XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 7 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione del professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, Enzo Scandurra:
Causin Andrea , Presidente ... 3 ,
Scandurra Enzo , professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 3 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 5 ,
Scandurra Enzo , professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 5 ,
Causin Andrea , Presidente ... 6 ,
Scandurra Enzo , professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 6 ,
Causin Andrea , Presidente ... 7 

Audizione dell'assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma, Paolo Berdini:
Causin Andrea , Presidente ... 7 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 8 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 10 ,
Miccoli Marco (PD)  ... 12 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 13 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 13 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 15 ,
Causin Andrea , Presidente ... 16 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 16 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 17 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 18 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 18 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 18 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 18 ,
Miccoli Marco (PD)  ... 19 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 19 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 21 ,
Berdini Paolo , assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma ... 21 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 21 ,
Causin Andrea , Presidente ... 21 

Audizione del professor Giovanni Azzone, project manager della struttura di missione Casa Italia, e del professor Alessandro Balducci, esperto presso la struttura di missione Casa Italia:
Causin Andrea , Presidente ... 21 ,
Azzone Giovanni  ... 22 ,
Balducci Alessandro , esperto della struttura di missione Casa Italia ... 23 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 27 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 28 ,
Azzone Giovanni  ... 28 ,
Balducci Alessandro , esperto della struttura di missione Casa Italia ... 29 ,
Causin Andrea , Presidente ... 30 ,
Azzone Giovanni  ... 30 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 30 ,
Azzone Giovanni  ... 30 ,
Balducci Alessandro , esperto della struttura di missione Casa Italia ... 31 ,
Causin Andrea , Presidente ... 31

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Enzo Scandurra, professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Enzo Scandurra, professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al professor Scandurra, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  ENZO SCANDURRA, professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Penso che dovremmo partire dal fatto che le periferie non sono più esclusivamente un fatto geografico, ma oggi sono soprattutto un fatto sociale. Questo comporta che qualsiasi progetto, qualsiasi proposta facciamo per le periferie parta dal presupposto che non è più sufficiente – almeno nella maggior parte dei casi – un intervento puramente architettonico o urbanistico, anche se interventi di questo genere possono comunque migliorare le condizioni di degrado delle periferie.
  Mi soffermerei sulla capacità o meno di successo di questi interventi che si propongono o possono essere proposti, nel senso che spesso assistiamo a dei fallimenti, cioè interventi che sembravano assolutamente coerenti o animati da buoni propositi ma non riescono poi ad avere una presa o a modificare le condizioni della vita comune. Di questi insuccessi la storia dell'urbanistica in Italia è piena, a partire da uno degli insuccessi più illustri, quello della Martella, a Matera, dove ci fu una concentrazione di tutta l'intelligenza italiana di architetti, urbanisti, sociologi (c'erano Olivetti, addirittura l'antropologo De Martino) e si fece un progetto che poi non ha avuto successo, nonostante tutte le attenzioni che erano state poste. Per arrivare ai giorni nostri, dal punto di vista delle qualità architettoniche, estetiche e formali, non c'è dubbio che i progetti di edilizia residenziale pubblica siano di gran lunga superiori a quelli dei privati. Mi riferisco agli interventi di Tor Bella Monaca, di Corviale, di Laurentino 38 (tanto per fare degli esempi a Roma), realizzazioni che spesso qualcuno ha proposto di abbattere, perché si è parlato di abbattere Tor Bella Monaca e Corviale, mentre per Laurentino si è proposto un abbattimento parziale dei ponti. Queste cose sono assolutamente da escludere, nel senso che, nonostante le condizioni di degrado sociale, siamo di fronte a progetti che sul piano architettonico formale sono notevoli, Pag. 4mentre sul piano urbanistico spesso si riscontra una carenza di infrastrutture e di servizi, e questo è uno dei motivi, delle cause o delle concause di fallimento degli interventi di edilizia pubblica. Credo che si debbano analizzare bene le condizioni per cui un certo progetto può fallire o trovare invece accoglienza da parte degli abitanti e quindi avere successo. Anche qui vorrei ricordare l'esempio del programma Cento piazze di Rutelli, esempio emblematico perché alcune di queste piazze hanno avuto successo, nel senso che gli abitanti hanno accolto con favore questi interventi, altre sono state addirittura osteggiate e per esempio al Quarticciolo una delle piazze sta per essere smantellata o gli abitanti propongono di farlo. Qual è il motivo che rende alcuni interventi di successo, accolti dagli abitanti e altri no? Penso che in linea generale se nel luogo in cui vogliamo realizzare il nostro progetto esistono manifestazioni anche latenti di una vita collettiva, di relazioni sociali già sviluppate, di manifestazioni di convivialità, il progetto di una piazza o di una qualsiasi altra infrastruttura di servizio (un luogo per la musica, una biblioteca) possa addirittura far sviluppare questa tendenza latente alla vita collettiva; laddove invece non esista questa manifestazione anche in potenza, interventi di questo tipo rischiano di essere non soltanto fallimentari, ma addirittura controproducenti, perché la popolazione li accoglie come un gesto di colonizzazione culturale, perché rispetto ai tanti problemi economici, di occupazione e di lavoro che affliggono gli abitanti delle periferie, interventi di questo genere, nel caso di assenza di manifestazioni anche in potenza di vivere insieme, possono essere controproducenti. Ho letto su qualche rivista che ad esempio a Tor Bella Monaca una famiglia che si presti a tenere la propria casa come deposito di droga può arrivare a guadagnare anche 4.000 euro al mese, così come il giovane che fa il palo in qualche incrocio delle strade per avvertire le persone che fanno attività illegali dell'arrivo della polizia può arrivare a guadagnare 100 euro al giorno. In queste situazioni è facile che gruppi organizzati di piccola criminalità diffusa riescano a esercitare un vero e proprio governo del territorio, per cui le famiglie oneste al più si chiudono in casa e ogni manifestazione collettiva, che è l'anima di un quartiere, diventa impossibile. Credo che si debba contrastare questa tendenza, perché talvolta si confonde il degrado edilizio e architettonico con il degrado sociale. Credo (lo dico senza paura di essere smentito) che per esempio Tor Bella Monaca sia un quartiere bello, nel senso che c'è molto verde, ci sono spazi, c'erano attrezzature, c'era anche un teatro ormai poco utilizzato, cioè quello che ogni quartiere dovrebbe e vorrebbe avere. Il problema è che non c'è alcuna manutenzione, alcuna gestione, e in situazioni di degrado economico e sociale questi spazi vengono addirittura utilizzati per attività criminali o illegali.
  Come può essere pensato un intervento? Innanzitutto bisogna conoscere molto bene questi posti, bisogna capire come funzionano, come vengono utilizzati gli spazi, e poi cercare di fare leva sulle manifestazioni latenti da parte dei giovani. Ho frequentato abbastanza il quartiere di Tor Bella Monaca e ho visto che ci sono molti giovani curiosi e disponibili ad attività culturali, di incontri, di scambi, però questi giovani sono in un paesaggio sociale che contrasta con questa loro disponibilità. Bisognerebbe favorire queste tendenze, il che significa per esempio creare un luogo dove si possa fare della musica, che credo sia una manifestazione importante in questi quartieri.
  L'altro aspetto che costituisce una delle concause principali del degrado è il mancato controllo nell'assegnazione degli appartamenti da parte degli enti che dovrebbero farlo. Sappiamo benissimo che c'è una sorta di autogestione di questi appartamenti, che interi palazzi e condomini decidono chi debba occupare gli appartamenti che rimangono liberi e chi non debba farlo, e questo è un problema enorme, perché è chiaro che si favorisce un'attività illegale di privatizzazione di questi beni pubblici: un problema rilevante su cui si deve intervenire, altrimenti questo regime Pag. 5non dico di anarchia, ma di lasciar fare, dilaga nel quartiere.
  Per terminare questa riflessione credo che difficilmente interventi di sola manutenzione architettonica, di solo restauro o di sola progettazione urbanistica possano essere risolutivi e tali da innescare una tendenza di contrasto al degrado, perché per avere successo devono essere sempre accompagnati dalla conoscenza di quel quartiere o di quel luogo, ma anche favorire tendenze che sono latenti, ma che esistono soprattutto da parte dei giovani, ma anche delle famiglie, che possono uscire allo scoperto, perché in condizioni di criminalità diffusa queste tendenze tendono a non manifestarsi. Penso che attività come il cinema all'aperto possano trovare l'accoglienza di molte famiglie, come anche l'apertura di luoghi in cui i giovani possano manifestare le proprie vocazioni alla musica, al canto o alla lettura. Dico questo anche in relazione al problema delle aree dismesse, spesso presenti in queste periferie. Certo anche questo va osservato con attenzione, nel senso che esperienze di autogestione spesso falliscono: se diamo un locale a dei giovani perché facciano musica, non è detto che lì si svolgeranno delle manifestazioni musicali, quindi può diventare un luogo che lentamente si degrada fino a cambiare la sua vocazione. Penso che queste proposte dovrebbero essere sempre accompagnate da operatori che almeno per un lasso di tempo, finché non si riesce a creare una struttura reale di autogestione, dovrebbero accompagnare queste iniziative, che non possono essere semplicemente delegate ai giovani del posto.

  CLAUDIA MANNINO. Mi è parso di capire che il professore distingua due tipologie di intervento, una in un ambito urbano già socializzato, in cui eventuali interventi da parte della pubblica amministrazione possono essere solo conseguenza di alcune attività che gli abitanti già propongono in maniera spontanea, un'altra da riferirsi a quei quartieri che invece vivono una situazione di degrado, laddove mancano le infrastrutture e tutta una serie di adempimenti che quell'insediamento avrebbe dovuto avere, ma non sono stati realizzati. Per questa seconda tipologia il professore suggerisce, oltre alla conoscenza dei luoghi, anche l'incentivazione di quelle che ha definito manifestazioni latenti di quel territorio. Nell'ambito degli obiettivi di questa Commissione, ossia di fornire alla fine di quest'anno di lavoro una sorta di linea guida o una risoluzione per indirizzare i governi alla tipologia di finanziamenti da erogare sui vari territori nel momento in cui si prevede una programmazione per il recupero di una realtà degradata, vorrei sapere come lei reputi l'attività che si è fatta su Roma, ma anche su tante altre città d'Italia, in questi ultimi anni, di delegare all'attività dei privati la capacità di realizzare quanto dal mio punto di vista avrebbe dovuto fare la pubblica amministrazione. Quindi, a Roma abbiamo visto i consorzi, le cooperative, queste speculazioni o comunque questi insediamenti fuori dal Grande Raccordo Anulare, alcuni dei quali stanno dando molti problemi. Le chiedo allora un parere, che secondo me non è scontato, su quello che deve essere il ruolo della pubblica amministrazione sia a livello locale, sia a livello centrale nel momento in cui si eroga un certo tipo di finanziamenti e come contestualizzarli.

  ENZO SCANDURRA, professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Credo che il ruolo della pubblica amministrazione sia rilevante, sia a livello locale sia a livello centrale. A livello centrale uno dei problemi che bisogna affrontare è il controllo dell'assegnazione (parlo dell'edilizia residenziale pubblica, questo può fare l'amministrazione) e della gestione degli alloggi, cioè bisogna battere questa tendenza per cui ormai sono gli stessi abitanti del posto ad avere la funzione di assegnare o di controllare gli alloggi di edilizia residenziale.
  A livello locale credo si possano fare tantissime cose. Ho visto ad esempio che a Tor Bella Monaca esistono spazi di verde enormi ma incolti, alcuni addirittura impenetrabili, c'era un laghetto (l'ho visto l'ultima volta, ma non giurerei che ci sia ancora), quindi ci sono zone naturalistiche interessanti. Possibile che non si riesca a Pag. 6trovare un modo di utilizzare i giovani in queste attività che potrebbero produrre un certo reddito a livello locale, cioè chi taglia l'erba, chi pota le siepi, chi fa manutenzione dei vialetti? Al di là del fatto occupazionale, che già di per sé è problema, questo significa invertire la tendenza al degrado in questi luoghi, dare la sensazione che c'è una speranza, perché credo che questa sia la differenza tra le periferie di oggi e quelle del passato. Negli anni ’50 e ’60 nelle periferie c'era questa forte speranza di riscatto, per cui prima o poi anche loro avrebbero avuto accesso alla città, ai beni e ai servizi della città, oggi nelle periferie c'è un clima di disperazione, l'idea che nulla potrà salvare da questa situazione. Fare manutenzione del quartiere, incentivare attività latenti soprattutto dal punto di vista culturale (musica, lettura, teatro) è quindi importantissimo. Certo c'è da chiedersi perché cose di questo genere siano fallite, perché a Tor Bella Monaca c'è un teatro in cui per anni Michele Placido ha fatto lezioni di teatro, ma, a parte che bisognerebbe comunque insistere su queste cose, credo che il problema sia quello di far nascere lì e potenziare questa vocazione, perché, se invece il modello viene importato, è molto probabile che fallisca. Questa è la cosa che mi sentirei di dire con maggior decisione.

  PRESIDENTE. Premesso che non sono architetto o urbanista, e le domande che le pongo sono frutto di questi tre mesi di lavoro e di suggestioni che abbiamo raccolto anche attraverso visite in loco, mi pare chiaro che a volte le modalità con cui sono stati fatti i contenitori hanno condizionato i contenuti dello stare insieme, cioè edifici o interventi urbanistici inefficaci nel mettere insieme le persone hanno prodotto una sorta di ghettizzazione o quello che lei giustamente ha definito colonizzazione. Su questo va sicuramente fatta una riflessione e la prima domanda è relativa all'esperienza dei contratti di quartiere. Alcune esperienze in Italia hanno funzionato, anche interventi di residenza pubblica, e hanno funzionato laddove i cittadini e le amministrazioni hanno costruito un percorso condiviso e sono arrivati a definire contenuti e modalità con cui poi si è svolto il progetto, cosa molto differente da quanto sta capitando con l'elaborazione del bando periferie (cosa che ci stiamo riservando di approfondire), dove a Roma ma anche in altre città la richiesta formulata dalle pubbliche amministrazioni dei denari attribuiti al mondo periferie è stata finalizzata a risolvere problemi e a fare interventi spesso distanti dai problemi più sentiti dalla gente. Vi è quindi una discrasia su questo, ed è una discrasia pericolosa, che potrebbe anche portarci a una fase in cui si possono spendere male anche ingenti quantità di denaro.
  La seconda suggestione che ho colto è questo legame tra l'incuria e la criminalità, non so se nasca prima l'incuria o prima la criminalità, però sicuramente in un blocco di appartamenti degradato è più facile che si insedi una situazione di microcriminalità. Sto scorrendo alcuni interventi chiesti sia dalle città metropolitane sia dai comuni capoluogo e mi pongo il problema della sostenibilità economica di alcuni interventi, perché, se non sono autonomamente sostenibili dal punto di vista economico nella realizzazione e nella gestione, mi pongo il problema di come oggi le amministrazioni pubbliche con i limiti di bilancio potranno provvedere alla lotta all'incuria. Il tema della sostenibilità economica di un intervento pubblico mi pare (e chiedo anche a lei) che non sia una variabile indipendente, cioè è molto bello che ci vadano la banda, l'associazione, il gruppo autogestito, i giovani che fanno musica o il centro anziani, però il rischio è che se non c'è un intervento in grado di generare economia e di sostenersi anche dal punto di vista economico, il percorso di incuria nel giro di qualche anno sia inevitabile e dopo l'incuria segue il degrado delle persone. Sono suggestioni sulle quali mi interessa conoscere la sua opinione.

