XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 9 di Mercoledì 1 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 

Audizione dell'ex direttore generale di AgID Agostino Ragosa:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 2 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 5 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 5 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 5 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 6 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 6 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 6 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 6 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 7 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 7 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 7 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 8 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 8 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 8 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 8 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 8 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 8 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 9 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 9 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 9 ,
Barbanti Sebastiano (PD)  ... 10 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 10 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 11 ,
Ragosa Agostino , ex direttore generale di AgID ... 11 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO COPPOLA

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'ex direttore generale di AgID Agostino Ragosa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione dell'ex direttore generale di AgID, l'ingegner Agostino Ragosa, accompagnato dal dottor Attilio Nertempi, che ringrazio per la presenza.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Durante la prima parte dell'audizione, svoltasi lo scorso martedì 24 gennaio, l'ingegner Ragosa ha svolto una relazione introduttiva riguardante il suo mandato di direttore generale di AgID e ha risposto ad alcune domande poste dai commissari.
  Propongo di avviare la seconda parte dell'audizione raccogliendo ulteriori domande e richieste di chiarimento da parte dei commissari. Inizio io.
  Uno dei temi che sono tornati abbastanza spesso nelle nostre audizioni è quello del consolidamento dei data center. Durante la Sua direzione, AgID ha svolto un'indagine con l'aiuto della Fondazione Ugo Bordoni. Potrebbe aggiungere delle indicazioni? Visto che quello del consolidamento dei data center sembra un tema che ci trasciniamo da tempo, e purtroppo attualmente ancora siamo lontani dall'aver realizzato l'obiettivo, può darci delle indicazioni su quello che è emerso dall'indagine? Quali sono, secondo Lei, le criticità? Come mai non si è riusciti finora a raggiungere l'obiettivo? Che cosa si potrebbe fare, secondo Lei, che non si è riusciti a fare finora?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Quello delle infrastrutture della pubblica amministrazione era uno dei temi centrali, affrontati anche con l'allora commissario Cottarelli, sul saving della spesa dell'ICT per la pubblica amministrazione.
  Dal censimento che l'AgID commissionò alla Fondazione Bordoni, venne fuori che la pubblica amministrazione aveva circa 11 mila siti, compresi quelli di tutti gli enti pubblici centrali e locali – basti pensare agli 8.100 comuni – che venivano considerati dei CED della pubblica amministrazione, cioè dei luoghi dove la pubblica amministrazione installava i suoi apparati di informatica e di telecomunicazioni. Questi siti avevano mediamente una grandezza intorno ai 40 metri quadrati. Dispersi su 11 mila punti, complessivamente avevamo circa 400 mila metri quadrati di infrastrutture.
  Il mantenimento di quest'infrastruttura sparsa su 11 mila punti veniva fatta con costi e con criteri che assolutamente non consentivano di dare, ad esempio, alla pubblica amministrazione strutture che richiedevano disaster Pag. 3 recovery, business continuity e così via, perché proprio la dispersione dell’asset non consentiva di poter utilizzare queste sedi in modo efficiente ed efficace.
  Naturalmente, immaginate non soltanto il costo degli 11 mila siti dispersi sul territorio, ma il fatto che, per mantenere attivi questi siti, che sono energivori, perché gli apparati consumano energia, avevamo anche difficoltà nell'assicurare doppia alimentazione e altro. Molto spesso, questi siti erano al centro delle città, e quindi era impossibile anche fare una politica energetica in accordo con l'ENEL su questi siti. Proprio per la loro dispersione, ma oserei dire anche per la grandezza media, non potevano essere considerati infrastrutture di data center per gli «anni 3000», per poter erogare servizi in rete.
  La proposta, quindi, era quella di gestire insieme alle amministrazioni pubbliche locali, in particolare alle regioni. Uno dei problemi che incontrammo era che non si capiva chi fosse responsabile, anzi non si capisce ancora oggi, dell'infrastruttura tecnologica pubblica sul territorio. Ogni ente è responsabile della sua infrastruttura, ma questo porta proprio alla dispersione, alla gestione dispersa delle infrastrutture stesse.
  L'ipotesi era che le regioni assumessero un ruolo guida, cosa che stava accadendo ed è accaduta in alcune regioni con le quali abbiamo dialogato in modo molto, molto costruttivo durante quegli anni. Ricordo il lavoro che si stava facendo sui piani regionali digitali. Ho incontrato la maggior parte dei presidenti delle regioni di allora, ai quali chiedevo di assumere un ruolo attivo, visto che, attraverso le strutture regionali, venivano dati i fondi al territorio, anche per l'ICT, alle amministrazioni.
