XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 92 di Giovedì 12 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Castelli Guido , sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 3 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 4 ,
Castelli Guido , sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 4 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 5 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 ,
D'Alì Antonio  ... 9 ,
Zanoni Magda Angela  ... 10 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani ... 11 ,
Zanoni Magda Angela  ... 11 ,
Guerra Maria Cecilia  ... 12 ,
Fornaro Federico  ... 13 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 ,
Castelli Guido , sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 14 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 15 ,
Zanoni Magda Angela  ... 16 ,
Ferri Andrea , responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 16 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica.
  Ringraziamo i nostri ospiti dell'ANCI per la loro presenza e cedo subito la parola a Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e delegato dell'ANCI in materia di finanza locale, ringraziando nuovamente lui e i suoi collaboratori per aver risposto all'invito della Commissione.

  GUIDO CASTELLI, sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Grazie presidente e grazie onorevoli deputati e senatori. È quanto mai opportuno e necessario cogliere occasioni per partecipare la complessità del fenomeno che stiamo vivendo, che ci riguarda, e che l'ANCI e l'IFEL stanno cercando di adattare al meglio alle esigenze di una finanza locale che negli ultimi quindici anni – ça va sans dire – è stata oggetto di processi evolutivi non sempre organici.
  Le riflessioni che faremo questa mattina traggono spunto dalla famosa riforma del 2001. Tali processi sono passati attraverso la legge n. 42 del 2009 e a caduta oggi hanno visto il sistema associativo dei comuni, in collaborazione con altri organismi tecnici, tenuti a un'opera di adattamento e mitigazione di quelli che erano princìpi concepiti secondo un grado di organicità che successivamente si è perso, si è frammentato, anche sotto l'urto dello stress finanziario della crisi e di tutto ciò che è accaduto successivamente producendo delle distorsioni su cui coglieremo l'occasione di soffermarci brevemente.
  Voglio ricordare che quando si parla di perequazione, di fabbisogni e capacità fiscali standard, nella citata legge n. 42 era contenuto un principio che sostanzialmente prevedeva due tipi di perequazione. Il primo tipo di dinamica perequativa riguardava lo scostamento tra fabbisogni corrispondenti alle funzioni fondamentali dei comuni e capacità fiscali standard. Questo era il primo blocco: perequazione integrale e verticale dei fenomeni di distacco tra funzioni fondamentali e capacità fiscali standard di ogni comune, e doveva essere un tipo di perequazione alimentata dall'intervento sostanzialmente statale. Era una perequazione verticale.
  Il secondo tema perequativo, il secondo trasferimento, era invece quello che corrispondeva al tentativo, all'esigenza, all'opportunità di compensare le differenze tra Pag. 4capacità fiscali standard dei comuni e del territorio del Paese.
  Erano queste le due ragioni che alimentavano il principio perequativo. Il sistema ha avuto poi una vicenda diversa, nel senso che sono stati mantenuti i due princìpi, ma si sono prodotti degli effetti per i quali, ad esempio, innanzitutto non vi sono stati due sistemi distinti - perequazione integrale e verticale tra fabbisogni e capacità fiscali standard e tra capacità fiscali – ma il sistema è unico. Questo è il primo tema.
  Il secondo tema è che questo sistema è interamente finanziato dai comuni, quindi è un meccanismo di compensazione (mi sembra che il fondo sia di 5,8 miliardi di euro) ...

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). In questo momento si redistribuiscono risorse 2017 per perequare i 5,8 miliardi di euro. Complessivamente il target perequativo è intorno ai 15 miliardi di euro a regime.

  GUIDO CASTELLI, sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Questo per darvi il senso concreto, effettivo, delle somme che si trasferiscono fra comuni e territori, con tutta quell'esigenza di condivisione, di gestione attenta, finalizzata anche a evitare le distorsioni di un meccanismo che comunque va per approssimazioni. E quando uso il sostantivo «approssimazioni» intendo approssimazioni scientifiche che devono essere via via adattate nel tempo.
  Questo unico sistema opera sostanzialmente, per il 70 per cento, per perequare ciò che è la differenza tra funzioni fondamentali e capacità fiscali standard, e per il 30 per cento fra capacità fiscali.
  Un ulteriore tema – mi occuperò soprattutto degli effetti distorsivi che si sono verificati nel tempo – è che è evidente che le capacità fiscali standard riposano su valori fortemente condizionati da quelle che sono le asimmetrie del sistema catastale. Quindi, quando andiamo a valutare la capacità fiscale, ci imbattiamo ancora una volta su questa che è una grande vicenda nazionale.
  Aggiungo che quando si parla di funzioni fondamentali – anche se il tema stesso delle funzioni e del gruppo delle attività che vengono quantificate via via è stato oggetto di un adattamento, proprio per la complessità e l'eterogeneità del tema – sostanzialmente vi è un ulteriore limite nel fatto che l'insieme delle capacità fiscali italiane ammonta sostanzialmente a 30 miliardi di euro, quando l'insieme dei fabbisogni monetari corrispondenti a funzioni fondamentali si avvicina ai 34. Questo vuol dire che anche, ove fosse possibile – in un mondo che non c'è, in un mondo che secondo Pangloss è il mondo migliore possibile – dovessimo arrivare ad avere il 100 per cento della possibilità di perequare rispetto alle esigenze dei comuni, non avremmo risorse sufficienti per farlo.
  Un'ultima considerazione che mi permetto di fare, alludendo a temi contingenti che però producono effetti potenzialmente dirompenti, è che noi da due anni – ora sfioro un argomento hard dal punto di vista fiscale – abbiamo un sistema per il quale sono bloccate le capacità fiscali. Capacità fiscale più standardizzazione delle funzioni significano compressione inusitata dell'autonomia, quindi i margini di autonomia sono stressati anche da questo ulteriore elemento, secondo il quale, senza entrare nel merito della bontà del blocco delle aliquote, inevitabilmente si tende a produrre un effetto di omogeneizzazione. Ora non voglio dire fra virtuosi e non virtuosi, perché alluderei a un aggettivo spesso abusato, ma è certo che si potrebbe entrare in un ordine di giudizio secondo cui viene considerato di per sé virtuoso chi spende poco, anche quando non eroga servizi, e quindi spende poco perché rende povera la propria comunità di opportunità legittime, ed è di per sé non virtuoso colui il quale riesce a ottimizzare, forte della propria capacità fiscale, il set di opportunità che offre alla propria comunità.
