XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate

Resoconto stenografico



Seduta n. 57 di Martedì 19 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3 

Audizione del Capo Dipartimento Libertà civili e Immigrazione, prefetto Mario Morcone:
Gelli Federico , Presidente ... 3 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 5 ,
Gelli Federico , Presidente ... 9 ,
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 9 ,
Beni Paolo (PD)  ... 11 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 13 ,
Colonnese Vega (M5S)  ... 14 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 14 ,
Rondini Marco (LNA)  ... 14 ,
Fontana Gregorio (FI-PdL)  ... 15 ,
Gelli Federico , Presidente ... 15 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 15 ,
Gelli Federico , Presidente ... 15 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 15 ,
Gelli Federico , Presidente ... 16 ,
Morcone Mario , Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 16 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 20 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 20 ,
Gelli Federico , Presidente ... 21 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 21 ,
Fontana Gregorio (FI-PdL)  ... 21 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 21 ,
Rondini Marco (LNA)  ... 22 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 22 ,
Gelli Federico , Presidente ... 22 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 22 ,
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 23 ,
Lorefice Marialucia (M5S)  ... 25 ,
Beni Paolo (PD)  ... 25 ,
Gelli Federico , Presidente ... 25 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 25 ,
Gelli Federico , Presidente ... 25 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 25 ,
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 26 ,
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 26 ,
Gelli Federico , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI

