XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 78 di Giovedì 7 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, sui profili di competenza in tema di attuazione e prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera dei deputati) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Costa Enrico (AP) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 3 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
De Menech Roger (PD)  ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 12 ,
Fornaro Federico  ... 13 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, sull'attuazione e le prospettive del federalismo fiscale.
  Lo ringrazio per la disponibilità e gli cedo subito la parola per lo svolgimento della relazione.

  ENRICO COSTA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Onorevole presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto vi ringrazio per l'occasione, che mi offrite con quest'audizione, di fare il punto sui problemi che caratterizzano oggi il sistema regionale e delle autonomie locali in un quadro che appare in evoluzione.
  Ci troviamo a un nuovo snodo nello sviluppo delle relazioni istituzionali e finanziarie tra i livelli territoriali di governo di cui si compone la Repubblica. Il processo di ripristino dell'autonomia impositiva delle amministrazioni locali e regionali dopo la lunga stagione della deresponsabilizzazione iniziata con la centralizzazione delle entrate, operata negli anni Settanta dalla riforma fiscale Visentini, ha conosciuto negli anni recenti un significativo rallentamento.
  Tale ripristino, cominciato negli anni Novanta con l'introduzione dell'ICI, dell'IRAP e delle addizionali IRPEF, e culminato con la riforma costituzionale del 2001, ha completamente rovesciato l'impostazione dei rapporti finanziari tra il centro e la periferia. Il nuovo Titolo V della Costituzione ha dato definitiva copertura costituzionale alla linea seguita nella seconda metà degli anni Novanta, modificando, mediante la revisione dell'articolo 114 della Costituzione, la composizione della struttura stessa della Repubblica e rovesciando con il nuovo articolo 119 il rapporto tra Stato, regioni e autonomie territoriali.
  Dopo lunghi rinvii, la legge n. 42 del 2009 ha inteso dare attuazione alla riforma dell'articolo 119 della Costituzione. Esso stabilisce che i governi sub-centrali (comuni, province, città metropolitane e regioni) dispongano di tributi propri e di altre forme di entrate e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali. Tali fonti di entrata devono essere di entità tale da consentire il finanziamento integrale delle loro funzioni.
  La riforma del federalismo fiscale dava applicazione alla riforma del Titolo V del 2001 prevedendo l'abolizione dei trasferimenti come mezzo ordinario di finanziamento delle regioni, nel quadro di un riassetto complessivo della finanza regionale. Il disegno prendeva le mosse dalla distinzione tra spese delle regioni soggette al vincolo previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, relativo Pag. 4 ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e le altre spese non soggette a tale vincolo.
  Le due categorie si distinguevano per l'individuazione di differenti strumenti tributari da assegnare alla copertura, ma anche, e soprattutto, per la diversa natura e intensità della perequazione. La citata legge n. 42 stabilisce, infatti, che le risorse destinate al finanziamento delle spese soggette ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) siano perequate al 100 per cento, con riferimento alla differenza tra fabbisogno standard e capacità fiscale standard, e che, invece, quelle per le spese libere dal vincolo dei LEP siano perequate parzialmente, in base alla sola capacità fiscale.
  La legge n. 42 del 2009 si basava su un disegno fondato su due principali direttrici: da un lato, la devoluzione di risorse tributarie ai livelli territoriali di governo sub-statuali; dall'altro, il perseguimento di un obiettivo molto ambizioso, ossia la sostituzione il vecchio e superato criterio della quantificazione del fabbisogno sulla base della spesa storica con un nuovo e assai più moderno sistema perequativo, basato sulla capacità fiscale e i fabbisogni standard.
  Oggi ci troviamo di fronte a un punto di svolta fondamentale. Ci sono stati anni in cui sono state adottate, quasi contemporaneamente, normative di portata generale – come i decreti delegati attuativi della citata legge n. 42 – concepiti nel senso della costruzione di una finanza locale e regionale coerente col principio dell'autonomia finanziaria contenuta nell'articolo 119 della Costituzione, e interventi emergenziali e settoriali, che sono andati invece in senso opposto.
  Tutto questo ci obbliga a ripensare a fondo il quadro complessivo, per ritrovare un filo che ci possa guidare nel costruire un sistema di finanza locale e regionale rispettoso tanto del quadro costituzionale quanto dei princìpi virtuosi che hanno segnato la svolta dei primi anni Duemila.
  Dall'approvazione della legge n. 42 del 2009 sono intervenute almeno tre grandi innovazioni di natura istituzionale, che modificano significativamente il quadro di riferimento. È questa l'impronta che vorrei dare a quest'audizione: cercare di collegare quello che è stato fatto con le innovazioni, e guardare a una prospettiva futura.
  La prima di queste tre grandi innovazioni si riferisce alla riforma delle regole costituzionali della finanza pubblica. La seconda è rappresentata dal sistema di governo locale sub-regionale, che è stato profondamente modificato dalla legge n. 56 del 2014. La terza è l'ulteriore modifica del Titolo V prevista dalla recente riforma costituzionale.
  Nell'ambito di quest'ultima riforma – questo è un punto sul quale concentrerò larga parte del mio intervento – va tenuto presente che è stato modificato anche l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di regionalismo differenziato; tale modifica è intervenuta anche nell'ambito delle materie, per le quali la legge statale bicamerale – anche su richiesta della regione e previa intesa tra questa e lo Stato – può prevedere forme e condizioni particolari di autonomia.
