è altro, vi ringraziamo per l'esposizione e soprattutto per aver fornito un documento che ha risposto anche in modo esauriente alla griglia di domande che avevamo posto. Non capita spesso in Commissione. Grazie anche per il metodo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 11.15, riprende alle 11.35.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROBERTO MORASSUT

Audizione dell'assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano, Gabriele Rabaiotti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano, Gabriele Rabaiotti, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Sono inoltre presenti il direttore di area pianificazione urbanistica generale, Simona Collarini, e il direttore di direzione periferie, Francesco Tarricone, che ringrazio per la loro presenza.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, gli interventi dei componenti della Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Rabaiotti, con riserva per me per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GABRIELE RABAIOTTI, assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano. Abbiamo affidato a qualche collega la copia del documento che avete già avuto, quindi proverò a seguire in modo puntuale le note che dovrebbero in qualche misura rispondere o comunque approssimare alcune risposte rispetto a quanto ci è stato consegnato come richiesta e come questioni aperte nel lavoro che state affrontando sulla vicenda sicurezza, degrado delle città e delle periferie. Sulla base di questo siamo qui anche per provare ad approfondire e a rispondere a eventuali richieste di chiarimento e anche a riflessioni che nel corso di questo ragionamento potranno utilmente emergere.
  Vorrei premettere alcune cose. La prima è che, avendo fatto anche di mestiere un lavoro che mi ha portato a contatto con non poche realtà periferiche, vi invito a fare una operazione di distinguo analiticamente importante tra i grandi contesti urbani e il resto del Paese, sapendo bene che l'Italia è composita, è fatta prevalentemente di piccoli comuni, di centri di medie dimensioni, ma la vicenda urbana e potremmo dire metropolitana sui temi di sicurezza, di periferia e di degrado ha specificità tutte proprie. Dico questo anche perché, ragionando su Milano, siamo costretti a stare dentro questo quadro, che è un quadro non banale rispetto al trattamento di queste vicende. Esiste, in sostanza, uno specifico urbano. Pag. 13
  La seconda questione che mi verrebbe da suggerire è che la vicenda sicurezza porta con sé assunti che funzionano quasi come automatismi in certi momenti: mi auguro che con il vostro lavoro ci sia modo di riaprire l'interrogativo sul fatto che il tema sicurezza sia necessariamente legato al tema delle periferie e che questa cosa determini poi il tema del degrado, che in qualche misura esistano fattori di concomitanza e precondizioni per cui l'una e l'altra cosa si intrecciano inevitabilmente insieme, e siamo costretti ad affrontarle con questo nodo che rende il problema quasi ingestibile e ingovernabile.
  Credo che non sia sempre così, che non tutte le periferie, intese come luoghi distanti dal centro, siano luoghi di insicurezza (andrebbe dimostrato) e che questa cosa esista anche in porzioni invece molto centrali in alcune città, che una condizione geografica (come quella periferica) non predetermini l'insicurezza di un contesto se non dal momento in cui l'essere «lontani» permette alla politica e alle politiche soglie più alte di disattenzione e disinteresse. Allora sì che l'insicurezza (percepita e reale) si fonde con la distanza dal centro. Insicurezza come abbandono, isolamento, perdita di riferimenti pubblici.
  Potremmo raccontare storie tutte diverse, che scompongono il quadro deterministico segnato da automatismi che diamo per scontati e che lasciano sul campo l'essere contraddittorio delle città.
  Milano ha un'estensione di circa 181 chilometri quadrati e una popolazione di 1.359.000 abitanti. Per tanti anni ha perso popolazione, poi si è attestata intorno a questa cifra. Da qualche anno registra una variazione media annua positiva e recupera popolazione per il 2,16 per cento, un dato in controtendenza, importante, che vuol dire che in qualche misura la città in questi anni è tornata a essere attrattiva. Il Comune di Milano è dentro un'area metropolitana milanese di 134 comuni: l'estensione cresce, arriviamo a una complessità territoriale più elevata, ma anche a una popolazione che risulta pari a 3,2 milioni, quindi la città capoluogo ne raccoglie il 50 per cento circa.
  Dal punto di vista normativo il comune è dotato di un piano di governo del territorio, che è lo strumento di pianificazione urbanistica generale, il vecchio PRG (novembre 2012). È articolato in tre programmi, tre documenti, che la legge regionale prevede e sono il Documento di piano, che è il documento di natura strategica, di durata quinquennale, che disciplina le grandi trasformazioni e dà anche modo di avere visioni, prospettive, quadro di riferimento di lungo periodo; il piano delle regole, documento principalmente regolativo per le trasformazioni del tessuto urbano consolidato; il piano dei servizi, documento che disciplina e argomenta tutto quello che è legato alla città pubblica, ai servizi di interesse pubblico generale per la comunità locale e in genere per la città. Questi ultimi, di proprietà pubblica ma anche di proprietà privata, a gestione pubblica e anche a gestione privata. È in corso la revisione dell'intero apparato pianificatorio e la redazione del piano delle attrezzature religiose, come richiesto dal disposto della legge lombarda. Nel 2014 l'amministrazione si è dotata di un nuovo regolamento edilizio comunale, sul quale torneremo, perché è lo strumento che rende più efficace l'azione amministrativa riguardo alla disciplina del costruito, in particolare le trasformazioni dell'esistente, il recupero edilizio e la rigenerazione urbana.
  Per quanto riguarda il patrimonio edilizio pubblico e privato a Milano, qualità edilizia generale, standard costruttivi e relativa vetustà dei predetti immobili, la questione è di primaria importanza soprattutto dal punto di vista conoscitivo. Le grandi aree urbane soffrono ancora oggi di un significativo deficit di dati sul patrimonio edilizio esistente, sia pubblico sia privato. Per gli enti locali in particolare la conoscenza e la modalità di raccolta e di aggiornamento dei dati sul costruito non sono sistematiche e non sono ancora di dominio pubblico. Se è vero che esistono numerosi studi, ricerche che hanno affrontato questo tema, è altrettanto vero che spesso gli esiti forniscono risultati molto diversi, non facilmente confrontabili e quindi il quadro che ne emerge è un quadro Pag. 14spesso scomposto e sicuramente parziale. A ciò va aggiunta la difficoltà economica e burocratica per i comuni di poter disporre di contributi e collaborazioni esterne mirate a costruire un database utilizzabile per le diverse politiche, non ultime quelle urbanistiche e quelle legate alla rigenerazione urbana e delle periferie. Il Comune di Milano da qualche anno ha svolto un'intensa attività per approfondire la conoscenza del patrimonio abitativo pubblico, ha allo studio un'ipotesi per la creazione di un database georeferenziato per il patrimonio edilizio comunale e ha predisposto alcune analisi sul rapporto tra famiglie residenti e unità abitative attraverso l'utilizzo di alcuni dati sulla presenza e dismissione di allacciamenti alla rete energetica, ad esempio alle utenze, mediante un'attività di elaborazione dati svolta con il contributo di una partecipata, e ha in corso alcuni approfondimenti sul patrimonio edilizio, soprattutto abitativo, non occupato e occupato abusivamente. Si stima che dal punto di vista privato siano circa 80.000 gli alloggi privati non utilizzati e che per la parte invece pubblica comunale siano circa 2.500 più 1.400 appartamenti occupati abusivamente. Tuttavia ad oggi non possiamo ancora affermare che si tratti di analisi esaustive, in grado di dimensionare il fenomeno del sovraffollamento e del non utilizzo dovuto a non idoneità degli edifici ad ospitare residenza.