  Io ho introdotto ad Ascoli la mensa con il pesce, con tutte le complessità che le famiglie hanno quando devono gestire il rapporto con questo tipo di alimento. Si è Pag. 5prodotto un effetto benefico, a mio modo di vedere, sull'alimentazione dei bambini e, tuttavia, potrei essere astrattamente considerato, visto che il costo è aumentato, un cattivo amministratore per aver compiuto una scelta la cui bontà è rimessa poi alla valutazione della mia comunità. È evidente che questo tipo di atteggiamento, in un sistema di autonomia, è un atteggiamento su cui è possibile confrontarsi con la propria comunità, essere bocciati o meno, senza necessariamente rimettere al sistema del costo e del fabbisogno standard quella funzione sacrale di chi dice se una scelta va bene o male.
  C'è, insomma, un tema delle autonomie che richiama le ragioni che vi dicevo. Ad esempio, quando parliamo di stress finanziario generale, noi alludiamo sempre al fatto che i comuni sono stati sostanzialmente oggetto di manovre che hanno ridotto la loro capacità di spesa di circa 9 miliardi di euro negli ultimi cinque anni. Inoltre, c'è il blocco delle capacità fiscali e la sedimentazione di un sistema di alimentazione del fisco immobiliare sicuramente non organico e che comunque spesso ha congelato situazioni storiche che non sempre corrispondevano a realtà oggettive. Ecco, ne esce un sistema che ANCI e IFEL – e vorrei passare, da questo punto di vista, la parola al dottor Ferri – hanno reso oggetto di un impegno serio, scientifico, con adattamenti che via via hanno cercato di raggiungere un obiettivo in cui gli effetti della perequazione potessero essere interiorizzati e accettati dal sistema delle autonomie con il minor sacrificio possibile.
  Ci preoccupa in parte il fatto che, nella legge di bilancio 2017, salvo novità che non ci risultano, siano state espunte le possibilità di quelle mitigazioni e di quelle calibrature che volta per volta, quando poi si allineano i sistemi teorici e i sistemi reali, si rendono necessarie per evitare alcuni casi, soprattutto su alcuni piccoli comuni forti di capacità fiscale, di cospicua estrazione di risorse verso coloro che invece sono risultati meritevoli di assegnazione.
  Insomma, noi siamo impegnati in un processo finalizzato alla convergenza dei princìpi che nel 2009 erano stati indicati come base di questo sistema, che conserva una sua utilità e una sua efficacia. È evidente che tale sistema purtroppo sconta le antinomie delle vicende contingenti che ho cercato di descrivervi, e che comunque è sempre l'esito di due «tensioni». Una è la tensione di dare uno sguardo comunque a quelli che sono i flussi storici delle risorse che riguardano i comuni, perché è evidente che non puoi scardinare un sistema che via via deve andare verso un punto di convergenza che dovrebbe essere il 2021, per vedere l'obiettivo di arrivo; quindi c'è comunque una componente finalizzata a conservare una situazione di sostenibilità finanziaria e, per altri versi, una componente che tende a rendere quanto più possibile oggettivo il fabbisogno, sapendo che questo è l'esito di valutazioni composite e diverse su cui comunque dovrebbe in qualche modo residuare uno spazio per le autonomie.
  Lo spazio per le autonomie ha una sua nobiltà che, purtroppo, con il fatto che a perequare siano solo i comuni con i comuni, in uno schema esclusivamente solidaristico fra comuni, presenta qualche problematica. È evidente che, se abbiamo esigenza di intervenire di più e meglio su alcuni segmenti di welfare – per esempio, sull'autismo o sulla non autosufficienza – tenendo conto che comunque le risorse non sono sufficienti, il sistema centrale deve potersi occupare di un pezzo della perequazione, rispetto soprattutto ad alcuni temi che inevitabilmente non possono essere esclusivamente rimessi allo schema perequativo tra comuni in difficoltà.
  Il rischio è che vi sia una risposta inadeguata allo squilibrio territoriale del Paese, che è una realtà che esiste e che non può essere esclusivamente rimessa a un sistema perequativo che potrebbe diventare, anno per anno, più discutibile, salvo appunto un adattamento che ci consenta di poter dire oggi che gli eccessi e gli effetti paradossali tendono a essere ridotti quanto più possibile.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Grazie dell'occasione. Noi abbiamo presentato, oltre Pag. 6alla relazione di cui stiamo parlando, anche un documento più esteso, inviato questa mattina, che fornisce un dettaglio maggiore di alcuni degli argomenti trattati.
  Riallacciandomi all'argomento relativo alle modalità del processo di perequazione, ovvero di riequilibrio in senso perequativo delle risorse comunali, da parte nostra c'è sempre stata una forte attenzione a evitare salti di assegnazione di risorse che rendessero il sistema insostenibile per fasce di enti più o meno importanti, creando effetti di rigetto. Noi riteniamo che questo aspetto non sia un problema di categoria degli enti locali che subiscono la perequazione; infatti, la perequazione la subiscono e la godono perché il contesto riguarda 6.600 enti.
  Mi permetto di ricordare che sull'argomento le regioni a statuto speciale fanno, quando va bene, quello che vogliono e, normalmente, non fanno niente. Stiamo cominciando adesso in Sicilia; il Friuli ha fatto delle operazioni abbastanza importanti, probabilmente in altri posti e nelle regioni speciali del Nord questo aspetto non viene percepito, però è un percorso che la legge ha lasciato molto libero.
  Come dicevo, 6.600 comuni sono coinvolti. Fino al 2016 circa i due terzi di questi enti venivano svantaggiati dal processo perequativo, quindi circa 4.000 perdevano qualche dose di risorse (in molti casi di piccolissima entità), e circa un terzo dei comuni venivano avvantaggiati dalla perequazione.
  Allora, il punto che noi ci siamo posti fin dal 2015, quando si è avviato il processo con un 20 per cento di dose perequativa, che poi è passato al 30 e passerà nel 2017 al 40 per cento, è come possiamo rendere sostenibile questo meccanismo e creare il massimo di adesione se non abbiamo un'idea degli effetti a regime di questo processo.
  La nostra idea è che il decisore, sia esso il meno importante, quello che magari prevalentemente subisce, sia esso invece il Parlamento o il Governo, e quindi quelle strutture che hanno la potestà di definire norme e di attuarle in un modo o nell'altro, debba avere un'idea dell'esito di questo processo. Questo non significa dire adattare le regole a come sembra sia più vantaggioso, ma significa avere un quadro di impatto che, in situazioni di questo tipo, in un gioco così complesso e con così tanti attori ed equilibri coinvolti, è decisivo per capire anche la bontà delle metodologie.
