XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 54 di Giovedì 21 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Audizione di rappresentanti di I.A.B. Italia (Interactive Advertising Bureau):
Catania Mario , Presidente ... 3 ,
Sesini Daniele , Direttore generale di I.A.B. Italia ... 3 ,
Catania Mario , Presidente ... 5 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 5 ,
Catania Mario , Presidente ... 6 ,
Sesini Daniele , Direttore generale di I.A.B. Italia ... 6 ,
Catania Mario , Presidente ... 7 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 8 ,
Sesini Daniele , Direttore generale di I.A.B. Italia ... 8 ,
Catania Mario , Presidente ... 9 

ALLEGATO: Documentazione prodotta da I.A.B. Italia ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 15.55.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Audizione di rappresentanti di I.A.B. Italia (Interactive Advertising Bureau).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'approfondimento tematico in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale, l'audizione di rappresentanti di I.A.B. Italia (Interactive Advertising Bureau).
  Sono presenti il direttore generale di I.A.B. Italia, Daniele Sesini, e Maria Cristina Moroni, della FB & Associati, partner di I.A.B. Italia.
  I.A.B. è un'associazione che rappresenta l'intera filiera del mercato della pubblicità on line, quindi è un volée fondamentale nella dinamica di quello che stiamo facendo.
  Lascio quindi la parola al dottor Sesini.

  DANIELE SESINI, Direttore generale di I.A.B. Italia. Buongiorno a tutti, due parole per spiegare chi è e cosa fa I.A.B.
  Interactive Advertising Bureau (I.A.B.) è un'associazione che nasce a metà degli anni ’90 negli Stati Uniti, quindi con lo sviluppo del web e della pubblicità sul web nasce l'associazione con l'obiettivo di regolamentare le regole del gioco, quindi di definire i formati pubblicitari, le modalità di erogazione, gli standard e le policy. Si è poi affermato in tutti i Paesi e oggi sostanzialmente tutti i mercati dove Internet ha una penetrazione minimamente sensibile hanno uno I.A.B. locale.
  I.A.B. rappresenta l'intera filiera, quindi i nostri associati per quanto riguarda l'Italia vanno da Google all'ultima delle concessionarie e delle piattaforme tecnologiche o dei produttori di content digitali, quindi abbiamo realtà che fatturano le cifre che più o meno sapete essere quelle di Google fino a 200.000 euro all'anno.
  Abbiamo oltre 170 associati, cioè la gran parte degli operatori del web per quanto riguarda la pubblicità sull’online. Dentro ci sono concessionarie, ci sono publisher, ci sono piattaforme tecnologiche, ci sono abilitatori tecnologici, strumenti di misurazione censuaria, quindi tutti gli operatori compresi i ricercatori di mercato.
  I.A.B. ha come mission centrale quella di sostenere lo sviluppo del mercato pubblicitario in Italia, mercato che lo scorso anno ha toccato i 2,15 miliardi di euro come perimetro degli investimenti pubblicitari online (questo numero è stato calcolato da I.A.B. insieme agli osservatori del Politecnico di Milano, nostro partner per quanto riguarda la misurazione del mercato), quindi 2,15 miliardi di euro l'investito in mezzi digitali totale Italia 2015, e Pag. 4quest'anno stimiamo di sfiorare i 2,4 miliardi di euro.
  In questa cifra ovviamente sono inclusi gli over the top, quindi Google e Facebook, che pesano complessivamente circa il 65 per cento di questi 2,4 miliardi di euro. Il resto ovviamente si va a frammentare tra tutti gli altri operatori concessionari grandi e piccoli.
  In termini di attività mirate a sostenere e promuovere lo sviluppo della pubblicità digitale l'associazione si occupa di formazione a trecentosessanta gradi per gli associati e anche per le aziende esterne per quanto riguarda le modalità attraverso le quali possono competere in maniera più efficiente sui mercati nazionali e internazionali grazie alle piattaforme tecnologiche, in particolare tutto ciò che riguarda l’advertising on line.
  Ci occupiamo anche di eventi, abbiamo 4-5 eventi di rilievo, il più importante è lo I.A.B. Forum di Milano, un grande evento che vede la partecipazione di 8-9.000 persone. Abbiamo poi tutto il tema degli standard e delle policy con tavoli di lavoro a livello nazionale, quindi portiamo avanti una serie di issues attraverso la collaborazione diretta e il lavoro dei soci stessi che vengono coinvolti, e lavoriamo ovviamente a livello internazionale, perché Internet per definizione non ha confini, quindi le regole del gioco vengono definite a livello globale.