  Inoltre si chiedeva di capire le modalità di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio milanese e una sua contestuale messa in sicurezza. Rispetto a questo, la recente esperienza urbanistica milanese ha prodotto discreti risultati positivi, contribuendo in modo significativo a processi diffusi di rigenerazione urbana (ciò prima del 2011/2012. Il principio fondamentale che qui occorre richiamare è quello della cosiddetta «indifferenza funzionale», sancito da precise norme contenute nel piano delle regole, valide per tutto il tessuto urbano consolidato. In buona sostanza, si tratta di una norma che consente liberamente il cambio di destinazione d'uso del patrimonio edilizio esistente e la precisazione delle destinazioni d'uso attraverso il progetto privato per le aree di nuova edificazione. Dal punto di vista disciplinare tale principio ha consentito il superamento del cosiddetto zoning e delle percentuali funzionali ad esso correlate. In precedenza in molti piani regolatori il cambio d'uso era molto vincolato da destinazioni funzionali predefinite e dimensionalmente ingabbiate da percentuali (quota parte di residenza, poi il produttivo, il commerciale e l'industriale). Questa cosa a Milano non esiste più, in generale nel tessuto costruito e anche nelle aree libere interstiziali edificabili è possibile localizzare qualsiasi funzione urbana e qualsiasi attrezzatura pubblica di interesse pubblico generale, alle sole condizioni che le funzioni siano compatibili con i parametri di qualità del suolo (questo nel rispetto del Codice dell'ambiente) e che siano valutati impatti non negativi, dovuti ad altre normative di settore (ad esempio quella del rumore). Compatibilmente con questo, tutte le funzioni sono ammesse e spettano alla proposta dell'operatore.
  Accanto al citato principio dell'indifferenza funzionale, è stato positivo consentire il recupero e la trasformabilità integrale di tutta la superficie lorda di pavimento in aree fino a 5.000 metri quadri di estensione, e quindi sui piccoli lotti. Tali norme, accompagnate da una sostanziale semplificazione delle modalità d'intervento (al piano attuativo si ricorre solo per aree maggiori di 15.000 metri quadri), hanno impresso un'importante accelerazione nei processi di riqualificazione edilizia, potremmo dire minori per certi aspetti, o comunque di completamento e di recupero delle medie e piccole aree industriali dismesse. Un altro importante tassello è costituito dagli incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici. A partire da una norma generale prevista sempre nel piano delle regole e poi declinata nel dettaglio nel regolamento edilizio, gli interventi edilizi che raggiungono determinati livelli prestazionali in termini energetici possono godere di un incremento volumetrico utilizzabile in loco o altrove trasferibile sotto forma di diritto edificatorio. A questo proposito è stato creato un apposito Pag. 15registro delle cessioni dei diritti edificatori. Tuttavia, dopo circa cinque anni di applicazione, il meccanismo premiale, cioè l'incremento volumetrico a patto che vengano raggiunte prestazioni energetiche particolari, pare non aver conseguito i risultati auspicati, probabilmente anche a fronte di un mercato non più altamente ricettivo, dopo la crisi strutturale dell'edilizia post 2008. L'incremento volumetrico in sostanza non è stato ritenuto un incentivo sufficientemente interessante. È comunque da notare che sempre nella regolamentazione edilizia comunale sono stati introdotti due nuovi articoli, che riguardano la manutenzione e la revisione periodica delle costruzioni e il recupero urbano in relazione allo stato di degrado degli immobili, e la relazione di quest'ultimo con la sicurezza pubblica, ad esempio per la verifica dell'idoneità statica da effettuare entro 50 anni dal collaudo strutturale degli edifici. Tali articoli puntano a ottenere una corretta manutenzione del territorio e dell'edificato e una sua messa in sicurezza attraverso una maggiore responsabilizzazione della proprietà. Nonostante ciò, fenomeni di degrado permangono all'interno della realtà urbana e l'intervento sostitutivo previsto da parte dell'ente pubblico non appare di facile applicazione, pur avendo destinato in via sperimentale un capitolo di bilancio nel 2017 pari a 500 mila euro.
  Per quanto riguarda il recupero delle aree produttive dismesse, occorre innanzitutto richiamare quanto già descritto in precedenza circa il principio della indifferenza funzionale. Inoltre, vale la pena menzionare l'indicazione normativa circa la previsione negli interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica o di sostituzione edilizia in aree di una certa dimensione superiore ai 10.000 metri quadri di una quota di edilizia residenziale pubblica, più propriamente detta sociale, articolata al fine di rispondere alle diverse nuove categorie di fabbisogno (edilizia convenzionata agevolata, co-housing, patto di futura vendita e anche edilizia residenziale pubblica). Le criticità maggiori si riscontrano con riguardo alle procedure di bonifica e ai costi ad essa correlati nel caso in trasformazione di comparti ex produttivi, che devono essere trasformati in residenza o anche a verde pubblico. A questo proposito, è allo studio la possibilità di incentivare la riqualificazione ambientale dei siti dismessi mediante meccanismi premiali, che tuttavia sconta la difficoltà già messa in evidenza circa la contrazione del mercato.
  Un altro tema che si sta affrontando è quello dei cosiddetti «usi temporanei», purtroppo non normati a livello statale, quindi di difficile regolazione. L'uso temporaneo dei siti abbandonati (non solo quelli industriali) risulta essere molto efficace per il presidio dei fenomeni dell'abbandono e del degrado, soprattutto per aree e immobili di una certa dimensione, che di norma hanno tempi piuttosto lunghi rispetto alla loro complessiva trasformazione. La mancanza di una norma statale (non esiste il principio dell'uso temporaneo) pone problemi di conformità agli strumenti di pianificazione generale e soprattutto problemi legati all'eventuale assenso circa l'insediamento di determinate funzioni su terreni in siti potenzialmente inquinati. Tuttavia la possibilità di reimmettere nel circuito vitale delle città gli immobili abbandonati attraverso usi non definitivi e anche parziali, che quindi non comportino l'intera trasformazione dell'area, risponderebbe a molte esigenze e modi d'uso dello spazio costruito, caratterizzati da estrema dinamicità, tipici delle grandi città. Su questo cito qualche esempio. Abbiamo avuto sul sito dello scalo ferroviario di Porta Genova il mercato metropolitano durante Expo, che ha avuto un discreto successo, così come abbiamo l'esperienza dei giardini condivisi, che riguardano aree libere non ancora in carico all'amministrazione e in stato di abbandono, e potremmo citarvi altri casi nel quartiere Bovisa, segnato dalla presenza di aree industriali ora dismesse, che hanno utilizzato proprio questo carattere temporaneo, in alcuni casi forzando – potremmo dire – la maglia normativa.
  La demolizione e la ricostruzione, tra legislazione vincolistica, legge urbanistica e oneri di urbanizzazione. Appare necessario uno snellimento normativo a livello nazionale, che consenta una facilitazione e fluidificazione Pag. 16 delle trasformazioni urbane anche di carattere pesante, ristrutturazione edilizia con modifica di sagoma e sedime, consentendo un'ampia possibilità nel ricostruire il costruito a maggiore valorizzazione delle aree già urbanizzate, senza dover quindi utilizzare suoli non ancora urbanizzati. Tale possibilità, accompagnata da una sensibile riduzione degli oneri di urbanizzazione, potrebbe da sola portare al raggiungimento di alcuni fondamentali obiettivi di carattere generale delle politiche urbane e di intervento anche nelle porzioni più periferiche. Il primo obbiettivo è di evitare l'uso non giustificato di suolo non ancora urbanizzato, a favore di una rigenerazione qualitativa del tessuto urbano, in particolare di quello esistente. Il secondo: consentire l'attuazione di politiche di ampio respiro per il risparmio energetico, dotando gli edifici rinnovati di tecnologie al passo con i tempi. Un terzo obiettivo è liberare il suolo pubblico dalla sosta irregolare, applicando la normativa relativa ai parcheggi di pertinenza delle funzioni insediate e introducendo la possibilità di realizzare autorimesse anche al servizio del quartiere. Ultimo obiettivo: riorganizzare nel tempo le morfologie urbane, rendendole adatte alle nuove esigenze abitative, di lavoro e di commercio, inserendo anche servizi nel corpo stesso della città, laddove oggi risulterebbe difficoltoso poterlo fare. Anche sul tema del superamento delle mono-funzionalità (elemento oggi problematico) anche rispetto ai temi della sicurezza e del degrado sarebbe interessante ritornare.
