XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 15 febbraio 2017
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI E SULL'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI SPECIALI

Audizione dei professori
Antonio D'Atena e Massimo Luciani.

D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 ,
D'Atena Antonio , professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 3 ,
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10 ,
Luciani Massimo , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 10 ,
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione dei professori
Antonio D'Atena e Massimo Luciani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Antonio D'Atena, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», e di Massimo Luciani, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza».
  Con questa indagine conoscitiva la Commissione parlamentare per le questioni regionali intende aprire una riflessione sullo stato del regionalismo e, più in generale, sull'assetto degli enti territoriali del nostro Paese dopo l'esito non confermativo del referendum costituzionale.
  L'audizione è volta alla predisposizione di una relazione all'Assemblea ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento della Camera e dell'articolo 50, comma 1, del Regolamento del Senato.
  La Commissione intende portare a compimento il percorso intrapreso negli ultimi due anni con lo svolgimento di due indagini conoscitive sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al sistema delle Pag. 3Conferenze, e sulle problematiche concernenti l'attuazione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale, con l'indicazione di soluzioni operative e proposte concrete.
  Ringrazio il professor D'Atena e il professor Luciani, che già hanno collaborato con noi nelle precedenti indagini, per la loro disponibilità, e do la parola al professor Antonio D'Atena.

  ANTONIO D'ATENA, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Presidente, grazie. Il tema generale nel quale si iscrivono le questioni sottoposte all'attenzione della Commissione e, quindi, anche alla nostra, è il grande tema della cooperazione nei rapporti tra centro e periferia, un tema – da qui nascono tutti i problemi – che la riforma costituzionale del 2001 ha lasciato inevaso. Ciò, tra l'altro, è abbastanza singolare. È un esempio quasi di strabismo perché, invece, parallelamente, le deleghe Bassanini erano tutte centrate sulla cooperazione, sulla centralità del ruolo della Conferenza e sulla moltiplicazione del numero delle Conferenze.
  La riforma si ispira a un modello abbastanza antiquato, il modello del separatismo duale: le competenze vanno rigorosamente separate e mancano strumenti cooperativi o comunque non sono in misura adeguata. Considerate che l'unico riferimento al principio di leale collaborazione è nella norma sul potere sostitutivo, all'articolo 120, secondo comma.
  Questo modello del separatismo duale è un modello illusorio. Quindici anni e più di giurisprudenza della Corte costituzionale hanno messo in evidenza che l'idea di poter separare con rigide linee di demarcazione il riparto di competenze tra Stato e Regioni è una pretesa che non ha alcun fondamento. Penso a un caso frequentissimo nella giurisprudenza costituzionale: gli oggetti a imputazione multipla. Si tratta di un oggetto che non si colloca in una materia, ma in più materie. Pag. 4A volte, le materie sono oggetto di competenze diverse. Faccio l'esempio del mobbing: nel caso del mobbing abbiamo, da un lato, una competenza in materia di «tutela e sicurezza del lavoro», che è competenza concorrente, e, dall'altro lato, la competenza in materia di «ordinamento civile» dello Stato. È evidente che qui si pone un problema. In questi casi la Corte costituzionale come ragiona? Secondo la Corte, se c'è una materia prevalente, questa attrae nella competenza anche gli oggetti estranei confinanti, se non c'è una competenza prevalente, bisogna ricorrere alle risorse della leale collaborazione. La recente sentenza, citata anche nella relazione del presidente, n. 251 del 2016, prevede addirittura che la cooperazione, nel caso di un inestricabile intreccio tra le materie, sia una collaborazione nella forma più forte, che è la forma dell'intesa.
  Tuttavia, non è soltanto con riferimento a questi casi che la Corte costituzionale ha sentito il bisogno di utilizzare le risorse della leale cooperazione. Un altro caso è quello dell'attrazione in sussidiarietà: una funzione amministrativa in materia di competenza regionale viene attratta a livello statale. Pensate alle grandi opere: in questo caso la Corte ci dice che va attratta anche la competenza legislativa. La Corte, però, ci dice anche che occorre un procedimento cooperativo che coinvolga le Regioni. Lo stesso vale per una delle competenze finalistiche dello Stato, quella sui livelli essenziali delle prestazioni, i LEA e i LIVEAS. In questi casi, benché si tratti di una competenza esclusiva dello Stato in base all'articolo 117, secondo comma, la Corte costituzionale ritiene che sia necessario che la decisione avvenga sulla base di una cooperazione con la Regione.