  Devo dire che in passato I.A.B. America tendeva a imporre le regole del gioco, che poi venivano più o meno passivamente recepite dall'Europa e quindi dall'Italia, ma non è più così: oggi tendenzialmente ragioniamo a livello paritetico e quindi I.A.B. Europe, nel quale noi ovviamente siamo molto presenti e attivi, ragiona su molti temi caldi insieme a I.A.B. U.S. per definire gli standard e le policy per quanto attiene ai formati pubblicitari e alle modalità di erogazione.
  Un altro tema che sta molto a cuore a I.A.B. sono le ricerche di mercato, quindi non solo la misurazione degli investimenti pubblicitari Italia per quanto riguarda il mondo del digital, ma anche tutto l'indotto economico e occupazionale dei vari ambiti del digitale. In questo aspetto di attività a I.A.B. Italia sta molto a cuore il tema della legalità, che è un tema di legalità di siti, di procedure, di contenuti e quindi anche dell'azione contro la pirateria, tema caro non solo a I.A.B. Italia, ma a livello internazionale a I.A.B.
  A livello internazionale I.A.B. promuove alcune attività, in particolare per quanto riguarda la lotta contro la pirateria, riguardo alla quale a partire dal 2011-2012 I.A.B. Europe ha promosso attività che sono state poi sviluppate localmente.
  Oggi (lo trovate anche nel documento che vi abbiamo fornito) i mercati che hanno prodotto delle linee guida antipirateria sono UK, Francia, Olanda, Slovacchia, Spagna e Polonia, ma tutti i Paesi stanno approntando linee guida per disciplinare una maggior attenzione, tesa a far sì che questi siti che possono ospitare pubblicità avendo contenuti piratati vengano inibiti, quindi che la pubblicità non vada ad alimentare i siti stessi.
  L'obiettivo delle azioni realizzate a livello europeo nei Paesi citati e in particolare in Italia è seguire il concetto del follow the money, quindi tagliare i finanziamenti che, in larga parte dei casi per quanto riguarda il mondo del web, derivano dall'attività di sfruttamento dei bacini pubblicitari. Come certamente sapete, la maggioranza dei siti internet a livello globale quando non ha E-commerce campa di pubblicità sostanzialmente, quando non vende direttamente i servizi agli utenti campa di pubblicità, quindi inibire la pubblicazione di formati pubblicitari all'interno di quei siti che hanno contenuti non legali significa comprometterne la sussistenza, quindi questo è l'obiettivo.
  In Italia nell'arco del 2013-2014 I.A.B. insieme alle associazioni FAPAV e FPM, le federazioni contro la pirateria nel mondo musicale e dei contenuti audiovisivi, ha messo a punto un memorandum of understanding (MOU), che recepisce quanto raccomandato all'interno del Regolamento dell'Agcom all'articolo 4, dove si promuove l'adozione di codici di condotta che contrastino il diffondersi della pirateria e la possibilità che siti che gestiscono contenuti non legali possano ospitare pubblicità. Pag. 5
  Il MOU che abbiamo messo a punto con queste due associazioni prevede un processo di segnalazione da parte delle associazioni stesse, FAPAV e FPM, di casi eventualmente riscontrati sul mercato di siti che hanno contenuti illegali e che ospitano pubblicità. Il MOU è stato siglato nel 2014, dal 2014 ad oggi abbiamo avuto soltanto due casi di segnalazioni, che peraltro facevano riferimento a ad network, cioè aggregazione di bacini pubblicitari, stranieri, quindi in questi due anni non c'è stato alcun caso di sito illegale italiano che ospitasse pubblicità. Gli unici due casi erano un network inglese e uno statunitense, e in questo caso la procedura prevede che I.A.B. Italia segnali allo I.A.B. di competenza il caso.
  Il MOU fa in modo che, a fronte di una segnalazione che arriva dalle associazioni, I.A.B. si attivi per far sì che il sito ospitante o meglio l’ad network, la concessionaria che gestisce la vendita di spazi pubblicitari su quel sito oggetto di attenzione, venga inibita, bloccata, quindi c'è un intervento diretto da parte di I.A.B. verso la concessionaria di pubblicità, affinché questa blocchi la pianificazione di campagne pubblicitarie sul sito stesso.