  La prima cosa che noi osservammo, tra il 2015 e il 2016, è la seguente. Sono tre i pilastri da considerare: la valutazione dei fabbisogni, la valutazione delle capacità fiscali e la valutazione dello schema perequativo (è una terza voce autonoma, poiché uno può comporre questi elementi in maniera molto diversa da una semplice differenza). Su questa base, vorrei adesso richiamare la vostra attenzione, forse alcune delle regole – non sappiamo nemmeno quali esattamente, non è detto che a priori lo sappiamo – hanno portato, come abbiamo detto nel 2015, a una situazione di eccessiva severità nel razionamento di risorse per enti «ricchi» e forse a un'eccessiva generosità, per condizioni date, nella redistribuzione a enti «poveri», cioè sottodotati.
  Con una riduzione di risorse standard del 65 per cento, se non ricordo male, proiettando a regime la situazione del comune più penalizzato – quindi il più ricco, quello di cui ci importa di meno, per carità, però dà l'idea di come funziona la curva – si arrivava a una riduzione di risorse di base di quell'ente del 65 per cento.
  Il problema non è dire se è troppo o se è troppo poco, ma è porsi doverosamente la domanda se questo è un sistema sostenibile. Non per quel comune, ma per l'insieme, per la fascia dei comuni più penalizzati, per la fascia intermedia e così via.
  Queste domande, a nostro avviso, non se le sono poste in tanti, all'epoca. Riagganciandomi al discorso della mitigazione, che è un problema politico, amministrativo e tecnico, non un problema di contrattazione, che cosa è successo? Proprio per mandare avanti questo processo e non farlo arenare di fronte a quattro casi paradossali che troppo facilmente potevano essere esposti, si è pensato di trovare quote di risorse – tra l'altro, trovate all'interno di risorse destinate al comparto dei comuni, non chieste Pag. 7 al resto della finanza pubblica, per quanto siano tutti soldi di finanza pubblica, quindi avanzi di accantonamenti eccetera – e distribuirle in maniera intelligente, cioè non per azzerare le penalizzazioni, ma per renderle più dolci, per addolcire la curva della parte sinistra scalandole in maniera esattamente coerente con quella curva, ma rendendo il percorso meno aspro e meno di impatto.
  Ed è quello che abbiamo fatto, con il Parlamento che ha approvato la norma contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015: i 29 milioni sono stati distribuiti e hanno fatto sì che le maggiori penalizzazioni si riducessero di un 30-35 per cento (significa che, anziché meno 13 per cento rispetto alle risorse storiche, sono andati a meno 9, più o meno) e le penalizzazioni minori molto di meno o meno ancora. Per rispettare la curva, chi stava vicino alla percentuale soglia, che all'epoca era meno 1,3 per cento, riceveva un importo simbolico che serviva soltanto per mantenere matematicamente quel tipo di andamento di penalizzazione. Questo ha consentito una maggiore adesione al processo, questo è il punto.
  Una cosa analoga è avvenuta nel 2016, dove tuttavia il meccanismo è stato articolato su due parti: una parte endogena, cioè una parte che prevedeva una minore redistribuzione interna, quindi una minor potenza dello schema perequativo, dell'ordine di 20-23 milioni (quindi non stiamo parlando di stravolgimenti, sempre con questo criterio di mantenere le posizioni relative del singoli comuni nello stesso ordine) e una parte di risorse esterne.
  Con il 2017 abbiamo una preoccupazione, perché non esiste più per legge la possibilità di instaurare per via tecnico-amministrativa, attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un correttivo statistico, che era invece espressamente nominato nella legge fino all'anno scorso. Nella legge attuale si immagina invece un ammortizzatore, quindi un meccanismo per favorire questo processo e continuare con meccanismi moderati di addolcimento del risultato, basato su soglie che non hanno nessun effetto.
  Dire che si interviene su variazioni annuali di meno 8 per cento o più 8 per cento – e, quindi, chi supera l'8 per cento si ferma lì e chi sta a meno 8 per cento riceve un'integrazione – è come dire non facciamo nulla. Infatti, c'è un piccolissimo numero di comuni – non voglio dire una stupidaggine, ma ritengo che siano diciotto – che nello schema attualmente disponibile, quello che si sta riformulando in questo periodo e che vede l'avvio della negoziazione sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, supererebbero l'8 per cento, che è una cifra drammatica, in un passaggio da un anno all'altro, producendo un ammontare di risorse redistribuibili (minimo 1 milione di euro), per di più senza avere nessun prenditore, perché effettivamente a meno 8 per cento da un anno all'altro non c'è nessun comune che ricada in quella soglia.
  Quindi, è un peccato che la legge di bilancio, che aveva tutta la possibilità di essere meglio approfondita, sotto questo aspetto – la nostra parte l'abbiamo peraltro fatta, abbiamo la coscienza a posto sulle bozze che uscirono a ottobre – non abbia tenuto conto del fatto che uno schema deputato a rendere le cose più agevoli non ha nessun effetto. Evidentemente è anche strano inserirlo in una norma di legge come se fosse uno schema.
  Questo è un aspetto sul quale siamo impegnati, ripeto, non per motivi «corporativi», sindacali, di settore, ma perché riteniamo che una parte della Repubblica così articolata come sono i comuni debba essere mantenuta al massimo della coesione possibile, per far sì che il meccanismo vada a compimento e che questo sia un fattore di successo dell'operazione, non un fattore di miglioramento di rapporti.
  Vorrei aggiungere due osservazioni molto velocemente, immaginando che i tempi siano ristretti per tutti. È chiaro che quello dei fabbisogni è un sistema molto complesso perché cerca di riflettere l'andamento medio dei costi o delle spese per i diversi servizi con metodologie diverse a seconda dei dati disponibili, condizionato a condizioni ambientali, sociali, organizzative eccetera Pag. 8 che fanno parte delle variabili determinanti dei singoli servizi.
  È, quindi, un sistema di grande complessità, è un pro capite molto pretenzioso, che pretende di cogliere molti aspetti particolari. È stato affinato in maniera interessante – io non entro nel merito – con funzioni di spesa aumentate per il 2017, ma su questo rimando a una parte del nostro documento, quello esteso, che l'approfondisce.
  Il rammarico che abbiamo in questa revisione è un po’ l'opposto di quello che avevamo negli anni 2015-2016. Tutto questo discorso di addolcimento e di attenzione era ovviamente rivolto prevalentemente, nel 2015-2016, a comuni piccoli e medio-piccoli, perché certi meccanismi con cui si consideravano i valori medi delle spese penalizzavano i comuni con una spesa media pro capite più alta. Quindi, c'era una sofferenza importante. Quella asimmetria 4.000-2.000 (detta in modo brutale), a parte per i numeri statistici dei comuni italiani, che sono in media piccoli, interessava un grande numero di comuni non eccessivamente penalizzati – una via di mezzo, meno 5, meno 4 per cento rispetto alle risorse originarie – tipicamente piccoli, quindi questo creava un ulteriore problema, perché, per giusto o per sbagliato che fosse (c'erano alcuni aspetti di enfasi che sono stati rimossi sulla penalizzazione dei comuni più piccoli) andava ad agire su situazioni di rigidità di bilancio maggiori.