  Su alcune regioni riuscimmo a fare un lavoro importante: quello di centralizzare le infrastrutture delle entità pubbliche locali in una sola infrastruttura di data center degna di questo nome. Allora facevo sempre vedere, anche provocatoriamente, nei workshop che organizzavamo, come la città di New York aveva realizzato per la gestione della sua infrastruttura ICT un grattacielo di 80 piani nelle vicinanze dell'East River, presso il ponte di Brooklyn, mentre noi stavamo nei sottoscala. Almeno un primo piano da qualche parte avremmo dovuto realizzarlo.
  Con alcune regioni, ricordo in particolare con la Toscana, con l'Emilia-Romagna, ma lo stesso discorso si avviò con la Lombardia, il Veneto e la Liguria, avviammo un'attività il cui intento era che la regione realizzasse queste infrastrutture di data center, che le entità pubbliche locali ci portassero – come potevano i piccoli comuni gestire un'infrastruttura del genere? – le loro infrastrutture, con grandi risparmi e grandi efficientamenti. Da qui è nata l'idea di realizzare al massimo due data center per regione, in modo da realizzare situazioni di backup, dove allocare tutte le infrastrutture.
  Questo fu un lavoro molto apprezzato dall'allora commissario Cottarelli. Io gliene inviai anche l'esito e i saving. Era un progetto neppure tanto originale, perché i francesi, come dicevo già la volta scorsa, con il progetto Andromeda, utilizzando gli investimenti europei, avevano realizzato per la pubblica amministrazione centrale, da cui erano partiti, queste infrastrutture su base distretto-territoriale. Era l'idea che noi volevamo portare in Italia. Per aiutare le amministrazioni, completammo quest'iniziativa facendo due gare importanti, che sono state assegnate proprio verso la fine dell'anno scorso. Nella gara cosiddetta del cloud c'è uno dei lotti, il lotto infrastrutturale, una gara da 2 miliardi, in cui la pubblica amministrazione poteva, e può, utilizzando quello che è nella gara assegnata da Consip nell'ottobre-novembre scorso, ammodernare, utilizzare, standardizzare e innovare la sua infrastruttura tecnologica.
  Adesso qual è il rischio? È necessario un coordinamento centrale di questi progetti complessi. Non è possibile abbandonare le amministrazioni locali, ma io dico neppure quelle centrali, con delle gare fatte e con una progettazione di massima, che è quella prevista nei capitolati. Bisogna seguire adesso le amministrazioni nell'implementazione, nell'utilizzo di queste infrastrutture. Un altro tema è quello della capacità delle strutture tecniche centrali della pubblica amministrazione di supportare le pubbliche amministrazioni nella realizzazione Pag. 4 di queste infrastrutture. Le gare del cloud affrontavano i temi dell'infrastruttura e, insieme alla gara dell'SPC, quello della connettività pubblica. Erano inclusi nelle gare del cloud anche i temi della sicurezza, quindi disaster recovery, business continuity e così via, c'erano i temi del rifacimento delle architetture applicative, gli ultimi due lotti che sono stati assegnati.
  È evidente che per queste gare quadro fatte da Consip, per essere calate e diventare strumento operativo, e quindi portare a casa i famosi saving che avevamo stimato con Cottarelli, occorre una progettazione esecutiva per supportare le pubbliche amministrazioni. È come se avessimo acquistato gli elementi di un puzzle con la gara di Consip. Ricordiamoci che Consip fa un'attività fondamentalmente amministrativa nella gestione delle gare. La gestione tecnica, poi, delle gare non può essere più fatta dal Consip, che non ha le competenze tecnologiche per assistere le amministrazioni nella implementazione tecnica. L'Agenzia aveva proprio il ruolo di convalidare i progetti tecnici che i singoli enti pubblici presentavano.
  Non so quale sia lo stato dell'Agenzia in termini di numerosità, di risorse tecniche e di competenze disponibili, ma uno dei temi che mi permetto di segnalare a questa Commissione è che è necessario il coordinamento tra le strutture centrali: la struttura dell'AgID, la struttura della Consip, la struttura del Commissario, che ho visto si sta potenziando, vanno fortemente coordinate e devono non muoversi ognuna per conto suo, ma essere al servizio di un piano che qualcuno definisce, e il piano si fa fissando degli obiettivi, che sono quelli dell'Unione europea. Quando ci confrontiamo nei ranking europei e diciamo che l'Italia è indietro, facciamo riferimento agli obiettivi comunitari.
  A parte il discorso di interagire con chi fa quei ranking, che è uno dei temi che abbiamo in Italia, il tema vero è che le strutture centrali devono coordinarsi tra di loro rispetto a degli obiettivi e a un piano. Una delle cose che fatichiamo a fare, e faticavo io a fare, era il cosiddetto piano digitale nazionale, che pensavo dovesse essere la sommatoria dei piani regionali digitali più la sommatoria di alcuni progetti strategici centrali. Tutta insieme tale sommatoria sarebbe diventato il piano nazionale, che doveva consentirci di conseguire gli obiettivi europei. Questo era il modo per operare. Bisognava fare un piano regionale, dare alle regioni i framework all'interno dei quali sviluppare il loro piano regionale. Un ruolo importante tra gli enti centrali assumeva l'allora dipartimento, oggi Agenzia per la coesione, quella che gestisce i fondi europei, che nei programmi che trasmette all'Europa deve poter inserire i piani del digitale, altrimenti i fondi vengono disarticolati rispetto agli stessi investimenti che necessitano sul digitale.
