XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico



Seduta n. 105 di Mercoledì 22 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti di Legambiente:
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 ,
Lazzaro Luigi , presidente di Legambiente Veneto ... 2 ,
Boscagin Piergiorgio , presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta ... 3 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 6 ,
Puppato Laura  ... 6 ,
Boscagin Piergiorgio , presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta ... 6 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 7 ,
Boscagin Piergiorgio , presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta ... 7 ,
Lazzaro Luigi , presidente di Legambiente Veneto ... 7 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 7 ,
Boscagin Piergiorgio , presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta ... 8 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 8 ,
Lazzaro Luigi , presidente di Legambiente Veneto ... 8 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 8 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 9 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 9 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 9 ,
Tirapelle Luca , presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 

(La seduta, sospesa alle 9.20, è ripresa alle 14.10) ... 10 

Audizione di Davide Bubbico, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 10 ,
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 13 ,
Nugnes Paola  ... 14 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 15 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 15 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 15 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 15 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 15 ,
Nugnes Paola  ... 16 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 16 ,
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 16 ,
Vignaroli Stefano , Presidente ... 18 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 18 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 18 ,
Vignaroli Stefano , Presidente ... 18 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 18 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 18 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 19 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 19 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 19 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 19 ,
Nugnes Paola  ... 19 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 19 ,
Nugnes Paola  ... 19 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 19 ,
Nugnes Paola  ... 20 ,
Bubbico Davide , ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno ... 20 ,
Vignaroli Stefano , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti
di Legambiente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Legambiente. Sono presenti Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto; Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta; l'avvocato Luca Tirapelle, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto, che ringrazio per la presenza.
  Ricordo che la Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento al presunto inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).
  La decisione della Commissione è stata quella di fare un approfondimento specifico su questa vicenda. Ci sono elementi per poterlo fare. La relazione territoriale sulla regione Veneto sarà approvata domani, essa contiene già alcuni elementi interessanti al riguardo. Vista, però, l'importanza e la peculiarità del fenomeno, abbiamo deciso di redigere una piccola monografia specifica sull'argomento.
  Durante la vostra audizione potrebbero emergere situazioni nuove non contemplate nella relazione che approveremo domani. Il tipo di contributo che potrete offrire si esplicherà in una monografia successiva.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata nella parte finale della seduta.
  Cedo dunque la parola al presidente Lazzaro per lo svolgimento di una piccola relazione introduttiva, al termine della quale sicuramente vi saranno delle domande da parte dei commissari. Gestirete come meglio riterrete lo svolgimento dell'audizione. Ho visto che avete comunque una memoria scritta, che presumo ci lascerete, e che verrà messa subito agli atti. Potete brevemente riassumere le motivazioni per cui ci avete chiesto l'incontro, ma presumo che siano in gran parte contenute nella relazione, dopodiché ripeto che arriverà qualche domanda dai colleghi.