  Quali sono gli elementi che accomunano tutti questi casi? L'intervento dello Stato in qualche modo deroga al riparto costituzionale delle competenze. Il ragionamento della Corte è che, se deroga al riparto costituzionale, è necessario che la Pag. 5competenza regionale sia compensata attraverso un coinvolgimento, che può essere in genere procedimentale, ma può essere anche organizzativo. La Costituzione non appresta nulla per questo. Qual è il surrogato? Sono le Conferenze.
  In realtà, nella nostra esperienza, dopo la novella costituzionale del 2001, benché non vi sia in Costituzione alcuna menzione delle Conferenze, le Conferenze diventano il centro delle esperienze. È una supplenza benemerita. Si potrebbe dire che, se non ci fossero state le Conferenze, le avremmo dovuto inventare. Tuttavia, c'è un limite: le Conferenze sono luoghi di concertazione degli esecutivi e, quando si tratta di produrre delle incidenze sulla funzione legislativa, non sono il luogo più appropriato.
  Ci sono dei casi precedenti, nella storia parlamentare degli ultimi anni, in cui l'accordo in Conferenza diventa blindato anche nei confronti del Parlamento nazionale. È chiaro che qui c'è qualcosa che non funziona, in quanto gli esecutivi non possono vincolare tutta l'architettura costituzionale.
  Questa è la ragione per cui oggi è attualissimo il tema dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Fallito il tentativo di riformare il bicameralismo e di introdurre, sia pure con tanti limiti, una Camera rappresentativa delle autonomie territoriali, è chiaro che, per dare una sponda parlamentare alla voce dell'autonomia territoriale, si deve ricorrere alla strada che ha indicato la legge costituzionale n. 3 del 2001.
  Naturalmente, non è un caso che non si sia mai data attuazione all'articolo 11. Vi sono nodi da sciogliere di una determinata complessità. A me sembra che questi nodi siano anzitutto considerati in maniera completa ed esaustiva dai vostri lavori e dalla relazione del Presidente. Mi sembra che le soluzioni indicate siano soluzioni in larghissima misura da condividere. Pag. 6
  Per esempio, in merito alla composizione, che si tratti di una composizione paritetica tra la componente parlamentare e la componente regionale e locale a me sembra la formula da usare. Anche il fatto che le Regioni debbano avere una rappresentanza paritaria mi sembra una soluzione giusta. Tra l'altro, determina un parallelismo con le Conferenze, in cui tutte le Regioni hanno una voce.
  Si tratta di una soluzione nel segno anche della tradizione federale. È ragionevole pensare che ci sia un rappresentante per ogni Regione, altrimenti i numeri crescerebbero eccessivamente. A tale riguardo, mi permetterei di sottoporre alla vostra attenzione la possibilità di un'integrazione: per evitare che ci sia una rappresentazione esclusiva della maggioranza dei Consiglieri regionali, si potrebbero prevedere delle maggioranze qualificate per la selezione dei membri da inviare in Commissione, in maniera che ci sia un coinvolgimento dell'opposizione. Penso che questo sarebbe opportuno, altrimenti ci sarebbe uno squilibrio della rappresentanza.
  Con riguardo a un rappresentante degli esecutivi espresso dalla Conferenza Stato-Regioni, forse si potrebbe pensare che sia espresso dalla Conferenza delle Regioni, analogamente a quanto accade per il Comitato delle regioni nell'Unione europea. La Conferenza delle regioni è un organo esclusivamente regionale. Se si tratta di disegnare un rappresentante degli esecutivi regionali, mi sembra opportuno che siano le regioni a parlare a titolo esclusivo, senza bisogno che la scelta avvenga in un luogo di concertazione.
