XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 91 di Mercoledì 11 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle Province d'Italia (UPI), sulla finanza delle Province e delle Città metropolitane (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Rinaldi Giuseppe , componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI) ... 3 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 6 ,
Rinaldi Giuseppe , componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI) ... 6 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 ,
Zanoni Magda Angela  ... 7 ,
D'Alì Antonio  ... 8 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 ,
D'Alì Antonio  ... 8 ,
De Menech Roger (PD)  ... 9 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 ,
Fornaro Federico  ... 12 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 ,
Rinaldi Giuseppe , componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI) ... 13 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documento consegnato dai rappresentanti dell'Unione delle Province D'Italia (UPI) ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia (UPI), sulla finanza delle province e delle città metropolitane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione, di rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia, sulla finanza delle province e delle città metropolitane.
  Sapete che è un tema tornato prepotentemente di attualità, ancora di più dopo che il referendum costituzionale ha confermato in Costituzione l'esistenza delle province. L'Ufficio di presidenza della Commissione ha, quindi, deciso di tornare sul tema – lo faremo anche prossimamente, nelle prossime audizioni – per capire quali sono le prospettive che si aprono adesso, nel momento in cui, poiché le province continuano ad avere dignità costituzionale, si dovrà probabilmente immaginare qualcosa di diverso dalla fase transitoria, che era stata delineata.
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola a Giuseppe Rinaldi, presidente dell'UPI Lazio, nonché presidente della provincia di Rieti.

