XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 51 di Mercoledì 8 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 3 

Audizione di Adriano Chiò, professore associato di neurologia presso l'Università di Torino:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 3 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 3 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 3 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 3 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 7 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 7 
Pili Mauro (Misto)  ... 7 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 8 
Pili Mauro (Misto)  ... 8 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 8 
Pili Mauro (Misto)  ... 8 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 8 
Boldrini Paola (PD)  ... 8 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 8 
Boldrini Paola (PD)  ... 8 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Chiò Adriano , Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIAN PIERO SCANU

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione di Adriano Chiò, professore associato di neurologia presso l'Università di Torino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professore associato di neurologia presso l'Università di Torino, Adriano Chiò, al quale do il benvenuto anche a nome dei colleghi, ringraziandolo per la graditissima presenza.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove la Commissione consentisse, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Grazie ancora, professore, per la sua graditissima presenza. Professore, l'argomento è la SLA. È in ragione delle sue competenze, della sua esperienza e della sua chiara fama che abbiamo ritenuto di doverle proporre questa audizione, perché, come lei ben sa, la nostra Commissione indaga in ordine a tutte le possibili problematicità o patologie conseguenti che possono verificarsi ai danni dei militari o anche del personale civile coinvolto nelle attività militari.
  La prima domanda è la seguente: nello svolgimento della sua attività, professore, si è occupato della SLA? È una domanda retorica, ma la devo porre per ragioni di tipo tecnico. In quali sedi e sotto quali aspetti?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Buon pomeriggio a tutti e grazie dell'invito e della fiducia. Sì, mi sono occupato di SLA. In realtà, mi occupo di SLA da circa trent'anni. Gran parte della mia attività si svolge presso l'Università degli studi di Torino, addirittura a partire dalla mia tesi di laurea, quindi è una specie di condanna che ho nella mia vita.
  Uno degli ambiti di particolare interesse della mia ricerca è quello epidemiologico. Io sono partito proprio a lavorare sull'epidemiologia. Oggi i miei interessi si sono estesi alla genetica, alla patologia eccetera, quindi il lavoro sulla SLA è più ampio, però la parte epidemiologica, che è quella che ha maggiore rilievo per il contesto in cui ci troviamo, è un ambito di mio interesse particolare.

  PRESIDENTE. Le risulta, professore, che negli Stati Uniti tra i veterani della guerra del Golfo sia stata riscontrata un'incidenza di SLA che ha indotto le autorità di quel Paese a riconoscerla come malattia connessa al servizio militare e, dunque, come malattia indennizzabile per tutti i veterani che abbiano prestato servizio per più di 90 giorni.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Esatto. A partire dall'inizio di questo secolo, dal 2000-2001, si sono iniziate ad accumulare delle evidenze di rapporto fra la SLA e il servizio militare, in realtà inizialmente rivolte allo studio di militari Pag. 4che erano reduci della prima guerra del Golfo, cioè la guerra del 1991-1992.
  A seguito delle informazioni che si sono raccolte, la Veterans administration, che è una struttura negli Stati Uniti che ha una funzione sanitaria e sociale per tutti i militari, ha riconosciuto la SLA come malattia professionale per tutti i militari, indipendentemente dall'essere stati o meno impiegati nella guerra del Golfo o in altre missioni all'estero.