  La seduta comincia alle 10.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario, anche su richiesta di un commissario ovvero dell'audito, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. A riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
  Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta tramite web-tv.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Ringrazio il prefetto per la solita disponibilità e per la tempestività con la quale partecipa ai nostri lavori. Ricordo che questa è la quarta audizione con il prefetto Morcone.
  L'incontro odierno consentirà, quindi, di ricevere un aggiornamento a tutto campo sul funzionamento del sistema di accoglienza, predisposto per fronteggiare l'afflusso di stranieri sul territorio nazionale e sulle relative strutture.
  A riguardo, la pregherei di soffermarsi, nella sua relazione introduttiva, anche sulla prima fase di funzionamento degli hotspot, che è l'attenzione particolare su cui noi stiamo rivolgendo la nostra attività, anche per le visite e le indagini che abbiamo svolto in questi ultimi settimane. È, infatti, interesse della Commissione acquisire su questo aspetto elementi di conoscenza integrativi a quelli già assunti nel corso della nostra attività di indagine e dei sopralluoghi svolti nei centri di Taranto, Trapani e Pozzallo. Nei prossimi giorni, il quadro sarà completato con la visita al centro di Lampedusa.
  L'obiettivo di questa prima attività istruttoria è la predisposizione di una relazione sull'operatività in Italia dell'approccio hotspot, come definito dalla roadmap europea, primo tassello di un mosaico più ampio di inchiesta che la Commissione ha strutturato in sette filoni di indagine, ma qui non mi soffermo oltre modo perché l'abbiamo ripetuto in tutte le salse.
  Senza voler anticipare le valutazioni di questo organo parlamentare, rilevo che i sopralluoghi fin qui effettuati hanno comunque evidenziato la necessità di mettere a regime i meccanismi della primissima accoglienza. Da un lato, si pone un problema di funzionalità delle strutture utilizzate. Mi limito a ricordare i limiti e le difficoltà logistiche legate all'uso di tende a Taranto, per esempio, ovvero di un edificio a Pozzallo che appare inidoneo a tale funzione, almeno nell'utilizzo – mi riferisco a quello di Pozzallo – che ne viene concretamente Pag. 4 fatto e che è caratterizzato dalla permanenza nel centro per periodi non brevi. Sappiamo bene che la struttura di Pozzallo aveva altre finalità quando è stata realizzata.
  Ancora più singolari ci sono apparse le peculiarità – per non dire le incongruenze – che si sono registrate nelle fasi di affidamento e gestione dei centri, come abbiamo anche cercato di documentare con le audizioni dei prefetti, dei soggetti gestori e delle associazioni che operano all'interno di questi centri. Mi riferisco al modulo operativo di Taranto, fondato sull'impostazione di puro volontariato, con cui il comune assicura i servizi alla persona, ma altrettanto perplessi lascia la scelta, a Trapani, di utilizzare la convenzione riferita al preesistente CIE. Infine, siamo a conoscenza delle enormi difficoltà di gestione del meccanismo adottato a Pozzallo, che è fondato sul conferimento al comune del compito di affidare la gestione del centro.
  Resta, quindi, il dubbio che le diverse opzioni gestionali non siano il frutto di una valutazione ponderata, ma derivino da circostanze locali e amministrative estemporanee, che dovrebbero essere, invece, razionalizzate e standardizzate, in nome del buon funzionamento di strutture di accoglienza di primaria importanza.
  In questa analisi, si innesta poi la decisione governativa, almeno per quanto lei ci accennò e di cui abbiamo avuto in qualche modo la conferma dall'ultimo sopralluogo che abbiamo fatto al CARA di Mineo, di dedicare una sezione dell'attuale struttura che ospita il CARA di Mineo alle funzioni di hotspot. Come le è noto, sulla scelta si addensano critiche, avanzate anche degli stessi rappresentanti istituzionali locali, e non le nascondo che la stessa delegazione della Commissione ha espresso forti perplessità, se non nette contrarietà, su queste ipotesi, che penso e spero possano essere in qualche modo fugate in questa sede, rispetto alle considerazioni che lei vorrà fare.
  Aggiungo, a questa nota formale, gli aspetti che sono emersi nella visita al CARA di Mineo e che sono stati palesemente, in qualche modo, dimostrati dalla visita stessa, dal nostro colloquio e dal sopralluogo, sia delle strutture del comune sia delle strutture gestite in modo abbastanza autonomo dai soggetti ospitati all'interno di queste villette. Mi riferisco soprattutto alla complessità di quell'ambiente con un'alta percentuale e un'alta concentrazione di residenti e alla quasi l'impossibilità di governare i processi e i sistemi in quel centro.
  Obiettivamente abbiamo avuto modo di vedere delle specie di banchetti, dove si commercializzano – e non si capisce bene con quale merce di scambio – prodotti, vestiario e attività che non sono certamente di natura legale, così come abbiamo spesso constatato un'autonoma gestione delle singole villette. Abbiamo incontrato, dividendoci per gruppi, nuclei che non si capiva bene se fossero familiari o meno, dove addirittura una signora ci offriva del caffè, che era stato preparato molto probabilmente con fornellini a gas dentro la struttura, con l'eventuale rischio ovviamente per l'incolumità degli stessi ospiti, quindi si tratta di una struttura in uno stato veramente molto preoccupante, anche dal punto di vista igienico-sanitario.
  Abbiamo uno dei nostri consulenti, che un è medico e che fa questo di mestiere, anche perché io sono in aspettativa, quindi non mi permetto di entrare, ma non posso certo negare che i requisiti igienico-sanitari, per esempio, della struttura della mensa non sono certamente, a mio avviso, idonei per garantire pasti per una dimensione così grande, come d'altronde succede quando le strutture sono di grandissime dimensioni e, quindi, hanno grossi problemi organizzativi. Non ne facciamo certo una colpa alla buona volontà di alcune di quelle persone e dei volontari che operano là dentro, ma è chiaro che quello non può essere il modello.
  Alla luce di tutto questo, signor prefetto, noi siamo veramente molto preoccupati e le nostre preoccupazioni sono state anche alimentate dalle audizioni di altre istituzioni pubbliche, che sono venute in audizione, a partire dai procuratori della Repubblica sia di Catania sia di Caltagirone, che si sono espressi in maniera nettamente Pag. 5contraria all'ipotesi che in quei concentrato di umanità molto difficile possa addirittura essere allocata un'altra tipologia di sistema d'accoglienza, quella appunto dell’hotspot.
  Non entro nel merito – poi, i colleghi, se lo vorranno, lo potranno chiedere – della questione della logistica e della distanza dal porto. Insomma queste sono altre cose che ovviamente sono abbastanza semplici da valutare e da considerare, però abbiamo una perplessità ed è per questo motivo che le abbiamo chiesto – e la ringraziamo nuovamente per essere qui con noi – di spiegarci meglio i vostri propositi e cosa pensate di fare, anche rispetto al tema degli hotspot nella sua dimensione generale e rispetto alla gestione soprattutto del CARA di Mineo.
  Aggiungo e termino, scusandomi della lunga prefazione che credo serva anche agli altri colleghi, perché non erano presenti all'ultima missione che abbiamo fatto, dicendo che, a nostro avviso, quella struttura del CARA di Mineo non solo non dovrebbe ospitare l’hotspot, ma dovrebbe essere gradualmente svuotata e abbandonata.
  Ora, ci rendiamo conto che stiamo gestendo una situazione difficile, con un incremento degli sbarchi e con una difficoltà oggettiva. Non siamo ovviamente fuori dal mondo perché ne siamo totalmente coscienti e consapevoli, quindi non vogliamo che, domani mattina, venga chiuso il CARA di Mineo. Tuttavia, a partire dalle fasi che andranno, come si spera, a scemare nel corso dell'autunno, per cui molto probabilmente ci sarà, come è successo negli anni passati, nel 2015 e nel 2014, una diminuzione dell'afflusso degli arrivi, forse bisognerebbe pensare a una graduale chiusura della stessa struttura del CARA di Mineo. Lo dico perché, a nostro avviso, quella è una struttura che ha veramente grande complessità.
  Non mi soffermo – lì c'è un'inchiesta della magistratura – su tutti gli aspetti legati all'attività di gestione, alle cooperative eccetera, che hanno dimostrato quanto sia complicata una situazione di quelle dimensioni e di quella tipologia di struttura.
  Do la parola al prefetto Mario Morcone per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Grazie, presidente e onorevoli parlamentari, per l'opportunità che mi date questa mattina ancora di fare il punto sulla situazione e, in particolare, sulle questioni che il presidente ha posto.
  Rapidissimamente cerco di correre sul tema generale dell'accoglienza, per poi trattenermi sul tema degli hotspot e, infine, sul tema specifico del CARA di Mineo.
  Per quanto riguarda l'accoglienza, vorrei dire che, a ieri, quindi al 18 luglio, sostanzialmente noi abbiamo dovuto dare accoglienza a 79.861 migranti, e cioè sono sbarcate 79.861 persone, che rappresentano addirittura una piccola percentuale in meno rispetto allo scorso anno. Abbiamo, invece, in accoglienza complessivamente 135.583 persone. Questi sono dati che potete naturalmente riscontrare anche sul sito del Ministero e che sono a disposizione in primo luogo della Commissione, ma anche di tutti coloro che vogliono aggiornarsi.
  Il paradosso – lasciatemelo dire – è rappresentato proprio dal fatto che, in un Paese come l'Italia, abbiamo in accoglienza 135.000 persone circa e che questo determina – questa è la verità – una forte sofferenza sui territori; su un Paese di 60 milioni di abitanti, 135.000 persone circa determinano una forte sofferenze sui territori.
  Lascio a voi le considerazioni da fare. Io posso dire che certamente c'è una dichiarata sofferenza forte in tutto il Veneto. È di queste ore anche una qualche difficoltà o polemica in particolare, per esempio, a Bagnoli di Sopra in provincia di Padova, una località al confine con la ex caserma della frazione Conetta di Cona, che è in provincia di Venezia. C'è una sofferenza in Lombardia sulla città di Milano, dove andrò, il 26, in visita. C'è una sofferenza in Campania, dove incide una particolare diffusione del malaffare e c'è la difficoltà di trovare strutture affidabili e trasparenti sul terreno dell'accoglienza. Pag. 6
  Certo, voi comprendete come sia un paradosso che un Paese, come l'Italia, di 60 milioni di abitanti debba vivere questa difficoltà in maniera così pesante per 135.000 persone; di questo, stiamo parlando.
  I criteri che noi stiamo utilizzando sul terreno dell'accoglienza sono sempre gli stessi. Siamo ancorati fortemente alla decisione della conferenza unificata del 10 luglio 2014, quindi ci sforziamo comunque di garantire una diffusione dell'accoglienza sui territori nonché una partecipazione e una solidarietà per l'accoglienza in tutte le regioni italiane, nessuna esclusa! O forse esclusa la Valle d'Aosta. In questo ultimo caso, le esigue disponibilità fornite rimangono ancora un punto francamente oscuro della capacità di risposta e di una minima solidarietà di alcune nostre istituzioni nazionali.
  Detto ciò, quella del Ministero e del Dipartimento, come tutti sanno, è una policy di diffusione dell'accoglienza e, in primo luogo, di crescita forte dei progetti dello SPRAR, cioè dei progetti comunali che noi riteniamo, come seconda accoglienza, essere sicuramente il percorso migliore. Come sapete, abbiamo fatto un bando ad hoc e, purtroppo, siamo riusciti ad assegnare solo la metà dei posti richiesti. Ciò nonostante, non ci siamo fermati poiché è già all'esame della conferenza unificata e spero che passi il giorno 21, altrimenti nella seduta immediatamente antecedente al periodo feriale, un decreto del Ministro dell'interno, dove semplifichiamo ulteriormente le procedure di accesso allo SPRAR, accreditando stabilmente i progetti che comunque sono stati presentati con sufficienti requisiti e sempre sulla base della volontarietà dei sindaci, e semplificando i percorsi di coloro che vogliono partecipare a questo tipo di d'accoglienza di secondo livello.
  Quella è la strada e, a fronte di tale strada, nella quale al momento sono impegnati poco più di 800 sugli 8.100 comuni italiani, rimane una forte, significativa e imponente presenza di strutture aperte temporaneamente. Di questo, non siamo affatto contenti, anche se evidentemente si pone la necessità di operare attraverso le gare dei prefetti e attraverso la distribuzione regionale, che i tavoli regionali assicurano nei vari territori.
  Come anticipato dalla stampa e dal Ministro Alfano, probabilmente avrete letto anche voi l'idea di creare anche delle premialità per i comuni che accolgono e, in particolare, per i comuni che accettano di portare avanti i progetti SPRAR, fermo restando che la policy del Ministero e del Dipartimento è quella di garantire comunque la più ampia diffusione sul territorio. In effetti, due persone per ogni 1.000 abitanti sono 120.000 persone in accoglienza, mentre, se consideriamo tre persone per ogni 1.000 abitanti, dobbiamo calcolare 180.000 persone ospitabili annualmente in accoglienza. Si tratta di macro-parametri, che vanno poi ridisegnati sulle varie realtà territoriali, ma danno il senso concreto di quanto alla discussione molto vivace tra le forze politiche corrisponda una realtà poi diversa da quella che viene rappresentata.
  Questa è la strada che abbiamo scelto e che percorreremo, anzi che stiamo già percorrendo, perché, come vi ripeto, il decreto del Ministro Alfano che dispone in tema dello SPRAR e della semplificazione delle procedure, immagino sarà accolto prima della chiusura feriale. Gli incentivi per i comuni dovranno essere oggetto nella conversione in legge del decreto-legge sugli enti locali attualmente in discussione. Se non ce la faremo, com'è probabile, saranno sicuramente oggetto di una rinnovata richiesta per la legge di stabilità.
  Detto tutto questo, in questa situazione – vi ripeto, con una partecipazione limitata di progetti comunali, rispetto al complessivo dell'accoglienza – sono rimaste in piedi alcune pesanti eredità. Parlo di pesanti eredità, anche perché io non voglio rinnegare niente, ma evidentemente quelle di Mineo, di cui parleremo dopo, si sono presentate, o almeno io le ho riscontrate, solo nel 2014, quando sono arrivato. Devo dire che è certamente nella mia responsabilità la realizzazione di centri come quello di Crotone, che non è il centro di Mineo, ma è comunque molto importante per i numeri e per la dimensione. Così come quelli in provincia di Foggia a Borgo Mezzanone Pag. 7 e a Bari. È vero, questi sono i centri che non vorremmo più, però non siamo ancora in grado di alleggerire la presenza dei migranti.
  Passiamo un attimo al tema degli hotspot, che forse più di vostro diretto interesse, almeno questa mattina, perché poi tutto è sempre di diretto interesse vostro. Per quanto riguarda gli hotspot, è noto che nella Commissione europea, ma anche nei singoli Paesi partner, si spinga fortemente per realizzazione di queste strutture, che nient'altro sono che punti di sbarco, dove, in realtà, la primissima accoglienza viene assicurata assieme alle due agenzie europee di Frontex e EASO: Frontex, per gli aspetti di identificazione di polizia; EASO, per gli aspetti relativi all'asilo, cioè alla richiesta e alla realizzazione della documentazione per la richiesta d'asilo.
  In più, naturalmente sono presenti, oltre che le istituzioni italiane, anche le due agenzie più grandi sul piano internazionale, che sono l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e la IOM, cioè l'Organizzazione internazionale per le migrazioni.
  Noi abbiamo cercato di realizzare queste strutture – per dare attuazione anche agli impegni presi a Bruxelles – nei punti che ci sembravano più idonei. Lampedusa – credo che la vedrete nelle prossime ore – era già naturalmente un hotspot. Quindi è stata identificata come hotspot. Per Trapani – poi, vedremo il problema del contratto, perché ne parlerò col collega di Trapani e lo verificheremo – abbiamo preferito utilizzare una struttura già destinata a diventare un CIE. Tale struttura naturalmente non ha niente di un CIE, ma ha semplicemente gli spazi e la qualità complessiva dell'area che ci consentivano di realizzare questo tipo di primissima accoglienza.
  Lo stesso sostanzialmente è stato fatto su Taranto. Sul porto è stata convenuta, con l'autorità portuale, la realizzazione di un'area sulla quale impiantare delle strutture; alcune sono strutture fisse e altre sono tensostrutture. Infine, c'è la situazione di Pozzallo.
  Queste sono tutte strutture dove le persone dovrebbero trattenersi il minimo possibile: il tempo fisico dell'identificazione, della richiesta o della manifestazione della volontà di chiedere asilo, dello screening sanitario. Naturalmente, i grandi numeri o la necessità di suddividere queste persone nei vari centri di accoglienza in Italia possono determinare una permanenza più lunga di quella che magari si è immaginata.
  Per quanto riguarda Pozzallo, in particolare, voglio fare presente che quello era lo spazio che avevamo e che, grazie alla disponibilità del Sottosegretario del Ministero dell'economia e delle finanze con delega per le dogane, abbiamo ottenuto una parte del capannone adiacente e si stanno già avviando i lavori per l'ampliamento della struttura di Pozzallo, che rimane comunque limitata, ma che certamente avrà degli spazi e dei servizi migliori a breve. In più, il prefetto sta attrezzando una struttura regionale, non lontano da Pozzallo, dove poter mettere in piedi il progetto. Si tratta di una struttura regionale in ottime condizioni, che, però, va ripulita e rimessa in funzione come serbatoio ulteriore per accogliere le persone.
  Vorrei far presente che comunque le quattro strutture hotspot attualmente in esercizio non possono essere sufficienti. Non lo sono e non lo possono essere, non solo perché ce lo chiede Bruxelles e ce lo chiede tutte le settimane, ma soprattutto perché ci sono momenti e situazioni particolari. Vi riporto l'esempio, a memoria, del 24-25 maggio: in tre giorni, abbiamo avuto sbarchi per oltre 10.000 persone. Ora, quando, per esempio, gli eventi sono oltre trenta e gli arrivi sono di 10.000 persone, voi comprendete benissimo che, con quattro hotspot, è impossibile, qualunque fosse l'organizzazione, riuscire ad accogliere e a smistare in tempi rapidi tutte queste persone, per cui si è costretti a utilizzare altri porti.
  In merito, vorrei richiamare subito la questione relativa ad Augusta. Quello di Augusta è uno dei porti naturalmente destinati a questo scopo e lo è per una sua condizione fisica, (perché ha fondali alti ed è molto riparato dai venti e dal mare). Per cui l'intento del Dipartimento è stato quello di fare un hotspot ad Augusta, dove tutti i Pag. 8comandanti di nave vorrebbero andare e dove le richieste vengono indirizzate. Naturalmente noi cerchiamo di suddividere equamente sui vari porti gli sbarchi, ma molto spesso siamo anche costretti ad accettare le richieste che ci vengono fatte. Ad Augusta, come sapete meglio di me, ci abbiamo provato, ma evidentemente vicende, che hanno avuto risvolti diversi, ci hanno impedito di realizzare l’hotspot. Per cui, di fatto, rimane una sorta di struttura di accoglienza, anche – se posso dirlo – precaria, che non possiamo eliminare perché i comandanti di navi, soprattutto della Marina militare, ma non solo, comunque pretendono di andarci in casi di necessità ben precisi e il Codice della navigazione dà loro ragione.
  Poi, utilizziamo normalmente Palermo. Ma qui abbiamo le proteste dell'autorità portuale, perché evidentemente, soprattutto nella stagione estiva, c'è un forte movimento turistico, per cui non possiamo compromettere non solo l'aspetto commerciale, ma anche quello turistico. Poi, cerchiamo di non utilizzare, o di farlo solo quando è necessario, Catania, che ha lo stesso problema appena citato di Palermo. Quindi gli hotspot, sia a Palermo che a Catania, sono un problema assolutamente rilevante, dove rischiamo di creare difficoltà con l'Autorità portuale e di sacrificare aspetti di sviluppo economico.
  Stiamo andando qualche volta, quando riusciamo a trovare la nave disponibile, anche a Cagliari, come vi è noto. Qui vorremmo creare una struttura di tipo hotspot. Io andrò a Cagliari, il 2 agosto, per un incontro con i prefetti e soprattutto col presidente della Regione, per cercare di costruire un'intesa sulla possibile realizzazione di una struttura di prima accoglienza da individuare o sul porto di Cagliari o nelle immediate vicinanze del porto.
  Lo stesso avviene su Reggio Calabria, dove siamo costretti, spesso, a sbarcare i migranti. Con il sindaco di Reggio Calabria e con il prefetto, abbiamo già convenuto sul fatto che una struttura confiscata alla criminalità organizzata nelle immediate vicinanze del porto sarà utilizzata come hotspot. Quindi, una volta che ci verrà data dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, l'attrezzeremo a questo fine.
  Non mi pare che ci siano, invece, spazi per fare un hotspot a Crotone.
  Complessivamente la situazione è questa: abbiamo quattro hotspot e ne dobbiamo realizzare altri. Abbiamo la forte opposizione ad Augusta e a Palermo e alcune difficoltà a Cagliari da superare. Poi, c'è la vicenda di Mineo.
  Vorrei parlare, ora, di Mineo, fermo restando che complessivamente – vorrei insistere su questo tema – non si può continuare a pensare che, negli hotspot, chissà quale attività si svolga. Negli hotspot, si svolge un'attività di primissima accoglienza e niente di più. Quello che facevamo prima è sostanzialmente rafforzato e certificato dalle agenzie europee, per quanto riguarda l'identificazione. Lo dico perché l’hotspot nasce a seguito anche dei dubbi o delle preoccupazioni delle Commissione europea sul fatto che noi identificassimo tutti i migranti. Questo è ancora motivo, in qualche modo, non dico di polemica aperta, ma di sospetto certamente, quando non riusciamo a sbarcare i richiedenti asilo e i migranti negli hotspot e siamo costretti a scegliere, come dicevo prima, altri porti, come quello di Palermo, Reggio Calabria, Messina eccetera. Vi ripeto: questa è la situazione.
  Quella di Mineo, come accennavo prima, è un'eredità che abbiamo trovato nel 2014. La vicenda è nota a tutti e la nostra buona fede è dimostrata dai fatti e dai comportamenti. Nell'autunno-inverno di quest'anno, a Mineo il numero è sceso a 1.600 persone. Non solo il numero si è abbassato a 1.600 persone, ma abbiamo avuto anche, non dico le proteste, ma comunque le preoccupazioni di chi gestisce Mineo, perché il break even, come si dice in termine aziendalistico, di Mineo è intorno alle 2.000 persone: al di sotto delle 2.000 persone, si va in difficoltà per la gestione.
  Certamente, il nostro auspicio e la nostra speranza sono di eliminare non solo Mineo, ma tutti i centri così grandi, che ospitano numeri troppo importanti. In Pag. 9questo momento, non siamo assolutamente in condizione di farlo, nel senso che non saprei assolutamente immaginare l'ospitalità delle persone in un luogo diverso.
  Detto questo, vorrei passare al tema dell’hotspot. A Mineo, stiamo facendo dei lavori, peraltro d'accordo con la proprietà. Quindi non si porrà il problema di Augusta, dove addirittura ci hanno denunciato alla procura della Repubblica, per il solo fatto di avere indetto una gara senza il consenso dell'autorità portuale. Lo dico perché vorrei che fosse chiaro alla Commissione che questo è il clima. Ci hanno denunciato alla procura della Repubblica semplicemente per avere avviato una gara senza il consenso dell'autorità portuale, anche se poi si è visto qual era il problema.
  A Mineo, invece, siamo d'accordo con la proprietà e, d'intesa con la proprietà, stiamo rafforzando una sezione della struttura, dal punto di vista della recinzione e dei servizi, e la stiamo ripulendo cercando di migliorarla.
  L'idea era certamente anche quella eventualmente di utilizzarla come hotspot, ma come struttura separata dal resto del centro di Mineo. Per esempio per persone vulnerabili, per famiglie, per minori, cioè per quello che può servire o per l'accoglienza di persone che devono essere tenute separate dal resto della struttura.
  Naturalmente non spetta a me – e non intendo in nessun modo arrogarmi questo ruolo – stabilire se sarà o non sarà un hotspot. Lo deciderà l'autorità politica e io farò quello che il Governo mi dice di fare.
  Noi stiamo semplicemente rafforzando e separando, in maniera più netta e più funzionale, questa sezione dal resto della struttura. Lo stiamo facendo d'intesa con la proprietà della struttura di Mineo, per evitare una denuncia alla procura della Repubblica, che, come vi ripeto, c'è già stata e che, anche se era solo una bandiera, comunque può procurare fastidio, perché quella non è esattamente la risposta che ti aspetti dalle autorità locali.
  Detto questo, la decisione sull'utilizzo di Mineo come eventuale hotspot o meno è una valutazione, che – lo ripeto – rimetto al mio Ministro e che probabilmente comunicherà il mio Ministro, quando la avrà valutata.
  Anch'io conosco le osservazioni che sono state oggetto di una lettera diretta al Ministro e anche, per conoscenza, a me e al capo della Polizia. Sto parlando delle osservazioni del procuratore generale della Corte d'appello di Catania, che raccoglieva anche le preoccupazioni della procura della Repubblica di Caltagirone e di Catania stessa. Per l'amor di Dio, ne ho la massima considerazione e mi riservo anche di fornire elementi di valutazione al procuratore generale della Corte d'appello di Catania.
  Per il resto, permettetemi di sottolineare, mi sembra che che siamo in uno schiaccianoci. Da una parte, c'è la Commissione europea, che ci chiede, ufficialmente e con forza, comunque la più ampia utilizzazione possibile di queste strutture hotspot sui porti italiani. Poi, ci sono gli eventi contingenti, che ci costringono a considerare tutti i porti di sbarco: in Sicilia o, quando ci va bene, a Cagliari (perché mandare una nave a Cagliari rappresenta, ogni volta, una battaglia), e qualche porto calabrese o, qualche volta, il porto di Taranto. Rispetto a questi porti, abbiamo, come ricordato, un'ostilità aperta di Augusta e di Palermo e una difficoltà a Cagliari. Abbiamo trovato, per fortuna e grazie al sindaco, che voglio pubblicamente ringraziare, un'intesa a Reggio Calabria.
  Dunque, con questi pastori dobbiamo fare il presepe.
  Mi fermo qui e naturalmente sono pronto a rispondere a tutte le vostre domande.