  Va, inoltre, sottolineato che la modifica del citato articolo 116 ha introdotto, come condizione indispensabile affinché una regione possa chiederne l'applicazione, il rispetto, da parte della regione stessa, del vincolo di equilibrio di bilancio, inteso come equilibrio tra entrate e spese.
  Ciascuna di queste innovazioni ha, quindi, profondamente modificato il quadro in vigore al momento nel quale la legge n. 42 fu pensata e approvata. Ciò vale, innanzitutto, per le riforme già da tempo entrate in vigore, come la legge costituzionale n. 1 del 2012, la legge rinforzata n. 243 dello stesso anno e la n. 56 del 2014 in materia di città metropolitane, di nuovi enti, di province, di area vasta e di unioni di comuni, che contiene anche norme importanti in materia di associazionismo comunale, previsto e regolato sia nella forma dell'unione sia nella forma della fusione di comuni. Questo vale a maggior ragione per la riforma costituzionale contenuta nella legge costituzionale, approvata il 15 aprile 2016 e ora in attesa di referendum confermativo. Pag. 5
  Sugli effetti della citata legge n. 56, anche rispetto al federalismo fiscale disciplinato nella legge n. 42, si è già soffermato a lungo, in una precedente audizione, il Sottosegretario Bressa. Sappiamo tutti che, sia le nuove province sia le città metropolitane, non solo non sono state dotate di un sistema di finanziamento coerente con i princìpi del federalismo fiscale e con le nuove funzioni ad esse assegnate al, ma sono state oggetto di tagli ulteriori, che hanno reso ulteriormente difficoltosa la fase di avvio della riforma. A tale situazione si è poi faticosamente, ma non integralmente, posto rimedio con i trasferimenti statali, ai quali, seppur da un punto di vista più ampio, fa riferimento anche la relazione della Corte dei conti nel rapporto 2016 sul coordinamento della finanza pubblica.
  Non a caso, tra i temi sottolineati già nelle precedenti audizioni, vi era in primis quello di dotare le città metropolitane di risorse proprie, adeguate alle funzioni a esse attribuite. Una problematica analoga valeva allora, e continua a valere oggi, per la parte della riforma Delrio relativa a province ed enti di area vasta.
  Come è noto, l'ambito delle funzioni fondamentali di questi enti è stato molto ridotto e, per contro, è stato previsto che spetti alla regione definire quali altre funzioni esse debbano continuare a svolgere o assicurare, in base a un'impostazione che, all'interno dei tagli che hanno caratterizzato, negli scorsi anni, le entrate delle province, ha reso molto complessa l'attuazione di questa normativa. Proprio tale impostazione assume oggi, nel quadro della riforma costituzionale, approvata e in attesa di referendum, rilevanti problematicità ancora maggiori.
  Come ho ricordato, l'articolo 40, quarto comma, di questa legge prevede che, entrata in vigore la riforma e soppresse le province, le competenze relative a questi enti, diverse dalle definizioni dei profili ordinamentali generali, che restano di competenza dello Stato, spettino alle regioni.
  Sarà necessario, dunque, non solo chiedersi se, e in che modo, riprendere il filo di un sistema di finanziamento virtuoso di questi enti, ma in che misura il sistema di finanziamento degli enti di area vasta debba essere assicurato attraverso un'adeguata autonomia fiscale a essi assegnata, e in che misura essa debba essere inglobato nella finanza regionale, lasciando a ogni regione il compito di definire il fabbisogno da assicurare a tali enti.
  Questo tema impegnerà non poco la politica e la dottrina. Sarà necessario, infatti, chiarire se, in che misura e fino a quando questi enti debbano restare titolari delle funzioni fondamentali che la legge n. 56 del 2014 ha assegnato alle province enti di area vasta, in un quadro costituzionale nel quale l'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera p), ancora prevede l'obbligo, per la legge statale, di definire anche le funzioni fondamentali delle province.
  Ovviamente, tale obbligo decadrà con l'entrata in vigore della nuova riforma costituzionale, che, per un verso, abolisce le province e, per un altro, modifica anche l'articolo 117, secondo comma, lettera p), facendo venir meno la previsione di funzioni fondamentali assegnate dalla legge dello Stato a enti diversi dai comuni e dalle città metropolitane.
  Su un altro, ma connesso, versante occorre tener presente che il nuovo articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, mentre sopprime le province e la conseguente attribuzione a esse di funzioni fondamentali, prevede invece che spetti allo Stato dettare disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni. In questo caso, il riferimento al concetto di disposizioni di principio può presupporre sia una successiva legislazione regionale di dettaglio, ma anche – e questa pare sia la tesi preferibile – implicare l'obbligo per lo Stato di lasciare ampio spazio di normazione secondaria ai comuni stessi, rimettendo alle loro scelte le forme associative da adottare e stabilendo eventualmente le procedure e i vincoli da rispettare.
  Non vi è dubbio che l'articolo 117, secondo comma, lettera p), come modificato dalla riforma costituzionale, se da un lato Pag. 6«decostituzionalizza» e sopprime le province, dall'altro dà invece esplicita copertura costituzionale alle forme associative dei comuni, tenendole ben distinte dagli enti di area vasta ai quali – come ho già ricordato – si applica la diversa disciplina dell'articolo 40, quarto comma, della legge di riforma costituzionale.
  Ove, dunque, il referendum confermativo avesse esito positivo e la riforma entrasse in vigore, spetterebbe allo Stato definire, tenendo conto dei princìpi stabiliti dal nuovo testo dell'articolo 119 della Costituzione le forme e le modalità di finanziamento dei diversi modelli di forme associative previste.