  Quanto ai rappresentanti degli enti locali, la proposta è che siano espressi dalla componente enti locali della Conferenza unificata. Mi chiedo se non possa pensarsi, invece, a una designazione da parte delle associazioni, anche qui in analogia con il Comitato delle regioni. Pag. 7
  Accennerei ora a un problema, che nasce, a mio modo di vedere, con la legge Delrio. La logica dell'articolo 11 è quella secondo cui tutti gli enti territoriali e tutti gli enti locali hanno lo stesso titolo per essere rappresentati in Commissione. Tuttavia, quando cominciamo ad avere degli enti territoriali che non hanno organi propri e che mutuano gli organi di altri enti, province e città metropolitane, non avrebbe senso dare una rappresentanza per come sono oggi combinati. Personalmente, sono convinto che la legge Delrio, mentre avrebbe potuto fornire una risposta provvisoria nella prospettiva della riforma costituzionale, adesso apra più problemi di quanti non ne abbia risolti. Non è da escludere che la giurisprudenza della Corte costituzionale – non è neanche prevedibile – possa avere un ripensamento in considerazione di questo mutamento di prospettiva.
  Trovo molto felice l'indicazione, per quanto riguarda i sistemi di voto, che non ci sia un rimescolamento delle carte e che i voti siano separati, per due ragioni. Innanzitutto perché è utile conoscere la voce dei territori, senza che ci siano alterazioni qualora questa si mescoli con voti dati dai parlamentari, e poi per mantenere i rapporti tra maggioranza e opposizione negli equilibri parlamentari. D'altra parte, questa è la soluzione accolta nella Conferenza unificata, dove Regioni ed enti locali votano separatamente, perché è utile sapere come si orienta il voto delle une e il voto degli altri.
  Problemi molto delicati si pongono per l'ambito di competenza della Commissione integrata, oppure, come diciamo con gergo non elegante, della «Bicameralina». Perché? Non c'è dubbio che pareri facoltativi e anche obbligatori previsti per legge possano essere presi in considerazione anche in ambiti diversi da quelli indicati dall'articolo 11, il problema è che c'è un rafforzamento procedimentale in relazione a quelli. Pag. 8
  L'alternativa che si pone è un'interpretazione larga della formula utilizzata o un'interpretazione più ristretta. Io ritengo che il tenore letterale non consenta l'interpretazione larga. Si fa riferimento espresso a leggi che abbiano a oggetto le materie – a parte quelle dell'articolo 119 – di cui al terzo comma dell'articolo 117. Occorre osservare, però, che la formulazione è indeterminata. Ritengo che certamente vi rientrino le eventuali leggi cornice dello Stato. Se lo Stato fa una legge cornice in materia di competenza concorrente, scatta la consultazione della Commissione integrata. Peraltro, se si trattasse solo di questo, bisognerebbe dire che la Commissione per questa parte sarebbe disoccupata, perché le leggi cornice non si fanno.
  A me sembra, però, che la dizione usata autorizzi una lettura anche più ampia, non solo con riguardo alla legge cornice, ma anche a tutti i casi in cui vi sia un atto legislativo dello Stato che incide su una materia di competenza concorrente, per esempio i casi degli oggetti a imputazione multipla. Lo Stato, invocando il proprio titolo competenziale, interviene sul mobbing e incide anche su una materia di competenza delle Regioni.
  A questo punto si dovrebbe ritenere che, essendoci questa incidenza, si giustifichi e si richieda l'intervento della Commissione. Oppure ciò avverrebbe quando l'attrazione in sussidiarietà riguardasse materia di competenza concorrente. Per le grandi opere, per le grandi reti di trasporto e navigazione – questo è un caso classico – essendoci l'incidenza su una materia regionale, si dovrebbe richiedere la consultazione della Commissione.
  Debbo dire, però, che si evidenzia un paradosso. Ragionando in questi termini, si arriva alla conclusione che la competenza regionale meno connotata in senso autonomistico, ossia la competenza concorrente, avrebbe questa forma di garanzia Pag. 9procedimentale significativa, mentre la competenza più autonomistica, cioè quella del quarto comma, la competenza residuale, che è quella che avrebbe bisogno di essere maggiormente garantita, mancherebbe di questo presidio procedimentale.
  Mi sembra, però, che la dizione del testo non ci consenta di uscire da questa difficoltà. A questo punto, vorrei fare un'altra osservazione. Si tratta di una circostanza che potrebbe non essere necessariamente drammatizzata. A questo riguardo, è molto istruttiva l'esperienza del Comitato delle regioni nell'Unione europea. Si tratta di un organo consultivo. Periodicamente l'organo elabora dei rapporti e il seguito è dato ai pareri del Comitato. Il seguito è molto elevato. Nella gran parte dei casi questi pareri trovano un seguito. Ricordo, se mi è consentito, il libro di una mia allieva dedicato a quest'organo, il cui sottotitolo è «Le virtù nascoste della consultazione».