  GIUSEPPE RINALDI, componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI). Grazie a lei, presidente. Grazie a voi. Con molti di voi già ci siamo confrontati altre volte sui nostri temi e sui nostri tanti problemi. Oggi arriviamo qui, come ricordava il presidente, all'esito di un risultato del referendum che ci mette in una situazione, se possibile, ancora più delicata di quella precedente. Al di là di quelle che saranno le decisioni del legislatore nazionale e della revisione che auspichiamo della legge Delrio all'esito di questi primi due anni di applicazione, visto anche il risultato del referendum, abbiamo davanti una situazione drammatica – senza voler enfatizzare la situazione, ma purtroppo questo è – rispetto alla situazione dei nostri bilanci.
  Sapete meglio di me, perché alcune operazioni le abbiamo costruite anche grazie alla collaborazione del Parlamento e del Governo, che siamo riusciti ad arrivare ad approvare i bilanci di previsione dello scorso anno solo grazie a un'operazione di solidarietà all'interno dello stesso comparto delle province italiane.
  Faccio un piccolo esempio, che riguarda la mia piccola provincia. Io ho potuto approvare il bilancio di previsione del 2016 il 28 novembre 2016 – già questo ci fa capire in che stato siamo – solo grazie al fatto che le province di Latina, Viterbo e Frosinone mi hanno ceduto 200.000 euro ciascuna e che il Fondo nazionale di tutte le province italiane mi ha ceduto ulteriori 600.000 euro. Grazie a quei 1,2 milioni di euro sono riuscito, il 28 novembre 2016, ad approvare il bilancio di previsione del 2016. Avevamo davanti il taglio di 2 miliardi di quell'anno con quelle operazioni fatte (il fondo sulle Pag. 4strade, il fondo sulle scuole e via elencando).
  Quest'anno entra a regime questa manovra, sulla quale non spendo aggettivi, della legge di stabilità del 2015, che prevede il taglio a regime di 3 miliardi. Come comparto, abbiamo già contribuito al risanamento dei conti pubblici come nessun'altra Istituzione è stata chiamata a fare, per più di 2 miliardi di euro.
  Oggi abbiamo questo problema, che purtroppo la legge di bilancio 2017 non è riuscita a risolvere, viste anche le modalità di approvazione, la crisi di Governo e i tempi. È stata posta la fiducia, ragion per cui non c'è stata l'occasione per poter discutere nel merito di questi problemi. Ci ritroviamo, quindi, con un contributo per strade e scuole, rispetto ai tagli, di 220 milioni già previsto per il 2017. Tutto questo, però, non ci permetterebbe di poter arrivare ad approvare i nostri bilanci.
  Il tema che vi sottopongo per l'ennesima volta è questo. Mi scuso perché mi rendo conto anche che siamo monotoni, ma alla fine i problemi sono questi. Lo dico da presidente di provincia: non sono qui a rivendicare e a fare il sindacato della provincia. Non è questo il tema. Qui il tema riguarda solo ed esclusivamente la sicurezza dei cittadini e il patrimonio pubblico in questo Paese.
  Noi gestiamo ancora centinaia di migliaia di chilometri di strade e migliaia di edifici scolastici e non riusciamo quasi più a fare manutenzione. Mentre facciamo investimenti – dai dati che vedete e conoscete comunque si riescono a fare investimenti anche attraverso il Fondo sull'edilizia scolastica e le varie iniziative; su quello si può intervenire – non abbiamo, però, quasi più risorse per fare manutenzione ordinaria. Chiunque di voi frequenti i territori penso se ne renda perfettamente conto, perché le strade provinciali sono in una situazione disastrosa. Questo comporterà per il patrimonio pubblico, a regime, delle spese ancora più alte, perché non fare manutenzione ordinaria, come in qualunque famiglia, vuol dire poi fare manutenzione straordinaria.
  Ancora più delicata, se possibile, è la situazione delle scuole. Vi parla, peraltro, chi è alle prese con una situazione ancora più drammatica, perché la mia provincia è stata, purtroppo, investita dal terremoto del 24 agosto e poi dalle successive scosse del 26 e del 30 ottobre.
  Abbiamo una situazione di psicosi collettiva, di famiglie che non vogliono riportare i figli a scuola e di scuole che necessiterebbero di interventi di manutenzione e di adeguamento. Sappiamo che su questo fronte si stanno muovendo anche il Governo e il Commissario straordinario Errani. Tutto questo, però, ovviamente, va a incidere su un patrimonio su cui molto spesso negli ultimi anni non siamo riusciti a intervenire con le manutenzioni ordinarie e ciò rende ancora più gravosa e difficile la nostra situazione.
  Per non parlare dell'altro delicato problema che riguarda le funzioni che le regioni continuano a far svolgere alle province, ma le cui risorse noi facciamo fatica a vedere. Vi cito solo il titolo. Penso al tema dei Centri per l'impiego, per cui solo in parte abbiamo preso le somme per il 2016, ma abbiamo tante altre funzioni che continuiamo a svolgere per conto delle regioni e sulle quali noi non vediamo risorse.
  Ho detto prima che la legge di bilancio del 2017 non è potuta intervenire con chiarezza su questo aspetto. È stato previsto il Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali che dovrà essere ripartito, ma vi ribadiamo l'esigenza di azzerare il taglio di 650 milioni per i 76 enti di area vasta, per le province appunto, e di poter utilizzare – queste sono le proposte, che stanno anche nel documento che vi consegniamo – i risparmi dei costi della politica generati dalla legge n. 56 del 2014 per destinarli alle funzioni fondamentali degli enti di area vasta e delle città metropolitane. Si tratta di 229 milioni dal 2014 al 2016 e di 69 milioni dal 2017. Poi ci sono 200 milioni dal fondo ANAS direttamente agli enti di area vasta.
  Chiediamo di poter continuare a fare i bilanci annuali. Ahimè, questa è una limitazione per noi, ma è indispensabile dal punto di vista tecnico. È una limitazione Pag. 5perché fare i bilanci solo annuali, come vi sto chiedendo, vuol dire non poter programmare e fare i Piani triennali. Siamo costretti, però, a continuare a chiederlo, perché non abbiamo la possibilità di immaginare un bilancio triennale.
  Chiediamo anche di coprire integralmente le spese per le funzioni fondamentali con risorse certe a fabbisogni standard.
  Chiediamo di fare in modo che le risorse derivanti dalle alienazioni del patrimonio possano essere destinate a favore degli investimenti.
  Un altro aspetto molto delicato e importante è fare in modo che, nel rispetto delle norme stabilite dalla legge, cioè del fatto che dobbiamo tagliare del 50 per cento la spesa per il personale, ci sia data la possibilità di riassumere personale e di ridotarci di figure, soprattutto tecniche, che per noi sono indispensabili.
  Oggi abbiamo il blocco totale di qualunque tipo. Non possiamo fare contratti a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 110 del Testo unico degli enti locali, e non possiamo fare le assunzioni. Abbiamo dovuto, come nel caso di chi vi parla, fare le assegnazioni del personale alle regioni prima che le regioni avessero stabilito chi faceva che cosa, ragion per cui in molti casi ci troviamo con personale che è andato via e funzioni che sono rimaste alle province e con l'impossibilità oggettiva, seppure stiamo sotto al 50 per cento, di fare anche una consulenza per un ufficio tecnico o un contratto a tempo determinato per un ufficio di viabilità. Tutto questo – ripeto – mette in ulteriore difficoltà l'intero comparto.
  Nel documento troverete, meglio di come probabilmente le ho illustrate io, queste questioni in dettaglio. Ci sono tante altre vicende. Ripeto, non voglio essere pedante e noioso, perché le conoscete, probabilmente, meglio di me. Su una, però, voglio perdere un minuto. È la questione su cui siamo intervenuti e su cui siete intervenuti – abbiamo messo anche risorse – dell'assistenza ai disabili nelle scuole. Ogni anno dover correre dietro a queste cose è una situazione molto delicata e penso sbagliata, perché non si può ogni anno dover cercare i soldi per fare l'assistenza ai disabili nelle scuole. Sono situazioni molto delicate, che non possono essere gestite di anno in anno con questa incertezza assoluta.
  Vi sono molte altre questioni. In altre audizioni ho avuto modo anche di scoprire che, ovviamente, le norme si fanno, ma non sempre ci si rende conto delle conseguenze. Vi faccio un altro esempio banalissimo e poi concludo.
  Noi ci occupiamo, fra le tante altre cose che ci sono rimaste, per esempio, di una questione che può sembrare marginale: molte caserme dei Carabinieri sono di proprietà delle province. Non riusciamo a fare manutenzione neanche ai carabinieri che, giustamente, la richiedono. Perché le caserme dei Carabinieri debbano essere rimaste in questi ampi disegni di riforma in capo alle province faccio fatica a capirlo, vi dico la sincera verità.
  Lo so, da un punto di vista storico-culturale le prefetture e i Carabinieri ci spettano, ma oggi non riusciamo nemmeno a cambiare una finestra di una scuola. Giustamente, abbiamo il comandante provinciale o il maresciallo della stazione che ci dicono che vanno fatti determinati lavori, che c'è l'infiltrazione d'acqua, che è rotta la caldaia, ma risorse per fare questi lavori non ne abbiamo. Può sembrare un aspetto marginale, ma nessuno si è preoccupato di andare a vedere perché questa materia fosse rimasta in capo alle province.
  L'intervento urgente che chiediamo, quindi, ha solo lo scopo di permetterci di garantire, come è stato scritto anche nella nota di accompagnamento al disegno di legge «finanziaria» dello scorso anno e come è stato ribadito anche dal Parlamento stesso, la possibilità di esercitare le funzioni fondamentali, perché senza risorse non si possono svolgere le funzioni. Credo che questo sia noto a tutti e la Corte costituzionale è anche intervenuta. Si tratta di fare in modo che vi sia la copertura per queste funzioni fondamentali e che vi sia la copertura anche da parte delle regioni per le funzioni non fondamentali che, però, continuano a essere svolte dalle province. Da questo punto di vista, come vi dicevo, ci Pag. 6sono i costi dei Centri per l'impiego e i fondi per gli alunni disabili.
  Noi, quindi, chiediamo questo, a prescindere da quale sarà poi l'intenzione e la decisione del legislatore e dal confronto che andrà avanti rispetto al definitivo assetto istituzionale. L'ho detto in premessa, perché non è chiaro: se possibile, siamo in una situazione ancora più delicata e difficile di prima. Domenica 30 province hanno rivotato. Altre 8, causa neve, sono state rinviate, ma voteranno.
  È palpabile lo stato di incertezza che anche i sindaci e i consiglieri ci rappresentano. C'è bisogno, quindi, che ci sia, non solo da un punto di vista fiscale, ma anche da un punto di vista proprio costituzionale complessivo, una parola definitiva su questa revisione della legge Delrio, che noi chiediamo da tempo e che credo che, alla luce dell'esito del referendum, sia ormai diventata non più procrastinabile.
  Mi fermo qui. Sono, ovviamente, a disposizione per vostre domande e chiarimenti su quello che ho detto.