  A mio modo di vedere, occorre questo lavoro di raccordo, che va fatto, molto forte, dalle strutture centrali. Se dovessi esprimere il mio punto di vista, è necessaria una figura dedicata, anche perché quello del digitale è un tema trasversale. Non è soltanto il tema della funzione pubblica. Il digitale è qualcosa che impatta sull'industria dell'ICT in Italia, sulle imprese dell'ICT in Italia, sulle competenze dell'ICT in Italia, sulla ricerca e sviluppo, quindi non può essere demandato soltanto alla funzione pubblica, ma deve essere molto più trasversale.
  Non a caso, si pensava che queste strutture dovessero dipendere direttamente dalla Presidenza del Consiglio. Non so come, ma era in tale ambito che in qualche modo poi si coagulavano tutti questi discorsi che venivano fatti dall'Agenzia, che interloquiva in quel momento con il MISE, con il Miur, con il MEF e con l'altro Ministero, quello che ha generato l'Agenzia per la coesione, per gestire questo tipo di fondi. Vorrei sottolineare che è necessario questo coordinamento centrale da queste strutture. Non è possibile che ognuna di queste strutture che interviene sul digitale lo faccia senza un piano governato da qualche entità centrale. Oltretutto, il ruolo di ognuno di loro va, poi, governato e orientato. Se ognuno comincia a fare una cosa, spendiamo inevitabilmente e sovrapponiamo le spese, e soprattutto non raggiungiamo gli obiettivi, che nessuno fissa. Non si tratta di sviluppare qualche app o altro, bisogna fare un piano nazionale, tenendo presenti gli obiettivi europei.
  In questo piano il tema infrastrutturale – Pag. 5ritorno alla domanda del presidente – è quello che ci potrebbe consentire i maggiori saving. Ridurre i 400 mila metri quadrati che ci servono e, piuttosto che disperderli in 11 mila punti, concentrarli in pochi punti. L'ipotesi 60 era per accontentare le regioni, ma potremmo drasticamente ridurre il numero dei data center addirittura a uno per regione e poi fare cooperazione tra le regioni per le attività di disaster recovery e business continuity, risparmiando ulteriormente. Se ci servono 400 mila metri quadrati, concentriamoli in poche infrastrutture logistiche, non in 11 mila infrastrutture logistiche, dove è impossibile poi portare avanti progetti che sono oggi condizione necessaria per erogare i servizi in rete dal punto di vista della sicurezza. Sono sia condizioni infrastrutturali (disaster recovery e business continuity) sia condizioni di sicurezza informatica, per limitare gli accessi alle applicazioni pubbliche e ai database pubblici. Questo era un po’ il quadro.
  I risparmi che avevamo preventivato erano dell'ordine di qualche miliardo l'anno sulla concentrazione delle infrastrutture. Naturalmente, occorreva fare degli investimenti per la realizzazione dei nuovi data center, ma il pay back era dell'ordine di qualche anno. Avevamo visto quello che avevano fatto i francesi col progetto Andromeda. Avevo addirittura invitato il capo dell'Agenzia francese in Italia, il quale ci venne a presentare il progetto Andromeda: la realizzazione era stata fatta nel giro di un paio di anni e il pay back era addirittura nell'ordine di un anno e qualcosa. Non so se ho risposto alla domanda.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Vorrei ringraziare Agostino Ragosa per quest'ampia e articolata presentazione di quella che è la sua idea dello sviluppo digitale. Ho due osservazioni.
  Un piano per la crescita digitale è stato fatto dal Governo, ed è il secondo documento dopo quello sulla banda ultralarga. Il tema è di capire se, rispetto a quelle linee generali, ci sono state le diverse attuazioni, sia in termini di governance sia in termini di infrastrutture, intese come infrastrutture fisiche e come servizi.
  Rispetto alla governance, mi pare che siamo ancora con i silos. Audiremo Samaritani, ma temo che Piacentini non sappia quello che fa Samaritani o viceversa. Questo sarebbe grave. Questo è il primo punto.
  L'idea di questa Commissione, che in verità è una Commissione d'inchiesta, ma che sta provando anche a mettere insieme i pezzi indirettamente, è che anche il discorso Consip non è solo un problema di costi e di spending review, ma anche di capire come non solo a valle, ma anche a monte, le specifiche delle gare vanno in una direzione della concorrenza, dell'apertura al mercato e degli standard. Questo è un altro tema su cui si sta ancora molto faticando.
  Peraltro, secondo me, bisognerebbe arrivare a questo piano dell'Italia digitale, una specifica maggiore di quello che è stato il punto di partenza, cercando di capire come si arriva ad attuare i vari SPID, Anagrafe unica digitale e così via. Una domanda, però, la vorrei fare, stiamo mettendo insieme i pezzi e vediamo dove arriviamo. Relativamente alle regioni, ho visto l'altra volta che c'è un documento in cui, rispetto ai cinque indicatori DESI, ci sono regioni più avanti e regioni più indietro: c'è qualche regione, soprattutto quelle più avanti (Emilia-Romagna, Lombardia), in maniera che possa essere un benchmark da usare, che è arrivata a questo risultato attraverso un piano regionale effettivamente disegnato e rispetto al quale poi ha raggiunto i singoli obiettivi?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. La ringrazio della domanda, onorevole.