  In realtà, ci può essere il dato politico – in una prospettiva costituzionale è un dato da non trascurare – di una forte moral suasion delle indicazioni che provengano dalla Commissione integrata. Questo potrebbe, in un certo senso, attenuare gli inconvenienti che derivano dal fatto che il formato dell'intervento, così com'è stato prefigurato dal legislatore costituzionale del 2001, è in qualche modo inadeguato.
  Un ulteriore problema è che si interviene con quindici anni di ritardo, quindici anni che sono stati pieni di storia e di vicende e pieni di giurisprudenza della Corte costituzionale e in cui è entrata a regime la supplenza delle Conferenze. Che cosa si deve evitare? Si deve evitare che si riduca il tasso di cooperazione, cioè che, paradossalmente, una volta che si crei il canale parlamentare, si riduca il tasso di copertura. Mi riferisco al fatto che, se si segue questa giurisprudenza più recente, che ha altri esempi nelle sentenze della Corte costituzionale, secondo cui nei casi di inestricabile intreccio è necessaria Pag. 10 l'intesa e, quindi, è necessario l'accordo, a questo punto bisogna ammettere che, benché l'organo sia misto e rappresentativo degli esecutivi soprattutto, l'accordo garantisce di più di una partecipazione procedimentale qual è quella prevista dall'articolo 11. Inoltre l'accordo può intervenire su tutte le materie, non solo su quelle di competenza concorrente. Questo de iure condito, perché noi stiamo lavorando nella prospettiva che non si possa intervenire sulla disciplina costituzionale. Basterebbe qualche parola. Io sono da anni un fautore della – meno appassionante delle grandi riforme – modesta manutenzione della Costituzione, che consentirebbe di risolvere i problemi. Anche qui c'è da fare un'altra considerazione. Una volta che questo sistema entri a regime, i pareri diventano degli elementi che vengono presi in considerazione dalla Corte costituzionale. Erano le considerazioni che facevo, per esempio, per l'attività di proposta del Senato della riforma Renzi-Boschi. È vero, è una proposta per cui la Camera ha l'ultima parola, ma tutto questo materiale entra nel giudizio di costituzionalità e può essere un elemento sintomatico.
  Se si ragiona del riparto costituzionale delle competenze, se ci sono riferimenti nel parere a questo elemento, in fondo, non si può neanche semplificare eccessivamente e ritenere che il fatto che non vi sia un intervento nella forma dell'intesa, che è un intervento, ovviamente, più determinante, non determini comunque un'influenza che non può essere trascurata.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor D'Atena. Do la parola al professor Massimo Luciani.

  MASSIMO LUCIANI, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Molte grazie, presidente. Questa, per quanto mi riguarda, è la seconda tappa di un percorso che la Commissione ha avviato. Pag. 11Ho avuto l'onore di essere audito già in occasione di una vostra riflessione sul sistema delle Conferenze, opportunamente avviata a procedimento di revisione costituzionale in corso, ma con la prospettazione agli auditi delle due alternative: cosa sarebbe dovuto accadere se la revisione costituzionale fosse stata approvata dal referendum del 4 dicembre, oppure nel caso contrario.
  La conclusione, a mio parere estremamente condivisibile, fu che, anche nell'ipotesi di una bocciatura di quella revisione costituzionale, il sistema delle Conferenze avrebbe dovuto essere ripensato e, viceversa, nell'ipotesi in cui quella revisione fosse passata, il sistema delle Conferenze avrebbe dovuto essere mantenuto.
  Qui ci troviamo di fronte al secondo tassello di un ripensamento generale del nostro modello di regionalismo. Mi scuso, ma faccio una premessa rapidissima di carattere generale, forse ripetendo cose già dette nella precedente occasione ed esponendole in modo piuttosto disorganico. Non ho avuto il tempo di presentare alla Commissione un appunto scritto.
