XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 10 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Coppola Paolo , Presidente ... 3 

Audizione del responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC, Giancarlo Senatore:
Coppola Paolo , Presidente ... 3 ,
Mariani Giovanni , responsabile ... 3 ,
Senatore Giancarlo , Responsabile ... 5 ,
Mariani Giovanni , responsabile ... 9 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 9 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 9 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 9 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 10 ,
Senatore Giancarlo , responsabile ... 10 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 10 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 10 ,
Mariani Giovanni , responsabile ... 10 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 12 ,
Mariani Giovanni , responsabile ... 12 ,
Senatore Giancarlo , responsabile ... 12 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 13 ,
Senatore Giancarlo , responsabile ... 13 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 13 ,
Senatore Giancarlo , responsabile ... 13 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 13 

(La seduta, sospesa alle 11.30, è ripresa alle 11.35) ... 14 

Audizione del Public Sector Industry Leader di Deloitteconsulting, Guido Borsani:
Coppola Paolo , Presidente ... 14 ,
Borsani Guido  ... 14 ,
Di Cicco Gianluca , partner di ... 15 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 23 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 23 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 23 ,
Di Cicco Gianluca , partner di ... 23 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 24 ,
Di Cicco Gianluca , partner di ... 24 ,
Borsani Guido  ... 24 ,
Di Cicco Gianluca , partner di ... 25 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 25 ,
Di Cicco Gianluca , partner di ... 25 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 25 

Comunicazioni del Presidente:
Coppola Paolo , Presidente ... 26

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO COPPOLA

  La seduta comincia alle 10.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC, Giancarlo Senatore.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA di PricewaterhouseCoopers, Giancarlo Senatore, accompagnato da Giovanni Mariani, responsabile Public Sector per l'Italia, che ringrazio per la presenza.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Si tratta di un'audizione di natura prettamente conoscitiva, per la quale chiedo di fornire un quadro esplicativo quanto più ampio possibile dei compiti e della struttura della PricewaterhouseCoopers.
  Cedo, dunque, la parola al dottor Senatore per lo svolgimento della relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  GIOVANNI MARIANI, responsabile Public Sector per l'Italia. Utilizzeremmo mezz'ora per presentare queste slide, poi magari il resto dell'attività per fare delle domande. Presento io la prima parte.
  Ho la responsabilità del settore pubblico in Italia della PricewaterhouseCoopers. Abbiamo organizzato il nostro intervento in quattro ambiti: una breve presentazione di PricewaterhouseCoopers, solo per capire con chi state parlando, ma sarà abbastanza sintetica. Se avrete delle domande, saremo disponibili per ogni chiarimento. In una seconda parte parleremo un po’ della spesa ICT, della situazione italiana, anche in un confronto con altri Paesi, europei e non. Daremo alcune indicazioni sulle aree possibili di intervento. Seguiranno delle conclusioni. Queste slide cercano di essere più pragmatiche possibile, perché è un tema molto ampio, molto vasto, in cui si lavora da molti anni. Abbiamo cercato di non disperderci in mille osservazioni.
  PricewaterhouseCoopers è il più grande network di servizi professionali al mondo. In Europa ci sono 65 mila professionisti. Noi facciamo, sostanzialmente, tre mestieri: l'attività di consulenza legale e tributaria; l'attività di revisione di bilanci; l'attività di consulenza. Noi due, sia il collega Senatore sia io, facciamo parte dell'attività di consulenza. In Italia, siamo 4.100 professionisti su 23 città, quelle indicate.
  Nella consulenza, un po’ l'ambito che si occupa maggiormente del settore pubblico, siamo organizzati per settore industriale. I nostri 1.200 consulenti italiani hanno una specializzazione industriale. Uno dei settori Pag. 4industriali su cui siamo organizzati è il settore pubblico e sanità. Avere risorse e colleghi che si occupano in maniera continuativa del settore pubblico ci consente di avere una certa specializzazione. Lo dico perché non tutti lavorano in questo modo. C'è chi preferisce organizzarsi in altri modi, favorendo altre specializzazioni. Noi abbiamo circa 200 persone in Italia che si occupano a tempo pieno del settore pubblico.
  Nel settore pubblico svolgiamo varie tipologie di attività. Ci occupiamo molto di attività che vengono intese sotto il termine della digitalizzazione, termine molto ampio, molto vasto. In realtà, ci occupiamo molto di progetti di digitalizzazione. Il nostro obiettivo è quello di fare grandi progetti di trasformazione. Riteniamo che la leva digitale, in questi ultimi anni in particolare, consenta di cambiare profondamente il modo di lavorare.
  Nel settore privato questo è abbastanza evidente. Ci sono dei settori che sono stati cancellati, distrutti, trasformati, sicuramente rivoluzionati completamente. Basta vedere che le agenzie di viaggi non esistono più. Ieri c'erano articoli sui dieci anni dell’iPhone che raccontavano come sia cambiata la nostra vita. Questo può accadere o potrebbe accadere, accade anche nelle istituzioni pubbliche. La prima osservazione che vorremmo fare, dal nostro punto di vista, è che il digitale è una leva per fare altro, un mezzo, uno strumento per altri obiettivi. Non è l'obiettivo finale.
  Quello che cerchiamo di fare coi nostri clienti, pubblici e privati, è aiutarli a governare quest'arma, questa grande leva, che consente di migliorare i prodotti, nel caso dei privati, o di migliorare i servizi, nel caso di istituzioni pubbliche. Non ci occupiamo, quindi, tanto di avere la microspecializzazione sul software, ma crediamo che la cosa importante sia conoscere l'innovazione e piegarla agli obiettivi dell'istituzione.
  Passiamo alla parte sulla spesa. Sono veramente alcune osservazioni. Qui c'è una slide dei numeri dell'OCSE sulla spesa in IT. I numeri sono del 2013, non sono recentissimi, ce ne sono altri. In ogni caso, tutte le statistiche, almeno quelle che conosciamo, dicono che spendiamo pochissimo in ICT. Questa è calcolata rispetto alla percentuale della spesa pubblica. In realtà, spendiamo pochissimo anche nel settore privato rispetto ai Paesi con cui ci piace confrontarci: Inghilterra, Germania, Francia e Stati Uniti. Spendiamo sempre meno della metà, qualsiasi indicatore si prenda. Nel lungo periodo, questo è sicuramente un fattore che incide molto sull'organizzazione e sull'efficienza delle istituzioni.
  Qui vediamo come si spende. Questo è il rapporto tra quanto viene speso nel mantenimento di quello che si ha già. Le soluzioni informatiche vanno viste un po’ come un patrimonio, nel senso che c'è un patrimonio informativo esistente, una serie di applicazioni che esistono, che vanno gestite, e poi c'è la spesa per fare cose nuove: noi spendiamo molto nel mantenimento di quello che abbiamo già, circa il 70 per cento, mentre il 30 per cento viene speso per fare cose nuove.
  Chiaramente, il 30 per cento, avendo una base già piccola, come vedevamo prima, vuol dire che in innovazione, in fare cose nuove, spendiamo molto poco. In questa fase storica, con tutti i cambiamenti in corso nel digitale, questa è una difficoltà molto seria, perché vuol dire che stiamo investendo molto poco nell'innovazione vera, nel cambiare il modo di lavorare.
  Un altro elemento che vorremmo portare alla vostra attenzione è che tipo di soluzioni si costruiscono. Questa è una nostra indagine, svolta sulla pubblica amministrazione centrale. Ci sono circa 180 enti, di varia tipologia, che abbiamo analizzato e clusterizzato per tipologia, esigenze, volumi di spesa e così via, guardando quelli che noi chiamiamo processi di back office, cioè la contabilità, il controllo di gestione, il personale, gli acquisti. Perché abbiamo guardato questi? Perché sono quelli che hanno più similarità. La contabilità del Ministero degli esteri è la stessa del Ministero dell'istruzione. La legge che regola la contabilità è esattamente la stessa. Così vale per il personale. Parliamo, quindi, di esigenze che dovrebbero essere molto simili, per non dire uguali. In realtà, emerge che questi 170 enti hanno 170 soluzioni Pag. 5diverse per la contabilità, per il controllo di gestione. C'è uno scarsissimo ricorso a soluzioni standard, che chiaramente invece creano sinergia, efficienza.
  Questi sono dei numeri che riguardano le nuove progettualità. I numeri cercano di mappare i progetti che hanno una spesa superiore ai 10 milioni di euro, che è un taglio indicativo di un grande progetto. Da questi numeri emerge che da noi si fanno pochi grandi progetti, non se ne fanno molti, e che comunque la durata è molto lunga. Credo che nessuno si sorprenda di questo. Purtroppo, i numeri in questo caso confermano una sensazione che abbiamo.
  Questo è un ultimo elemento sull'analisi della situazione attuale. Abbiamo cercato di capire, in termini di governance, cioè di organizzazione delle strutture pubbliche, come è trattata la leva ICT. Siamo andati a vedere negli organigrammi, che sono una cosa molto importante, dov'è la direzione ICT, cioè se è un primo livello di riporto del vertice istituzionale, come accade poche volte, o se è un livello più basso dell'organizzazione. Da quest'analisi emerge che la leva ICT non è mai trattata come strategica, pochissime volte è al primo livello di riporto e in molti casi non è neanche riconosciuto il livello di direzione generale.
  Un altro elemento emerso da quest'analisi è che, siccome, come dicevo all'inizio, l'ICT è una leva per cambiare il modo di lavorare, per poterlo cambiare veramente c'è bisogno di muovere anche le leve organizzative del personale. Se, ad esempio, INPS sposta un milione di transazioni, che oggi fa negli uffici periferici, sull’on line, questo significa che dovrà riorganizzare gli uffici periferici, che avranno meno lavoro. Dovrà prendere, quindi, le persone, spostarle, far fare loro un altro lavoro, addestrarle, e dovrà rafforzare chi si occupa del back office dei servizi on line.
  In questo senso, i veri progetti di trasformazione digitale hanno bisogno della leva organizzativa, perché cambiano profondamente il modo di lavorare. Tanto più sono efficaci, tanto più è importante la leva organizzativa. Mai abbiamo trovato delle organizzazioni in cui l'ICT ha anche la leva organizzativa. Bisogna dire che nelle nostre istituzioni l'organizzazione è molto maltrattata. Nelle istituzioni pubbliche non esiste quasi mai una direzione organizzativa che abbia molta enfasi e rilevanza, e quasi mai c'è un collegamento forte con la direzione ICT.
  A questo punto, lascio la parola al collega Senatore, poi magari riprendiamo con la fase delle domande.