  ENZO SCANDURRA, professore ordinario di urbanistica presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Torno sul tema dei fallimenti. Uno dei più emblematici è quello del quarto piano di Corviale, che era stato destinato a scuole, asili, negozi, non ha mai funzionato, addirittura Pag. 7poi è stato occupato e adesso è diventato un piano come tutti gli altri, abusivo.
  Io difendo molto il progetto di Corviale, ma lì non c'erano assolutamente le condizioni perché questa cosa potesse funzionare, nel senso che non si possono prendere delle persone e metterle in un edificio lungo un chilometro e poi dire: «fate la spesa al quarto piano», è completamente fuori dalle abitudini. Lo dico come riferimento, attenzione a interventi che sono fuori dai costumi, dalle abitudini, dai modi di fare degli abitanti.
  Il secondo è quello dell'incuria e della criminalità. Gli economisti conoscono la legge del banchiere inglese Gresham, il quale diceva che la moneta cattiva scaccia sempre quella buona, come dire che prevale sempre l'aspetto peggiore delle cose, è più facile, quindi certamente il tema dell'incuria e della criminalità sono molto legati tra loro, laddove l'incuria favorisce indubbiamente la criminalità. Se visitate Corviale o Tor Bella Monaca una cosa che colpisce è che quando state prendendo l'ascensore (ci sono edifici alti nove piani) c'è scritto «ascensore rotto», ma questo ascensore rotto è strano, nel senso che come fa una persona che sta al nono piano... poi si capisce perché accede soltanto chi fa parte di questo gruppo, nel senso che c'è una gestione di quell'edificio che è diventata privata, per cui l'ascensore o il citofono che non funziona sono congeniali a queste cose. D'altra parte, non c'è bisogno dei citofoni per sapere chi sta arrivando.
  La sostenibilità economica. Il gioco non è a somma zero: se si innescano dei fenomeni, capisco che non è facile, perché ci sono molti fallimenti alle spalle, molti tentativi, ma se si innesca un'inversione in queste periferie, per cui alcune attività come la musica, la cultura, la lettura riescono ad affermarsi, penso che il gioco non sia a somma zero, nel senso che producono esse stesse le condizioni perché proliferino e si affermino senza bisogno di un sostegno della pubblica amministrazione, è una scommessa da fare, nel senso che non sto dicendo che le cose vanno così, anzi le cose in genere non vanno così, però non abbiamo altre possibilità oltre a questa. D'altra parte, come tutti riconoscono, in Italia il problema delle periferie non è quello della Francia e di altri posti dove a partire dalle periferie si sono scatenate delle sommosse, però sicuramente anche in Italia il problema rischia di esplodere. Rimasi molto colpito dalla lettura del libro di Walter Siti, Il contagio, che parlava delle periferie quando dichiara di non aver mai conosciuto un borgataro riformista, cioè abbiamo a che fare anche con i giovani, con persone che vorrebbero vedere subito dei risultati. Non ho ricette (mi riferisco alla sua domanda sulla sostenibilità economica), se non questa intuizione che o si va nella direzione di incentivare e favorire alcune potenzialità in nuce in quel luogo oppure si sbaglia intervento. In questo caso il rapporto tra costi e benefici salta completamente, nel senso che non c'è nessun beneficio a fronte di un intervento, sia pure poco costoso.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il professor Scandurra per l'esposizione, ricordo che la Commissione ha il compito non soltanto di decidere come vengono spesi i soldi dei futuri governi, ma anche di fare una mappatura e fornire indicazioni legislative al Parlamento, quindi qualsiasi documento o indicazione vorrà dare nel corso del nostro lavoro saremo ben lieti di acquisirlo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta sospesa alle 10.50 riprende alle 11.40.

Audizione dell'Assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma, Paolo Berdini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'assessore all'urbanistica e infrastrutture del comune di Roma, Paolo Berdini, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione, invito che tra l'altro avviene dopo un paio di visite piuttosto approfondite di alcune zone periferiche della città di Roma, dove abbiamo avuto modo di renderci conto della realtà. Io non sono di Roma, la vivo tangenzialmente, ma è stato molto utile. Questa Commissione, Pag. 8infatti, si occupa del tema del degrado e del disagio nelle periferie e dovrebbe poi offrire, a fine legislatura, una serie di indicazioni sul piano dell'indirizzo della spesa pubblica, ma anche dell'indirizzo degli strumenti legislativi. Essendo Roma probabilmente la città più complessa dal punto di vista della quantità di popolazione e del modello di urbanizzazione che si è sviluppato negli anni, è diventata, anche per vicinanza della Commissione, che risiede a Roma, un luogo di indagine a carattere privilegiato.
  Le do la parola, con la riserva alla fine per me e per i colleghi eventualmente di porre delle domande. La ringrazio veramente per aver accolto l'invito.

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. Sono io che ringrazio voi. Credo che questa Commissione possa portare davvero alcuni spunti di innovazione nella legislazione. Come cercherò di dire, è proprio lì che troviamo gli elementi che hanno bloccato il recupero delle periferie in Italia, in particolare ovviamente a Roma, che ha la periferia più estesa delle città occidentali, e soprattutto di quelle più malmesse.
  Domenica avevo cercato una cosa carina per documentarmi e nell'automobile avevo un piccolo fascicolo straordinario. Il consiglio comunale di Roma, nel 1964, fa una commissione appunto comunale d'inchiesta sul problema – pensate un po’ – delle baracche. È un documento molto interessante, molto maturo. Sono gli anni in cui c'era un consiglio comunale di altissimo livello. Questo documento è stata la traccia per i grandi interventi. Siamo negli anni della 167, nella fase in cui si cerca di dare soluzione al problema di persone, di famiglie incapienti.
  Qual è il tema che vorrei affrontare con voi, pronto poi a rispondere a tutte le vostre domande? Quando si inceppa questo meccanismo? So che siete andati anche a Tor Bella Monaca, l'ultimo esempio di questa cultura che nasce da tutte le inchieste fatte, come quella che vi dicevo, del comune di Roma e poi nasce dall'attuazione della legge n. 167 del 1962. Il grande intervento di Tor Bella Monaca serve proprio per dare i servizi che mancavano a una gigantesca conurbazione abusiva che sta all'intorno. In questa grande area vuota vengono organizzati circa 30.000 abitanti – siamo su dimensioni molto consistenti – ma viene localizzata anche una serie di servizi, che fanno di Tor Bella Monaca, certo, un quartiere marginale dal punto di vista sociale, ma che ha alcuni elementi su cui dobbiamo ragionare. Ha l'unico liceo in periferia romana – mi riferisco alla periferia extra Raccordo Anulare – è l'unico quartiere che ha parchi degni di questo nome. Magari la manutenzione non è quella più adatta, ma il parco c'è. Tutte le scuole dell'obbligo sono assolutamente funzionanti, e peraltro anche gradevoli, sono progetti fatti da bravi architetti. Tor Bella Monaca è dunque l'esempio di come si poteva continuare, attraverso la mano pubblica, a recuperare le periferie più degradate di Roma.
  Vi parlo di periferie degradate non dal punto di vista sociale – in realtà, nelle zone abusive di Roma c'è ormai un mix di ceti sociali – ma dal punto di vista proprio fisico delle infrastrutture. Nelle periferie abusive intorno a Tor Bella Monaca non ci sono ancora i marciapiedi, in alcuni casi mancano addirittura – pensate un po’ – le fognature e l'illuminazione pubblica. Un bambino – è un esempio che cito sempre, molto banale, ma che dice molto – per andare a scuola, ha bisogno dei genitori, non può andarci da solo: mancando i marciapiedi, non siamo in sicurezza. È del 1980 la sentenza della Corte costituzionale che rimette in fila tutto il nostro ordinamento relativo agli espropri. Sulla base di questa sentenza, c'è una serie di ricorsi, che hanno portato a un grosso esborso di denaro pubblico da parte del comune, per ristorare la proprietà. È in quegli anni che si blocca la macchina dell'intervento pubblico, cioè tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta abbandoniamo gli interventi pubblici per ripiegare su una visione più privatistica, se posso esprimermi con molta sintesi. Che cosa succede, dunque? Al primo grande intervento di realizzazione dei piani di zona di Roma, che ha dato frutti secondo me di qualità, Pag. 9eccelsa come può essere Spinaceto, luoghi belli, in cui la gente vive bene e ha tutti i servizi, per passare a una miriade di piani di zona molto piccoli – siamo a 55 con la seconda variante del PEEP – che vengono però affidati tutti esclusivamente all'iniziativa privata. Mi spiego meglio. Crolla il pilastro dell'attuazione dei piani di zona pubblici, in quegli anni si tolgono risorse dal pubblico per darle ad altre filiere, per problemi di bilancio complessivo dello Stato su cui ovviamente non intervengo. Allora, siamo stati costretti a dare all'iniziativa privata... C'è da distinguere, perché una parte dell'iniziativa privata romana è di buon livello e di assoluta correttezza dal punto di vista etico e imprenditoriale, ma crolla la macchina. Attualmente, ci troviamo – l'avrete sentito, so che sono oggetto di un'altra audizione – a due sequestri giudiziari da parte della magistratura inquirente, uno a Montestallonara, uno dei 55 piani di zona, e un altro a Castelverde, un altro dei 55, perché non sono funzionate le cose. Che cosa succede? Questo è il crinale su cui vorrei ragionare con voi.
  La funzione di indirizzo e di controllo da parte delle amministrazioni pubbliche crolla. Tutto ciò che viene fatto all'interno di piani di zona viene fatto su iniziativa delle imprese, che si consorziano e hanno, da parte dell'amministrazione comunale, l'affidamento dei terreni, che vengono acquisiti attraverso forme più bonarie rispetto...non sono assolutamente a favore dell'intervento autoritativo per l'esproprio, ma certo mi rendo conto che, se non l'abbiamo, siamo legati esclusivamente a queste forme di acquisizione, che hanno portato a questo corrodersi della limpidezza della macchina attuativa dei piani di zona. Per la mancanza di controllo, abbiamo avuto la maggiorazione dei prezzi e tutto ciò che sapete, su cui non intervengo.
  La sintesi di quello che sostengo è che o torniamo a una visione pubblica dell'urbanistica, che è un mestiere pubblico – certo, l'urbanista intelligente sa che ha a che fare con l'iniziativa privata, e quindi deve trovare le forme opportune di remunerazione degli investimenti che solo i privati possono fare, ma è solo questo il compito dell'urbanistica. Se, invece, deleghiamo sia tutta la fase localizzativa, quella del disegno complessivo della città, sia la parte attuativa, abbiamo delle discrasie. Nei 55 piani di zona abbiamo così strade non asfaltate a fronte del completamento degli edifici privati: in Europa, questo sarebbe sanzionato con il cartellino rosso, se posso dire. Abbiamo strade non asfaltate, abbiamo ancora problemi di fognature. Se posso tornare a prima, è come se la città abusiva avesse invaso, anziché essere il contrario, la parte pubblica. Il fallimento parziale – è stato un intervento generoso, importante, quello di Tor Bella Monaca, che cercava di portare i servizi in una periferia che non li aveva – sembra che sia stato ribaltato: adesso è anche nei piani di zona che abbiamo necessità di questi interventi. In questa prima fase, molto breve come sapete, del mio assessorato, ho fatto fare un'indagine su quanto dovremmo mettere in bilancio nel comune di Roma per completare le urbanizzazioni in questi 55 piani di zona. Scusate, non ho detto prima che Roma è la città che ne ha il numero più elevato. Ne abbiamo quantità industriali, le altre città hanno 16-18 piani di zona e tanto basta. Forse, hanno avuto più possibilità di noi di controllare. Ci vuole l'amministrazione comunale di Amsterdam per controllare i 110 piani di zona che abbiamo noi.
  Secondo questa piccola inchiesta interna che ho fatto fare, dovremmo mettere in bilancio, per completare l'urbanizzazione primaria e secondaria – attenzione, quindi solo per strade, illuminazione e scuole – qualcosa come 80-100 milioni in questo primo screening. Capite che quella macchina che avevamo pensato per dare casa ai meno capienti e per dare una città dignitosa a persone sfavorite che stanno in periferia, è miseramente fallita se stiamo in deficit di 80-100 milioni su 50 piani di zona. Che vi dico a fare del debito del comune di Roma?
  Tocco l'ultimo punto, se mi posso permettere. Fino a oggi siamo stati legati, a livello proprio di dibattito urbanistico – non lo dico di Roma, adesso evitiamo di parlare di Roma – al fatto della strumentazione Pag. 10 urbanistica, tema che ritengo fondamentale, ma che tocca appena appena i problemi. Per recuperare le periferie, tutti gli esempi stranieri, anche qualcuno italiano, più interessanti sono quelli di aprire la leva dell'infrastruttura pubblica. L'isolamento – fatemi citare il bel parallelo che fa il Papa sulle periferie – è esistenziale e fisico. Sull'esistenziale possiamo discutere in sociologia, quello fisico tocca il mio lavoro. Io so che da alcune parti delle periferie, in particolare di Roma, ma un po’ in tutta Italia, per arrivare nei luoghi di lavoro ci si mette molto. Legandomi a quello su cui state lavorando, che mi sembra importante, se riuscissimo a trovare le forme di finanziamento per dotare le nostre città di mezzi di trasporto collettivi, che ogni volta che varchiamo le Alpi vediamo (tram silenziosi, che camminano su gomma, che passano in mezzo a dei parchi), credo che faremmo davvero la svolta che io mi attendo di questo Paese. Se recuperiamo le periferie e, intanto, apriamo la filiera dell'innovazione tecnologica, di alcuni segmenti di lavoro che abbiamo abbandonato... Racconto sempre, in tutti gli incontri che facciamo, che prima di arrivare a Ostia, in questo grande cinematografo che hanno aperto in mezzo alla pineta, in un posto bellissimo, c'era la fabbrica dei treni della prima ferroviaria che è stata costruita a Roma, quella tra Roma e Lido. Lì sono stati fatti i treni. C'è un'imprenditoria in Italia che, se apriamo queste filiere, certamente ne seguirebbe l'indirizzo da parte vostra, da parte del Parlamento. È questo l'elemento che mi attendo. Dal punto di vista dei servizi, e veramente concludo, siamo in una situazione di overbooking, i servizi primari, quelli che servono per la socializzazione delle persone, sono in gran parte già tutti realizzati. Qual è l'elemento che manca? E qui cito veramente l'ultimo esempio, quello di Ostia, secondo me paradigmatico. Non so se siate andati a Ostia, al «triangolo delle Bermude», che sapete sta in mano alla malavita. Lì c'è ancora il prefetto Vulpiani, non scherzo. Quando ci andrete, guardate quest'immensa città pubblica: ci sono strade larghissime, ci sono tutte le scuole possibili e immaginabili, centri sociali, parchi, piccolini e tenuti male, ma questa è Roma. Perché mai c'è degrado sociale in quelle zone? Perché manca la città, che non è entrata dentro questi luoghi, marginali quasi per definizione. Una città di 100.000 abitanti – così forse rende chiaro quello che dicevo prima astrattamente – la città di Ostia, perché mai non dovrebbe avere una tranvia? Ho visitato città della Svizzera che con 30.000 abitanti, hanno un tram che funziona perfettamente. Se cominciassimo a pensare di ricostruire le nostre città a partire dall'intervento pubblico, avremmo trovato la chiave di volta per riparare.
  Concludo, perché so che sarà comunque un vostro tema di dibattito, e mi permetto di inserirmici. Se l'unico strumento è quello della valorizzazione fondiaria, se non abbiamo altro nel nostro orizzonte culturale di dire che, se aumentiamo le densità, allora forse il privato ci fa la carità di darci quel servizio che manca o quella linea – ogni riferimento al dibattito sullo stadio per Roma è assolutamente casuale, come capite – non andiamo da nessuna parte. L'esempio che vorrei portarvi, e veramente concludo, è che nel progetto della grande Londra 2030 lo Stato inglese spenderà per Londra un miliardo di euro all'anno. Quelle sono le cifre che cambiano le città. So che tutti noi, non solo il comune di Roma, ma anche lo Stato, abbiamo difficoltà economiche e finanziarie, ma se lo guardate con i miei occhi, è un investimento per il futuro, cioè è uno Stato che investe nella città perché lì c'è la grande filiera dell'innovazione tecnologica, se posso permettermi ancora, e soprattutto c'è questa coesione sociale che spesso vediamo mancare nelle città come Roma e nella parte meridionale del nostro Paese.