  Anche a queste forme associative, proprio perché costituzionalmente previste e garantite, dovrebbero essere infatti riconosciute risorse proprie, o comunque risorse incentivanti, che segnino non solo la convenienza dei comuni ad associarsi, ma anche un vero e proprio salto qualitativo del livello amministrativo locale.
  Vengo a un punto di forte incrocio tra riforme avvenute in questi anni, loro entrata in funzione e ripresa della costruzione di un definito e coerente sistema di finanza locale. Non minori sono i problemi legati alle regioni. Il nuovo testo dell'articolo 117, come riscritto dalla nuova riforma costituzionale, stabilisce, alla lettera e), che spetta alla competenza esclusiva dello Stato definire il sistema tributario e contabile dello Stato, l'armonizzazione dei bilanci pubblici, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché la perequazione delle risorse finanziarie.
  Si tratta di un'evoluzione significativa rispetto al testo attuale dell'articolo 119, che anche dopo la riforma costituzionale del 2012 si limita a prevedere che gli enti territoriali e le regioni, insieme al rispetto dell'equilibrio di bilancio e al concorso al rispetto dei vincoli economici e di bilancio derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, debbano esercitare la propria autonomia fiscale, costituzionalmente garantita, in armonia con la Costituzione, secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario.
  Il nuovo testo dell'articolo 119, così come modificato dalla legge costituzionale di riforma, recita infatti che essi devono esercitare la loro confermata autonomia tributaria nel rispetto della Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
  Fermi restando, tuttavia, i nuovi vincoli posti dalla riforma del 2012, e non sottovalutando affatto l'ampliamento del potere esclusivo dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, deve comunque essere sottolineato che l'articolo 119 della Costituzione, anche nel nuovo testo, continua a individuare nell'autonomia fiscale degli enti territoriali e delle regioni, da un lato, e nel principio di perequazione, dall'altro, i due pilastri fondamentali su cui poggia la loro autonomia, anche sotto il profilo delle risorse e del reperimento delle entrate necessarie all'esercizio delle loro funzioni.
  Ciò, tuttavia, non esclude affatto che debba essere rivisto il quadro delineato dalla legge n. 42 del 2009 e il disegno complessivo che emerge dai relativi decreti attuativi, se non altro al fine di mettere quella normativa in asse con le riforme, secondo linee coerenti con tutto il sistema.
  Non vi è ragione, però, di affermare che la riforma costituzionale sanziona e certifica il ritorno a una linea centralistica, analoga a quella degli anni Settanta, e tanto meno che la possa consentire. Non dovrebbe esservi il dubbio, infatti, che il rafforzamento del potere statale avviene sempre all'interno di una normativa costituzionale, che vincola lo Stato a riconoscere l'autonomia fiscale di comuni, città metropolitane e regioni, prevedendo che essi possano disporre sia di entrate proprie sia di compartecipazione a gettiti erariali, secondo criteri che rimettano a questi enti anche la modulazione delle entrate rispetto al fabbisogno necessario per l'esercizio delle funzioni.
  Non può neppure essere messo in dubbio che, anche in un quadro costituzionale che vede rafforzata la competenza statale, non vengono meno i princìpi di perequazione. Merita piuttosto sottolineare che il Pag. 7nuovo articolo 119 si caratterizza anche per il fatto che al comma quarto viene di fatto costituzionalizzata una delle due linee guida principali lungo le quali si è mossa la citata legge n. 42 del 2009, cioè definire degli indicatori di riferimento di costo e fabbisogno, che promuovano condizioni di efficienza nell'esercizio delle medesime funzioni.
  Se è vero che, da un lato, dobbiamo muoverci in una logica di ripensamento del sistema di federalismo fiscale così come definito dalla legge n. 42 e dai suoi decreti attuativi, è vero anche che il ripensamento non deve avvenire rovesciando l'impostazione che quella legge ha adottato come base del sistema delle forme della finanza pubblica; al contrario ciò deve avvenire migliorandone e rafforzandone le linee portanti, anche alla luce delle nuove più definite competenze dello Stato e dei più stringenti vincoli di finanza pubblica.
  Sempre restando all'interno del nuovo quadro costituzionale definito dalla riforma e muovendomi nella prospettiva che essa sia confermata dal referendum, desidero sviluppare ancora una rapida riflessione sull'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di regionalismo differenziato.
  Ho letto le relazioni relative a molte audizioni svolte in questa Commissione e penso sia giusto dare anche una chiave di lettura diversa e ulteriore dell'articolo 116, comma terzo. Anche alla luce del negoziato avviato con la regione Veneto, ritengo che ciò sia importante, tanto sulla base dell'attuale Costituzione quanto sulla base delle modifiche che saranno eventualmente apportate.
  Considero questa disposizione importante, tanto più nel nuovo equilibrio di poteri disegnato dalla riforma con la riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione. Il nuovo terzo comma dell'articolo 116 interviene nell'ambito delle materie che possono essere oggetto di concessione di forme e condizioni particolari di autonomia. Allo stesso tempo, coerentemente con quanto previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 e dal primo comma dell'articolo 119 della Costituzione, fa dell'equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio regionale la condizione essenziale perché la regione possa chiedere forme speciali particolari di autonomia e le trattative con lo Stato possano avviarsi.
  Al contempo, il mantenimento dell'obbligo del raggiungimento di un'intesa tra Stato e regione, come base necessaria perché possa essere votata la legge bicamerale che concede a una regione forme particolari di autonomia, accentua il carattere in un certo senso pattizio che è alla base dell'applicazione dell'articolo 116.