  LUIGI LAZZARO, presidente di Legambiente Veneto. Perché siamo qui? Come associazione ambientalista ci siamo attivati Pag. 3già dal 2013, se non prima, su questa vicenda in particolare. È un caso abbastanza particolare a quanto pare in tutto il territorio nazionale. Le cifre sono importanti, perché parliamo di 350.000 possibili cittadini coinvolti e di un'area molto estesa del territorio tra il veronese e il vicentino e in parte il padovano.
  Si tratta di una situazione di inquinamento delle falde acquifere e delle acque superficiali che è stata trattata secondo noi con un po’ di ritardo. Oggi ci troviamo a dover rincorrere un problema ambientale. Come Legambiente stiamo cercando, oltre al tema sanitario, che già avrete affrontato e altri affronteranno, di inquadrare il tema ambientale. Secondo noi, è necessario agire sulle cause e cercare di fare in modo che i cittadini possano bere acqua potabile. Al momento lo è, ma saprete lo è perché sono inseriti dei filtri ai carboni attivi che rendono l'acqua potabile.
  Interverrò brevemente, poi passerò la parola agli altri, nel margine dei cinque minuti, o ci direte voi quanto tempo abbiamo.
  Delle questioni che principalmente ci interessa far emergere, una è legata agli scarichi, e quindi al fatto che attualmente le indagini dimostrano come nelle acque del Fratta-Gorzone dei bacini scolanti siano presenti questi inquinanti.
  In particolare, anche nella nostra nota rileviamo come nel bacino del Fratta-Gorzone, come ben saprete uno dei fiumi più inquinati d'Italia, al momento ci siano degli sversamenti dallo scarico che arriva dall'area in questione, di Trissino, dove c'è la presunta principale fonte di inquinamento, l'azienda Miteni. Nel famoso collettore Arica scaricano e depurano anche altre aziende.
  Quest'inserimento nel Fratta-Gorzone porta con sé a valle del collettore una diluizione di fatto proveniente da un altro canale, il canale LEB, che con 6 metri cubi al secondo per 365 giorni all'anno diluisce le acque che entrano nel Fratta-Gorzone e vanno a mare. C'è, dunque, una questione delicata da risolvere relativamente agli impianti di depurazione o, a nostro parere, sarebbe necessaria una verifica del collettore Arica.
  C'è poi il tema, più che del disinquinamento, della presa dall'acquedotto. Tralascio il tema, perché penso che l'avranno già approfondito i gestori degli enti degli acquedotti, ma siamo molto preoccupati e crediamo che dovrebbe essere una delle prime azioni da intraprendere quella dello spostamento, un intervento forte per monitorare certi cittadini.
  L'altra perplessità deriva dal fatto che la cifra stanziata richiesta dalla regione Veneto per il biomonitoraggio dei cittadini è molto elevata. Abbiamo capito che si parla di 100 milioni di euro all'anno per dieci anni per monitorare i cittadini. Al momento, non abbiamo invece risposte per quanto riguarda il cambio della presa dell'acquedotto per provare a risolvere il problema ambientale, che è quello che continuerà eventualmente ad alimentare di inquinanti i cittadini anche se saranno monitorati.
  È per questo che abbiamo chiesto di essere auditi anche se all'ultimo momento. Vi ringrazio a nome di Legambiente, perché è molto importante per noi portare il contributo del lavoro svolto. Questa è una sintesi sia dalle azioni svolte da Legambiente dal 2013 a oggi sia da alcuni passaggi importanti anche dal punto di vista giuridico. Su questo cederò la parola all'avvocato Tirapelle. Adesso, col permesso del presidente, la lascio a Piergiorgio Boscagin per approfondire alcuni dettagli.
  Piergiorgio Boscagin è qui per Legambiente Perla Blu, ma è anche coordinatore del Coordinamento acque libere da PFAS, che raccoglie una serie di soggetti, che ha lanciato anche una petizione di livello nazionale per chiedere, appunto, la velocizzazione del cambio di presa dell'acquedotto, e poter così avviare il percorso per l'acqua potabile per i cittadini. Un'ulteriore richiesta è legata all'introduzione dei limiti, altro importante pezzo della nostra petizione, che a oggi ha superato ormai abbondantemente credo forse le 15.000 firme, lanciata circa un mese e mezzo fa.