  ROBERTO MORASSUT. Vorrei porre alcune questioni.
  Per la prima, parto dalle osservazioni fatte in chiusura dell'intervento dell'assessore relative al sostegno dello Stato nei confronti della capitale, tema che ha una sua dimensione storica quanto mai conosciuta, con enormi contraddizioni. Negli ultimi dieci anni, grandi capitali europee hanno avuto dai loro Stati ulteriori operazioni Pag. 11 di potenziamento normativo, istituzionale e finanziario. Parigi, Londra, Berlino, tra il 2000 e il 2010, hanno avuto leggi, con risorse. Roma è andata indietro. Non solo non ha avuto il potenziamento delle normative e delle prerogative, ma addirittura l'unica legge che dava qualcosa in più a Roma, la legge n. 396 del 1990, è sostanzialmente cancellata tra il 2009 e il 2010. La domanda è questa: non ritiene che sia arrivato il momento di una discussione trasversale politicamente, che attraversi un po’ tutte le forze politiche, sulla necessità di una riforma costituzionale che dia a Roma, io ritengo, il rango di una regione, e cioè che nel quadro di una ridefinizione degli equilibri e dell'assetto dell'articolazione delle regioni d'Italia, individui in Roma una città-regione, con le prerogative di autonomia legislativa e fiscale che derivano da questa dimensione? Metto da parte il tema del debito, perché poi bisognerebbe fare i conti anche con tutta la questione, che non voglio aprire, che però naturalmente ha la sua importanza.
  La seconda questione è quella della leva pubblica. È del tutto evidente che il meccanismo della 167, importante per dare casa a milioni di lavoratori, oggi è improponibile per motivazioni di carattere economico-finanziario – lo strumento dell'esproprio è impraticabile alla luce dei cambiamenti normativi – ma anche per l'impraticabilità di un'operazione che si è caratterizzata sempre come espansiva, di consumo di ulteriore suolo. La stessa Tor Bella Monaca, i piani di zona degli anni Ottanta sono stati grandi operazioni espansive: oggi questo non è più pensabile.
  Il tema dell'utilizzo strategico del patrimonio pubblico esistente, del demanio esistente, statale, militare, con la verifica degli accordi in itinere con l'autorità della difesa, regionale e comunale: quest'ultimo segmento credo sia importante. Sicuramente saprà che negli ultimi anni il comune di Roma, all'interno della manovra di piano, ha creato le condizioni per l'acquisizione di una grandissima quantità di patrimonio pubblico, una parte vincolato ambientalmente, che però è importante per i servizi e per la tutela del sistema ambientale, della sostenibilità. Si tratta di grandi porzioni di territorio all'interno dei parchi naturali perimetrati e vincolati da leggi regionali, ma anche di quote – glielo segnalo – di comparti edificabili che possono essere ceduti al comune. Sono ricchezza all'interno della stipula delle convenzioni e delle lottizzazioni convenzionate, che nel nuovo piano regolatore si chiamano ATO, dove c'è una norma che consente, nel momento dell'attuazione di una convenzione, di chiedere agli operatori privati la cessione non soltanto degli oneri di urbanizzazione, che sono per legge, ma anche di quote di comparti edificabili che vengono ceduti al comune e che diventano patrimonio pubblico, possono essere utilizzati per fare edilizia residenziale pubblica senza espansione di suolo. C'è da parte del comune uno studio strategico del profilo di questo panorama e di come si sta arricchendo? Che accordi si possono fare con altri livelli istituzionali per ricreare quella leva pubblica, che giustamente lei dice è indispensabile per fare operazioni di riqualificazione, ma che non può essere più utilizzata con il vecchio strumento da 167?
  L'ultima domanda riguarda i riferimenti fatti a Tor Bella Monaca. Sicuramente saprà che in passato, nelle condizioni normative difficili che ha descritto, furono tentati programmi, detti programmi complessi, che cercavano di ottemperare alla necessità di una compartecipazione pubblica e privata in operazioni di recupero della periferia: gli articoli 11, 2, i contratti di quartiere, i programmi di sviluppo sostenibile, c'è stata una generazione di programmi che avevano questa caratteristica. C'è un bilancio, a distanza di tanti anni, sull'attuazione di questi programmi, in particolare sulla ricaduta dell'aspetto pubblico? Sono stati attuate le opere pubbliche? Dove sono fermi i soldi? La regione ha dato i soldi che doveva dare? I ministeri hanno rilasciato le risorse? I comuni, in questi anni precedenti alla sua amministrazione, hanno ottemperato puntualmente alla realizzazione dei progetti e degli appalti per utilizzare quelle risorse pubbliche che dovevano accompagnarsi agli interventi privati? Il programma assume una caratteristica Pag. 12 diversa senza una parte pubblica. Questo mi pare molto importante, perché è anche il bilancio di una stagione che deve essere fatto, e serve a capire dove sono risorse pubbliche spendibili, se ci sono in qualche cassetto che è andato dimenticato. Mi pare importante anche, per esempio, rispetto all'ultimo tema, quello dell'attuazione dei comparti delle zone «O». A Roma, la prima generazione di nuclei perimetrati, quelli delle zone «O» degli anni Ottanta, è stata completata. Tutti i piani particolareggiati di zona «O» sono stati approvati. È passato del tempo, qualcuno dovrà essere adottato perché magari scadono i vincoli per la parte espropriativa dei servizi – anche qui ci sarebbe un monitoraggio da fare – ma la domanda è: questi comparti attuativi vanno avanti? Come vanno avanti? Che tipo di azione l'amministrazione sta facendo per fare in modo che i comparti attuativi nelle zone «O» si attuino, e quindi producano i servizi necessari in termini di urbanizzazioni primarie e secondarie? Peraltro, i consorzi dei cittadini che operano in queste realtà hanno risorse spendibili. Attraverso i consorzi di recupero urbano, ci sono risorse che possono essere messe in gioco, anche da un punto di vista di crescita economica e di ripresa dello sviluppo, per piccole e piccolissime opere, che però in periferia possono essere importanti.
  Mi rendo conto che il quadro delle questioni che le ho sottoposto è abbastanza complesso, ma capirà che abbiamo trattato una materia comune. Colgo anche l'occasione per creare le condizioni di un monitoraggio su come stanno andando le cose, sul percorso che si sta facendo.

  MARCO MICCOLI. Nel ringraziare l'assessore per l'illustrazione che ci ha fatto, vorrei però partire da una riflessione per fare una domanda e una riflessione con lui. Noi siamo una Commissione parlamentare, come lei sa, di inchiesta, dedicata alle condizioni di sicurezza e allo stato di degrado delle città, e delle periferie in particolare. Quel degrado però è anche analizzato da un punto di vista sociale. Ci occupiamo della periferia in termini geografici, della distanza dal centro, ma anche della periferia sociale. A Roma, in alcuni casi coincidono, e la periferia sociale è anche periferia geografica, ma in alcuni casi no. Alcuni pezzi di periferia sociale si sono incuneati anche dentro il centro della città. Penso a piazza Vittorio, all'Esquilino, ad alcune zone intorno a San Lorenzo. Al di là delle vicende urbanistiche che lei ha tracciato, che adesso il collega Morassut ha ripreso con l'esperienza che lo ha coinvolto personalmente, un punto riguarda appunto questa vicenda sociale delle periferie: ovviamente questo disagio sociale è concentrato soprattutto in alcune grandi periferie della città.
  L'ISTAT ci ha illustrato i dati che conoscete, quindi sulle zone periferiche della città a sud e a sud-est, le grandi periferie, una delle quali è Tor Bella Monaca, che intreccia anche caratteristiche che, rispetto al degrado sociale, riguardano i temi portati dalle problematiche urbanistiche, ma c'è anche un aspetto che riguarda i lavoratori migranti, il tasso di disoccupazione giovanile, che in quelle zone è altissimo. Parliamo di una crisi sociale, economica e occupazionale che ha colpito la città, una città che sta pagando un prezzo alto. Roma, come lei ben sa, in anni precedenti cresceva in maniera diversa dal resto del Paese, in maniera più forte. Alle soglie del 2008, avevamo il tasso di disoccupazione più basso e quello di occupazione più alto. Alla fine del 2007, il tasso di disoccupazione a Roma era del 5,8 per cento, dato bassissimo, che ci ricollocava con le medie del nord Italia. A oggi, il tasso è dell'11 per cento. Quello della disoccupazione giovanile, all'inizio del 2008, era del 27 per cento. Adesso è del 44 per cento. Nelle periferie, e penso a Tor Bella Monaca, dove la media della popolazione è più bassa dal punto di vista dell'età: quel tasso è ancora più alto, drammatico, va oltre il 50 per cento. Abbiamo questa situazione.
  Ora, lei è assessore all'urbanistica del comune di Roma, alla rigenerazione urbana mi pare sia la dicitura... No, siamo tradizionalisti. È, comunque, uno degli asset, secondo come si adopera la vicenda del modello di sviluppo della città, che dà una mano. Non citavo quegli anni per caso, ma proprio perché quel basso tasso di disoccupazione Pag. 13 era dovuto anche a uno sviluppo della città in termini di crescita per le opere che in quel periodo venivano realizzate in città, che da quel periodo in poi non si sono più eseguite. Non è un caso che la disoccupazione in quegli anni fosse più bassa.
  Vengo alla questione. Lei è stato protagonista, insieme alla giunta, di scelte in questi sette mesi, alcune definitive, altre in itinere, che stanno per essere compiute, che stanno comportando un'incidenza su questi dati. Una serie di cosiddetti no che la giunta di Roma ha detto di recente riguardano anche opere importanti di urbanizzazione o di grandi eventi, che avrebbero potuto portare a Roma un elemento forte di aiuto relativamente a opere, appunto, che oggi non siamo in grado di supportare dal punto di vista economico e finanziario. Ovviamente, non solo secondo me, ma anche secondo gli analisti (organizzazioni sindacali, chi studia i settori dell'economia, della finanza e del lavoro a Roma), queste scelte comporteranno un aggravio di quei numeri. Questi atteggiamenti, queste scelte sono il no alle Olimpiadi – attenderemo i risultati sulla vicenda dello stadio, su cui tornerò – la vicenda che riguarda l'ex Fiera, quella che riguarda gli ex Mercati generali, poi sono state le Torri, una serie di scelte che avrebbero comportato anche una possibilità di infrastrutture che oggi non siamo in grado di determinare. Mi chiedo quale sia l'idea rispetto a questa vicenda che riguarda il disagio sociale, l'occupazione, ma anche la possibilità di realizzare infrastrutture. Qual è l'idea di questa giunta su come sopperire a questo?
  Come ben sa, sulla vicenda dello stadio siamo in polemica. Prima, ho alzato il cartello e glielo rialzo, sposo la campagna dei tifosi, «Famo sto stadio». Parliamo di 20.000 posti di lavoro, di opere che non siete in grado di realizzare, di una situazione degradata, appunto del degrado delle periferie, di uno stato di abbandono, di insicurezza, di zona utilizzata per le peggiori pratiche anche di microcriminalità. Come intendiamo intervenire e come risolleviamo le sorti della città se per queste vostre scelte non c'è un progetto alternativo, un modello di sviluppo che magari siete in grado di presentare per dire che non realizzerete quelle opere, non risolverete il problema dell'occupazione in un certo modo, del disagio sociale, della possibilità di realizzare infrastrutture, perché è un altro il modello di sviluppo che avete in testa?