  PRESIDENTE. Chiedo se ci sono domande.
  Intanto volevo porre io la questione delle questioni. Anche nelle audizioni che abbiamo fatto è emerso chiaramente che tutto il sistema, a partire dalla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard per arrivare agli stanziamenti, nasceva su una situazione di precarietà, ossia nella consapevolezza che tanto poi le province sarebbero sparite. Pertanto, era possibile sospendere. Era inutile andare avanti con il processo dei fabbisogni sulle province o sugli stanziamenti. Si poteva fare il bilancio di previsione annuale – era inutile farlo triennale – perché forse avrebbe permesso di sopravvivere e poi si sarebbe visto.
  Il problema è che per tutto questo impianto di precarietà c'era un ombrello di tipo legislativo-costituzionale, che adesso è venuto a cadere. A questo punto bisogna capire l'impianto della legge Delrio con il ruolo delle regioni. Noi abbiamo previsto di sentire evidentemente anche le regioni.
  Questo processo va avanti come va avanti e, a cascata, tutto l'impianto, anche di tipo contabile e finanziario, dovrà tener conto del fatto che questi enti, comunque li chiameremo, rimangono. A questo punto continueranno a chiamarsi «province». Ho notato che si continua a chiamarli «enti di area vasta», ma le province sono in Costituzione. A questo punto, torniamo a chiamarli «province».
  Magari la delimitazione territoriale sarà diversa in base alle determinazioni delle regioni, ma veramente, secondo me, a questo punto, bisogna prendere atto che l'ottica con cui si guarda questo ente è sostanzialmente diversa rispetto a quella di due mesi fa, cioè da un'ottica per cui l'intervento straordinario era giustificato con la precarietà. Non può essere più giustificato l'intervento meramente straordinario per la precarietà, perché questo non è più, in quanto questi enti, che continueranno a chiamarsi province e che poi vedremo come saranno conformati e che cosa faranno, esisteranno ancora per un po’ nel futuro. Per definizione, per esempio, in relazione al bilancio, un minimo di bilancio programmatorio per gli investimenti deve essere fatto.

  GIUSEPPE RINALDI, componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI). Aggiungo, presidente, se posso – ho dimenticato di dirlo, ma lo ribadisco – che noi abbiamo messo in campo in questi due anni, per rimanere in vita, una serie di operazioni straordinarie, da un punto di vista di contabilità e di bilancio, che non sono più ripetibili. Mi riferisco agli avanzi e a tutte le operazioni e ai mutui con la Cassa depositi e prestiti. Non possiamo continuare a ricontrattare i mutui. Non è più fattibile. Abbiamo utilizzato gli avanzi liberi, abbiamo fatto tutto. L'abbiamo fatto anche con le regioni. Non sempre, però, ne abbiamo avuto la possibilità. Nel mio caso, per esempio, la regione Lazio ha consentito l'utilizzo anche degli avanzi regionali.
  Queste misure straordinarie, che abbiamo adottato sinora per rimanere e cercare di non crollare prima dell'esito della riforma, oggi non sono più possibili, tant'è vero che già parecchie province che hanno fatto questo percorso sono in pre-dissesto, Pag. 7oltre a quelle storiche che lo erano già prima.
  È chiaro che andare avanti così non è più tecnicamente possibile. Ripeto, non è un tema dell'Istituzione che rappresento, ma è un tema puramente e semplicemente dei servizi che a noi sono lasciati in capo e di tanti altri che ci hanno delegato le regioni. Permettetemi anche questo. Forse anche su questo ci sarebbe voluto un tavolo congiunto maggiormente coordinato dallo Stato rispetto al ruolo e al modo in cui le regioni avrebbero dovuto gestire questa fase, perché c'è un discorso a macchia di leopardo, che non ci aiuta e che, ovviamente, si è rivelato molto più difficile di quello che lo stesso legislatore pensava.
  Quando siamo andati ai tavoli con le regioni, infatti, ci siamo accorti che molte cose ancora oggi non sono definite. Non si capisce bene chi le debba fare. Alcune funzioni sono rimaste in capo alle province. Per esempio, alla mia provincia è rimasta in capo l'urbanistica. Dopodiché, la regione si è ripresa i tesserini di caccia e pesca. Siamo veramente al contrario di quello che ci siamo sempre detti in tutte le sedi, quando abbiamo parlato di riforme istituzionali e abbiamo sempre detto che i soggetti gestori erano i comuni, quelli più vicini, e che il legislatore era la regione. Oggi c'è una provincia – la mia – che ancora rilascia le autorizzazioni su quelli che continuo a chiamare Piani regolatori e una regione che rilascia i tesserini di caccia e pesca. Ditemi voi se questo, anche da un punto di vista proprio di diritto costituzionale, abbia una logica. Io faccio fatica a vederla.