  Penso che questa norma, tanto più nella sua nuova formulazione e nel nuovo contesto costituzionale, possa costituire un elemento importante per dar vita a un sistema di regionalismo a geometria variabile, che ritengo potrà essere basato, da un lato, su un incentivo forte alle regioni a tenere comportamenti virtuosi nella gestione dei loro bilanci; dall'altro, sull'interesse comune dello Stato e delle regioni al fatto che ogni regione che rispetta tali vincoli possa ottenere forme e condizioni di autonomia le quali le consentano di sviluppare le proprie vocazioni.
  In questo modo, infatti, le regioni potranno meglio operare anche sul versante dello sviluppo economico e della crescita del PIL nazionale, concorrendo così più concretamente, anche in modo proattivo, al rispetto dei vincoli economici e finanziari posti dall'ordinamento europeo.
  Non va mai dimenticato, infatti, che il primo comma dell'articolo 119 considera il rispetto dei vincoli economici e finanziari europei come un dovere comune e condiviso dallo Stato e da tutti gli enti territoriali. Restano sempre di competenza statale la definizione delle funzioni fondamentali di comuni e città metropolitane, la previsione di princìpi fondamentali delle forme associative nonché la definizione, ex articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, della normativa di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Allo stesso modo, è indiscutibile il fatto che restano di competenza statale, ex articolo 119, quarto comma, la definizione degli indicatori di riferimento di costo e fabbisogno. Pag. 8
  Tuttavia, proprio una sana attuazione del regionalismo differenziato nei confronti delle regioni che corrispondono ai requisiti necessari non può che tradursi in un aumentato spazio di autonomia, o comunque di maggiore dinamicità di azione, delle regioni che ne possono beneficiare e dei rispettivi sistemi di enti territoriali.
  Questo vale certamente per gli enti di area vasta, di cui al quarto comma dell'articolo 40, ma vale anche per gli altri enti territoriali, città metropolitane comprese, perché nella legge n. 56 del 2014 le passerelle tra regione, sistema comunale, sue forme associative e città metropolitane, sono numerose e possono riguardare diversi profili.
  È bene aver chiaro fin d'ora, però, che l'attuazione di forme adeguate di regionalismo differenziato, in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, non potranno portare a costituire una sorta di tertium genus di regioni, intermedio tra le regioni a statuto speciale speciali e quelle a statuto ordinario. Al contrario, il regionalismo differenziato di cui all'articolo 116, terzo comma, impone che un'intesa tra Stato e regione e ogni legge di conferimento di condizioni particolari di autonomia siano basate sulle vocazioni proprie di ciascuna regione e del sistema degli enti territoriali. In altri termini, non solo il regionalismo differenziato consente una sorta di regionalismo à la carte, ma lo impone, ovviamente sempre nel rispetto del principio di ragionevolezza.
  Non si tratta, quindi, di un menu composto da una lista nell'ambito della quale ciascuna regione può chiedere e ottenere le competenze che ritiene utili e di avere, di conseguenza, le corrispondenti risorse, né tanto meno può essere concepito come un sistema nel quale una regione può basare la sua richiesta a partire dalla volontà di avere una diversa e più ampia autonomia finanziaria, individuando poi quali competenze possano essere richieste per giustificare questa maggiore autonomia finanziaria. Deve essere, infatti, ben chiaro che il regionalismo differenziato ha sempre natura pattizia e si basa su un'intesa che deve trovare concordi lo Stato e la regione.
  Per lo Stato, il conferimento di nuove funzioni, o meglio di condizioni particolari di autonomia a una regione, non può mai muovere dalla richiesta della regione di una più ampia autonomia finanziaria, ma deve sempre potersi basare sulla valutazione della richiesta di forme e condizioni particolari di autonomia, che consentano alla regione stessa di sviluppare le proprie vocazioni produttive, economiche, di sviluppo culturale e sociale.
  In questo quadro, è ovvio che lo Stato dovrà valutare le richieste delle regioni anche tenendo conto delle loro caratteristiche orografiche, delle loro potenzialità nei diversi settori oggetto di richiesta, delle loro tradizioni e vocazioni culturali e sociali. Sono queste le condizioni la cui verificata esistenza – unita al rispetto del pareggio di bilancio – può consentire allo Stato, anche in virtù del comune dovere delle regioni e degli enti territoriali di concorrere al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, di dare a una regione specifica poteri, competenze e forme di autonomia anche finanziaria diverse e maggiori di quelle riconosciute alle altre.
  In questo quadro, è evidente che la definizione delle maggiori forme di autonomia fiscale, o comunque le maggiori risorse da assicurare alla regione, possono trovare legittimazione solo se strettamente e direttamente connesse ai fabbisogni ulteriori e ai maggiori costi che le nuove funzioni o le nuove forme particolari di autonomia potranno richiedere, sia a favore di ciascuna regione interessata sia eventualmente a favore del sistema degli enti territoriali appartenenti al suo territorio.
  Questo è uno scenario che a me pare assolutamente coerente non solo con l'articolo 116, terzo comma, e con tutto il quadro della riforma costituzionale, ma anche con l'obiettivo di fondo che ha mosso il riformatore costituente, cioè quello di migliorare l'efficienza e la competitività del sistema Italia.