  VINCENZO PISO. Innanzitutto, la ringraziamo per la disponibilità. Io ho due domande molto secche su alcuni punti che ha toccato.
  La prima riguarda Ostia. Vorrei capire la specificità di Ostia rispetto a quello che lei ha detto. Quale può essere stato il contributo di una condizione particolare di ozio di quel municipio rispetto alla situazione che stiamo vivendo oggi, ovvero il commissariamento e un'altra serie di problemi?
  La seconda riguarda il rapporto urbanistica/trasporto nella città di Roma. Concordo assolutamente su quello a cui lei ha accennato: sicuramente, una delle caratteristiche della periferia in termini negativi è questo isolamento in termini di servizio. Da un punto di vista fisico, senza fare ragionamenti di carattere psicologico, è sicuramente legato alla possibilità di essere connessi con il resto della città. Su questo tema qual è il progetto che intendete perseguire? Mi rendo conto che non è di sua strettissima competenza, ma sicuramente, in un'amministrazione che dovrebbe funzionare seguendo alcuni parametri, questi due aspetti, urbanistica e trasporto, dovrebbero essere fortemente connessi, nella speranza che in questo ci sia una vera capacità di innovare. Lo dico senza voler fare polemica politica. Vorrei capire come intendete muovervi anche in relazione a una condizione di oggettiva crisi.

  PAOLO GANDOLFI. Approfitto di quest'audizione, come delle altre, per dare valore a quello che secondo me è il senso della nostra presenza in questa Commissione, almeno sicuramente per quanto mi riguarda, cioè quello di capire quali possano essere le idee e le soluzioni migliori per affrontare il tema del degrado delle Pag. 14periferie, visto che questo è l'obiettivo della Commissione e partendo dal presupposto che mi pare che il nostro Paese in generale non abbia una strategia definita. Questa Commissione può contribuire a definire questa strategia.
  Lei ha dato due o tre indicazioni su cui vorrei fare qualche approfondimento e poi chiederle un paio di chiarimenti. È già interessante avere qui lei in maniera da poter parlare, almeno oggi, del tema delle periferie urbane non partendo dal punto di vista della sicurezza, che è stato finora un po’ il dominus della discussione. È sicuramente interessante il fatto che lei ci riporti a pieno titolo il tema della città pubblica come tema centrale nella gestione delle città. Lei ha fatto un passaggio che condivido. Non ho l'età per esserlo direttamente, ma sono sicuramente un orfano della legge Sullo. Lei dice giustamente che oggi non ci sono strumenti, quindi come prima indicazione dal punto di vista legislativo richiamate la necessità di aumentare gli strumenti per la parte pubblica delle città, quindi per la realizzazione della parte dei servizi. Lei ha fatto però un approfondimento in più. Lei dice che dovremmo tornare nelle condizioni di poter agire direttamente nei comparti espansione. Io non uso i termini che usate voi a Roma, perché sono di un'altra regione, e ogni regione chiama i piani attuativi a modo suo. Dice però che bisogna anche intervenire sull'attuazione.
  Seguendo un po’ le dinamiche in altri Paesi europei, dal punto di vista del degrado delle periferie non è che ci sia sempre da imparare, anzi delle volte hanno problemi anche peggiori dei nostri. Da un punto di vista più basico, di gestione della città pubblica, secondo me da lì dovremmo imparare. È evidente, forse ha ragione lei, che qualche mancanza nella legislazione nazionale negli ultimi 35-40 anni c'è stata, ed è questa. Un discorso è avere l'autorità pubblica, in particolare l'autorità locale nel caso. Secondo me, è molto saggia la riflessione del collega Morassut sulla specificità della situazione di Roma. Giustamente, tutte le volte che si parla di Roma, viene citata la necessità di soldi per far funzionare una città con queste caratteristiche. Quando Morassut dice che è quasi una regione, ha ragione, perché 3,5 milioni di abitanti sono la dimensione di una regione media italiana. Non so se in un suo libro o di altri autori importanti ho letto che Roma è stata salvata dal punto di vista del bilancio alcune decine di volte. Evidentemente, esiste una forma indiretta per finanziare la città di Roma che non ha una sua efficacia, quindi bisognerebbe anche porsi il tema di come le risorse in questa città vengono spese. A questo punto, ho fatto il passaggio da nordico, ma ci sta. Me lo dovete permettere dopo un dibattito tutto romano e all'ennesimo salvataggio. Solo in questa legislatura mi sembra di ricordare che ne ho votati un paio. Il tema lo pongo, di qualità ed efficienza.
  Faccio un inciso, e poi torno a punto in cui ero, sul tema della città pubblica. Abbiamo visto San Basilio, e abbiamo visto una parte di città pubblica. Poi a San Basilio parti del quartiere sono figlie dello spontaneismo, neanche della speculazione, proprio dello spontaneismo dell'iniziativa privata. La parte in cui abbiamo visto più difficoltà, più criticità, in cui i cittadini ci hanno trasmesso più «rabbia» è Tor Sapienza, in realtà tema non strettamente urbanistico. Evidentemente, l'idea che la città pensi sì agli investimenti, ma abbia anche una sua visione forte, strutturata, solida, che impregni la struttura tecnica, che non diventi semplicemente un progetto sulla cura della città, sul fatto che certi fenomeni di degenerazione, delle volte inevitabili – talvolta, certi contrasti non si possono proprio evitare a monte – non assumano il livello di degrado che abbiamo visto in quella situazione, secondo me è possibile. Che ci siano aree della città sostanzialmente terra di nessuno e fuori controllo, questo è un problema, ribadisco, non strettamente urbanistico, ma bisogna arrivare a porsi l'obiettivo di risolverlo quando si gestisce una grande città.
  Torno al punto città pubblica e alle esperienze europee. Ribadisco che non sto citando casi di contrasto. Lei ha fatto un elogio di Tor Bella Monaca. Lo apprezzo, perché ad andare in controtendenza e dire Pag. 15che nelle periferie pubbliche costruite negli anni Ottanta c'è del buono, ci vogliono competenza e coraggio. Di questo le rendo merito. L'esperienza europea però ci racconta che spesso la parte pubblica sta a monte, non sta nell'attuazione. Molte buone esperienze di bellissimi quartieri, ben fatti, con mix sociali, con qualità ambientale, addirittura fatti con attuazione privata, ma sulla base di un ruolo che il pubblico si è ritagliato nell'acquisizione delle aree, che è invece la debolezza del nostro Paese. Noi adesso non facciamo più neanche l'edilizia pubblica, ma abbiamo quasi completamente rinunciato all'attuazione pubblica, cioè ad avere in mano pubblica i terreni. Continuiamo a far galoppare la rendita. So che è un suo corno, quello di combattere la rendita, ma vorrei capire quali possono essere gli strumenti. Lei giustamente dice che è competenza nostra, del legislativo, ma non mi sembra che ci siano le condizioni culturali. Ribadisco che non credo che il tema sia rimettersi a costruire quartieri pubblici come li abbiamo intesi. Il tema, semmai, è avere all'interno delle strutture pubbliche soggetti e competenze in grado di reggere il rapporto col privato e di non essere sottoposti, anche dal punto di vista giudiziario, alla superiorità che oggettivamente nel meccanismo legislativo italiano il privato ha. Io ho capito dal suo intervento il contrario, che in qualche maniera si richiamasse anche la necessità che l'intervento all'interno dei piani attuativi fosse privato. Questo mi sembra effettivamente ormai un po’ fuori dalle possibilità. Sono d'accordo invece sul fatto che ci sia un ruolo del pubblico.
  Ho concluso. In realtà, le altre cose che volevo dire le ho dette negli incisi. Ci dica qualcosa di più su quello che ritiene sia utile fare in situazioni consolidate, dove ormai l'urbanistica forse ha poco da dire. So che lei è assessore all'urbanistica, ma le tocca, è qua. A Tor Sapienza, oggettivamente, non ce la caviamo solo agendo sul tema della rendita. Evidentemente, c'è necessità che un'amministrazione metta in campo qualcos'altro. Se ci vuole la maturità e ci vogliono i soldi, bisogna poi anche a mio giudizio dimostrare che c'è la capacità. Sulla strategia dei campi nomadi, ad esempio, questo comune ha sbandato dal pretendere di far finta che non esistano, e che quindi le ruspe siano l'unico sistema, a quello di ritrovarsi con delle grandi aggregazioni. Credo che qualcosa in più sarebbe opportuno sentirlo, visto che quello è stato uno dei temi centrali di uno dei nostri due sopralluoghi.

  CLAUDIA MANNINO. Mi sarei segnata sei domande, che non riesco a collegare tutte l'una con l'altra, ma spero che ognuna abbia una sua risposta.
  Assessore, lei citava l'esempio dei trasporti a Ostia e, in quanto città di fatto di 100.000 abitanti, immaginava una sorta di trasporto pubblico interno a Ostia: nella vostra organizzazione, o comunque anche in una valutazione prettamente urbanistica, visto che parliamo di rapporti anche con lo Stato centrale, è il caso di iniziare a parlare di trasporti interni e trasporti che collegano con il centro?
  Spesso, ci troviamo nella situazione di quartieri realizzati, o dentro o fuori dal raccordo anulare, per cui riuscire a far rientrare i costi di gestione per un trasporto che dal centro vada fino alla periferia è più antieconomico che per un trasporto urbano all'interno di quelle realtà. In tal senso, come amministrazione state valutando sull'incidenza dei trasporti? Così come state facendo per le opere di urbanizzazione, per realizzare le quali avete quantificato quanto manca, state facendo la stessa valutazione per i trasporti e per quello che si doveva fare e sappiamo bene che non si è fatto?
  Quanto alla demolizione degli immobili abusivi, questo governo ha inserito una novella normativa che prevede sanzioni per i soggetti che hanno ordinanze di demolizione e anche per le pubbliche amministrazioni inadempienti: quest'amministrazione pensa di utilizzare questo strumento? Sta facendo valutazioni su quanto potrebbe incassare da questa sanzione, visto che è anche ripetibile per ogni anno?
  Inoltre, avete dati, che comunque può fornirci anche tramite documenti, non necessariamente nella risposta, sui crediti del comune di Roma? Sì, sono noti i debiti, ma Pag. 16mi risulta che ci siano anche crediti che il comune di Roma non ha mai riscattato relativamente ad alcune realtà, come la stessa Agenzia per l'edilizia economica e popolare: quale strada sta percorrendo quest'amministrazione?
  C'è un altro dato che mi interessa. Visto che parliamo di privatizzazione dell'edificato, anche in questa Commissione è stata citata una legge... Ci sono le leggi regionali e, a fronte di un privato che prende l'impegno con l'amministrazione di realizzare un insediamento, un piano di zona – chiamiamolo come vogliamo, a seconda dei territori, veramente le nomenclature sono diverse – sappiamo che questi privati hanno sostanzialmente tre strumenti finanziari a loro disposizione. Da una parte, abbiamo il finanziamento pubblico, la regione che dà dei fondi; dall'altra, abbiamo spesso un significativo finanziamento da parte di soggetti finanziari; dall'altra ancora, sappiamo bene, perché abbiamo avuto le audizioni qui, ci sono finanziamenti diretti da coloro che prendono l'impegno di acquisire quell'immobile. Questo triplice finanziamento in buona parte deve materializzarsi sia negli immobili, ma anche nelle opere di urbanizzazione primaria e secondaria: laddove il comune ha sottoscritto un contratto con determinate opere di urbanizzazione primaria e secondaria e non sono state realizzate, che cosa si sta facendo? L'attività giudiziaria sta facendo una rivalsa? In tal senso, le chiedo un parere da urbanista. Ad oggi, non è scritto in nessuna legge che le opere di urbanizzazione primaria e secondaria si debbano realizzare prima degli immobili residenziali stessi. Probabilmente con questo vincolo riusciamo a prevenire un po’ di degrado.
  Un'ultima domanda è sugli standard di urbanizzazione. Lei diceva di alcune realtà che appunto hanno addirittura certi valori per tutti i livelli scolastici. Sempre all'urbanista, ma anche all'assessore, vorrei chiedere se banalmente avete verificato – lo dico proprio con la nostalgia di chi ha studiato diritto urbanistico – che effettivamente vengano rispettati gli standard urbanistici, che non sono solo il quantitativo dei posteggi, il giardino, il marciapiede e l'illuminazione, la scuola o il centro sociale. Visto che a Roma parliamo di grandi numeri, probabilmente alcuni quartieri o piani di zona non solo avevano bisogno di un pronto soccorso, avevano bisogno di un centro anziani, avevano bisogno di altri standard: avete fatto una verifica su questi dati?

  PRESIDENTE. Le faccio io un'ultima domanda. La settimana scorsa, è stato in audizione il Segretario generale della Presidenza del Consiglio, il dottor Aquilanti, che ha presentato la graduatoria sul piano di riqualificazione delle periferie. Roma risulta classificata al 23° posto, quindi è ammessa al finanziamento di 18 milioni di euro. È una cifra sicuramente irrisoria rispetto alle esigenze, ma anche la moneta in questi casi può essere utile. Mi interessa capire a cosa fossero finalizzati, perché abbiamo soltanto un dato di tipo quantitativo, ma non un dato qualitativo. Sono soldi che sono stati finalizzati per andare incontro ai problemi, per esempio, di sottoservizi, che ha citato lei prima, dei piani di zona e simili?

  ROBERTO MORASSUT. La scorsa settimana, abbiamo ascoltato diversi comitati sui piani di zona. Nel corso di quest'audizione, una delle cose che ci è stata segnalata è che il problema non risiede tanto nelle convenzioni in sé, quanto nel controllo e nell'attuazione di queste convenzioni. La mia domanda, in particolare per situazioni come Monte Stallonara e Castelverde, è questa: a quando risale l'azione dell'amministrazione per l'attuazione delle convenzioni e dei relativi controlli, più o meno?
  L'altra domanda riguarda la questione della mobilità, che lei ha posto, cioè per esempio del tram di Ostia. Naturalmente, in attesa che arrivino risorse adeguate per realizzare infrastrutture, che comunque hanno un costo, come i tram e altro, su alcune situazioni, per esempio il corridoio del trasporto pubblico Laurentina, che sappiamo tutti com'è messo, Tiburtina e un corridoio di riserva per il trasporto pubblico, che si può realizzare con pochissimi Pag. 17costi, senza necessariamente mettere un tram, lungo la via Cristoforo Colombo per collegare Ostia all'Eur – c'era un vecchio progetto del VII dipartimento – ci sono le condizioni, su queste tre consolari, di realizzare un sistema di trasporto pubblico a bassissimo costo soltanto garantendo il transito protetto dei mezzi pubblici? La Laurentina è un po’ un mistero. È rimasta tra color che son sospesi. Fino a Trigoria c'era un progetto già approvato. Lo stesso discorso vale per la Tiburtina. Abbiamo visto che l'altro giorno c'è stato un incidente drammatico, anche dovuto al fatto che la promiscuità tra il mezzo pubblico e il mezzo privato è abbastanza pericolosa. La mia domanda riguarda questi tre aspetti.