  PRESIDENTE. Ci saranno i ricorsi. Gli avvocati si divertiranno, nel momento in cui c'è qualche diniego.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie di aver svolto subito questo incontro, perché, secondo me, è davvero utile e necessario anche per la tempestività.
  Credo di poter rivolgere al presidente della Commissione la richiesta di un invito al Governo per verificare due aspetti fondamentali. Uno è la revisione della legge Delrio, come è già stato chiesto, anche perché potrebbe tornare in auge quello che è già stato un progetto dell'UPI, il progetto di Saitta, con una revisione della dimensione delle province che, anche rispetto alle variazioni che sono state fatte nelle regioni, nelle proposte di questi ultimi due anni, possono trovare una concreta attuazione.
  Devo dire che personalmente condividevo molto il progetto Saitta, che vedeva una riduzione notevole del numero delle province all'interno delle regioni grandi e addirittura la soppressione virtuale delle province nelle regioni più piccole, perché non c'è la dimensione dell'area vasta. L'area vasta è già la regione.
  L'altro aspetto da affrontare con il Governo è quello dell'emanazione di questo decreto-legge enti locali di cui si parla, perché il passaggio della legge di bilancio in Senato, per le vicende del Governo che tutti conosciamo, non è avvenuto. Resta, quindi, tutta una serie di problemi che non erano stati risolti alla Camera per la necessità di dover chiudere rapidamente il provvedimento, che riguardano le province, e non solo le province, ma anche questioni relative ai comuni e via elencando.
  Su questi due punti credo che sia urgente un incontro con il Governo anche per capire i tempi, perché le province, poi, i bilanci li dovranno chiudere. Non possono chiudere a settembre di nuovo, a maggior ragione ora che hanno questa prospettiva di lungo periodo e che, quindi, devono provare a fare qualche ragionamento anche di programmazione triennale.
  Pongo una domanda. Intanto ringrazio della relazione, che puntualizza tutta una serie di contenuti, ma mi soffermo sul problema di costi e fabbisogni standard. Su questo ci siamo un po’ più concentrati sui comuni in questo ultimo anno, proprio perché la prospettiva delle province era molto in movimento, con competenze che cambiavano.
  A questo punto, vi chiederei se la metodologia attuale della SOSE, che è stata notevolmente modificata nell'ultima versione, sia una metodologia che, secondo Pag. 8voi, è compatibile e svolge in modo puntuale la descrizione delle situazioni. Soprattutto vi chiederei se le funzioni econometriche individuate per la valutazione di quanto prelevare alle province e quanto restituire alle province, da una parte, sia coerente con la realtà, ossia se fotografa esattamente la realtà, e, dall'altra, se sia compatibile con le funzioni che vengono erogate.

  ANTONIO D'ALÌ. Mi pare di capire che la mia sarebbe una domanda retorica nel chiedere al presidente se il Governo si sia fatto sentire con l'UPI a proposito della novità costituzionale. Sarebbe stato assolutamente doveroso dal punto di vista istituzionale che il Governo avesse preso atto della novità referendaria e avesse convocato immediatamente i rappresentanti degli enti che sono stati mantenuti a pieno titolo in Costituzione. La domanda, quindi, sarebbe retorica e la risposta è già arrivata dalla relazione.
  Inoltre, volevo sapere se avete già previsto di fare una nota riguardo al tema del federalismo fiscale e a tutte quelle attribuzioni anche fiscali che erano delle province e che sono state via via assegnate ad altri. Mi sembrerebbe il caso che il Parlamento potesse anche decidere in ordine alla riattribuzione alle province di tutta una serie di questioni, come l'imposta RC auto e via elencando.
  Intendo dire che prendere atto dell'esito del referendum significa fare qualcosa. Non significa solamente commentare sui giornali o fare dibattiti in televisione, ma significa anche intervenire consequenzialmente dal punto di vista istituzionale e sostanziale.
  Se questo il Governo non l'ha fatto, come diceva giustamente la senatrice Zanoni, solleciteremo il Governo stesso ad aprire il tavolo per il riassetto, anche perché non mi sembra che ci siano iniziative che possono essere condotte a termine nell'arco di questa legislatura, dal punto di vista costituzionale, per rimuovere un quadro che sicuramente durerà alcuni anni. Ciò mi pare da questo punto di vista assolutamente ineludibile.
  Riguardo alla situazione contingente, che è un po’ ai margini delle nostre competenze, tutto quello che ci ha detto il presidente è più oggetto della legge di bilancio che non di federalismo fiscale. Tuttavia, abbiamo ascoltato volentieri e con interesse e ci faremo parte diligente per trasmettere anche questo tipo di disagi e di oggetti di discussione al Parlamento.
  Riguardo a questo bisognerebbe fare un intervento urgente. Coi colleghi, forse, ci penseremo. D'altronde, abbiamo 20 miliardi di aumento del debito pubblico per Banca Monte dei Paschi. Mi sembra che l'argomento di 110 province che chiedono 750 milioni per sopravvivere non sia un argomento da trascurare e anche dimensionalmente meno rilevante. Ogni questione va inquadrata certamente in relazione alla sua urgenza, ma questa mi sembra assolutamente prioritaria.

  PRESIDENTE. Un'idea potrebbe essere quella di usare le banche per aiutare le province e poi legittimare lo Stato ad aiutare le banche. Quindi, se la provincia di Rieti si rivolge a una banca qualsiasi e si fa dare 1.200.000 euro e poi la banca lo mette a perdita, lo Stato può intervenire. Potrebbe essere un trucco. Se il professor Giarda fosse stato ancora in azione, l'avrebbe sicuramente elaborato.

  ANTONIO D'ALÌ. Completo chiedendo al presidente se, a questo punto, naturalmente, data anche la novità costituzionale, siano stati bloccati tutti i Piani di dismissione di partecipazioni e di immobili che le province avevano messo in atto. Molte province avevano cominciato a eliminare partecipazioni e a mettere in vendita partecipazioni e immobili. Capisco che questo rientra anche nell'autonomia statutaria delle stesse province, ma faceva parte di un quadro di liquidazione che era conseguente alla proposta di riforma costituzionale, oltre che alla legge Delrio.
  Mi chiedo, a questo punto, rimanendo in argomento, se la legge Delrio non sia incostituzionale per via dell'elezione indiretta degli organi provinciali, perché tutti gli enti citati in Costituzione dovrebbero Pag. 9avere un meccanismo di democrazia diretta.