  PIERGIORGIO BOSCAGIN, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Pag. 4Cologna Veneta. Vi ringraziamo per averci ricevuti. Mi rifaccio a quello che abbiamo scritto e già in parte ha detto Luigi Lazzaro.
  Secondo noi, ci sono dei problemi, delle criticità, anche relativi ai filtri che stanno preparando i gestori. Ci hanno detto, per esempio, che non riescono a fermare i PFAS a catena corta. Voi sapete che adesso i PFAS a catena lunga vengono sostituiti con PFAS a catena corta. I filtri che stanno applicando non sono, però, in grado di fermare questi altri tipi di sostanze, delle quali si sa poco, ma nella Conferenza di Madrid duecento scienziati di tutto il mondo hanno dichiarato che anche le sostanze a catena corta fanno male, anche se decadono in tempo minore delle altre.
  Inoltre, mancano ancora delle indicazioni precise sulle acque superficiali contaminate destinate all'irrigazione. Non è stata diramata nessuna ordinanza per quanto riguarda, per esempio, le acque del Fratta-Gorzone. Vi ricordo che nel Fratta-Gorzone ancora oggi giungono 500 miliardi di nanogrammi al giorno di queste sostanze. È una cifra incredibile per noi, ed è ancora più incredibile che l'unico modo per abbattere queste sostanze sia diluirle. Sappiamo che la diluizione dovrebbe essere vietata, mentre noi adoperiamo 6 metri cubi al secondo di acqua buona per diluire queste sostanze.
  Mancano ancora dati precisi sulla contaminazione delle matrici alimentari nonostante in un primo studio posto in essere dalla regione Veneto dimostrassero una contaminazione almeno del 10 per cento di questi alimenti. Neanche in questo caso c'è alcuna indicazione per quanto riguarda gli elementi contaminati. Non c'è stata nessuna indicazione di carattere sanitario per dire ai cittadini che cosa devono fare. C'è stato il biomonitoraggio e alle persone che sono risultate contaminate non è stata data alcuna indicazione di tipo sanitario.
  Naturalmente, non sono state date indicazioni per quanto riguarda le fasce più esposte, cioè gli anziani, i malati, le donne incinte e i bambini. Sappiamo che in Germania, per esempio, con 500 nanogrammi litro a donne incinte e bambini viene consigliato di non bere l'acqua contaminata. Probabilmente, noi abbiamo bevuto quest'acqua per quarant'anni e nonostante questo non abbiamo ancora nessun tipo di indicazione per quanto riguarda il probabile impatto sanitario.
  Come diceva Luigi Lazzaro, hanno annunciato una serie di iniziative che parlano di 100 milioni di euro all'anno per il biomonitoraggio. Noi crediamo che si possa effettuare un altro tipo di indagine con molto meno, come hanno dimostrato i medici di ISDE e di ENEA. Con i soldi risparmiati si potrebbero cercare subito le fonti alternative per gli acquedotti e, soprattutto, pensare all'agricoltura. Una fonte primaria coinvolta dall'inquinamento, infatti, sono purtroppo i prodotti agricoli, che ancora oggi vengono irrigati probabilmente con acqua contaminata.
  Non dimentichiamo che c'è un parziale monitoraggio per quanto riguarda i pozzi privati. Anche qui siamo molto indietro. Sappiamo che molti pozzi privati sono risultati inquinati, ma non abbiamo ancora una situazione ben precisa per questo. Sul territorio esistono anche aziende, come le cartiere, che per esigenze produttive necessitano di importanti quantitativi d'acqua, che viene prelevata dalle falde gravemente inquinate, e poi reimmessa nei fiumi superficiali senza essere sottoposta a trattamenti in grado di abbattere i perfluoroalchilici.
  È anche verosimile che l'utilizzo dei fanghi di depurazione – da noi vengono utilizzati quale mandante agricolo – abbia potuto spargere quest'inquinamento anche al di fuori delle zone dette di controllo. Noi riteniamo che si debba arrivare al divieto dello spargimento di queste sostanze.
  Per concludere, e poi lascerò la parola all'avvocato Tirapelle, come Legambiente chiediamo a questa Commissione, per quanto di sua competenza, di chiedere che al più presto vengano cambiate le fonti di approvvigionamento degli acquedotti, che vengano adottate iniziative di legge e dati indirizzi ai ministeri competenti affinché vengano fissati finalmente quei limiti che ancora mancano. Crediamo che i limiti attuali siano troppo alti. Il Vermont, in Pag. 5America, ha fissato ad esempio limiti molto minori dei nostri: non vediamo perché gli americani debbano fissare dei limiti più bassi, a meno che non crediamo che i veneti e i cittadini italiani siano più forti degli americani.
  Chiediamo che venga costituita una commissione che approfondisca le cause dell'estensione dell'inquinamento, nonché l'impatto sanitario nella popolazione residente nelle zone interessate; se fosse possibile, che finalmente venga adottato un piano per il disinquinamento del bacino dell'Agno Fratta-Gorzone. Serve assolutamente un piano per lo studio dei lavoratori della Miteni e degli extra-lavoratori della Miteni, che sono stati i primi esposti al rischio legato al produzione di sostanze perfluoroalchiliche.
  Occorre porre fine alle immissioni nei corpi recettori, e comunque nelle acque di falda, di queste sostanze da parte dell'azienda Miteni. Ancora oggi si scarica, seppur con i limiti di legge, ma sappiamo benissimo che il sito è talmente inquinato che non sono ancora riusciti a fermare quest'inquinamento.
  Vi ringrazio e, col permesso del presidente, lascio la parola all'avvocato Tirapelle.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Intervengo su tre temi in maniera estremamente sintetica.
  La vicenda che oggi è portata alla vostra attenzione non è nuova. Risale al 1988, all'epoca di un'interrogazione parlamentare dell'onorevole Edoardo Ronchi, che chiedeva chiarimenti alla Camera dei deputati e al Governo sul caso dalle tinte inquietanti delle cosiddette navi dei veleni. Delle scorie provenienti certamente da quest'azienda, che ora si chiama Miteni e allora si chiamava Rimar (acronimo per Ricerche Marzotto), furono recapitate al porto di Pisa e imbarcate su due navi e finirono a Port Koko, in Nigeria. Le scorie furono poi rinvenute abbandonate in modo incontrollato sulle coste di quella Nazione africana, quindi il tema non è nuovo.