  PRESIDENTE. Grazie, prefetto. Noi abbiamo circa un'ora. Il perfetto ci ha dato la disponibilità di venire in tempi rapidi, ma aveva accumulato ovviamente altri impegni, per cui è riuscito a ritagliarsi questo spazio, anche se in un'ora si possono dire tante cose.
  Vi pregherei di intervenire con domande mirate e specifiche, senza fare relazioni.

  GIUSEPPE BRESCIA. Grazie, Presidente. Le questioni da sollevare sono veramente Pag. 10 tante, quindi cercherò di andare veloce.
  Dottor Morcone, noi capiamo perfettamente l'estrema complessità della gestione del fenomeno e nessuno si sogna di dire che questo fenomeno si possa gestire facilmente, però c'è anche da dire, come mi pare anche dalle sue parole si potesse evincere, che appunto i numeri, per la forza e la quantità dei cittadini italiani, non sono numeri di allarme e non sono numeri di emergenza. Stiamo parlando di 135.000 persone circa da accogliere su un territorio, che appunto ha 60 milioni di abitanti, quindi questi sono numeri perfettamente gestibili.
  Io le chiedo, come prima domanda di carattere generale, qual è la difficoltà che voi incontrate a fare questo cambio di rotta, rispetto a tante cose giuste che ho sentito dire. Voi non volete grandi centri, però i grandi centri continuano ad esistere. Non volete che il 70 per cento delle strutture siano centri di accoglienza straordinaria, quindi temporanea, perché tutti quanti hanno capito che questo problema è un fenomeno da affrontare in maniera strutturale, però non riuscite a convertire questo dato. Qual è la difficoltà? Voi siete il Governo e dovreste poter riuscire – ovviamente parlo per interposta persona – a farlo, quindi quali sono le difficoltà maggiori che non riuscite a superare?
  Per quanto riguarda il rapporto con l'Unione europea, ci hanno detto, che in questa roadmap, che non è una legge, ma è un accordo fatto con l'Unione europea, sia prevista l'istituzione degli hotspot sul territorio nazionale. A nostro avviso, la primissima cosa da fare era una legge nazionale che regolamentasse gli hotspot, perché non si possono istituire delle strutture sul territorio, senza che il Parlamento decida come queste strutture debbano funzionare, quindi la prima cosa doveva essere questa.
  Dopodiché, all'Unione europea, si doveva chiedere di rispettare gli impegni che la stessa si era presa nei confronti dell'Italia e della Grecia, in termini di ricollocamenti, per esempio. Lo dico perché gli hotspot dovrebbero funzionare anche in termini di ricollocamenti. I ricollocamenti non avvengono e noi, invece, ci – lasciatemi passare il termine – «sbattiamo» a trovare dei posti in Italia, dove realizzare questi hotspot, anche con la fretta e senza aspettare che il Parlamento faccia una legge.
  Per quanto riguarda Mineo, posso dirvi che ci siamo stati pochi giorni fa. La situazione, che è stata già descritta dal Presidente in maniera eccellente, è gravissima. Tutti i soggetti che abbiamo audito hanno scongiurato la realizzazione dell’hotspot e mi pare che abbiate recepito questa preoccupazione. Credo che il fatto di separare le due zone, per ospitare, per esempio, persone vulnerabili, possa avere molto più senso, fermo restando che è l'obiettivo definitivo deve essere quello di dismettere quel centro perché non è assolutamente adeguato a svolgere la funzione che dovrebbe svolgere, ossia quello dell'accoglienza dignitosa in un Paese civile come l'Italia.
  A riguardo, voglio ribadire in questa Commissione una cosa che si è detta per un problema che è stato affrontato nella visita ad Augusta.
  Per fortuna – lo dico perché, alla fine, è stata solo fortuna – ci siamo ritrovati davanti a un caso di un ragazzo vulnerabile, di cui poi le passiamo anche il nominativo e che attualmente risulta essere ancora senza badge. Abbiamo fatto delle verifiche, attraverso un'associazione umanitaria, e constatato che, presente all'interno della struttura, questo ragazzo ha dei problemi gravissimi di natura psichiatrica, quindi dovrebbe essere subito segnalato e magari spostato in uno SPRAR, anche se sappiamo che non ci sono posti disponibili eccetera. Fatto sta che questo ragazzo, presente nella struttura, parla solo la sua lingua, che non è una lingua europea, e rappresenta assolutamente un caso da tenere in considerazione. Ci risulta che questo ragazzo non possa neanche mangiare all'interno della struttura perché non ha il badge, quindi glielo segnaleremo.
  La considerazione su Mineo, in generale, è: vorremmo rassicurazioni sul fatto che non si faccia più l’hotspot e che, in un futuro non troppo lontano, appunto il centro venga dismesso. Pag. 11
  Per quanto riguarda Augusta, ovviamente noi siamo in prima persona coinvolti, come soggetto politico, in merito al porto di Augusta. Ci sono due problemi principali.
  Uno di questi è che la struttura temporanea è stata allestita all'interno del porto commerciale. Mi chiedo, visto che lei ha detto che è la Marina che lo sceglie come porto di sbarco, per quale motivo al mondo non si va negli spazi della Marina militare a effettuare lo sbarco. Tali spazi avrebbero anche la possibilità di fare questa primissima accoglienza. Perché si è scelto di farlo all'interno del porto commerciale, che è destinato a tutt'altro? Questo è il primo punto.
  Il secondo punto è ancora più importante, non per il Movimento 5 Stelle né per il sindaco di Augusta, ma per i minori non accompagnati, che sono ospitati, in questo momento, in quelle strutture. Noi abbiamo potuto vedere con i nostri occhi in quali condizioni igienico-sanitarie questi si trovino. Dal 6 luglio, ci sono 60 minori non accompagnati in quelle strutture, dove possono essere ospitate circa 300 persone, ma si arriva a ospitarne 700 o 800, in base agli sbarchi, e ci sono sette bagni chimici.
  Ovviamente, noi abbiamo mandato ieri una lettera – il protocollo è il n. 40385 – al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'interno, per informarli che, per quella situazione, non è più procrastinabile la ricerca di una soluzione, quindi vi chiedo come state pensando di affrontare soprattutto la questione dei minori non accompagnati.
  Ho da porre altre tre domande flash. A Ventimiglia, come state pensando di gestire la situazione? Lo chiedo perché quella è una situazione molto particolare, in cui c'è una città che ha soltanto la sfortuna di essere capitata al confine. Si tratta appunto di un piccolo comune che si è ritrovato con una forte presenza di transitanti. Come, quindi, state cercando di risolvere il problema dei transitanti?
  Per quanto riguarda Taranto, prendo spunto dalla situazione particolare che c'è. Taranto, come sapete, ha enormi problemi di natura ambientale, per il forte inquinamento derivante dalle emissioni dell'Ilva. Il punto in cui è stato collocato l’hotspot risente in maniera molto forte di questi problemi, tant'è che le strutture sono completamente ricoperte di materiale nocivo, così come il quartiere Tamburi, che è prossimo appunto alla fabbrica. L’hotspot, che è all'interno del porto, è ancora più vicino, quindi c'è anche un problema di questa natura. Le chiedo, dunque, quali sono stati i criteri che avete adottato per l'individuazione dell’hotspot di Taranto.
  Ho un'ultima domanda sugli SPRAR. Aveva detto, durante l'ultima audizione, che avreste riaperto il bando, quindi le chiedo a che punto è la riapertura di questi bandi.