  ROGER DE MENECH. Io dividerei in due il ragionamento. Una parte è di carattere istituzionale e si è aperta dopo il risultato del referendum. Io non so se questo Governo oppure il prossimo Governo saranno in grado di affrontare le caratteristiche istituzionali – poi ci tornerò – senza però buttare via alcune delle cose buone che hanno ispirato la legge Delrio, che poi citerò. La cosa più necessaria invece credo sia mettere in salvaguardia i bilanci, ma dobbiamo metterli in salvaguardia, rispetto alle note che avete prodotto, con un'attenzione particolare.
  L'anno scorso ero stato protagonista di quel famoso fondo da 100 milioni che prima era destinato all'ANAS e poi è andato direttamente alle province. Dobbiamo mettere al centro dell'attenzione il merito della questione, ossia i chilometri di strade, il numero di edifici e il numero di scuole, perché altrimenti corriamo il rischio anche questa volta di costituire fondi indistinti, che non mettono in salvaguardia veramente quello che ci interessa, che non è la parola «provincia», ma è il servizio. Sono molto d'accordo con il presidente, che ha parlato del servizio che le province devono rendere ai cittadini.
  Ricordo che in passato, negli anni 2000 – questo è il motivo di quel fondo che ho cercato di istituire l'anno scorso – abbiamo trasferito dall'ANAS alle province, tramite convenzioni specifiche, il patrimonio stradale e la manutenzione. Alcuni anni dopo abbiamo inserito quel trasferimento, che all'inizio era un trasferimento ad hoc destinato alla manutenzione delle strade, nell'ambito dei trasferimenti ordinari e poi abbiamo tagliato i fondi. Questo vuol dire che oggi lo Stato non adempie a un'obbligazione – chiamiamola così – e che ha trasferito chilometri di strade senza più dare i soldi.
  Perché faccio questo riferimento? Perché, guardando i numeri e cercando di capire qualcosa di buono della filosofia della legge Delrio – dobbiamo sempre cercare qualcosa di buono anche nelle cose che magari non sono riuscite benissimo – ricordo che avremmo dovuto descrivere in maniera puntuale quanti chilometri di strada avesse in gestione una data provincia ed erogare le risorse corrispondenti.
  Anche allora, riguardando quelle tabelle, vedo che c'erano delle cose che non ho ancora capito. Una strada costava 6.000 euro al chilometro e un'altra ne costava 18.000, fra le varie province. Dovremmo approfittare, vista la scarsità di risorse, per fare questa operazione e, quindi, utilizzare quel fondo indistinto da 970 milioni, innanzitutto – giustamente, come è stato detto – per reintegrare e azzerare i tagli, com'è il primo punto che avete previsto. Credo che questo sia indispensabile. Poi dovremmo immettere nel circuito delle province i soldi necessari a mantenere i servizi.
  Ho fatto l'esempio delle strade, che ho seguito di più. Potrei fare esempi molto puntuali che riguardano il Veneto. È la stessa identica situazione per le scuole. Dobbiamo farlo veramente in maniera puntuale. In merito, i dati e il lavoro dell'Unione delle province italiane sono comunque molto, molto importanti.
  Dovremmo anche – adesso non so se ne avremo la capacità – approfittare per riordinare le modalità di esercizio di queste funzioni. Ancora oggi abbiamo un patrimonio stradale abbastanza omogeneo, ma abbiamo una gestione provinciale diretta, una gestione provinciale in società, una gestione regionale diretta, una gestione regionale in società, una gestione dell'ANAS, quasi sempre diretta, magari su strade che sono esattamente uguali.
  Anche su questo abbiamo il coraggio di affrontare e di avere insieme, a questo punto, lo Stato, l'ANAS, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e le province, una visione omogenea, quantomeno della manutenzione ordinaria di queste strade, in modo da non avere gestioni diverse e, quindi, anche perdite di efficienza? Sono tutti temi che dentro la filosofia della legge Delrio c'erano, in maniera molto sfumata, e che noi non siamo riusciti a realizzare. Questo è il dramma.
  Lo stesso potremmo farlo per tanti altri servizi. Questo è – credo – il primissimo lavoro che dobbiamo fare. Questa Commissione Pag. 10 potrebbe contribuire in questo senso a imprimere quantomeno uno stimolo al Governo perché intervenga in maniera incisiva.
  Chiudo questa parte finanziaria, che è la parte fondamentale, in maniera incisiva, non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista temporale. Non abbiamo davanti – mi pare di capire dalle interlocuzioni che ho con tanti presidenti – mesi di lavoro. Abbiamo non dico ore, ma qualche giorno, qualche settimana. Dobbiamo intervenire in maniera molto cogente e veloce per dare un minimo di stabilità a questi enti, ma soprattutto alle funzioni che hanno in gestione.
  Lo stesso ragionamento sul medio e lungo periodo dovremmo affrontarlo rispetto all'esito referendario. È chiaro che la caratteristica elettiva va considerata con attenzione. Ripeto, per alcune province, in particolare per quelle più piccole e più frazionate, avevo già detto che anche un modello innovativo di elezione diretta avrebbe dovuto essere reintrodotto. L'esito referendario spinge su questa questione in maniera inequivocabile. Il modello innovativo ve lo spiego subito. Una delle caratteristiche che potevano rendere più funzionalità alle province fra la vecchia metodica, con tutte elezioni dirette, e la nuova metodica, con tutte elezioni di secondo grado, è creare dei meccanismi di intreccio perché questi due enti possano lavorare in maniera efficiente insieme. Mi riferisco al livello del comune e al livello della provincia.
  Ricordo sempre a tutti che anche in questo campo abbiamo sovrapposizioni di competenze. Oggi abbiamo sindaci che siedono sul tavolo degli ambiti territoriali ottimali – ATO, sul tavolo dei Consorzi, sul tavolo dei bacini imbriferi e via elencando e che andrebbero quantomeno coordinati fra di loro, giustamente.
  Occorre restituire un'autorevolezza maggiore alla provincia con l'elezione diretta, senza dimenticare, però, che l'elezione diretta deve essere intrecciata con il raccordo istituzionale, che ci vuole. Diversamente, corriamo un rischio. Qual è stato il risultato? Da una parte, c'è chi si gestisce da solo le strade provinciali e dall'altra c'è chi si gestisce da solo le strade regionali. L'effetto delle nostre riforme è molto pratico sul territorio: abbiamo 100 chilometri di strade perfettamente identiche che hanno tre forme di gestione diverse. Questo è successo in Italia.
  Dico questo perché, come vedete, il tema è molto, molto complesso. Questo punto, però, va affrontato. Secondo me, avrebbe dovuto essere affrontato anche prima dell'esito referendario. Io l'avevo sommessamente detto.
  Oggi l'esito referendario ha dato una risposta – credo – indiscutibile e, quindi, su questo dobbiamo lavorare, ma con queste due scale di priorità. Mi rivolgo al presidente della nostra Commissione. Adesso dobbiamo mettere in salvaguardia innanzitutto i bilanci e le funzioni fondamentali.
  Chiudo con una particolarità: abbiamo anche la fortuna, in questo Paese, che alcune province abbiano la capacità di intercettare fondi straordinari, che vanno fuori dai bilanci ordinari, tra cui i fondi dal Demanio idrico girati dalla regione. Oggi, con le regole del personale – pongo questo problema – anche fondi straordinari che nulla hanno a che vedere con la finanza dello Stato non possono essere utilizzati perché manca il personale.
  Occorre trovare un meccanismo per cui alcune risorse che sono obiettivamente straordinarie vadano fuori dalle logiche del blocco del personale. Diversamente, corriamo il rischio che alcune province abbiano un po’ di disponibilità, magari anche girate dalle regioni o da fondi straordinari, ma non possano utilizzarle, o meglio le utilizzino con grande fatica, perché non hanno il personale a disposizione. Quando il problema riguarda il comune, la provincia e anche la regione, alla fine la mobilità fra gli enti non produce grandissimi risultati, anzi, c'è una corsa a portarsi via i dipendenti, come mi pare di capire stia avvenendo in queste settimane.
  Ho chiuso. I temi sarebbero molti, ma credo che sul focus delle province, rispetto al comparto complessivo degli enti locali – e questo dovrebbero capirlo anche i comuni sottostanti e le regioni sovrastanti – Pag. 11oggi dobbiamo intervenire con assoluta priorità. Mi pare necessario dire questo.