  Piani di zona a Milano e modalità attuative. Nel caso milanese tale strumento è da ritenersi non più attuale e nei fatti superato. I piani di zona sono stati elaborati e attuati ormai da decenni generando, oltre agli effetti evidentemente positivi, alcuni comparti vasti della città con qualche elemento di criticità: la modalità attuativa non efficace, che vedeva realizzare nella maggioranza dei casi solo la quota residenziale, potremmo dire lo sviluppo a forte interesse privato, e quasi mai la componente pubblica relativa ai servizi e al verde. Tale modalità ha generato ampie porzioni di territorio privo di edificabilità ancora oggi, ancora di proprietà privata (le aree per servizi e verde non venivano espropriate ma utilizzate a fini volumetrici) che produce effetti di degrado e abbandono. Sono aree scariche non utilizzate di proprietà privata, in cui il pubblico fatica a capire cosa si potrebbe fare, perché l'attuazione è nei fatti ancora in capo all'operatore che venti o trent'anni fa è intervenuto in queste aree. Come in altre situazioni, la possibilità di porre rimedio mediante la sola normativa dei piani urbanistici è molto limitata. La componente eventuale di edilizia sociale associata ai piani di zona avete capito che oggi nel Comune di Milano è posta a carico del privato quando nelle trasformazioni che ha in capo deve realizzare in modo vincolante lo 0,35 di volumetria per l'edilizia sociale, cioè convenzionata con patto di futura vendita, co-housing, finanche l'edilizia residenziale pubblica. Questo meccanismo produce in modo indiretto quello che i piani di zona producevano qualche anno fa in modo più diretto, cioè l'edilizia cosiddetta «a costi più accessibili».
  La questione delle occupazioni di immobili pubblici e privati, è ormai da qualche anno al centro dell'attenzione del Comune di Milano. A questo proposito, si è creato un apposito database continuamente aggiornato, che individua e mappa su apposite cartografie le situazioni di abbandono e di degrado di immobili in città. Il database è creato, a partire da ricognizioni sul territorio, con il contributo importante sia dei cittadini sia dei Municipi, che segnalano i casi maggiormente evidenti, il cosiddetto Monitoraggio Immobili Degradati è online sul sito del Comune di Milano ed è utilizzato per l'applicazione di quanto previsto dal regolamento edilizio. Successivamente alla creazione del database, è stato inserito un apposito articolo nel regolamento edilizio, che consente l'intervento della pubblica amministrazione nei casi in cui l'abbandono perduri nel tempo. Va però evidenziato che lo scopo del monitoraggio e la sua pubblicazione online ha soprattutto finalità propulsive per la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. Pag. 17Diversi sono gli investitori che ormai si rivolgono a questo patrimonio informativo per dirigere alcune delle proprie proposte di investimento. È in corso la formazione di un'apposita task force trasversale alle diverse competenze, quindi urbanistica, edilizia, avvocatura, lavori pubblici, vigilanza urbana, al fine di creare una struttura permanente in grado di affrontare le diverse problematiche. Va in ogni caso evidenziato che l'intervento di riqualificazione, ancorché promosso e favorito dalla normativa urbanistica, dipende prevalentemente dalla volontà del soggetto proprietario dell'immobile, senza dimenticare che gli abbandoni possono essere determinati da cause molto differenti, dalla semplice non volontà di utilizzo a cantieri non conclusi per il venir meno delle risorse, ma anche a fallimenti delle imprese. Il tema è ovviamente delicato, in quanto attiene al diritto costituzionale legato alla proprietà privata e alle possibilità limitate per il pubblico di intervenire su quest'ultima. Si sottolinea che un intervento legislativo, volto da una parte a favorire la riqualificazione, ad esempio intervenendo sulle leve fiscali e sulla possibilità di trasferimento dei diritti volumetrici (non esiste una definizione giuridica di diritto edificatorio ancora oggi) e dall'altra a rafforzare il potere di intervento della pubblica amministrazione, potrebbe sicuramente portare a una maggiore incisività rispetto al recupero delle aree più degradate e in stato di abbandono. Peraltro, va anche evidenziato che gli immobili che producono degrado conseguentemente al loro abbandono sono anche immobili di proprietà pubblica. I comuni infatti si trovano molto spesso in eredità immobili che non possono più essere utilizzati attraverso strumenti di valorizzazione immobiliare, in quanto svuotati di volumetria. I casi più classici sono gli immobili ceduti per soddisfare gli standard urbanistici in piani di lottizzazione o simili interventi che fanno riferimento ai decenni passati. Anche in questo caso le prescrizioni della pubblica amministrazione risultano molto limitate e certamente non efficaci rispetto alla rivitalizzazione edilizia e funzionale dei cespiti ottenuti.
  Sul tema dell'edilizia residenziale pubblica, numero complessivo degli alloggi popolari del Comune di Milano, grado di vetustà e loro condizione manutentiva. Complessivamente gli alloggi di proprietà del Comune di Milano in gestione oggi a Metropolitana Milanese sono 28.734. Nella tabella troverete la distribuzione per le zone e anche i 777 alloggi di proprietà comunale siti in altri comuni dell'area metropolitana. La tabella incrocia il dato relativo all'anno di costruzione e la condizione manutentiva. A questi vanno aggiunti circa 35.000 alloggi di proprietà di Aler, presenti sul territorio comunale stesso, per un totale di circa 65.000 unità abitative. Sulle soglie di reddito la disciplina è quella regionale, la legge n. 27/90 e la legge n. 1/2004, per il canone sociale l'accesso è permesso per redditi Isee-Erp, quindi redditi che vengono trasformati e calcolati con moltiplicatori e indicatori differenti della condizione socioeconomica della famiglia, pari a 16.000 euro, per la permanenza nel canone sociale Isee-Erp deve essere inferiore ai 35.000 euro, per l'accesso al canone moderato, che è la seconda disciplina pubblica, l'Isee-Erp deve essere inferiore a 40.000 euro, e per la permanenza l'Isee-Erp deve essere inferiore a 60.000 euro. La permanenza dei requisiti in capo agli inquilini degli alloggi Erp viene verificata con l'anagrafe utenza, attraverso un censimento che ha scadenza biennale. Per gli alloggi a canone sociale questo ha anche l'obiettivo di adeguare i canoni alla condizione economica dei nuclei familiari rispetto al loro punto di partenza.