  Per questo sono contrario a vedere della riforma uno strumento di riaccentramento del potere statale a danno delle regioni e delle autonomie locali. Al contrario, anche Pag. 9per il ruolo che può giocare il nuovo articolo 116, terzo comma, si può vedere nella riforma un disegno orientato a un regionalismo virtuoso e flessibile, che, fermo restando il vincolo non negoziabile del pareggio di bilancio, può consentire forme molto innovative di alleanza tra Stato e singole regioni, o meglio singoli sistemi regionali comprendenti anche gli enti territoriali che ne fanno parte.
  Si tratta di un quadro costituzionale orientato a una flessibilità virtuosa, che, fermo restando il ruolo rafforzato di regia centrale riservato allo Stato, consente non solo il rispetto formale e sostanziale delle autonomie, ma anche la loro esaltazione, ovviamente a condizione che la loro attività rispetti i vincoli di bilancio e si inscriva in un disegno virtuoso ed efficiente di sviluppo dell'intero Paese.
  Da questo punto di vista, trovo che la riforma costituzionale si ponga in stretta e coerente sintonia con la legge n. 56 del 2014. Essa, infatti, ha la sua principale caratteristica nel consentire grande flessibilità nelle scelte che tanto le forme associative di comuni quanto gli enti territoriali di secondo livello – costituiti tutti da organi composti di sindaci e amministratori locali – possono sviluppare nella loro azione, e nel sistema di relazioni con la regione e altri soggetti che operano nel loro ambito territoriale.
  Il fatto stesso che gli organi di secondo livello siano governati da soggetti che rappresentano la loro decisione sulla base della volontà e delle scelte dei sindaci e amministratori locali è, infatti, un elemento significativo della riforma; si tratta di un pregio che ora trova nel nuovo quadro costituzionale, sia con riguardo all'articolo 119 sia con riferimento all'articolo 116, terzo comma, una conferma e un ulteriore rafforzamento.
  Signor presidente, onorevoli deputati e senatori, mi avvio alla conclusione. Ho voluto, come ho evidenziato prima, allargare il campo di questa relazione dall'analisi dei limiti e delle carenze dell'attuazione finora avuta del federalismo fiscale a uno scenario nuovo di ampie prospettive, il quale ha l'ambizione di raccordare le innovazioni più significative della legge n. 56 con quelle, non meno importanti e promettenti, contenute nel nuovo quadro costituzionale, sia con riferimento alla costituzionalizzazione degli indicatori di fabbisogno e dei costi sia, soprattutto, alla nuova ribadita disciplina del vincolo di bilancio, da rispettare anche e soprattutto per accedere alle potenzialità del regionalismo differenziato.
  È evidente che, su questo piano, molto lavoro ci attende; esso dovrà dispiegarsi innanzitutto sul piano ordinamentale, mettendo appunto le regole che devono presiedere alle nuove forme associative dei comuni, in parte correggendo e in parte integrando le previsioni recate dalla citata legge n. 56, e soprattutto definendo le procedure e le modalità con le quali potrà attivarsi il regionalismo differenziato.
  Su entrambi questi aspetti il dipartimento degli affari regionali e i suoi uffici stanno operando. Del resto, da tempo è stato messo a punto un disegno strategico e sono state formulate alcune preliminari ipotesi normative per definire modalità virtuose per lo sviluppo delle forme associative dei comuni.
  Su questo tema il punto su cui mi permetto di insistere è quello della spontaneità e, soprattutto, della scelta, da effettuarsi attraverso le valutazioni dei sindaci e dei rappresentanti dei comuni, delle forme associative da porre in essere. Questa deve essere la chiave, insieme al tema delle funzioni. È evidente che le forme associative devono avere un cuore in comune, che consenta di fare in modo che siano non solo enti di facciata, ma anche di sostanza.
  Quanto al regionalismo differenziato, anche in relazione alle iniziative assunte dalla regione Veneto, ho avuto modo di esporre alcune linee di fondo sul sistema di procedure e di modalità di relazioni tra lo Stato e le regioni che possa, nell'ambito dell'attuale articolo 116, terzo comma, della Costituzione – e ancora di più in relazione al nuovo testo contenuto nella riforma – dar vita a modalità estremamente interessanti di regionalismo variabili.
  Siamo pronti ad affrontare un nuovo e più ambizioso salto in avanti del sistema Pag. 10delle regioni e delle autonomie locali, anche nel quadro di una Costituzione rinnovata, che, pur affidando allo Stato il giusto ruolo di regista centrale, chiama tutti i governi locali a concorrere attivamente allo sforzo comune.
  In questo quadro vogliamo collocarci anche per ritrovare quel filo che, sulle orme della legge n. 42 e dei riaffermati princìpi dell'articolo 119 della Costituzione, promuova un'effettiva autonomia fiscale di entrata, sia per le regioni sia per gli enti territoriali.
  Da questo punto di vista, come molti hanno già detto, è forse fatica vana attardarsi a cercare di individuare, quasi ragionieristicamente, le parti del disegno della legge ancora incompiute o bloccate. Ciò che dobbiamo fare è riprendere il processo reale di attuazione del federalismo fiscale, cercando di valorizzare e sviluppare le direttrici di marcia che esso aveva indicato e che appaiono tuttora coerenti con il quadro costituzionale.
  Coerentemente, si tratta di mettere a punto adeguate forme di meccanismi perequativi relativi alle città metropolitane, di ridefinire quali regole debbano essere adottate per assicurare il finanziamento degli enti di area vasta, per quali funzioni e da parte di chi.