  GIOVANNI PAGLIA. Ringrazio per l'intervento e anche per l'occasione che abbiamo di affrontare questo tema. Secondo me, potrebbe anche essere opportuno – vediamo se troviamo le modalità – che questa Commissione si attivi per provare a far emergere questo tema anche al di là di questa sede, cioè per provare a portarlo in evidenza anche del Parlamento nella sua interezza.
  L'impressione è che si sottovaluti un po’ la questione dal punto di vista di quello che accade adesso sotto il profilo istituzionale. Continuare a fingere che il 4 dicembre non sia successo nulla e che valga l'attuale assetto istituzionale, pensato precedentemente, dando per scontato l'avallo successivo da parte della riforma costituzionale, quando invece questa non c'è stata, determina il fatto che ci arrivino dei documenti in cui si parla di enti di area vasta.
  Esiste questa provincia, costituzionalmente prevista, che, invece, in questo momento, ha il paradosso di esistere dal punto di vista costituzionale, mentre non si capisce, in realtà, che cosa sia sul piano della concreta articolazione istituzionale. Questo non va bene, anche perché poi, dall'altra parte, ciò ha un riverbero diretto sui finanziamenti e, quindi, sulla funzionalità dei servizi.
  Io ho sempre pensato – e credo di non essermi sbagliato – che esistesse un rapporto diretto fra la volontà del Governo di recuperare risorse per i suoi scopi, definanziando completamente un ente fondamentale come la provincia, e la decisione di escludere l'elezione diretta dei suoi rappresentanti. È chiaro che, mi esprimo con tutto il rispetto, anche perché il nostro ospite è qui oggi, ma le province, da quando sono stati eliminati gli amministratori con elezione diretta, non hanno più avvocati difensori nei rapporti con il Governo. Per quanto gli attuali presidenti possano impegnarsi ed avere a cuore l'ente, non è da lì che passano né la loro carriera politica, né il loro impegno prioritario. Uno può girarci attorno finché vuole, ma sindaci sono – punto – e il loro mandato elettivo è con la città che li ha eletti, non con un altro ente.
  Di conseguenza, accade che, quando poi arrivano i tagli, non ci sia quel vigore nella difesa delle proprie prerogative e, di conseguenza, dei servizi che gli enti svolgono che c'era prima e che c'è quando un ente è rappresentato da chi ha una responsabilità diretta nei confronti dei cittadini rispetto alla sua gestione.
  Pertanto, esclusa l'elezione diretta, la possibilità di riuscire a fare tagli di questo tipo era immediatamente conseguente. Ora che, fortunatamente, i cittadini hanno deciso di difendere la Costituzione, si porrà immediatamente il tema di tornare all'elezione diretta dei rappresentanti. Anche adesso che ho capito la modalità innovativa, che non è sull'elezione ma è sui rapporti fra gli enti, sarei assolutamente d'accordo sulla necessità e l'esigenza di trovare punti di raccordo razionale per evitare sovrapposizioni. Credo che ci possa essere un'universale disponibilità a discutere.
  Certo è, però, che, se non portiamo all'attenzione del Parlamento e non risolviamo rapidamente la questione dei fondi necessari, poi non discutiamo più di niente. Peraltro, credo che noi, che siamo tutte persone che un minimo il territorio lo vivono, abbiamo anche l'intelligenza di renderci conto che proprio quei servizi sottofinanziati – scuole e strade in particolar modo – sono anche una delle cause principali di notevole malcontento dei cittadini rispetto alla politica.
  Quando, alla fine, ci si ritrova con le strade provinciali piene di buche su cui non si può girare, con le scuole dei figli fredde o che in alcuni punti cadono letteralmente a pezzi, se non sulla testa dei ragazzi, si potrebbe anche non avere chiaro di chi sia la responsabilità istituzionale di effettuare la manutenzione di quelle infrastrutture, ma si ha molto chiaro che c'è qualcosa che non funziona nell'organizzazione complessiva dello Stato. Parliamo di servizi che, nella vita ordinaria di un cittadino italiano, sono molto più fondamentali, paradossalmente, di quelli attribuiti a enti che noi riteniamo molto più importanti. Pag. 12
  Di questo parliamo. Ripeto – lo chiedo anche al presidente – non so se può essere usuale o rituale anche fare un richiamo, una lettera, una mozione della Commissione, un atto che ponga all'attenzione del Parlamento questo tema.

  PRESIDENTE. Lo dico perché più volte è stato richiamato: abbiamo già in calendario l'audizione del Governo sul tema, credo già la settimana prossima. Alla luce di quello che ci dirà il sottosegretario Bressa valuteremo il da farsi.