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. La discussione è stata bellissima. Questi sono i termini del futuro. Provo a riprenderli citando un esempio che mi sta a cuore, perché lega il problema del degrado sociale al mestiere dell'urbanista.
  A Scampia andiamo dal centro di Napoli in un quarto d'ora o venti minuti, perché c'è una metropolitana. Una delle parti più sfavorite di Napoli oggi sta nei parametri che accennavo prima. È cambiata la vita dentro Scampia, come diceva l'onorevole Miccoli? Si è abbassato il tasso di disoccupazione? Credo di no, ma posso dire con altrettanta onestà intellettuale che non lo misuriamo nel tempo breve, lo misureremo se facciamo altre cose. Dobbiamo rinforzare la spina dorsale delle nostre città che sono nate male, dopodiché c'è tutta l'altra filiera di interesse, che non riguarda l'urbanista, ma che tipo di servizi mettiamo lì, come irrobustiamo anche questa rete.
  Scusate la parentesi, ma abbiamo un po’ falcidiato il welfare. Questa è storia oggettiva, non è un punto di vista. Gli anni della crisi hanno portato al taglio di alcuni servizi in periferia. Riusciamo a fare un ragionamento su qual è, e vengo appunto all'integrazione che poneva l'onorevole Mannino, riusciamo a ragionare con molta serenità – so quanto sia difficile – su quali tipi di servizi in alcune aree dobbiamo realizzare, visto che la loro realizzazione non è più attuale? Cito un esempio banale. In alcuni piani di zona in cui non c'è stata l'ottemperanza immediata, non hanno fatto l'urbanizzazione primaria e secondaria come in Europa viene usualmente fatto, attualmente c'è un invecchiamento della popolazione che consiglierebbe di non fare le scuole che erano previste, perché non c'è più domanda da quel punto di vista. Stiamo operando davvero in grande sintonia con i comitati dei cittadini di quelle zone e con gli operatori che hanno ancora le chiavi in mano, perché hanno avuto l'affidamento di quel piano di zona dell'amministrazione pubblica. Qui c'è un processo partecipativo che fa bene all'affezionarsi alla propria città, e l'economia insieme ai cittadini diventano l'elemento che può aiutare.
  Ancora sul problema dei trasporti, poi vengo agli altri temi, qui le cose sono veramente affascinanti dal punto di vista dell'urbanista. Nei pressi di Ostia, c'è una zona incredibile dell'Infernetto, in cui è morta una persona per esondazione, quindi una zona molto delicata, incredibile ma vero: lì c'è l'Accademia nazionale della Guardia di finanza, assolutamente scollegata e sconnessa dalla città. Per andarci, ci si deve andare esclusivamente con l'automobile. Riusciamo qui a fare un piano intelligente? Se ne vanno a Bergamo, lo porto solo come esempio! Nel caso in cui ci siano polarizzazioni pubbliche, riusciamo a fare un ragionamento che prevede questa rete fisica che avvicina alla città? Questa è sempre stata la storia della città. Se si fa un grande investimento pubblico (appunto l'Accademia della Guardia di finanza), si deve garantire l'accessibilità. E vengo al ragionamento, Roberto, sul secondo punto, che secondo me è collegato.
  Come mai non c'è il corridoio della Laurentina? Non c'è, perché è caduto il presupposto. Molti di voi mi conoscono, io non ho mai atteggiamenti... so che siete persone competenti, ma vi spingo a fare questo ragionamento: l'urbanistica cambia faccia e oggi c'è un quadro proprio nuovo da guardare. Nel 2008, la crisi ha spazzato via tutte queste storie. Il corridoio della Laurentina nasce perché c'è un intervento di valorizzazione urbanistica che sta proprio Pag. 18 a metà del percorso: se va bene lui, va bene il percorso del filobus: abbiamo i filobus fermi da tre anni.

  ROBERTO MORASSUT. Le cose non possono essere dette genericamente: il corridoio della Laurentina è un'opera di urbanizzazione straordinaria di un intervento attuativo ordinario.

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. Certo.

  ROBERTO MORASSUT. Purtroppo, un intervento attuativo ordinario che non poteva non essere realizzato, per il quale è stato chiesto un onere straordinario per un appalto, realizzare un'opera e metterci sopra un mezzo. Quand'è che si è bloccato tutto?

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. Certo, onorevole Morassut. Ci conosciamo, quello fa parte dell'autorità giudiziaria inquirente, non mi riguarda. Qui dobbiamo ragionare. Il nodo è il fatto che abbiamo puntato tutte le fiche della nostra roulette sul fatto che il volano dell'edilizia privata avrebbe messo in moto tutte le ruote: non è così. Il 2008 ha cambiato l'orizzonte. È questo lo sforzo che una persona come me può chiedere.
  Mi ricollego a un po’ di interventi. Come è mai possibile che leghiamo l'attuazione di un corridoio, semplice, poco costoso, al fatto che un privato porti a compimento un intervento? Quella è roba nostra... Ma non è solo il ponte. Andiamo troppo su Roma. Se volete, rispondo. No, perbacco. Allora, qua faccio nomi e cognomi, così rispondo. L'operatore che ha bloccato la finalizzazione è quello stesso Parnasi – così rispondo all'onorevole Miccoli – che vuol fare insieme allo stadio qualcosa come 600.000 metri cubi regalati. Scusate, lui non fa lo stadio. Sapete – scusa, Miccoli, così correggo – che io sono a favore dello stadio della Roma, come ho detto ormai dieci volte. Io sono contro questo gioco della roulette... No, Miccoli, scusami, le cose bisogna saperle. Se la Roma dice, nella sua relazione, approvata dal consiglio comunale nel 2014, che se realizzasse solo lo stadio, sarebbe in equilibrio economico, mi pare che abbiamo finito, che il mio ruolo è finito, fate lo stadio... Aspetta, ci arrivo. Perché siete così polemici? Io non sono polemico con nessuno. Chi ha scelto quell'area che ha bisogno di un immenso investimento pubblico? L'ha scelta il privato? È questo il futuro delle nostre città, che diamo le chiavi delle città al privato, a Parnasi, che blocca la filovia su Laurentina e adesso ci impone di fare un ponte, una metropolitana che non si può fare? È questa la città a cui pensiamo? Guardate che questo è il vostro compito. So che è difficile, so tutto, ma se cambiamo ottica e cominciamo a ragionare sul fatto che non c'è più il mattone veloce, ma che il mattone sta veramente in affanno, facciamo un servizio a questo Paese, perché dislochiamo solo dal cemento all'innovazione tecnologica, all'innovazione della gestione dei nostri servizi. Sarebbe un po’ troppo lungo, vado su un altro tema. Siamo bravi a gestire i servizi? Direi di no. Riusciamo, nella nuova concezione della città, a capire come, dove abbiamo sbagliato? Faccio un altro esempio. Siete stati a San Basilio. Vi pare normale che la città capitale, per portare il prolungamento, peraltro non una nuova linea metropolitana, della metropolitana B a San Basilio, abbia fatto l'operazione, che io considero sbagliata – permettetemi di dirlo delicatamente – di dire al privato di realizzare quel prolungamento, che sarà di 5 chilometri, non di più, tutto fuori terra, quindi senza bisogno di gallerie, in cambio dell'edificazione non so dove e non so quando? Nel 2010, Roberto... Certo, per carità, ma questo non appartiene al mio ragionamento. A me non importa sapere chi è responsabile. È la logica che è sbagliata. Se lo Stato ha deciso che la sua capitale deve vivere sul prolungamento, perché passa dentro San Basilio, San Basilio ha una storia dell'Unrra Casas, uno dei gioielli del pensiero, non dell'architettura, del pensiero urbanistico nazionale (Olivetti e tutto quello che sapete), perché mai devo stare legato al fatto che il privato Pag. 19valorizza o non valorizza? Oggi, non valorizza nessuno. Hanno vinto le più grandi imprese, e che fanno, costruiscono che cosa? Uffici in periferia che non hanno più mercato, perché l'implosione di questa città è sotto gli occhi di tutti? Così mi ricollego al ragionamento di Miccoli. Perché mai alla metà degli anni Duemila registriamo veramente un'effervescenza? Perché c'è stato il Giubileo. Permettetemi di dirlo. Perché a Milano c'è un'innegabile trasformazione della città? Perché c'è stato l'intervento sull'Expo. Quando c'è la mano pubblica che dà...

  MARCO MICCOLI. Era giusto fare le Olimpiadi...

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. Abbiate pazienza. Miccoli, non faccio polemiche da baretto dello sport. Scusa posso fare una battuta: perché, le Olimpiadi hanno fatto bene ad Atene? Hanno fatto bene a Londra? No, allora forse è stata una scelta intelligente. Il problema è riavere quei soldi, che sarebbero stati sperperati – lo posso dire? – per certe operazioni. Se, invece di fare le Olimpiadi del nulla, facciamo sei tranvie che portano un po’ di benessere a questa città affaticata, forse facciamo le olimpiadi della città, sarebbe meglio... E, infatti, lo stiamo facendo... No, non so su che cosa devo rispondere, scusa. Hai questo tono polemico che veramente... Se dovevamo fare l'audizione su quello che sta facendo o no la giunta Raggi, me lo dicevate e io mi preparavo meglio. Io sono venuto qui a parlare di periferie. Se tu mi vuoi fare... Lascia il tempo che trova. Vuoi che ti dica come ho trovato questa città, che invece di avere un miliardo all'anno come Londra, ho 500 milioni di euro che devo allo Stato centrale, giustamente, perché abbiamo contratto un debito folle per questa urbanizzazione? Con sei tranvie, Miccoli, ci proviamo. Poi non avrò i soldi? Li troverò.
  Vengo al terzultimo tema. È vero o no che abbiamo delle città che hanno una quantità di edifici dello Stato, quello con la S maiuscola, che sapete quanto io rispetti, che sono a disposizione di un pensiero differente delle città? Intorno a quei grandi investimenti degli anni in cui lo Stato funzionava e io sapevo che cosa fare – scusate se lo dico – la parte attuativa del comune di Roma, l'assessorato alle infrastrutture, faceva progetti di ponti, quando mio padre lavorava lì. Oggi, non siamo capaci nemmeno a fare un progetto di ristrutturazione della caserma dei Carabinieri. Devono fare una piccola variazione perché devono realizzare delle celle di sicurezza all'ultimo piano: dobbiamo dare l'appalto fuori. Non ho più dentro l'amministrazione... Che cosa è successo? Abbiamo messo una bomba dentro le amministrazioni pubbliche, abbiamo esternalizzato tutto e questo è il risultato, che non siamo più padroni a casa nostra.
  Rispetto a questo, il tema è come riutilizziamo le proprietà pubblica, a partire da quelle delle Stato, ma a scendere, relativamente a quanto accennavo sulla domanda dell'onorevole Mannino. Qual è la trasformazione del sistema dei servizi? Questa è stata la straordinaria importanza delle nostre città. L'ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, posso dire uno dei gioielli del pensiero universale, che viene studiato in tutto il mondo, prima era una baraccopoli. La compra poi una persona di buon cuore, che comincia a fare la prima esperienza, poi diventa un ospedale, poi diventa un salone affrescato dai più grandi pittori del Rinascimento. È questo quello che dobbiamo mettere in moto. A partire da una nuova concezione della città, dobbiamo mettere in moto un meccanismo che risolleva la nostra città pubblica e fa capire che stiamo andando in un'altra direzione. E così vengo alla vostra audizione. Io so bene che 18 milioni sono pochi, per Roma e per tutt'Italia, ma approvo e sono molto contento del messaggio che il nuovo governo ha dato. C'è un interesse verso le periferie. Ancora non è supportato da un robusto finanziamento: vedremo quello che succederà dopo. Che cosa stiamo facendo?
  Credo che il prefetto Vulpiani non abbia avuto il tempo di parlare, se capisco bene. La mia prima preoccupazione, quando ho visto che era in scadenza a fine agosto Pag. 20questo bando, era che tra i progetti del mio comune non c'era nulla su Ostia. In un'interlocuzione col prefetto Vulpiani, abbiamo trovato – il tema è sempre quello – un ex edificio della gioventù littoria, non particolarmente bello, ma bello, nel cuore di Ostia, molto vicino al triangolo della malavita. Vulpiani mi propone di realizzarci una cittadella della legalità. C'è la sede dei vigili urbani, che adesso stanno in affitto dai soliti noti, e c'è il giudice di pace, adesso in affitto anche lui. Il primo progetto finanziato nel nostro pacchetto è quello. Gli altri sono legati alla riutilizzazione dei manufatti pubblici, come accennava l'onorevole Morassut, vecchie caserme, Forte Trionfale, dove c'è un hangar, dove c'è un antico dirigibile, quindi piccole intelligenze che fanno l'identità di una zona di periferia, che non ha proprio alcuna storia, e invece la storia ce l'ha se andiamo a scavare.
  Veniamo agli ultimi due punti. Roberto, perché stanno fermi? Lo sforzo che Roma ha fatto – io ero veramente giovanissimo – per risanare le borgate abusive, le 82 borgate di zona «O», è stato gigantesco dal punto di vista concettuale, tecnico-operativo e finanziario. Questo processo è andato avanti, perché alcune cose le abbiamo fatte, ma ancora stenta. Anche qua la regia è sfuggita, e allora non abbiamo avuto la contezza di avere gli occhi mirati. Perché stanno ferme quelle trasformazioni, Roberto? Perché non c'è più la capienza che vi dicevo, perché da sette anni a questa parte i valori immobiliari sono crollati. Se devo fare un'operazione a bassa densità in una periferia che non ha le infrastrutture e che non mi permette di remunerare il mio investimento – vendo a 1.400-1.500 – io sto fermo. Se lì davanti ci fosse... io dico sempre il tram, ma ormai l'articolazione dei trasporti pubblici è fantastica. Se ci fosse un trasporto pubblico moderno, silenzioso e non inquinante, forse quei 1.400 euro al metro quadrato diventerebbero 2.000. Allora, capite il ragionamento che facevo prima. Se invece di ragionare solo sulla valorizzazione fondiaria privata, facessimo la valorizzazione fondiaria attraverso i nostri soldi, perché è sacrosanto che l'amministrazione pubblica pensi al futuro dei propri territori e non soltanto in termini di aumento di volume, faremmo un'operazione – permettetemi di sottolinearlo ancora – straordinaria. Sdoganeremmo infatti un pezzo di economia di questo Paese che sento che sta... Le imprese romane, quelle serie, intorno all'ACER, stanno non in difficoltà, ma vicine al crollo, al fallimento. Questo è il mio parere.
  So che ci sarebbero altre cose. Qua mi permetto di dare un'attenzione. La procedura che Roma ha attuato negli anni scorsi di affidamento ai consorzi di recupero urbano degli appalti delle zone non «O», ma quelle ancora più recenti, delle nuove zone abusive, è impossibile a farsi per la sacrosanta nuova legge sugli appalti, che prevede che ci siano soltanto alcuni riconosciuti... Abbiamo già fatto la centrale unica degli appalti e facciamo tutti appalti aperti, quindi siamo in regola, Cantone l'ha riconosciuto. Roma ci si è messa, tanto per dare dei segnali. In pochi mesi non è di poco conto, Miccoli, ma non sarà questo. I consorzi di recupero urbano non hanno più titolo per investire, e allora quella cassaforte torna all'amministrazione comunale, che farà gli appalti, e poi chi vince, vince. Saranno gli stessi consorzi che vincono col ribasso e l'offerta più vantaggiosa, ma dobbiamo essere noi i registi. Torno sempre al fatto che i bei film hanno un regista, se no diventa un dramma.
  Onorevole Mannino, che cosa stiamo facendo? Abbiamo alcuni crediti. Il credito più clamoroso è quello dell'ATER, l'azienda che avrebbe dovuto costruire le case pubbliche, che è indebitata con il comune perché non paga. Andremo a una transazione. L'ATER può costruire altre case pubbliche, stavolta di edilizia sovvenzionata. Non l'ho citato, ma forse lo sapete.
  La vicenda dell’housing sociale, secondo me, dovrebbe essere spenta per sempre. È stata importante perché ha dato casa a un pezzo del nostro ceto sociale. Oggi abbiamo una città devastata perché abbiamo cento occupazioni che non hanno capienza. Dobbiamo tornare a Luigi Luzzatti, a case pubbliche. Dobbiamo tornare al 1903, alla Destra storica. Questo dobbiamo fare. Qui c'è bisogno di risorse pubbliche. Lo so che Pag. 21chiedo soldi, ma non conosco città bella che non sia stata alimentata da soldi pubblici. Poi il pubblico era sovrano. Nelle vaste articolazioni, non era il pubblico che conosciamo noi del Novecento. Il pubblico erano i Borbone che realizzavano l'Albergo dei poveri e vanno in fallimento per aver fatto un'operazione sociale di quel tipo. Questo è l'elemento che stiamo facendo sui piani di zona. Lì ci sono alcuni doli molto gravi, nel senso che alcuni dovevano fare l'urbanizzazione e non l'hanno fatta. Noi chiederemo conto di questo, senza intenti punitivi verso nessuno – so bene che più economia mettiamo in moto e meglio è – ma con il rigore che la conduzione dell'amministrazione pubblica deve dare.
  Concludo con un piccolo spot doveroso: questa non è l'amministrazione del no. Le Torri stanno ferme perché qualcuno ha dato scelleratamente il via a un'operazione senza pensare che quelli dovevano pagare 24 milioni di oneri di urbanizzazione, e la Guardia di finanza sta facendo un'inchiesta, come sapete. Non abbiamo fermato, è stata la Guardia di finanza che ha alzato il cartellino rosso. Sulla Fiera di Roma e sui Mercati generali, siamo contrari – l'ho detto prima – al fatto che sia solo la molla della valorizzazione immobiliare quella che fa girare il mondo. Se Investimenti Spa ha fatto un investimento sbagliato trasferendo la sede della Fiera di Roma in un luogo affetto da bradisismo su terreno impervio, non vedo perché gliela dobbiamo pagare in cubatura. La cubatura sta bene se esattamente identica a quella della regione Lazio, che sta di fronte: lì c'è ancora una città che tiene. Se aumentiamo troppo le densità, sballiamo i rapporti e non facciamo una città umana, ma una città sbagliata. Quanto ai Mercati generali, sono 80.000 metri quadrati di terreno pubblico, interamente terreno e soprassuoli pubblici. Mi sono trovato una proposta di un privato, importante, che cerco di tenermi buono, che non prevede un metro quadrato di verde su 8 ettari di terreno interamente comunale. Credo che questo sia un errore. Lì ci sono zone di periferia dell'Ostiense. Stiamo parlando di una zona che è periferia, sono case popolari, c'è gente che ha difficoltà. Questi aspettavano come il sole che se ne andassero i Mercati, che portavano degrado e inquinamento...