  Inoltre, dobbiamo mettere a punto princìpi e metodologie da adottare nell'ambito del regionalismo differenziato. Non è, infatti, pensabile che un regionalismo differenziato sia basato sul puro mantenimento, in capo alla regione, di una percentuale predefinita delle risorse riscosse sul territorio, individuata magari in una soglia non lontana dalla totalità del gettito assicurato da quell'imposta per la parte riscossa nel territorio regionale.
  Il regionalismo differenziato deve muovere da una prospettiva opposta, di commisurare le risorse alle condizioni particolari di autonomia effettivamente conferite, fermo restando che il conferimento di tali condizioni deve sempre basarsi su motivazioni specifiche, legate al contesto della regione richiedente, sulla base del principio di ragionevolezza, oltre che nel rispetto dei princìpi costituzionali.
  Allo stesso modo, anche il conferimento di risorse aggiuntive legate al conferimento di condizioni particolari di autonomia dovrà essere ragionevole e basato sui princìpi generali che l'articolo 119 della Costituzione individua per tutte le regioni, e che dunque possono trovare nell'ambito del regionalismo differenziato specificità di applicazione, ma non diversità irragionevole relativamente alla metodologia da seguire.
  Concludo evidenziando che è intenzione mia e del dipartimento per gli affari regionali avvalersi delle strutture esistenti sul piano tecnico e del contributo del Sose (Soluzioni per il Sistema Economico Spa), che ha fatto in questi anni un buon lavoro nell'ambito dell'individuazione dei fabbisogni standard dei comuni e delle province.
  Infine, anche con il concorso delle regioni che già ne hanno fatto richiesta, e avvalendoci del supporto tecnico delle strutture che ho citato, oltre che di quello fondamentale del dipartimento affari regionali e dei ministeri di volta in volta interessati, dovremo approfondire il tema del regionalismo differenziato. In tale ambito dovremo mettere a punto, oltre alle metodologie procedurali relative alla richiesta da parte delle regioni e alle trattative finalizzate al raggiungimento di un'intesa tra Stato e regioni, anche le metodologie più opportune per definire modalità di differenziazione dell'autonomia fiscale e modalità di finanziamento che siano, al contempo, ragionevolmente derogatorie in rapporto alle più ampie condizioni di autonomia conferite, ma anche coerenti e compatibili con gli articoli 117 e 119 della Costituzione.
  Infine, è tanto ovvio quanto doveroso dire che tutto il lavoro che ci attende non potrà avere successo senza una costante, fattiva e positiva collaborazione tra le strutture governative e la vostra Commissione. La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale si è dimostrata in questi anni una sede preziosa di approfondimento e di dibattito, nonché guida del processo che ha coinvolto il federalismo fiscale. Ancora di più dovrà esserlo nel lavoro, non semplice, che ci attende nei prossimi anni. Pag. 11
  Vi ringrazio molto. Sono disponibile a rispondere alle vostre domande e richieste di approfondimento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro per la sua relazione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROGER DE MENECH. Innanzitutto, condivido pienamente la relazione del ministro dal punto di vista del riordino istituzionale.
  Credo di poter sintetizzare questa stagione e questo momento politico del nostro Paese, con due espressioni: l'autonomia concreta, non sbandierata, e l'autonomia responsabile. In queste due espressioni credo ci sia il tentativo dell'attuale Governo, e ancora di più dell'attuale fase storica, di trasformare i numerosi anni di discussioni parlamentari e di discussioni nell'opinione pubblica sul federalismo incompiuto, in qualcosa di concreto, attuabile e responsabile, cioè basato solidalmente sugli equilibri di bilancio, i costi e i fabbisogni standard. L'impostazione della riforma costituzionale, ma anche l'impostazione di tutta la normativa in materia – come lei ha spiegato molto bene – vanno in questo senso. Questa è, quindi, un'impostazione generale e condivisa la quale, probabilmente, nei prossimi mesi e anni potrà dare i frutti che tutti ci aspettiamo.
  Rispetto all'articolo 116, terzo comma, io sono veneto e osservo con attenzione il fatto che si stia passando da una richiesta di autonomia generalizzata, e probabilmente irrealizzabile, a una molto più puntuale e precisa, da realizzare secondo le regole stabilite dalla Costituzione e in base alle effettive possibilità di trasferire funzioni e competenze, mantenendo altresì uno stretto collegamento tra funzioni, competenze e risorse disponibili.
  Credo che andrebbe collegata a questo anche la definizione, che dovremo fissare nei prossimi mesi, dei livelli minimi della qualità del servizio che vorremmo offrire ai cittadini: credo infatti che intrecciare il livello minimo ottimale dei servizi con il relativo costo e trasferire risorse adeguate rappresenti il futuro per una buona gestione della cosa pubblica – da attuarsi con metodi democratici e su tutto il territorio nazionale – affinché a tutti arrivino le giuste risorse per erogare servizi adeguati.
  L'impostazione generale a me sinceramente non preoccupa. Mi preoccupa, invece, come spesso succede in Italia, la sua applicazione nel concreto. Ci sono tanti episodi – ne citerò alcuni, soprattutto riferiti alla norma che ha più storia, cioè la legge Delrio – che ci fanno capire che una giusta impostazione politica e di visione spesso si scontra con l'applicazione sul territorio.
  Noi dovremo compiere uno sforzo sul tema del riordino delle aree vaste, che vengono ovviamente tolte come termine rispetto alle province, ma che vengono confermate nel riordino costituzionale, anche in questo caso per commisurare le risorse disponibili a questi enti di area vasta rispetto ai servizi che devono svolgere a favore della collettività.