  FEDERICO FORNARO. Intanto vorrei ricordare ai colleghi che la riunione di oggi non è stata calendarizzata per caso. Nell'ultimo Ufficio di presidenza ne ho sollecitato l'urgenza e, infatti, in maniera un po’ irrituale, abbiamo calendarizzato due audizioni nella stessa settimana, proprio per accelerare.
  Concordo con gli interventi che mi hanno preceduto, con un'unica osservazione che mi sento di fare. La faccio a voce alta: non si può pensare semplicemente di riportare le lancette dell'orologio indietro. Da questo punto di vista comunque la legge Delrio c'è stata. Penso che soprattutto nella parte di riorganizzazione non si torna indietro, riportando il personale e le deleghe.
  Dobbiamo fare una fotografia, a mio giudizio, severa del funzionamento della legge Delrio sia sul piano istituzionale, sia sul piano gestionale. Anche in questa occasione si è posto l'accento sul tema dell'elettività, che credo sia da affrontare.
  Dal mio punto di vista, pensando alla dimensione gestionale quotidiana dell'ente, l'assenza di organi politici esecutivi è, per alcuni versi, maggiore. Oggi non abbiamo più strutture di Giunta. Abbiamo consiglieri delegati che, a loro volta, fanno già il sindaco da un'altra parte. Per essere chiari – lo dico qui – c'è un tema di governo quotidiano dell'ente che, per alcuni versi, è anche superiore al tema dell'elettività.
  Con riguardo alla modalità di elezione, quella che c'è adesso non funziona, ma, per esempio – faccio una battuta qui; ho fatto anche qualche ragionamento – nulla vieta di ritornare al tema dei collegi di secondo grado. Nulla vieta, cioè, che i rappresentanti di ogni territorio eleggano il loro rappresentante, intendendo i consiglieri comunali di quella zona e di quel territorio. È un problema superabile anche per i grossi centri con collegi binominali o trinominali, ma da questo punto di vista il problema vero è che oggi non abbiamo più, per esprimersi in termini molto concreti, l'assessore ai lavori pubblici.
  A mio giudizio, questo è un problema. Ciò non vuol dire riportare le Giunte a 6, a 8 o a 11 componenti, ma, se individuiamo due o tre materie fondamentali, quelle due o tre materie fondamentali devono avere il ruolo dirigenziale e, quindi, il ruolo tecnico amministrativo, ma anche il ruolo di controllo politico. Credo che questa sia una questione. Chiudo su questo.
  Sono d'accordo con il presidente: concludiamo questo brevissimo ciclo di audizioni tra domani e la settimana prossima e poi vediamo come affrontare il tema utilizzando questa Commissione come stimolo nei confronti del Governo e del Parlamento nel suo complesso, tenuto conto che, e condivido totalmente, c'è una questione emergenziale legata ai bilanci.
  La questione è legata, come diceva la collega Zanoni, a quello che è successo nel mese di dicembre rispetto all'approvazione della legge di bilancio. Credo che da questo punto di vista ci sia consapevolezza. Purtroppo, sui giornali, come spesso è capitato nei confronti delle province, si è teso quasi a mettere la questione come una sorta di vendetta per il risultato referendario, ma questo problema c'era anche prima del referendum, perché, in ogni caso, il tema dell'area vasta e di quello che sarebbe rimasto delle province c'era anche per il 2017.
  Poi c'è un tema di medio periodo: come le riordiniamo. Ritorno sulla proposta e sulla riflessione che faceva la collega Zanoni, anche come un invito al presidente dell'UPI a riprendere in mano il progetto Saitta, inteso come il progetto dell'UPI quando era presidente Saitta. Questa potrebbe essere un'occasione, per esempio, per ridare una dimensione di medio periodo e richiamare le regioni a un determinato Pag. 13 ruolo programmatorio. Credo che questo potrebbe essere uno stimolo anche propositivo.
  Vedo solo un rischio in questa fase. Ovvero che le buone ragioni che le province in questi due o tre anni hanno portato e con cui faticosamente sono riuscite, in alcuni casi, a convincere il Governo, adesso vanno avanzate anche in una logica di progetto, non più soltanto in difesa dell'esistente. Questo era sacrosanto prima del referendum, perché significava, come dicevano anche il collega De Menech e altri che mi hanno preceduto, la vita quotidiana delle persone, oltre che dei lavoratori. Ripeto, però, che, se in questa fase diamo l'impressione complessivamente – in questa sede, l'abbiamo detto più volte, abbiamo difeso le buone ragioni delle province – di lavorare solo a rimettere indietro l'orologio del tempo, credo che andiamo incontro a una stagione altrettanto complicata e difficile, soprattutto nel rapporto con l'opinione pubblica, e alcuni segnali sono di questi giorni.
  Oggi, secondo me, c'è lo spazio per una capacità anche propositiva dell'UPI in questa direzione, pur facendo qualche forzatura. Io provengo da una regione, il Piemonte, che aveva otto province, mentre il Progetto Saitta ne prevedeva quattro. Ho parlato di casa mia. Asti e Alessandria dovevano ritornare a essere quelle che erano prima degli anni Trenta e una delle due province non era particolarmente contenta. Dopodiché, la ritrovo oggi tra quelle che sono in pre-dissesto.
  Oggi probabilmente quel discorso – è un discorso razionale ritornare a un Piemonte a quattro invece che a otto – forse può trovare maggiori possibilità di sviluppo e di accoglimento rispetto a una posizione con enti più strutturati. Forse uno sforzo anche in questi termini da parte dell'UPI potrebbe aiutare il dibattito e dare una prospettiva agli enti alla luce del risultato referendario, che va assolutamente rispettato e al quale va data attuazione. Le province sono organo costituzionale, con tutte le conseguenze del caso.

  PRESIDENTE. Do la risposta all'audito per la replica.