  GIANCARLO SENATORE, Responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC. Il mio ruolo, come già ci siamo detti all'inizio, è di responsabilità a livello europeo del settore pubblico. Faccio questa precisazione per rinforzare un concetto che il collega Mariani ha svolto abbastanza velocemente.
  Molte delle trasformazioni di cui parliamo oggi, del nostro sistema istituzionale, sul piano della trasformazione in generale, sono governate o, quantomeno, orientate dalle decisioni ormai prese a Bruxelles, non solo in termini di direttive politiche, ma anche di direttive di applicazione operativa, indicazioni operative rispetto agli ambiti di intervento. A noi non è sfuggito, sul piano del business, questo legame, tanto che governiamo in maniera congiunta sia le attività che svolgiamo a Bruxelles, naturalmente dall'Italia, sia quelle che riguardano solo il mercato nazionale. Molti dei progetti che realizziamo in Italia, soprattutto i grandi progetti, sono profondamente allineati con quello che sta succedendo, con quello che succede in alcuni altri Paesi. Utilizziamo, ad esempio, le fonti di finanziamento di Horizon 2020, uno dei programmi più grandi di finanziamento sull'innovazione, aggregando anche amministrazioni italiane nell'utilizzo di questi fondi, per poter meglio sviluppare la trasformazione.
  Faccio questa precisazione perché alcune delle informazioni che stiamo per presentare hanno un chiaro riferimento a quello che succede nel resto d'Europa. Sono un profondo, un convinto europeista, ho nel mio background il fatto di essere stato un funzionario della pubblica amministrazione italiana e, poi, un dirigente in Commissione Europea: questo aiuta molto a comprendere anche le logiche con le quali Pag. 6la nostra amministrazione fa tanta fatica per cercare di stare al passo.
  Detto questo, abbiamo chiamato queste due ultime parti «aree possibili di intervento». Non volevamo, anche se è un'abitudine dei consulenti, trovare una soluzione a tutti i problemi, ma cerchiamo di orientare in chiave estremamente sintetica quali potrebbero essere i 3-4 interventi fondamentali per cercare di spingere oltre lo stato dell'arte, comunque già di grande evoluzione rispetto a quindici anni fa. Penso alle conversazioni che all'inizio della mia carriera pubblica avevo con gli interlocutori dell'amministrazione, oggi siamo enormemente avanti. Questo va detto e va rafforzato come concetto di base.
  Guardiamo questa slide, che dovrebbe essere già di vostra conoscenza. L'abbiamo riproposta solo per avere chiaro il quadro rispetto a quanto appena detto. È vero che da parte dell'Italia c'è stato un grande sforzo e ci sono stati anche notevoli investimenti in questa direzione, ma il resto dell'Europa ha investito di più. Nella velocità relativa che si crea in questo sistema competitivo tra Paesi, è chiaro che arranchiamo in alcune delle aree.
  Una delle aree positive è, probabilmente, quella che viene lì identificata come digital public services. Questi dati vengono raccolti, come penso sappiate, annualmente dalla Commissione Europea sulla base di un campione di servizi identificato come i venti servizi fondamentali rispetto alla comparabilità tra Stati.
  In questo senso, da parte dell'amministrazione italiana c'è stato un grande investimento nella disponibilità di questi servizi e siamo un po’ sopra la media. Lo vediamo meglio nella successiva slide. D'altra parte, è più critico per noi il cosiddetto take-up, l'utilizzo di questi servizi. Chiaramente, in una seria analisi, un po’ più approfondita, dobbiamo puntare l'indice su due aspetti, uno dei quali è forse la scarsa presenza di competenze digitali da parte degli user, da parte dei cittadini in generale. È facile puntare il dito su quest'aspetto, ma i dati confortano questa tesi.
  Naturalmente, c'è anche un problema di disegno delle soluzioni e dei servizi cosiddetti di e-government o di servizi disponibili in maniera digitale da parte delle amministrazioni. Spesso, il disegno è un'informatizzazione della procedura esistente piuttosto che una revisione completa della modalità con cui questo servizio viene erogato. Il modello di business non viene alterato dall'opportunità che la tecnologia può offrire. Questo è, probabilmente, un po’ più «a carico» delle amministrazioni, di chi eroga il servizio.
  Un elemento rilevante, l'ho già citato e lo riprendo, anche se non ci piace particolarmente – è la soluzione a cui tutti fanno riferimento normalmente, è l'area su cui facilmente si finisce per cadere – è l'investimento in formazione dei componenti della pubblica amministrazione sull'ambito tecnologico. È facile dire che c'è da fare di più in ambito di addestramento e formazione. È, però, vero che, come dicono quei tre indicatori che abbiamo messo in evidenza, solo il 45 per cento delle pubbliche amministrazioni prevede una specifica formazione ICT; solo il 20 per cento delle pubbliche amministrazioni ha organizzato un corso di aggiornamento ai propri dipendenti; solo il 7,5 per cento del totale dei pubblici dipendenti partecipa a questo tipo di iniziative. Il problema non è solamente, come sapete bene, a cura e a carico delle direzioni ICT o IT che dir si voglia. Qui il problema è il mutamento culturale di tutta la pubblica amministrazione, che dovrebbe accogliere, alla stregua di carta penna e calamaio di un tempo, la leva ICT come un modo di operare giornaliero.
  Un tema per noi particolarmente rilevante è il cosiddetto superamento del fenomeno del lock-in. Come dicevamo all'inizio, non è il primo anno che si investe in ICT. E il consolidamento e la stratificazione di soluzioni ICT a livello di pubblica amministrazione ha creato, evidentemente, un vincolo per le amministrazioni che volessero uscire da questa dipendenza a doppio filo da una certa soluzione, da un certo provider o dall'insieme di alcune scelte fatte in chiave tecnologica. È un problema a livello europeo molto, molto sentito. Non è solo un problema italiano. È molto sentito a livello europeo. I Paesi che hanno cominciato Pag. 7 a dare risposte a questo problema si sono mossi nell'ottica degli standard, della creazione di standard, di interoperabilità tra le componenti di sistema, che permette alle amministrazioni di scegliere tra provider diversi rispetto alle specifiche soluzioni.
  È un dato di fatto, un dato con cui – ripeto – non solo l'Italia, ma anche il resto d'Europa, sta facendo i conti. Alcune cose nel nostro sistema, soprattutto di procurement dell'ICT, sono cominciate a essere presenti, ad apparire. C'è molto da fare in questo senso. Lì abbiamo alcuni dati che possono darci un po’ l'idea. Abbiamo svolto un'indagine, questa volta per conto della Commissione, quindi con cliente Commissione Europea DG Connect: il 42 per cento delle amministrazioni ha avuto esperienze del fenomeno del lock-in, cioè l'impossibilità di scegliere soluzioni alternative, diverse da quelle alle quali erano già legate; il 35 per cento non fa mai riferimento agli standard ICT ancora presenti; il 15 per cento raramente fa riferimento agli standard ICT; il 41 per cento spesso fa riferimento agli standard, perché ha avuto esperienza del fenomeno del lock-in, di cui vuole quindi liberarsi.
  In questo senso, i grandi Paesi, in particolar modo Germania e Inghilterra, hanno segnato una strada che la Commissione ha adottato e che potrebbe diventare una strada anche per noi, non necessariamente importata così com'è, perché non sono per il mero trasferimento di esperienza. Adattata alla nostra realtà, potrebbe sicuramente essere un'ottima indicazione.
  Ultimo dato interessante è il 26 per cento dei bandi di gara che ricevono una sola offerta. Lo utilizziamo come indicatore indiretto della presenza di lock-in. Se c'è una sola offerta, vuol dire che il mercato non è aperto alla competizione. Sapete bene che, nell'ambito pubblico, un progetto in un'offerta tecnica è un investimento notevole, e i competitor preferiscono non partecipare a questa gara sapendo che evidentemente c'è un lock-in forte.
  Agli standard ho già fatto riferimento. Gli standard sono una strada possibile per la riduzione del lock-in, per i risparmi che vengono aprendo alla competizione e per l'interoperabilità tra le diverse amministrazioni. L'abbiamo già citato prima. Pensate, soprattutto a livello di amministrazione locale, quale potrebbe essere il beneficio. È vero che abbiamo 8.100 comuni, ma è anche vero che spessissimo ci troviamo di fronte a situazioni paradossali, in cui comuni piccoli e medi, che potrebbero avvalersi di queste comunanze di intenti e di risoluzioni, in realtà scelgono strade totalmente diverse e indipendenti.
  Il modello SOA è una possibile soluzione di tipo tecnologico. Fondamentalmente, la soluzione si basa sulla progettazione di servizi che rispecchiano attività e processi reali e pongono esigenze specifiche alle infrastrutture, cioè raccomandano sempre l'utilizzo di standard uniformi per tutto l'ambito di riferimento. Potrebbe essere tutta la pubblica istruzione, magari centrale e locale, a seconda delle dimensioni di riferimento.
  L'approccio di clusterizzazione che avete visto descritto nelle prime slide risponde un po’ a questo tipo di approccio. È vero che l'amministrazione pubblica non è uguale, i vari ambiti non sono così simili da poter semplicemente trasportare un modello e diffondere lo stesso per tutti, ma i livelli di somiglianza sono elevatissimi. La clusterizzazione permette di avere approcci analoghi a seconda dell'ambito di riferimento.
  Andrei alle conclusioni, se siete d'accordo. Mi sembra di essere abbastanza nei tempi che ci siamo dati.
  Fondamentalmente, ci siamo concentrati su quattro ambiti. Il primo è evidente, ormai palese agli occhi di tutti. Ci troviamo ancora oggi spessissimo con pubbliche amministrazioni, in particolar modo con direzioni dell’information technology, nate addirittura per governare il processo di sviluppo applicativo. Ci sono informatici, naturalmente dell'epoca in cui ancora i concorsi erano una pratica comune – oggi è molto raro assistere a concorsi pubblici in quest'ambito – per assumere specialisti ICT.
  In ogni caso, la macchina pubblica non è totalmente attrezzata a quello che dovrebbe essere oggi, invece, il modello del loro ruolo in quest'ambito, che è quello di governance di progetti, la capacità di gestire Pag. 8progetti con una fortissima conoscenza di project management, con la grandissima capacità di valutare la tenuta di un piano di fattibilità e, possibilmente, i costi collegati, vero buco nero, dove molto spesso l'amministrazione si affida al provider nella valutazione della correttezza dell'investimento. Questo è, probabilmente, il tema fondamentale in termini di ritorno degli investimenti, non di realizzazione. Le cose vengono fatte, ma a un costo che qualche volta non è possibile neanche certificare in termini di positività o negatività, perché non c'è un metro di paragone iniziale, non c'è stata una valutazione affidabile all'inizio. È affidato, ripeto, direttamente al provider. Questo è il punto di crisi.
  Il primo punto, quindi, riguarda l'aumento della capacità di governance delle pubbliche amministrazioni. Nel secondo blocco vedete un esempio di quelli che per noi sono i clienti più interessanti in un'ottica di mercato, ma che rivolti in un'ottica di istituzione dovrebbero essere il traino della trasformazione della pubblica amministrazione: citiamo INPS, Sogei, Ministero dell'interno, Ministero della difesa – non è esaustivo, potrebbe essere esemplificativo – fondamentalmente guidati dal portafoglio disponibile, cioè la spesa di questi signori, che in realtà condizionano il mercato della trasformazione. Il secondo punto, quindi, è l'identificazione dei champion dell'amministrazione, chiave del processo di trasformazione.
  Si potrebbe poi, in una seconda fase di questo stesso processo, caratterizzare per ambito. Tutti gli investimenti che hanno a che fare con la trasformazione dell'ambito sociale potrebbero essere guidati – citiamo un esempio che non è un modello, ma solo a titolo esemplificativo da INPS, Sogei potrebbe occuparsi di tutta la macchina economico-finanziaria, l'Interno e la Difesa rispettivamente della security interna ed esterna, a seconda degli ambiti. Si parla di concentrare e focalizzare, nel momento in cui i budget vanno riducendosi, su una competenza distintiva che possa accelerare il processo di traino. Gli altri dovrebbero seguire. Questo dovrebbe essere il modello.
  Naturalmente, a questo aggiungiamo l'aggiornamento delle competenze tecniche dei responsabili ICT. Qui vorrei evitare di cadere nel luogo comune del cambiamento culturale. Ne abbiamo sentito così tanto parlare – noi almeno, immagino anche voi – che vorremmo evitare di dire che c'è bisogno di cambiare culturalmente la testa. No, c'è bisogno di avere persone con una motivazione a spingere sulla trasformazione. Oggi, un direttore generale può fare solo leva sulla sua motivazione individuale. Non c'è nessun incentivo a porsi il problema di trasformare con un grande progetto di investimento, con un grandissimo livello di rischio, con un'esposizione mediatica, anche negativa qualora il progetto non dovesse andare bene. Qual è il motivo per questa persona per farlo? Non c'è nessuna attenzione pagata dal sistema istituzionale a quei 3, 4, 5 – che pure ci sono, attenzione, e sono noti nel mondo pubblico – che si fanno carico veramente di trasformare la macchina.
  Il terzo punto fondamentale, in un'ottica sia privata sia, soprattutto, pubblica, se mi posso permettere di rappresentare qui l'esperienza europea a contatto con altre amministrazioni europee, è l’execution, l'esecuzione e il controllo dell'esecuzione. Siamo estremamente carenti come sistema istituzionale da un punto di vista della nostra capacità di verificare quanto è stato fatto e riuscire ad applicare premi, possibilmente, o sanzioni a coloro che non hanno realizzato quanto inizialmente promesso.
  L'ultimo aspetto è quello dell'introduzione degli standard. Ne abbiamo già parlato, ma questa è la svolta al confine più tecnologico tra le cose che ci siamo detti finora, perché è la strada che stanno imboccando i nostri, se mi permettete l'uso dell'etichetta, principali competitor istituzionali. In una logica in cui il sistema Paese Italia è in competizione con Germania, Inghilterra, Francia e Spagna, loro stanno già adottando quest'approccio. È una strada che verrebbe facile anche a noi, avendo tutte le competenze e tutte le capacità per gestire quest'aspetto.
  Mi fermerei qui.