  PRESIDENTE. Aggiungo una domanda sempre relativa all'infrastruttura.
  Lei ci ha raccontato della progettazione, di risparmi potenziali di miliardi, che i francesi l'hanno fatto in due anni, ma noi no. Francamente, la normativa comunitaria vale anche per i francesi. Non mi è evidente la differenza sostanziale che impedisce a noi di avvicinarci minimamente al modello francese, se quello è il modello da copiare. Noi vorremmo capire come mai, nonostante questi Pag. 6 evidentissimi vantaggi, non si riesce a fare un passo avanti o se, secondo Lei, il passo avanti è fatto e semplicemente i ritardi sono fisiologici e hanno a che fare con il nostro modello, i cui tempi non possono essere compressi, e c'è un avanzamento per noi non evidente. L'impressione è che, invece, le cose non vadano avanti.

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Cerco di mettere insieme gli elementi delle due domande.
  Tra i lavori importanti sul territorio, onorevole Bruno Bossio, in quell'occasione in cui notammo le differenze anche di competenza che c'erano, io diedi molta enfasi alla struttura che si chiamava CISIS, che era l'ente di coordinamento tecnico delle regioni sulle tematiche dell'ICT. Quest'entità coordinava le attività regionali e doveva essere un po’ la cinghia di trasmissione tra gli obiettivi che si fissava il Governo e come venivano attuati sul territorio. Di quest'organo tecnico, che oggi non so se esista ancora, facevano parte tutti i CIO regionali, i capi delle tecnologie della regione, quelli che guidavano le politiche regionali dell'ICT. Insieme con loro, cercammo di costruire un framework, naturalmente tenendo presenti gli obiettivi dell'agenda digitale, per dare a ogni regione anche uno strumento, un metodo su come si pianificava il digitale.
  Era inutile pianificare il digitale partendo dalle piccole applicazioni che si mettevano. Bisognava pianificare il digitale, e soprattutto l'infrastruttura. Noi vediamo le app di Google e di Facebook e le utilizziamo, ma dietro quelle app ci sono infrastrutture gigantesche che loro hanno realizzato in tutto il mondo. Se non ci sono le infrastrutture, è inutile pensare a fare le applicazioni.
  Coinvolgemmo, quindi, le regioni e demmo anche un metodo, dicemmo quali erano gli elementi che andavano previsti in una progettazione del digitale sulle strutture regionali, e non solo. Di una Conferenza Stato-Regioni svoltasi a luglio 2013 ricordo un discorso del presidente della Puglia, che allora era Vendola se non sbaglio, il quale apprezzò il lavoro dell'Agenzia, alla quale chiedeva il coordinamento dei progetti sul territorio, proprio per garantire l'interoperabilità, l'armonizzazione e la standardizzazione dei sistemi che si mettevano in campo sul territorio. Era un passo avanti importante che era stato fatto, perché le regioni riconoscevano questo ruolo di una struttura centrale e chiedevano addirittura aiuto a diventare interoperabili.

  PRESIDENTE. Perché non si riesce a passare dalle parole ai fatti? Tutti sono sempre d'accordo...

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Nella mia esperienza lavorativa, per fare le cose e attuare i piani, occorre dare non solo continuità di indirizzo, ma continuità operativa a chi gestisce. Se in tre anni cambiamo tre capi dell'Agenzia, due Commissari e via discorrendo, diventa difficile per tutti realizzare prima di tutto un piano. Ognuno che arriva, infatti, mette inevitabilmente in discussione quello che è stato fatto prima e poi si ricomincia ogni volta daccapo. Non può funzionare così. Il digitale è neutro rispetto ai partiti, ma non è neutro rispetto alla volontà politica di realizzare queste cose. La continuità operativa nella gestione di queste strutture, che il Governo, con vari decreti, ha messo in campo, va assicurata. Se ogni mese cambiamo i responsabili, si ricomincia ogni volta daccapo. Se nelle aziende, che io ho visto floride quando siamo riusciti a lavorare cinque anni e attuare un piano operativo, ogni due anni cambiasse l'amministratore delegato o il direttore generale, state pure sicuri che sarebbe difficile farle correre in continuità. Non funzionano. Una volta che ha cominciato un Commissario e gli è stato affidato un piano, lo deve realizzare, non deve mettere in discussione quello che è stato fatto cinque minuti prima, ricominciando ogni volta daccapo e cambiando anche le persone che lavorano. Non può funzionare così. Siamo tutti d'accordo, ma la continuità operativa è un fatto fondamentale. I piani si realizzano negli anni, non nei mesi.

  PRESIDENTE. L'obiettivo del consolidamento dei data center, però, non è mai stato Pag. 7messo in discussione da nessuno né dei suoi successori né...

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Non è mai stato fatto un progetto centrale. Noi avevamo addirittura proposto i primi siti. La pubblica amministrazione centrale aveva un solo sito importante come infrastruttura.