  Se io tolgo la stessa percentuale a un comune di 80.000-100.000 abitanti rispetto a un comune che ne ha 8.000, probabilmente la capacità di reazione del comune con 80.000 abitanti è più ampia e articolata, mentre un bilancio di un comune di 8.000 abitanti è chiaramente dotato di maggiore rigidità. Quanto alla storia dei tagli pregressi, non ci ritorno sopra, ma le ferite, gli effetti distributivi di quei tagli non li abbiamo ancora nessuno studiati bene. È un altro degli aspetti che va messo insieme per poter portare avanti al meglio questo processo.
  Un rammarico lo abbiamo sulla revisione attuale, che ha tenuto conto via via di tanti aspetti che potevano penalizzare i comuni più piccoli in maniera ingiustificata, come certe considerazioni dei redditi medi. Infatti, se per un comune piccolo si considera il reddito medio, la presenza anche di una sola famiglia facoltosa su 300 contribuenti o anche di più, ma sempre nell'ambito di centinaia, chiaramente modifica la media in una maniera che non rappresenta affatto una maggior capacità contributiva globale territoriale. Abbiamo usato le mediane, abbiamo usato certi accorgimenti come considerare i servizi svolti in unione che evitassero di spingere troppo sull'effetto di efficienza che questo può teoricamente avere. Insomma, una serie di meccanismi che hanno in qualche modo lavorato per tener meglio conto di effetti dimensionali indesiderati.
  Il rammarico è un po’ l'opposto in quest'ultima revisione. Su alcuni servizi importanti quali gli affari generali e la viabilità e il territorio, che raccolgono un terzo circa dell'ammontare complessivo del fabbisogno medio dei comuni, così come lo stiamo calcolando con questi schemi, non riconosciamo abbastanza, a nostro avviso, un effetto di congestione delle città maggiori. Su servizi di carattere generale e così via bisogna stare attenti. Forse c'è stato un eccesso di generosità nelle versioni precedenti? Non è impossibile che sulle città maggiori si sia andati con i fabbisogni un po’ troppo dietro la spesa storica del «gruppetto» delle grandi città. Sto parlando tra le dieci e le trenta grandi città, le prime dieci sopra i 250.000 abitanti e le altre venti sopra i 100-150.000 abitanti. Ecco, lì non riconoscere effetti di congestione, senza sapere abbastanza degli effetti di congestione su servizi che non hanno tipicità industriali, come sono quelli dei servizi generali e della viabilità, secondo noi è stato un eccesso di penalizzazione che probabilmente qualche effetto negativo lo dà.
  Per concludere sui fabbisogni, la ricchezza e la complessità di questo sistema non ci deve fuorviare, come in parte sta succedendo con l'esposizione che c'è su OpenCivitas, su giudizi svelti di efficienza e inefficienza. Lo accennava il presidente Castelli e questo è molto importante. Pag. 9
  Con i fabbisogni noi definiamo delle relatività medie, in cui per essere sicuri di poter dare un giudizio comparativo dobbiamo essere sicuri che tutte le condizioni a contorno dei due soggetti – ipotizziamo – su cui stiamo comparando siano identiche. Allora sì, una spesa storica maggiore e una spesa storica minore, rispetto a un fabbisogno che è uguale e a condizioni di contorno che sono uguali, rappresentano qualche cosa. Diversamente noi ci dobbiamo limitare, con maggiore umiltà di quella che a volte vediamo scritta nei giornali e, a volte, in qualche intervento, in qualche esposizione tecnica di SOSE o nella Commissione sui fabbisogni standard. Dobbiamo sapere che non arriviamo con il sistema dei fabbisogni a dare al Paese un qualcosa della cui necessità io dubito, ma che comunque potrebbe essere molto interessante, cioè un quadro comparativo convincente ed affidabile dei servizi resi e dell'efficienza con la quale sono resi i servizi dei 6600 comuni che stiamo sottoponendo a questa operazione.
  Questo non si può fare. Si possono fare tante cose per rappresentare meglio cosa fa il mio comune, ed essere come elettore di quel comune più armato in termini informativi per giudicare l'operato dell'amministrazione, di quanto possa esserlo attraverso la mia mera esperienza. Possiamo dare più informazioni, ma non dare una classificazione sintetica della quantità di servizi resi, come sta avvenendo, che non è una metodologia da fabbisogni, ma è un'altra metodologia. Infatti, sulla base dei dati di fabbisogno, si utilizzano altre metodologie, non particolarmente consolidate sul piano tecnico-scientifico, per dire che un comune offre di più o di meno. Ecco, questo è un meccanismo molto fuorviante, che non aggiunge potenza al sistema perequativo e al sistema rappresentativo dei fabbisogni, anzi lo peggiora.
  Riceviamo decine di telefonate da capoluoghi di provincia o capoluoghi di regione – tralascio le situazioni più piccole, anche se è brutto dirlo, perché il piccolo comune e il capoluogo devono essere trattati allo stesso modo – in cui non considerare bene la spesa per ambiente rispetto alla spesa per rifiuti cambia completamente le cose. Lo stesso si può dire sul trasporto pubblico. Ciò perché ci infiliamo in una situazione in cui elementi qualitativi e quantitativi si intrecciano in maniera molto difficile da sistematizzare e sintetizzare.
  Riteniamo che chi afferma che questa difficoltà è superabile in maniera sintetica e rapida dica un qualcosa di non provato sotto il profilo tecnico-scientifico e, oseremmo dire, anche non ponderato sotto il profilo politico. Alla fine, si tratta di persone, enti, amministrazioni che vengono giudicati costantemente con elezioni, con dialettiche locali e così via. Quindi quello è il processo da informare meglio, senza eccessi di sintesi che sono sostanzialmente fuorvianti.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO D'ALÌ. Grazie, presidente. Grazie al sindaco Castelli e ai rappresentanti dell'ANCI. Addentrarsi in questo momento in questioni tecniche è assolutamente impossibile, almeno per le mie capacità e competenze. Vorrei, però, fare una domanda di carattere un po’ più politico. Non è il caso di dichiarare il fallimento di questo schema e cominciare a pensare a uno schema molto più semplificato di federalismo fiscale comunale, nel senso autentico del termine, che non sia sottoposto a ogni nuova legge di bilancio dello Stato, a interventi, modifiche e limitazioni (ti blocco questo, ti blocco quest'altro, la tariffa non la blocco e poi magari con la tariffa si fanno altre cose rispetto a quello a cui la tariffa dovrebbe provvedere)?