Pag. 9

  GIOVANNI MARIANI, responsabile Public Sector per l'Italia. Vorrei aggiungere qualcosa sull'ultimo punto.
  Nell'ultimo punto ci sono già degli strumenti, che ha preparato Consip, dei contratti quadro, che potrebbero essere utilizzati nella logica di standardizzazione, sia logica SOA. È un contratto che si chiama SPC, diviso in quattro lotti, molto grande, già esecutivo, che può essere già utilizzato, assolutamente utilizzabile per standardizzare con una logica SOA. Un altro contratto riguarda i processi di back office, contabilità, che pure sta per essere chiuso formalmente, e può essere utilizzato per evitare, ad esempio, che 8 mila comuni abbiano 8 mila soluzioni di contabilità, 8 mila soluzioni di controllo di gestione, 8 mila modi di fare la licenza edilizia, che è una cosa veramente senza senso. È la nostra cultura individualistica, che su altri campi ci fa essere invidiati, ma in questo campo il fatto di andare su scelte comuni dà una grande efficienza e crea grandi sinergie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo Giancarlo Senatore e Giovanni Mariani.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Più che una domanda, vorrei fare una considerazione.
  Le cose che avete detto sono molto interessanti e sono, effettivamente, lo specchio della situazione, cioè una non consapevolezza da parte dei committenti della richiesta di information technology. Spesso, la richiesta nasce dal fornitore più che dal committente, quindi, in un'amministrazione arriva il fornitore e dice di avere un prodotto e che, se piace, può essere messo su. Quando non c'è questo c'è invece il lock-in, cioè il fatto che si perpetua, a vita sostanzialmente, la manutenzione di oggetti ormai abbastanza obsoleti. Il ruolo della nostra Commissione dovrebbe essere proprio quello di provare a vedere dove puntare la leva per scardinare questa situazione, altrimenti ci troviamo di fronte al fatto, che leggevo proprio a inizio anno, che è aumentato l'investimento in ICT, ma sono aumentate anche le file agli sportelli. C'è, oggettivamente, qualcosa che non funziona.
  Il problema vero è – forse bisognerebbe alla fine di tutto il giro di audizioni anche tornare ad audire Consip – se effettivamente Consip rappresenta la soluzione. Mi ha ispirato l'ultima osservazione. Spesso, quel modello, non per colpa di Consip, della gara vinta magari su tre territori diversi da un unico fornitore, con l'Italia magari divisa in tre lotti territoriali, è ancora di più la chiave d'ingresso non per risolvere il problema dell'amministrazione, ma per portare più agevolmente senza gara un fornitore, o peggio ancora un faccendiere, detto proprio brutalmente. Questo è il vero problema, cioè come sostanzialmente utilizzare l’information technology quale strumento, come la penna, il quaderno. L’information technology è sostanzialmente la risposta al mio problema organizzativo. Forse bisognerebbe spingere di più proprio su come spostare il modello organizzativo verso il digitale, e, a quel punto, avviare anche gare uniche nazionali che possano ridurre le stazioni appaltanti, ma praticamente dare delle risposte all'organizzazione. Secondo voi, chi potrebbe guidare questo processo, le regioni?

  PRESIDENTE. Raccogliamo le altre domande, e mi unisco anch'io.
  Tra tutte le cose che ci avete detto, forse la più importante in assoluto è quella relativa alle leve organizzative. Il documento più antico in cui l'ho letto era un documento del CNEL del 1979, che non faceva altro che riprendere il «rapporto Giannini», dov'era chiaramente scritto che non si poteva pretendere una riforma della pubblica amministrazione senza informatizzazione e, d'altra parte, non si poteva pensare di informatizzare la pubblica amministrazione senza riorganizzare la pubblica amministrazione, concetti perfettamente conosciuti quindi dagli anni Settanta.
  Visto che questi sono concetti perfettamente conosciuti da tantissimo tempo, il problema è che c'è qualcosa che non va. Come mai non si riescono ad applicare? Anche in virtù della vostra esperienza di Pag. 10consulenti della pubblica amministrazione, qual è l'idea che avete, quali sono gli ostacoli e come, secondo voi, potrebbero essere superati, tenendo conto che nella recente modifica del codice dell'amministrazione digitale, la modifica dell'articolo 17, fa sì che i responsabili ICT siano un primo riporto, per cui si va nella direzione che avete detto voi?
  Pensate che sia sufficiente o no? Che cos'altro, secondo voi, dovrebbe esser fatto? Come mai, secondo voi, questo concetto, chiaramente conosciuto all'interno della pubblica amministrazione, in più di quarant'anni non riesce a vedere la sua realizzazione?

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Intervengo anch'io, sollecitato dall'intervento della collega, sulla questione dell'offerta. Molto spesso, rischiamo di trovarci solamente di fronte all'amministrazione con una domanda, non orientata alla digitalizzazione da parte della pubblica amministrazione, che va invece sviluppata.
  Visti i dati che ci avete illustrato prima, rispetto ai fornitori, quanto interloquite in termini di produrre un'offerta maggiore e più performante per una digitalizzazione della pubblica amministrazione? Vedendo i dati, mi sembra che nello sviluppo dell'innovazione, quindi non nella parte legata alla spesa corrente, al mantenimento, siamo bassi. Addirittura, il dato della Germania, ultima in classifica, mi colpisce ancora di più: forse partono da un livello altissimo, quindi non hanno bisogno di fare molta ricerca e sviluppo.
  Come svolgete la vostra funzione di essere dei promotori rispetto ai fornitori di prodotti in questa spinta maggiore della digitalizzazione della pubblica amministrazione? È vero che ci deve essere anche un'offerta che possa indurre la pubblica amministrazione ad approcciarsi diversamente al tema della digitalizzazione: questo mi incuriosisce e vorrei capire meglio.
  Manca un altro tema. Ho sentito troppo spesso parlare, per società come le vostre, di un dato non targettizzato: sentir parlare sempre di una percentuale sul numero di dipendenti pubblici vuol dire tutto e vuol dire niente. Come calcolate il 5 per cento dei dipendenti pubblici? Sappiamo che sono divisi per profili, per appartenenza, per amministrazione. È chiaro che anche qui va targettizzata l'offerta. Mi perdonino gli uscieri o altri profili bassi della pubblica amministrazione, ma chiaramente il tasso di digitalizzazione, o comunque di sviluppo di prodotti e servizi per questi soggetti, che possono dare anche una certa importanza, è relativo. Più si sale rispetto ad alcune categorie, o ad esempio per servizi verso l'utenza o via dicendo. Non si riesce a sviluppare un dato effettivo del tasso di digitalizzazione della pubblica amministrazione rispetto anche ai servizi che si svolgono e al personale? È importante capirlo. A me fa piacere che ci siano gli URP, gli sportelli, che sia tutto informatizzato, ma poi non è che è nella testa, negli impiegati di concetto che manca quest'aspetto, questa forma mentis? È fondamentale. Bisogna cercare di andare oltre il dato prettamente quantitativo e numerico della percentuale. Voi mi direte che magari avete già sezionato e sviluppato bene quel 5 per cento, il dato che avete fornito prima.

  GIANCARLO SENATORE, responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC. 7,5 per cento.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Questo 7,5 per cento. La mia è, allora, una preoccupazione inutile. Vorrei capire, però, anche come sviluppate. Chiaramente, stiamo parlando di un dato importante che riguarda le pubbliche amministrazioni, ma anche i pubblici dipendenti. I temi sono appunto i due evidenziati.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIOVANNI MARIANI, responsabile Public Sector per l'Italia. Rispondo io alla prima domanda, che tocca due temi, governance e Consip.
  Bisogna partire da un punto. Per fare una gara pubblica secondo le regole pubbliche ci vogliono due anni. Dal momento in cui c'è un'esigenza, un pc, se mi faccio la Pag. 11gara in casa e sono bravo, ho qualcuno che sa fare la gara, il pc ce l'ho dopo due anni. Due anni sono una vita. In questa logica, con questi vincoli, potrà passare un anno e mezzo. Giustamente, si deve assicurare la trasparenza, parità di competizione e così via, il tempo non è comprimibile oltre certi livelli.
  In questo senso, le grandi gare Consip che hanno aspetti negativi, ma che comunque sono molto generiche e ognuno può riempire dei contenuti che vuole, non sono per me un vero ostacolo, ma una facilitazione. Io trovo il pc, non grigio argento, magari scuro, ma una cosa che è molto vicina a quello che mi serve la trovo.
  Il vero problema è la governance. Io lavoro da quindici anni nel settore pubblico e per altri quindici sono stato consulente nel settore privato. Vedo la difficoltà dei committenti pubblici di indirizzare la domanda. Quello che lei diceva è verissimo: sono spesso indirizzati, tra l'altro spesso da venditori di tecnologie, che vendono la tecnologia, il pc, l’hardware, l'antivirus, che di per sé non aggiungono nulla. Se non c'è un grande progetto che mette insieme tutte le componenti, l’hardware con il software, con il cambiamento organizzativo, con il cambiamento del modello di servizio, non serve a nulla. Il nuovo pc, da solo, non cambia di una virgola, è una spesa in più. C'è enormemente questo problema.
  Io penso che uno dei nodi da sciogliere, cui ha accennato il collega, ma che forse vale la pena di approfondire un attimo, è il ruolo che vuole avere la pubblica amministrazione nell'ICT, che si evolve con una velocità pazzesca. Le tecnologie si evolvono a una velocità pazzesca. Le aziende private fanno una grande fatica a stare dietro l'evoluzione, non ce la fanno, perché i linguaggi di programmazione cambiano, quindi dopo dieci anni una persona dovrebbe essere licenziata perché non è più up to date sulle conoscenze. Molte aziende private danno in outsourcing quest'attività e tengono in casa quella che si chiama la governance, cioè quelli che conoscono l'attività – il business nel caso pubblico, l'attività istituzionale nel caso vostro – sanno quello che va fatto, conoscono in termini generali l'ICT e usano la fornitura per fare il progetto A, B o C, ma non hanno in casa chi sa farli. Decidono che cosa fare, come farlo e gestiscono l’execution, cioè battono i tempi del progetto, cercano di avere i risultati nei tempi previsti.
  Nella nostra pubblica amministrazione oggi c'è una grande confusione. È pieno di società che fanno informatica. È un tema molto dibattuto, anche in Commissione europea. Secondo me, questo è un tema importante. Bisogna, oltre a dargli la rilevanza strategica che dicevamo, e mi sembra che qualche passo in avanti è stato fatto, anche riempire questa scatola di ICT di persone che sanno fare la governance, decidere in termini strategici che cosa serve, su quali progetti puntare, su quali tecnologie. Non serve il programmatore Java o l'esperto del software A o B, perché tanto non si riuscirà mai a stare alla velocità di innovazione. Ci troveremo sempre con persone di 45 anni che hanno delle competenze che oramai non servono più, che non sappiamo che cosa vogliono fare, fanno un lavoro per il quale magari sono demotivati. Si crea un circolo assolutamente negativo. Secondo me, quindi, un tema molto importante è il ruolo dell'ICT e le competenze.
  Se posso, aggiungerei un altro tema e magari sul perché lascio la parola al collega Giancarlo Senatore.
  Un altro tema fondamentale secondo me è sempre un po’ sottovalutato. Io faccio sempre il confronto con il privato, avendo fatto per metà della mia vita il consulente nel privato e metà nel pubblico, mi viene naturale, ma credo che comunque nell'ICT le tecnologie siano le stesse, come le problematiche. La velocità di innovazione sta creando problemi a tutti.
  Molte aziende private si stanno organizzando con due ICT: uno tradizionale e un altro che fa l'innovazione, abbastanza poco ortodosso, perché abbiamo due organizzazioni che si occupano della stessa cosa, con grandi problemi di coerenza, di mancanza di sinergie. Siccome, però, l'organizzazione tradizionale non riesce a stare al passo con l'innovazione – su questo le banche e le assicurazioni sono quelle che lo stanno facendo più di tutti – stanno creando una Pag. 12seconda ICT dedicata al business, all'innovazione. Quella tradizionale...