  PRESIDENTE. È in un documento ufficiale che lei ha presentato da qualche parte?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. È in alcuni documenti che avevamo discusso. Io comincerei dall'Agenzia, con la quale avevamo quattro strutture, pochi sistemi; ma anzitutto, proprio per essere coerente, presi l'infrastruttura dell'Agenzia – spendevamo non ricordo quante migliaia di euro l'anno – stipulammo un contratto con Sogei, che io ritenevo avesse in quel momento la migliore infrastruttura delle pubbliche amministrazioni centrali, e vi portai l'infrastruttura. Allo stesso modo, convinsi la Corte dei conti e, non mi ricordo, forse il CNEL all'epoca, a spostare i loro sistemi dai sottoscala e concentrarli in strutture tipo quella di Sogei.
  È evidente, però, che questo innanzitutto richiede una grande volontà politica. Stavamo anche lavorando, con il Ministero dell'interno, a un'infrastruttura degna di questo nome per lo stesso Ministero dell'interno. Avevamo valutato con l'allora prefetto... Il capo della Polizia era Pansa, all'epoca, e stavamo studiando la possibilità di dotare il Ministro dell'interno di un data center. Avevamo visionato una struttura a Ostia e con lui stavamo provando a realizzare un data center per la pubblica amministrazione centrale. Ritenevo, infatti, soprattutto con la realizzazione dell'ANPR e con la continuità di servizio che bisognava dare agli 8 mila comuni, che il Ministero dell'interno non potesse non dotarsi di un'infrastruttura degna di questo nome.
  Qui si richiede veramente la presenza di una struttura centrale forte. Non si può abbandonare l'Agenzia o il commissario, ma si richiede appunto la presenza di un'infrastruttura centrale forte. Si possono fare tutti gli studi del mondo; bisognava passare, anche perché i documenti c'erano tutti – alla fase esecutiva, all'accantonamento degli investimenti da fare e alla realizzazione dell'infrastruttura. Passare dalle idee progettuali alla realizzazione, Lei mi insegna, conoscendo un po’ la pubblica amministrazione, che non è facile. Questo è, però, il passo da fare.
  Secondo me, è fondamentale avere una struttura presso la Presidenza del Consiglio che riesca a governare un piano del digitale, dove questo diventa uno degli obiettivi che si pone il Governo, un obiettivo con tanto di investimenti e di studi sui pay back dell'investimento stesso e sul coinvolgimento dei siti della pubblica amministrazione centrale e locale.
  La stessa cosa abbiamo fatto, per esempio, in Emilia-Romagna, e qui passo all'altra domanda che mi faceva l'onorevole Bruno Bossio. L'Emilia-Romagna ci seguì. Loro avevano realizzato una parte di infrastruttura di connettività, avevano costituito anche una società, che si chiamava Lepida, se non ricordo male. Ricordo che in regione c'era l'assessore Peri, con il quale decidemmo per un piano regionale digitale che, a partire dall'infrastruttura di rete che avevano realizzato, che era appunto Lepida, collegasse tutte le entità pubbliche regionali. Fu evidente a loro stessi che mancavano le infrastrutture di data center. So che sono andati avanti, che hanno realizzato due infrastrutture di data center, una a Ravenna e una a Parma, se non sbaglio, e hanno coinvolto i comuni, i quali hanno addirittura acconsentito a spostare tutti i loro sistemi, così come stava facendo la Toscana, con le ASL, nel data center di Firenze. Ricordo che con l'onorevole Rossi, allora presidente della regione, come penso sia ancora oggi, si fece il data center a Firenze, e lui emanò un provvedimento in merito. La stessa cosa fecero in Emilia-Romagna, dove la cooperazione è un fatto istintivo, per cui tutti i comuni aderirono subito a quest'idea, e non solo. Peri mi disse che c'erano addirittura delle piccole e medie imprese dell'Emilia-Romagna che stavano chiedendo alla pubblica amministrazione di allocare i loro sistemi dentro l'infrastruttura Pag. 8 pubblica, il che rivelava una carenza della nostra industria privata su queste tematiche. Non a caso, IBM sta realizzando in Italia, vicino Milano, a Settimo Milanese, una decina di data center, di cui almeno 3 già completati, perché ci si rendeva conto che in Italia mancava questo tipo di infrastrutture.
  La gara del cloud è lo strumento per realizzare queste cose. Se compriamo una parte di cloud, non si va da nessuna parte. Ecco perché dicevo prima che è importante adesso che una struttura centrale aiuti le amministrazioni su questa partita. C'è la gara dell'SPC, c'è la gara del cloud, che potrebbe essere il veicolo per poter realizzare le prime infrastrutture in questo modo. Bisogna, però, che si aiuti l'amministrazione a capire la progettazione di quello che c'è nel capitolato del cloud e non abbandonarla adesso con un «compratevi un chilo di cloud», come in genere facciamo. Non funziona così. Funziona con una progettazione esecutiva. Abbiamo comprato...

  PRESIDENTE. Questo significa, a Suo parere, che all'interno della pubblica amministrazione centrale non esistono le competenze sufficienti per capire l'importanza di quest'operazione.

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Non sto dicendo questo.

  PRESIDENTE. Noi abbiamo un progetto, da anni, che è evidente che porterà notevoli risparmi e benefìci alla pubblica amministrazione. Questo progetto in altri Paesi è stato portato avanti e ha portato i risparmi evidenti. Nel nostro Paese non riesce ad andare avanti. Lei dice che uno dei motivi è che non c'è continuità all'interno dell'Agenzia per l'Italia digitale.

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Non solo dell'Agenzia.

  PRESIDENTE. E delle strutture centrali di supporto. Visto, però, che in ogni ministero ci sono dei responsabili che dovrebbero avere le competenze necessarie, visto che il criterio del buon padre di famiglia dovrebbe comunque essere la guida delle decisioni anche dei capi dipartimento, mi domando: l'evidenza di questi risparmi e dei benefìci forse non è sufficiente per chi prende le decisioni di allocazione del budget nei ministeri? Probabilmente, quest'evidenza non è arrivata fino ai livelli apicali dei ministeri? È questo è il problema o è arrivata ed è sottovalutata? O non è riconosciuta?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Penso che ci siano un po’ tutte le cose che Lei diceva.
  C'è un tema di supportare i responsabili dei ministeri. Naturalmente, ci sono dei ministeri in cui ci sono delle competenze, ma questa era la mia visione di qualche anno fa, adesso non so che cosa sia successo nei ministeri. Secondo me, però, i ministeri e gli enti pubblici centrali hanno bisogno di essere supportati da una struttura tecnica centrale che accompagna gli obiettivi del Governo. Quello di consolidamento delle infrastrutture è un obiettivo che può avere una struttura centrale, non può essere di ogni singolo ministero. Poi bisogna lavorare con loro per far capire quale è l'efficientamento che si ha spostando o aggregando in un altro sito tutte le strutture che hanno. Questo è un lavoro quotidiano che va fatto con i responsabili dei singoli ministeri.
  Le ripeto che quando sono arrivato in Agenzia ho combattuto tutte le riluttanze dei tecnici interni. Purtroppo, i tecnici si affezionano alle macchinette che gestiscono e, ogni volta che devono trasferirle in remoto hanno qualche problema, ma oggi, nell'era del cloud, questo è un problema del tutto risolvibile. Io Le parlo di tre anni fa, quando prendemmo quest'infrastruttura, la mettemmo in Sogei e io dicevo ai miei che era a 5 chilometri di distanza, che potevamo gestirla da remoto con un sistema di supervisione e controllo fatto a dovere, che non dovevano averla «sotto il sedere» per poterla gestire. È un discorso non facile da accettare da parte di chi sta gestendo delle infrastrutture in ognuno degli enti o dei ministeri.
  Avevamo individuato alcuni data center centrali dove poter fare delle aggregazioni Pag. 9e avevamo anche avanzato qualche proposta, ma, ripeto, era un lavoro che era stato appena avviato. Comunque, sono d'accordo con Lei che questa è una delle chiavi di saving. A mio modo di vedere, l'Agenzia per l'Italia digitale, il Commissario del Governo, l'Agenzia per la coesione devono poter lavorare insieme e, utilizzando uno strumento che già c'è, la gara del cloud, che abbiamo fatto, mettere in piedi un progetto esecutivo su questo tema.