  Voi avete un diagramma che sintetizza la procedura, che nel caso di segnalazioni anomale prevede che un Comitato tecnico di I.A.B. possa valutare anche eventuali azioni successive. Sino ad oggi non c'è stata la necessità di fare nulla in questo senso, perché le uniche due segnalazioni erano afferenti a realtà estere, UK e US.
  Questo è in estrema sintesi quello che stiamo facendo in una logica di autoregolamentazione. Su questo punto c'è una riflessione importante per noi: il web per sua natura è un mondo continuamente e velocemente in evoluzione, per cui riteniamo come I.A.B. che lo strumento della autoregolamentazione, coinvolgendo ovviamente tutti gli attori opportuni per disciplinare in maniera corretta quanto necessario, sia lo strumento adeguato, laddove invece regole diverse e troppo restrittive potrebbero inibire la capacità di sviluppare un mercato che ogni mese ha delle novità in termini di piattaforme, di tecnologia, di opportunità, di modalità, di scambi di informazioni, di business.
  Riteniamo quindi opportuno promuovere un principio di sviluppo di regole secondo il Codice di autoregolamentazione piuttosto che regole predefinite all'esterno del web, che rischierebbero di inibire la capacità di generare business, quindi potrebbero ostacolare le aziende italiane rispetto ai mercati internazionali.
  Questo è in sintesi quello che stiamo facendo.

  PRESIDENTE. Grazie. Intanto le pongo io una domanda, ma sicuramente ce ne saranno anche altre. Nella sua presentazione lei ha fatto riferimento con il memorandum of understanding a un'attività che concerne il volée della pirateria, quindi audiovisivi e musica.
  Per quanto riguarda invece l'altra metà dell'universo che esploriamo, la contraffazione in senso stretto, cioè la vendita attraverso E-commerce di prodotti contraffatti, dalla pelletteria ai farmaci, passando per tutto il resto dell'universo, avete delle esperienze, fate qualcosa, qual è la vostra posizione?
  Lascio ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE BARUFFI. Grazie, presidente. Ringrazio anche i nostri auditi per la disponibilità e le informazioni. Faccio un paio di sollecitazioni.
  Mi ha colpito che siano state solo due le segnalazioni pervenute, peraltro non riconducibili ad aggregatori italiani. Abbiamo notizia che la Guardia di finanza invece ha intensificato la propria attività rispetto ai collettori di pubblicità, perché ritiene che questa sia la fonte principale di approvvigionamento di risorse per i siti.
  Le chiedo quindi come si tengano queste due cose, cioè la percezione di un mercato diffuso di pubblicità legale che però finanzia un sistema che legale non è, e casi così circoscritti segnalati alla vostra attenzione.
  Capisco che lei rappresenta dei soci, quindi ognuno si comporta di conseguenza, però a quale livello di responsabilità può Pag. 6essere chiamato un aggregatore di pubblicità? Abbiamo infatti la percezione (siamo qui per riscontrarla in un confronto con gli addetti ai lavori) che meglio di altri dispongano di informazioni dirette o indirette per riuscire a valutare l'affidabilità dell'interlocutore e cosa mette in rete sia dal punto di vista di audiovisivi che dal punto di vista della commercializzazione di prodotti diversi, quali quelli richiamati dal presidente.
  Ce ne rendiamo conto perché ad esempio le autorità ci segnalano che questa autorganizzazione è stata molto più forte su altri tipi di violazioni, non quelle della contraffazione ma altro tipo di informazioni illegali di diverso genere. Se quel tipo di filtro può attivarsi rispetto a messaggi che vanno dalla pedopornografia al terrorismo, nei più svariati ambiti del penale, perché questo filtro non può essere utilizzato anche per quanto riguarda il sostentamento di siti che veicolano prodotti piratati o contraffatti?
  È una domanda rilevante per noi, per capire quale risalto possa avere questo nodo rispetto al resto della rete degli attori coinvolti.
  Alla terza domanda che le faccio può rispondere con maggior competenza di altri: voi da un lato avete gli aggregatori pubblicitari, dall'altro questi grandi collettori (Google, Facebook e tanti altri), qual è il rapporto tra i primi e gli ultimi, cioè tra l'inizio e la fine della filiera, tra Google e gli aggregatori pubblicitari, tra Facebook e gli aggregatori pubblicitari, cioè chi colletta la pubblicità e la vende?