  Insisto su un punto: i modelli di regionalismo o di federalismo in astratto disponibili sono quanto meno tre, quello garantista, quello competitivo e quello cooperativo. Insisto anche su quella che mi pare una constatazione, ossia che non c'è stata in Costituzione una scelta chiara in favore di uno di questi tre modelli. Questa scelta chiara è mancata anche nel 2001. Nella stessa legge costituzionale non approvata il 4 dicembre vi era una significativa incertezza perché, per un verso, si promuoveva un Senato delle autonomie, e, per un altro, si eliminavano le materie di competenza concorrente, che invece avrebbero dovuto essere il cuore di un modello di tipo cooperativo. Pag. 12
  Dal mio punto di vista non solo il presente, ma anche il futuro, come dimostra la comparazione, sono del modello cooperativo. Non mi pare che un sistema come quello italiano possa supportare il modello competitivo, ossia il modello nel quale le Regioni competono tra di loro per attirare forza lavoro, capitali, investimenti e via discorrendo con lo Stato. Non mi pare nemmeno che sia fruttuoso il modello garantista, cioè quel modello in cui le competenze delle Regioni, in rapporto allo Stato e delle Regioni tra di loro, siano divise da frontiere assolutamente invalicabili, perché l'esperienza ha dimostrato che queste frontiere, invece, valicabili sono.
  Come indirizzarsi verso una più chiara scelta in favore del modello cooperativo? Nella legge costituzionale n. 3 del 2001, che – ripeto – per altro verso, invece, non compiva una scelta chiara, un elemento di regionalismo cooperativo si ravvisa proprio nell'articolo 11, un articolo che, per questa ragione, non a caso non è stato attuato. Prima anche il collega D'Atena diceva che non è stato un caso che non sia stato attuato. La ragione di fondo, secondo me, è proprio questa, ossia che quell'attuazione avrebbe presupposto un passo consapevole nella direzione di un più robusto regionalismo cooperativo. Se si compie questo passo, bisogna essere consapevoli di dove si sta andando e di quale sia la direzione. Per me, peraltro, questa è la direzione corretta.
  Vediamo i problemi. La bozza di relazione che il presidente ci ha trasmesso è indubbiamente condivisibile sotto molteplici profili. Parto dalla questione delle fonti. Anch'io sono convinto che ci sia qui una riserva di regolamento parlamentare quanto all’an, ma ritengo che, quanto alla composizione, ci sia uno spazio per la legge. In teoria, c'è spazio anche per la legge costituzionale dal punto di vista delle guarentigie dei componenti della Commissione. Pag. 13
  Veniamo ai contenuti di queste fonti. Composizione paritetica? Senz'altro sì e senz'altro sì anche alla riduzione numerica. Mi sembra veramente improponibile l'ipotesi di una composizione pletorica della Commissione integrata. Occorrerebbe, quindi, ridurre la composizione della Commissione, quando la si integra. Sono favorevole anche a una rappresentanza minoritaria degli enti locali. Condivido l'idea che qui si stia parlando soprattutto di rapporti tra Stato e Regioni. Gli enti locali, per le ragioni che vedremo tra poco, non sono esclusi, ma è giusto che la loro rappresentanza sia minoritaria in rapporto a quella delle Regioni.
  Condivido anche l'ipotesi di far scegliere i rappresentanti regionali da parte dei Consigli. Prima il collega D'Atena ha proposto una maggioranza qualificata. Io ho sempre molto timore che le maggioranze qualificate possano condurre poi alla paralisi degli organi decisionali. Immaginavo, quindi, un segnale da parte della legge che potesse indicare l'opportunità di un accordo tra maggioranza e opposizione all'interno dei Consigli regionali, con maggioranze qualificate a scalare. Si può passare dal primo scrutinio a una maggioranza molto elevata, al secondo a una maggioranza inferiore – penso a non più di tre scrutini – per arrivare alla maggioranza semplice al terzo.
  Non escluderei nemmeno l'ipotesi che la legge possa consentire ai Consigli regionali di prevedere un'alternanza: all'interno della medesima consiliatura si potrebbe pensare che il Consiglio regionale stabilisca che per due anni ci sia il rappresentante della maggioranza e che poi la negoziazione avvenga attraverso l'alternanza con un rappresentante della opposizione o delle opposizioni. Da questo punto di vista lascerei liberi i singoli Consigli regionali di determinarsi in proposito.