  PRESIDENTE. A meno che non fosse implicito nella sua risposta, ci può dire a suo giudizio quali sono le motivazioni che stanno a fondamento di questa decisione intervenuta negli Stati Uniti?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Certamente, io ho preparato un po’ di diapositive a questo proposito per illustrarvi un po’ il percorso che è stato svolto. Mi permetterete il mantenimento di un punto interrogativo.
  Non vi parlo della SLA ovviamente, ma sapete tutti benissimo che è una malattia dei motoneuroni di tipo degenerativo, che determina un'alterazione delle funzioni motorie. Abbiamo informazione allo stato attuale che circa il 10 per cento dei pazienti con SLA hanno delle forme con mutazioni genetiche e la restante parte è multifattoriale.
  Sono stati studiati e vengono studiati ampiamente una serie di possibili fattori ambientali. L'idea è che la SLA sia un insieme di una predisposizione genetica e di fattori ambientali che determinano lo scatenamento della malattia. Qui c'è un elenco, peraltro del tutto incompleto, di fattori che sono stati studiati: l'esercizio fisico, il calcio, il fumo di sigaretta, i metalli pesanti, i pesticidi, alcune attività professionali (vedete il servizio militare), gli shock elettrici e le cianotossine.
  La base di tutto è la prima guerra del Golfo, in cui furono impiegati circa 600.000 militari americani. La base principale stava in questa zona dell'Arabia Saudita. Attaccarono e liberarono il Kuwait e occuparono una parte meridionale dell'Iraq.
  Già a partire dalla fine degli anni 1990, quindi sette-otto anni dopo, i rappresentanti dei veterani americani iniziarono a dire che c'era un aumento di alcune patologie, in modo particolare della SLA. Ad esempio, questo è un editoriale uscito nel 1999 sul Washington Post che riportava i primi 28 casi raccolti tra i veterani della guerra del Golfo.
  È importante ricordare che si trattava in genere di soggetti giovani. La SLA è una malattia che colpisce prevalentemente le persone da 60-70 anni e oltre, mentre qui si trattava di soggetti con 30-40 anni ovviamente, essendo militari impiegati direttamente nella guerra del Golfo. Questo numero cominciò a far emergere qualche dubbio.
  Il primo lavoro pubblicato, che in realtà non si occupava solo di SLA, ma anche di altre patologie, confrontò i veterani impiegati nella guerra del Golfo con i veterani non impiegati nella guerra del Golfo, rilevando un aumento di rischio corretto per età di uno a 66. Ciò vuol dire che i veterani avevano il 66 per cento in più di rischio rispetto ai non veterani, ma questo rischio non era significativo, quindi il primo dato non era così chiaro. Siamo nel 2000. È importante la sequenza temporale.
  Questo è praticamente dello stesso periodo. Si continua a dire che c'è qualche cosa, ma non c'è molto.
  Nel 2003 abbiamo cominciato ad avere un periodo più lungo di osservazione e a questo punto si osservavano 40 casi contro 67 negli attivi ma non nella guerra del Golfo, con un rischio di circa due volte maggiore per quelli impiegati nella guerra del Golfo. Questa volta il rischio risultò significativo, cioè si cominciò a vedere che c'era un rapporto statistico tra la SLA e l'essere stati veterani nella guerra del Golfo.
  Tra l'altro, con uno studio molto bello di analisi spaziale si vide che quelli più colpiti erano i veterani che, guarda caso, erano impiegati nelle zone di operazione vicino al Kuwait e non tanto quelli che, invece, si trovavano in zone più lontane. Infatti, i militari ovviamente erano presenti Pag. 5 un po’ in tutta l'Arabia Saudita nelle retrovie.
  Questo lavoro fu criticato per alcuni aspetti di tipo metodologico. È importante sottolineare che vi è discussione su questo tipo di dati.
  Un altro lavoro molto più interessante, secondo me, è questo che va a rilevare proprio i casi con età molto giovane. Per la SLA sotto i 45 anni vuol dire giovanile. Voi vedete che il rischio nei giovanili è di due volte 27, cioè c'è un forte aumento di rischio soprattutto nei soggetti giovani, con un'età di insorgenza molto bassa.
  Tra l'altro, è esattamente quello che si rilevò negli studi fatti sui calciatori professionisti italiani. Fu esattamente lo stesso fenomeno.
  Questo fu seguito da altri lavori, come quello del 2005, e man mano si è allargato. La cosa più rilevante è che in questo lavoro di Ascherio assai interessante l'analisi è su tutti i militari, non solo sui militari che avevano operato nella guerra del Golfo. Rispetto a militari non operativi il rischio è aumentato particolarmente in alcune armi, non nei marines, ma in altre.
  Alla luce di questi dati, nel 2008 avviene quello che si è detto prima: la Veterans administration, naturalmente sulla base del dipartimento corrispondente (negli Stati Uniti c'è un dipartimento della difesa e un dipartimento degli affari dei veterani) riconosce la malattia per tutti i militari come malattia connessa al servizio militare. Viene, quindi, accettato un rapporto.
  Si può trovare facilmente in rete l'intera relazione, che usa la definizione – questo è interessante – «limitate e suggestive evidenze». Questo è il documento ufficiale. Ovviamente vi lascerò le diapositive. Potete facilmente scaricarlo. È un lungo documento, peraltro redatto da un gruppo di ricercatori di altissimo livello, che giunge a questa conclusione in modo definitivo.
  Tra l'altro, questa conclusione non è nata all'interno del sistema militare, ma nell'Institute of medicine dell'Accademia nazionale di medicina, quindi è un organismo esterno ai militari che dà questo tipo di informazione. Queste sono le conclusioni più dettagliate.
  Vi sono certamente una serie di problemi ancora oggi con questo tipo di dati sullo stretto piano scientifico.
  Quale può essere la causa? Le spiegazioni date sono tantissime. Questo è un documento pubblicato sulle varie ipotesi: gli effetti dei fuochi dei pozzi petroliferi a cui diedero fuoco le truppe di Saddam prima di ritirarsi; la vaccinazione anti-antrace, i campi elettromagnetici, ovviamente l'uranio impoverito, l'esercizio fisico strenuo eccetera. Nessuno di questi è stato dimostrato ancora con certezza.
  L'ipotesi valida oggi è questa: servizio militare, alcune esposizioni particolari, suscettibilità dell'individuo (forse genetica) e, quindi, comparsa di meccanismi dannosi e di malattia. Si tratta dell'interazione tra l'evento militare o qualcosa connesso con l'attività militare e la presenza di una suscettibilità.
  Se me lo chiederete, dopo vi dirò cosa è successo in seguito con questo tipo di attività.

