XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 91 di Mercoledì 22 giugno 2016

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 

Audizione di Gennaro Acquaviva:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Acquaviva Gennaro  ... 5 ,
Grassi Gero (PD)  ... 5 ,
Acquaviva Gennaro  ... 6 ,
Grassi Gero (PD)  ... 6 ,
Acquaviva Gennaro  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Acquaviva Gennaro  ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Grassi Gero (PD)  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Grassi Gero (PD)  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Grassi Gero (PD)  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Acquaviva Gennaro  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Acquaviva Gennaro  ... 10 ,
Preziosi Ernesto (PD)  ... 10 ,
Acquaviva Gennaro  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Acquaviva Gennaro  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Acquaviva Gennaro  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Acquaviva Gennaro  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Acquaviva Gennaro  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Acquaviva Gennaro  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Fornaro Federico  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Acquaviva Gennaro  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fornaro Federico  ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Acquaviva Gennaro  ... 13 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Acquaviva Gennaro  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 14 ,
Acquaviva Gennaro  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Acquaviva Gennaro  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Acquaviva Gennaro  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Acquaviva Gennaro  ... 15 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Acquaviva Gennaro  ... 17 ,
Grassi Gero (PD)  ... 17 ,
Acquaviva Gennaro  ... 17 ,
Grassi Gero (PD)  ... 18 ,
Acquaviva Gennaro  ... 18 ,
Grassi Gero (PD)  ... 18 ,
Acquaviva Gennaro  ... 18 ,
Grassi Gero (PD)  ... 19 ,
Acquaviva Gennaro  ... 19 ,
Grassi Gero (PD)  ... 19 ,
Acquaviva Gennaro  ... 19 ,
Grassi Gero (PD)  ... 19 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 ,
Grassi Gero (PD)  ... 19 ,
Acquaviva Gennaro  ... 19 ,
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 19 ,
Acquaviva Gennaro  ... 19 ,
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 19 ,
Acquaviva Gennaro  ... 19 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.35.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che, nel corso dell'odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   incaricare il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di selezionare la documentazione sulla scuola di lingue Hypérion messa a disposizione dall'AISI;

   incaricare il tenente colonnello Giraudo e il luogotenente Boschieri di acquisire sommarie informazioni testimoniali da cinque persone al corrente dei fatti;

   trasmettere al RIS le perizie sull'assassinio di Moro depositate da Paolo Cucchiarelli;

   incaricare il dottor Salvini e il tenente colonnello Giraudo di acquisire sommarie informazioni testimoniali da Umberto Giovine;

   incaricare il dottor Salvini, il dottor Donadio e il tenente colonnello Giraudo di formulare proposte operative conseguenti all'escussione di Filippo Barreca;

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire, per il tramite delle strutture della Polizia di Stato, documentazione relativa all'agente Rocco Gentiluomo;

   incaricare il colonnello Pinnelli di acquisire notizie sul tenente colonnello De Leonardis e sul capitano Cardarelli, i due ufficiali dell'Arma dei carabinieri citati nella prima segnalazione registrata della strage di via Fani;

   incaricare il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di individuare i luoghi di conservazione delle fotografie originali di Moro diffuse durante il sequestro o successivamente al fine di acquisire copia elettronica degli originali, da conferire al RIS;

   incaricare il colonnello Pinnelli e la dottoressa Tintisona di verificare l'esistenza presso le strutture dell'Arma dei carabinieri e della Polizia di Stato di fascicoli relativi a Volker Weingraber;

   incaricare il dottor Donadio di svolgere un approfondimento e presentare eventuali proposte operative relative all'episodio, descritto in fonti aperte, di un contatto, asseritamente avvenuto nel luglio 1979, tra un personaggio non identificato e il senatore Acquaviva, relativo alla possibile consegna di documentazione fotografica sull'assassinio di Moro;

   autorizzare il dottor Donadio a svolgere una missione a Bologna;

   incaricare la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e la dottoressa Tintisona di acquisire sommarie informazioni testimoniali dalla dottoressa Maria Vozzi;

   incaricare la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di verificare ulteriori possibili acquisizioni documentali in relazione al processo Pecorelli;

   incaricare il colonnello Occhipinti di trasmettere allo SCICO la nota, riservata, 572/1;

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire presso l'AISE, l'AISI e il DIS Pag. 4documentazione eventualmente disponibile con riferimento a tre persone di interesse;

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire presso l'AISE ogni utile informazioni sugli spostamenti del colonnello Giovannone nel periodo febbraio-luglio 1978;

   incaricare la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e la dottoressa Tintisona di compiere gli accertamenti conseguenti all'escussione di Pasquale Viglione.

  Comunico inoltre che:

   il 13 giugno 2016 il direttore dell'AISE, Manenti, ha trasmesso una nota, segreta, relativa alle modalità di formazione e alla normativa che regola la consultazione della documentazione messa a disposizione dei componenti delle Commissione;

   nella stessa data la dottoressa Tintisona ha depositato tre note, riservate, relative, rispettivamente, all'auto utilizzata dall'agente Di Leva il 16 marzo 1978, allo stato giuridico dello stesso e alle perquisizioni compiute, nel maggio 1979, a seguito della scoperta del covo di viale Giulio Cesare 47;

   nella stessa data il dottor Donadio ha depositato il girato, di libera consultazione, di alcuni filmati Rai realizzati in occasione del rapimento di Aldo Moro;

   il 15 giugno 2016 il dottor Donadio e il luogotenente Boschieri hanno depositato il verbale, riservato, di sommarie informazioni rese dal prefetto Enrico Marinelli;

   nella stessa data il giornalista Paolo Cucchiarelli ha depositato i seguenti documenti segreti: Parere pro veritate - Accertamenti tecnico-balistici sulla dinamica della morte dell'onorevole Aldo Moro, redatto dal perito Gianluca Bordin; Primo parere di medicina legale redatto dal prof. Alberto Bellocco; file audio/video contenente un'intervista resa da Tina Anselmi in relazione alla vicenda Moro;

   nella stessa data Paolo Cucchiarelli ha altresì depositato il sunto, di libera consultazione, del Parere pro veritate redatto dal perito Gianluca Bordin con allegata sequenza fotografica;

   nella stessa data il dottor Salvini ha depositato il verbale, segreto, di sommarie informazioni rese da Filippo Barreca e una nota, riservata, relativa a possibili accertamenti su un membro del servizio segreto tedesco che operò in Italia nel 1978-1979;

   nella stessa data il deputato Grassi ha depositato una nota, di libera consultazione, che segnala all'attenzione della Commissione il filmato di un'intervista rilasciata dal prefetto Enrico Marinelli;

   il 16 giugno 2016, il procuratore aggiunto presso il Tribunale ordinario di Roma, Albamonte, ha trasmesso il verbale, segreto, dell'interrogatorio di Raffaele Cutolo, svoltosi il 24 marzo 2016;

   il 17 giugno 2016 il sovrintendente Marratzu ha depositato due faldoni estratti dal processo cosiddetto «Brink's Securmark». Tale documentazione, riservata, sarà acquisita e digitalizzata, per essere poi restituita al Tribunale di Roma;

   nella stessa data il senatore Fornaro ha trasmesso una nota, di libera consultazione, relativa a Giustino De Vuono;

   nella stessa data il dottor Salvini ha trasmesso una nota, riservata, su possibili approfondimenti derivanti da fonti aperte;

   il 20 giugno 2016 è giunta una missiva del presidente dell'Istituto Luigi Sturzo, Nicola Antonetti, relativa alla consultazione di documentazione di interesse della Commissione;

   il 21 giugno 2016 è pervenuta una nota, riservata, del dottor Donadio contenente osservazioni e proposte operative riguardanti Giustino De Vuono;

   nella stessa data il tenente colonnello Giraudo ha trasmesso una nota, segreta, relativa all'acquisizione di sommarie informazioni testimoniali da persona informata dei fatti.