  La situazione esplode nel 2013, quando dei campionamenti fanno emergere dati inquietanti e allarmanti. Non abbiamo la sensazione che le istituzioni, e mi riferisco in modo particolare alla procura della Repubblica, abbiano ben compreso la gravità di questa situazione.
  Molti di voi sono già stati in Veneto, molti hanno già incontrato il procuratore della Repubblica di Vicenza. Ovviamente, lungi da me voler fare delle polemiche su questi temi, ma attualmente l'indagine investigativa è affidata a due carabinieri, un capitano, che credo sia alla soglia del trasferimento – almeno così mi diceva – e un maresciallo estremamente giovane. Credo che implementare la fase investigativa su questi temi sia quanto meno opportuno.
  Credo che vada anche compulsata l'Avvocatura dello Stato, che potrebbe fungere anche da stimolo all'indagine, perché si intervenga in questo procedimento penale, in modo da far sentire anche la presenza del Ministero dell'ambiente, il cui intervento è generalmente efficace.
  Infine, il problema non è limitato con tutta probabilità alle sole falde acquifere. Abbiamo contattato un dipendente di quest'azienda, un signore di 49 anni, che dimostra l'età del mio papà che ne ha 80. Le patologie che affliggono questo signore sono spaventose. Ci sono dei dipendenti attuali della Miteni che hanno contratto dei tumori al testicolo, malattie cardiovascolari e simili.
  Il sospetto, molto prossimo alla certezza, è che queste sostanze siano entrate nella catena alimentare. La vocazione prettamente agricola delle zone poste immediatamente a sud della fonte inquinante è la cartina di tornasole di questo tipo di situazione. Ci sono delle varietà di ortaggi di origine protetta con diffusione nazionale.
  Dicevo che questi stessi dipendenti che abbiamo compulsato riferiscono di aver visto dei carichi di scorie uscire da quest'azienda per destinazione ignota. Se nel 1988 caricavano le navi con questi rifiuti, con tutta probabilità una situazione analoga si sta verificando anche ora. Non sappiamo dove siano stati conferiti. Nessuno ha pensato finora di suonare il campanello di quest'azienda, chiedere i documenti di Pag. 6trasporto e cercare di lumeggiare sulla sorte e la destinazione di questi carichi di rifiuti.
  Vi abbiamo lasciato una traccia all'interno di questo documento sintetico che abbiamo depositato agli atti. Vi era un autotrasportatore del lago di Garda, a Verona, che si occupava di conferire i rifiuti nel 1988, per un'azienda ancora attiva, operante. Potrebbe essere un bel punto di inizio. Quella che vi chiediamo, quindi, è un'azione di stimolo verso le istituzioni, e in modo particolare presso l'autorità giudiziaria. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo per le informazioni.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA PUPPATO. Ringrazio per la presenza e per le utilissime informazioni gli amici di Legambiente.
  Credo che, proprio alla luce di quanto è stato da loro riferito or ora, presidente, dovremmo prevedere su questo caso specifico, di cui intendiamo occuparci con l'approfondimento che merita anche per la dimensione del disastro, un'ulteriore audizione dell'ex Ministro Edo Ronchi, citato per il fatto di aver fatto all'epoca in quanto deputato quell'interrogazione relativa alle scorie provenienti dall'allora Rimar, Ricerche Marzotto.
  Avendo letto di alcune iniziative che sono state assunte nel territorio anche da parte delle associazioni sindacali di categoria, in particolare la CGIL, per le informazioni che ho visto essere alla loro portata, in relazione soprattutto al tema dell'inquinamento che ha colpito le maestranze di questo stabilimento, credo che valga la pena di inserire anche loro all'interno delle prossime audizioni che terremo su questo tema.
  Detto questo, vorrei chiedervi semplicemente una cosa. La confusione è piuttosto grande sotto il cielo su questa vicenda. Voi avete fatto accenno ad alcune questioni. Rileggendo le audizioni che abbiamo avuto con sindaci, responsabili dei consorzi acquedottistici, la stessa procura, le posizioni sembrano vicine, e in realtà sono spesso totalmente differenti anche rispetto al sistema inquinante che si è via via prodotto.
  Non è chiarissimo, in realtà, e in alcuni casi partono allarmi, come in quello di Acque Veronesi, che non garantisce rispetto al buon esito della depurazione. Arica o altri offrono, invece, maggiori garanzie, anche se non so fino a che punto siano davvero in grado di offrirle.
  Allo stesso modo, il tema catena corta e catena lunga vede fautori positivi e c'è chi invece dice che in ricarica di falda Miteni non può stare. Al di là del fatto che paghi i filtri, o comunque che contribuisca alla depurazione, è importante che la si smetta di realizzare lassù, in quella situazione, quel tipo di prodotto chimico.
  Quello che vorrei chiedervi è questo. Alla luce di tutto questo, come valutate – faccio una domanda aperta, ma poi ciascuno di voi potrà fare su questo delle osservazioni – l'intervento che c'è stato da parte dell'unità sanitaria locale? Come vi è parso – proficuo, tempestivo, adeguato – l'intervento di ARPA Veneto rispetto alle indicazioni della stessa regione Veneto, e quindi il sistema di applicazione dei filtri negli acquedotti?
  Credo che dobbiamo fare un approfondimento che metta in luce una serie di problemi e definisca anche se non sia indispensabile spendere quei pochi soldi pubblici che oggi ci sono a livello nazionale e regionale in modo molto più efficace e opportuno, per esempio in relazione al nuovo acquedotto o altro. In relazione a questo, ci sono novità nell'ambito del territorio in cui vivete che possano farci ritenere che vi sia un'attivazione in questo senso da parte della regione o delle istituzioni locali?