  La perdita dei requisiti di permanenza rientra tra le ipotesi di decadenza dell'assegnazione, come recita il regolamento regionale. Il gestore invia preavviso di decadenza all'assegnatario, che si trova nella condizione di perdita dei requisiti. Qualora a seguito della successiva anagrafe utenza la condizione risulti confermata e cioè risulti nuovamente decadente, il gestore trasmette al comune per l'emanazione del provvedimento di decadenza e quindi il rilascio dell'alloggio. In esito all'ultima anagrafe utenza del 2015, sono stati inviati 184 preavvisi di decadenza, quindi famiglie che Pag. 18hanno dichiarato di essere decadenti. Dopo due anni, nella successiva anagrafe utenza, sono risultate ancora con la perdita dei requisiti e a quel punto si è proceduto al preavviso di decadenza e quindi al conseguente rilascio dell'alloggio. Per quanto riguarda il numero complessivo dei nuclei familiari di cui è stato verificato il possesso dei requisiti attualmente iscritti nelle graduatorie per accedere alla casa popolare la situazione è la seguente: la verifica delle domande, che viene effettuata solo quando la famiglia si trova in posizione utile per l'assegnazione (quindi si fa l'accertamento della veridicità dei dati autocertificati) viene effettuata attraverso la consultazione delle banche dati dell'Anagrafe, dell'Agenzia delle entrate, dell'Inps e del Catasto con la partecipazione del richiedente. A seguito dell'attività di verifica delle domande si provvede quindi: alla loro cancellazione in graduatoria nel caso di mancanza di uno o più requisiti di accesso all'Erp; alla variazione della loro posizione in graduatoria nel caso di discordanza tra le condizioni verificate e quelle auto-dichiarate, ad esempio la corretta imputazione dei redditi o la corretta attribuzione delle condizioni familiari e abitative. La terza condizione è l'assegnazione dell'alloggio nel caso di conferma dei requisiti di accesso e delle condizioni dichiarate nella domanda. Su 100 domande di bando verificate (parlo di un campione medio) il 29 per cento è stato cancellato, cioè non esistevano i requisiti dichiarati, e la domanda non era ammissibile, il 37 per cento è stato collocato in diverse posizioni in graduatoria, tendenzialmente più in basso, e quindi non si è proceduto all'assegnazione, nel 34 per cento dei casi risultavano idonee per l'assegnazione, quindi quanto dichiarato rispondeva al vero e permetteva alla famiglia di avere una casa popolare. Nell'ultimo triennio sono stati assegnati 1.597 alloggi da bando e in questo stesso arco temporale circa 700 sono state le assegnazioni in deroga alla graduatoria.
  Occupazioni illegali degli immobili comunali nell'area del Comune di Milano. Sulla base dei dati acquisiti dalla security del gestore, MM S.p.A., i dati delle occupazioni abusive sono i seguenti: al 31 dicembre 2016 gli alloggi occupati abusivamente risultano essere 992 su un patrimonio di 28.000 appartamenti e rotti. Al 31 dicembre del 2014, 2 anni fa, erano 1.417. In caso di alloggio non utilizzato dal titolare, si può configurare un abbandono o una cessione (sub affitto). Le verifiche sull'utilizzo dell'alloggio sono a cura del gestore e il decreto di decadenza è di competenza del Comune. È una decadenza per uso improprio: l'alloggio è stato abbandonato o addirittura ceduto a terzi. Nel corso del 2015-2016 sono stati emessi 71 decreti di decadenza per abbandono o cessione. In caso di occupazione senza titolo il Comune dispone il rilascio, quello che viene definito sgombero. Il decreto di rilascio costituisce titolo esecutivo e non è soggetto a graduazioni o proroghe. L'esecuzione degli sgomberi è coordinata dal Tavolo presso la Prefettura, a cui partecipano rappresentanti della Prefettura, della Questura, del comune, di MM e di ALER. È difficile stimare un tempo medio necessario per liberare un alloggio occupato abusivamente, molte delle occupazioni degli alloggi comunali sono ormai storiche. Su questo due note: gli sgomberi sulle occupazioni storiche sono cosiddetti «sgomberi programmati», vengono definiti dal Tavolo, mediamente ne sgomberiamo dalle sei alle otto al mese; gli altri sgomberi non programmati intervengono sulle cosiddette «flagranze di reato» e quindi quando l'occupazione è appena avvenuta. Le difficoltà restano elevate per le famiglie pur in flagranza che hanno minori e per le situazioni in cui il nucleo familiare ha all'interno invalidi o disabili. Sulle flagranze di reato, dove lo sgombero avviene perché la famiglia viene presa mentre è entrata da poco, oggi abbiamo grazie all'intervento di MM azzerato le nuove occupazioni. Abbiamo 2.000 alloggi vuoti e un investimento importante nel piano delle opere pubbliche per il recupero degli alloggi comunali sfitti al momento e per la loro riassegnazione in graduatoria Erp. È un piano da circa 90 milioni di euro, che nell'arco di un triennio dovrebbe portarci ad avere azzerato le 2.000 unità abitative ad oggi vuote. Pag. 19
  Non avrei altro da aggiungere. Vi chiedo scusa se abbiamo fatto una cosa un poco lunga e siamo qui pronti tutti e tre per le eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie, assessore Rabaiotti, per la ricca e molto utile introduzione. Lascio quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Molto utile, grazie, anche perché sono stati posti problemi di regole e norme urbanistiche che possono aiutare e favorire un processo di lotta al degrado urbano, e sarà interessante come Commissione esaminarle per capire se nella nostra relazione finale ci possa essere un'indicazione di leggi specifiche e quindi le cose che state facendo sarà interessante capire come di fatto utilizzarle per l'esperienza fatta.
  La mia domanda riguarda questo: la relazione dell'assessore riguarda il patrimonio del Comune di Milano, ma a Milano i quartieri più in difficoltà che conosco sono prevalentemente delle case Aler. Mi interesserebbe molto capire se il tema abitare, che è una gamba del welfare, sia opportuno affrontarlo cercando di capire quale sia la scala giusta di governo. Per quanto concerne le città metropolitane, che sono i luoghi di analisi e di maggiore attenzione per la nostra Commissione, occorre capire se si debba modificare la legge nazionale che le disciplina e se la programmazione dell'abitare della casa stia in capo alle città metropolitane, perché i flussi delle popolazioni dentro quell'ambito sono tali che o si ragiona a sistema o diventa difficile fare un'operazione di risposta a un bisogno dell'abitare serio.
  Il secondo tema era quello di capire da lei, rispetto all'esperienza fatta nel suo molteplice ruolo, se non ritenga opportuno dentro il ragionamento di programmazione Città metropolitane anche fare una subordinata ed evitare che ci siano due modelli gestionali dentro un unico territorio metropolitano, quindi capire come andare al superamento di due gestioni diverse in modalità di accesso, di gestione delle occupazioni, e se su ciò abbiate già fatto delle esperienze.
  L'ultima domanda riguarda il fatto che spesso anche negli ultimi finanziamenti sulle periferie (il piano del Governo di 2 miliardi di euro) c'è una prevalenza dell'attenzione sulla parte relativa all'edilizia, molto meno sulla parte sociale. Sarebbe molto bello che ci fosse un assessore casa, lavori pubblici e welfare, perché le due cose si intrecciano molto. Il dato vero è che per esperienza, se ci sono 100 euro, 99 sono per l'edilizia e 1 per il sociale, ma in realtà nei luoghi chiamati periferie, che dobbiamo meglio definire cosa sono, ci sono sempre più problemi, quindi come lei affronterebbe questa cosa, visto che noi stiamo cercando di capire anche come rendere il lavoro finale di questa Commissione con indicazioni precise anche a Parlamento e Governo?