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Chiamiamola open innovation, così...

  GIOVANNI MARIANI, responsabile Public Sector per l'Italia. Sì. Quella tradizionale non riesce a stare al passo, e questo nelle aziende private, che hanno molte più leve di un'istituzione pubblica in termini di gestione del personale.
  Un ultimo tema, secondo me fondamentale, è la motivazione. Secondo me, molte cose non succedono perché oggi per il singolo direttore o dirigente ICT è molto più conveniente non innovare, perché si muove in un campo che conosce, perché sa esattamente cosa succede, usa il fornitore che conosce da una vita, sa che cosa può chiedere, senza andare in altri ambiti, cosa non può chiedergli. Se innova, corre un rischio, che le cose vadano male. Se le cose vanno male, probabilmente ha qualcosa da rimetterci. Se le cose vanno bene, probabilmente non ci guadagna nulla.
  Nel privato, l'innovazione succede perché ci sono degli incentivi forti a innovare. Chi innova e ha successo, fa carriera, avrà un premio aziendale. Chi innova e non ha successo, avrà risultati negativi, ma comunque c'è qualcosa anche a livello personale. Questo è, purtroppo, un esempio un po’ trascurato nel settore pubblico, ma è così. Chi ha una funzione dirigenziale, quindi può decidere se fare A o non farlo. Il ritorno personale è un aspetto molto importante, quindi bisogna fare in modo che il ritorno personale coincida con il ritorno istituzionale, cioè che ci siano degli incentivi che lo spingano ad avere dei comportamenti coerenti con gli obiettivi dell'istituzione. Questo è, per me, uno dei motivi per cui, nonostante si sia fatto molto negli ultimi anni in termini di leggi, norme, per spingere l'innovazione, poi non succede, o succede la finta innovazione, raccontata nei convegni, dopodiché ci sono sempre le file e così via. Passo la parola al collega.

  GIANCARLO SENATORE, responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC. Non ripeterò le cose che ha detto il collega, perché c'è già una risposta trasversale ad alcuni dei temi, tutti collegati tra loro. Vado un po’ più nel dettaglio, soprattutto per una cosa che mi appassiona particolarmente, il perché non succede. Insisto sul concetto di execution, rispondendo così anche alla parte di domanda sul nostro ruolo come PVC.
  In genere, affianchiamo l'amministrazione in qualche modo come controparte. È un brutto termine da utilizzare in un progetto in cui tutti dovremmo essere focalizzati sull'obiettivo di realizzare la trasformazione, ma nella realtà noi affianchiamo l'amministrazione al rafforzamento delle competenze per gestire gli IT provider. Questo è il nostro ruolo fondamentale, questa è la nostra risorsa, la fonte principale del nostro fatturato, almeno per quanto riguarda la pubblica amministrazione e alcuni suoi servizi. Questo dà anche, però, un'idea del gap necessario per l'amministrazione, e torno a quello che si diceva prima sull’execution, l'esecuzione delle cose e la capacità di gestire non nell'ottica di chi fa, ma di chi presidia chi fa a realizzare e a verificare che la cosa venga fatta concretamente.
  Per noi, questo è uno dei temi fondamentali che veramente farebbe evolvere, svoltare, tanto per usare un luogo comune, l'organizzazione interna, spostando molta attenzione non sull'elemento legislativo. Abbiamo fin troppi veicoli legislativi. Abbiamo fin troppi strumenti, oggi, e mi permetto di dire, opinione solo personale, quindi non ufficiale come PWC, che chi fa appello all'assenza o alla presenza di una legge per non fare o per fare a seconda delle situazioni, in realtà sta solo cercando un alibi. Oggi si può fare tutto, molto di più che in un'azienda privata, per certi versi, avendo alcuni ambienti della pubblica amministrazione risorse disponibili più che sufficienti. Il problema è: chi verifica che cosa è stato fatto? Chi certifica e dà certezza che quello che è stato consegnato è in linea con l'aspettativa iniziale e con i soldi investiti?
  Completo la risposta alla domanda sulle percentuali del mondo pubblico, la quarta Pag. 13domanda che abbiamo ricevuto. Quella percentuale è calcolata sui 3,5 milioni del bacino di dipendenti pubblici, che noi consideriamo il riferimento dei veri pubblici dipendenti. Comprendiamo tutte le amministrazioni dello Stato, le amministrazioni locali e le amministrazioni regionali. Il 7,5 è la percentuale di ore pro capite divisa rispetto alle iniziative di formazione in materia tecnologica, quindi con una visione anche un po’ più ampia. Per noi, il principio fondamentale che dovrebbe guidare la trasformazione è quello della co-creation.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Della...?

  GIANCARLO SENATORE, responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC. La co-creation è la creazione di soluzioni «tecnologiche» fatta direttamente dall'utilizzatore finale. L'utilizzatore finale è, cioè, nelle condizioni per indicare a chi eroga il servizio la possibilità di svolgimento di un servizio. Cito il caso di quelle soluzioni che sicuramente avrete sul vostro telefono, quelle app che ad esempio indicano il traffico, la presenza di traffico in una certa strada.

  FEDERICO D'INCÀ. Come Waze.

  GIANCARLO SENATORE, responsabile Public Sector Consulting per l'area EMEA (Europe, Middle East, Africa) di PWC. Quello è un esempio di co-creation. È l'utilizzatore finale che, grazie a un veicolo, dispone delle informazioni per poter erogare un servizio al cliente.
  Cito questo come un esempio, e rispondo alla domanda, della necessità di diffusione della cultura informatica a tutti i livelli. Mi dispiace contraddirla, ma perfino l'assistente parlamentare ha bisogno del sufficiente bagaglio di cultura informatica, perché anche l'erogazione del suo servizio potrebbe essere intesa, nell'ottica di co-creation, in un modo radicalmente diverso rispetto a quanto non si facesse prima. Oggi, purtroppo per noi, ancora in molti, moltissimi casi trasformiamo in maniera elettronica quello che si faceva in maniera cartacea. Non riusciamo a muovere radicalmente il processo in termini di effettiva erogazione del servizio finale. Questo è il motivo per cui 7,5 è una percentuale molto poco rilevante. Vuol dire che non stiamo investendo neanche sulla cultura diffusa dell'informatica, che potrebbe invece spingere verso una migliore trasformazione della macchina. Non sto parlando di grandi progetti, ma della diffusione dal basso della cultura sufficiente per creare quell'ambiente tale da poter poi facilitare i processi di trasformazione.
  Arrivo all'ultimo tema, a me particolarmente caro: perché non avviene?
  I livelli sono tre, se dovessi essere sintetico in questa risposta. Anzitutto, non avviene perché la strategia molto spesso è ambigua, quello che si diceva prima. Chi assume il rischio del fallimento? Chi sostiene il direttore generale, senza incentivi aggiuntivi – io sono ancora legato all'idea che un vero civil servant potrebbe muoversi nell'ottica dei valori di fornire un beneficio alla comunità – questo soggetto che ha intenzione di fare la trasformazione? Nessuno. Oggi, istituzionalmente non c'è nessuna attenzione particolare da parte di nessuna istituzione, anche delle istituzioni preposte a una cosa del genere. Penso alla funzione pubblica, all'AgID e così via.
  Dei tre, il secondo livello è quello della struttura organizzativa, che vuol dire anche all'interno di un'organizzazione ministeriale, di grandi comuni – sto parlando di progetti di trasformazione vera – che deve essere all'attenzione del principale decisore. Questo è il nuovo modo di erogare i servizi pubblici.
  Terzo e ultimo è il livello dei meccanismi operativi. Ne abbiamo citati due o tre: il sistema di incentivazione, il controllo dell’execution, il controllo di gestione. Sono meccanismi operativi che andrebbero molto ri-orientati, e non con una legge – vi prego – con verifica del corretto utilizzo delle attuali leggi, delle leggi esistenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio di nuovo i nostri ospiti. Sottolineo che sono d'accordo che non servono leggi. Soprattutto per il controllo di gestione, ne esistono a sufficienza, e anche nella recente modifica del Pag. 14codice dell'amministrazione digitale è stata introdotta la digitalizzazione del tutor, processo che permette un vero controllo dell'attività di controllo di gestione e di coerenza con gli obiettivi dell'amministrazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 11.30, è ripresa alle 11.35.