  ROBERTO MORASSUT. Ci sono state varianti. Mi ricordavo il contrario di quello che dici, che c'erano molti spazi pubblici.

  PAOLO BERDINI, assessore all'urbanistica e infrastrutture del Comune di Roma. C'erano 4 ettari. Bravo, Morassut. Lì c'era la città pubblica: sbagliata, giusta – facciamo dibattito – ma c'era, la vedevi. Adesso non c'è un metro quadrato non impermeabilizzato. Credo che questo sia un modo sbagliato. Non diciamo no: diciamo sì a un altro modello di città, che è quello che ho cercato malamente di argomentare.

  CLAUDIA MANNINO. Chiedo che l'assessore possa farci avere i dati che ho chiesto anche tramite l'invio di documentazione.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare l'assessore Berdini, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Giovanni Azzone, project manager della struttura di missione Casa Italia, e del professor Alessandro Balducci, esperto presso la struttura di missione Casa Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Giovanni Azzone, project manager della struttura di missione Casa Italia, e del professor Alessandro Balducci, esperto presso la struttura di missione Casa Italia, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al professor Azzone, e successivamente al professor Balducci, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine dei loro interventi, domande e richieste di chiarimento.

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  GIOVANNI AZZONE, project manager della struttura di missione Casa Italia. Grazie dell'attenzione e del tempo che ci dedicate. Nel nostro intervento a due voci, dal mio punto di vista vorrei richiamare quali sono i temi specifici, su cui la struttura di missione Casa Italia sta affrontando il tema connesso alle periferie e, più in generale, all'attività della Commissione, mentre il professor Alessandro Balducci, che, all'interno dell'attività di Casa Italia, coordina il gruppo di attività connesse ai temi di rischio sociale, contesto urbano, impatto e interazione fra rischi di carattere naturale e rischi di carattere sociale, condurrà gran parte degli aspetti tecnici dell'intervento.
  La missione Casa Italia nasce con l'obiettivo di costruire un piano di prevenzione del rischio di lungo periodo e, nella prima fase della sua attività, che comprende sostanzialmente i primi dodici mesi, si focalizza in particolare sul tema del rischio connesso al residenziale. Sostanzialmente, l'obiettivo è quello di proporre un piano di prevenzione che aiuti a rendere meno rischiosa l'edilizia residenziale, sia di proprietà pubblica sia di proprietà privata. L'approccio cerca di lavorare su tre componenti diverse. Innanzitutto, c'è un tema di pericolosità, per cui si cerca di comprendere come sia possibile ridurre la pericolosità dei luoghi, sia dal punto di vista del rischio naturale sia dal punto di vista per rischio sociale. In secondo luogo, ci sono temi di vulnerabilità e in particolare del patrimonio edilizio, per cui si cerca di identificare il livello di vulnerabilità caratteristico degli edifici nelle diverse aree del Paese e i tipi di interventi che lo potrebbero ridurre. Il terzo è un tema di esposizione a rischio, quindi si cerca di identificare se alcuni luoghi presentano livelli di esposizione, tali da richiedere un intervento normativo teso a ridurre questo tipo di problema.
  La missione Casa Italia ha iniziato le sue attività il 6 novembre, ma le ha interrotte il 12 dicembre, in relazione alla caduta del Governo Renzi, essendo una struttura di missione. La missione ha ripreso le attività formalmente il 9 gennaio: abbiamo quindi una vita nell'ordine di due mesi e vi raccontiamo alcune fasi di lavoro, sapendo che si tratta di un lavoro in corso, su cui ci saranno anche prospettive future.
  Dal punto di vista dell'attività specifica, ci sono tre grandi blocchi di intervento.
  Il primo riguarda l'intervento di razionalizzazione delle informazioni esistenti, che, in particolare, definiamo «Italia consapevole» e ha l'obiettivo di raccogliere in un unico luogo accessibile al pubblico tutte le informazioni sulla pericolosità e vulnerabilità dei luoghi a livello comunale. Queste informazioni sono oggi presenti, ma in modo molto disperso. L'Istat ha una certa disponibilità di dati a livello nazionale, mentre altri sono dati raccolti ed elaborati dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e altri ancora dall'Ispra presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il nostro primo obiettivo è fare in modo che, per ciascun comune italiano, le principali misure siano note e disponibili e siano facilmente comprensibili, perché si tratta di indicatori con caratteristiche tecniche non banali. Questo repository sarà disponibile, come ci auguriamo, entro il mese di marzo e vuole essere un primo contributo di conoscenza del livello di fragilità complessivo del Paese. L'approccio è quello del multi-hazard, quindi è sostanzialmente basato sull'associazione non per singola tipologia di rischio verticale, ma per interazione dei rischi. Abbiamo purtroppo visto alcuni casi emblematici e drammatici, dove la coesistenza di rischi diversi, quale il rischio frane e valanghe di carattere idrogeologico e il rischio di carattere sismico, ha avuto effetti moltiplicativi, che sono stati particolarmente devastanti.
  Il tema riguarda la ricostruzione delle politiche, in particolare delle politiche di prevenzione del rischio di carattere naturale e delle politiche di prevenzione del rischio di carattere sociale, cercando di cogliere gli elementi positivi, con un'ottica di riferimento nell'ordine dei vent'anni, quindi dai primi anni Novanta fino a oggi, e quelli che sono, a nostro avviso, alcuni elementi di debolezza presenti nelle politiche di questi anni. Pag. 23
  Il terzo punto riguarda una vera e propria proposta di intervento di prevenzione, che si focalizzerà, nel primo anno di attività, sul tema della sismica, quindi si tratta di una politica per la prevenzione del rischio sismico, attraverso una riduzione della vulnerabilità del patrimonio edilizio. Il nostro lavoro comprende anche aspetti che mi sembra in parte connessi alle attività della Commissione e riguardano la modalità di finanziamento e il fabbisogno finanziario per un intervento di questo genere.
  Questo è il quadro generale, su cui ci stiamo muovendo e su cui siamo a disposizione per ogni approfondimento. Darei, se lo consentite, la parola al professor Balducci per entrare nel merito dei dati puntuali e dell'impostazione generale.