  MARIASTELLA GELMINI. Grazie per questa illustrazione. Ho ascoltato con attenzione le problematiche che lei ha affrontato, il tema delle occupazioni, dell'abbandono di edifici anche privati, la regolamentazione interna al regolamento edilizio, dell'edilizia sociale, dei piani di zona, però volevo chiederle con riferimento al Patto per Milano, che è stato sottoscritto, quali sono gli interventi previsti, in quali periferie e, tema toccato dalla collega Gasparini, il rapporto tra MM e ALER. Abbiamo assistito per mesi a una polemica e al tentativo reciproco di comune e regione di spostare la responsabilità l'uno sull'altro. In realtà, sono cittadini milanesi sia coloro che abitano in case ALER sia coloro che abitano in case MM. Si è parlato anche di un'ipotesi di fusione: siccome la gestione del patrimonio edilizio è sicuramente un fatto di straordinaria importanza, come si intende procedere?
  Se lei dovesse indicare tre soluzioni per individuare un modello di sviluppo delle periferie, perché credo che da questa Commissione, che sta analizzando la condizione delle periferie a livello nazionale, dovremmo poi avere l'ambizione di suggerire, di promuovere un modello di sviluppo. Secondo lei di quali elementi si compone? Le problematiche sono alla fine abbastanza simili tra Milano, Roma e le altre grandi città ma, Pag. 20se dovessimo suggerire tre azioni per individuare un modello di sviluppo e di recupero delle periferie, la sua esperienza cosa suggerisce?

  VINCENZO PISO. Innanzitutto grazie per la disponibilità e pongo due domande secche. La prima: vorrei capire come si è arrivati a Milano a questa inversione di tendenza rispetto alla maggiore disponibilità e capacità di avere insediamenti di abitanti in zona centrale piuttosto che sulla cinta periferica, anche in relazione a questo discorso di carattere economico che voi evidenziate, ovvero che andare nei comuni di prima cintura continua a essere più favorevole da un punto di vista economico. Mi interessa questo discorso di controtendenza e anche la questione degli usi temporanei. Suggerimenti in proposito per arrivare a un'eventuale normativa di carattere nazionale, per dare una mano in questa direzione, perché è un tema molto importante.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, volevo chiedere un chiarimento e rivolgere una domanda all'assessore che riguarda il passaggio della sua relazione in cui ha messo in luce opportunamente la difficoltà che, anche attraverso l'uso di incentivi nelle procedure edilizie, urbanistiche, in questo momento di difficoltà del mercato immobiliare, lo stesso uso dell'incentivo non risulta dell'efficacia necessaria per quanto riguarda la riconversione degli edifici, l'uso di nuove tecnologie, ma anche la stessa operazione di rigenerazione urbana e di demolizione e ricostruzione in alcuni casi, perché il mercato finanziario oggi non consente una potabilità dello stesso incentivo. Resta un punto legato alla produzione dell'edilizia residenziale pubblica o dell'edilizia sociale, che può essere invece un antidoto rispetto alle difficoltà del mercato, per far ripartire il mercato edilizio e anche per promuovere azioni di recupero urbano, in un quadro però (la realtà milanese è molto più avanti di quella di altre realtà regionali) nel quale lo strumento tradizionale dei piani di zona ha rivelato tutta la sua insufficienza. Nella vostra esperienza milanese, che è un'esperienza particolare e particolarmente avanzata, avete verificato se vi sia uno spazio possibile e praticabile per mobilitare il mercato finanziario (fondi immobiliari, mercato creditizio, banche) al fianco di progetti di iniziativa di housing sociale? Questa può essere una leva efficace per far ripartire almeno l'iniziativa pubblica nel campo dell'edilizia a fini sociali, come leva anche per una ripartenza del mercato privato?

  GABRIELE RABAIOTTI, assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano. Cerco di procedere con ordine, peraltro alcune parti della riflessione dell'onorevole Gasparini e dell'onorevole Gelmini si incrociavano. Parto quindi da lì, rapporto MM/ALER, potremmo dire più opportunamente Comune/ALER, perché MM per noi è proprio un braccio operativo, è uno strumento di gestione. La vicenda è nota e, dopo questa «separazione in casa», la fase è stata dura, un po’ di litigi e un po’ di vendette reciproche. A me sembra che adesso il clima sia diverso, sicuramente grazie alla regione e con una buona disponibilità anche del comune il ragionamento di un riavvicinamento e un tentativo di capire quale potrebbe essere il modello e il soggetto futuro, perché le due cose sono molto legate, quindi modello gestionale e soggetto capace di fare questa cosa. È una riflessione che è ripartita, senza darvi adesso nessuna indicazione di quale potrebbe essere l'esito, perché nessuno si è sbilanciato, ma di sicuro entrambe le parti, regione e comune, hanno avvertito che la questione non può più essere affrontata separando i due capitoli, quindi una strada si è aperta, non so quanto tempo ci metteremo e dove arriveremo, ma di sicuro abbiamo avvertito tutti che non si può procedere separati in casa. Mi sembra molto interessante il fatto che la programmazione delle politiche dell'abitare resti ancorata alle regioni dove esistono appunto Città metropolitane, quindi dove sono presenti città importanti di traino, che ci sia una sorta di opportuno coordinamento tra politica regionale e politica metropolitana sulla programmazione, mentre mi sembra delicato il fatto che il servizio abitativo e la sua gestione restino a Pag. 21livello comunale, addirittura potrei dirvi municipale in alcuni casi, perché nei quartieri popolari di ALER del comune di Milano l'elemento che notiamo e avvertiamo come una delle questioni pesanti, che generano poi degrado e disagi, è il senso dell'abbandono. Sono quartieri nei quali l'amministrazione ha smesso di essere presente. Lo ha fatto in parte ALER, lo ha fatto in parte il comune, non sto attribuendo colpe e meriti a nessuno. Di sicuro voi leggete in questi quartieri una situazione di rivendicazione forte, anche violenta e nervosa, che segna per l'istituzione la sua incapacità di stare dentro a questi contesti, quindi è bene che il servizio abitativo, la sua gestione e la sua operatività restino a livello comunale, vengano spinti a livello comunale e nei fatti forse anche a livello municipale decentrato. Sto parlando di un'infrastruttura immateriale, cioè i servizi di accompagnamento, affiancamento, legati alla formazione, allo sport, alla cultura come elementi decisivi per riaprire un rapporto tra istituzione, che è anche proprietà, e inquilino, che è anche cittadino. Se non riusciamo a ricostruire questo rapporto di minima fiducia, la vicenda credo che in gran parte sia persa, quindi anche il denaro che ci buttiamo dentro è un denaro poco efficace e poco efficiente.
  Scala metropolitana sì, quindi, in accordo con regioni e con i comuni, per la parte di programmazione delle politiche abitative, anche perché i flussi di domanda e offerta (lo dicono gli stessi movimenti di pendolarismo abitativo, abito da una parte e lavoro da un'altra) raccontano di una geografia che non è più quella del comune, anche del comune capoluogo, ma è quella di comuni di prima cintura, di seconda e anche di terza, quindi che la politica non abbia questa geografia è grave, e la politica di programmazione è bene che avvenga a livello metropolitano con una forte centratura sui capoluoghi e sui comuni di prima e seconda cintura. Questo anche per un ragionamento di scambi opportuni tra domanda e offerta, laddove in alcuni casi abbiamo la domanda presente, ma non c'è offerta disponibile, in altri casi esiste l'offerta, ma non c'è la domanda. Il trasferimento che abbiamo vissuto tutti nella stagione più giovane della nostra vita era abitare in affitto in comuni di cintura – nel caso milanese San Donato, Poasco, piuttosto che Trezzano e Cesano Boscone, abbiamo lavorato per un po’ di anni in questo pendolarismo urbano. Dopodiché qualcuno è arrivato a Milano, qualcuno se n'è andato, e questo è un meccanismo ordinario, non è niente di straordinario e di così negativo. Riuscire a ripianificare il modello abitativo in queste forme ampie di geografie metropolitane mi sembra molto importante, ma non dimenticate che il servizio all'abitare è un servizio di prossimità e quindi, definito lo schema di pianificazione della politica abitativa, la parte operativa e gestionale deve essere vicina all'interno di questi quartieri.