  L'intreccio tra una buona riforma (la riforma Delrio) e i tagli, ancora troppo lineari, fa sì che, in relazione ad alcune funzioni e competenze di queste aree vaste, non ci sia un'adeguatezza delle risorse disponibili. Cito quest'esempio molto significativo. Nel 2000 abbiamo trasferito alle province, soprattutto del nord d'Italia, gran parte delle funzioni di manutenzione e gestione delle strade ex ANAS. Abbiamo commisurato l'aspetto economico di questo trasferimento e oggi, con i tagli lineari, abbiamo tolto le risorse per il mantenimento delle ex strade statali, col risultato che quelle province restituiranno le strade all'ANAS.
  Io non credo, e su questo punto sono perfettamente d'accordo con le sue valutazioni, che il futuro sia quello di assegnare risorse in maniera indeterminata agli enti locali. Il futuro è, come in questo caso, definire quanti chilometri di strade l'ente locale ha in gestione e manutenzione e, in base a un'analisi dei fabbisogni e dei costi standard, trasferire le risorse necessarie.
  Mentre stiamo affrontando benissimo, secondo me, le questioni istituzionali, dobbiamo Pag. 12 ancora lavorare sull'applicazione concreta di questi concetti sul territorio affinché questo sia il futuro. Questo per quanto riguarda la parte economica e finanziaria rispetto al riordino degli enti di area vasta e delle città metropolitane.
  È un'occasione straordinaria, perché nel caso specifico del Veneto, in relazione all'applicazione dell'articolo 116, terzo comma, il lavoro di coordinamento degli affari regionali dovrà essere esattamente questo: definire le competenze che si possono delegare, stabilire un valore di livello di servizio per i cittadini e collegare questo livello di servizio al relativo costo. Se facciamo quest'operazione, le regioni virtuose potranno gestire per conto dello Stato e a favore dei cittadini le funzioni più vicine al territorio, mettendo in rete opportunità importanti.
  Concludo citando altri due esempi che mi interessano in maniera particolare e che le sottopongo come problemi puntuali da risolvere. La soluzione di problemi specifici, nell'applicazione delle riforme, come ho detto più volte al Ministro Delrio, sono il successo della riforma. Non dobbiamo mai dimenticarlo. La mia esperienza di sindaco mi suggerisce questo. Si possono fare i discorsi generali più belli del mondo, ma poi bisogna risolvere i problemi specifici dei cittadini.
  Uno dei due punti che vorrei sottoporre alla sua attenzione è il riordino dei centri per l'impiego. Abbiamo definito e allocato le risorse, e dobbiamo lavorare compiutamente in modo che possiamo portare a termine in maniera definitiva il riordino fattivo sul territorio. Forse prima non funzionavano così bene e non riuscivano a costruire le condizioni affinché i cittadini riprendessero il loro percorso lavorativo. Dovremo lavorare con le regioni per questo.
  L'altro punto è il riordino delle polizie provinciali, che mi interessa particolarmente. Io ho fatto una piccola battaglia parlamentare su questo tema. Adesso siamo nel limbo. Queste funzioni oggi vengono finanziate dalle regioni e svolte dalle aree vaste, senza che vi sia chiarezza all'interno del complessivo riordino della vigilanza ambientale. Si tratta, peraltro, di un tema in discussione in queste ore, per l'accorpamento del Corpo forestale dello Stato con l'Arma dei Carabinieri.
  Corriamo il rischio, anche in questo caso, che una visione complessiva e positiva di riordino delle funzioni di polizia e di vigilanza si scontri col fatto che una parte di questa vigilanza non ha di fatto gli operatori che la svolgano sul territorio. Anche con riguardo alle richieste avanzate dalle regioni Puglia e Campania e, credo, anche Piemonte, credo che il Ministero per gli affari regionali possa offrire un contributo di chiarimento necessario a stabilire in maniera virtuosa chi fa che cosa nei territori delle nostre regioni e delle nostre aree vaste.
  In conclusione, va benissimo l'impostazione generale: concentriamoci da qui in avanti insieme, in simbiosi con gli enti locali, affinché la giusta visione del riordino istituzionale abbia anche una concreta attuazione nei territori.

  GIOVANNI PAGLIA. Vorrei innanzitutto ringraziare il ministro, perché ci ha offerto un utile momento di sintesi e di riflessione politica. Lo ringrazio per avere illustrato ciò che avevamo già intuito ed era all'interno della logica del riordino costituzionale.
  Usciamo da una stagione mai iniziata, nel senso che abbiamo trascorso gli ultimi vent'anni a discutere di federalismo e sono stati inseriti nella Costituzione una forma di autonomia e il federalismo fiscale, senza mai, di fatto, dare attuazione a queste norme. É un dato di fatto. Io credo che non gli sia mai stata data attuazione, perché era stata data un'impostazione sbagliata, che non faceva i conti con la realtà e che non è mai riuscita fino in fondo a superare il sospetto che si facesse mettendo una parte del Paese contro l'altra. Questa è la sostanza. Anche rispetto alla ripartizione delle risorse, tutti gli anni abbiamo continuato a richiamare princìpi, salvo poi derogarli, e a far rimanere tutto esattamente, o quasi, come era.