  Non è infatti una questione irrilevante capire quale rapporto intercorra tra questi soggetti, al di là del ruolo che voi svolgete quasi in veste istituzionale. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Vorrei fare una piccolissima integrazione dopo aver ascoltato il collega Baruffi: avete come associato Google in quanto aggregatore di pubblicità o in quanto motore di ricerca?

  DANIELE SESINI, Direttore generale di I.A.B. Italia. Tra le realtà rilevanti nel mercato italiano l'unico non associato (penso ancora per poco) è Facebook, tutti gli altri operatori grandi o medio-grandi sono associati, Google è associato a I.A.B in quanto operatore di advertising. Come sapete, è il primo operatore pubblicitario in Italia.
  Non so se aggregatore sia il termine corretto: Google vende pubblicità direttamente in diverse modalità, attraverso le keywords sul motore di ricerca, attraverso un programma di erogazione di banner su siti terzi che entrano nei programmi di Google, quindi attraverso questi due motori genera un volume imponente di ricavi pubblicitari ed è associato in quanto operatore dell’advertising.
  Parto dall'ultima delle sue domande: in realtà il rapporto tra Google e il resto della filiera è un rapporto di molto odio e poco amore, nel senso che la maggioranza degli operatori italiani di pubblicità vede in Google il primo, grande competitor che toglie energie e risorse.
  Non è per tutti così, perché qualcuno riesce a fare qualche soldo collaborando all'interno di alcuni tratti dei processi di lavoro della Grande G, ma sostanzialmente c'è un apporto relativamente conflittuale. Se pensiamo a tutti i publisher italiani, dagli editori classici dei giornali nazionali a una serie di altri operatori, ovviamente per tutti costoro Google è il primo competitor.
  La collaborazione invece tra la Grande G e gli altri operatori è legata al fatto che Google sfrutta i bacini pubblicitari di tutti gli altri operatori (per citare i giornali, Repubblica.it, Corriere.it) e tutti gli altri siti di contenuti editoriali, che quasi sempre ospitano spazi pubblicitari anche gli spazi di Google laddove non c'è un venduto diretto della loro concessionaria.
  Piuttosto che lasciare invenduto uno spazio, infatti, ospitano quasi sempre l'opportunità di erogare pubblicità che viene presa dal motore di Google, quindi in realtà c'è una collaborazione tra la maggior parte degli operatori, delle concessionarie, dei publisher italiani e Google, che è talmente forte e potente da riuscire a entrare anche nei loro bacini pubblicitari.
  Per quanto riguarda la contraffazione di brand e di prodotti, noi non ci occupiamo di E-commerce, ci occupiamo sostanzialmente di advertising, quindi non abbiamo Pag. 7mai avuto tavoli di lavoro o ambiti in cui la discussione toccasse il tema della contraffazione dei prodotti.
  Certo è che Alibaba sta aprendo in Italia, AliExpress è il portale E-commerce di Alibaba, prima si diceva che, se uno sa cercare su AliExpress, non fa fatica a trovare delle Hogan ovviamente contraffatte a 60, 80 o 120 euro, ed è abbastanza curioso che ciò possa accadere.
  Non ci occupiamo né ci siamo comunque mai occupati di questo, ma mi riaggancio all'altra domanda sul tipo di responsabilità che possono avere gli operatori. In quel caso specifico il colosso Alibaba dovrebbe avere la responsabilità diretta di verificare che tutti i propri negozi online non abbiano comportamenti illeciti e illegali.
  Certo non è semplice, perché immagino che Alibaba ospiti centinaia di migliaia di shopper al suo interno e poi ci sono temi di carattere internazionale che io non conosco, ma immagino di intuire la complessità delle cose che voi dovete gestire quando gli orizzonti della discussione valicano i confini nazionali, laddove immagino che sia tutto estremamente più complesso.
  I grossi operatori, Google così come Alibaba, dovrebbero sapere però dove mettono i propri banner, e Google accetta con molta apertura siti che entrano nei programmi di affiliazione perché può erogare i suoi banner, ma Google conosce abbastanza bene tutti i siti, anche i più piccoli, che ospitano banner erogati da lui stesso.