  Per quanto riguarda il programma delle prossime audizioni, la prossima settimana si prevede di audire il dottor Mario Fabbri. Pag. 5Si procederà successivamente alle audizioni, già deliberate, del giudice Giancarlo Armati e del generale Antonio Cornacchia. Le audizioni, già deliberate, di Paolo Pistolesi, Enrico Marinelli, Vittorio Fabrizio e Ettore Bernabei potranno svolgersi successivamente, compatibilmente con le disponibilità e le condizioni di salute dei soggetti da ascoltare. Ove nulla osti, si prevede inoltre di svolgere le audizioni del colonnello Armando Sportelli, di Claudio Sabelli Fioretti e del dottor Gianluca Falanga, esperto degli archivi Stasi.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Gennaro Acquaviva.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del senatore Gennaro Acquaviva, che ringraziamo per la sua presenza oggi.
  Nel 1978 Gennaro Acquaviva era capo della segreteria di Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista. Era, quindi, interlocutore privilegiato del segretario del partito che, durante il sequestro Moro, assunse una posizione nettamente distinta dalla maggioranza delle altre forze politiche, sostenendo una soluzione umanitaria. Lo stesso Moro gli riconobbe questo ruolo in una nota lettera, redatta probabilmente il 22-23 aprile 1978 e consegnata il 29 aprile.
  Una delle questioni centrali su cui la Commissione sta conducendo accertamenti è proprio quella degli sforzi intrapresi per avviare una trattativa per salvare la vita di Moro. Di qui gli approfondimenti che sono stati compiuti, ad esempio sull'azione della Santa Sede e sui tentativi di attivare i movimenti palestinesi.
  Per quanto attiene al Partito Socialista, è ben noto che, sin dalla metà di aprile 1978, assunse apertamente una posizione diversa da quella della cosiddetta «linea della fermezza» e che negli ultimi giorni del sequestro vi furono numerosi contatti tra Craxi, Signorile e altri con alcuni esponenti dell'Autonomia operaia, in particolare Franco Piperno e Lanfranco Pace.
  È oggetto di interesse dell'inchiesta parlamentare comprendere a quale punto fossero giunte le trattative e quale fosse il reale ruolo giocato dai personaggi dell'Autonomia operaia e dai suoi principali esponenti in relazione al tentativo di promuovere la liberazione di Moro.
  Il senatore Acquaviva ha vissuto da protagonista quegli avvenimenti ed è tornato a rifletterci sopra anche successivamente, come nel volume Moro-Craxi. Fermezza e trattativa trent'anni dopo, che ha curato nel 2008 insieme a Luigi Covatta.
  Ha inoltre reso sommarie informazioni testimoniali ai collaboratori della Commissione – su uno specifico punto – il 13 maggio 2016.
  La sua testimonianza è dunque di particolare interesse, sia per quanto egli ha potuto direttamente apprendere, sia anche per le riflessioni sulla vicenda che ha potuto compiere.
  Invito pertanto il senatore Acquaviva a svolgere una breve relazione sugli elementi che ho citato e in particolare sulla vicenda della trattativa. Mi riservo poi, finita la sua introduzione, di porre alcuni quesiti specifici su alcuni punti.

  GENNARO ACQUAVIVA. Non ho molto da dire sulla trattativa, perché è tutto noto.
  In quel libro che il presidente ha avuto la bontà di citare è indicato quanto potrei ricordare, come pure nel memoriale che Craxi presentò alla Commissione d'inchiesta del tempo. Fu interrogato all'inizio degli anni Ottanta dalla prima Commissione d'inchiesta Moro e dette una dettagliatissima ricostruzione, che appunto è riportata nel volume e credo sia agli atti anche vostri, immagino. Poi c'è soprattutto, nel libro che il presidente citava, una relazione di Vassalli che allora non era neanche parlamentare. Era un avvocato notissimo, a Roma in particolare. Era una famiglia di socialisti un po’ clericali.

  GERO GRASSI. Tant'è che era amico di Moro.

Pag. 6

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, erano quasi coetanei, perché poi lui l'aveva aiutato, si erano aiutati accademicamente, quando erano giovanotti, a fare carriera universitaria. Aveva per Moro un rapporto, un affetto fortissimo. Al di là delle parole con cui lo ha ricordato più volte nella sua vita, comprese quelle della relazione riportata in quel libro, parlando a Vassalli si capiva che considerava Moro una specie di fratello maggiore, come poi si è visto durante la vicenda.
  Craxi si fidò di Vassalli, per entrare nel merito di quello che abbiamo fatto o che fecero allora i socialisti. Si fidò soprattutto di Vassalli. Come forse ricorderete, le prime due, tre settimane dopo il sequestro sono settimane quasi di pausa; per più di due settimane non si sa neanche se è vivo o morto questo povero ostaggio.
  Poi c'è la prima lettera, quella a Cossiga, e c'è subito dopo il congresso del Partito Socialista, già fissato da tempo a Torino. In quella sede c'è molta prudenza, sia nella relazione del segretario, sia negli interventi in congresso. In particolare De Martino, oppositore del segretario del tempo, che però aveva vissuto l'esperienza tragica del figlio, rapito qualche tempo prima (il figlio Giulio, che poi diventò anch'egli parlamentare, fece carriera politica), un po’ con sentimento, un po’ politicamente, trascinò il congresso verso un applauso e verso un'attenzione.
  Craxi, nella replica finale, ne prese atto. Fu questo il primo avvio di un'attenzione, se non di una rottura rispetto al fronte della fermezza, come allora si chiamava. Da lì nasce questa vicenda nostra. Vassalli suggerisce a Craxi in particolare di prendere l'avvocato Guiso, che era vicino ai brigatisti in carcere, era il loro difensore, lo era stato già nel passato, ma comunque era un difensore dei brigatisti, di Curcio e degli altri. Era in corso infatti a Torino, in quei medesimi mesi e giorni, il primo processo alle Brigate Rosse, quelle di Curcio.
  Guiso quindi era dentro quel giro, faceva il difensore, poteva parlare con i brigatisti carcerati e si presupponeva, si pensava – lo pensava Vassalli, lo pensava Craxi – che da lì fosse possibile agganciare i rapitori ed entrare nel merito della cellula che aveva fatto quell'operazione qualche settimana prima.
  Lì inizia e piano piano si entra in questa dialettica; sempre tramite Curcio, non c'è ancora il chiodo a cui si aggancia poi l'avvio di una conoscenza più diretta, di una pseudo-trattativa. Pace e Piperno sono stati indicati, ma questi vengono sollecitati successivamente, due settimane dopo, tramite un giro giornalistico. È il direttore dell’Espresso del tempo – si chiamava Zanetti – che porta a Craxi, o meglio a Signorile, di cui era amico, e Signorile lo trasferisce a Craxi, il contatto con questi «laterali», che giurano e spergiurano di non essere poi in collegamento diretto con i rapitori. Pace ancora adesso scrive ogni tanto sul Foglio; Piperno non so che fine abbia fatto, non lo si sente più, fa il professore probabilmente.

  GERO GRASSI. Non erano «laterali», stando alla storia.