  PAOLO BENI. Ringrazio il dottor Morcone per la sua disponibilità. Ho tre domande da porre. Cercherò di essere breve, però vorrei fare una premessa a tutte tre le domande. In parte, è già stato detto dal collega Brescia, ma anch'io vorrei premettere che sono sicuramente condivisibili e molto apprezzabili – e penso che sia ormai anche una valutazione dell'intera Commissione, per il lavoro che abbiamo fatto fin qui – le considerazioni che il prefetto Morcone faceva, rispetto alle scelte di fondo: abbandonare la logica emergenziale e la politica delle grandi strutture per puntare sull'accoglienza diffusa ed elevare a modello, perché deve essere il modello ordinario e prioritario della seconda accoglienza, lo SPRAR, ma anche la considerazione che 130.000 circa persone in accoglienza in un Paese come l'Italia non possono e non dovrebbero essere un problema insostenibile.
  Queste sono tutte cose che condivido perfettamente e questa non è la prima volta che ne discutiamo, anche con il prefetto Morcone. Il problema è capire perché poi, di fatto, questo non succede. Non riusciamo a invertire la proporzione e ne discutemmo con il Ministro Alfano esattamente un anno fa. Il 70 per cento di CAS e il 30 per cento di SPRAR sono diventati 80 e 20, anziché essere invertiti. Questo è un problema e lo sappiamo tutti, per cui non sto a farla lunga. Pag. 12
  Arrivo alle tre domande. Le chiedo un'opinione sulla scelta fatta nel 2014, cioè la ripartizione per quote regionali, in sostanza, che, dopo qualche fatica nella fase iniziale, è stata in qualche modo rispettata in tutte le regioni, per cui, oggi, le proporzioni sono del 13 per cento in Lombardia eccetera. Non sarà che questa ripartizione non è sufficiente e che bisogna creare una ripartizione vincolante, che si pone l'obiettivo di avere dei parametri relativi ai comuni, cioè non basta dire che il 13 per cento deve essere accolto dalla Lombardia, ma bisogna scendere più in dettaglio, perché, all'interno delle stesse regioni, ci sono delle difficoltà oggettive.
  Per esempio, la mia regione, la Toscana, che non ha avuto finora grossi problemi e ha risposto per le richieste che le si facevano sul terreno dell'accoglienza, ha ancora una fetta di comuni che non danno la propria disponibilità.
  Il problema è come trovare un meccanismo che vincoli e che non scarichi sui prefetti, perché, se scarichiamo sui prefetti il problema, la logica emergenziale, che ha abbandonato la direzione centrale, rischia di riproporsi sul territorio. È chiaro che il problema è che la mediazione con il territorio deve essere fatta dalle istituzioni del territorio, per cui non è sufficiente la regione e bisogna trovare un meccanismo che impegni direttamente i comuni, o almeno lo credo.
  La seconda questione riguarda i dati. Premesso che non può essere un'emergenza insostenibile quella dei 130.000 e che su questo io sono d'accordo, noi dobbiamo interrogarci del perché, in presenza di un andamento degli arrivi, cioè degli sbarchi, che non è in aumento, anzi è in lieve riduzione, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, si gonfi in maniera così evidente il sistema della permanenza e dell'accoglienza, cioè gli sbarchi sono gli stessi dell'anno scorso e anche un po’ meno, perché da 103.000 del 31 dicembre siamo arrivati a 135.000, quindi evidentemente c'è un problema. La situazione è come quella di un circuito idraulico, in cui si pompa acqua e c'è un tappo dall'altra parte, per cui l'acqua non esce e, alla fine, il circuito scoppia.
  Io penso che, in tal senso, ci siano due problemi essenzialmente. Innanzitutto, il fatto di aver rafforzato e potenziato le commissioni territoriali ha finito per spostare il problema sui ricorsi giurisdizionali. Secondo lei, è possibile – da un lato, sappiamo che lo è, perché ci sta lavorando il Ministero della giustizia – semplificare le procedure giurisdizionali? Dall'altro lato, sarebbe possibile anche, in prima istanza, cioè nella sede delle commissioni territoriali, usare, con un criterio più largo, la possibilità di dare protezione umanitaria, il che non equivale a una sanatoria perché è sempre sulla base di valutazioni sensate per alleggerire.
  La terza domanda è relativa agli hotspot. Oggi, abbiamo grossomodo un 40 per cento di arrivi che passa dagli hotspot e un 60 per cento che non ci passa. Io sono d'accordo con lei e francamente non condivido neanche le opposizioni pregiudizievoli rispetto all'approccio dell’hotspot. Inevitabilmente ne servono di più, a patto che il modello sia coerente e funzioni per quello che deve essere, cioè l’hotspot deve essere il luogo di primissima accoglienza, in cui si fanno le cose essenziali a queste persone, come lo screening sanitario eccetera, ma anche di identificazione e di smistamento quasi immediato.
  Bisogna farne di più e farli funzionare, ma il problema è che attualmente quelli che ci sono funzionano ciascuno in maniera diversa. A parte il meccanismo dell'identificazione, che ha una sua coerenza, per il resto quello che era un CPSA o quello era un CIE per il modello di struttura è rimasto com'era.
  L'impressione è che abbiamo messo l'identificazione, con l'attrezzatura necessaria, con la presenza della polizia scientifica eccetera, su quello che c'era già. Allora, la domanda è: serve una base di legittimazione giuridica di quell'approccio? Si tratta della domanda che faceva anche il collega e la risposta forse è «sì».
  Vi è un'altra questione: si può dare una coerenza a questo modello soltanto se il sistema è in grado di assorbire. Se l’hotspotPag. 13deve servire all'identificazione e allo smistamento, se il sistema è bloccato non riesci a fare lo smistamento. Del resto, se la relocation è bloccata, l’hotspot assume un'altra funzione, anche se inevitabilmente non è concepito per assumerla, perché non ha i servizi che dovrebbe avere eccetera.

  ERASMO PALAZZOTTO. Proverò a fare due considerazioni brevissime che mi servono per delle domande puntuali.
  In primo luogo, lei diceva che 135.000 persone non sono un problema per un Paese di 60 milioni di abitanti perché il problema è la gestione di queste 135.000 persone e non è solo un fatto legato ad alcuni territori. Nello specifico, lei faceva riferimento al Veneto e ai problemi che, in questo momento, ci sono.
  In Veneto, abbiamo – e credo che ormai abbiamo acquisito quest'esperienza negli anni – il modello che non bisognerebbe utilizzare, cioè centri più o meno grandi, perché non sono piccoli, concentrati nelle città, che poi non sono grandi città. Tra la città di Treviso e il comune accanto, che si distanzia da questa per una linea di autobus, ci sono, in questo momento, più di 1.000 profughi, tutti gestiti in regime di monopolio dalla stessa impresa, che prima si occupava di pulizie e, oggi, si occupa dell'accoglienza dei profughi, e con una gestione, che ovviamente crea un peso sulla popolazione e, quindi, alimenta la sensazione di disagio.
  Noi, come Commissione, siamo stati in una visita a Trapani, dove ci sono più di 3.000 persone, per cui, in rapporto alla popolazione, quella è la provincia con il più alto numero di ospiti, senza che questa cosa rappresenti un problema per la popolazione, che, anzi, spesso è coinvolta dentro i processi di accoglienza. Ci chiediamo se, in realtà, queste cose non si possano affrontare e risolvere. Lo chiedo anche per la modalità con cui si fa accoglienza perché io sono stato alla caserma Serena e ho visto alcuni report di chi ha visitato quella di Conetta, quindi posso dire che non sono esattamente dei grandi modelli di accoglienza e che, da questo punto di vista, ci sono grandi difficoltà.
  Dicevo di Trapani perché ci ha aiutato fare quella visita lì, nel vedere come il sistema di accoglienza diffuso, ma anche l’hotspot, aveva una gestione meno complicata degli altri posti, per i tempi di permanenza ridotti. Questa è una cosa che ci fa dire che il modello dell’hotspot in sé non è un problema, se serve a razionalizzare il sistema dell'accoglienza.
  Questa considerazione mi porta a fare un'altra domanda perché, a Trapani, noi abbiamo riscontrato un problema enorme, che è legato all'erogazione dei pagamenti alle strutture di accoglienza. Tali pagamenti non avvengono da più di nove mesi, con grave difficoltà per gli operatori, ma anche per le strutture che offrono accoglienza, perché, essendo piccole e non in regime di monopolio, sono anche spesso piccole cooperative, quindi non in grado di fare fronte a un avanzamento di cifre. Questo è legato prevalentemente, come ci ha spiegato il prefetto, a una riduzione del personale in forza alla prefettura di Trapani, quindi ci chiediamo se, in un momento delicato come questo, non sia il caso, invece, di rafforzare quella struttura per permettere che quella cosa funzioni.
  Sugli hotspot, io penso che ci siano alcuni problemi. Uno è legato alla non regolamentazione, ma anche al fatto di operare in maniera illegale, rispetto al nostro sistema normativo. Capisco quello che ci dice l'Unione europea, ma, in questo momento, l'approccio dell’hotspot, oltre le strutture esistenti, ha dei profili di illegalità che sono, a mio avviso, abbastanza complicati.
  Sul trattenimento oltre le 48 ore, noi abbiamo assistito a forme di trattenimento illegale. Lo dico perché, se non c'è un giudice che lo autorizza, non si può trattenere una persona oltre le 72 ore, ma noi parliamo di persone che sono rimaste intrappolate nel sistema dell’hotspot, soprattutto a Lampedusa, per mesi.
  Poi, c'è quello della presenza dei minori che è un problema più grande di quello degli hotspot e me ne rendo conto, ma che sicuramente, dato l'aumento degli sbarchi dei minori nel Paese, è un problema che dobbiamo affrontare, perché non possiamo, Pag. 14 oltre un determinato periodo di tempo, immaginare che si continui a operare in condizioni di illegalità. Il minore è un soggetto vulnerabile e non può stare in centri promiscui o addirittura, come è successo, per mesi dentro l’hotspot di Pozzallo, quindi su questo noi chiediamo di sapere di tempi certi, entro cui questa situazione verrà affrontata e risolta.
  Infine, su Mineo, rispetto alle sue osservazioni sulle 135.000 persone, io non riesco a comprendere francamente come 3.000 persone su 135.000 diventino un problema insormontabile, non dall'oggi al domani, perché mi rendo conto che dall'oggi al domani possano essere un problema, ma, siccome 3.000 persone sono il numero ordinario di un fine settimana di sbarchi in Sicilia e lo gestiamo, non capisco come non si riesca a immaginare, nell'arco di un paio di mesi, a come ricollocare 3.000 persone dentro centri di altra forma e di altra natura. La sensazione che ho, ma anche l'idea – questa è la domanda – che mi sono fatto, alla luce anche del lungo e grande lavoro di questa Commissione, è che attorno a Mineo non ci sia la volontà politica di smantellare quel sistema.

  VEGA COLONNESE. (fuori microfono) Bravo!

  ERASMO PALAZZOTTO. Lei ci ha detto che è una scelta politica quella di scegliere se fare o meno l’hotspot, ma, a prescindere da tutto, la cosa che voglio sapere se è una scelta politica o meno quella di fare un investimento sulla struttura di Mineo.
  Lo chiedo perché comunque i lavori di investimento su quella struttura presuppongono l'idea di continuare anche a investire in prosieguo, altrimenti non avrebbe senso spendere dei soldi e fare una gara d'appalto per una recinzione, a prescindere dall’hotspot, quindi le chiedo di sapere se anche questa è una scelta che attiene alla politica o meno.
  Lo dico perché, vista la grande presenza di personale politico implicato in un sistema che quanto meno è stato criminogeno, perché ha dato vita a diverse forme di illegalità, noi oggi cominciamo a chiederci se il problema di Mineo non sia solo un problema di corruzione, ma sia un problema di scelta politica di mantenere in piedi quel sistema.

  MARCO RONDINI. Premetto che la posizione del movimento che rappresento è molto critica, rispetto a tutto il sistema e a come è stata gestita questa sorta di emergenza, che noi riteniamo, in realtà, sia stata agevolata dalle scelte del Governo. Oggettivamente, anche se poi le formulo qualche domanda in merito, a noi non interessa quale possa essere la soluzione per mettere a regime questo sistema, che, se noi governassimo, smantelleremmo completamente, perché ha aperto la strada a centinaia di migliaia di migranti economici, che, in realtà, qui non dovrebbero arrivare. A noi interessa sapere altro ed entro, quindi, in parte nel merito. Lei ci diceva che si recherà a Milano e ci interesserebbe sapere quali soluzioni vorrebbe prospettare per risolvere la questione di Milano.
  L'altra questione è quella relativa alle domande di protezione, che vengono formulate negli hotspot. Ci interesserebbe sapere se tutte le persone che transitano per gli hotspot poi formalizzano una richiesta di protezione.
  Infine, vorrei porre l'ultima domanda, alla quale teniamo in maniera particolare. Oggi noi sappiamo, perché ce lo ha riferito lei, che ci sono 135.000 persone che sono sistemate sul territorio nazionale, presso il sistema dell'accoglienza. A quelle, noi aggiungiamo le 70.000 persone che hanno avuto una risposta positiva, rispetto alla richiesta che hanno fatto dal 2014 a oggi, e che presumiamo non essere più all'interno del sistema d'accoglienza, quindi parliamo in totale di circa 200.000 persone.
  Riteniamo poi che coloro i quali hanno ricevuto un diniego permangano ancora all'interno del sistema di accoglienza, dopo aver formulato un ricorso contro la decisione della commissione territoriale.
  Pertanto, se sommiamo un dato all'altro, parliamo di 200.000 persone. Oggi noi sappiamo che, però, sul nostro territorio dal 2013 a oggi sono arrivate 430.000 persone. Ci chiediamo le altre 230.000 persone che fine abbiano fatto. Dove sono? Sono Pag. 15liberi di circolare sul territorio? Sono andati verso i Paesi del Nord?
  Non è una questione secondaria, perché 200.000 persone possono mettere seriamente a rischio la sicurezza dei Paesi che si trovano a doversi misurare con quelli che in maniera un po’ stravagante qualcuno definisce «i transitanti».