  Patto per Milano: cosa fa rispetto al tema periferie? Fa fondamentalmente due cose: intanto il quartiere Adriano è stato uno dei quartieri che abbiamo volutamente posizionato all'interno del bando periferie, ma che troverà anche importanti integrazioni all'interno del Patto per Milano, e il secondo nodo è un investimento sulla parte abitativa residenziale pubblica su un quartiere che dovremmo ancora scegliere e definire. Non escludo che sia all'interno di uno dei cinque ambiti prioritari, dove abbiamo meno leva di denaro pubblico, cioè fondamentalmente il Gallaratese, e il quartiere Niguarda. Abbiamo circa 10 milioni imputati al Patto per Milano sul residenziale popolare e potrebbe essere importante decidere nei prossimi mesi il quartiere bersaglio dell'operazione. Il Patto per Milano fa un'altra operazione importante, che è quella delle infrastrutture nel collegamento tra Milano e i comuni di cintura, perché senza la mobilità il ragionamento che stavo facendo prima è impossibile: non posso stare in auto due ore e un quarto per raggiungere il posto di lavoro, altrimenti cerco casa a Milano, faccio fatica e divento moroso. Il tema della connessione dell'infrastruttura fisica riguarda gran parte del Patto per Milano, con l'obiettivo di riuscire a portare le code o le teste delle metropolitane (a seconda di come le guardiamo) verso l'esterno come elementi di collegamento Pag. 22 e cucitura con i comuni di cintura, cosa che non in tutti i casi esiste, eccezion fatta per la linea verde, tutto il resto è ancora contenuto all'interno del recinto amministrativo milanese. Il tema delle infrastrutture e delle connessioni è quindi un tema decisivo nel Patto per Milano. Anche questa è una questione metropolitana.
  Il tema della controtendenza e come possa essere spiegata: quando una città torna a essere attrattiva arrivano due tipi di popolazioni fondamentalmente (spero perdoniate la semplificazione). La prima è costituita da quelli che possono giocare il gioco della competizione, quindi studenti universitari, nuovi professionisti, sistema delle imprese e dei servizi alle imprese, potremmo dire le categorie di reddito medio alte, prevalentemente giovani, oggi peraltro giovani che arrivano da tutto il mondo, non più solamente dalla periferia urbana o addirittura dal sud Italia.
  La seconda categoria è dalla parte opposta dell'oscillazione sociale, cioè quella disperata; la città attrattiva è una città che porta sempre con sé anche chi bussa alle sue mura perché ha bisogno e cerca quelle possibilità, quindi c'è il tema del riscatto potente, che è fatto dall'attraversamento ormai mondiale dal sud del mondo agricolo. Il rientro genera fondamentalmente un ritorno di interesse per la popolazione giovane e dinamica, tutte e due sono giovani, tutte e due sono diversamente dinamiche. È gente che vuole stare nella città, che cerca la città con una certa forza, e questo la rende anche fortemente competitiva, e in alcuni casi questa pressione diventa dirompente, dall'una e dall'altra parte. Il mercato urbano è sollecitato dall'una e dall'altra parte, quindi su questo ci portiamo dentro queste contraddizioni, non riusciamo ad eliminarle, se ne perdiamo una, la città è meno competitiva. Questa è una cosa che può apparire paradossale, ma è così: la città che vince è quella che vince su entrambi i fronti, non su uno solo. Questo è un mio assunto personale evidentemente discutibile, però volevo raccontarvelo, perché siamo qua anche per scambiarci alcune idee rispetto agli orientamenti e alle tendenze lunghe.
  Con l'agenzia sociale che si chiama Milano Abitare, che abbiamo costituito in città, stiamo cercando attraverso il PON, quindi un finanziamento guidato anche dal Ministero, di estendere il servizio dell'Agenzia a tutti i comuni di prima cintura, potremmo dire alle aree omogenee alla Città metropolitana, per fare in modo che ci sia un rapporto tra domanda e offerta che superi il confine amministrativo del Comune di Milano e che questo scambio venga facilitato, incentivato e intermediato dall'agenzia. Questa estensione è legata al finanziamento, quindi nei prossimi anni lavoreremo a cucire anche il territorio della cintura urbana con la città di Milano con questo servizio che sta lentamente partendo e che promuove e facilita il cosiddetto «canone concordato», quindi la legge n. 431 del 1998, un canone di quasi mercato, ma disciplinato da un accordo territoriale molto importante.
  Usi temporanei. Gli usi temporanei sono un problema, perché senza disciplina ci si chiede cosa sia uso temporaneo, per quanto tempo lo possiamo chiamare temporaneo, dopo quanto non sia più temporaneo e che tipo di regime straordinario decidiamo di dare a questo uso in quanto temporaneo, ad esempio rispetto alla qualità dei suoli delle aree occupate o alla qualità del manufatto edilizio di queste aree occupate. Ferma restando la sicurezza macro, se non abbiamo una forma di accelerazione, questi temporanei vengono trattati come definitivi. A quel punto l'area resta vuota e abbandonata, in attesa che tutto si sviluppi e si crei il nuovo piano e il sistema di intervento complessivo, con tutti i tempi che sappiamo. Decisiva è l'accelerazione del processo, regimi straordinari per accelerarlo, dando un tempo entro il quale non è più temporaneo, ma se lo è, deve scattare un meccanismo veloce e semplificato. In questo momento applichiamo un regime definitivo a un uso temporaneo, e questa cosa rallenta fondamentalmente il processo. È una cosa coraggiosa, che richiede una certa determinazione, ma, senza questo tipo di regime temporaneo e quindi straordinario, difficilmente muoviamo questi pezzi di città, che sono quelli più segnati Pag. 23dalle situazioni di rallentamento e di stasi non solo del mercato, ma anche della capacità funzionale e di tutto quello che ne discende. Esiste il contratto di disponibilità, questo sconosciuto, e perché non posso dire a un privato che ha fermo l'immobile da quattro, cinque o dieci anni che potrebbe per un momento temporaneo darlo come struttura scolastica a volano? Questo riabiliterebbe il meccanismo, avremmo una rotazione interna, ripartirebbe un interesse per quelle aree, il privato avrebbe i suoi vantaggi e il pubblico pure. In quel regime temporaneo di disponibilità le leve fiscali devono seguire questa storia, perché è un servizio che viene dato due volte: recuperiamo un servizio scuola e togliamo un immobile dal degrado e dall'abbandono. Anche sulla disponibilità temporanea all'uso di immobili di proprietà privata sarebbe importante tornare a ragionare. Abbiamo avuto gente che ci ha detto di avere un ufficio vuoto che avremmo potuto utilizzare, ma la domanda è cosa comporta, cosa genera, se è un servizio, paga fiscalità, e se non lo è, cosa succede, che incentivo posso e devo avere per poter volgere questo tipo di uso dell'immobile da una parte oppure dall'altra? Se non riusciamo a sciogliere la vicenda, è chiaro che lo stesso mercato privato, che ha interesse a rimettere in circolo comunque quelle aree e quegli immobili, avverte questo elemento di peso e quindi tendenzialmente attende. Il mercato della rendita è un mercato di attesa, non è un mercato necessariamente dinamico, quindi se non lo muoviamo noi, difficilmente otteniamo una risposta rapida da parte di proprietari immobiliari.