  Quanto all'elezione dei rappresentanti degli enti locali, direi che la scelta di affidarla alla componente degli enti locali della Pag. 14Conferenza unificata è condivisibile. Ritengo, però, che le province, che hanno una garanzia costituzionale di esistenza – capisco, sì, sono enti di secondo grado, rappresentanze di secondo grado – non possono essere escluse dalla presenza nella Conferenza unificata.
  Essenziale mi pare effettivamente il voto per componenti, ossia componente statale e componente autonomistica, della Commissione integrata. Arriviamo, però – su questo mi soffermo molto rapidamente, per qualche minuto – specificamente alla questione che mi pare il capo delle tempeste.
  Il capo delle tempeste riguarda gli effetti dell'integrazione della Commissione. È evidente che le obiezioni principali all'attuazione dell'articolo 11 della Costituzione siano state relative all'invasione dei lavori parlamentari da parte della Corte costituzionale. Mi sembra evidente perché, nella misura in cui si prevede una procedimentalizzazione che è richiamata in una fonte di rango costituzionale, a quel punto il procedimento legislativo cessa di essere una zona sostanzialmente franca e diventa, invece, una zona di pieno intervento della Corte costituzionale.
  È stato ricordato prima come certamente la legge di revisione costituzionale respinta dal voto popolare il 4 dicembre ponesse esattamente questi medesimi problemi, perché la Corte sarebbe entrata, e anche pesantemente, nel procedimento legislativo. Accade lo stesso qui? Innanzitutto bisogna ricordare che il problema è molto rilevante, soprattutto dopo la sentenza n. 251 del 2016, la sentenza sulla cosiddetta legge Madia. In merito mi permetto di richiamare l'attenzione della Commissione, che lo conoscerà senz'altro meglio di me, a riflettere bene sull'importante parere del Consiglio di Stato del 17 gennaio, meno di un mese fa. Pag. 15
  In quel parere del Consiglio di Stato, molto opportunamente, si cerca di delimitare il campo dell'applicazione del principio di leale collaborazione nel procedimento legislativo. La Corte costituzionale è stata a dir poco sintetica, dedicando pochissime righe per rovesciare una pregressa giurisprudenza che non aveva mai riconosciuto l'estensione del principio di leale collaborazione al procedimento legislativo, se non con accenni molto indiretti in alcune pronunce, in cui quasi di fatto lo si era previsto, ma non lo si era mai teorizzato.
  Nella parte finale la Corte costituzionale fornisce delle indicazioni molto sintetiche sul sequitur di quella sentenza. Il parere del Consiglio di Stato, con molta lucidità, definisce i limiti del coinvolgimento del principio di leale collaborazione nel procedimento legislativo e ci dice che in quel caso ci si è limitati alla delegazione legislativa. Non si può pensare che tutto questo riguardi, invece, il comune procedimento legislativo, altrimenti saremmo, francamente, alla paralisi della produzione legislativa.
  Detto questo, ossia che il problema è molto rilevante, occorre, a mio parere, una lettura adeguata tanto del primo, quanto del secondo comma dell'articolo 11, una lettura che, per un verso, è ampliativa e, per un altro, è restrittiva.
  Il primo comma dell'articolo 11 consente ai regolamenti parlamentari di prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni e degli enti locali in questa Commissione, la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Sottolineo che si tratta di una facoltà dei regolamenti parlamentari. I regolamenti non sono tenuti.
  Si riferisce questo all'integrazione ai fini del procedimento legislativo? La risposta, a mio parere, è no. L'integrazione può essere disposta per molteplici funzioni. Alcune delle proposte, anzi tutte le proposte di legge relative all'attuazione dell'articolo Pag. 1611 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – prendo una per tutte questa Zeller ed altri nella XIV legislatura, Atto Camera 1956 – dicono che per le funzioni stabilite dai Regolamenti parlamentari ai sensi dell'articolo 11 vale la Commissione integrata.
  Quali sono queste funzioni? Non si tratta soltanto della funzione legislativa, ma può trattarsi di tante altre. Penso a una cosa importante, che sarebbe anzi decisiva, ossia la fase ascendente nelle decisioni dell'Unione. Sarebbe un passo molto serio. L'integrazione della Commissione si potrebbe immaginare anche per profili che non riguardano il procedimento legislativo.