  Cominciamo, sindaco, a pensare a un sistema di federalismo fiscale comunale molto più semplice, basato – a mio parere – su una quota dell'IRPEF e su una vera autonomia fiscale dei comuni. Questa è la prima cosa a cui credo anche l'ANCI dovrebbe cominciare a pensare.
  Non possiamo aspettare fino al 2021 e ogni anno sentirci dire che la legge di bilancio ha toccato una cosa, ne ha sbagliata un'altra eccetera, dato che, per fortuna, Pag. 10 non è stato costituzionalizzato il principio dei costi standard è, perché secondo me il costo standard è un'aberrazione, o almeno io la vedo in questo modo. Questo è il primo punto.
  In secondo luogo, lei ha detto una cosa molto giusta: ancora combattiamo con la riforma del catasto, che non consente ai comuni neanche di fare programmazione. Dovremmo invece accelerare il discorso del catasto, naturalmente in un'ottica di federalismo vero, cioè di fiscalità locale interpretata su autentici valori catastali.
  Terzo argomento è quello della frantumazione dei territori. Io non penso che l'ANCI possa continuare a basarsi sull'analisi di 8.200 singole questioni. Bisogna cominciare a pensare in termini di aree metropolitane anche dal punto di vista fiscale, non solo per quelle che grazie alle spinte politiche sono entrate nel club delle città metropolitane, ma nel senso di area metropolitana vera anche dal punto di vista fiscale. Qui si verifica che i comuni di cinta delle città che non sono aree metropolitane diventano l'occasione per andare a incrementare la parte residenziale perché si pagano meno imposte eccetera. C'è una disorganizzazione dal punto di vista fiscale che alimenta, secondo me, una frantumazione piuttosto che una coesione territoriale.
  Quello che io penso – siamo tra l'altro alla fine della legislatura, ma c'è qualche margine di tempo per farlo – è che, oltre a intervenire puntualmente come state facendo, e giustamente perché dovete gestire l'ordinario, su quelle che possono essere le incongruenze nell'applicazione di un metodo che secondo me è tutto da rivedere, con le varie modifiche che annualmente si presentano, si dovrebbe cominciare a pensare anche a un modello veramente innovativo e semplice di federalismo fiscale comunale.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Intanto vi ringrazio per questo documento, ma sono curiosa di leggere anche l'altro, più approfondito.
  Devo dire che per una volta mi trovo d'accordo con il senatore D'Alì. Ci sono alcuni aspetti positivi di questi ultimi due anni, secondo me, che vanno sottolineati. Però, proprio partendo da questi aspetti positivi, credo che si debba fare un ripensamento profondo.
  Tra gli aspetti positivi vi è sicuramente quello di essere riusciti a riportare in tempi più corretti il rapporto fra enti locali e Stato, che porta a una possibilità anche di fare i bilanci in tempi ragionevoli. Credo che, da questo punto di vista, sia positivo ritornare fermamente alla possibilità di fare i bilanci – dico possibilità, nel senso che lo Stato mette a disposizione tutti i dati e le indicazioni utili e necessarie per fare i bilanci – entro il 28 di febbraio (che è già tardi, lo si dovrebbe fare entro il 31 dicembre dell'anno precedente). Credo che su questo si sia lavorato bene in questi ultimi due anni, perché siamo già riusciti a riportare le cose in questa direzione.
  Dall'altra parte, c'è stata anche quest'anno una semplificazione del sistema di rilevazione della SOSE, che secondo me rispondeva a una richiesta fatta, in questa sede ma anche in altre sedi, di semplificare il sistema. Passare da 6000 items a 1500 è comunque già una semplificazione del sistema. Certo, 1500 sono a mio parere ancora tantissimi, perché alla fine non si capisce quali sono davvero le variabili. Tutti noi sappiamo che le variabili che contano davvero nella componente di distribuzione sono poche, come sempre capita. Nei fenomeni ci sono tante polverizzazioni, che però a un certo punto non rendono.
  Un tema che secondo me va ancora sottolineato è il problema dei piccoli comuni ad alta vocazione turistica. L'abbiamo detto in varie sedi e l'abbiamo già riferito anche alla SOSE. Questo resta un problema, perché comuni di alta montagna hanno, appunto, i problemi dell'alta montagna, perché vivere a 2000 o a 1500 metri non è come vivere in pianura. Penso alla gestione delle strade, del calore, allo spostamento degli studenti con il bus. È tutto più complicato, quindi bisogna tenere conto di queste difficoltà e anche del fatto che, a un certo punto, se il sistema di perequazione rimane questo, rischia di essere davvero disincentivante per i comuni che hanno fatto della responsabilità un elemento forte Pag. 11della loro conduzione anche politica, non solo tecnica.
  Ancora due considerazioni, scusandomi se mi dilungo, ma il tema davvero richiede un ripensamento. La legge n. 42 del 2009 prevedeva un fondo perequativo dello Stato, quindi l'impianto era profondamente diverso. In questi dieci anni, invece, abbiamo fatto cose che andavano nella direzione opposta. Qui bisogna o ripensare quella legge oppure ripensare alle modalità di intervento.
  Ci sono stati anni di interventi urgenti: 2011 e 2012 sono stati anni di interventi urgenti anche per raggiungere l'obiettivo nazionale del contenimento della tassazione.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). La nostra tassazione vale l'1,8 per cento del PIL. C'è chi ne ha il 23 solo di tasse. Penso che di spazi per diminuire la tassazione ce ne siano anche altri.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Sono assolutamente d'accordo su questo, tant'è vero che la mia proposta, sulla quale sto studiando da un po’, è proprio quella di una separazione netta fra fabbisogni e costi standard, come già sottolineato anche nelle relazioni precedenti, che sono due cose ben diverse e qui invece si rischia ogni tanto di fare un po’ di confusione.
  I fabbisogni tengono anche conto della situazione reale e della necessità di una omogeneità su tutto il territorio, mentre la spesa storica tiene conto della storia dei comuni, e se una comunità non ha ritenuto, in tutti questi anni, di aver bisogno di alcune cose, non è che possiamo obbligarli ad averle solo perché vogliamo che sia un meccanismo equo su tutto il territorio.