  GREGORIO FONTANA. I numeri che conosciamo bene la dicono lunga sulla gravità di questa emergenza, che certamente, a nostro parere, è affrontata in maniera non sufficiente.
  Per venire al merito delle questioni, i numeri che ci ha descritto ci evidenziano una grande difficoltà nel reperire le strutture di accoglienza. La polemica sulla questione delle grandi strutture è un po’ una retorica «benaltrista» (ci vorrebbe ben altro).
  Concordo sul fatto che l'idea corretta sarebbe sicuramente quella di avere i centri SPRAR, però questo cozza contro una realtà che non è questa.
  A proposito delle grandi strutture, al di là dei dibattiti sull'opportunità o meno di mantenerle, io penso che il problema, specialmente per dei centri commissariati come Mineo, sia quello di farle funzionare al meglio. Nel momento in cui questi centri rimangono, occorre prendere tutte le necessarie misure per farli funzionare al meglio.
  Di fronte a delle sollecitazioni e a delle evidenze di cose che non funzionano, in attesa di ricoverare e accogliere tutti negli SPRAR e di un mondo migliore, sarebbe importante sapere cosa bisognerebbe fare immediatamente per far funzionare i centri in generale, grandi o piccoli che siano, e quali attività si possono svolgere nell'immediato in centri commissariati – lo ripeto – e, quindi, con una filiera abbastanza corta per quel che riguarda il controllo di ciò che succede. Il Governo dovrebbe sapere cosa fare per far funzionare questi centri.
  Sicuramente occorre pensare a favorire l'attivazione dei progetti SPRAR, ma ci deve essere anche un'attenzione da parte del Governo nei confronti dei sindaci che gestiscono delle situazioni di accoglienza temporanea con grandi numeri.
  Non devo certamente sottolinearlo io, poiché lei conosce bene i numeri. Ci sono dei comuni che hanno una grandissima concentrazione di persone sul loro territorio rispetto agli abitanti, con un'esposizione e una messa a dura prova delle loro strutture, che sono tarate per altri numeri. Ciò vale in particolare se ci sono minori non accompagnati, che pesano sulla responsabilità dell'amministrazione comunale.
  In tutto questo, vorrei capire meglio l'accenno che lei ha fatto alla distribuzione di tre migranti per mille abitanti. Come si declina questa indicazione? Le ripeto, facendo riferimento a quello che dicevo prima, che sul territorio questo non è, nel senso che ci sono dei comuni che hanno delle concentrazioni di decine e decine di migranti per abitante. Pertanto, occorre capire bene come si vorrebbe declinare questo meccanismo del tre per mille.
  Inoltre, lei ha fatto riferimento alle difficoltà che noi abbiamo nella gestione dei porti. Vorrei capire meglio cosa vuol dire «abbiamo difficoltà a farli sbarcare». Il Governo italiano ha difficoltà a utilizzare dei porti del nostro territorio? Qual è il problema esattamente?

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Morcone, vorrei capire quanti altri hanno intenzione di porre domande dopo.

  ERASMO PALAZZOTTO. Io vorrei solo chiedere, a proposito dei minori, se è a conoscenza della situazione di Corigliano Calabro.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Morcone per la replica.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Innanzitutto annuncio, senza alcuna punta di masochismo, che rimango con voi con grandissimo piacere fino all'ultima domanda. Lasciamo l'impegno al Ministero a chi già se ne occupa.

Pag. 16

  PRESIDENTE. Grazie.