  GENNARO ACQUAVIVA. Questo si è capito dopo, purtroppo.
  Lì inizia, ecco. Per tutta la vicenda, voglio solo dire due cose. Nel merito delle questioni, dell'andamento, faccio riferimento a questi due punti: al memoriale, cioè al rapporto che Craxi fa alla Commissione d'inchiesta all'epoca – che è agli atti di questo libro, oltre che, credo, nelle vostre carte – e alla relazione di Vassalli, sempre contenuta nel volume, che è molto esaustiva, molto precisa, molto più precisa di quello che potrei dire oggi io, che non ho altri elementi oltre quelli.
  Vorrei sottolineare un punto politico, cioè la condizione di preminenza, di massiccia forza di quella che era la posizione politica straordinariamente maggioritaria sul tema, quella del no alla trattativa, insomma della battaglia, che fu poi dal punto di vista pratico, dal punto di vista poliziesco, in particolare dell'inquisizione, un oggettivo fallimento.
  Era talmente penetrata e forte nella posizione politica del Paese che, per esempio, la Camera dei deputati – presieduta da un comunista come Ingrao – non si riunì mai durante quella vicenda per dibattere Pag. 7del caso Moro. Durante il delitto Matteotti, il Parlamento era aperto, anche se c'era di mezzo Mussolini; con Moro, il Parlamento, presieduto da un comunista, non si riunì mai per discutere di questo tema.
  La seconda questione è conseguenza di questa, perché è un elemento di costume, di tipo in qualche maniera intimo, che vorrei la Commissione, e il presidente in particolare, l'avesse presente. Chiunque si mosse per tentare di fare qualche cosa, e non lo fece nascostamente, certo ...
  Qualche cosa in Vaticano – non sappiamo ancora adesso, neanche io lo so, pur avendo buoni rapporti con questi santi nostri pastori – segretamente si fece. La raccolta del denaro per pagare il riscatto in Vaticano: insomma, sono chiacchiere ma sicuramente era un fatto di verità, anche se c'era lo schermo della Caritas. Ricordo che la Santa Sede dichiarò la disponibilità della Caritas a fare da tramite, come è pubblicamente noto.
  Al di là di questi fenomeni privati, quasi privati, il clima, soprattutto quello politico, era di asfissiante blocco di qualsiasi iniziativa. Quello che io ricordo con maggiore passione, e voglio sottolinearlo per far capire la passione e l'imbarazzo, anche le condizioni difficili, di quel tempo, è che chiunque muovesse un dito per dire «facciamo qualche cosa, agiamo» veniva immediatamente bloccato. Soprattutto dopo la vicenda del lago della Duchessa, cioè dal momento in cui si capisce che non è una cosa semplice, non è un rapporto tra un gruppo di romani che hanno avuto la forza e la fortuna di fare questa operazione rapidamente e senza rimetterci, ammazzando un po’ di gente, purtroppo. Allora si capì che era una cosa più complessa di un gruppo romano, pariolino magari, come si diceva all'epoca, che ha fatto questo salto di qualità, «alla Feltrinelli» diciamo, «alla milanese». Però c'era quell'atmosfera appunto da Santa Inquisizione, fortissima.
  Noi del Partito Socialista, quelli che lavoravamo nella direzione, eravamo legati alle telescriventi che ticchettavano per settimane i messaggi e soprattutto le lettere, i comunicati che arrivavano, volta a volta. Eravamo legati a questa atmosfera, ma non ad altre.
  Quando Freato entrò nel corridoio del terzo piano della sede del PSI di via del Corso per andare da Craxi – cercava Craxi, una mattina – con quell'aria (non so se Freato l'avete mai visto) smagata, come di uno che avesse capito tutto della vita... Io lo conoscevo abbastanza bene perché era amico di mio cognato, che era il capo dell'ufficio legislativo del gruppo democristiano della Camera dei deputati; Gino Filippetto si chiamava. Loro due erano paesani, di Castelfranco Veneto, nel Trevigiano.
  Quindi, io stavo fuori dalla porta, mi vide e mi disse: «Dove sta Craxi?», come se andasse a portargli un caffè. E aveva in tasca la lettera di cui lei, presidente, ha parlato poc'anzi. Quando poi Craxi mi chiamò, avendo mandato via Freato, lo trovai che piangeva: questo «cristone» durissimo e formidabile, stava lì, con quella lettera, quel foglio quadrato (era un foglio di un quaderno di scuola) in mano e piangeva.
  Poi mi chiamò per dare la lettera al poliziotto, perché naturalmente poi gli inquirenti sapevano delle lettere; avevano consentito che Freato la portasse, ma sapevano dell'esistenza della lettera, quindi telefonarono dopo cinque minuti per avere l'originale. Però questa atmosfera di asfissiante durezza, con questo lungone fortissimo, decisionista, alto un metro e novanta che piangeva...
  Insomma, questo era il clima e l'atmosfera di questi socialisti del tempo. Poi avranno fatto anche tante fesserie, se volete ne possiamo parlare. Volevo sottolinearvi questo aspetto, che è un aspetto caratteristico del tempo, niente di straordinario, però il clima era quello.

  PRESIDENTE. La parola al senatore Fornaro, che deve andare in Commissione.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio Acquaviva per questo suo quadro d'insieme. Credo che leggeremo anche il libro. Vorrei, però, in questa sede, in sede di Commissione d'inchiesta, fare alcune domande precise. Pag. 8
  La prima. Nell'ultimo libro di Paolo Cucchiarelli si riferisce una citazione di Ferdinando Imposimato del 1988. La leggo perché è brevissima, sono quattro righe: «C'è stato un pentito genovese, Carlo Bozzo, che ha detto di aver saputo da Riccardo Dura, ucciso nella base BR di via Fracchia a Genova, che Moretti si sarebbe incontrato con il socialista Signorile».
  Vorrei sapere se lei ha mai avuto notizie di incontri fuori dall'area dell'Autonomia, ma direttamente col cuore delle BR.

  GENNARO ACQUAVIVA. Mai sentito, mai saputo. Signorile è stato molto esplicito nelle vicende successive, ha parlato molto, ma non l'ha mai detta questa storia. Possiamo chiederglielo.

  FEDERICO FORNARO. Anche io ho fatto un salto sulla sedia, leggendola.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, è molto strano, è veramente strano.
  Aveva molti rapporti con loro. Fu quello, secondo me, come ho detto prima, che riuscì ad agganciarne di più.

  FEDERICO FORNARO. Lui e Landolfi.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì. Landolfi, non so se qualcuno di voi l'ha conosciuto, era uno pacifico, un po’ ingenuo, molto ingenuo come tipo umano. Signorile è molto più intelligente, svelto, furbo diciamo. Signorile è molto più attento a quello che succedeva. Landolfi probabilmente fu quello che portò delle notizie perché gliele avevano dette; l'avevano capito che era un po’ ingenuo, diciamo così.

  FEDERICO FORNARO. La seconda domanda: lei è stato certamente una delle persone più vicine a Bettino Craxi. È notorio che, in una certa fase, in particolare il segretario del Partito Socialista fece riferimento alla figura del «grande vecchio».

  GENNARO ACQUAVIVA. Dopo, sì.

  FEDERICO FORNARO. Successivamente. Quindi, la prima domanda è se, a distanza di quasi quarant'anni, ormai, da quegli avvenimenti, lei si è fatto un'idea o, al di là delle dichiarazioni ufficiali, se Craxi con lei aveva disegnato un profilo. Lei sa che ci sono state interpretazioni differenti e poi su una di queste le chiederò in maniera più precisa.
  Lei si è fatto un'idea? A chi pensava Craxi per il grande vecchio? Italiano, straniero? Un intellettuale, una persona anziana?

  GENNARO ACQUAVIVA. La persona fisica, che poi non fu il «grande vecchio» nella testa di Craxi, a me non disse mai chi era, altrimenti ve lo direi con amicizia e sincerità.
  Ci fu un caso, il caso del parigino, Mulinaris, come si chiamava ...

  FEDERICO FORNARO. Vanni Mulinaris.

  GENNARO ACQUAVIVA. Vanni Mulinaris. Tra l'altro, si conoscevano da giovani.

  FEDERICO FORNARO. È sicuro di non confondere con Simioni?

  GENNARO ACQUAVIVA. O forse Simioni, giusto. Grazie. Scusi tanto. È vero, Simioni.

  FEDERICO FORNARO. È Corrado Simioni.

  GENNARO ACQUAVIVA. Corrado Simioni, sì. Avevano giocato insieme a pallacanestro, erano stati giovanotti, amici...

  FEDERICO FORNARO. Dunque, risulta dal necrologio che Critica sociale pubblicò in morte di Simioni, che Simioni sia stato componente della Federazione socialista di Milano all'epoca in cui Craxi era a Milano – militanti entrambi nella corrente autonomista, all'epoca – successivamente però fu espulso per indegnità.

  GENNARO ACQUAVIVA. Questo non lo sapevo.

Pag. 9

  FEDERICO FORNARO. Credo che sia corretto anche dire che Craxi, dopo che qualcuno accostò al «grande vecchio» il nome di Corrado Simioni, gli inviò una lettera in cui assolutamente smentiva di aver fatto riferimento a lui.

  GENNARO ACQUAVIVA. È probabile, è possibile.

  FEDERICO FORNARO. Lei Corrado Simioni non l'ha mai conosciuto?

  GENNARO ACQUAVIVA. C'è un caso, se volete ve lo racconto, per quello che vale... Qualche anno dopo si accentuò la questione della pista parigina per le Brigate rosse, non so, pochi mesi dopo...

  FEDERICO FORNARO. Hypérion, sì.

  GENNARO ACQUAVIVA. ...e fu preso di mira anche l'abbé Pierre, che era amico di questi giovanotti.