  PRESIDENTE. Professore, che cosa significa il fatto che sia stata riconosciuta dall'amministrazione americana come malattia professionale? Vuol dire che è stata superata l'esigenza di dimostrare il cosiddetto «nesso di causalità»?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Assolutamente sì. Sulla base di quella relazione che vi ho fatto vedere (la base è quella), il ministero ha riconosciuto. Pertanto, al militare americano che sviluppa la SLA durante l'attività militare, quindi ancora in servizio, o già in pensione è comunque riconosciuta la malattia professionale, non deve dimostrare nulla.

  PRESIDENTE. Lo stesso provvedimento di cui lei ci ha appena parlato è stato adottato anche in altri Paesi?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. C'è un provvedimento analogo lievemente successivo Pag. 6 in Canada. In Canada il provvedimento ha delle caratteristiche diverse, perché il servizio sanitario canadese, come sapete, è molto più simile al nostro, per cui per i canadesi è riconosciuta come causa di servizio, ma quello che succede è soprattutto uno sveltimento di tutte le pratiche necessarie per l'ottenimento di benefici.

  PRESIDENTE. È possibile ipotizzare un periodo di latenza per la comparsa della SLA dopo l'esposizione a un fattore ambientale? Lei ha tratteggiato fra le varie possibili cause ciò che conduce a una multifattorialità. Vogliamo tornare, per piacere, su questo argomento, magari, se crede, mandando le slide che ci aveva preannunciato? Conduca lei.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. È pressoché certo, in realtà, che il meccanismo patogenetico con causale ambientale ha una lunga latenza.
  Di quella successione di studi che vi ho fatto vedere, i primi, quelli cioè eseguiti molto presto, dopo la guerra del Golfo, non erano significativi, perché ancora non si era superato il livello di latenza, quindi alcuni soggetti avevano già sviluppato la malattia, ma altri non l'avevano ancora sviluppata. In realtà, si è visto che la latenza era di circa dieci anni e il picco di malattia è comparso successivamente, nel periodo che va dal 2001-2002 al 2005-2006, ovviamente con casi successivi.
  In generale nelle malattie neurodegenerative questo è un qualcosa che conosciamo abbastanza bene. In realtà, succede anche in ambito oncologico. L'evento causale è seguito da una serie di processi di alterazione biochimica cellulare che solo dopo un certo numero di anni sfociano nel reale processo di malattia, tanto che in qualche caso noi riusciamo anche a vedere dei segnali di malattia prima che la malattia ci sia. Sicuramente in alcune patologie questo è molto chiaro, ad esempio nella malattia di Parkinson.
  Anche nella stessa SLA e nei portatori sani di mutazioni genetiche noi, attraverso alcune indagini, riusciamo già a vedere delle alterazioni a livello cerebrale molto prima della comparsa dei sintomi.