  PRESIDENTE. A suo parere, c'è la consapevolezza, da parte dei ruoli apicali dei ministeri, dell'importanza di queste operazioni per il risparmio e per l'efficienza o no? Se no, che cosa, secondo Lei, bisognerebbe fare, se è importante, per supportare questa consapevolezza?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Secondo me, non tutti hanno questo tipo di consapevolezza. Bisogna che gli enti preposti si adoperino perché queste informazioni siano diffuse a tutti i livelli, soprattutto a quelli apicali, per far capire qual è il risparmio che operazioni del genere comportano e qual è il livello di efficientamento che si fa nell'infrastruttura pubblica.
  A mio modo di vedere, non c'è tutta questa consapevolezza, tutta questa competenza all'interno delle strutture, ma il ruolo della parte tecnica centrale è importante, così come lo è quello dei workshop, dei meeting dedicati. Queste cose vanno assolutamente fatte, perché, in questo momento, si fatica molto proprio su questo versante.
  Le cose sono nate in un certo modo, sono evolute in un certo modo, ogni ente si è fatto il suo sistema, la sua infrastruttura. Questa è l'era in cui, per motivi di sicurezza, per motivi di risparmio, per motivi di disaster recovery e business continuity, queste infrastrutture devono convergere su sistemi più grandi e meglio gestiti. Questo è il momento. Qui c'è un grande saving per l'infrastruttura pubblica. Questa è la mia idea. Questo va accompagnato adesso, innanzitutto, con un'informativa a tutti. Io non so, per esempio, quanto la pubblica amministrazione locale sa che sarà aperta una gara cloud, cui possono attingere. Molti di voi vengono dal territorio, ma io non so se il CIO della Calabria – onorevole Bruno Bossio – sa che può attingere a questa gara per mettere in piedi sistemi di sicurezza o un cloud dove proporre a tutte le amministrazioni certe cose, ma questo va fatto. Serve almeno una lettera da parte di Consip che dica a tutti gli enti che c'è una gara di cloud e che possono attingere. Va fatto. Non diamo per automatico che succeda che subito, fatta una gara, tutti sanno quello che succede. Purtroppo, non è così.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Mi sta venendo meno la convinzione che con più audizioni si chiarisca lo scenario, e invece mi sembra che ogni volta si complichi di più. Anche altri importanti interlocutori, come i responsabili dell'Agenzia, ci hanno raccontato molte versioni diverse. Sono arrivato un po’ tardi, quindi avrò perso qualche parte, ma chiaramente apprendo un'altra visione che ulteriormente mi preoccupa sull'organizzazione di un'infrastruttura telematica condivisa della pubblica amministrazione, sul tema di un data center più condiviso.
  Sto facendo una considerazione, che in parte è anche una domanda. Lei ora ci diceva che le competenze ci sono, qualcuno che è venuto in audizione prima di Lei ci ha detto che le competenze non ci sono, o ci sono, dipende dai ministeri; ho sentito dire che c'è un management pubblico all'avanguardia da qualcuno; da qualcun altro che qualcuno non è in grado di gestire questi processi. Le abbiamo sentite tutte.
  Mi si sta formando una convinzione anche rispetto al fatto che le authority o le agenzie abbiano delle durate spesso brevi, che quindi non riescono a impostare un lavoro, che non c'è continuità, tutte cose che oggi anche Lei ci ha ribadito.
  Forse, al netto di tutte le criticità che possono venire, non è meglio a questo punto, come succede in tutte le pubbliche amministrazioni, anche nell'ICT rispolverare una sorta di RUP, di responsabile unico del procedimento, che lavori all'interno di un ministero o di altri ministeri? Lei parla della Presidenza del Consiglio, poi c'è il problema di come si comunica, di come vi organizzate, di come rielaborate le questioni. Pag. 10
  Un tavolo condiviso mi sembra che non sempre dia dei risultati. Per la difficoltà della nostra pubblica amministrazione, inizio a pensare che, a seconda dei processi di informatizzazione che devono essere avviati, bisogna cercare dei responsabili unici del procedimento. Se un tema riguarda una piattaforma telematica che può interessare il MIT o un altro, io voglio che i dirigenti del MIT, i dirigenti del MEF siano i responsabili unici, e poi mettano in condivisione con gli altri ministeri e le agenzie controllino. Ho capito che le agenzie fanno un'attività di regolazione e controllo, ma fanno fatica anche a fare la pianificazione. Siccome vi è un certo avvicendamento, bisogna arrivare a controllare. Non è più il caso che il processo sia promosso da voi, gestito da queste figure, che non hanno poi i poteri. Qualcuno ci ha detto, giustamente, che ci sono stati periodi in cui non ci sono stati i poteri; c'è di tutto.
  La mia proposta è – visto che sono l'apice della nostra struttura dirigenziale ministeriale, a seconda di che cosa del processo che deve essere implementato, il data center o altro, chiaramente nella grande logica della condivisione successiva –, che si individuino dei responsabili all'interno dei ministeri, che su tale tema devono portare avanti il processo e arrivare a un output ben definito. Sono responsabili loro se non va avanti. Le autorità, le agenzie controllano se il lavoro è stato fatto, ma il lavoro viene implementato fin dall'inizio sapendo che deve essere scalabile, implementabile, interoperabile, tutto quello che si vuole, e con un RUP, come in tutto il resto della pubblica amministrazione, un responsabile di quel procedimento. Diversamente, mi sembra che qui non vedremo mai l'ICT e un vero processo di informatizzazione, perché c'è sempre la responsabilità di qualcun altro, tecnica, politica, e così via.
  Sinceramente, sono un po’ demoralizzato, perché ogni volta viene introdotto un elemento di criticità nuovo da parte vostra, ma alla fine dei conti si ricostruisce uno scenario avvilente rispetto ad altri Paesi europei. Poi succedono anche cose molto gravi quando non c'è una certa condivisione del dato a livello dei ministeri, gravi anche rispetto ai servizi che devono essere offerti ai cittadini.
  Sono sempre più convinto che, siccome non possiamo chiedere di farlo al singolo ente, minuscolo, del territorio italiano, almeno a livello ministeriale, a seconda delle competenze – abbiamo delle competenze che vengono distribuite ai ministeri – bisogna studiare un modo per cui la condivisione sia, ahimè, un passaggio successivo a quello della realizzazione del prodotto e del processo. Diversamente, mi pare che qui ci sia una completa deresponsabilizzazione rispetto al risultato che bisogna ottenere.