  GERO GRASSI. No, era lo zio della Tuscher, che era la moglie di Salvoni.

  GENNARO ACQUAVIVA. L'abbé Pierre venne a Roma credo per difendersi; credo che fecero un minimo d'inchiesta in Vaticano, probabilmente.

  FEDERICO FORNARO. No, l'abbé Pierre venne per perorare la causa di Innocente Salvoni presso le autorità italiane, presso la Democrazia Cristiana, e a questo punto mi chiedo se anche presso...

  GENNARO ACQUAVIVA. E mi chiamò...

  GERO GRASSI. E l'abbé Pierre si incontrò il 17 marzo a piazza del Gesù con il colonnello Cornacchia...

  GENNARO ACQUAVIVA. Questo non lo sapevo.

  GERO GRASSI. ... che sfilò la foto di Salvoni dalle foto segnaletiche.

  GENNARO ACQUAVIVA. Comunque, io ricevo una telefonata da questo abbé Pierre che non conoscevo, che parlava abbastanza bene l'italiano, e mi dice: «Mi potrebbe venire a trovare?». Abitava nell'albergo dove abitava anche il Papa attuale prima dell'elezione, a via della Scrofa, accanto al Senato, dietro Sant'Agostino. C'è un albergo per ecclesiastici, lì; si entra da quella piazzetta vicino a San Luigi dei Francesi. È il palazzo accanto a quello della libreria.
  Andai lì, mi ricevette, venne in portineria, dove c'era una specie di parlatorio, e mi disse appunto queste cose che state dicendo voi: che non era vero, che quelli erano bravissimi ragazzi, che lui ne aveva gran rispetto, e mi chiese di dirlo a Craxi.
  Lo dissi a Craxi, che disse: «Ma chi se ne frega», cioè non dette corso. Quindi, questa è l'unica occasione... Fece questo appello, questa richiesta...

  FEDERICO FORNARO. Lei ricorda la data?

  GENNARO ACQUAVIVA. No. Era caldo, non era freddo.

  FEDERICO FORNARO. Quindi, siamo dopo la morte di Moro?

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì! A un certo punto viene fuori questa storia di Parigi. Quando viene fuori? Non lo so, mesi dopo.

  FEDERICO FORNARO. Viene fuori, se non ricordo male, nel 1979.

  GENNARO ACQUAVIVA. Allora, può darsi che fosse in quella concomitanza.

  FEDERICO FORNARO. L'inchiesta di Calogero è nella primavera del 1979.

  GENNARO ACQUAVIVA. Di Signorile non so. Se volete approfondire questo argomento, secondo me serve che Signorile vi parli.

  FEDERICO FORNARO. Un'ultima domanda, poi ho concluso. Ringrazio ancora il presidente e chiedo scusa ai colleghi. Pag. 10
  Lei ha accennato alla raccolta di denaro attivata dal Papa e dal Vaticano. Lei ha qualche notizia in più e, soprattutto, lei ebbe la sensazione che questa trattativa fosse a uno stato avanzato, cioè che ci fosse la possibilità di un rilascio di Moro a seguito di questa trattativa?

  GENNARO ACQUAVIVA. No, allora no. Noi avevamo un canale, che era quello di monsignor Silvestrini. Il nostro rapporto, il mio personale ma poi anche quello di Craxi, aveva solo questo tramite.
  Poi se volete parliamo del caso di monsignor Riva, cioè della vicenda che può essere forse anche di vostro interesse. Se volete ne parliamo subito; non so, presidente, come preferisce.

  FEDERICO FORNARO. Sì, ne parli ora.

  GENNARO ACQUAVIVA. Silvestrini era molto prudente. Io ogni tanto lo chiamavo perché Craxi mi pressava e mi diceva: «Vai a chiedere, senti che cosa succede, cosa fanno». Silvestrini era molto, molto prudente. Mi disse solo mesi dopo della vicenda della lettera di Paolo VI, della risposta, della lettera autografa. Allora mi fece capire che c'era stato questo intervento di Andreotti, quella notte, su Casaroli. Mi raccontò della vicenda dopo, a posteriori.
  Era straordinariamente fermo sul non dirmi niente. Non mi disse mai niente. Forse non si fidava, non so. Le vicende del denaro eccetera io le ho lette sui giornali dopo.
  Ci fu la vicenda di padre Turoldo che appunto trovate nel memoriale di Craxi. Padre Turoldo una notte da Milano telefonò a Craxi, che non lo conosceva, e lo svegliò. Si vede che era appunto un poeta santo che non dormiva. Erano diversi giorni prima dell'omicidio. Gli disse: «Lei deve insistere duramente, fortemente, deve andare in Segreteria di Stato. Ha dei rapporti col Vaticano? Bisogna insistere col Vaticano, bisogna tenere aperta questa trattativa». Me lo raccontò Craxi il giorno dopo. Turoldo gli fece degli urli... Quel povero Craxi era mezzo addormentato, però si ricordò della telefonata e la mattina dopo, alle otto, mi telefonò e mi disse: «Guarda, ha telefonato Turoldo e mi ha detto: “Andate a parlare con monsignor Riva, a Roma; andate a parlare con monsignor Riva, di corsa, lui sa tutto”». Evidentemente Turoldo aveva capito che Craxi era mezzo addormentato e non capiva a fondo. Craxi la mattina mi disse: «Chiama Riva e vai a sentire, perché non ho ben capito che cosa Turoldo vuole, oltre che tenere aperta la trattativa, oltre che dire: “Continuare, insistere, datevi da fare, non vi fermate”».
  Chiamo monsignor Riva, questo sant'uomo, che era vescovo ausiliare di Roma. Lo chiamo in Vicariato e mi dà appuntamento a mezzogiorno e mezzo, quella stessa mattina. Abitava accanto a San Carlo al Corso. Non ricordo più l'ordine religioso al quale apparteneva.

  ERNESTO PREZIOSI. I rosminiani.

  GENNARO ACQUAVIVA. Rosminiani, grazie. Riva è molto prudente e mi chiede: «Ma voi avete un rapporto col Vaticano?». Gli rispondo: «Sì, telefoniamo a Silvestrini ogni giorno». Riva quindi mi dice: «Basta, allora, se avete questo rapporto. Con padre Turoldo bisogna avere un po’ di pazienza, è un poeta, un santo. Non gli date tutto questo gran peso, si fa quello che si può. Se avete questo rapporto e avete possibilità di insistere, andate avanti». E non mi disse altro. Molto prudente, pure lui, molto contegnoso.

  PRESIDENTE. Grazie. Le pongo rapidamente alcune domande, alcune già accennate, ma così le puntualizziamo.
  Lei seguì con particolare attenzione i rapporti con la Santa Sede. In tale ambito si colloca un'iniziativa che fu tentata pochi giorni prima della morte di Moro e che è stata evocata da Bettino Craxi il 6 novembre del 1980, nel corso della sua audizione nella prima Commissione d'inchiesta. In quella circostanza, l'onorevole Craxi affermò che la notte del 4 maggio – come lei ha ricordato adesso – fu chiamato da padre Turoldo, che gli chiedeva sostanzialmente di domandare alla Nunziatura apostolica Pag. 11 di dichiararsi disponibile come sede per far svolgere una trattativa; Turoldo chiese due giorni di silenzio stampa e insistette molto, con veemenza, affermando che era la sola via possibile.
  La mattina seguente – Craxi dice – parlò con lei e la incaricò dei contatti con la Curia romana. In questo caso, chi fu il contatto?

  GENNARO ACQUAVIVA. Silvestrini. Turoldo insistette molto perché evidentemente non si fidava di quello che Craxi gli dimostrava di aver capito. Questa è la mia interpretazione, ma penso che sia vero. Gli disse: «Se non ha ben capito chiami Riva». Sostanzialmente questa era la frase che mi riferì Craxi: «Chiamate a Roma monsignor Riva, sa tutto».

  PRESIDENTE. Lei però come interlocutore in Vaticano ebbe Silvestrini.

  GENNARO ACQUAVIVA. Riva mi disse solo: «Avete rapporti col Vaticano?». Gli risposi: «Come, non abbiamo rapporti? Certo che li abbiamo!».

  PRESIDENTE. Quindi lei non fece una richiesta specifica...