  PRESIDENTE. Ci aveva annunciato delle slide.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. In realtà, il sistema dei veterani ha lavorato in un modo molto particolare. Credo che sappiamo tutti che il sistema sanitario americano è completamente diverso dal nostro e soprattutto di fatto non esiste come tale, anche se la riforma Obama ha fatto qualcosa.
  Il sistema dell'amministrazione dei veterani è molto particolare, perché è un sistema pubblico che copre tutti i veterani e le famiglie per tutta la vita, quindi funziona in modo molto simile al nostro sistema sanitario.
  Quello che hanno fatto è stato dare a questi soggetti, non solo il riconoscimento, ma tutto il servizio completo. Questi soggetti ricevono terapie, fisioterapia, tutto quello che da noi viene dato abitualmente. In America non è così, se non sei assicurato, e neanche le assicurazioni forniscono tutto.
  È stata una cosa che ha dato a questa popolazione davvero un notevole miglioramento per tutto il sistema assistenziale. Hanno soprattutto costituito un registro nazionale dei veterani con SLA. Questo lavoro ci dice che tra il 2003 e il 2007 hanno identificato 2.100 casi tra i veterani, che è un numero molto grande. Pensiamo che in Italia, dove ci sono 60 milioni di abitanti, noi abbiamo 1.500 nuovi casi all'anno, mentre negli USA ne hanno avuto 2.100 sulla popolazione dei veterani, che è ampia, ma non così ampia come la popolazione italiana.
  Inoltre, hanno investito sulla ricerca. Questa è la biobanca dei tessuti. Tutti i veterani possono donare tessuti, compreso il cervello, per la ricerca. La Veterans administration dà un grosso finanziamento annuale su bando per la ricerca sulla SLA, quindi ha fatto un lavoro molto più ampio del semplice riconoscimento della malattia professionale. Pag. 7
  In questa slide vediamo il Veterans affairs of Canada. Questo è un dato del 2013 che mostra un aggiornamento dei benefici che hanno dato in Canada, dove però – lo ripeto – il servizio sanitario funziona in modo simile al nostro, quindi il loro intervento è un po’ più limitato.

  PRESIDENTE. Sono state fatte indagini epidemiologiche su modello di quelle statunitensi in Canada?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. No, non ne ho trovate. Teniamo conto che il Canada ha molti meno militari e, quindi, ha meno...

  PRESIDENTE. Il passo è breve per tornare a casa nostra. Le risulta che sui militari italiani siano state fatte delle indagini di carattere epidemiologico in relazione a questa malattia?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Non credo che siano mai state fatte indagini specifiche sui militari italiani.

  PRESIDENTE. Se lei dovesse dare un consiglio, quali studi a suo giudizio dovrebbero essere effettuati?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Sono possibili diversi approcci. Un approccio teorico potrebbe essere quello di fare un caso-controllo utilizzando dei dati di popolazione, dove ci sono. Il problema è che il numero di casi è piccolo, per fortuna. Dal punto di vista epidemiologico questo limita, perché nella popolazione italiana i militari sono relativamente pochi.
  Forse la cosa più produttiva potrebbe essere uno studio di coorte, un po’ simile a quello che si era eseguito sul calcio, identificando una coorte di soggetti militari che erano a rischio, ad esempio coloro che erano militari in un certo periodo, per poi andare a vedere negli anni successivi cosa è successo. Si tratta di ricostruire una coorte del passato e osservare quanti di questi hanno sviluppato la malattia. Così facendo, si può andare a verificare il numero e la frequenza in un modo più diretto, riducendo il problema del limitato numero di casi che ci aspettiamo di trovare.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Io vorrei fare una domanda sull'analisi che è stata fatta. Non abbiamo letto l'articolo che lei ha citato sul lavoro che è stato fatto. L'analisi epidemiologica è stata fatta su base statistica o sono state svolte anche indagini di tipo ambientale sulla multifattorialità, per verificare se ci sono effettivamente state delle correlazioni tra le cose che hanno fatto, le missioni alle quali hanno partecipato eccetera?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Sono tutte indagini epidemiologiche pure, in cui si è visto che c'è un aumento di rischio. Tutte le ipotesi fatte sono basate su teorie: ciò che sappiamo della malattia si è andato a ipotizzare che potesse essere un fattore connesso con i militari.
  Si sono fatte delle indagini particolari solo per le varie guerre e, quindi, sul rischio nelle varie guerre. Si è visto che il rischio era già aumentato nei reduci della seconda guerra mondiale (della prima non ci sono dati) e sicuramente in quelli della guerra di Corea. Ci sono invece pochissimi dati usciti sul Vietnam e questo è abbastanza curioso. Ovviamente poi c'è la guerra del Golfo.
  Sono le guerre in cui gli americani hanno impiegato più truppe. Gli americani sono spesso presenti in varie situazioni belliche, ma spesso si tratta di numeri molto piccoli e, quindi, non utilizzabili.