  Gli incentivi volumetrici non stanno funzionando perché il mercato oggi «digerisce meno» e c'è una sovrapproduzione edilizia gigantesca e quindi nei fatti l'incentivo volumetrico non mi interessa moltissimo. Esistono anche altri incentivi che andrebbero provati e tentati, quelli fiscali (locali, oneri di urbanizzazione, ma anche legati a Imu e a tutte le tasse che conosciamo) e quelli forse di natura più statale e quindi più centrale. Quello volumetrico oggi non è un incentivo premiante, perché nei fatti non mi interessa costruire di più, avendo difficoltà poi a piazzare sul mercato questo prodotto. Qualcuno dice che a Milano non è così. Gli stessi operatori del mercato dicono che la ripresa c'è, è una situazione migliore di qualche anno fa, ma dal dire che è pronta a digerire il sovrappiù di produzione edilizia ce ne passa.
  ERP ed ERS, quindi edilizia residenziale pubblica e quella di residenza sociale. Vi dico che Milano è al 10 per cento del patrimonio abitativo ad uso popolare, quindi il comune e Aler sono proprietari del 10 per cento del patrimonio immobiliare complessivo. Si tratta di una percentuale alta, perché mediamente in Italia si registra il 5 per cento nelle città, quindi potremmo dire che abbiamo una buona dotazione. Credo che non abbiamo bisogno di un numero superiore di case popolari, perché la dotazione che abbiamo è buona. I problemi stanno altrove: la mobilità interna al patrimonio che è inesistente, cioè l'affitto pubblico è nei fatti una sorta di quasi proprietà privata, e questo non funziona, è come avere nella scuola elementare un gruppetto di anziani che giocano a burraco e non se ne vanno più perché stanno bene, si paga poco, la dirigente è simpatica, il gestore non li disturba, e non li mandano via. L'affitto popolare è un servizio di interesse generale, come dice il decreto ministeriale del 2008, se è potenzialmente per tutti, non se è per i primi fortunati che ci arrivano, quindi la mobilità del patrimonio interna è decisiva se deve essere un servizio: mi muovo in piscina pubblica, non posso stare lì dentro tutta la vita e portarmi a casa un metro cubo di acqua, mi muovo da un parco pubblico, non posso portare via la zolla di terra, anche la casa popolare è un servizio di pubblico interesse, quindi devo entrare con i requisiti di accesso, ma devo anche poter uscire. Dalle nostre case mediamente non esce nessuno, lo sapete benissimo. La mobilità è del 2 per cento, prevalentemente per decesso dell'inquilino. Ne abbiamo dunque a sufficienza e a mio parere va reso più dinamico, mobile, e deve essere preparata l'uscita. Dove vanno queste famiglie? Quello che ci manca non è l'affitto popolare di case interamente finanziate dal pubblico di proprietà del comune Pag. 24o di altri enti, è il pezzo privato di quasi mercato, è quell'incentivo ai fondi immobiliari, è quel meccanismo di sviluppo che deve usare la leva anche dello sviluppo immobiliare per poter ottenere di ritorno una prestazione pubblica in termini di nuove case in locazione a canoni accessibili, non più in proprietà convenzionata, non più o comunque non solo. La gente che ha potuto comprare casa l'ha già fatto. In questo Paese siamo all'80 proprietari. Oggi fa fatica chi invece cerca la soluzione temporanea, prevalentemente mobile e capace di seguire in modo progressivo la stabilizzazione del progetto abitativo. Non divento proprietario appena esco di casa, succede, ma non è una cosa necessaria, ma in mancanza di affitto mediamente l'uscita avviene quando sono proprietario, infatti usciamo a 35 anni da casa, ultimo Paese in Europa. Se vogliamo rendere più dinamico il sistema delle città, cosa che peraltro rende la città più forte, dobbiamo riuscire a costruire questo comparto terzo, che è un'offerta di locazione a canoni accessibili. Le leggi esistono, gli incentivi forse non sono sufficienti, la fiscalità andrebbe ripensata in modo importante, ma, se una casa è in affitto a canone concordato, non può essere trattata come una casa in affitto di libero mercato. Aggiungo che non può essere trattata come una casa in edilizia convenzionata di proprietà, che oggi è più avvantaggiata rispetto all'affitto concordato. Questa è una scelta di posizionamento nostro, di Paese, rispetto all'affitto, che, come sapete, in Italia occupa, nelle politiche, una posizione sicuramente marginale. Questo vuol dire che anche il mercato si sveglia se riusciamo ad accompagnarlo dal punto di vista normativo, fiscale, di incentivo e anche di contribuzione, perché non dimenticate che il sistema dei fondi immobiliari nasce in questo Paese anche con quell'obiettivo, e Milano ha fatto operazioni importanti che hanno mobilitato i fondi immobiliari locali, regionali e statali, facendo operazioni di affitto, di mercato, di quasi mercato e anche sociale. L'articolazione evidentemente tiene in piedi il PEF, ma mi interessa verificare a quali condizioni il prezzo di affitto a canoni concordati è sostenibile. Abbiamo fatto operazioni importanti a Milano, le famose otto aree, date a un euro per incentivare il meccanismo. Questa cosa ha funzionato, potevamo essere più coraggiosi, abbiamo chiesto il 25 per cento di affitto, potevamo chiedere anche il 40 di affitto: a quelle condizioni le operazioni stanno in piedi; area praticamente gratuita e una forte incentivazione su oneri con quote variabili di cofinanziamento pubblico. Se questo meccanismo si muove in modo coordinato e compatto, allora questo Paese riacquista nelle città (il ragionamento è tipicamente urbano) la quota di affitto che mi consente di avere quel dinamismo di cui parlavamo e di riuscire a rispondere alla controtendenza, altrimenti come oggi arrivano, queste popolazioni domani se ne andranno. È già successo: 500.000 abitanti in meno a Milano quando ha perso l'affitto. Questo è stato il quadro, quindi su questo penso che si debba tornare a ragionare quando parliamo anche di ambiti periferici e di progetti di riutilizzo delle aree urbane.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Ero curiosa di sapere una cosa. Quando abbiamo fatto l'audizione su Napoli, è venuto fuori il problema dell'uso degli spazi sociali nei piani di riqualificazione urbana, cioè spazi che rimangono dismessi perché – loro dicevano – venivano chiesti affitti anche a realtà di volontariato. Siccome so che spesso i funzionari e i dirigenti degli enti locali pongono il problema che ci vuole un giusto affitto, vorrei sapere cosa viene fatto a Milano rispetto agli spazi sociali, perché, se ci fosse bisogno di una norma legislativa che aiuta i comuni rispetto a questo percorso, ci possiamo ragionare.

  VINCENZO PISO. Vorrei porre una domanda che esula dai temi che abbiamo trattato fino adesso, è più legata alla mobilità, però voglio approfittare di un'affermazione che lei ha fatto, ovvero il discorso delle metropolitane sui comuni di prima fascia. Bisogna vedere che cosa si intende per metropolitana, ma sinceramente su questo tema sono molto scettico per un problema Pag. 25 di costi, per un problema di struttura delle nostre città, a differenza di quello che succede in nord Europa, e credo che anche Roma abbia perseguito un modello sbagliato. Credo molto invece nel ferro di superficie, che secondo me ha più attinenza con la nostra storia, il nostro tipo di densità urbanistica. Le chiederei qualche risposta in più rispetto a questo tema.