  GENNARO ACQUAVIVA. Come no? Lo dissi a Silvestrini: «Guarda, è successo questo e questo». Per l'amor di Dio, prese atto.

  PRESIDENTE. Monsignor Bettazzi, allora vescovo di Ivrea, ha ricordato (si vedano gli articoli nei quotidiani La Stampa del 14 gennaio 2009 e, prima, Il Tirreno del 14 marzo 2008) che l'avvocato Giannino Guiso lo cercò per proporgli di trattare con i brigatisti, ma i suoi superiori ecclesiastici lo vietarono.
  Monsignor Bettazzi, inoltre, fu contattato da padre De Piaz, stretto collaboratore di padre Turoldo, il quale gli suggerì che alcuni vescovi si offrissero in ostaggio al posto di Moro.
  Molti anni dopo, padre De Piaz dichiarò: «Non posso fare i nomi, ma posso dire che eravamo in contatto con persone che potevano dirci cosa stava avvenendo all'interno delle BR e sapevamo che i brigatisti erano in disaccordo sulla decisione finale di ucciderlo. Noi volevamo, con le nostre azioni, cercare di allargare questa contraddizione e dare più forza alla parte che era per la liberazione» (la citazione è dal volume di Annachiara Valle Parole, opere e omissioni. La Chiesa nell'Italia degli anni di piombo, pagina 31).
  Monsignor Bettazzi il 3 maggio del 1978 parlò dell'idea di padre De Piaz con monsignor Giuseppe Caprio, allora sostituto della Segreteria di Stato, il quale gli disse di lasciar perdere e perciò non se ne fece nulla.
  Lei ebbe notizia di queste cose?

  GENNARO ACQUAVIVA. No, non ne ebbi notizia.
  Vorrei sottolineare un punto, che successivamente, nei mesi e negli anni successivi, Craxi si lamentò con me dell'atteggiamento «rilassato» che avemmo noi tutti, lui compreso, rispetto a quell'appello di padre Turoldo, che fa il paio con quello che dice De Piaz.
  Insisteva, perché evidentemente glielo aveva raccontato qualcuno, che questa Corsia dei Servi a Milano era un centro di interfaccia con quel mondo o con quei mondi «rivoluzionari» e contestatori...

  PRESIDENTE. Sicuramente l'Autonomia, il Comitato metropolitano, con quel giro...

  GENNARO ACQUAVIVA. Craxi si pentiva di non essere – nella durezza della vicenda, in quella condizione non facile che avevamo e che aveva lui in particolare in quei giorni – andato a fondo. A fondo come? Andando a fondo sul Vaticano, insomma, insistendo di più con loro, mentre mi aveva fatto fare solo una démarche, cioè un'informativa che si fermò lì.

  PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo di una trattativa fatta dalla Santa Sede tramite l'utilizzazione dei cappellani del carcere?

Pag. 12

  GENNARO ACQUAVIVA. Non l'abbiamo mai saputo, in quella fase, l'abbiamo sempre saputo dopo.
  Io per esempio ho parlato con monsignor Mennini, a Londra, un anno fa. Ho un figlio che vive e lavora lì e ogni tanto vado. Casualmente mi è capitato di incontrarlo, abbiamo parlato a lungo. Avrà parlato anche con voi.

  PRESIDENTE. Sì, lo abbiamo ascoltato in audizione.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sapeva e non sapeva, non lo so. In generale, gli ecclesiastici e la Santa Sede sono particolarmente coperti. Anche con me, che sono un fidato, oltre che un fedele, sono stati sempre prudentissimi, salvo quella battuta che dicevo prima.

  PRESIDENTE. Quindi questo tentativo tramite i cappellani delle carceri?

  GENNARO ACQUAVIVA. Io ne ho letto dopo. Certo, ho letto anche io di questo cappellano... Era una bella iniziativa, secondo me; letta a posteriori, era un bel canale.

  PRESIDENTE. Poteva funzionare.

  GENNARO ACQUAVIVA. Era meglio sicuramente di Piperno.

  PRESIDENTE. Il giornalista Alessandro Forlani, nel volume La zona franca, a pagina 83, cita un'intervista che lei gli rilasciò.

  GENNARO ACQUAVIVA. Chi è Alessandro Forlani?

  PRESIDENTE. È l'autore del libro.

  FEDERICO FORNARO. È un giornalista del GR RAI.

  PRESIDENTE. Le leggo il passaggio: «Gennaro Acquaviva, che chiamò il dirigente della DIGOS Domenico Spinella quando Freato recapitò a Craxi la lettera appello di Moro, gli sentì dire che la Polizia non aveva in mano niente e che di fatto non c'erano indagini in corso».

  GENNARO ACQUAVIVA. Spinella mi fece una bruttissima impressione. Sarà morto, poverino. Non stava neanche bene...

  GERO GRASSI. Anche a noi da morto.

  GENNARO ACQUAVIVA. Non lo so, ma mi dette la sensazione dell'impotenza assoluta. Mi disse: «Ma che stiamo a perdere tempo?». Io sto lì tremante, come vi ho raccontato, emozionato della scena che avevo visto prima, con Craxi piangente, e gli do questa lettera come una reliquia. Gli consegno questa lettera come se gli dessi sangue divino.

  PRESIDENTE. E che impressione le fece Spinella?

  GENNARO ACQUAVIVA. Menefreghismo. «Non c'è niente da fare». Stava lì a fare burocraticamente un'opera di presa in carico di un testo che doveva portare alla polizia giudiziaria e che la polizia giudiziaria doveva portare ai giudici. Non gliene fregava niente, insomma. Io stetti zitto, non mi lamentai neanche con lui. Avrei dovuto, non so, prenderlo per il bavero...
  Diceva: «Che state a perdere tempo voi? Che state a far perdere tempo a noi?». Questa era la sostanza dell'atteggiamento, della faccia....

  PRESIDENTE. Come se volesse dire: «È già morto»?

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì: «Non c'è niente da fare, non state a rompere le scatole...». La frase non era sicuramente questa, però.. A me fece un'impressione di una tristezza assoluta. Ripeto, eravamo così in tensione noi, che non contavamo nulla, come poi si è visto. Non svolgemmo nessun ruolo. La sostanza è che fu un'operazione politica, la nostra, un tentativo di aprire, di coinvolgere, ma non combinammo nulla. Giustamente Craxi non voleva rompere con la Democrazia Cristiana. Pag. 13E già lo hanno odiato per tutta la vita i compagni di sinistra, per quel poco o quel tanto che ha fatto. Quindi, era prudente anche per questo, poveretto.

  PRESIDENTE. Comunque, l'idea che le ha dato Spinella è che dava per scontato che bisognava aspettare la morte...

  GENNARO ACQUAVIVA. Che non c'era niente da fare, era finita.
  Ma, se posso aggiungere un altro elemento, ricordo che Craxi mi raccontò, mesi dopo la morte di Moro, che Vassalli tre giorni prima dell'assassinio gli aveva detto: «Non c'è niente da fare». Era drammatizzato lui stesso nel raccontarmela. Probabilmente Vassalli, personaggio straordinario, se qualcuno l'ha conosciuto o comunque ha letto le sue carte... Ma quello che fece durante la Resistenza! Volevo dire che non era solo uno scienziato del diritto, una persona di straordinaria competenza, un grande amico e fratello di Moro; era anche una persona che stava nel sistema del giudiziario romano, era uno del generone avvocatesco romano, che è una delle forze tradizionali della presenza della politica in città. Non fosse altro che per questo Vassalli riesce a essere salvato dal carcere dove stava, a via Tasso. È attraverso questo generone, che è collaterale, il generone del tempo...

  FEDERICO FORNARO. Non è un caso che nelle lettere Moro faccia riferimento a questo episodio.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, perché Vassalli dice: «Io vengo salvato da Pio XII perché la mia famiglia...»; questo generone altolocato, non dico massonico, ma siamo in un giro di logge altolocate, di ambienti, di salotti, di atmosfere... stiamo parlando del Novecento...

  PRESIDENTE. Abbiamo capito.

  GENNARO ACQUAVIVA. Perfetto. Basta, non c'è altro.

  PRESIDENTE. Adesso affrontiamo un altro capitolo che per noi è importante, quello di Piperno e Pace.

  GENNARO ACQUAVIVA. Io purtroppo so poco.