  SEBASTIANO BARBANTI. In aggiunta a quello che diceva il collega, mi è sembrato – mi dica se sbaglio – che emerga anche un quadro in cui c'è un cervello, un'unità centrale, che manda degli impulsi e abbiamo delle difficoltà a far sì che i muscoli si muovano sui territori. Sto parlando degli enti non centrali.
  Lei ha anche richiamato la costruzione del piano nazionale come somma dei piani regionali, chiamiamoli territoriali, una sorta di processo bottom-up. Mi chiedo se in questo caso non sia, invece, utile, necessario – a questo punto, l'unica strada da intraprendere –, fare il contrario, cioè calare dall'alto, utilizzare un processo top-down per far sì che si rimuovano tutte le incrostazioni che mi sembra che da qui siano emerse. C'è anche un input dato dall'alto che poi sul territorio non viene recepito per una serie di motivi, come la qualità del personale. Se abbiamo delle regioni che si muovono a ritmi differenti dalle altre evidentemente c'è anche una sensibilità diversa da regione a regione. Ha motivi molto meno qualificanti. Da questo punto di vista, evidentemente bisognerebbe pensare all'accentramento di tutto il sistema, non solo a livello di pianificazione strategica, ma proprio operativa.

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Cerco di rispondere a tutte e due le domande.
  L'idea di avere un responsabile per tipologia di procedimento o di progetto da implementare riconosciuto a livello nazionale e Pag. 11trasversale per tutti è sicuramente una bella idea, è una delle cose che può far funzionare la struttura. Io, però, suggerisco che è importante anche la condivisione dell'idea. Non a caso, dicevo prima che, per far accettare alle regioni – forse Lei non c'era – l'idea di un piano regionale digitale, io ho lavorato moltissimo, ho speso moltissimo del mio tempo parlando prima con i presidenti delle regioni e poi con l'organo tecnico rappresentativo delle stesse, che era il CISIS. Avevo convinto, in quella sede, tutti i CIO regionali della necessità di dotarsi di un piano digitale che facesse riferimento a obiettivi condivisi centrali, e poi ognuno di loro diventava responsabile dell'attuazione di quel piano. Qui c'è anche un problema di chi governa gli investimenti, l'altro grande problema. Ecco perché dicevo che l'altro soggetto in campo è l'Agenzia per la coesione, quella che porta i soldi da Bruxelles.
  Dicevo che l'Agenzia non vuole mettere mano sulle risorse assegnate alle regioni per il piano digitale, che si gestiscono loro. Ciò che devono fare all'interno della regione in termini di infrastruttura, di applicazioni e così via, deve essere coordinato dall'Agenzia, altrimenti abbiamo mancanza di interoperabilità dei sistemi. Uno degli esempi fu il fascicolo sanitario elettronico. Lavoravamo all'Agenzia insieme al Ministero della salute e convinsi la CIO del Ministero della salute a farsi da parte, a dare la responsabilità del progetto alla regione più evoluta in quel momento sul tema della sanità, a proposito di benchmarking. Più avanti di tutti, in quel caso, era il Veneto. Chiamammo il capo progetto. Capo progetto divenne il signore del Veneto. Insieme lavorammo ai requisiti del Fascicolo Sanitario Elettronico. Naturalmente, li supportammo con una struttura tecnica, coinvolgendo il CNR, per fare quel tipo di requisiti a norma europea. Il fascicolo sanitario elettronico era, infatti, uno dei primi servizi cross border, poteva essere utilizzato anche fuori dall'Europa. Demmo poi i requisiti a tutte le regioni, che dovevano restituire all'Agenzia il progetto per il Fascicolo Sanitario Elettronico. Sarebbero stati i capi progetto i responsabili per la regione, ma il progetto doveva essere condiviso, perché il Fascicolo Sanitario Elettronico doveva essere omogeneo in tutte le regioni, altrimenti rischiavamo un'altra volta la disaggregazione. Troviamo una modalità, il capo di un procedimento o qualcuno che coordini. Io avevo trovato questa modalità. Qualcuno che sia responsabile di qualcosa ci deve essere, altrimenti le responsabilità si rimpallano tra le strutture e abbiamo una difficoltà enorme ad andare avanti.
  Quello della responsabilità dell'esecuzione dei progetti è un tema centrale, quindi bisogna trovare una soluzione. Io credo poco al fatto che questo si possa fare, soprattutto tenendo conto di come vengono gestiti i fondi e chi li gestisce, senza condividere prima le modalità di attuazione. Mi permetto di segnalarlo, perché ci siamo passati.
  Quello delle competenze, presidente, è un tema centrale. Le competenze sull'ICT evolvono continuamente, come Lei ben sa, e i piani di formazione che mettiamo a disposizione anche delle strutture della pubblica amministrazione sono, ahimè, molto limitati, pur avendo disponibilità di danaro su questo. Chi coordina i piani di formazione sull'ICT?