  Inoltre, penso a un compito di supporto sui costi standard che non deve essere obbligatorio. L'esempio che faceva prima il sindaco era emblematico, secondo me. I costi standard devono essere un punto di riferimento, un benchmark che serve per interpretare. I cittadini possono valutare in modo trasparente se la mia mensa costa più di un'altra; se io decido di avere la mensa fresca perché voglio che i nostri bambini abbiano la mensa fresca spendo di più, ma ci sarà un benchmark che fa riferimento a una funzione di produzione standard, che non è il costo medio ma è il tentativo di fare un salto di qualità attraverso l'individuazione di una funzione di produzione standard, e a quel punto i cittadini in modo trasparente possono decidere, tenendo conto che autonomia vuol dire differenza.
  Il tentativo, invece, in questi anni è quello di omogeneizzare. Le due cose vanno esattamente in contraddizione, come anche l'osservazione che avete fatto voi sulle soglie di miglioramento o peggioramento (meno 8 per cento, più 8 per cento). Però nella frase dopo si dice «garantire adeguata stabilità al sistema perequativo». Sono tutti elementi in realtà in contrasto fra di loro. Si parla di andare in una certa direzione, ma è esattamente l'inverso di quello che si dice nella frase successiva. Quindi, sicuramente un ripensamento è opportuno.
  Sul catasto non entro. Nel 2003 nel mio comune avevamo già provato a fare un accordo con l'ACEA locale nel tentativo di andare alla revisione del catasto. Il tema, quindi, è vecchio.
  Mi soffermo, invece, su un ultimo elemento più concreto. Davanti a noi abbiamo comunque degli spazi per poter fare ancora qualche intervento. Credo non interventi risolutivi di sistema, che invece vanno studiati, ma immediati. Avremo sicuramente un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che dovrà assolvere alla necessità, prevista nella legge di bilancio 2017, della distribuzione di 3 miliardi. Su questo bisognerà lavorare. Sicuramente una fetta grossa andrà alle province. Lo dico all'ANCI, perché è evidente che il tema delle province, anche dopo il risultato referendario, viene posto in un modo diverso. Non si può pensare che le province abbiano un bilancio annuale. È evidente che bisogna dare gambe, perché questo livello istituzionale che era previsto in esaurimento invece deve riprendere una sua dignità anche istituzionale. Non ho notizie così approfondite, pur stando nella maggioranza, su come Pag. 12saranno distribuiti i 3 miliardi, ma temo che un pezzo grosso andrà alle province.
  Altro elemento è quello di un provvedimento che credo sia in stesura, ossia questo decreto-legge, che può essere enti locali, ma non solo, forse anche un po’ più ampio, su cui probabilmente possono trovare sistemazione elementi finanziari ma anche procedurali, che sovente, per quanto riguarda la gestione dei comuni, sono quasi altrettanto importanti degli aspetti finanziari.
  Noi non possiamo pensare di legare gli uffici della ragioneria ad assolvere solo compiti amministrativi – lo dico io al posto dell'ANCI, così ci scambiamo anche un po’ i ruoli – soprattutto nei comuni di dimensioni minori, dove la testa e le risorse sono impegnate non tanto a erogare i servizi e a vedere come svolgerli al meglio, ma a come sopravvivere nel ginepraio amministrativo.
  Da questo punto di vista, credo che debbano cominciare ad arrivare delle proposte soppressive. Noi dobbiamo pensare di fare dei provvedimenti in cui non si dicano delle cose in più, ma si tolgano le cose che già ci sono. Credo che una funzione di controllo dello Stato possa essere stata utile negli anni 2011-2012, perché si era in una situazione di emergenza, ma ora non più. O è autonomia o non lo è.
  Credo che nell'ambito dell'autonomia i comuni possano anche sbagliare. Devo individuare un paio di obiettivi a livello nazionale, all'interno dei quali non si può derogare. Questa può essere la tassazione massima. Io posso individuare alcuni tetti massimi, dopodiché i comuni devono essere liberi di poter fare quello che vogliono, altrimenti non è davvero autonomia. Allora va davvero ripensata alle basi la legge n. 42 del 2009. Grazie.

  MARIA CECILIA GUERRA. Mi scuso in anticipo se scapperò via maleducatamente dopo aver fatto il mio intervento, dovendomi recare in Commissione alle 9 per la seduta relativa al decreto sulle banche.
  Una osservazione riguarda il punto centrale della vostra relazione. L'avevamo capito, perché seguiamo, sia come Commissione sia come interesse nostro, politico e da studiosi, il tema: l'ANCI ha svolto un ruolo importante, preziosissimo, nel percorso dei fabbisogni standard, di attenzione agli effetti dell'introduzione di questi nuovi strumenti. È un compito doveroso e importante che noi abbiamo anche sottolineato nei pareri espressi; quando abbiamo parlato di monitoraggio e via dicendo abbiamo preso anche esplicitamente suggerimenti emersi in Conferenza Stato-città.
  Questo è un aspetto importante, giusto, e sicuramente anche in sede tecnica avete fatto valere le vostre competenze. Tuttavia, credo che sia mancata complessivamente e anche – mi si permetta di dire – in modo sufficiente, da parte vostra, mentre è emersa nelle cose che state dicendo adesso – nel pubblico at large, non dico nelle sedi demandate – una valutazione della narrativa dei fabbisogni standard. Sui fabbisogni standard noi abbiamo un giudizio positivo, come avanzamento della conoscenza, ma l'utilizzo di questi strumenti ancora approssimativi e per necessità non coerenti con l'idea del costo standard, è un tema che va posto. Voglio dire se sia giusto utilizzarli per lo scopo perequativo, o per benchmarking o in quale mix. Questo è un tema rispetto al quale – mi permetto di dire – l'ANCI ha avuto una posizione un po’ difensiva, quasi per paura di essere accusati di non voler stare dentro un processo di perequazione.
  Secondo me, è giunto il momento in cui collettivamente – adesso sto parlando a voi, ma noi abbiamo le nostre corpose responsabilità – questo sistema va valutato, perché se in media può anche produrre dei risultati positivi di avanzamento, è anche vero che ci sono casi (ma non sono due o tre) in cui, quando si vanno a vedere i dati... purtroppo, perché il meccanismo è ambiziosissimo, va affinato, e io non sono assolutamente per tornare indietro su quello. Penso però che debba avere un ruolo diverso, che vada usato con più prudenza e che forse per la perequazione sarebbero più opportuni degli indicatori più leggibili e sintetici. Al di là del mio pensiero, credo che sia sbagliata l'idea di essere considerati inefficienti quando magari il dato, anche per colpa del comune, è sbagliato, oppure Pag. 13le medie hanno le loro difficoltà, e ci ritroviamo con una rappresentazione di spesa storica che non ha niente a che vedere col quadro che doveva essere, nell'ambizione della legge, un quadro di tipo normativo ancora più ambizioso. Questo è un primo punto.