  GABRIELE RABAIOTTI, assessore ai lavori pubblici e casa del Comune di Milano. Abbiamo fatto questa delibera, la n. 1978, delibera sperimentale che adesso stiamo rivedendo, in accordo tra Demanio e Direzione casa, che permetteva di utilizzare in particolare quegli spazi a uso non abitativo o cosiddetti «usi diversi» spesso ai piedi di edifici residenziali come spazi funzionali alla efficacia e all'efficienza del sistema abitativo nel suo complesso, quindi sottratti nei fatti alla forma della valorizzazione strettamente economica, ma chiamata valorizzazione sociale degli spazi. Questo riguardava prevalentemente questi spazi, che non erano mai giganteschi, e comunque fortemente incastrati dal punto di vista spaziale nella componente abitativa pubblica. Ora ci stiamo di nuovo ragionando, perché la delibera è scaduta pochi mesi fa, e stiamo articolando anche con l'ingegner Tarricone questo ragionamento, con un rapporto con il Demanio.
  Loro hanno detto infatti che ci permetterebbero di usare gli usi diversi, quindi quelli non abitativi, laddove l'unità di cui stiamo parlando è parte integrante del complesso di residenza pubblica, quindi nei fatti ragionevolmente funzionale a tutto il meccanismo. Negli altri casi, quindi immobili soggetti a valorizzazione prima economica, verrebbero messi a gara l'immobile, dopo il secondo tentativo andato a vuoto trasferirebbero sull'uso sociale, che diventa un'altra forma di valorizzazione. Sperimentata ed espletata la prima, se la cosa va male, passiamo alla seconda. Peraltro in alcuni casi quel sociale è anche un socio-economico, perché non è completamente a zero, è un impiego fortemente incentivato e agevolato. Questo è il compromesso che abbiano costruito a livello locale rispetto al tema delicato del rischio di lasciare spazi a uso non abbandonati. Questo avviene anche per lentezze interne nostre, la presa in carico al servizio sociale per i disabili ma quella domanda poi non c'è più, l'abbiamo messo nel frattempo da un'altra parte, poi la facciamo forse per gli anziani, ma lo diamo alla cultura, e tutto questo rimpallo interno genera confusione. La cosa importante che abbiamo visto con il Demanio è che la centrale operativa, che ha conoscenza e contezza di questo patrimonio, deve essere unica ed è nel Demanio: il Demanio affida alla casa quegli spazi incastrati negli immobili a uso abitativo, e lascia gli spazi a un uso più sociale. Questo è il meccanismo che abbiamo studiato all'interno e che nei fatti ha prodotto cose interessanti sulla prima stagione sperimentale, specialmente perché ha dato modo ai comitati inquilini, alle autogestioni e ad altre unità di stare dentro a questi contesti e che ci ha permesso di essere presenti come vi dicevo all'inizio.
  Mi è stata posta una domanda sul modello di sviluppo delle periferie (forse dall'onorevole Gelmini): quali sono le questioni delicate su questi progetti nuovi? Partirei sicuramente dalle funzioni, cioè spesso abbiamo questi quartieri che chiamiamo periferici o popolari, che sono quartieri monofunzione, dove abbiamo teorizzato l'autosufficienza dicendo che qui si può vivere, lavorare, avere i servizi, la Chiesa e l'ospedale, ed erano quartieri in cui nei fatti nessuno doveva entrare e nessuno doveva uscire, perché lì dentro trovavi tutto. Questo modello la città l'ha negata nei fatti: uno va a lavorare da una parte, si diverte da un'altra, va in parrocchia se vuole da un'altra parte ancora, la scuola stessa ha perso il bacino d'utenza come elemento vincolante. Nei fatti abitiamo la città, la usiamo in modo diffuso. In questi quartieri autosufficienti, che sono le periferie più vere, si avverte ancora una povertà funzionale che accompagna una povertà culturale, che nasce come conseguenza di questo isolamento che nei fatti si vive, per cui i bambini conoscono quel quartiere, che è quella scuola, la loro casa e il loro cortile. La città si esaurisce lì dentro. Come faccio a vivere una vita ricca domani, se ho una Pag. 26geografia in testa che è ristretta in pochi metri quadrati? Quando porto i bambini del quartiere di San Paolino di Milano a vedere i grattacieli nell'area di Porta Nuova, pensano di essere a Dubai e stanno lì a guardare con la mascella bassa chiedendo dove li abbia portati, ma quella lì è la loro città e, se non costruiscono nella loro testa che quella è la loro città, il loro mondo, che è il mondo delle opportunità, è un mondo strettissimo! Quella povertà secondo me è da superare, quindi nuove funzioni forzandole, specialmente funzioni obbligate, cioè dobbiamo avere gente che da fuori è costretta a entrare lì dentro, perché non si tratta solamente di far uscire quelle persone da quel quartiere verso la città, ma di portare pezzi di città dentro a quei quartieri. La biblioteca europea è al Giambellino e chi è fuori dal quartiere, se vuole una biblioteca innovativa deve entrare in Giambellino!
  La città è fatta di rapporti di interazione che vengono in qualche misura anche «violentati», perché devo essere costretto ad avvicinarmi, perché se non lo faccio costruisco una città di bolle, di quelli che stanno bene e di quelli che stanno male, ma sempre di bolle si parla. La ricchezza che invece vivete e sperimentate è quando riuscite a mettere vicine queste diverse parti e a rimescolarle un po’ a tenerle insieme. L'elemento principale è questo «arricchimento funzionale» all'interno dei quartieri popolari e monofunzione o autosufficienti. Il secondo tema è l'infrastruttura, che è fatta da un potenziamento non per forza della metropolitana, ma delle connessioni, delle cuciture dentro/fuori, che sono fisiche, ma sono anche di servizi infrastrutturali immateriali, cioè di unità di intervento che sono legate alla formazione, alla scuola, alla cultura, allo sport, all'uso del verde e dello spazio pubblico. Prevalentemente nel nostro Paese investiamo sulla parte fisica materiale, facciamo immobili e realizziamo infrastrutture. Dimentichiamo che invece il pezzo decisivo è quello immateriale, cioè la componente dei servizi, non solo quelli sociali.
  L'elemento che secondo me va premiato è proprio questo: da un lato il rafforzamento e l'arricchimento funzionale, dall'altro il potenziamento della cosiddetta «infrastrutturazione fisica», e molto immateriale. Lavorerei su queste due dimensioni. Dopodiché è chiaro che sono sempre grandi scommesse, la città metterà il suo tempo a metabolizzare questi progetti complessi. I nuovi quartieri sono sempre fortemente problematici, anche quelli belli, perché vivono una situazione di difesa dal resto, invece «l'intorno» in questi progetti è più importante dell'oggetto del progetto. Il progetto è prevalentemente fatto dal suo intorno da ciò già esiste, preesiste, e la cui considerazione definisce il fattore di successo, cioè che quanto facciamo di nuovo diventi un pezzo di città, non un'altra città.
  Su questo Santa Giulia insegna (mi rivolgo all'onorevole Gelmini, che conosce la situazione, e spero anche agli altri): non considerare l'intorno, ma far diventare il recinto di quel lotto da progettare il recinto di una città nuova, più o meno ideale, genera questo disastro. La scuola deve essere usata da tutti, questo tipo di scambio è naturale nella città (guai a negarlo!), quindi l'intorno in questi progetti è il materiale primo da considerare. Questo come suggerimento, se mi chiedessero quello che l'onorevole mi ha chiesto.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'assessore Rabaiotti e i dirigenti del Comune di Milano che lo hanno accompagnato in questa interessantissima audizione e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.50.

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