  La mia impressione, anche in base alla relazione svolta oggi, se non mi fosse bastato il dibattito sulla riforma costituzionale, Pag. 13 è che quello verso cui andiamo sia peggio. Sentir parlare di autonomia à la carte in un Paese come l'Italia mi impressiona. Credo che, all'interno del dibattito sulla riforma costituzionale, l'aspetto che riguarda il riordino del rapporto tra centro e periferia, tra Stato e autonomie locali, sia stato ingiustamente sottovalutato. Al contrario, ritengo sia una delle parti peggiori della riforma costituzionale.
  È evidente che, a differenza di quello che dice il collega De Menech, un pensiero né tattico né strategico né politico ci sia. C'è un'idea generale, cioè quella di rendere nuovamente tutto centralizzato, la quale si scontra con compromessi e pressioni per restituire una qualche forma ipotetica di autonomia. Non si è avuto il coraggio di dire fino in fondo che si tornava a uno Stato centrale tout court.
  Ringrazio il ministro, perché, soprattutto nei tre mesi che precedono il referendum, mi ha dato, e ha dato a chi ha avuto ascoltare, un'ulteriore argomentazione per sostenere le ragioni del no, cosa che faremo nelle prossime settimane.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il ministro e mi scuso, ma non ho potuto sentire la prima parte del suo intervento.
  Ho apprezzato l'onestà con cui ha affrontato alcuni nodi che sono sul tappeto. Mi permetto di porre l'attenzione su un aspetto. Rischiamo, come si suole dire, di porre grande attenzione all'anamnesi del paziente, magari anche di avere individuato la cura giusta, ma arrivarci a paziente morto. Mi riferisco al tema delle province.
  In più occasioni, in questa Commissione e in altri organi parlamentari, è stato segnalato che la sequenza di tagli previsti dalla legislazione vigente al sistema delle province non è sostenibile, e a riprova di questo c'è anche un documento della Sose che conferma l'insostenibilità di questi tagli. Credo che, se non interverranno, come invece auspico, interventi correttivi, ci troveremo nel 2016 ad avere sostanzialmente il sistema complessivo delle province, salvo rarissime eccezioni, in dissesto.
  Rispetto alla riforma Delrio, che lei ha sottolineato come elemento che si inserisce nel quadro complessivo, è evidente, come ha affermato anche il collega De Menech, che il problema è il seguente: un conto è l'architettura, altro è la questione, la quale mi pare non sia stata ancora risolta e che sottolineo con forza, del finanziamento delle funzioni.
  Le strade provinciali ci sono e ci saranno: bisogna trovare le risorse. Faremo tutto quello che serve per razionalizzare la spesa, ma c'è un costo per la manutenzione e la gestione del sistema, ad esempio delle strade provinciali. Non so se capiti diversamente nella provincia in cui lei abita ma, se andiamo avanti così, credo che rimpiangeremo le strade provinciali dei Paesi dell'est negli anni Sessanta. Sappiamo benissimo qual è la situazione. Nel post-alluvione, in provincia di Alessandria, ci sono strade provinciali che sono aperte solo perché i responsabili della sicurezza se ne assumono la responsabilità: fino a quando?
  Credo che questo sia un tema che il Governo deve porsi, altrimenti tutta l'architettura crolla, perché il cittadino si trova di fronte alla realtà. Non si può, in questa fase, pensare alla riorganizzazione dei tagli e non inserire, ad esempio, nelle spese incomprimibili, il riscaldamento delle scuole secondarie superiori, che sono affidate in gestione alle province.
  Va bene razionalizzare i costi e mandare a casa i dirigenti che non fanno il loro lavoro e i politici che rubano sulla gestione del calore ma, al netto di questo, bisogna dare la possibilità alle province di avere le risorse necessarie. Viceversa, in queste condizioni, rischiamo che, nel prossimo inverno, molte province non avranno le risorse per il riscaldamento delle scuole medie superiori.
  Invito il ministro a porre con forza nelle sedi opportune questo problema, perché si tratta di una parte dello Stato e attiene al rapporto tra Stato e cittadini; vedremo poi quale sarà la prospettiva a seguito del referendum confermativo. Non sarà infatti la stessa cosa se la riforma passa o verrà bocciata. Detto questo, nel frattempo il nodo, che mi sembra irrisolto, del tema del corretto sistema di trasferimenti e, in alternativa, Pag. 14 di tributi propri in base alla riforma Delrio, rimane una delle questioni da risolvere.
  C'è poi la questione relativa all'associazionismo dei comuni. Ho apprezzato la sua posizione, la quale cerca di lasciare una giusta autonomia di scelta al sistema delle autonomie locali e anche dei piccoli comuni. Credo, però, che occorra trovare un punto di equilibrio. Un eccesso di libertà ha finito per produrre, come lei sa, in molte realtà, unioni un po’ patchwork, spesso legate più alle convenzioni dei segretari comunali che non alla gestione realmente efficace ed efficiente dei servizi.
  Credo che, da questo punto di vista, un'azione programmatoria, magari affidata alle regioni, nella definizione degli ambiti ottimali, potrebbe essere una guida all'interno della quale i comuni scelgono la loro strada e definiscono i loro percorsi, ma in un quadro complessivo. Essi, a mio avviso, dovrebbero essere maggiormente orientati a trovare realmente quei confini e quelle dimensioni per la gestione dei servizi ottimali per i cittadini, al minor costo possibile.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, ringrazio il ministro, il quale ci ha fornito un affresco, in particolare sul regionalismo differenziato. Potremo, forse a settembre, svolgere un'ulteriore riflessione sulla vicenda del Veneto, che potrebbe avere ulteriori sviluppi. Ringrazio nuovamente il ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.55.

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