  Il secondo punto che voi richiamate e che secondo me va sottolineato con più forza – ma le due cose si intrecciano – è che non puoi usare la perequazione ordinaria, qualunque essa sia, per coprire dei gap storici, infrastrutturali, di arretratezza. Questo è scritto chiaramente nel documento ed è anche un'altra cosa che dovrebbe emergere con più forza, perché effettivamente tutta la discussione sul dare zero, non dare zero alla presenza o assenza di certi servizi si intreccia con questa ambiguità. Questo è un punto che, secondo me, anche nel discorso politico deve riemergere, altrimenti mescoliamo le due cose con dei risultati devastanti.
  La terza cosa che dico sempre (e che qui non c'è) è questa: noi come Commissione abbiamo sottolineato una deformazione gravissima di tutto questo meccanismo perequativo che riguarda i trasferimenti compensativi. Noi non possiamo avere un'invenzione come lo sono i trasferimenti compensativi a fronte del taglio per esempio dell'IMU che non è in Costituzione, né nella legge n. 42 del 2009, e non considerare questi trasferimenti compensativi come una risorsa degli enti, facendoli rientrare nella capacità fiscale o in un'altra cosa che chiamiamo trasferimento compensativo ma che includiamo nel meccanismo perequativo. Questo crea un dissesto logico, che mi meraviglio non emerga nella potenza che ha.
  Dal punto di vista tecnico, a noi hanno dato sempre ragione. Dal punto di vista politico, non riusciamo a farlo passare, però mi sembra che crei una distorsione, che dopo si può provare ad aggiustare, rendendo tuttavia – per necessità, non è una critica – il meccanismo non intellegibile.
  Mi immagino i sindaci a cercare di capire col pallottoliere cosa gli verrà fuori nell'anno. Per fortuna quest'anno cominciamo a dirglielo un po’ prima, altrimenti si trovano, anche solo con una cifra piccola, ma che per un comune piccolo è importantissima, a dover rivedere tutti i conti su un meccanismo di cui non possono capire la logica. Le responsabilità sono più di qua che di lì, però non possiamo assolutamente accettarlo.
  Tutti noi avvertiamo, credo, la necessità ormai di una definizione di un quadro più chiaro, però alcuni di questi aspetti mi sembra siano particolarmente urgenti.

  FEDERICO FORNARO. Le colleghe che mi hanno preceduto hanno detto praticamente tutto. Vorrei, però, porre l'accento su un altro aspetto. Ci siamo molto concentrati sul versante costi standard e sull'applicazione dei costi standard nella redistribuzione delle risorse. Credo che ci siano problemi seri – ma se non è così ne sarei ben felice – sul tema del calcolo della capacità fiscale che, se non ho capito male il meccanismo, si fonda di fatto sull'incasso potenziale e non sull'incasso reale, ovvero sul cosiddetto potenziale standard. Io segnalo che c'è un problema: il potenziale standard – torniamo sempre al catasto, ma in questo caso non c'è una deformazione del dato – non tiene conto di una crescita dell'infedeltà fiscale, in aumento negli ultimi anni anche a causa della crisi economica. Conseguentemente, soprattutto nei comuni turistici o in quei comuni che abbiano seconde case in proporzione maggiore alla media, per dirla in una battuta, al danno si aggiunge la beffa: sono calcolati come densità fiscale 100 e ne hanno tutte le conseguenze – e probabilmente sono tutti comuni che stanno dentro gli oltre ormai mille comuni incapienti, negativi – ma la beffa è che, ovviamente, se incassano 90, nel sistema in realtà hanno avuto detrazioni come se fossero 100. Quindi, ce l'hanno due volte.
  Lo segnalo come un problema che mi pare sia crescente. Bisognerebbe provare, nell'ambito delle correzioni che vengono fatte annualmente, un raffronto tra la capacità fiscale standard e quello che è stato realmente incassato negli ultimi tre anni. Pag. 14
  Capisco che questa può sembrare una deresponsabilizzazione degli amministratori locali.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Siamo incalzati dalla parte opposta. L'incalzare della posizione governativa sull'argomento è il tax gap; è considerata la proxy dell'evasione, perché comprende anche elusioni strutturali giuste, erosione normale da agevolazioni eccetera (lo state considerando al 5 per cento, ma siete troppo prudenti. Io lo metterei al 50 per cento. Deve passare al dieci e adesso passerà al dieci).

  FEDERICO FORNARO. Mi permetto però di segnalare un aspetto molto delicato riferito soprattutto ai piccoli comuni: il passaggio dalle medie, dalle statistiche alla realtà è molto brutale. Se il piccolo comune ha una media azienda che va in default, e quella azienda pagava una certa somma di IMU eccetera, questo ha un impatto immediato non recuperabile. Non è un problema di volontà. In questo caso, il discorso dell'azienda ha più impatto sulla TARI che non sull'IMU. Però segnalo che in casi di immobili significativi di aziende immobiliari che vanno in default, questa partita è molto delicata, e può avere effetti molto rilevanti soprattutto sui piccoli comuni.
  Quindi, credo che sia una necessità trovare dei meccanismi correttivi che tengano conto del reale gettito e compensino parzialmente. Diversamente facciamo tutto bene sul lato degli standard, con tutte le osservazioni critiche, che io condivido, fatte dai colleghi in precedenza, e poi cadiamo dall'altra parte.
  Sulle capacità fiscali standard ce ne sarebbe da dire almeno altrettanto, come livello di criticità, nel calcolo e nella correttezza del calcolo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GUIDO CASTELLI, sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Condivido che siamo arrivati in un punto in cui si impone un tentativo di sistematizzazione nuova, di sforzo per rendere organico tutto quello che è capitato, perché effettivamente, come è stato detto, l'intuizione iniziale aveva una sua geometria che è stata totalmente devastata da quanto è accaduto. Quindi, abbiamo enumerato gli elementi di criticità che comunque devono essere tenuti in considerazione per poter evitare astrazioni che alla prova dei fatti producono l'obliterazione del principio di autonomia.
  È anche una scelta politica, questa: capire qual è il ruolo delle autonomie in questo Paese; capire se la modernizzazione del Paese prevede e include la considerazione secondo la quale – questa è la nostra tesi storica – la modernizzazione del Paese necessita di autonomie, perché il migliore e più performante dei meccanismi digitali richiede comunque che a Vasto, a Roccacannuccia, a Courmayeur o a Messina esista un'antenna che possa replicare e «switchare» questi meccanismi.
  Da questo punto di vista, siamo reduci dalla situazione storica che conosciamo, in cui incidono anche tante altre cose: una, che è stata lambita ma non è stata detta, è la difficoltà e l'adeguatezza del sistema di riscossione, che poi sul piano concreto ulteriormente provoca asimmetrie che sono non dico paragonabili a quelle del tax gap, ma comunque molto simili.