  MAURO PILI. Vorrei capire se le normative americane che lei ha studiato prevedono un nesso causale automatico soltanto per la SLA o anche per altre fattispecie Pag. 8 sempre relative al problema dei militari.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. No, solo per la SLA. In realtà, in uno dei lavori erano state studiate altre ipotesi, come il lupus eritematoso, ma non erano risultate significative e, quindi, non sono state inserite.

  MAURO PILI. Quindi l'introduzione soltanto della SLA è legato a quel parametro (1,) che è superiore?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Esatto, circa 1,82, che vuol dire un rischio raddoppiato rispetto alla popolazione di pari età e sesso.

  MAURO PILI. Quindi, qualora ci fosse un parametro superiore del doppio rispetto alla casistica oggettiva sul territorio, potrebbe essere una base per riconoscere il nesso causale automatico.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Io credo che a quel punto sia una scelta politica più che una scelta scientifica. Vi ho detto che a livello scientifico lo si considera un discorso non completamente chiuso. È stata una scelta ed è necessariamente così. Non credo che sia una risposta che si possa dare in assoluto.

  PAOLA BOLDRINI. La ringrazio, professore, anche per il linguaggio semplice, che può essere utile anche a noi per poter comprendere questa malattia terribile, che lei sta spiegando veramente in termini semplici per i non addetti ai lavori.
  Io le faccio una prima domanda. Possiamo eventualmente avere le diapositive?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Le ho scaricate.

  PAOLA BOLDRINI. Perfetto. Ho una domanda che è più che altro una mia curiosità personale, ma è importante lo stesso. Poiché negli ambiti militari, soprattutto in America, anche le donne hanno sempre partecipato a operazioni all'estero, in missioni internazionali e in maniera più frequente che da noi in tempi lontani, mi chiedo se questo tipo di casistiche sono state fatte con la stessa stratificazione fra maschi e femmine oppure solo in senso generale.
  Occupandomi di medicina di genere, vorrei capire se ci sono delle differenze fra la malattia riscontrata nei maschi e nelle femmine e qual è la percentuale.

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. È una domanda molto importante. In realtà, benché le donne nel servizio militare americano siano sicuramente molto più impiegate che in quello italiano, il numero delle donne era molto basso, per cui il risultato non è significativo.
  Detto questo, la SLA è una malattia che ha una preferenza di genere, che è quella maschile, anche se – si potrebbe aprire un discorso, ma non credo che c'entri molto col nostro – negli ultimi vent'anni abbiamo visto un fortissimo aumento del numero delle donne, tanto che il numero di donne e di uomini sta quasi diventando uguale.
  Ci sono degli altri fattori che stanno modificando. Nel caso italiano, non può essere ovviamente il fattore militare, ma questo tema può entrarci un po’. Noi partiamo dall'idea che ci sia una base genetica e questa è probabilmente simile, non ci sono differenze. Tuttavia, se cambia la frequenza delle donne, vuol dire che c'è un effetto ambientale che agisce sull'effetto genetico.
  Questo sicuramente è qualcosa che stiamo cominciando a vedere. Nei nostri dati del registro piemontese, che esiste dal 1995 e che in Italia è il più antico registro dedicato alla SLA, l'abbiamo visto nettamente. Stiamo lavorando sulle coorti di nascita, perché stanno venendo fuori dei dati interessanti proprio nel sesso femminile. Qualcosa sta succedendo. È chiaro che il dato epidemiologico ci propone un Pag. 9problema, non ci dà la soluzione, però c'è qualcosa.