  MARIO MORCONE, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Lo faccio volentieri, perché è mio forte interesse cogliere le sensibilità del Parlamento e delle varie forze politiche presenti.
  Parto dall'onorevole Brescia, seguendo l'ordine. Io non so, onorevole, se lei mi pone questa domanda giusto per eccitare la mia tradizionale passione nelle risposte. Mi chiede qual è la difficoltà della diffusione sul territorio dei migranti. Che le devo rispondere?
  Lei sa che c'è una guerra nel tentativo di convincere qualche sindaco. È chiaro che il 50 per cento dei sindaci ne fa una questione di contrasto alla politica del Governo, mentre l'altro 50 per cento ne fa un problema legato alla circostanza che, se il sindaco vicino non accoglie, loro non vogliono perdere consenso elettorale e, quindi, si mettono anch'essi di traverso.
  Questa è la situazione reale in tutto il Paese, naturalmente in particolare nel Nord. Al Sud tradizionalmente c'è una presenza sicuramente più aperta, come accennava l'onorevole, parlando, per esempio, di Trapani.
  Credetemi, lo dico sinceramente: non c'è nessun collega prefetto che abbia voglia di fare le gare al massimo ribasso, che sono già un problema per noi. In seguito parleremo anche del personale, senza mettermi a fare il piagnisteo. È già un problema fare le gare al massimo ribasso, è già un problema litigare con i sindaci. Assolutamente nessuno vuole creare conflitti con i sindaci. Tutti vorremmo fare un'attività di mediazione e di coordinamento, ma senza andare a infilarci in un confronto spesso duro con i sindaci.
  Tuttavia, questo sta diventando ogni giorno più difficile. Chiamate il prefetto di Napoli, che mi ha cercato anche adesso, mentre stavo qua. Ieri sera c'è stato un incendio in un campo rom, è successa la fine del mondo.
  Io passo il sabato e la domenica a ricevere telefonate di colleghi che disperatamente mi pregano di non mandare loro quote di migranti. Parlo di Napoli, di Castel Volturno (quindi, di Caserta), di Milano, di Treviso, di Venezia.
  Io sono stato due volte a Venezia e due volte a Treviso, ma non voglio farne una questione veneta, perché non sarebbe giusto e non sarebbe nemmeno onesto.
  Semplicemente è chiaro che qui siamo di fronte a delle scelte fondamentali, che non appartengono a me e forse nemmeno al Ministero all'interno, ma appartengono al Parlamento.
  L'ANCI sta lavorando, come probabilmente avete letto, a una pianificazione complessiva di riferimento. Non sarà necessariamente una camicia di Nesso, ma solo una pianificazione di riferimento per due o tre persone ogni mille abitanti, con dei correttivi per le grandi città. Infatti, le grandi città, come accennava l'onorevole Rondini, sono una calamita per i migranti. Roma, Milano e Torino, onestamente, sono di per sé una calamita.
  Secondo me, ci sono due strade. La prima è la strada che noi siamo percorrendo, evidentemente nel rispetto dei ruoli istituzionali di ciascuno e soprattutto degli eletti, che è quella di costruire incentivi a favore dei sindaci che accolgono.
  C'è poi un'altra strada, che qualcuno culturalmente comincia ormai a rappresentare sempre più: l'obbligatorietà dell'accoglienza per i sindaci. È un tema che non riguarda me e forse nemmeno il Ministro Alfano, ma riguarda il Parlamento. Secondo me, è un ragionamento che dovete fare nelle Aule parlamentari. Naturalmente noi prenderemo atto della scelta che sarà compiuta.
  Per ciò che concerne una legge nazionale che regolasse gli hotspot, naturalmente anche in questo io c'entro poco, nel senso che evidentemente la questione si pone in termini di polizia per quanto riguarda il trattenimento. Un ragionamento di questo genere è stato fatto e, anzi, è stato anche più volte affinato.
  Io mi pongo solo una domanda e non ho la risposta. Ve lo dico sinceramente, senza per questo presupporre alcuna posizione precostituita che tengo nascosta. Se gli hotspot sono un punto di sbarco, e tali devono essere, anche se con la partecipazione di Pag. 17Frontex, dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) e di altre agenzie internazionali, e se effettivamente i migranti devono sostarvi per un tempo molto limitato, ovvero giusto il tempo dell'identificazione, dello screening sanitario e della manifestazione della volontà di chiedere o meno l'asilo, ci conviene regolarli per legge? È una domanda che pongo. Non ho la risposta, vi assicuro.
  Se li regoliamo per legge, secondo me, ci complichiamo la vita, con il rischio reale, a questo punto, di snaturarne la funzione e di consentire il trattenimento delle persone in quelle strutture per un tempo più lungo di quello che sarebbe giusto o naturale.
  È una riflessione che lascio aperta a voi. Ripeto che non ho la risposta e non faccio questa considerazione avendo già un'opinione consolidata. Tuttavia, l'iniziativa di regolarli per legge evidentemente non si riferisce al mio Dipartimento, ma soprattutto alle forze dell'ordine. Con una serie di approfondimenti in questo senso, probabilmente qualcosa verrà fuori. Io, però, sinceramente mi porrei questo problema. Negli hotspot le persone devono stare 24, 48 o 72 ore.
  Veniamo al problema dei minori, perché anche questo tema è stato posto da parecchi di voi. Credetemi, lo faccio con estrema onestà intellettuale; non voglio rimbalzare nessun problema sul Parlamento. Lo dico perché lo dobbiamo dire, perché è così, perché la verità è questa.
  Rispetto ai minori noi andiamo avanti con una legge, la n. 328 del 2000, che apparteneva a un tempo e a uno scenario completamente diversi da quelli di oggi. Che si parli della legge Zampa o della legge di qualcun altro, in realtà il Parlamento non è riuscito ancora a fare una nuova normativa.
  Di fatto, noi abbiamo condannato i sindaci siciliani e quello di Reggio Calabria – infatti, è compresa pure Reggio Calabria in questa storia – a una follia. Il sindaco Orlando a Palermo ha 500-600 persone in affidamento. È una cosa folle. Il sindaco di Augusta è nelle stesse condizioni, il sindaco di Messina è nelle stesse condizioni, il sindaco di Reggio Calabria è nelle stesse condizioni.
  Non solo c'è la difficoltà di sollevare i sindaci da questa situazione, ma è evidente che va sollevata anche la Sicilia da questa condizione. È chiaro che per i minori, anche in ragione della loro specificità e con tutte le garanzie legate alla loro età e alla loro condizione di persone vulnerabili, ci deve essere un'operazione nazionale di condivisione.
  È per questo che voi troverete – qualcuno di voi forse se n'è già accorto – un emendamento governativo, l'unico che siamo riusciti a far passare, con il quale noi praticamente chiediamo al Parlamento di autorizzarci, nella conversione in legge del decreto-legge sugli enti locali, a creare strutture in tutta Italia, sostanzialmente con lo stesso criterio della Conferenza unificata, per non più di 50 persone e solo per minori di età superiore ai quattordici anni.
  Infatti, secondo me, è chiaro che quelli di età inferiore ai quattordici anni devono rimanere con le garanzie e con i servizi che già le regioni e la legge precedente avevano assicurato loro. Invece, per il ragazzo egiziano o nigeriano di sedici anni probabilmente ci possiamo permettere un'accoglienza meno stringente e, soprattutto, diffusa su tutto il territorio nazionale, perché la Sicilia o Archi, il quartiere di Reggio Calabria, non possono reggere in queste condizioni.
  Noi rischiamo di creare conflitti e di non assicurare un futuro a questi ragazzi, che invece possono essere un'opportunità per il nostro Paese. Comunque, se vogliamo ragionare in termini di sicurezza, sono sicuramente meglio gestiti su piccoli numeri e in realtà diverse, dove, a parte l'attività delle forze di polizia, c'è anche un controllo sociale che funziona. Se ce ne sono 500, il controllo sociale non può proprio funzionare.
  Se c'è un ragazzo vulnerabile, mi date il nome e lo spostiamo subito. Il problema non riguarda un ragazzo; qui i problemi sono nell'ordine delle centinaia di ragazzi. Questa è la nostra angoscia.
  Mi avete posto una domanda su Augusta e sul porto commerciale. Io ho parlato Pag. 18impropriamente della Marina, ma in realtà del coordinamento e delle richieste di sbarco si occupano la Guardia costiera per quanto riguarda una serie di assetti e la Marina militare per quanto riguarda gli assetti militari, anche delle altre nazionalità che partecipano a Triton e a EUNAVFOR MED.
  Come dicevo, noi cerchiamo di mantenere un equilibrio tra gli episodi di sbarco sui vari porti siciliani e, quindi, cerchiamo di investire tutti i porti in maniera più o meno equa, senza danneggiare nessuno in particolare.
  Certo è che, però, quando il comandante insiste e mette per iscritto che deve andare ad Augusta, perché lì ha la condizione ideale come porto sicuro, perché non può andare oltre e non arriva fino a Messina in quanto non ha il carburante o non ha l'acqua, oppure si è rotto il motore o un'altra cosa del genere, francamente non c'è nessuna possibilità di rifiutare lo sbarco ad Augusta. Non mi riferisco al comune, che non c'entra niente.
  Si è insistito più volte con noi per l'acquisizione di terreni privati e noi abbiamo detto che ad Augusta terreni privati non ne avremmo presi per lo sbarco o per la realizzazione dell’hotspot...
  Ho capito. Convocate il Capo di Stato maggiore della Marina e parlate con lui. Io ho una grande considerazione di me stesso, ma ho anche una considerazione dei miei limiti.
  Quello di Ventimiglia è un tema complicato, sul quale stiamo cercando di usare tutta l'attenzione possibile, al tempo stesso con l'obiettivo di non costruire Calais a Ventimiglia. Noi non ci possiamo permettere di costruire Calais a Ventimiglia.
  Da un lato, abbiamo effettuato e continuiamo a effettuare degli spostamenti di gruppi di persone per riportarli nei centri da dove si sono allontanati.
  Badate bene, questo è un altro grande equivoco: non è vero che le persone che si trovano alla stazione di Milano oppure a Ventimiglia non hanno avuto accoglienza, come qualcuno vuol far credere; hanno avuto accoglienza e se ne sono andate, perché hanno obiettivi diversi.
  Noi naturalmente li riportiamo nei centri di accoglienza per piccoli gruppi, garbatamente. Abbiamo finanziato la realizzazione di questa struttura di transito. Cerchiamo con il vescovo di gestire la difficoltà.
  L'obiettivo di fondo è di non avere Calais a Ventimiglia, poiché questo sarebbe ancor più devastante, anche perché questa situazione si sta creando anche al confine con la Svizzera e dobbiamo stare attenti a non complicare ulteriormente la libertà di circolazione nell'area Schengen.
  Peraltro – credo che lo dirà il Ministro dell'interno quando sarà il momento – c'è una lettera del ministro francese, secondo cui verranno ripristinati per un ulteriore periodo di tre mesi i controlli, non solo verso l'Italia, ma anche verso la Germania, il Belgio e il Lussemburgo. Questa lettera ci è stata mandata ieri dall'ambasciatore di Francia a Roma.
  A Taranto ci sono i problemi ambientali. Sono scelte che sono state fatte in sede locale, a Taranto. Quello era lo spazio che ci hanno dato sul porto. D'altra parte, credo che il problema ambientale di Taranto sia molto più grande della vicenda dell’hotspot. Su questo posso davvero rispondere poco.
  Sulla riapertura del bando SPRAR, invece, posso dare qualche notizia positiva. Come vi avevo accennato – ma forse sono stato un po’ troppo sintetico – abbiamo mandato alla Conferenza unificata, che darà il parere il 21, dopodomani, o al massimo nella seduta prima della chiusura, un decreto del Ministro Alfano, con il quale si abolisce definitivamente la gara, la commissione e tutte quelle cose molto complicate che ci rendono la vita impossibile.
  Si fa un accredito permanente di tutte le strutture attualmente esistenti e che non hanno controindicazioni, mentre cacceremo quelle che ne hanno. Saltano tutti i termini, per cui in ogni tempo potrà essere proposto un progetto SPRAR e ci sarà una commissione permanente che lo valuta e lo inserisce nell'albo (chiamiamolo così, anche se non è cartaceo) dei progetti che vengono finanziati. Naturalmente c'è la possibilità – mi pare ogni tre anni – di Pag. 19sganciarsi, se qualche sindaco non ha più interesse a portare avanti il progetto.
  Questo sostanzialmente è il decreto a firma di Alfano, che è già pronto – ho la bozza qua – e che è stato presentato in Conferenza unificata. Se passa, come spero, in Conferenza unificata, immediatamente dopo il Ministro Alfano lo firmerà. Stiamo parlando delle prossime ore o dei prossimi giorni.
  Rispondo ora all'onorevole Beni. Torniamo al discorso di prima: ripartizione vincolante nelle regioni. Certamente tutti possiamo fare meglio: i prefetti possono fare meglio, i rappresentanti dell'ANCI possono essere più autorevoli, gli assessori regionali possono essere più cooperativi.
  Tuttavia, rimane il tema di fondo: se l'accoglienza continua a essere uno strumento di contrasto alla politica del Governo in generale, è chiaro che non ne usciamo e io non ci posso fare niente. Se Renzi deve andare a casa, Alfano si deve dimettere e, per fare questo, si gioca anche la partita dell'accoglienza, è una scelta di cui io prendo atto. Certamente non ci sarà Nembo Kid come prefetto o come delegato dell'ANCI regionale che possa risolvere il problema dell'ostilità di una massa di sindaci.
  Io andrò a Milano un'altra volta, come sono andato a Venezia due volte. Vi assicuro che quando sono andato a Venezia ho avuto tenerezza per il prefetto, che si era fatto una piantina e aveva detto: «Al comune x ne mettiamo cinque, al comune y ne mettiamo sette». Non c'è stato niente da fare, niente!
  Questo è il clima e in questo clima, francamente, non c'è Nembo Kid, e quindi poi abbiamo la caserma di Oderzo, la caserma Serena e queste cose qui.
  Così sarà, a meno che – ripeto che lo rimetto alle valutazioni del Parlamento, senza nessuna opinione – a un certo punto l'accoglienza non diventi obbligatoria per i sindaci. Tuttavia, è una valutazione che io non voglio toccare.
  Sul tema delle irregolarità e dei ricorsi giurisdizionali, il disegno di legge del Ministero della giustizia è pronto e credo che lo presenteranno al prossimo Consiglio dei ministri e poi verrà in Parlamento. Naturalmente spero che i tempi siano veloci. Chiaramente cambia tutto il sistema dei ricorsi giurisdizionali al giudice e questo taglierà enormemente i tempi delle decisioni.
  Contestualmente, io spero di riuscire a trovare uno spiraglio per una riforma dell'asilo che vada di pari passo con questa riforma che sta per essere varata dal Ministero della giustizia.
  Onorevole Beni, lei mi pone una domanda a cui in questo clima è veramente difficile rispondere: si possono dare più permessi umanitari? È chiaro che io ricevo addirittura le proteste dei sindaci che accolgono o degli assessori regionali disponibili, che dicono: «Noi magari accogliamo questa persona, la formiamo, gli troviamo un lavoro, la includiamo e dopo due anni la dobbiamo mandare a casa, il che non ha senso. Allora, o si tagliano i tempi della decisione e noi non buttiamo i soldi della formazione di queste persone, oppure diamo loro un permesso umanitario e tracciamo un percorso di inclusione che forse sarebbe più positivo».
  Questa è una valutazione che, in questo clima e alla luce delle vicende internazionali che si sono verificate, considero un po’ complicata.
  Sugli hotspot e i tempi troppo lunghi sono d'accordo, soprattutto per quanto riguarda il tema dei minori. Speriamo che l'emendamento che discuterete alla Camera in queste ore e al Senato immediatamente dopo, nell'ambito della conversione in legge del decreto-legge, possa risolvere almeno il problema dei minori.
  È chiaro che c'è un tempo legato anche alla realizzazione e all'individuazione di spazi dove accogliere queste persone. Molto spesso queste persone rimangono del tempo in più in attesa di sapere se hanno trovato una soluzione in Liguria, in Emilia-Romagna, nelle Marche o in Puglia.
  Rispondo ora all'onorevole Palazzotto. Il tema è sempre lo stesso, onorevole: concentrazioni in grandi città come Treviso. Credo di aver già dato la risposta. Io sono stato due volte anche a Treviso, città bellissima, di cui mi sono innamorato. Pag. 20
  Il tema è: se qualcuno pensa che noi non mandiamo la gente in Veneto perché a Treviso non accolgono, si sbaglia, nel senso che noi in Veneto ce li mandiamo lo stesso. Infatti, la qualità della vita, il lavoro e l'impegno degli amministratori comunali e dei cittadini siciliani, calabresi, napoletani, sardi o veneti, dal mio punto di vista, sono esattamente gli stessi e, quindi, io mi attengo comunque alle quote. Mi dispiace per la collega, a cui fra poco verrà l'esaurimento nervoso, però noi facciamo la nostra parte, rispettando le regole che ci siamo dati.
  Purtroppo, la concentrazione in alcune città è un tema reale, e mi piacerebbe davvero riuscire ad alleggerirlo attraverso una partecipazione più ampia.
  Sui pagamenti francamente ho qualche dubbio e voglio verificare. Noi abbiamo pagato tutto fino al 31 marzo. Verificherò.