Audizione del responsabile Public Sector Industry Leader di Deloitte consulting, Guido Borsani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Public Sector Industry Leader di Deloitte consulting, Guido Borsani, accompagnato da Gianluca Di Cicco, partner di Deloitte Consulting, che ringrazio per la presenza.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata nella parte finale della seduta.
  Si tratta di un'audizione di natura prettamente conoscitiva, per la quale chiedo di fornire un quadro esplicativo quanto più possibile dei compiti e della struttura di Deloitte.
  Cedo, dunque, la parola al dottor Borsani per lo svolgimento della relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  GUIDO BORSANI, Public Sector Industry Leader di Deloitte consulting. Deloitte è uno dei principali network mondiali di servizi professionali, che comprendono la consulenza, la revisione, i servizi fiscali e legali e la consulenza finanziaria, mentre Deloitte Consulting è la società specializzata nella consulenza alle organizzazioni private e pubbliche. I suoi ambiti principali di attività sono quelli della consulenza strategica e organizzativa, quelli dei servizi a supporto dello sviluppo del capitale umano e tutto ciò che è afferente alle tecnologie e alla trasformazione digitale.
  Deloitte Consulting è un'azienda interamente italiana. Nell'ultimo esercizio fiscale abbiamo quasi raggiunto i 200 milioni di euro di fatturato, con poco meno di 2 mila dipendenti. Attualmente, abbiamo superato i 2.100 dipendenti. Mi preme sottolineare come il 60 per cento dei nostri professionisti abbia meno di trent'anni e che nello scorso esercizio abbiamo avuto 650 nuovi ingressi, il 60 per cento dei quali rappresentato da neolaureati. Uno dei nostri grandi impegni e dei più importanti investimenti è rivolto allo sviluppo delle nostre risorse. Nell'ultimo esercizio abbiamo erogato, infatti, 70 mila ore di formazione e più di cento persone hanno partecipato ai nostri corsi di formazione a livello internazionale.
  La strategia di sviluppo di Deloitte Consulting negli ultimi anni si è concentrata lungo due principali direttrici. La prima è afferente ai temi dell'innovazione. Più di due anni fa, abbiamo attivato un importante programma permanente di innovazione all'interno della nostra azienda. La seconda direttrice fa riferimento a Deloitte Digital, una piattaforma e un'organizzazione trasversale che mette a disposizione dei nostri clienti soluzioni end-to-end, innovative e completamente integrate.
  Il medesimo approccio è stato applicato al settore pubblico, nella convinzione che in tale ambito la capacità di innovare, di cogliere i benefìci della trasformazione digitale, siano decisivi per lo sviluppo dell'intero sistema Paese.
  Pur consapevoli che spesso il settore pubblico non riesca a esprimere in maniera adeguata tale domanda di innovazione, abbiamo voluto comunque dare il nostro contributo alla discussione in atto elaborando e offrendo alla riflessione degli stakeholder periodiche ricerche e approfondimenti.
  Considerando la finalità della Commissione, abbiamo selezionato una recente ricerca che confidiamo possa dare un contributo ai vostri lavori, che, con il vostro permesso, vorremmo presentare nella prima parte dell'incontro. Pag. 15
  Chiedo, pertanto, al collega e socio Gianluca Di Cicco, uno dei professionisti Deloitte con la più rilevante esperienza nell'ambito del settore pubblico e della trasformazione digitale, di proseguire con l'illustrazione dei contenuti di tale ricerca.