  Vi ricordo che, fra l'altro, da tre anni abbiamo una nuova contabilità che misura e documenta la reattività dei comuni proprio in base al riscosso piuttosto che all'accertato.
  È chiaro che non è semplice neanche introdurre – lo dico in riferimento all'ultimo intervento – meccanismi che qualifichino e misurino la volontà di recupero fiscale, ma è anche vero che in alcune aree del Paese, penso all'area di Roma, gli effetti del tax gap rischiano di produrre meccanismi veramente complicati da gestire.
  Certo è che noi siamo reduci da un meccanismo e da una storicizzazione delle iniziative a volte definibili come episodiche. Abbiamo rincorso gli eventi, probabilmente. Se pensate che nel 2009 il gettito Pag. 15dell'ICI allora vigente era di 9,2 miliardi, e dopo il «salva Italia» siamo passati a 24 miliardi di IMU, capite che sono valori che seguono scelte.
  Pretendere l'inizio di un percorso che torni a essere organico in tutte queste vicende è l'ansia di tutti i sindaci perché, altrimenti, come diceva qualcuno prima, è inevitabile che si producano, anche da parte del sistema dei comuni, tentativi di adattare alla realtà meccanismi che però hanno perso la loro funzione teleologica.
  Da questo punto di vista, è la sfida che dobbiamo affrontare, ma dietro c'è anche una radice culturale. I comuni sono solo centri di costo e sono quindi frammenti del sistema Paese che devono in qualche modo flettere la propria capacità di spesa agli algoritmi più generali o sono invece una risorsa?
  Ci lasciamo con una domanda che ovviamente da parte nostra è retorica, ma che impegna il futuro Parlamento su questo che è il tema dei temi.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Vorrei aggiungere due considerazioni telegrafiche, presidente. Una è di tipo logico: è chiaro che semplificare gli adempimenti, come diceva la senatrice Zanoni, semplificare forse anche i sistemi di misurazione, eccetera è una cosa sensata, tuttavia, se ipotizziamo che dal lato della misurazione ci sia la metà dei comuni in Italia, quindi che la frammentazione sia un elemento molto importante, li dimezziamo domani. Un tema di complessità specifica dell'esponente comunale ce l'abbiamo lo stesso.
  Intendo dire che si può fare molto in quel senso, però non illudiamoci di non avere un'anomalia. Non è un problema solo italiano, ma riguarda tutti i settori, tutto il mondo. Magari in Italia sarà aggravato dal fatto che sono troppi; d'accordo, ma il tema dell'amministrazione comunale è un tema di complessità naturale, perché i territori in tutto il mondo, anche nella ricca Baviera, sono estremamente differenziati. Questo è un tema che dobbiamo serenamente saper affrontare con gli strumenti giusti, con il massimo tentativo di semplificazione.
  L'altra considerazione è la seguente: i fabbisogni non tolgono soldi ai ricchi per darli ai poveri. Se uno usasse solo i fabbisogni farebbe l'esatto contrario; i soldi dai poveri andrebbero ai ricchi. Se usasse solo le capacità fiscali farebbe invece il Robin Hood. Complessivamente questo sistema non tende a finanziare gli asili nido di Cosenza, con minori asili nido altrove, in posti particolarmente dotati. Complessivamente il sistema tiene conto dell'esistente; qualcuno dice che ne tiene conto anche troppo. Ma è giusto che sia così, perché non rimettiamo le braghe al sistema istituzionale attraverso la redistribuzione che stiamo facendo.
  Con questa redistribuzione – dobbiamo ricordarlo anche per l'osservazione che faceva il senatore Fornaro poco fa sulle entrate – noi stiamo riequilibrando i trasferimenti statali. Quello che non siamo riusciti a fare negli anni Novanta e negli anni Duemila, abbiamo cominciato a farlo in questo modo negli anni 2010. Alla radice c'è questo.
  Nel frattempo non ci sono più i trasferimenti statali. Questa è la cosa per cui si scambia il riequilibrio da fondo negativo con la perequazione. Essendo cresciuto a dismisura il tributo tipico comunale su cui si regola (è aumentato di due volte o due volte e mezza, a seconda se mettiamo la prima casa o non ce la mettiamo), noi ci ritroviamo in una camicia di forza in cui quello che sembra autonomo non è autonomo, quello che è banale aritmetica (ti dovevo dare l'ICI, ma non ce l'ho più, ti do quello che c'era prima meno i tagli) diventa uno sconquasso, che in realtà è lo sconquasso dei tagli.

  FEDERICO FORNARO. Mi perdoni, con un ulteriore elemento, che è responsabilità nostra perché il modello era fondato sulla tassazione sulla prima casa, quindi sui residenti, ma lo abbiamo spostato sulle seconde case e anche nella capacità di recupero del non pagato c'è molta più difficoltà.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale Pag. 16 comuni italiani (ANCI). Questo lo capisco benissimo, però questa è di nuovo una politica di settore, non è un aggiustamento dei fabbisogni o dei fondi. C'è un problema di infedeltà fiscale, che siccome le grandezze della finanza locale sono cambiate a favore del fisco, ci pone un discorso di ammortizzamento della crisi. È come se dovessi fare le infrastrutture. C'è un ammortizzamento della crisi? Bisogna trovare risorse per evitare che questo crei una crisi speciale.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ma non solo, mi permetta. Ci sono anche elementi di impossibilità di recuperare l'evasione. Penso all'IMU agricola: chi ha pagato ha pagato mentre a chi non ha pagato è andata bene, perché i comuni non sono assolutamente in grado di recuperare l'imposta non pagata.
  Inoltre, è estremamente poco conveniente. I recuperi dell'evasione dell'ICI funzionavano perché si recuperavano i cinque anni precedenti. Qui non si recupera niente.

  ANDREA FERRI, responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Ma è esattamente quello che stavo dicendo. Quando noi diamo soldi a integrazione del mancato gettito dell'IMU agricola – abbiamo dato per il 2014 un 50 per cento del mancato gettito, circa 50 milioni credo – noi facciamo una politica di settore, non facciamo una politica fiscale. Noi diciamo che è insostenibile. Come con una politica farei asili nido, qui parliamo di rimborso gettito mancante, però sono cose diverse e purtroppo bisogna trattarle per quello che sono.
  Sono d'accordo su quanto è stato detto riguardo ai trasferimenti compensativi, che sono illegittimi sotto il profilo ordinamentale, ma di nuovo dobbiamo allargare le braccia e dire che bisogna riformare l'IMU residua e la tassazione.

  PRESIDENTE.
  Ringraziamo i nostri ospiti per i loro interventi e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

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