  ALESSANDRO BALDUCCI, esperto della struttura di missione Casa Italia. Ringrazio anch'io per il tempo che ci dedicate. Nella preparazione di questa relazione sono partito dalle questioni che ci avete posto e, in particolare, da due: come possiamo analizzare il patrimonio edilizio, naturalmente dal punto di vista del lavoro che stiamo facendo come Casa Italia e, nelle politiche in atto, che tipo di valutazione possiamo dare sulle modalità di intervento.
  Per organizzare i dati, che poi vi forniremo, nella loro articolazione, abbiamo pensato di utilizzare come suddivisione del Paese non la classica divisione nord-centro-sud, ma l'articolazione proposta nella Strategia nazionale per le aree interne. In tale articolazione, si distingue il territorio nazionale in sei grandi categorie. Fanno parte delle aree urbane: le aree di polo, quindi i centri urbani; i poli intercomunali, quindi le aggregazioni di centri con un sistema di servizi piuttosto sviluppato; i comuni di cintura, quindi l’hinterland delle periferie. Poi, ci sono altre tre categorie, che sono le aree intermedie, le aree periferiche e le aree ultraperiferiche e che fanno parte della Strategia delle aree interne. È interessante quest'articolazione, perché intanto attraversa tutto il territorio nazionale, ma ci permette anche di capire che la periferia non è solo quella urbana. Ci sono appunto periferie legate alla distanza dai servizi e alle situazioni di disagio, anche nelle aree fragili e marginali del Paese, e ci sono periferie nelle aree interne. Nel lavoro di Casa Italia, per valutare questa situazione dal punto di vista del rischio socio-economico, che è una delle dimensioni di rischio che affrontiamo, abbiamo utilizzato principalmente due grandi sistemi di indicatori.
  Uno di questi è – so che avete avuto l'audizione anche del presidente Alleva – il nuovo indicatore della vulnerabilità sociale e materiale, prodotto dall'Istat, che è molto interessante. Si tratta di un indicatore molto sofisticato, perché tiene in considerazione tutta una serie di aspetti, che riguardano la popolazione, come la situazione di analfabetismo, la percentuale di famiglie con più di sei componenti, il sovraffollamento e tutta una serie di altri aspetti, su cui ora non mi dilungo. Questo indicatore ci dà una buona indicazione su quale sia la vulnerabilità sociale e materiale del Paese, nella sua la differenziazione. L'altro, è un nostro indicatore di contrazione demografica ed economica, che riguarda lo spopolamento, l'invecchiamento e la contrazione economica delle diverse aree.
  Abbiamo cercato di caratterizzare le situazioni delle periferie del Paese partendo dalla prevalenza di fenomeni di degrado legati alla vulnerabilità sociale e materiale, presenti soprattutto nelle aree urbane centrali, oppure dalla prevalenza della contrazione sociale ed economica, quindi demografica ed economica, dominante soprattutto nelle aree fragili, marginali e periferiche del nostro Paese. Quali caratteristiche presentano queste aree, dal punto di vista di indicatori significativi? Per esempio, l'indice di vecchiaia, uno degli indicatori significativi, di cui adesso non vi parlerò molto, è di 173 nei comuni polo, ma scende a 156 nei comuni di cintura, quindi nei centri delle città è molto elevato e scende nei comuni di cintura, per poi risalire a 266 nei comuni periferici delle frange. Lo stesso si potrebbe dire per una serie di altri elementi. Il numero di componenti delle famiglie, molto basso nelle aree centrali delle città, si alza nelle aree intermedie e poi si abbassa ulteriormente, perché la popolazione è prevalentemente anziana. Pag. 24
  Detto questo, possiamo parlare degli edifici, per rispondere appunto alla domanda che ci avete proposto. Gli edifici residenziali in Italia sono circa 12 milioni 200.000, di cui il 60 per cento sono nei centri urbani e il 40 per cento in aree interne, dove vive soltanto il 22 per cento della popolazione; cioè dei 12 milioni e 200.000 edifici, il 60 per cento è nelle aree urbane e il 40 per cento nelle aree interne dove vive solo il 22 per cento della popolazione totale.
  Per quanto riguarda alcune caratteristiche di questo edificato, vorrei parlare dei materiali da costruzione. Di 12 milioni 200.000 edifici, quasi sette milioni sono in muratura portante – è questo un elemento abbastanza significativo; più della metà di questi si trova nei centri urbani, che diventano il 67-68 per cento nelle aree periferiche e ultraperiferiche dell'interno. Questo per noi è un punto molto importante. Per converso, meno del 30 per cento degli edifici residenziali sono in calcestruzzo, di cui il 39 per cento nei centri urbani e il 17 per cento nei comuni periferici. Vi forniremo anche queste tabelle. Per quanto riguarda l'epoca di costruzione, 3 milioni 150.000 edifici datano prima del 1945 e 8,6 milioni di edifici tra il 1945 e il 2005. Questi sono tutti dati del censimento 2011, quindi richiedono un aggiornamento, ma posso dirvi che, tra il 2005 e il 2011, quando c'è stata appunto la prima avvisaglia della crisi, il livello dei nuovi edifici realizzati, come sapete, è molto più basso. Complessivamente gli edifici costruiti prima del 1945 rappresentano il 23,9 per cento nei centri e quasi il 30 per cento nelle aree interne. Torna un altro elemento di debolezza, anche perché le aree interne sono anche e prevalentemente quelle di carattere appenninico, su cui noi come Casa Italia stiamo svolgendo il nostro lavoro di approfondimento. Per quanto riguarda lo stato di conservazione, 204.000 sono gli edifici residenziali in stato di conservazione pessimo, con una maggiore incidenza nelle aree periferiche, e 1 milione 850.000 sono gli edifici in stato di conservazione mediocre. Complessivamente, il 18 per cento è in stato mediocre o pessimo, con una maggiore presenza nelle aree interne rispetto alle aree urbane. Anche questo è un ulteriore elemento. Vorrei fare un'ultima osservazione sullo stato di conservazione degli edifici. Se prendiamo il dato delle 20 maggiori città italiane da Roma a Modena, possiamo osservare che riemerge la distinzione nord-sud. Per esempio, la gran parte delle città del nord hanno percentuali di edifici in pessimo stato di conservazione inferiore all'1 per cento, che a Milano è soltanto lo 0,6 con 271 edifici in stato di conservazione pessimo, così come definito dall'Istat, o a Torino lo 0,6 con 233 edifici e a Bologna lo 0,7 con 133 edifici. All'opposto, abbiamo Reggio Calabria con l'8,2 per cento e 2587 edifici in stato di conservazione pessimo, Catania con il 6,8 per cento e 1.977 edifici e Messina con il 4,8 per cento e 1.743 edifici. Da questo punto di vista, le città del sud presentano livelli di stato di conservazione e manutenzione degli edifici significativamente peggiori. Su molte di queste città, come Reggio Calabria, Messina e Catania, si combina il rischio sismico con quello socio-economico, e questi elementi di degrado sono, per noi, elementi di attenzione piuttosto importanti.
  Chiudo la prima parte relativa alla prima domanda sottolineando che è importante tenere presenti le dimensioni complessive e la loro articolazione territoriale, perché, diversamente da quanto si potrebbe pensare, tutte le Città metropolitane, a eccezione di Milano, hanno un certo numero di comuni, che ricadono nella categoria delle aree interne, quindi presentano quel carattere di perifericità e lontananza rispetto al sistema dei servizi pur essendo incluse nelle Città metropolitane. Complessivamente, nelle 14 Città metropolitane, dove vivono 20 milioni 400.000 abitanti, ben 2 milioni 350.000 abitanti sono in comuni classificati come aree interne, quindi intermedi, periferici o ultraperiferici. Si va dai tre comuni della città metropolitana di Catania ai 33 della città metropolitana di Genova, ai 111, come sappiamo, di quella di Torino, con un territorio, la cui identificazione con la provincia ha incluso comuni di montagna. Questo aspetto ci segnala anche un problema molto importante per la riflessione sulle Pag. 25periferie, perché complessivamente ci sono 425 comuni delle 14 Città metropolitane che fanno parte tecnicamente delle aree interne e si tratta di comuni che presentano caratteri propri dei territori meno serviti, meno accessibili e in maggiori situazioni di degrado, pur essendo dentro alle aree di influenza delle Città metropolitane, quindi si tratta delle nuove periferie in maggiore sofferenza nelle nostre regioni urbane, che normalmente non vengono percepite come parti della città o come nodi problematici. La città, come sappiamo, nel corso degli ultimi vent'anni si è molto estesa nello spazio e si è trasformata profondamente, facilitata dallo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione e di trasporto, per cui, dove c'erano città con un loro hinterland, oggi troviamo vaste regioni urbane connesse le une con le altre, in cui è difficile definire i confini. Riguardo a Milano, per esempio, oggi bisogna considerare, secondo l'OCSE e secondo tutti gli osservatori, almeno dieci province che appartengono a tre regioni diverse e addirittura due nazioni, perché l'area del Ticino, di fatto, gravita su Milano. In questo territorio, così riarticolato e così cambiato, si formano periferie interne, che sono segnalate appunto da questi dati e che è molto importante cercare di tenere sotto osservazione.
  Passo ora al secondo punto, che riguarda un'altra parte del lavoro che stiamo svolgendo: come si interviene rispetto a queste periferie e quali sono state, fino a oggi, le modalità di intervento, ma anche se possiamo avere dei primi segnali per capire come riarticolare l'intervento, soprattutto nelle aree che interessano noi come Casa Italia, ossia quelle in cui si sovrappongono rischi naturali con rischi sociali. Innanzitutto, bisogna mettere in evidenza il fatto che, in Italia sicuramente, ma anche in molti altri Paesi europei, l'impulso è venuto dalla Commissione europea, che ha svolto un ruolo di catalizzatore, di soggetto capace di prendere le migliori esperienze fatte in Francia, in Gran Bretagna e in nord Europa e diffonderle attraverso i programmi di lotta alla povertà degli anni Ottanta, che sono diventati gli Urban pilot project della fine degli anni Ottanta e poi i programmi Urban per poi estendersi in Italia e in molte aree d'Europa.
  L'aspetto del ruolo del centro è, secondo noi, uno spunto di riflessione molto interessante, perché la Commissione europea, soggetto molto centrale e lontano, era comunque in grado, per riuscire a diffondere buone pratiche di intervento su territori particolarmente svantaggiati, di prendere le migliori pratiche e trasformarle in un programma competitivo, per poi accompagnarlo attraverso un sistema di valutazione. Questo è stato senz'altro un elemento interessante, che poi è stato imitato in molti paesi. Dopo gli Urban, in Germania si è sviluppato il programma Soziale Stadt, in Belgio c'è stata Politique des Grandes Villes, ma c'è stato un seguito anche in Danimarca e in Francia o in Italia con i Contratti di quartiere.
  Per quanto riguarda il nostro Paese, gli interventi sono stati molteplici: se prendiamo in considerazione il periodo dai primi anni Novanta, quando c'è stato questo impulso, a oggi, c'è una lista molto lunga di programmi. Programmi integrati di intervento del 1992; programmi di recupero urbano del 1993; programmi di riqualificazione urbana del 1994; contratti di quartiere del 1997; Urban-Italia del 2000; contratti di quartiere II del 2001; programmi di riqualificazione urbana del 2002, zone franche urbane del 2006; piano città del 2012; il piano nazionale per la riqualificazione e rigenerazione delle aree urbane degradate del 2015; programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie del 2016, quello più recente. Con il nostro lavoro abbiamo provato a entrare nel merito per cercare di capire che questo tipo di strumenti di policy, le loro caratteristiche, i costi e l'impatto che hanno avuto.
  Quando erano disponibili abbiamo utilizzato anche alcuni pochi strumenti di valutazione – perché è stato molto raro il lavoro di una vera e propria valutazione di questi programmi – e alcune ricerche, come appunto quella che poi è confluita nel rapporto Censis del 2015. Sui programmi di recupero urbano (PRU) del 1993, che Pag. 26venivano da misure urgenti per l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione, e sottolineo anche la varietà delle caratteristiche di questi strumenti: 283 programmi per 500 milioni di euro, senza criteri di selezione e semplicemente con un giudizio dato dal CER.
  Per i programmi di riqualificazione urbana (PRiU), che venivano da Programmi di riqualificazione urbana a valere sui finanziamenti della legge del 17 febbraio 1992, abbiamo 87 programmi per 300 milioni di euro. In questo caso, c'era un unico criterio: il 70 per cento dei fondi doveva andare nelle città con più di 300.000 abitanti e il 30 per cento a città inferiori a 300.000 abitanti.
  Il programma Urban I in Italia ha prodotto 18 programmi per 330 milioni di euro, mentre il programma contratti di quartiere I, che è stata la prima forma di intervento, nella legge finanziaria del 1996 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), ha prodotto 58 programmi per 350 milioni di euro, in parte da fonti Gescal. Come sapete, dopo il successo del programma Urban, che con poche risorse (soltanto 900 milioni) è riuscito a produrre a livello europeo un grosso fermento, l'intenzione della Commissione era di non proseguire con questo programma ed è stato il Parlamento a chiedere di rinnovarlo e di realizzare il programma Urban II. In Italia, ci sono stati dieci programmi con 174 milioni di euro. Poi, c'è stato il Programma Urban-Italia. Le domande anche in Italia erano state molte, quindi si è deciso di finanziare altri 20 programmi, oltre i 10 che erano stati ammessi al programma europeo, con 103 milioni di euro.
  I contratti di quartiere II, che sono stati la seconda edizione, hanno prodotto 184 programmi per 1.288 milioni di euro con fondi Gescal.
  Per le zone franche urbane, che sono oggetto anche della vostra attenzione, ci sono stati 23 programmi per 605 milioni di euro.
  Venendo a noi, c'è stato il piano nazionale per le città del 2012. Anche in questo caso, c'è stato il decreto-legge recante Misure urgenti per la crescita del Paese, quindi non strumenti specifici, e sono stati prodotti 28 programmi per 318 milioni di euro.
  Poi c'è stato il piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate del 2015, con 200 milioni di euro, che sono in corso di assegnazione. Infine, c'è stato il programma per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie. È appena terminata la fase di valutazione per questi ultimi due, quindi non sappiamo quanti programmi verranno finanziati, però sappiamo che l'ammontare della cifra è di 200 milioni nel primo caso e di 500, estesi a 2 miliardi, nel secondo caso.
  Che tipo di valutazioni possiamo fare? Complessivamente, negli ultimi 20-25 anni, sono stati stanziati quasi 5 miliardi di euro, quindi parliamo di flussi finanziari piuttosto consistenti. I provvedimenti sono stati sempre di diversa natura (articoli di legge finanziaria, DPCM, decreti ministeriali), senza una continuità dei soggetti responsabili. La valutazione è stata scarsa e piuttosto episodica. I comuni si sono trovati, nella generalità dei casi, impreparati e hanno proposto progetti che avevano già nel cassetto, predisposti per altre finalità. Gli indicatori da rispettare per la selezione delle aree di intervento hanno rappresentato un filtro molto debole, quando c'è stato questo filtro. La capacità dei comuni di partecipare con successo ai bandi è stata estremamente disomogenea. Questo è un approfondimento che vogliamo fare, nel senso che vogliamo capire di più, perché c'è la netta sensazione che abbiano vinto quelli che erano già capaci di vincere. Questi elementi sono importanti. Oltretutto, c'è stata anche una fase di concentrazione temporale fino al 2000 e poi una fase di interruzione dal 2000 al 2012, mentre adesso c'è una nuova fase di concentrazione di interventi.
  Che cosa è possibile fare? Secondo noi, è molto importante riuscire a selezionare con maggiore accuratezza gli indicatori da utilizzare per individuare le aree critiche del Paese, perché, lavorando su tutto il territorio nazionale con gli stessi strumenti e con le stesse misure e introducendo elementi Pag. 27 per cui in ogni regione ci devono essere alcuni programmi, si ottengono risultati non interessanti dal punto di vista dell'efficacia sugli interventi. Naturalmente si tratta di interventi importanti, perché sono integrati e partecipati con i cittadini e si occupano della riqualificazione fisica, che, come abbiamo visto, ha dimensioni rilevanti, ma si occupano anche della riqualificazione sociale. Un secondo aspetto, per noi di Casa Italia, consiste nell'assumere come priorità le aree nelle quali il rischio socio-economico si incrocia con il rischio naturale. Un terzo aspetto consiste nel cercare di costruire un quadro stabile di politiche di prevenzione delle fragilità legate al rischio socio-economico, che non debbano essere affidate a strumenti così diversi e a soggetti anche così diversi.
  Ho fatto per un anno l'assessore all'urbanistica al comune di Milano nell'ultima amministrazione di Pisapia e ho visto in diretta cosa avviene, quando arriva il finanziamento, peraltro non tanto preannunciato: effettivamente si cerca di capire se con quei criteri, peraltro utilizzati nel penultimo sistema, si riescono a trovare zone adatte e, tra i progetti già predisposti, quelli che possano rientrarvi. La questione della capacità progettuale dei comuni è molto importante, soprattutto in quelli che non riescono a vincere per varie ragioni: bisogna finanziare studi di fattibilità degli interventi sulle aree critiche per stimolare una progettualità efficace, con un canale distinto dal finanziamento dei bandi, cosa che ci sembra un fatto molto importante.
  C'è una stagione recentissima, molto difficile in questo momento valutare, quella dei patti per le città. L'impressione in questo momento è che si tratti di un importante accordo tra governo centrale e città, ma, allo stesso tempo, non si vedono ancora chiaramente i criteri e le priorità, per costruire in modo efficace i rapporti centro-periferia, a livello delle politiche urbane.
  Chiudo soltanto dicendo che, se andassimo sulle aree interne, troveremmo una situazione non particolarmente diversa e più complessa per capire che cosa si può fare, perché ci sono: programmi leader; progetti territorio snodo; patti territoriali; contratti d'area; strategia nazionale per le aree interne, forse la politica più strutturata in merito; masterplan per il Sud; iniziative dell'Unesco. In questo caso, abbiamo un elenco molto ampio di interventi e soggetti molto diversi che intervengono, quindi è più difficile capire quali potrebbero essere le soluzioni, mentre su un bagaglio ormai consolidato di esperienza e di riflessione, come quello degli interventi sulle periferie urbane, forse ormai siamo arrivati a un punto in cui si capisce quali sono gli elementi di debolezza e forse il tema rilevante è capire come trasformare questa comprensione in azione politica.