  GIANLUCA DI CICCO, partner diDeloitte Consulting. Come anticipava Guido Borsani, prendendo spunto dai lavori della Commissione e considerando il fatto che per noi quello della trasformazione digitale è un tema di importanza prioritaria, anche nell'ottica di portare sul mercato servizi che consentano al settore privato, ma anche e soprattutto al settore pubblico, di affrontare questa grande sfida della trasformazione digitale, abbiamo ritenuto utile incentrare il nostro intervento su questo documento, molto recente, a diffusione pubblica, prodotto da Deloitte Digital, che ha un focus specifico sul mondo della pubblica amministrazione.
  La cosa interessante di questo studio è che si tratta di una grande survey globale, alla quale hanno partecipato 1.200 CIO, ossia i responsabili ICT, quindi del mondo delle tecnologie e delle comunicazioni, all'interno di organizzazioni pubbliche. Queste ultime rappresentano in questa survey circa 70 Paesi del mondo.
  Ho seguìto personalmente la survey a livello nazionale, alla survey hanno partecipato anche una decina di amministrazioni pubbliche italiane (centrali, regionali e locali), e quindi lo studio che vi raccontiamo oggi riflette e consolida anche il punto di vista, le aspettative, le riflessioni e gli obiettivi delle organizzazioni della pubblica amministrazione italiana.
  Le analisi della nostra survey, che, come dicevo, ha riguardato 1.200 funzionari pubblici in giro per il mondo, testimoniano che c'è una forte consapevolezza e una forte aspettativa di quello che nei prossimi anni sarà l'impatto dei trend e delle tecnologie in ambito pubblico, un impatto che gli addetti ai lavori reputano molto pervasivo.
  Il 76 per cento dei partecipanti a questa survey ha la percezione che l'impatto delle tecnologie nei prossimi anni sarà determinante. Il 96 per cento del campione dichiara un'aspettativa di impatto dei trend digitali diffuso su tutti i principali comparti della pubblica amministrazione. Pensiamo, ad esempio, alla difesa, alla pubblica istruzione, alla sanità, ai trasporti. Ben l'82 per cento degli intervistati vede nelle tecnologie digitali una grande opportunità per trasformare la pubblica amministrazione. Da un punto di vista di aspettative, quelle che abbiamo rilevato nella nostra survey sono quindi sicuramente molto importanti. Al tempo stesso, però, riscontriamo nella nostra survey una forte preoccupazione a livello globale rispetto alla capacità di sfruttare a pieno tutti i potenziali benefìci derivanti dalla trasformazione digitale.
  Un primo punto di attenzione che emerge dalla survey Deloitte – circa il 70 per cento degli interpellati lo evidenzia – è la preoccupazione il fatto che il gap tra le competenze digitali e il livello di evoluzione digitale fra il settore privato e il settore pubblico stia diventando importante, significativo, quindi che la trasformazione digitale possa in prospettiva costituire una barriera ulteriore di dialogo tra mondo privato e mondo pubblico. In particolare, vi è la percezione da parte degli interpellati, che le capacità di reazione delle organizzazioni pubbliche non siano equivalenti al potenziale che la trasformazione digitale potrebbe consentire di mettere in campo. C'è una grande aspettativa, ma anche un senso di preoccupazione rispetto alla capacità di sfruttare a pieno questi trend e tutto quello che la tecnologia oggi sarebbe in grado di offrire e consentire.
  Lo studio Deloitte sulla trasformazione digitale nella pubblica amministrazione ragiona su livelli di maturità digitale. Tutte le analisi che vi presenteremo sono clusterizzate rispetto al fatto che esistono alcune organizzazioni, in alcuni Paesi del mondo, che si autodichiarano – questa è una survey, un self assessment – in uno stadio di maturità digitale (circa il 13 per cento, un numero abbastanza ristretto); un numero significativo di organizzazioni su scala globale, circa il 60 per cento, si valuta in uno stadio di sviluppo; un 27 per cento di organizzazioni si valuta in uno stadio iniziale, quindi di approccio. Pag. 16
  Tutto va correlato al parametro, che è stato condiviso nel momento in cui è stata eseguita questa survey, di stadio di maturità digitale di un'organizzazione che è in grado di operare con processi digitali innovativi e collaborativi centrati sull'utente e sul servizio, con una forte attenzione allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze digitali delle proprie risorse. Questa è la definizione di maturità digitale da cui la survey prende spunto e nella quale un 13 per cento degli interpellati si riconosce.
  La nostra analisi evidenzia, inoltre, che sono cinque i fattori chiave sui quali oggi le organizzazioni pubbliche stanno lavorando nell'ottica di portare avanti i loro programmi di trasformazione digitale. Introduco questi cinque fattori chiave, che poi avremo modo di affrontare e illustrare nel dettaglio. Il primo è la strategia, ossia il fatto che un'organizzazione pubblica abbia una strategia di approccio e di sviluppo del digitale, con degli obiettivi definiti. Ci sono poi: la leadership, ossia il fatto che i leader responsabili per l'attuazione di un programma di trasformazione digitale abbiano consapevolezza e background di natura tecnologica; gli skill in generale, quelli delle risorse, ossia le competenze di coloro che sono coinvolti nei percorsi di cambiamento; il fatto che l'utente sia al centro del programma di trasformazione digitale; la cultura, l'approccio generale alla gestione del cambiamento, presente nei programmi e nelle organizzazioni. Parliamo di cultura dal punto di vista di innovazione e di propensione ed apertura al rischio.
  Perché sono importanti questi fattori chiave? Perché dalle nostre analisi, dalla nostra survey, emerge come sia proprio rispetto a questi cinque driver di cambiamento che può essere costruito un modello di trasformazione digitale. Solo a scopo puramente didattico, mentre continuo a illustrarvi le evidenze del nostro studio, vorrei rappresentare l'incrocio tra queste cinque dimensioni e che cosa significa affrontare un programma di trasformazione digitale.
  Le nostre analisi dicono, ad esempio, che nello stadio iniziale dei programmi di trasformazione digitale, nelle organizzazioni che approcciano con una loro strategia a un percorso, a un journey di digital transformation, l'obiettivo è essenzialmente finalizzato a ridurre i costi.
  Andando a rileggere le strategie, i piani di chi sta affrontando questo percorso in un'ottica di sviluppo o, come punto di arrivo, di maturità, entrano in campo altri parametri, altri obiettivi strategici di riferimento. Leggendo tra le righe della strategia, le organizzazioni che si trovano nello stadio di sviluppo di programmi di trasformazione digitale, iniziano a finalizzare la loro strategia su come migliorare l'esperienza del cliente.
  Andando avanti lo stadio di maturità digitale, è sempre più finalizzato ad una trasformazione digitale a 360 gradi, che metta insieme l'esperienza del cliente con i modelli e i processi di funzionamento interni. La centralità dell'utente, ad esempio, negli stadi iniziali non sempre è presente, diventa importante negli stadi di sviluppo e diventa il traino, l'asse principale, all'interno dello stadio della maturità, quindi nelle organizzazioni digitali più avanzate.
  Faccio un riferimento anche al tema della cultura, tipicamente avversa al rischio, molto frammentata nelle fasi iniziali di avvio dei percorsi di trasformazione digitale. La cultura nello stadio di maturità digitale è tipicamente molto aperta al rischio, molto orientata all'innovazione e molto orientata alla collaborazione e cooperazione sia interna sia con il mondo esterno.
  La presentazione di questo studio ha l'obiettivo di raccontarvi, da un punto di vista generale, che cosa dice la nostra survey su questi ambiti, e poi di rappresentarvi alcune nostre riflessioni in termini di barriere e di opportunità che, dal nostro osservatorio di consulenti di direzione, riscontriamo nel contesto italiano.
  Iniziamo a parlare di strategia. Mostrerò alcune slide, che lascio come spunto di riflessione, che poi ovviamente avrete col materiale in distribuzione. Non mi concentrerò sul testo delle slide, ma è da lì che prenderò spunto.
  I Paesi che oggi registrano un elevato livello di maturità del loro sistema digitale, Pag. 17come vi anticipavo, si sono distinti perché hanno dato il giusto peso e il giusto focus allo sviluppo di un piano strategico chiaro e definito, che potesse guidare il percorso di cambiamento. Il perno dei grandi programmi di trasformazione digitale è proprio lo sviluppo di una strategia che integri al suo interno tutti gli elementi chiave che un'amministrazione deve mettere sotto osservazione quando porta avanti un percorso di trasformazione digitale.
  È chiaro, quindi, che la strategia deve essere calata sul contesto, fortemente guidata dalle caratteristiche dell'organizzazione e del Paese di riferimento, in modo da promuovere nel modo migliore modelli di innovazione e collaborazione poi perseguibili.
  Le nostre analisi e questa survey ci dicono che, da un punto di vista di strategia, le aree chiave presenti in tutti i grandi programmi strategici di trasformazione digitale sono quella della governance, e quindi di come gestire, indirizzare e coordinare un programma di trasformazione; quella della leadership, con quali uomini, in quali posizioni e con quali ruoli di management all'interno di un programma di trasformazione digitale; ovviamente, come avere un numero e un livello di risorse, culture e competenze adeguate a sostenere il piano; soprattutto, che ci sia una road map, un piano chiaro, con delle milestone, dei tempi, dei target, degli obiettivi da realizzare. Nelle organizzazioni mature, questo è tipicamente l'approccio a un programma di trasformazione digitale e a una strategia strutturata e da perseguire.
  Volendo fare alcune riflessioni sul caso italiano, le nostre analisi e anche le nostre survey calate sugli interlocutori con cui abbiamo dialogato sul territorio, ci portano a dire che in Italia, nello specifico, c'è sicuramente una situazione di governance molto frammentata. A livello istituzionale, ci sono diversi stakeholder, diversi attori del programma di trasformazione digitale, e quindi forse in questo momento c'è una forte dicotomia tra le necessità di innovazione e la forte spinta all'implementazione che arriva dal centro e il fatto che quotidianamente c'è un'operatività e un'esigenza di erogare servizi a livello locale legata ad aspetti operativi e pratici. Questa dicotomia tra azioni centrali e diffusione locale crea sicuramente delle tensioni a livello di execution. Il tema è, quindi, quello della governance in generale.
  C'è poi da dire, che una delle barriere che oggi vediamo all'interno del sistema nazionale, è il fatto che sicuramente oggi la pubblica amministrazione in Italia insegue tante priorità. Come dimostrano le analisi, che peraltro vi faremo vedere su scala globale, oggi il conflitto tra priorità diverse e la non gestione delle priorità comporta, a volte, un sovraffollamento di iniziative e molto spesso la difficoltà di convergere verso un insieme coerente, integrato e olistico di piani che procedono in modo integrato gli uni con gli altri. Quindi, il contesto e le barriere che vediamo in Italia sono legate a quest'approccio che arriva dal centro, top-down, e a quello che poi si fa sul territorio, con iniziative concrete, reali, di digitalizzazione, nei comuni, nelle regioni, con una modalità bottom-up molto legato alla fase esecutiva.
  Vediamo altre due grandi barriere, oltre a quella della governance e del conflitto di priorità. Una è il tema del finanziamento delle iniziative progettuali. Oggi, ci troviamo in una situazione di scarsità di risorse, che non sempre consente di ragionare senza vincoli di budget. Allo stesso modo, ultima barriera dal punto di vista strategico è il fatto che oggi gli strumenti di acquisto utilizzati nel mondo ICT pubblico forse non sono più adeguati rispetto a un percorso di trasformazione digitale, che richiede flessibilità, modularità, fine-tuning, e che ha dei tempi realizzativi, se guardiamo al settore privato, talmente rapidi e veloci che a volte diventano quasi incompatibili con gli strumenti di acquisto esistenti.
  Se queste sono le barriere, altresì crediamo però che ci siano degli importanti acceleratori, delle grandi opportunità che si stanno perseguendo, che possono consentire, rispetto al driver della strategia, di avere un programma di trasformazione digitale sempre più efficace, primo tra tutti il piano triennale. Secondo noi, il piano triennale Pag. 18 rappresenta una grande opportunità per mettere definitivamente a sistema la strategia di trasformazione digitale del nostro Paese e avere una visione integrata, unica, coerente e strutturale di quello che dovrebbe essere il percorso che tutte le amministrazioni, a livello centrale e locale, dovranno seguire. Il piano triennale, quindi, parlando di strategia, è un acceleratore, uno strumento con il quale sarà possibile definire auspicabilmente un framework di piattaforme abilitanti nazionali su cui far lavorare tutte le pubbliche amministrazioni centrali e locali, definire delle linee guida chiare sulle scelte infrastrutturali, che recepiscano anche i trend digitali in atto, e decidere quali sono i servizi verticali, o meglio ancora gli ecosistemi prioritari su cui concentrare e canalizzare il percorso di trasformazione. Penso al mondo della sanità, al mondo del welfare, per citare alcuni di questi ecosistemi.
  Sicuramente, quindi, negli acceleratori noi vediamo lo sviluppo e l'attuazione di un modello di governance che abbia delle modalità operative sempre più integrate: il ruolo dell'AgID, il ruolo di chi fa procurement a livello nazionale, il ruolo dei grandi operatori e dei grandi spender IT a livello nazionale e tutto il mondo dell'IT distribuito nelle regioni. Sicuramente, diventa cruciale quindi creare un percorso integrato di collaborazione e di sviluppo che metta assieme gli attori centrali che hanno obiettivi di governance, i grandi ecosistemi nazionali ed il mondo delle best practice locali, cioè di quello che sta accadendo sul territorio.
  Un altro acceleratore importante, dal punto di vista strategico, potrebbe essere quello di guardare alle strategie di procurement in un'ottica innovativa, quindi di iniziare a interrogarsi su quali potrebbero essere gli strumenti più idonei e adeguati ad affrontare un percorso di trasformazione digitale, per mettere poi tutte le amministrazioni in un contesto di operatività sicuramente più snello e anche un po’ più adattabile nel tempo, a mano a mano che gli interventi saranno realizzati.
  Per quanto riguarda la leadership è fondamentale, dicono le nostre survey e le nostre analisi, che la leadership comprenda fino in fondo i trend digitali e che abbia le caratteristiche e le competenze per poterli indirizzare.
  Il nostro studio evidenzia che solo una leadership fortemente orientata al digitale è in grado di cambiare alcune delle regole del gioco e rendere un percorso di trasformazione digitale di successo. In particolare, diventa importante capire come mettere a sistema dei modelli di leadership coerenti (centro e territorio), in modo da poter sostenere questo programma.
  È chiaro che ai leader digitali viene chiesto di prendere delle decisioni secondo dei modelli operativi diversi da quelli del passato. C'è un time to market nelle decisioni sicuramente più rapido, più veloce. È proprio una cultura, molto orientata all'innovazione, alla collaborazione e alla delega, che deve essere messa in campo dalle organizzazioni pubbliche per far avanzare e funzionare in modo vincente i programmi di trasformazione digitale.
  In Italia, volendo guardare alle barriere che ci caratterizzano, oggi il livello di leadership digitale sta nascendo, nel senso che per tanti anni le tematiche della gestione dei grandi programmi di trasformazione digitale sono state affidate a persone che magari per background o per caratteristiche avevano competenze più legate ad aspetti organizzativi e legislativi.
  Oggi, la tecnologia deve essere parte integrante del disegno. Tutte le grandi aziende private, a partire dai loro modelli di leadership, definiscono dei percorsi di trasformazione digitale che integrano la strategia, l'organizzazione, i processi e le tecnologie. Molto spesso, nel pubblico il tema legislativo prende il sopravvento e non indaga fino in fondo le ricadute o le semplificazioni che la tecnologia potrebbe portare all'interno di un percorso di trasformazione. Su questo punto tornerò.
  Come anticipavo, uno degli elementi chiave per un'accelerazione a livello nazionale è quello di costruire un modello di leadership molto integrato, molto coeso e molto distribuito sul territorio, che possa avere un ruolo ed essere accountable e appointed per realizzare questi programmi Pag. 19di cambiamento. È una leadership, dice la nostra survey che deve essere molto specifica e molto calata sui programmi di trasformazione digitale.