  ERASMO PALAZZOTTO. (fuori microfono) È solo una questione di controlli.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Il povero Leopoldo Falco, che è uno dei migliori colleghi, è in grande difficoltà. Non è in difficoltà solo Leopoldo Falco, ma è in difficoltà tutto il sistema.
  Io non voglio fare la lagna, che sarebbe assolutamente inopportuna, però io credo che su questo il Governo e il Parlamento debbano fare davvero una riflessione. Lo dico liberamente, perché non ho delle aspettative per il mio futuro. La mia aspettativa è di andarmene a casa l'anno venturo.
  Credo di avere il dovere di dire al Parlamento che, se oggi l'immigrazione, l'accoglienza dei rifugiati e soprattutto lo sviluppo del nostro Paese, alla luce dei dati che trovate nelle ricerche di Confindustria e nelle posizioni dell'INPS, non nelle opinioni di Morcone buonista, sono temi centrali dell'attività di Governo, il Governo si deve porre il problema seriamente, anche relativamente alla struttura che gestisce tutto questo.
  Tutte le prefetture sono in difficoltà. Naturalmente quelle siciliane lo sono di più, questo è evidente. Incredibilmente quando io ero giovane andare al Sud era complicato e non ti trasferivano mai, perché gli organici erano sempre pieni. Ora ci sono addirittura i vuoti di organico nelle province siciliane e in tutto il Mezzogiorno; figuriamoci al Nord, dove ci sono situazioni sempre più difficili.
  Evidentemente, o questi uffici si rafforzano e si trova la strada per costruire e per investire sul tema dell'immigrazione, oppure noi fino allo stremo faremo la nostra parte – anche il povero collega di Trapani farà la sua parte – ma certamente con sempre maggiore affanno.
  Guardiamo i tedeschi oppure gli svizzeri, che hanno assunto 1.000 persone solo per le commissioni d'asilo. Noi non riusciamo a pigliarne 250 con i fondi europei per cambiare la struttura delle commissioni, dove abbiamo qualche pensionato che una volta ci vuole andare, una volta ce lo devi portare per forza, una volta gli devi chiedere la cortesia di venire. Non si può fare così.
  Su Mineo lei afferma che non c'è la volontà politica per ricollocare 3.000 persone. In questo quadro, io ho i prefetti che mi chiamano disperatamente, dicendomi: «Ti prego, non so dove mettere quei venti». Questa è la situazione.
  Magari – diciamoci la verità – ci sono colleghi più impegnati, più capaci di relazioni, che riescono più facilmente, e colleghi egualmente autorevoli, ma che hanno meno managerialità nel riuscire a trovare le soluzioni. Il tema è questo: venti, cinquanta, cento. Non parliamo dei 3.000 di Mineo.
  Personalmente, voglio solo ribadire, ufficialmente e per l'ennesima volta, che non abbiamo alcuna voglia, né rappresenta una linea politica del Dipartimento e nemmeno del ministro, di avere grandi centri che complicano la vita ai territori, non garantiscono integrazione e inclusione e creano conflitti. Francamente, credo che questa sia ormai un'opinione assolutamente diffusa e condivisa dalla gran parte delle persone.
  L'onorevole Rondini mi chiedeva quali soluzioni ci possono essere per Milano. Pag. 21Vengo a sentire i problemi di Milano città metropolitana e poi mi vedo anche con i colleghi della Lombardia.
  Il tema rimane lo stesso. Glielo dico con estrema sincerità – mi creda – con garbo e con rispetto per le posizioni del suo partito. È chiaro che la partecipazione vera delle comunità ci garantisce un'equa ripartizione delle persone sul territorio. Questa è l'unica strada possibile per quanto mi riguarda. Naturalmente anche a Milano porrò questo tipo di impostazione.
  Inoltre, mi chiede dove sono finite le circa 230.000 persone che non sono nelle strutture di accoglienza. Naturalmente hanno avuto destini vari. È chiaro che, come lei sa, nel 2014 e anche in una parte del 2015 c'è stata una sorta di diaspora europea, per cui poi ci hanno imposto gli hotspot. Non ce li abbiamo più perché alcuni sono riusciti ad arrivare in Germania, altri in Svezia o da qualche altra parte.
  Probabilmente c'è anche una percentuale di uscita. In questi anni, come lei sa, l'accoglienza è limitata nel tempo, per cui c'è anche un'uscita dalle varie strutture, che siano SPRAR o strutture di seconda accoglienza aperte temporaneamente.
  Sicuramente c'è una piccola parte di irregolarità e di marginalità – sarei ipocrita se non lo riconoscessi – che sarà la questione che dovremo affrontare nei prossimi mesi.
  Rispondo ora all'onorevole Fontana. La scelta su Mineo effettivamente diventa strategica. Lei parlava di farlo funzionare al meglio. Innanzitutto, come lei sa, noi abbiamo assunto direttamente la gestione di Mineo. C'è un viceprefetto che lo dirige come direttore. Le strutture che rappresentano tutti i servizi a Mineo sono in parte commissariate e ci sono rappresentanti del tribunale di Roma. Bisogna fare una nuova gara, che è ormai pronta e, quindi, fra poco uscirà.
  Dopodiché, effettivamente bisognerà fare una scelta di fondo. Se Mineo deve rimanere come centro – questo non lo decido io – per farlo funzionare bene, nel 2017 si porrà anche il problema della proprietà, quando scadrà il contratto di locazione di quel centro.
  Io vi lascio immaginare quello che succederà, anche dal punto di vista del contenzioso, perché quello, quando è stato preso, era un centro che aveva ogni villetta con sei chilowatt o otto chilowatt per l'aria condizionata, i frigoriferi... Non so chi di voi parlava dei fornelli. Lì c'era tutto: la cucina, i tavoli, le sedie, il prato all'inglese fuori dalla villetta eccetera. Credo che di tutto questo naturalmente rimangano vaghi ricordi. Io non ci vado da un po’...

  PRESIDENTE. (fuori microfono) Glielo confermiamo: vaghissimi ricordi.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Naturalmente la proprietà ci porrà seriamente il problema dei danni che si sono consumati in questi anni. Questa è una questione.
  Favorire l'attivazione dei progetti SPRAR è quello che noi faremo comunque. C'è già una mia circolare nella quale abbiamo spiegato ai colleghi in sede che devono cercare le soluzioni di accoglienza.
  Per i casi in cui non ci sono progetti SPRAR, avevamo presentato un emendamento, che ripresenteremo in legge di stabilità, con il quale proponevamo di togliere 0,50 euro dai 2,50 euro del pocket money (riducendo il pocket money a 2 euro) e di dare 0,50 euro pro die e pro capite al comune che accoglie, creando un piccolo gruzzoletto, che poi tanto piccolo non è.
  Infatti, abbiamo calcolato che vale complessivamente sui 23-24 milioni di euro all'anno, che andrebbero ai sindaci che accolgono, in maniera da poter far fronte alle spese generali, alla carta d'identità in più che devono stampare, alla pulizia delle...

  GREGORIO FONTANA. (fuori microfono) Solo per gli SPRAR?

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. No, per tutti. Il Ministero dell'economia non ce l'ha fatto passare in questa fase. Faremo la battaglia in legge di stabilità. Pag. 22
  Cercheremo di fare lo stesso ragionamento in legge di stabilità sulla deroga al divieto di assunzioni per quei comuni che sono in condizioni di farlo e che accolgono migranti. Si tratterebbe di autorizzare i comuni che accolgono a essere esclusi dal divieto di assunzione del personale, soprattutto nel settore del sociale. Lo costruiremo probabilmente in legge di stabilità.
  Per quanto riguarda le difficoltà nei porti, penso di avervele già raccontate in dettaglio. Se volete, le ripeto. Non c'è problema.

  MARCO RONDINI. Avevo chiesto quanti migranti manifestano la volontà, transitando per l’hotspot, di formalizzare la richiesta.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Naturalmente non sono in grado di darle dei numeri precisi. È chiaro che quasi tutti o la gran parte dichiarano la volontà e lo fanno anche strumentalmente – non glielo nego – perché capiscono che presentare la domanda d'asilo garantisce loro di avere un percorso che poi magari, con un po’ di fortuna, può anche portarli a stabilirsi qui.
  Non presentano domanda d'asilo soprattutto i tunisini e i migranti di alcuni Paesi dove questa cosa non apparirebbe particolarmente gradita, ma sono numeri abbastanza ridotti. Non saprei darle una percentuale, ma certamente non sono più del 10-15 per cento quelli che non presentano la domanda d'asilo.
  Ovviamente il fatto che coloro che presentano la domanda abbiano effettivamente diritto alla protezione internazionale è un'altra cosa.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei chiederle io una cosa, signor prefetto. Abbiamo capito che ovviamente ci sono gravissime difficoltà nell'individuare aree da utilizzare per il tema degli hotspot. C'è poi il tema più generale, che è quello dei centri di accoglienza.
  Se lei avesse la cortesia di inviarci un quadro delle aree portuali di vostro interesse, noi potremmo convocare qui il Capo di Stato maggiore della Marina e capire con lui quali sono gli elementi di problematicità nel concedere spazi e aree che, almeno a nostra conoscenza, potrebbero essere di valido utilizzo per la vostra attività.
  Mi rendo conto che c'è una battaglia anche di competenza e che ognuno è proteso nel preservare quanto di propria spettanza, però forse potremmo capire meglio queste cose dal Capo di Stato maggiore.
  Per noi è molto importante capire la questione dell'ipotesi dell’hotspot di Mineo. Ci teniamo moltissimo, perché è stato un elemento della nostra missione e della valutazione che abbiamo fatto nella scorsa settimana.

  ELENA CARNEVALI. Abbiamo già sviscerato molti problemi. Magari cerco di affrontare alcune questioni non trattate.
  Relativamente alla questione dello SPRAR, l'indirizzo che è stato scelto con questo decreto ministeriale che è al vaglio della Conferenza Stato-regioni unificata ci trova particolarmente favorevoli. Siamo sempre stati di questa opinione, quindi il fatto che adesso ci sia un albo e che passiamo dei concorsi mi sembra una facilitazione particolarmente importante e soprattutto da porre in rilievo.
  Peraltro, credo che lei sappia meglio di me che ci sono molte situazioni nei territori dove l'accoglienza prefettizia è fatta anche di piccoli numeri. Rivolgo, quindi, un invito a tramutare queste piccole accoglienze prefettizie, che non sono altro che accoglienze temporanee. Penso che il meccanismo di premialità possa essere una facilitazione acché questo si realizzi.
  Sempre sullo SPRAR, c'è una richiesta che fanno fortemente i comuni e che bisognerà sollevare anche al servizio centrale. Noi l'abbiamo sempre pensato come un sistema di accoglienza di secondo livello. Mi chiedo se sia possibile utilizzare un meccanismo per cui il bacino da cui prendere le persone da accogliere nello SPRAR possano essere direttamente le strutture temporanee di accoglienza già presenti sul territorio.
  Questo faciliterebbe molto, nel senso che sono persone che conoscono il territorio Pag. 23 e con cui c'è una buona collaborazione. Questo potrebbe essere un suggerimento.
  Alla seconda questione in parte si è già risposto, perché è stata affrontata qui in più di una circostanza, anche da parte della sottoscritta. Mi riferisco alla premialità, che si tramuterà in questo 0,50, per coloro che, obtorto collo o per disponibilità, gestiscono una parte dell'accoglienza temporanea.
  Questo è particolarmente importante, anche solo per riuscire a formalizzare i rapporti di lavoro socialmente utili o quelli legati alla formazione.
  C'è un tema che non abbiamo affrontato in questa sede, però lo voglio porre, come ho fatto in altre circostanze. Le assicuro, prefetto, che uno dei limiti all'accoglienza diffusa, al netto delle osservazioni che faceva lei, che condivido – quando non la si vuole usare per agire contro il Governo oppure per altre ragioni di natura politica – è legato al tema della residenza. Ormai tutti i comuni hanno capito che questo non è un tema opzionale e non è una concessione, ma è un diritto che le persone devono avere.
  Credo che sia necessario – e questa è la richiesta che le rivolgo – rimettere mano alla questione della decadenza della residenza. Uno dei problemi importanti che noi abbiamo è che non esiste o esiste molto poco una relazione tra le questure quando sanno che a un certo punto l'espulsione avviene. Questo potrebbe in qualche modo facilitare.
  Rimangono i temi legati alla legislazione ordinaria. L'Associazione nazionale degli ufficiali di stato civile e d'anagrafe (ANUSCA) ci ha già fornito una serie di considerazioni. Penso che sia necessario rimettere mano su questo, oltre agli inviti che lei faceva sul piano legislativo dal punto di vista dell'obbligatorietà o meno.
  Torno sulla questione dell'uno o tre per mille abitanti, perché secondo me c'è stato un corto circuito informativo. Alcuni comuni, oltre ad auspicare che questo si realizzi, hanno fatto riferimento – credo assolutamente in buona fede – a una circolare del 2011, in qui c'era questa previsione di uno per mille abitanti, che è stata poi superata da quello che è stato sottoscritto in Conferenza Stato-regioni con la suddivisione territoriale che ci siamo dati.
  Presumo, però, che per poter realizzare questo rapporto di uno o tre per mille abitanti, al netto di quello che dobbiamo modulare sui grandi centri abitati, non si scappi dal tema dell'obbligatorietà. Infatti, se a quel punto qualcuno si sottrae, salta il sistema e torniamo ancora a bomba.
  Credo, quindi, che, se l'obiettivo è andare in questa direzione, in tema di obbligatorietà, che è stato il primo tema posto in questa Commissione e per il quale la scelta del Governo e del ministero è sempre stata quella più collaborativa rispetto a quella un po’ più coercitiva, si tratti di cambiare un po’ il sistema. Tuttavia, molto probabilmente questo potrebbe in qualche modo ridurre l'impatto.
  L'ultimo tema riguarda le questioni che abbiamo affrontato sugli hotspot esistenti. I buchi neri che rimangono, francamente, sono le modalità diverse di assegnazione delle gare d'appalto, la mancanza di vigilanza e il fatto che alcuni hanno un sistema basato soprattutto sull'attività di volontariato.
  Io non c'ero alla missione che i colleghi hanno fatto, però il report è stato questo. Non è possibile che in un Paese, a parità di contributi economici che vengono dati dallo Stato, questi si realizzino con un'attività promiscua (uso un eufemismo). Credo che questa sia una condizione che non si può realizzare e, quindi, in questo caso intervenire mi sembra obbligatorio.