  PRESIDENTE. Professore, lei ha appena fatto cenno al registro della regione Piemonte. In quali altre regioni, che lei sappia, esistono questi registri? Ci importa eventualmente il numero approssimativo. Il senso della domanda riguarderebbe l'intero Paese. Una banca dati nazionale sulla SLA esiste oppure no?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. In teoria esiste ed è il registro malattie rare dell'Istituto superiore di sanità, che dovrebbe ricevere da tutte le regioni le certificazioni di malattia rara per la SLA.
  Il problema è che, essendo un registro secondario, riceve quello che riceve. In alcuni casi i dati provenienti dalle varie regioni non sono così brillanti e, quindi, il registro, pur essendo molto attivo, allo stato attuale non è del tutto completo.
  Vi sono poi alcune iniziative locali: oltre al nostro registro, dal 2007-2008 c'è un registro in Emilia Romagna, ce n'è uno più recente in Liguria, c'è un registro pugliese, che ha lavorato molto bene, ma con delle interruzioni già a partire dal 1998, e un registro in Lombardia, che ha ugualmente lavorato con delle interruzioni.
  In realtà, la maggior parte dei registri attivi è nel Nord Italia e, quindi, abbiamo dati piuttosto modesti purtroppo per la parte del Sud e Centro Italia.

  PRESIDENTE. Le pongo una domanda estemporanea, che potrebbe rappresentare una bestemmia. Lei non me ne voglia, ma apprezzi il coraggio, a meno che non sia l'incoscienza.
  Lei ci ha descritto molto bene le cause probabili, se non addirittura certe: l'elemento genetico e altri fattori che conducono alla multifattorialità. Applicato nell'ambito del servizio militare, visto che questa attività è individuata come un possibile elemento che può concorrere a questa malattia, la domanda ardita è questa: esiste, magari anche in maniera remota, una profilassi su questa malattia?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. Temo di no al momento, perché i dati che abbiamo, anche sui possibili fattori ambientali, sono molto deboli.
  L'unico che viene riconosciuto per la maggior parte è il fumo di sigaretta, anche se nessuno riesce a capire il nesso biologico. Tuttavia, l'aumento del rischio da fumo di sigaretta è di 1,2, cioè del 20 per cento, molto più basso di quello che si osserva, ad esempio, nel caso specifico dei militari americani e di quello che si era osservato nei calciatori. Pertanto, è un rischio minimo. D'altra parte, credo che sul fumo di sigaretta dei tentativi di riduzione siano stati ampiamente fatti.
  Per il resto, sono una serie di fattori, ad esempio i traumi o l'attività sportiva in generale, per cui è difficile pensare a una prevenzione.
  Il problema sarebbe riuscire a capire qual è il sistema genetico che diventa il sistema a rischio. A quel punto, chi ha questo tipo di rischio potrebbe essere in qualche modo preavvertito di evitare di avere dei comportamenti che per specifiche persone sono a rischio. È un qualcosa di molto futuribile, però, allo stato attuale.

  PRESIDENTE. Un'errata sottoposizione alle vaccinazioni potrebbe concorrere o al momento non è stata indagata un'ipotesi di questo tipo?

  ADRIANO CHIÒ, Professore associato di neurologia presso l'Università di Torino. No, studi specifici non ce ne sono. Avete visto che sono state fatte delle ipotesi, ma nulla di particolarmente valido.

  PRESIDENTE. Professore, noi la ringraziamo tanto, perché, come ha appena detto la collega Boldrini, in maniera estremamente semplice e accessibile, anche per chi come me... Qua ci sono scienziati, per cui per loro è stato molto più semplice, ma io scienziato non sono e, quindi, devo cercare di accontentarmi delle cose più elementari. Tuttavia, anche per me sono stati accessibili. La ringrazio. Pag. 10
  Vorremmo poter acquisire, come lei ci ha anticipato, il materiale didattico che ha utilizzato e vorrei pregarla di una cortesia. Non sappiamo fino a quando esisteremo, però fino ad allora, se lei ritenesse di doverci far pervenire delle documentazioni o magari di rivedersi sotto forma di audizione, le saremmo grati se lo facesse.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.