  PAOLO GANDOLFI. È molto interessante la relazione e mi dispiace di averne perso una parte. Ho seguito l'elenco dei vari programmi messi in campo negli ultimi vent'anni, con nomi diversi, strumenti diversi e indicatori diversi, che già conoscevo, e la mia prima idea, su cui vi chiedo una valutazione vostra molto sincera e molto aperta e che mi sono fatto e mi faccio anche oggi, ascoltando la vostra relazione, è che, a parte i problemi che avete evidenziato, come la capacità di progettazione dei comuni, mi sembra che ci sia un problema di fondo. Vi chiedo se anche voi lo ritenete tale. Forse manca, dal punto di vista di chi promuove questi programmi, cioè lo Stato, una visione strategica sull'argomento. Forse manca addirittura un soggetto competente che, nel lungo periodo, riesca a dare continuità, almeno tecnica, visto che, per fortuna, dal punto di vista politico ci sono anche dei cambiamenti, quindi non c'è una continuità in tal senso. I governi di solito durano mediamente poco, quindi non è certo la continuità politica a dare garanzie. Tuttavia, almeno dal punto di vista tecnico, è necessario sapere se c'è un referente unico, perché, altrimenti, ho la sensazione che è vero che i comuni sono deboli in termini di progettualità, per cui, quando arriva, leggono il bando e i più bravi cercano e trovano un progetto che, più o meno, possa andare bene.
  Il suggerimento di aiutarli fuori dalla linea investimenti, anche con una linea di crescita e di capacità progettuale, mi sembra molto azzeccato, però mi chiedo: non è Pag. 28che forse, come si dice dalle mie parti, il manico è un po’ debole? Lo dico perché, se così fosse, uno dei nostri compiti forse è anche quello di dare suggerimenti in termini di governance della materia e vedere se lo Stato italiano può dotarsi e strutturarsi, come è stato fatto in altri Paesi, di un soggetto o un organismo o una struttura, che, al di là delle variazioni politiche, sia in grado di dare continuità, anche perché, se si cambia nome costantemente ai programmi, vuol dire o che non si riconosce la necessità di continuare quello precedente o che si intende introdurre un'innovazione, ma qualcosa di incomprensibile succede, da una volta all'altra.

  VINCENZO PISO. Vorrei porre una domanda secca, riagganciandomi anche in parte a quello che diceva il collega che mi ha preceduto e fermo restando la giovane età della vostra della struttura. Si potrebbe, considerando che la vostra struttura si dovrebbe occupare di situazioni con particolare criticità, valutare anche l'idea di cercare di individuare situazioni particolari, su cui fare dei focus.
  Faccio un esempio. In tutta la zona di Napoli e dell’hinterland napoletano, c'è una serie di problemi ben noti, per cui dobbiamo sperare non accada mai nulla rispetto al Vesuvio, perché abbiamo una situazione potenzialmente più che esplosiva. Ora, riagganciandomi anche al discorso che faceva poc'anzi il collega, c'è la necessità di dare a tutto questo forse anche una maggiore interdisciplinarità, cercando di mettere insieme diversi ambiti dello Stato, che pensano di intervenire sulla medesima materia, per vedere, rispetto a situazioni specifiche, al di là di un'analisi di carattere generale e della connotazione giovane della struttura stessa, che deve avere la capacità e la possibilità di dispiegare le proprie competenze, come fare in modo di essere quanto più ficcanti possibili, rispetto a situazioni che sono particolarmente preoccupanti in termini di prospettiva.

  GIOVANNI AZZONE, project manager della struttura di missione Casa Italia. Ci sono due temi critici. Il primo tema è quello della visione strategica, che riguarda l'obiettivo finale cui si vuole arrivare, e della stabilità rispetto a tale obiettivo. Lo vediamo anche su tutti i temi della prevenzione. Noi viviamo sull'emergenza, perché, se cambia l'emergenza, cambia anche il tema, per cui, il giorno – non voglia Dio – che dovesse succedere qualcosa sul Vesuvio, il problema diventa quello del vulcano e tutto il resto passa in secondo piano.
  Credo che ci sia bisogno di una visione di medio termine, necessaria se vogliamo fare prevenzione e se vogliamo intervenire preventivamente, altrimenti rischiamo sempre di intervenire dopo e con il fiato corto. Questo richiede di conseguenza una struttura, che credo debba essere stabile. Sono abbastanza convinto che serva un presidio politico stabile con una struttura amministrativa stabile, che debba essere presso la Presidenza del Consiglio, perché, come si diceva prima, questa è una tipica attività su cui c'è un coordinamento di amministrazioni diverse. Oggi, parliamo di aspetti di carattere residenziale, ma dobbiamo considerare anche un tema di edilizia scolastica, un tema di infrastrutture e un tema di beni culturali, per cui la nostra visione mi sembra coerente con quello che emergeva dalle vostre domande. Poi, toccherò anche il tema di Casa Italia in modo specifico.
  Secondo me, c'è un altro aspetto rappresentato dal fatto che le politiche, quando ci sono, mi sembra risentano di una situazione vecchia, in cui dovevamo progettare in modo molto omogeneo sul territorio, perché non disponevamo di dati strutturati puntuali, per cui il «facciamo una politica specifica per Napoli» non si giustificava, perché occorreva fare una politica il più possibile omogenea e standardizzata a livello nazionale. Ho fatto riferimento a Napoli, ma può essere il caso di Reggio Calabria o di Messina per la parte sismica, o anche del Friuli, quindi non sto parlando di un'area specifica. Secondo me, siamo in una situazione in cui è possibile progettare politiche molto mirate e molto delicate, in cui, al limite, definiamo l'intervento specifico di agevolazione finanziaria per una specifica casa, che, guarda caso, è contigua Pag. 29ad altre cinque e che, se non la mettiamo in sicurezza, rischia di far crollare le altre, quindi si può veramente cambiare la qualità delle politiche pubbliche rispetto al passato.
  Su Casa Italia, vorrei riportare due punti specifici. Il primo riguarda la condivisione del tema dei focus e degli approfondimenti specifici. In particolare, abbiamo individuato con il senatore Piano, che è stato tra i soggetti a spingere di più per l'attivazione di questa struttura, un obiettivo di dieci cantieri sul territorio, che vogliono essere sia luoghi emblematici di intervento edilizio, in cui si riesca a evidenziare come migliorare il livello di sicurezza di un edificio, senza alterare la qualità della vita di chi ci abita, quindi senza renderlo disabitato per mesi per poter intervenire, sia luoghi di approfondimento di politiche. L'idea è: non mi interessa mettere in sicurezza l'edificio, se non riesco a creare attorno a questo edificio un contesto socio-economico, che giustifichi il fatto che le persone ci vogliono rimanere. Abbiamo inviato al Presidente del Consiglio una prima lista di dieci possibili localizzazioni, che incrociano diverse dimensioni, e siamo in attesa di verificare se, in merito, ci saranno focus specifici.
  L'impostazione data a Casa Italia, fin dall'inizio, prevedeva che la struttura attuale fosse molto leggera e senza organico, perché deve costruire un progetto sostenibile. Tuttavia, se il progetto è sensato e condiviso, Casa Italia deve appoggiarsi su una struttura stabile. Da un lato, ci sono i cantieri e, dall'altro, abbiamo avanzato l'ipotesi di un dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, che possa essere il luogo in cui si rendono operative queste idee, che, altrimenti, rischiano di essere solo un rapporto, messo nel cassetto più o meno rapidamente, e che servirà a poco al Paese.

  ALESSANDRO BALDUCCI, esperto della struttura di missione Casa Italia. Aggiungo soltanto due temi su queste due osservazioni collegate tra di loro. C'è una parziale sovrapposizione del lavoro di Casa Italia con il lavoro sulle periferie più in generale, nel senso che noi ci dobbiamo occupare anche del rischio socio-economico nelle situazioni in cui il rischio si cumula con altri rischi di tipo naturale (sismico, vulcanico, idrogeologico). Per questo abbiamo la titolarità per proporre interventi che possano strutturare meglio le azioni. Alcune di queste cose incrociano il tema delle politiche per le periferie più in generale, nel senso che l'esperienza di questi ultimi quarant'anni sull'intervento nelle periferie ha dimostrato che l'approccio area-based integrato, che mette insieme diversi elementi, è complesso dal punto di vista della sua realizzazione, perché normalmente l'amministrazione tende a funzionare per settori separati, ma, nello stesso tempo, permette di evitare i rischi maggiori. Per farlo, abbiamo bisogno di una continuità di azione. Mi riferisco anche alla sua osservazione riguardo al fatto che i soggetti cambiano nel corso del tempo o che la temporalità è spesso interrotta e la valutazione quasi del tutto assente. Sono riuscito a trovare, per il momento, due o tre documenti di valutazione su queste politiche, qualcuno fatto dalla Corte dei conti e dalla Banca d'Italia e qualcuno fatto attraverso ricerche, ma non c'è un'accumulazione sistematica in merito. È invece assolutamente indispensabile capire come hanno funzionato quelle politiche nei diversi contesti e quali sono gli elementi di debolezza. Spesso si rischia di tornare alle politiche tradizionali di tipo settoriale, perché queste sono troppo complesse e non riescono a raggiungere i loro risultati. Abbiamo bisogno di continuità ed è necessario, effettivamente, un soggetto che la possa portare avanti.
  Per quanto ci riguarda, come Casa Italia, ha già detto il professor Azzone.
  L'altro aspetto significativo è quello delle sperimentazioni, cioè è nostra intenzione realizzare dieci cantieri, che, come avete saputo da Renzo Piano anche in Parlamento, sono finalizzati a dimostrare il fatto che si possa intervenire senza mandar fuori le persone, quindi se si possono fare azioni di consolidamento soprattutto sul sismico, che siano effettivamente di forte miglioramento e soprattutto di protezione della vita delle persone. Ora, se partirà il programma, possiamo andare in quei territori per fare Pag. 30i focus che lei diceva, cioè possiamo verificare dal basso l'impatto di tutto l'insieme di politiche per le aree fragili del Paese, che arrivano, a macchia di leopardo e in modo molto scoordinato, per il momento, a terra. Non dico per ricostruirle dal basso, ma per ricostruire un'azione centrale, che possa prendere insegnamento dalla difficile articolazione sul territorio degli interventi. Per esempio, se prendiamo le due grandi famiglie, quelle europee dei Programmi Leader con i GAL e quelle delle aree interne nostre, posso dire che queste ancora non dialogano tra di loro, quindi riguardano territori molto diversi. Questo ci permetterà di raggiungere questa comprensione. I focus sono molto importanti, non tanto, come dicevo prima, per le aree periferiche della città, su cui, più o meno, abbiamo capito abbastanza, quanto per le periferie interne.

  PRESIDENTE. Vorrei chiederle se può darci indicazioni su quali sono i dieci cantieri.

  GIOVANNI AZZONE, project manager della struttura di missione Casa Italia. Non posso farlo per una semplice ragione: abbiamo identificato dieci luoghi potenzialmente interessanti, ma dobbiamo incrociarli con la disponibilità di edilizia residenziale di proprietà pubblica nei singoli luoghi. Siamo ancora in una fase in cui dobbiamo verificare, per cui, non a caso, non sono dieci, ma sono trenta quelli che abbiamo individuato. Non è assolutamente una cattiva volontà verso al Parlamento.

  PAOLO GANDOLFI. Mi è stata già data la risposta, perché è stato detto di un dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, quindi ho ricevuto una risposta molto precisa a quello che chiedevo. Vorrei però una specificazione.
  Voi siete Casa Italia e prima avevamo in audizione l'architetto Berdini. Da assessore all'urbanistica del comune di Roma – adesso faccio una semplificazione e non voglio rubare complessità al suo pensiero – l'architetto Berdini incentrava tutto il tema dei problemi della città di Roma su accessibilità, trasporti, mobilità. La mia domanda è questa: quel dipartimento dovrebbe, più in generale, occuparsi delle aree urbane o stare prevalentemente sull'aspetto dell'edilizia residenziale? Lo chiedo perché ho avuto la sensazione che la cosa sia molto articolata e complessa e che quello che manca in Italia è appunto una politica sulle aree urbane, paradossalmente, essendo noi la nazione delle città, per cui sarebbe curioso capire se quella è una strada che possiamo imboccare.

  GIOVANNI AZZONE, project manager della struttura di missione Casa Italia. Vorrei fare una precisazione, prima lasciare al mio collega la possibilità di entrare nel merito.
  Ci occupiamo del tema della prevenzione del rischio, in cui è stato scelto di dare priorità alla casa, nel senso che uno ritiene a casa propria di essere sicuro, quindi abbiamo cercato di capire quanto si è sicuri oppure non lo si è e cosa si potrebbe fare per essere più sicuri. Tuttavia, la questione non può essere vista solo a livello di edifici, perché c'è un problema di sicurezza chiarissimo anche nell'edilizia scolastica, che ha più o meno la stessa valenza, perché poi i nostri figli stanno a scuola quasi più tempo di quanto ne passino in casa. Inoltre, c'è un problema di infrastrutture perché se le strade e i ponti sono vulnerabili agli eventi esterni, il risultato è che non si riesce a intervenire sul territorio. Non vorrei darvi l'impressione sbagliata di essere focalizzati solo sul tema edilizio. Crediamo che la questione debba riguardare la prevenzione, integrando due dimensioni. In primo luogo, dobbiamo integrare diversi fenomeni. C'è la percezione che le politiche siano fatte sul singolo tipo di problema. Per esempio, sull'idrogeologico, si agisce senza guardare che l'idrogeologico interagisce con il sismico o, se succede qualcosa Messina per un terremoto, il problema del degrado sociale amplificherebbe in modo molto forte i danni, rispetto ad altri luoghi. Secondo me serve qualcosa presso la Presidenza del Consiglio intesa come luogo di coordinamento fra politiche settoriali diverse. Pag. 31
  Il secondo aspetto riguarda l'integrazione fisica. La nostra percezione è che i confini amministrativi non siano il modo migliore di descrivere un'area, per cui ragionare sul comune di Roma – peraltro anomalo dal punto di vista dell'estensione territoriale – o sul comune di Milano, vuol dire non poter affrontare correttamente il problema. Le aree territoriali estese rappresentano, secondo noi, un luogo di analisi del problema adeguato.

  ALESSANDRO BALDUCCI, esperto della struttura di missione Casa Italia. Per quanto ci riguarda, come Casa Italia, ha detto già il professor Azzone, quindi non aggiungo niente. Vorrei dire la mia opinione rispetto alla questione che l'onorevole Gandolfi sollevava. Penso che uno dei problemi della frammentarietà e della discontinuità, per quanto riguarda l'insieme degli interventi sulle questioni urbane, sia legato al fatto che abbiamo avuto il Ministero per i problemi delle aree urbane per pochissimi anni e un Dipartimento per qualche anno ancora, ma poi, di fatto, non c'è stato più nessun presidio specifico su questi temi. Penso che questa Commissione possa effettivamente dare un contributo in tale direzione, come peraltro già indicato da altri soggetti, come l'Unione europea con l'Agenda urbana europea e le raccomandazioni nei confronti della città a focalizzare l'attenzione, perché sappiamo che le città sono i luoghi, a partire dai quali si possono risolvere tanti problemi di natura economica, sociale e ambientale del nostro Paese, quindi la mia opinione è che sia molto giusto muoversi in quella direzione.

  PRESIDENTE. Sono dati molto interessanti quelli che ha citato, per cui le chiediamo se possiamo acquisire, come Commissione, la vostra analisi dei numeri. Nel prosieguo, visto che il nostro compito sarà quello di stilare una relazione finale, se avete anche altre indicazioni, saremmo molto felici di accoglierle.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.