  Come anche anticipavo, un terzo fattore distintivo che emerge dalle nostre analisi è quello degli skill, delle competenze. Servono risorse talentuose che abbiano skill tecnologici per realizzare e attuare delle strategie digitali. Abbiamo detto che serve una strategia, dei leader in grado di indirizzarla, ma soprattutto delle risorse, degli specialisti, degli esperti di digital transformation che possano essere inseriti nei posti giusti per concorrere a questi programmi di trasformazione.
  La percezione che abbiamo, parlando con gli stakeholder del settore e guardando ai risultati della nostra survey è che oggi questo sia un fattore fondamentale.
  Il settore privato testimonia, negli enormi sviluppi, innovazioni e progressi degli ultimi dieci anni, quanto il talent management, lo skill management siano diventati un asset vincente per realizzare la strategia di impresa. La cosa va applicata allo stesso modo e con gli stessi princìpi anche nel mondo della pubblica amministrazione. È importante, quindi, immaginare sempre più talenti e competenze tecnologiche all'interno delle amministrazioni, con task mirati di attuazione della strategia digitale.
  È ovvio che su questo tema specifico ci sono una serie di riflessioni che possono essere fatte da un punto di vista di barriere all'interno della pubblica amministrazione italiana. In Italia, scontiamo un'età media della popolazione del pubblico impiego molto elevata, che non sempre si presta a grandi programmi di riconversione, formazione e addestramento. Oggi, quest'età media della popolazione molto elevata rende rigido il modello di sviluppo e di crescita delle competenze digitali nel nostro Paese.
  Allo stesso modo, c'è un oggettivo tema di blocco del turnover, cioè di situazioni in cui si fa anche fatica ad assumere risorse talentuose e competenti. Le amministrazioni hanno molte difficoltà, sia di budget sia legislative, a poter rinforzare le loro piante organiche, intervenendo in modo selettivo e mirato su questo tipo di profili e di competenze. Scontiamo uno skill gap molto elevato, delle rigidità di cui bisogna tener conto.
  Peraltro, forse lo skill gap non è solamente legato al tema della tecnologia in senso stretto, ma anche al fatto di non avere all'interno delle amministrazioni, delle organizzazioni, ad esempio, delle competenze che sono indispensabili per poter realizzare questi programmi di cambiamento. Penso al program management, al project management, a tutto quello che serve per gestire e lavorare per progettualità. Oggi, l'amministrazione sta iniziando sempre più ad affrontare sfide legate a progetti, ma non nasce con una cultura di orientamento alla commessa, alla gestione al progetto, una cultura che deve essere messa insieme alla cultura del digitale, quindi agli skill digitali, per fare in modo che questo mix di competenze possa essere sicuramente quello giusto.
  Un altro elemento su cui riflettere, sempre pensando alla pubblica amministrazione italiana, è che oggi gli skill hanno una durata anche breve. Oggi, siamo qui a dirci che forse servirebbero più data scientist o esperti di tecnologie, di architetture, di infrastrutture, e magari tra due anni questi skill saranno già obsoleti e ci ritroveremo a parlare di competenze ancora più avanzate e molto differenti. Nel modello degli skill è chiaro che tutte queste barriere vanno messe un po’ in conto. Immaginando per un attimo di avere carta bianca sulle assunzioni, di aver identificato tutti i profili che vorremmo portare a bordo, c'è anche un tema di attrattività. Non vale solo per l'Italia, ma per tutti i Paesi del mondo: a volte, il settore pubblico è un po’ meno attrattivo da un punto di vista di modello, di percorso di crescita, di compensation, di rewarding.
  Una parte del problema è che non abbiamo forse oggi gli spazi per portare a bordo certe competenze. Se, però, anche li avessimo, dovremmo iniziare a interrogarci su come attrarre questi talenti per fare in modo, come in parte si sta cercando di fare con alcune recenti iniziative a livello nazionale, di avere i migliori. Questo programma è di una complessità che poche organizzazioni private al mondo hanno mai Pag. 20avuto l'opportunità di dover affrontare. Parliamo di elevato livello di complessità, altissimo requirement di skill evoluti e shortage di risorse e di attrattività per poterlo realizzare.
  Di fronte a questo scenario così «funesto», quale potrebbe essere l'acceleratore? Guardare al mercato e al mondo del privato con una prospettiva un po’ diversa, iniziare a ragionare su come creare una fertilizzazione cross tra competenze e skill del settore privato e competenze e skill del settore pubblico. Non è un processo monodirezionale. È un processo bidirezionale, che nel mondo della trasformazione digitale potrebbe essere approfondito e studiato. Immaginare che per certi lassi di tempo competenze e risorse nel settore privato possano temporaneamente essere asservite e demandate a incarichi pubblici, a ruoli di tempo definito, con obiettivi definiti, su progetti mirati, finalizzati a esportare queste competenze nel settore pubblico. Questo potrebbe essere un modello.
  Allo stesso modo, forse è arrivato il momento, dopo essersi dotati di skill di governance e di indirizzo forti a livello di pubblica amministrazione centrale e locale, di far fare qualcosa al settore privato. Laddove non c'è l’expertise, non c'è il know how, è immaginabile, magari attraverso gli strumenti di procurement, che la pubblica amministrazione italiana possa chiedere al mercato di fare delle cose che oggi non avrebbe più senso, da un punto di vista strategico, realizzare internamente.
  Anche un modello di partnership, ossia di integrazione e collaborazione tra il settore pubblico e il settore privato, potrebbe essere applicato ai programmi di trasformazione digitale, ovviamente con un forte presidio dell'operatore pubblico che non esponga a rischi di lock-in... se ci guardiamo alle spalle, siamo partiti con l'idea di avere dei fornitori partner e poi ci siamo trovati imbrigliati con fornitori e tecnologie dalle quali difficilmente si poteva pensare poi di uscire o riconvertirsi.
  Sicuramente, quello dello skill gap è un tema delicato, come i vincoli di budget, i vincoli di attrattività, ma comunque c'è tutto un mondo che ruota al di fuori della pubblica amministrazione che va esplorato in ottica sia collaborativa – scambi di risorse e competenze – sia industriale (partnership in cui l'operatore pubblico deve avere un forte controllo e una forte capacità di indirizzo, in modo da evitare situazioni che diventino difficilmente controllabili).
  Il quarto punto della nostra survey è la centralità dell'utente, sicuramente una delle missioni prioritarie delle grandi sfide dei programmi di trasformazione digitale della pubblica amministrazione. L'utente è il cittadino, l'utente è l'imprenditore, l'utente è l'impresa con la sua organizzazione. Oggi, la centralità dell'utente è la chiave di volta di tutti i grandi percorsi di trasformazione digitale. Ci sono migliaia di esigenze che i cittadini hanno che devono essere soddisfatte. Vanno sempre messe in primo piano, quando si fanno investimenti e si definiscono programmi di cambiamento, le esigenze del cliente finale, dell'utente finale. Questo ha fatto, negli anni, il settore privato. Questo è sempre più vero nel settore pubblico. Le organizzazioni mature, da un punto di vista di evoluzione digitale, sono già in questo stadio di comportamento.
  Volendo fare un altro veloce approfondimento sull'Italia, ritorno su un tema anticipato. L'esperienza italiana evidenzia, secondo noi, come non sempre i policy maker valutino fino in fondo l'impatto delle norme sugli utenti in generale. Molto spesso, la norma non è testata rispetto alle ricadute da un punto di vista di semplificazione, di semplicità, di interazione, che il cittadino o l'imprenditore possono avere con la pubblica amministrazione. Questo è il passato.
  Se guardiamo al futuro e alle questioni digitali, secondo noi, diventa sempre più cruciale che, rispetto a ogni provvedimento legislativo, si faccia una sorta di technology assessment. Noi dobbiamo essere quanto più certi, convinti e sicuri del fatto che le norme possano poi tradursi, anche sfruttando il supporto delle tecnologie, in cose che possano essere fatte in modo semplice, snello, sempre nell'ottica di semplificare la vita del cittadino. Pag. 21
  Bisogna fare attenzione, perché a volte il vincolo legislativo può diventare un ostacolo tecnico alla digitalizzazione. Potrà diventarlo sempre di più. Abbiamo già dei primi segnali: se pensiamo ad alcuni temi di compliance legati alla privacy o alla cyber security, già ci rendiamo conto di quanto sia forte questo trade-off tra definire delle norme e costruirci delle tecnologie snelle, funzionali e che possano semplificare al massimo la vita dell'utente.
  Aggiungo un altro punto. È chiaro che in Italia abbiamo anche una forte frammentazione. Se guardiamo alle nostre barriere, c'è sicuramente un tema di polverizzazione del dato e del rapporto tra il cittadino e l'amministrazione. Molto spesso, il cittadino si trova nella condizione di dover ricostruire il dato prendendo diversi pezzi di informazione per poi ricostruire il dato gestendo diversi rapporti con diverse amministrazioni.
  Il fatto che ci sia una pluralità di amministrazioni e che il modello di governance non sia perfettamente definito, implica che l'utente, il cittadino, l'imprenditore, vivano con disagio il rapporto con l'amministrazione e anche con la tecnologia, perché non riescono a ottimizzare una serie di cose che banalmente dovrebbero essere fatte con un solo dato o con una sola amministrazione. Secondo noi, da un punto di vista di centralità dell'utente, in Italia c'è ancora tanto da fare, sia per un tema di complessità legislative sia per un tema di pluralità di amministrazioni che erogano servizi non sempre in modo integrato, coeso e ordinato.
  Detto questo, la survey e altri studi sulla materia evidenziano quanto si possa accelerare questo percorso di attenzione all'utente lavorando su strumenti di assessment che consentano di valutare fino in fondo – ripeto, dal punto di vista del servizio, ma anche tecnologico, l'impatto sui cittadini delle norme.
  Io cito sempre l'esempio delle imprese, e lo citavo anche prima. Una grande azienda, quando avvia un percorso di trasformazione digitale e vuole avere un impatto sui suoi clienti, definisce il prodotto, l'organizzazione, il processo e il servizio, integrando tutte queste componenti nell'aspetto tecnologico. La soluzione è già basata su una tecnologia testata, che consente di realizzarla. La pubblica amministrazione che opera in un modello profondamente diverso da quello privato, deve trovare questo punto di equilibrio, cioè capire come far viaggiare insieme, di pari passo, il vincolo legislativo, il processo operativo e la tecnologia che deve essere resa disponibile affinché si possa raggiungere nel modo più efficiente ed efficace possibile l'utente finale.
  Ovviamente, l'evoluzione massima di questo tipo di ragionamenti è la collaborazione, la co-progettazione, il crowdsourcing. Esistono, quindi, organizzazioni mature da un punto di vista digitale che addirittura ingaggiano, nella fase di disegno del servizio digitale, il cittadino in modo ricorrente, stabile, strutturale. Quello è un punto d'arrivo, è lo stadio che noi giudichiamo di massima maturità digitale.
  Probabilmente, oggi dovremmo procedere con due passi. La prima accelerazione sarebbe quella di un'analisi normativa coerente con analisi operativa e analisi tecnologica. Il passo successivo sarebbe l’onboarding dei cittadini, degli imprenditori e, in generale, degli utenti finali nello sviluppo, nella co-progettazione e nel co-design dei servizi digitali.
  L'ultimo punto di analisi è la cultura che deve sostenere un programma di trasformazione digitale. Quella della trasformazione digitale è una cultura che va oltre quella che una volta chiamavamo gestione del cambiamento. Le nostre analisi, le nostre survey dicono che la cultura della trasformazione digitale è molto più orientata alla collaborazione, alla cooperazione, anche interna, e deve avere un focus molto votato all'innovazione, cioè alla ricerca continua di elementi di processo organizzativi e tecnologici disruptive rispetto alle situazioni di partenza.
  Le nostre analisi, le interviste che abbiamo fatto, dicono che nella trasformazione digitale sono di gran lunga più importanti i processi, l'esperienza, l'atteggiamento delle risorse che i tool operativi utilizzati. Pag. 22
  Nel caso specifico, tornando al tema dell'anzianità media delle risorse e della bassa cultura digitale presente nel nostro Paese, anche in questo caso c'è da fare un grande salto in avanti, che va nella direzione di mettere in campo strumenti e processi che spingano i dipendenti pubblici a ragionare secondo questi tipi di parametri, molto meno gerarchici, molto meno rigidi, molto più flessibili e aperti a modalità di lavoro più dinamiche, collaborative e innovative.
  Non è, quindi, tanto e solo un tema di scalabilità tecnologica, quello della trasformazione digitale, ma anche e soprattutto di scalabilità organizzativa, cioè di capacità di mettere a terra, da un punto di vista organizzativo, questi grandi programmi di trasformazione.
  È chiaro che questo richiede una grossa apertura mentale, che questo processo può essere accelerato identificando alcuni agenti di cambiamento. In altri Paesi, digitalmente più evoluti, come emerge dalle survey, ci sono persone che, all'interno delle amministrazioni, hanno un ruolo di agenti di questo cambiamento, di innovazione, digital champion, agenti di collaborazione. Sono nelle amministrazioni, hanno un ruolo definito e delle responsabilità che vanno in questa direzione, appartengono alla community più ampia di tutte le persone con skill digitali, e hanno, in particolare, la mission di diffondere e trasferire la cultura della collaborazione e dell'innovazione.
  L'ultimissimo tema riguarda sempre gli aspetti culturali. Come anticipavo, la cultura dell'innovazione, della collaborazione, quindi la cultura del digitale, deve essere propensa al rischio. Non vuol dire che le pubbliche amministrazioni dovranno prendersi dei rischi, ma che, nel momento in cui affronteranno una sfida digitale su princìpi di collaborazione e innovazione, dovranno tener conto del fatto che questo percorso ha dei rischi, e che quindi serve che questi rischi siano identificati, gestiti, monitorati, prevenuti e anticipati.
  Forse non abbiamo proprio nella nostra cultura come Paese, indipendentemente che si parli di settore pubblico e di privato, quest'approccio al rischio, che forse negli anglosassoni è più spiccato. Probabilmente, invece, è un componente chiave del cambiamento culturale di questi grandi programmi di trasformazione.
  Faccio un salto veloce a quelle che, a livello complessivo, sono le barriere alla trasformazione digitale emerse dalla nostra survey. Leggiamo, ripeto, su scala globale, quindi non in una chiave di lettura nazionale, che vi ho brevemente illustrato.
  Il 41 per cento degli intervistati ritiene che la principale barriera alla trasformazione digitale sia la gestione delle priorità, quindi la capacità di gestire il business as usual, l'ordinaria amministrazione, e nel frattempo portare avanti grandi programmi di trasformazione. Vediamo, però, andando avanti, barriere molto più pratiche: la disponibilità di risorse finanziarie, i problemi di sicurezza, l'assenza di una strategia generale, la mancanza di agilità organizzativa. Questi sono, a detta dei 1.200 intervistati, i punti più critici. Segnalo il fatto che i vincoli legislativi e legali figurano all'ultimo posto. Anche questo ci dovrebbe fare un po’ riflettere.
  Concludendo e facendo anche un piccolo recap su quello che potrebbe essere lo scenario italiano, sicuramente il piano triennale è una grande opportunità per mettere a sistema una serie di eterogeneità e avviare e accelerare un grande processo di trasformazione e digitalizzazione, coordinato centralmente, che tenga conto delle esigenze locali e del diverso livello di maturità di tutte le pubbliche amministrazioni italiane. Oggi, abbiamo livelli di maturità profondamente diversi.
  Quanto ai nuovi modelli di procurement, sicuramente c'è una grande opportunità, una grande sfida, che è quella di mettere in stretto collegamento i piani triennali e strategici di sviluppo dell'IT con i piani di procurement dell'amministrazione. Questo link è fondamentale e deve essere sostenuto con degli approcci di procurement sicuramente più innovativi.
  Serve un grande sforzo di empowerment delle risorse. Partendo dalle competenze target, bisogna ripensare il modo di operare, di lavorare attuale: più collaborazione, più innovazione, tanto trasferimento Pag. 23di know how. Il cittadino va messo al centro del progetto, con una stretta analisi di impatto delle norme sull'utenza finale, anche da un punto di vista tecnologico, con il cittadino messo nella condizione di avere un'unica informazione valida da tutte le amministrazioni, sempre la stessa.
  Serve una propensione al rischio più spinta. Come dicevo, un percorso di trasformazione digitale è anche rappresentato dalla capacità della pubblica amministrazione di prendersi dei rischi e di valutare volta per volta che rischi comporta quest'innovazione e come tecnologicamente può essere gestita.