  Non è semplice riuscire a verificare nel tempo che un sito magari piccolo un giorno cominci a fare cose meno corrette, quindi è semplice immaginare un controllo diretto del grande operatore, meno facile operativamente poterlo concretizzare sul campo.
  Per quanto riguarda gli ad network, che possono essere più facilmente gli ambiti in cui si può concentrare il problema di siti con contenuti illegali che ospitano pubblicità, perché i siti più o meno piccoli da soli non si promuovono, non entrano nel circuito delle pianificazioni pubblicitarie e per poter accedere e quindi avere una quota – per quanto piccola – di mercato nella torta pubblicitaria digitale devono entrare attraverso gli ad network.
  Gli ad network sono in piccolo dei Google, cioè non hanno il motore di ricerca, ma aggregano siti esattamente come fa Google, che non è solo motore di ricerca ma aggrega bacini di centinaia di migliaia di siti su cui eroga banner pubblicitari. La stessa cosa fanno gli ad network e hanno lo stesso problema: verificare la qualità, la legalità dei contenuti dei siti più piccoli, e non è così semplice.
  C'è da dire (e qui torno all'altra domanda con cui si chiedeva come mai i casi siano solo due) che la quasi totalità dei siti che entrano nel mercato della pubblicità con la P maiuscola, i 2,4 miliardi di euro di cui parlavamo prima, sono tutti siti che rispettano le regole del gioco.
  I siti che possono ospitare pubblicità di campagne nazionali di clienti che investono soldi veri e fanno le cose per bene all'interno di contenuti non legali ci possono essere, ma tipicamente non si rivolgono al mercato e agli operatori che noi rappresentiamo, non rientrano nei 173 soci che gestiscono correttamente le regole del gioco, hanno bacini pubblicitari, non si possono permettere di perdere quote di mercato attraverso azioni scorrette, perché rischierebbero troppo.
  Quei siti probabilmente fanno parte di network che aggregano campagne a livello internazionale, non sono operatori locali, tanto che i due casi che abbiamo riscontrato sono casi di siti in cui la concessionaria è UK o US, ma fanno capo alla classica realtà che non si sa dove si trova, magari nell'isola in mezzo all'Oceano! Si tratta quindi di situazioni che sono numericamente molto limitate e sono al di fuori del mercato di nostra competenza, quindi ci sono sicuramente ma non fanno parte del mercato pubblicitario con cui noi ci interfacciamo, sono una parte di realtà di coda lunga, ma parliamo di cose estremamente circoscritte.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore, anche se qualcosa comunque non quadra, nel senso che proprio pochi giorni fa abbiamo avuto un incontro con la Guardia di finanza, che ci ha segnalato la presenza in Pag. 8molti casi di inserzioni pubblicitarie fatte anche da primarie aziende della nostra produzione nazionale su siti che offrivano pirateria audiovisiva o prodotti contraffatti.
  Mi rimane quindi da capire come mai abbiate solo due segnalazioni. Qual è il motivo per cui I.A.B si è concentrata con il memorandum sulla parte della pirateria, mentre non ha affrontato il tema dell'E-commerce che veicola prodotti contraffatti?
  In ultimo, abbiamo una situazione comunque in cui l'aggregatore di pubblicità sceglie consapevolmente dove posizionare la pubblicità, quindi perché lei sostiene che siano Alibaba e le piattaforme di E-commerce a dover fare lo screening? Non può essere anche l'aggregatore di pubblicità, il Google o l'altro operatore di turno che fa comunque un posizionamento del suo bagaglio di inserzioni pubblicitarie raccolte su dei siti? Non è in grado di fare anche lui un'attività di selezione?

  DAVIDE BARUFFI. C'è questa asimmetria tra le informazioni e quello che riscontriamo da quanto ci ha detto – e non ho dubbi che sia quanto è emerso –, quindi parto da questo presupposto.
  Abbiamo un grande interesse a comprendere (poi si trovano gli strumenti più adatti e penso anche io che gli accordi piuttosto che la norma abbiano un elemento di flessibilità) come si possa far emergere una filiera responsabile, ci pare di aver capito che sia interesse soprattutto dei grandi marchi (parto da quelli perché hanno qualcosa in più da difendere, ma mobilitano anche più risorse) avere una reputazione salvaguardata anche dal punto di vista di dove mettono la loro pubblicità, non fosse altro perché possono paradossalmente trovarsi a sostenere siti che vendono contemporaneamente anche prodotti contraffatti ai loro concorrenti.