  GIUSEPPE RINALDI, componente del Consiglio direttivo dell'Unione delle province d'Italia (UPI). Rispondo brevissimamente. Mi rendo conto, peraltro, che abbiamo presentato un documento, siamo venuti a fare un'audizione sul federalismo ma è chiaro che abbiamo messo sul piatto tutte le problematiche, perché le cose si intrecciano. Lo vedo anche dai vostri interventi.
  Quando si parla delle funzioni fondamentali, è chiaro – lo dicevate in vari interventi – che oggi abbiamo anche l'ulteriore problema per cui una serie di leggi ordinarie ha escluso la compartecipazione, per esempio, delle province ad alcuni tributi. Faccio l'esempio dei rifiuti, perché lo vedevamo proprio poche settimane fa con la mia regione.
  In quel caso le province prendevano una compartecipazione del 10 per cento sul tributo per il conferimento in discarica dei rifiuti, comunque si chiami adesso – perdonatemi – mentre oggi non la prendiamo più, perché è stata eliminata da una legge dello Stato. Noi prendevamo il 10 per cento e questo 10 per cento non c'è più.
  Questo deriva, però, da una legge dello Stato, non da una legge della regione Lazio. Attenzione: è la legge dello Stato n. 221 del 2015 che ha previsto che le province non compartecipino più al gettito di questo tributo.
  Facciamo questo esempio solo per dire che c'è quella necessità, che esponeva anche prima il senatore D'Alì, di rimettere in fila una serie di norme; lo diciamo perché ne siamo convinti e, anche qui, l'approccio propositivo dell'UPI può essere utile. Voi prima l'avete notato dicendo che nel nostro documento è stato scritto «area vasta» mentre le province esistono ancora. Noi siamo talmente rispettosi che rischiamo anche troppo. Non abbiamo brindato dopo il 4, né abbiamo voluto fare in questi due anni le guerre, ma abbiamo cercato di portare la questione in un'ottica di rispetto istituzionale e del legislatore. Oggi, però, ci troviamo con una necessità incombente, che è questa, e sottolineiamo – questo sì può avere un senso in un'ottica di federalismo fiscale; lo diciamo in conclusione del nostro documento – che non possono esistere Pag. 14 funzioni che siano esercitate in maniera adeguata se non vi è una compartecipazione anche ai tributi e alle tasse da parte nostra. È questo che chiediamo anche in un'ottica di permanenza in Costituzione.
  Siamo perfettamente d'accordo con il fatto che il Governo su questo si debba esprimere. Abbiamo più volte sottolineato, anche durante il periodo di Natale fino al quale si è lavorato, la necessità di un decreto che permettesse alle province di andare avanti in questa situazione. Siamo perfettamente in linea con ciò che diceva anche la senatrice Zanoni rispetto all'invito al Governo a fare qualche cosa, perché temiamo che quel fondo, previsto, come dicevo prima, nella legge di bilancio, che mette insieme anche regioni e comuni non ci permetterà di mettere a posto tutte queste situazioni.
  Volevo sottolineare un'altra cosa per dire come abbiamo cercato di svolgere questo ruolo in una fase tanto delicata. Siamo perfettamente d'accordo con quello che diceva lei prima rispetto alle strade e ai criteri. Non abbiamo fatto una divisione di quel fondo in maniera indistinta. L'abbiamo diviso in base al numero degli abitanti, ai chilometri di strade e alla superficie montana di quei territori, perché sappiamo bene, peraltro, che una manutenzione ordinaria di una strada a 1.000 metri col ghiaccio e la neve è cosa diversa dalla manutenzione di una strada che sta sul mare o in pianura, in una zona magari più calda. Questo l'abbiamo fatto e ci ha permesso anche di mettere a posto alcune situazioni. Per esempio, per quello che mi riguardava, ho pochi abitanti ma ho moltissimi chilometri di strade, anche montani. Quindi, alla fine le cose si sono bilanciate.
  Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che la gestione anche di questi fondi, come i soldi dell'ANAS e altri, vada fatta, sia per le strade che per le scuole, in base alla situazione di ogni provincia.
  Sul discorso dei costi standard siamo rimasti scottati all'inizio di questa vicenda, perché ci siamo trovati a dare molto di più e non tornavano i conti. Oggi la situazione si sta rimettendo in linea.
  Gli esempi che vi ho fatto non erano esempi fatti solo per suscitare il sorriso. Purtroppo, di molte cose non si è tenuto conto. Quando parlo di caserme dei Carabinieri o di ragazzi disabili, sono cose diverse, ma anche questi sono costi di cui nessuno si è reso conto che fossero in capo alle province negli anni. Invece, su questo aspetto, probabilmente, c'è bisogno di un po’ più di attenzione. Noi chiediamo solo questo. Noi cerchiamo di fare la nostra parte, consapevoli anche che siamo molto interessati e che siamo parte diligente su questo.
  Ci faremo ulteriormente parte diligente anche su questo dibattito sulla forma di governo. Tra l'altro, io non sono neanche sindaco, per esempio, perché la legge Delrio prevedeva, solo per la prima applicazione, che anche i consiglieri provinciali uscenti potessero fare i presidenti. Io oggi non sono sindaco. Faccio il presidente perché ero consigliere provinciale all'epoca dell'entrata in vigore di quella norma. C'è un quadro abbastanza complesso.
  Io vivo ancora di più la questione, sia perché, ovviamente, lo facciamo proprio come volontari della Croce Rossa o della Protezione Civile, sia perché, non avendo più i consiglieri delegati, abbiamo un altro problema enorme. Non ci sono permessi. Svolgere le attività ed esercitare la democrazia così non è oggettivamente possibile.
  Qualche cosa bisognerà ripensarla – mi permetto di dirlo, senza alcuna vergogna; so che non sarà di moda – anche dal punto di vista delle indennità di carica di chi svolge questa attività. Io ho fatto l'assessore alla cultura e al turismo della mia provincia e percepivo un'onesta indennità di carica di 2.500 euro. Oggi faccio il presidente gratis et amore Dei.
  È una situazione assurda. Prima facevo l'assessore alla cultura e al turismo ed eccetto per la responsabilità collegiale di Giunta non avevo particolari responsabilità. Oggi firmo tutto, mi arrivano le denunce dei comitati dei genitori sulle scuole, dell'Ispettorato del lavoro o dei Carabinieri quando c'è una buca sulla strada e qualcuno si fa male, il che è anche un problema Pag. 15penale, e lo devo fare gratis. Mi sembra veramente assurdo.
  Fra l'altro, sono state eliminate anche alcune previsioni che possono sembrare banali, ma che riguardano anche gli aspetti previdenziali. Io sono un libero professionista. Prima l'ente mi contribuiva nella parte ordinaria. Oggi tutto questo non c'è più. Penso che anche su questo – non mi vergogno di dirlo – le cose vadano messe a posto.
  Grazie per l'opportunità. Ovviamente, faremo tesoro delle vostre osservazioni rispetto alle indicazioni da darvi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Rinaldi, anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.10.

Pag. 16

ALLEGATO

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23