  PRESIDENTE. Ringrazio Guido Borsani e Gianluca Di Cicco, di Deloitte.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Due domande. Come valutate effettivamente lo stato d'attuazione del piano triennale? Sta funzionando il coordinamento? C'è un raccordo tra quello che è scritto nella strategia e quello che effettivamente si sta attuando nelle diverse organizzazioni? Parliamo di strategia per la crescita digitale, immagino, dell'attuazione dell'AgID.
  Sulle competenze digitali ho partecipato, sia l'anno scorso sia quest'anno, a un'indagine del Politecnico di Milano sulle effettive competenze digitali anche degli studenti universitari delle facoltà scientifiche. Anche lì, c'è forse al massimo il 30 per cento di persone che studiano, quindi dentro l'ambito scientifico, con effettive competenze digitali. Su questo come si può spingere perché ci sia un'attrazione da parte della pubblica amministrazione di queste competenze, ma come allargare anche la numerosità nella diffusione delle competenze digitali?

  PRESIDENTE. Raccogliamo le domande e i nostri ospiti possono rispondere alla fine.
  Anch'io mi aggiungo. Vorrei sottolineare dalle cose dall'ampia relazione che ci avete fatto. Credo che sia particolarmente interessante vedere che alcune cose che abbiamo sentito in altre audizioni tornano. È evidente che sono punti su cui dovremo approfondire l'indagine della nostra Commissione.
  Probabilmente, alcune cose nell'ultimo periodo stanno andando nella direzione giusta. Quando ha parlato di personale responsabile del cambiamento, a me è venuto in mente che la modifica dell'articolo 17 del codice dell'amministrazione digitale identifica proprio il responsabile della trasformazione digitale, c'è l'obbligo di identificare un responsabile della trasformazione digitale. Allo stesso modo, nell'ottica di centralità dell'utente, credo che l'obbligo, introdotto sempre recentemente, nel codice dell'amministrazione digitale, di misurare il livello di soddisfazione dei cittadini per i servizi on line vada in questa direzione.
  Mi permetto di segnalare ai membri della Commissione – mi è venuto subito in mente parlando di technology assessment per le norme – che c'è una proposta di modifica del Regolamento della Camera a mia prima firma e sottoscritta da quasi 200 colleghi proprio di istituzione di una Commissione permanente che centralizzi tutti i temi del digitale, attualmente sparpagliati, che probabilmente andrebbe nella direzione suggerita.
  La mia domanda, però, è questa. Vista proprio l'esigenza che emerge spesso, di controllo dell'esecuzione dei vari progetti, del project management, non pensate che negli ecosistemi strategici del piano triennale della pubblica amministrazione dovrebbe esserci con particolare evidenza proprio il sistema del controllo di gestione?
  A quanto so, invece, attualmente non c'è, è relegato forse in secondo piano, mentre da quello che vediamo emergere nelle varie audizioni la mancanza di controllo di gestione e dell'adeguato controllo di gestione è uno dei problemi che sembrano ostacolare la corretta digitalizzazione della pubblica amministrazione.

  GIANLUCA DI CICCO, partner diDeloitte Consulting. Rispondo io sul piano triennale, lascio la parola al collega su competenze digitali e Politecnico, poi magari Pag. 24 torniamo sul discorso del controllo di gestione.
  In realtà, quando dicevo che il piano triennale rappresenta una grande opportunità per accelerare il programma di trasformazione digitale del nostro Paese, mi riferivo al fatto che è in fieri, è un work in progress, l'elaborazione di un documento appunto previsto dalla legge, il piano triennale, che ci aspettiamo a questo punto nei prossimi mesi sia disponibile, all'interno del quale, secondo noi, ci sono tutti gli elementi per definire nel dettaglio le modalità esecutive del piano di crescita digitale.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Scusi se interrompo. Il piano triennale dell'AgID, non il piano crescita digitale?

  GIANLUCA DI CICCO, partner diDeloitte Consulting. No, il piano crescita digitale è un piano complessivo che definisce la strategia di altissimo livello. Secondo noi, è arrivato il momento di fare il grande salto. Per tanti anni, il piano triennale è stato un po’ un esercizio compilativo di spese e progetti in corso.
  Oggi, per come lo si sta costruendo e lo si è impostato – poi vedremo come nella realtà questo emergerà in modo più chiaro – abbiamo di fronte uno strumento attuativo, uno strumento che mettendo insieme la volontà del commissario, il coordinamento dell'AgID e una serie di elementi di contorno importanti, anche legati, ad esempio, a tutto il mondo del procurement, può una volta per tutte dire alle amministrazioni in modo chiaro qual è la rotta. La nostra impressione è che questa sia la grande opportunità, scrivere in un piano triennale non solo come si spende e che cosa si sta facendo, ma anche e soprattutto che cosa si dovrà fare e dove vogliamo arrivare nei prossimi tre anni. Probabilmente, crescita digitale traccia una rotta, ma non definisce i dettagli esecutivi. Oggi il piano triennale deve diventare lo strumento di riferimento per tutta la pubblica amministrazione italiana per guidare questo percorso.
  Peraltro, le caratteristiche devono essere quelle giuste. Il piano triennale fa una view a 3 anni, ma ogni anno si aggiorna. Nel mondo del digitale, ogni anno dobbiamo essere nella condizione di rivedere le nostre ipotesi e stime. Per concludere sul piano triennale, per noi è inteso come il piano triennale che uscirà dalla concertazione tra il commissario, l'AgID, le amministrazioni centrali e le amministrazioni locali e che definirà il percorso attuativo della strategia di crescita digitale.

  GUIDO BORSANI, Public Sector Industry Leader di Deloitte consulting. Con riferimento al tema delle competenze digitali, abbiamo già ripetuto più volte che effettivamente è un tema cruciale. Anche noi, come osservatori diretti del fenomeno nel mondo privato, abbiamo già visto da qualche anno come, all'interno di un panorama abbastanza stagnante del mercato del lavoro italiano, nello specifico delle competenze digitali – stiamo parlando di molteplici e diverse competenze – ci sia una elevatissima competizione delle aziende nel cercare di assumere questi profili, competizione che non ha paragoni con nessun altro settore e non mostra segni di flessione. Credo che questo rimandi a una riflessione ancora più alta su quella che ho sempre letto un po’ come una patologia del nostro sistema Paese, relativamente alla capacità di adeguare e riorientare il sistema educativo, la lentezza dell'offerta formativa nel reagire alle nuove esigenze del mercato. C'è forse una corresponsabilità – passatemi il termine – del settore pubblico, che è stato tradizionalmente poco selettivo, andando molto spesso, tramite il sistema dei concorsi, a equiparare diverse categorie, diverse lauree, diverse professionalità, rendendole un po’ troppo simili. Oggi ci troviamo a un estremo opposto, si va a cercare una singola, specifica professionalità. Lo shortage, la mancanza di queste professionalità è evidente. La cosa grave è che sappiamo che è un sistema che anche con un grande sforzo non si corregge in tempi rapidi. Ci fosse anche una reazione immediata o un'azione forte di educazione e di convincimento, questo vorrebbe dire avere la disponibilità di queste risorse auspicabilmente tra 3, 4 o 5 anni, e non sono Pag. 25tempi compatibili con tutto quello che abbiamo detto.
  Passo all'ultimo punto, poi eventualmente lascio integrare anche al collega, sul tema del controllo dell'esecuzione e del controllo di gestione. È sicuramente un aspetto importante, nel senso che l'educazione, l'abitudine al metodo del controllo, cioè che si facciano piani e poi se ne verifichi l'attuazione, non nel senso di un controllo burocratico, ma nel senso di disporre delle informazioni necessarie a fare l'aggiornamento periodico che citava poc'anzi il collega – ormai, in tutte le organizzazioni complesse ci sono piani rolling, aggiornati con frequenze sempre crescenti – sono importanti. Bisogna, a nostro avviso, fare un'attenta riflessione su dove collocare questo tipo di attività di controllo di gestione.
  Uno dei più grandi sforzi e difficoltà della realizzazione di un piano nazionale sta, ovviamente, nell'unitarietà del piano, ed è anche la sua più grande valenza, il fatto di riuscire a fare sistema di così tanta complessità e di così tanti livelli amministrativi e organizzativi.
  Non dobbiamo perdere l'occasione che anche il controllo, cioè la capacità di lettura dell'implementazione dei vari aspetti del piano, rimanga centrale. Non è una questione di centro o periferia, ma di riuscire a mantenere una lettura complessiva del fenomeno. Così come si fa o si cerca di fare uno sforzo, in fase preliminare, con la pianificazione unitaria, è importante poi avere una lettura degli stati di avanzamento, delle differenziazioni, delle difficoltà incontrate, dei casi di successo e così via, che però poi venga ricondotta a unitarietà. Questo mi sembra un punto importante.

  GIANLUCA DI CICCO, partner diDeloitte Consulting. Sono assolutamente d'accordo. Aggiungo che, probabilmente, questo sistema di controllo di gestione di cui stiamo parlando è un po’ più sofisticato rispetto a quello che può essere il sistema di controllo di gestione inteso tradizionalmente. Un programma di trasformazione digitale nasce per avere degli impatti. Il primo punto sarebbe come stimare gli impatti e verificare l'attuazione.

  PRESIDENTE. Che, tra parentesi, è esattamente quello che prevede il decreto legislativo n. 150 del 2009: le azioni della pubblica amministrazione devono avere indicatori di impatto. Un corretto controllo di gestione che implementi la normativa assolutamente esistente avrebbe proprio il tema dell'impatto.

  GIANLUCA DI CICCO, partner diDeloitte Consulting. È proprio questo. Parliamo di un grande cruscotto di controllo dei tanti programmi strategici, con dentro le grandi sfide, i progetti cardine. Poter vedere che diffusione ha ogni progetto, come sta andando, dove possiamo migliorarne la penetrazione. È una cosa sofisticata, che deve mettere assieme tutti gli obiettivi. L'utente al centro è soddisfatto, il servizio funziona, la continuità c'è, la tecnologia è il meglio che offre il mercato, i tempi di risposta sono quelli target. Come stanno cambiando i canali? Quanta gente sto spostando dagli uffici ai canali digitali, alle applicazioni mobile?
  È un mondo che va misurato con potenti e raffinati strumenti di controllo di gestione, che vanno oltre il concetto tradizionale, che puntano a target, risultati, stato di attuazione, milestone, anche ad aspetti qualitativi, colli di bottiglia, fattori critici, un link con l'attività legislativa, dove serve la norma, dove la norma è in corso di elaborazione e così via. È un vero sistema di monitoraggio del programma, un po’ come altri strumenti che abbiamo visto nella storia dell'amministrazione, che volevano mettere ad esempio sotto controllo l'attuazione del programma di governo.
  Questo riguarderebbe il mondo e l'impatto della trasformazione digitale, che merita da solo, per la complessità che presenta, un suo sistema di «controllo di gestione».

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.35.

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Comunicazioni del Presidente.

  La seduta comincia alle 12.45.

  PRESIDENTE. Comunico che, nella riunione appena svoltasi, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha stabilito che la Commissione si avvalga della collaborazione a titolo gratuito del dottor Pietro Paganini. La presidenza avvierà le procedure previste per assicurare l'avvio della collaborazione sopraindicata, previo distacco o autorizzazione dall'ente di appartenenza nei casi contemplati dalla legge. Non essendoci interventi, dichiaro conclusa la seduta di comunicazioni.

  La seduta termina alle 12.50.

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