  PRESIDENTE. Chi li coordina, appunto?

  AGOSTINO RAGOSA, ex direttore generale di AgID. Noi avevamo provato a dare una risposta coinvolgendo tutti gli enti, avevamo fatto un libretto. Lei aveva partecipato e avevamo cercato di coinvolgere tutti. Avevamo coinvolto, innanzitutto, la pubblica amministrazione. Allora, il Formez e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione facevano parte di questo comitato. Avevamo coinvolto i sindacati, perché c'era addirittura un problema di classificazione dei contratti, considerato che i contratti commercio e i contratti metalmeccanico non si addicono più alle figure professionali dell'informatica. Aveva partecipato addirittura la Furlan, avevamo coinvolto Confindustria digitale. Elaborammo delle linee guida, che mandammo anche alla Presidenza del Consiglio. Domanda: che fine hanno fatto quelle linee guida, che mandammo dall'Agenzia, con un lavoro fatto, ripeto, in condivisione con tutti? Anche Lei, presidente, partecipò a quel lavoro. Pag. 12
  Se non si dà seguito alle cose che si fanno... L'Agenzia era responsabile dell'attuazione di quelle linee guida, lo prevedeva la legge. Io feci salti mortali per realizzare entro maggio quel documento, poi nessuno mi rispondeva. Io volevo andare avanti, ma qualcuno mi fermò dicendo che lì non valeva la regola del silenzio assenso, come invece vale in tutte le aziende del mondo; che, se non mi dicevano di andare avanti, mi dovevo fermare, perché gli obiettivi erano diversi, per cui ci furono discussioni all'interno delle strutture ed altro.
  Lei dice che dobbiamo individuare dei responsabili, una struttura che responsabilizziamo fino in fondo: facciamo questo. Nominiamo un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che tenga le fila... Non so come venire fuori da questo problema, ma che ci sia un'entità centrale responsabile del digitale e dei progetti attuativi, calati nelle varie forme, con vari capi progetto delle procedure, è fondamentale. Non basterà delegare un ministero. Occorre che le strutture tecniche centrali siano coordinate fortemente e siano responsabili delle cose che portano avanti.
  Il tema delle competenze è fondamentale. Stamattina ho un magone. Mentre venivo qui, mi ha chiamato un ragazzo che lavora con me – perdiamo le competenze in questo Paese – per un'azienda in cui costruire qualcosa sulla sicurezza, e mi ha detto che ha fatto un colloquio via Skype con una società inglese. Noi gli davamo 32 mila euro, gli hanno offerto 80 mila sterline. Mi ha chiesto cosa fare. Che cosa gli potevo dire? Stamattina gli ho detto di aspettare, che gli avrei fatto un rilancio, ma sono impotente.
  La cosa che più mi dispiace non è tanto che lui vada via e gli diano 80 mila sterline – è un piacere, per me, aiutarlo – ma il fatto che perdiamo le competenze che formiamo, perché poi facciamo fatica, anche nel privato, a far riconoscere queste competenze.
  Presidente, quello delle competenze è un tema centrale. Su questo mi batto da sempre, faccio sempre vedere una cosa che mi hanno mostrato quelli dell'IDC negli USA, i nuovi profili professionali dell'ICT. Il responsabile dell'ICT mi chiedeva quanti di quei profili avessimo nelle organizzazioni pubbliche e private in Italia; la risposta che ho dovuto dargli è stata: quasi nessuno. Significa che i contratti non sono allineati e neanche le competenze. Questo è uno dei temi del Paese. Su questo, tra l'altro, ci diceva la Kroes quando era commissaria e io andavo a prendere gli «schiaffi» a Bruxelles, che in tutta Europa c'era la possibilità di creare un milione di posti di lavoro su ciò. Perché non riusciamo a fare spazio su questo? Questo è uno dei misteri del nostro Paese.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per questa citazione finale. Le chiediamo se è possibile mandarci le linee guida, per metterle agli atti della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.