  Questo ci attesta che è possibile un'interpretazione ampliativa ed estensiva dell'articolo 11, ma è possibile, e anzi doverosa, anche un'interpretazione restrittiva, in particolare del comma 2. Il secondo comma – richiamerei l'attenzione della Commissione su questo passaggio – riguarda i casi in cui, per un progetto di legge riguardante determinate materie, la Commissione parlamentare per le questioni regionali – attenzione – è integrata ai sensi del comma 1. Questo inciso è importante: «integrata ai sensi del comma 1». Cosa vuole dire? Vuole dire che è lasciata pienamente alla discrezionalità dei regolamenti parlamentari la determinazione dei casi in cui la Commissione deve essere integrata.
  Questo che cosa significa? Significa che si può risolvere in modo procedimentale il problema dei problemi, ossia come interpretare il riferimento del comma 2 ai progetti di legge «riguardanti le materie». «Riguardanti le materie» può voler dire tante cose, non è soltanto «nelle materie», ma «riguarda» le materie. Ci potremmo trovare nella condizione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale degli ultimi quindici anni, di dover dire che c'è sempre un riguardare le materie dell'articolo 117, terzo comma, perché l'intreccio tra le materie Pag. 17del secondo, del terzo e del quarto è fatale, diciamo così. Questo intreccio è fatale.
  Per evitare questo e per evitare, dunque, che la Commissione finisca sostanzialmente per dover essere una sorta di terza Camera, ancorché con funzioni consultive, chiamata a intervenire sempre e costantemente nel procedimento legislativo, si potrebbe ragionare sul modo in cui la stessa Commissione, in composizione non integrata, determini, non solo in astratto, ma anche in concreto, progetto per progetto, le ipotesi in cui debba essere integrata.
  Questo perché? Perché una definizione in astratto è molto difficile. Noi studiosi ci siamo trovati tante volte a cercare di identificare cosa significhi specificamente una determinata materia, ma è fatale. Non si può definire in astratto. La giurisprudenza costituzionale è arrivata, alla fine, a conclusioni altrettanto disperanti dal punto di vista della definizione delle questioni.
  Ho l'impressione, quindi, che la formula sia molto ampia, con riguardo al «progetto di legge riguardante le materie», ma, poiché la Commissione che deve rilasciare il parere è quella che è integrata ai sensi del comma 1 e poiché l'integrazione ai sensi del comma 1 è nel dominio dei Regolamenti parlamentari, sono i Regolamenti parlamentari che possono definire procedimentalmente i casi e i modi in cui la Commissione viene integrata.
  Questo avviene per evitare che si debordi e – lo dico esplicitamente – per anticipare le critiche di coloro che suggeriscono di non attuare questo articolo 11, perché, se attuiamo l'articolo 11, la Commissione per le questioni regionali diventa un «mostro» che poi si divora l'intero procedimento legislativo.
  Chiudo con un'ultima osservazione. Restano le Conferenze e le intese. L'attuazione dell'articolo 11 è un passo in avanti verso il regionalismo cooperativo, anzi, sarebbe auspicabilmente un Pag. 18passo in avanti nella direzione del regionalismo cooperativo, ma non smentisce la necessità delle Conferenze e delle intese.
  In proposito ribadisco un punto al quale tengo: facciamo attenzione alle intese bilaterali. Le intese bilaterali, che si sono moltiplicate nel dominio della finanza pubblica, sono un rischio, perché le intese bilaterali consentono, in particolare allo Stato, di distribuire risorse in modo estremamente discrezionale, anche perché tra i due contraenti è evidente come ci sia un contraente più forte dell'altro.
  Questo contraente è, appunto, lo Stato. Ogni volta che consentiamo le intese bilaterali, corriamo il rischio che ci sia una discriminazione, una disparità di trattamento, tra l'uno e l'altro ente autonomo in ragione di scelte politicamente discrezionali dello Stato.
  Credo di potermi fermare qui.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Luciani. Ci sono colleghi che vogliono rivolgere delle domande? Se siete soddisfatti, non c'è bisogno della replica.
  Ringrazio il professor D'Atena e il professor Luciani e ricordo ai colleghi che noi proseguiremo le nostre audizioni con l'audizione del Sottosegretario Bressa.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.40.