  PRESIDENTE. Lei prima ha detto una cosa giusta, ha parlato di contigui, non contigui, distinti, non distinti... C'è un pezzo delle BR che con questi è sempre in consonanza elettiva.

  GENNARO ACQUAVIVA. Non c'è dubbio, certo.

  PRESIDENTE. Ci sono all'inizio, ci sono durante, ci sono poi. E se non c'è questo, c'è Potere operaio, c'è il pulmino di Potere operaio che va e viene. La domanda che vorremmo farle è: per quanto ha potuto apprendere, quando Moro fu ucciso, lei non è in grado di dirci altro che la trattativa era in fase di stallo, anche tramite il canale di Signorile?

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, ho un dubbio che mi è rimasto, lo dico in amicizia: che qualcuno come Signorile, per esempio, fosse più addentro, sapesse di più di quello che riferiva a noi, a Craxi in specie. Può darsi, perciò io dico: «Sentitelo».

  PRESIDENTE. Signorile non lo so, ma Piperno e Pace sapevano molto di più.

  GENNARO ACQUAVIVA. Non c'è dubbio.

  PRESIDENTE. Si tratta di capire se sapevano de relato o se sapevano perché pensavano. Però questa è una delle domande possibili.

  GENNARO ACQUAVIVA. Però lo sviluppo conclusivo della vicenda, gli ultimi tre-quattro giorni – voi credo che ne sappiate quanto e più di me, sicuramente – è il vero problema della vicenda di Moro. La stretta conclusiva per cui alla fine viene ucciso pone il problema delle capacità di infiltramento o non infiltramento del Pag. 14gruppo che lo tiene. Questo è il vero dubbio che rimane della vicenda di Moro, secondo me.
  Secondo me, non ci arrivavano quelli come Piperno. Potevano avere riferimenti, parlare per sentito dire, però non ho dubbi che il gruppo BR che aveva organizzato la cosa fosse infiltrato, politicamente e anche militarmente, da altri. Chi l'ha fatta quella operazione di infiltramento? L'Italia nel dopoguerra per cinquant'anni è stata un Paese a responsabilità limitata. Yalta non è un'invenzione di mio nonno. Che il KGB fosse presente con decine di migliaia di rapporti... Non c'è bisogno di Mitrokhin per farselo raccontare. Per non parlare degli americani!
  Quindi, che questo movimento che aveva quasi un decennio di vita – quanti anni c'erano prima di Moro? Quanti mesi di lavoro? Quanto reclutamento? – non fosse infiltrato è inimmaginabile.

  FEDERICO FORNARO. Presidente, possiamo passare in seduta segreta?

  PRESIDENTE. Sì, ma prima consentiamogli di finire.

  GENNARO ACQUAVIVA. Il vero problema, secondo me, della Commissione... Non voglio entrare nel merito dei vostri lavori, ma se io fossi uno capace di affrontare il tema dell'approfondimento dopo tre Commissioni, dopo quarant'anni, andrei sulle conclusioni della vicenda tragica e sull'infiltramento.

  PRESIDENTE. Per finire sul tema riguardante Piperno e Pace, che per noi è di un certo interesse, si tratta di capire anche se Piperno e Pace erano solamente loro o c'era pure Conforto.
  Comunque, senatore Fornaro, ponga la sua domanda, perché poi devo finire su Signorile.

  FEDERICO FORNARO. In seduta segreta, però.

  PRESIDENTE. Passiamo in seduta segreta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica)

  PRESIDENTE. Una vicenda su cui la Commissione sta indagando è la nota vicenda del Cerpet e della rivista Metropoli e più in generale dei rapporti di Mancini e Landolfi con l'Autonomia. Al di là di quel che ha appena detto, ci sa dire qualcosa di più dettagliato?

  GENNARO ACQUAVIVA. Non lo so, perché era un mondo veramente che io non frequentavo e non venivano a raccontare niente a me, insomma. Bisogna parlare con Signorile, secondo me ne sa...

  PRESIDENTE. Signorile è anche dentro le vicende di Landolfi e di Mancini?

  GENNARO ACQUAVIVA. No, sa. Sicuramente ne sa di più. Forse anche Cicchitto. Signorile comunque era molto riservato, anche con i suoi compagni più vicini, come Cicchitto.

  PRESIDENTE. Sentiremo Signorile, diamolo per acquisito.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sarebbe meglio, sì.

  PRESIDENTE. Passando a dopo il sequestro Moro, c'è un altro episodio, che è citato dal periodico Panorama del 9 luglio 1979, sul quale vorremmo chiederle chiarimenti. Sembra che a pochi giorni dalla morte di Moro un ignoto interlocutore cercò di parlare con Craxi a proposito della Renault 4 in cui era stato trovato il corpo di Moro. La vicenda ebbe poi un seguito in agosto, in occasione dei funerali di Paolo VI, quando ci furono nuove telefonate. Le telefonate furono poi registrate e consegnate ai Carabinieri.
  Il giornalista Paolo Cucchiarelli, nel volume Morte di un Presidente, a pagina 216, cita un colloquio avuto con lei, nel quale lei confermò che dopo la morte di Moro fu stabilito un contatto con l'autore delle telefonate presso la sede della Federazione Pag. 15del Partito Socialista di Milano, sotto il controllo dei carabinieri di Dalla Chiesa.
  Lei avrebbe visto la persona che poi si sarebbe improvvisamente dileguata senza essere fermata dai carabinieri che stazionavano in un locale vicino.

  GENNARO ACQUAVIVA. Questa è una delle cose rimaste misteriose.

  PRESIDENTE. Non è irrilevante, questa.

  GENNARO ACQUAVIVA. Secondo me, era una cosa per scoprire una provocazione. Comunque, le telefonate furono fatte alla segretaria di Craxi da questo tizio; furono registrate. Disse che lui sapeva, aveva testimonianze, poteva parlare, su chi l'aveva portata questa macchina; bofonchiava, parlando in dialetto, si capiva e non si capiva.
  Craxi naturalmente chiamò Dalla Chiesa o qualcun altro dei suoi e gli dette questa roba. Questi organizzarono un rendez-vous e......

  PRESIDENTE. E però si dimenticarono di fermarlo.

  GENNARO ACQUAVIVA. Craxi mi chiese di andare. Io figuriamoci se ne avevo voglia! Mi fecero andare sotto copertura, diciamo così, a Milano. L'appuntamento al soggetto che telefonava fu dato da loro, dalla segretaria di Craxi – credo sia ancora viva, si chiama Daniela Scarso – alla Federazione di Milano. Fu scelto un posto conosciuto. La Federazione di Milano del PSI era un palazzo – adesso chissà che fine ha fatto la Federazione di Milano, non c'è più – vicino alla Stazione centrale, non molto lontano. Potrei darvi anche l'indirizzo, se volete.

  PRESIDENTE. Questo arriva?

  GENNARO ACQUAVIVA. I carabinieri mi fanno andare, con un altro che mi accompagna, sotto un altro nome; mi danno un biglietto falso dell'aereo. Insomma, io non sono indicato nell'elenco dei passeggeri che volano. Volo lì la mattina. L'appuntamento sarà stato alle dieci di mattina, nella mattinata. Mi mettono dentro una stanza della Federazione di Milano, era una domenica mattina, e mi riempiono di microfoni; mi danno una fila di registratori addosso. Si mettono nella stanza accanto. Arriva questo tizio molto giovanile, un tipo sui quarant'anni, non anziano, vestito di chiaro, che parla bofonchiando. Sembra un americano finto, che parla in mezzo napoletano, con accento meridionale.
  Io parlo, dico: «Allora, dove sono queste carte, queste prove?». Gli dico quello che dovevo dirgli, che mi hanno detto di dirgli. Questo, a un certo punto, bofonchiando, si alza improvvisamente e scappa: prende la porta e vola via. Io sto fermo, perché so che i carabinieri stanno sotto, sopra, avanti e indietro. È pieno di carabinieri. Quando vado giù, scendo al pianterreno per farmi levare questi caspita di microfoni che ho addosso, uno mi dice: «È scappato, non siamo riusciti a prenderlo».
  Io mi faccio una risata, perché, scusate...

  PRESIDENTE. Era impossibile che scappasse.

  GENNARO ACQUAVIVA. Vi assicuro che era un'operazione colma di persone. A parte che stavano accanto, in due, nella stanza...