  GAETANO PIEPOLI. Io vorrei fare un paio di osservazioni. In primo luogo, mi interrogo su come poter uscire da questa bolla, che è un circolo vizioso.
  Il Governo, almeno da quello che dice giustamente il prefetto Morcone, è costretto a inseguire le tessere dell'emergenza e chiede a sua volta che il Parlamento faccia la sua parte per un discorso di prospettiva.
  Il Parlamento, che si lamenta quotidianamente dell'ingerenza del Governo e passa il suo tempo a portare migliaia di ordini del giorno che sono flatus vocis, afferma che non ha il tempo per occuparsi Pag. 24di questa questione, aggredisce quando è necessario o incalza il Governo sulle cose che non vanno e, quindi, aggiunge la sua debolezza a quella del Governo.
  Cerchiamo di uscir fuori dal gioco combinato di demagogia e di rassegnazione. Mi domando: è possibile incominciare a pensare a un discorso di impatto di questa massa di problemi? Ovverosia, su questo nostro sistema Paese nei prossimi anni come possiamo ragionare per quanto riguarda gli effetti e le dinamiche di questo tema?
  Dico questo perché su questa doppia debolezza – fragilità degli strumenti con cui il Governo insegue l'emergenza, peraltro anche rispetto alla coazione europea, e Parlamento che sta lì a guardare, salvo lamentarsi di quello che non va, perché inseguiamo anche noi le cronache di ogni giorno – nella difficoltà di creare un clima di consenso istituzionale su una politica vera, che sia una politica moderna e civile, pesa, a mio modestissimo parere, un'illusione, che è quella che ha mosso, secondo me, dietro alle preoccupazioni serie e alle difficoltà dei sindaci di cui giustamente parlavano i colleghi che sono intervenuti prima di me.
  Mi riferisco all'illusione che sta dietro all'utopia dello status quo. La globalizzazione ha spezzato questi piccoli paradisi senza pietà e senza assolutamente riconoscere priorità di aree territoriali e geografiche. L'antica spaccatura tra centro, nord e sud su questo tema non esiste più, perché noi siamo semplicemente una tessera nella dinamica mondiale della globalizzazione. Chi crede che il proprio territorio possa salvarsi, se per caso riesce a puntellare meglio il proprio confine, non ha nient'altro che un'illusione, che è quella di mantenere uno status quo, come quello della grande Lombardia degli anni 1960 e 1970, che poi ha trovato la Milano da bere degli anni 1980.
  Io mi domando: il Governo può incominciare ad aprire un dibattito pubblico su questo, che coinvolga, al di là degli schieramenti, il Paese? Non è un tema di sofisticate esigenze intellettuali, ma di sopravvivenza del sistema Paese nei prossimi anni.
  Sono sempre sbigottito e ammirato quando leggo che la Merkel l'anno scorso tra agosto e settembre, bestemmiando i morti, come si dice dalle parti nostre... Infatti, non è vero che non abbia avuto durissime contestazioni nei Länder. Io cerco di seguire un po’ la stampa tedesca. Tuttavia, questo non ha mai fatto premio sul consenso complessivo del sistema politico-istituzionale. In tre mesi hanno fatto un piano di scolarizzazione di 325.000 bambini, quando noi stiamo discutendo addirittura di 325.000 migranti. Va bene, noi non siamo la Germania, però una strada ci è indicata.
  Dunque, a prescindere dalla debolezza degli strumenti, io credo che il Governo debba porre il tema di creare un clima di consenso legato al tema di quale Paese noi pensiamo di ipotizzare per i prossimi anni. Se sganciamo questo, continueremo a beccarci sulla difesa, anche rispetto alle difficoltà relative alla sicurezza e alle preoccupazioni, che non sono capotiche, ma sono fatti di ogni giorno.
  Io rivolgo questo invito anche ai colleghi parlamentari, che credono, come giustamente afferma il prefetto Morcone, che ci sia uno spazio legislativo per razionalizzare, sulla base dei problemi emersi, nuovi strumenti. Ebbene, facciamo questi grandi disegni di legge di iniziativa parlamentare.
  Noi ci lamentiamo che stiamo sempre lì a votare voti di fiducia e decreti-legge del Governo. Noi che cosa facciamo? Guardiamo il nostro ombelico? Nel frattempo, abbiamo migliaia di ordini del giorno che ci permettono di dire in streaming quanto siamo bravi e anche un po’ narcisi.
  È vero che l'articolazione sulle piccole comunità è importante, però è importante anche avere una politica di accompagnamento. Non voglio dire «di controlli», perché questa storia maniacale dei controlli che ci sono, che mancano e così via, che è verissima, rischia di essere una cosa puramente formale che ci garantisce rispetto a vicende successive.
  Noi abbiamo bisogno di fare anche una politica di accompagnamento per chi si Pag. 25impegna in questo settore, perché, come si dice dalle parti nostre, non si nasce imparati. Siccome noi abbiamo, purtroppo, una brutta esperienza di rendita della marginalità, dobbiamo imparare qualcosa da queste esperienze.
  Infine, io credo che sugli hotspot probabilmente andrebbe fatto anche un chiarimento maggiore a livello dell'Unione sul tipo di contributo di presenza logistica e di supporto che l'Unione stessa pensa di dare, se vuole veramente concorrere alla funzionalità e alla capacità di efficienza di queste strutture.

  MARIALUCIA LOREFICE. Riguardo all'emendamento che è stato approvato, a me risulta che sono ben tre emendamenti identici, a firma dei colleghi Dadone, Fontana e Pollastrini, che sono stati già approvati. Mi pare, però, che lei non abbia ancora la certezza di questo, e, quindi, vorrei sapere se c'è qualche problema. Ieri in Commissione, nel decreto-legge sugli enti locali, sono stati approvati. Vorrei sapere se c'è ancora qualche incertezza riguardo a questo emendamento.
  A tal proposito, faccio solo una considerazione. In questo emendamento si parla di strutture da 50 posti. Naturalmente noi auspichiamo che queste strutture siano realizzate su tutto il territorio nazionale, perché altrimenti il problema continuerebbe a rimanere esclusivamente nelle città più esposte al fenomeno.
  Vorrei segnalarle anche un'altra cosa. Non ricordo se anche l'altra volta le feci questa domanda riguardo ai minori stranieri non accompagnati. Al di là del problema di trovare delle strutture adeguate per i minori, la difficoltà che riscontrano i sindaci è quella di trovare nell'immediato innanzitutto delle strutture che abbiano già dei posti a disposizione.
  Noi abbiamo più volte proposto – non è una proposta nostra, ma delle organizzazioni umanitarie – che venisse prevista una sorta di regia, che fosse un sito ministeriale, dove poter collocare tutte le strutture per minori con i posti disponibili.
  Anche in questo modo si aiuterebbero i sindaci, che potrebbero immediatamente individuare queste strutture e pensare allo spostamento. Credo che anche questo potrebbe essere un modo per aiutarli.

  PAOLO BENI. Più che una precisazione, voglio aggiungere un pezzo alla domanda sugli hotspot, che prima ho dimenticato. È una domanda molto precisa e forse la sorprenderà.
  Si è detto: se gli hotspot servono a dare razionalità e funzionalità al sistema, ben vengano, ne servono di più eccetera, però devono funzionare per la primissima accoglienza, l'identificazione e lo smistamento, in funzione di un sistema.
  La domanda è la seguente: se è così, cioè se gli hotspot funzionano davvero per come devono funzionare, c'è bisogno dell'ente gestore? Visto che quelle funzioni riguardano in larga parte gli operatori delle istituzioni, delle forze di polizia, dell'EASO e di Frontex, l'aspetto sanitario eccetera, non si potrebbe ipotizzare di far passare tutti gli arrivi dagli hotspot, creandone di più?
  Quella fase non potrebbe essere gestita direttamente dalla mano pubblica, magari con l'ausilio della Protezione civile, mentre per l'accoglienza successiva, che necessita di una serie di servizi di supporto e di sostegno di varia natura, funzionali anche alla successiva integrazione, si mobilitano gli enti gestori accreditati eccetera?

  PRESIDENTE. Do la parola al prefetto Morcone per la replica.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Presidente, naturalmente lei avrà un appunto preciso, situazione per situazione. È chiaro che ci interessano tutti i porti siciliani più quelli calabresi (Reggio, Vibo, Crotone). Le facciamo un appunto preciso.
  Naturalmente il tema non riguarda solo il Capo di Stato maggiore della Marina, ma riguarda soprattutto l'ammiraglio Melone della Guardia costiera, perché sono...

  PRESIDENTE. Noi li chiamiamo entrambi.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione Pag. 26del Ministero dell'interno. Lo dico solo per mettervi in condizione di ragionare.
  Onorevole Carnevali, certamente noi puntiamo molto sulla trasformazione di alcuni centri di accoglienza straordinaria (CAS) o strutture aperte temporaneamente di qualità in progetti SPRAR. È chiaro che, più riusciamo a riassorbire questo fenomeno, più siamo contenti. Questa è un'operazione che faremo sicuramente.
  È senz'altro un'idea giusta quella di prendere le persone dal bacino delle strutture aperte temporaneamente per mandarle negli SPRAR. Naturalmente a volte ci riusciamo e a volte no. Cercheremo di insistere su questo tema, perché, nell'ansia e nella fretta di trovare soluzioni, può accadere che qualche volta salti.
  È evidente che lo 0,50 è per tutti quelli che accolgono.
  Il tema della residenza è un po’ complicato. Mi riserverei di fare un approfondimento. Sì, decadenza dalla residenza. Lo esaminerò con calma e poi magari le farò avere un quadro.
  C'è poi il tema dell'obbligatorietà, ma questo è davvero un dibattito che appartiene al Parlamento.
  Onorevole Piepoli, non c'è dubbio che sono assolutamente d'accordo su tutta la prima parte del discorso che lei ha fatto. Io credo che sia importante che sia il Governo che il Parlamento si pongano il tema di un disegno più ampio con una visione del futuro, proprio perché stiamo parlando di un fenomeno ormai strutturale, non stiamo parlando più di una congiuntura, soprattutto alla luce di alcune considerazioni, che magari non fa tanto piacere sentirsi ripetere.
  La ricerca di Confindustria afferma che i migranti non coprono il calo della natalità. L'INPS indica che il contributo previdenziale dei migranti ha addirittura un saldo positivo per lo Stato, calcolando anche le spese per l'accoglienza.
  Questo non lo dice Mario Morcone. Secondo me, la politica se lo deve dire chiaramente e probabilmente si dovrebbe fare una sessione del Parlamento per discutere di questo. Sarebbe bellissimo, io rimarrei calamitato alla televisione a guardarla. Mi farebbe davvero molto piacere.
  All'onorevole Lorefice vorrei dire che gli emendamenti a cui lei faceva riferimento sono stati dichiarati inammissibili, senza discuterli. Questo è ciò che so io...
  Esatto. Ci siamo agitati come dei pazzi per fare un nuovo emendamento del Governo con gli stessi contenuti riformulati, proprio per superare questo approccio negativo. È chiaro che ciò è finalizzato proprio a diffondere su tutto il territorio nazionale la presenza dei minori e a scaricare la Sicilia da questo.
  Per quanto riguarda il sito ministeriale per i sindaci, secondo me ci arriveremo.

  GIUSEPPE BRESCIA. Mi scusi. Quando sarà operativa la questione dei minori non accompagnati?

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Appena approvata al Senato la conversione in legge del decreto-legge. È un decreto-legge. Credo che il 5 agosto, prima della chiusura delle Camere, il Senato debba convertire in legge il decreto-legge.
  A quel punto io ad Archi, in Calabria, faccio i pullman da 50 ragazzi e li porto al nord – ve lo dico subito – perché quella di Archi è una situazione che non si può più gestire.
  L'onorevole Beni mi chiedeva se c'è bisogno dell'ente gestore. Questa è una valutazione che finora noi abbiamo lasciato ai prefetti. Si può fare un ragionamento più ampio. Certo è che comunque ci sono una serie di servizi che occorre offrire in maniera professionale. Ti può piacere o meno l'ente gestore, però devi offrire dei servizi in maniera professionale e molto spesso il volontariato «puro e semplice» non riesce a farlo, soprattutto su grandi numeri.
  Questa, però, è una riflessione che si può fare in maniera approfondita. Infatti, rispetto alla vicenda di Augusta, io ho chiesto più volte al collega di Siracusa: «Perché non costruiamo una presenza di un ente gestore su Augusta, che ci aiuterebbe un po’?» Lui naturalmente si pone anche il Pag. 27problema del rapporto col sindaco e il fatto che il porto non si vorrebbe così impegnato com'è.
  Chiaramente le varie vicende locali condizionano la scelta in un senso o nell'altro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Morcone e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.

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