  Da questo punto di vista c'è sicuramente un interesse importante, quindi mi chiedo come a partire da lì si possa ricostruire una filiera di responsabilità. I nostri interlocutori in sede comunitaria ci hanno informato che anche la Commissione ha intenzione di sviluppare un'iniziativa più forte, come Italia abbiamo un interesse ancora più stringente, nell'ambito delle disponibilità date, ad essere capofila in questo, quindi dobbiamo riuscire a far emergere una filiera in cui ciascuno può mettere qualcosa, in cui, facendo ciascuno la propria parte, si riesca a far emergere una linea positiva perché, se invece rimaniamo qui, temo che sarà non il mercato o la politica, ma direttamente la Guardia di finanza a ricostruire responsabilità di tipo diverso.
  Se infatti dopo una segnalazione o due mi rendo conto che il meccanismo si ripropone, comincio a invocare una responsabilità di tipo diverso in carico agli aggregatori di pubblicità. Spero di essere riuscito a spiegarmi.

  DANIELE SESINI, Direttore generale di I.A.B. Italia. Parto dalla prima domanda sulla contraffazione dei brand. Il motivo per cui I.A.B. non è entrata all'interno del tema contraffazione di prodotto di brand è semplicemente appunto che non ci siamo mai occupati in presa diretta di E-commerce, riteniamo che Netcom, l'associazione degli operatori di E-commerce, possa essere la realtà che potrebbe farsi carico di realizzare qualcosa di analogo a quello che stiamo portando avanti in ambito pubblicitario all'interno del mondo dell'E-commerce.
  Venendo all'altra domanda sugli aggregatori, sicuramente lì c'è il problema: siti che possono finanziarsi attraverso la pubblicità erogando contenuti non legali certamente non vanno a bussare alla porta delle grandi concessionarie blasonate dei brand, ma entrano dalla porta di servizio all'interno di ad network che aggregano realtà che a loro volta ne aggregano altre, quindi c'è una filiera articolata, che può prevedere soprattutto per le campagne internazionali dei grandi network (ne cito uno, ma è un esempio assolutamente buono ed è un nostro associato che fa le cose perbene) come iMedia, che è una realtà internazionale.
  Quando LVMH fa una campagna internazionale (a parte che tendenzialmente non investe su iMedia), se dovesse fare una campagna di maggior copertura e investire Pag. 9anche su una realtà tipo iMedia (dico «tipo» perché iMedia fa le cose perbene e non mi viene in mente un altro nome perché sono sicuro che tra i miei soci non ci siano realtà sporche), una campagna su di loro che sono un aggregatore e quindi hanno siti non di proprietà, ma hanno 250 siti in Italia e migliaia in Europa che aggregano grossi, piccoli e medi e parlano di vari temi (finanza, assicurazioni, passioni, montagna, mare, vacanze) e poi li aggregano in bacini pubblicitari secondo affinità tematica, secondo socio-demo degli utenti che navigano o secondo gli interessi presunti dalla navigazione dell'utente, queste realtà possono aggregare a loro volta dei network che a loro volta vendono tanti siti. Come fanno a controllare il sito che sta tre livelli sotto? Diventa difficile.
  Non mi stupisce invece che nel nostro mondo abbiamo due casi, perché il nostro mondo è fatto di realtà pulite, si va dal Corriere e La Repubblica a Quattroruote o Il volante, a Bambinopoli.net, ma sono tutti i siti di contenuti di servizi in chiaro, curati, poi che ci siano giornalisti o contributori è importante ma è irrilevante dal punto di vista pubblicitario.
  Nel nostro caso quindi non mi sorprende che ci siano solo due casi, probabilmente la Guardia di finanza ne ha visti di più e sicuramente ce ne sono molti altri, ma probabilmente andando a guardare dentro immagino che si potrebbe scoprire che fanno capo a circuiti non legati a realtà nazionali, sono riconducibili ad ad network internazionali, quindi le due cose non sono affatto in contraddizione.

  PRESIDENTE. La materia è complessa, ogni giorno impariamo qualcosa. Nel ringraziare il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la documentazione sia pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 16.30.

ALLEGATO

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