  PRESIDENTE. Ma l'hanno visto anche i carabinieri?

  GENNARO ACQUAVIVA. Certo che l'hanno visto. Come, non l'hanno visto?
  Sicuramente avranno fatto fotografie. Non ho dubbi che abbiano fatto fotografie, che l'abbiano rincorso...

  PRESIDENTE. Si ricorda chi era l'ufficiale che comandava l'operazione?

  GENNARO ACQUAVIVA. No, non mi ricordo. C'è sicuramente la possibilità di rintracciarlo, però. È un'operazione non «sporca», è un'operazione esplicita.

Pag. 16

  GERO GRASSI. Può datare almeno l'episodio?

  GENNARO ACQUAVIVA. La data è, credo, due-tre mesi dopo, probabilmente nell'autunno di quell'anno. Posso tentare di rintracciare...

  GERO GRASSI. Prima o dopo via Monte Nevoso?

  GENNARO ACQUAVIVA. Prima. Che c'entra?

  GERO GRASSI. Via Monte Nevoso è il 1° ottobre 1978. Attenzione! Prima o dopo?

  PRESIDENTE. Il primo Monte Nevoso. La scoperta del covo.

  GENNARO ACQUAVIVA. No, ma che c'entra? È dopo Monte Nevoso primo, non c'è dubbio.

  GERO GRASSI. Dopo?

  GENNARO ACQUAVIVA. Dopo. È prima della raccolta dietro il muro del covo di via Monte Nevoso di tutte le carte.

  GERO GRASSI. Quindi dopo via Monte Nevoso.

  PRESIDENTE. Novembre, dicembre.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, dopo.

  GERO GRASSI. Novembre, dicembre 1978.

  GENNARO ACQUAVIVA. Sì, deve essere stato nell'autunno, probabilmente, dell'anno in cui è morto Moro. Credo, almeno. Io posso tentare... Ho delle agende, in casa, se vi serve posso tentare di ricordare.

  PRESIDENTE. Se ce lo fa sapere, sì, per poterlo riscontrare.

  GENNARO ACQUAVIVA. Non so se le trovo. Comunque, io non ho dato assolutamente mai nessuna importanza... Craxi stesso mi chiese il giorno dopo come era andata, che cosa avevo fatto, ma gli dissi esattamente questo che vi sto raccontando. Ripeto, c'erano decine di testimoni, carabinieri. Non c'è dubbio in proposito. Avranno ancora le registrazioni..

  GERO GRASSI. Senatore, prima di farle la domanda le ricostruisco un po’ il periodo.
  Claudio Martelli: «Le lettere di Moro non erano un'apologia pro vita sua ma pro vita omnium. Lui si batteva non per sé ma per la vita in genere, iniziando dai desaparecidos argentini finendo ai gulag sovietici».
  Vassalli: «Moro nelle lettere scriveva quello che insegnava all'Università di Bari dal 1944 in poi: la persona prima di tutto».
  Signorile, alla prima Commissione Moro: «Mi seguivano, vedevano con chi mi incontravo. Se avessero voluto, seguendo le persone con le quali mi vedevo io, sarebbero arrivati a capire e a scoprire». «Con chi si vedeva lei?» «Piperno, Pace».

  GENNARO ACQUAVIVA. Il caso di Zanetti; Zanetti sicuramente lo conoscevano.

  GERO GRASSI. Zanetti sicuramente non expedit.
  In questo contesto, la storia ci dice che il Partito Socialista era per la trattativa, non c'è dubbio. I documenti sono chiari. La domanda riguarda l'atteggiamento del segretario del Partito Socialista, quello affettuosamente riconducibile al termine «il cinghialone» di Pansa, per dire uno che entra a piedi duri nella vicenda. Nel caso Moro l'atteggiamento di Craxi non è stato consequenziale alla determinatezza, all'impeto, al suo carattere, a quello che ha fatto per Sigonella, a quello che ha fatto per la scala mobile. È sembrata una grande e – condivido – giusta affermazione di principio, cui però non c'è stato seguito.
  Quando è venuto qui Martelli, alla domanda: «Lei, voi non siete riusciti nemmeno a far convocare il Parlamento per discutere di Moro?», Martelli ha risposto in sostanza: «Non avevamo le firme, non Pag. 17avevamo i numeri giusti». Sì, è vero, ma il Partito Socialista in quel periodo era comunque il terzo partito e devo dire che i fasti e anche i nefasti del Partito Socialista non è che ci furono quando il Partito Socialista triplicò i voti, perché tutto sommato i voti che avevate nel 1978 li avete avuti anche nel periodo di maggiore splendore...

  GENNARO ACQUAVIVA. Non li ha mai triplicati.

  GERO GRASSI. Appunto.
  Ora, qual è il senso della domanda? Mi sembrava flebile la giusta posizione socialista, io che già all'epoca speravo molto che quella posizione diventasse dirompente nel circuito... Capisco bene che DC e PCI insieme mettevano oltre il 75 per cento dei voti, però devo farle la domanda secca: che cosa vi frenò? Aveste paura, aveste timore, non voleste affondare? Perché? Io penso che una iniziativa dura del Partito Socialista avrebbe messo in crisi gli equilibri instabili che sovrastavano i due partiti maggiori.

  GENNARO ACQUAVIVA. L'equilibrio era stabilissimo – lei ha parlato del 75 per cento in Parlamento – ed era un equilibrio generalizzato. Non era solo il Parlamento, era il sistema che era fermo. Possiamo parlare di tutto quello che si vuole...
  La posizione di Craxi e dei socialisti, che ha contro Pertini, per esempio, che vede perplesso Nenni, in casa, non è unanimistica. E Pertini era capace di strillare, insomma, come poi fece e riuscì a esprimersi negli anni successivi. La posizione socialista è una posizione che nasce dal cuore – nel confronto di questi quarant'anni si è persa questa dimensione – nasce da un sentimento dell'anima. C'era gente, appunto, che piangeva.
  Voi potreste ancora pensare che fosse furbizia politica: stai in mezzo a questi due mostri che vogliono la morte di una persona, ti metti in mezzo e ti metti a gridare. Ha ragione lei, se fosse così dovevamo rompere di più. Perché non abbiamo rotto? Perché noi volevamo salvare l'uomo, prima, e si poteva salvare, secondo noi, secondo quello che magari ingiustamente viene qui considerato possibile, «alla Piperno», insomma attraverso i tramiti che arrivavano, attraverso uno scambio non trattato, come fu poi alla fine, il «misura per misura». Le ultime tre settimane infatti sono la ricerca disperata, affannosa, di un paio, di uno almeno da liberare non macchiato di sangue, non disgraziato, da mettere sul tavolo e consegnare, con un atto unilaterale. Un atto di grazia: Leone fermo, con la penna in mano; Fanfani incavolato con i dorotei pronto a strillare eccetera. Questa è la vicenda.
  Che altro si poteva fare? Certo, Craxi aveva meno del 10 per cento dei voti, il 9,6 per cento dei voti, era un segretario debole, eletto nel 1976 perché c'era stato il disastro. Siamo nel 1978, in un clima di assoluta vicinanza non dico al compromesso storico, che non era nella testa di Moro, ma comunque a un'alleanza storica. I comunisti stavano andando al Governo. Questa era la posizione del «riformista esterno» e poteva strillare quanto voleva, ma passava per matto.
  Martelli riesce a scrivere due articoli sul Corriere della Sera, che sono qui nella rassegna del volume, perché sta nel giro di Di Bella e di quella che era – poi dopo si scoprì – la P2 che allora governava il Corriere della Sera, altrimenti non avrebbe potuto neanche scrivere. C'erano dei matti, come Sciascia e Forcella, c'erano degli autonomi, delle persone con la loro testa e con il loro cuore; alcuni preti, compreso Bettazzi, ma gli altri stavano un passo indietro.
  Quel povero Paolo VI lo dice quando va al funerale. Quel funerale è il funerale della Repubblica italiana e dei partiti che l'hanno governata; Bellocchio l'ha messo nel film e l'ha drammatizzato, ma è così.
  Quel giorno io stavo fuori dalla basilica di San Giovanni in Laterano perché non mi hanno fatto entrare. Entrarono solo Signorile e Craxi, perché era un numero ristrettissimo. Insomma vedevo questi con le bandiere bianche, della Democrazia Cristiana. Quasi pioveva, fuori San Giovanni. Era un pomeriggio di tragedia, diciamo così. Pag. 18
  L'immagine di questo vecchio Papa che preannuncia la morte di sé, oltre che del mondo in cui è vissuto, perché anche lui è un fondatore della Democrazia Cristiana... La Democrazia Cristiana è morta, e lui lo sa, dentro se stesso, questo povero Papa Montini.
  Insomma, una tragedia shakespeariana. Non c'era spazio. Certo, Craxi aveva voglia di stare con i democristiani per battere i comunisti. Che altra prospettiva politica poteva tentare di realizzare? Quindi, non voleva rompere. Alla fine di aprile io sto in anticamera, a Piazza del Gesù, per cinque ore in attesa che si concluda la riunione della segreteria della Democrazia Cristiana con quella socialista. Con Zaccagnini, quando si fa la proposta finale dello scambio, la segreteria democristiana si riunisce per sentire finalmente questi socialisti proporre la loro idea. E Craxi li tiene lì cinque ore, rompe le scatole, come poi alcuni di loro hanno detto, anche perché vuol far vedere che è lunga la trattativa, che lui conta perché tiene al tavolo della trattativa la Democrazia Cristiana di Zaccagnini.
  Sto fuori dalla stanza, al secondo piano del palazzo di piazza del Gesù; c'era un salottino che poi divenne la stanza di Misasi, del capo della segreteria, dopo, con De Mita, ma non so di chi fosse allora. C'era questo Sangiorgi, non so per quale ragione era lì, forse faceva l'addetto stampa transitorio, il Sangiorgi di De Mita, e ci tenemmo compagnia per tre, quattro ore, fino all'esasperazione. Tra i nostri partecipava alla riunione un brav'uomo che si chiamava Cipellini, che era il capogruppo dei socialisti al Senato, che però a suo tempo aveva combattuto nella Resistenza, e aveva combattuto sul serio, aveva sparato. Nel colloquio con i democristiani – mi raccontò dopo lui stesso – ci avevano rinfacciato: «Non si tratta con questi criminali, lo Stato non può mollare, non c'è margine per una grazia». Allora Cipellini ricordò loro Moranino, graziato da Saragat per poter diventare Presidente della Repubblica. E disse in faccia a loro: «Ma che volete da noi? Allora avete liberato Moranino, avete imposto uno scambio, altrimenti i comunisti non davano i voti a Saragat»; un dato di pura verità. Adesso non è una cosa che conviene dire troppo, ma qui ce lo possiamo ricordare, perché è la pura verità. I democristiani quella sera dovettero stare zitti. Però alla fine ci mandarono via senza il comunicato e il giorno dopo fecero il comunicato come voleva Andreotti: «Buongiorno, arrivederci e grazie».
  Questo era il clima.

  GERO GRASSI. Senatore, due domande ancora. A proposito del dottor Spinella, lei ha parlato di «impotenza». Posso chiederle se si trattava di irreversibilità, a sua valutazione?

  GENNARO ACQUAVIVA. No, secondo me era un fatto burocratico. Spinella sapeva che cosa pensavano i capi: i capi pensavano che era difficile trovare i sequestratori, inoltre non erano attrezzati, non c'era la capacità di infiltramento. Erano depotenziati moralmente, non credo che fosse cattiveria. Era la condizione di un burocrate, non di un poliziotto inquisitore che vuole salvare qualcuno. Questa era l'idea che mi sono fatto io. Poi, poveretto, sarà stato un sant'uomo questo Spinella, non voglio dirne male... Era anche professionalmente preparato, mi dicevano. Io non ho idea.

  GERO GRASSI. A suffragio della sua posizione espressa quando ha parlato di via umanitaria ...

  GENNARO ACQUAVIVA. Craxi insiste, anche nel libro che ho lasciato al presidente, nella sua relazione alla prima Commissione d'inchiesta, dicendo che la sua non era una soluzione «umanitaria», era una soluzione «costituzionale».
  Anche l'umanitario gli andava antipatico, diciamo così, sminuiva il suo intervento, allora Craxi sostituì, a un certo punto del confronto, il termine con «costituzionale», perché è la Costituzione che Pag. 19impegna lo Stato a salvare i cittadini, a difendere la vita dei cittadini.

  GERO GRASSI. A conforto di questa sua posizione, io le attesto, a distanza di quasi trent'anni, che quando lei è stato candidato al Senato nel collegio di Bitonto... Si ricorda?

  GENNARO ACQUAVIVA. Come no!

  GERO GRASSI. Nel 1987, lei aveva come competitor maggiore la signora Maria Fida Moro, che poi fu eletta. Lei era candidato anche nel collegio....

  GENNARO ACQUAVIVA. A Casarano, sì. A Tricase.

  GERO GRASSI. Di Tricase e Casarano, sì.
  Poi il caso ha voluto che la senatrice Moro, eletta in quel collegio, subentrasse a lei nel quinquennio successivo come candidata del Partito Socialista. Ma le attesto che cosa? Che, pure avendo vissuto tante campagne elettorali, non ho mai visto un tale fair play e attestazioni di stima reciproche quante lei e la senatrice Moro ve ne siete dette in occasione di quella campagna elettorale.

  PRESIDENTE. Era la prima Repubblica: c'erano un altro vocabolario, un altro lessico.

  GERO GRASSI. Per la verità interrotto spesso dalle incursioni di Formica, per la sua parte, e di Lattanzio, per la parte della senatrice Moro. Ma voi due avete mantenuto, a distanza di circa nove anni dall'omicidio Moro, un livello di campagna elettorale nel quale quello che lei ha detto oggi, globalmente, anche nelle parti sulle quali possiamo avere valutazioni diverse, era tutto nello spirito di quella campagna elettorale.
  Glielo voglio dire pubblicamente, perché siccome siamo abituati sempre a fare pars destruens, qualche volta facciamo anche construens.

  GENNARO ACQUAVIVA. Grazie.

  GAETANO PIEPOLI. Caro Gennaro, ci vediamo dopo tantissimi anni.

  GENNARO ACQUAVIVA. Secoli.

  GAETANO PIEPOLI. Era l'era glaciale. Ti volevo chiedere, secondo te, visto adesso in retrospettiva, il saggio su Proudhon, che esce poi nell'estate del 1978, se non ricordo male, è in un certo qual modo anche legato a una riflessione o comunque a una partecipazione emotiva di Craxi rispetto a quello che lui aveva vissuto nella vicenda Moro, nel rapporto anche con il PCI, quindi anche con uno scenario geopolitico complessivo?

  GENNARO ACQUAVIVA. Non credo, no. Proudhon nasce perché ci sono state delle iniziative, un paio di numeri in particolare di Mondoperaio contro il marxismo e anche il gramscismo. C'è una polemica forte e quell'anno Berlinguer va a concludere il festival del Partito Comunista, credo a Genova, difendendo la gloriosa e antica tradizione leninista del partito.
  Questo a Craxi gli fa «girare il boccino». C'è un nostro compagno, Luciano Pellicani, che è un raccoglitore di frasi bellissime, che ha dieci pagine già scritte sul tema e gliele mette sotto al naso; Craxi le corregge un po’ e le manda all’Espresso, che le pubblica.
  Craxi non sarebbe mai stato in grado di produrre tutta quella scienza sociologica come riesce a un professore alla Pellicani...Forse parecchi non lo conoscono, ma è uno che non è un genio della sociologia mondiale, però è uno capace di infilare una montagna di citazioni, di prendere dei testi e di commentarli con una capacità di proprietà straordinaria. Le sei pagine dell’Espresso sono questo, perciò fanno colpo, perché mettono a confronto altolocato, in maniera fortemente contraddittoria, il ruolo socialdemocratico e liberale del Partito Comunista in Italia a difesa della democrazia, con la sua origine e pratica rivoluzionaria, leninista Pag. 20 e sovietica: «Dovete essere socialdemocratici, piantatela con l'Unione Sovietica!». Questo è il messaggio di Craxi. Se lo avessero seguito almeno un pochettino, forse oggi non staremmo qui.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, ci aggiorniamo alla prossima seduta.
  Ringrazio il senatore Acquaviva e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.