  PIERGIORGIO BOSCAGIN, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta. Per quanto riguarda le unità sanitarie locali, sinceramente ci sono subunità sanitarie locali che hanno lavorato bene, altre meno bene. Mi riferisco all'ULSS 5 di Arzignano.

Pag. 7

  PRESIDENTE. Questa ha lavorato bene o no?

  PIERGIORGIO BOSCAGIN, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta. Male, naturalmente secondo noi.
  Molto semplicemente, la regione ha diramato delle ordinanze sui pozzi privati. Anche lì ci sarebbe da dire, perché sono state emanate due ordinanze, di cui la prima diceva che i pozzi privati potevano avere valori differenti da quelli dell'acqua potabile per quanto riguarda gli acquedotti, e mi sembra una cosa abbastanza assurda. Con la seconda hanno corretto il tiro e hanno indicato i valori cui attenersi.
  Un responsabile dell'ULSS 5, in questo caso, dava indicazioni «ottimistiche» sui valori che presentavano questi pozzi, dopodiché ha dovuto cambiare idea, perché è intervenuto, credo, il direttore Mantoan. Comunque, dire alla gente di stare tranquilla per i valori, che sarebbero stati al di sotto di quelli EFSA, mentre quelli di riferimento non erano EFSA, ma dati dall'Istituto superiore di sanità e recepiti in aggiornamento, a me non sembra un buon lavoro.
  Li abbiamo incontrati e ci hanno detto che è stato un malinteso. Se un responsabile mi dice che è stato malinteso, sinceramente ho paura. Noi possiamo dire che commettiamo sbagli perché non sappiamo, ma tu che sei responsabile credo che dovresti sapere quello che stai facendo.
  L'ARPAV, da quanto sappiamo, in qualche modo si è mossa, non so in che modo, comunque i dati ci sono, e quindi possiamo anche dire che si è mossa. Il problema è che sentiamo, ad esempio, che dal tubo Arica escono 540 miliardi di nanogrammi di queste sostanze ancora oggi: sicuramente, qualcosa non funziona. Abbiamo chiesto ad ARPA chi controllasse i valori di Arica, e la risposta è stata che sono in autocontrollo, e ogni quindici giorni fanno loro un controllo a campione. Questo ci lascia un po’ perplessi, visto che l'ARPA dovrebbe vigilare su tutto.
  Inoltre, abbiamo casi in cui i sindaci addirittura tenevano per buone le valutazioni del gestore, che si scontravano con le valutazioni di ARPA. Anche qui ci sarebbe da discutere. Secondo me, si sono mossi così così, in modo non coordinato, assolutamente.

  LUIGI LAZZARO, presidente di Legambiente Veneto. Intervengo solo per rimarcare che gli atti, anche degli incontri tra regione, dipartimento sanità e ULSS, sono tutti disponibili e potete recuperarli. Credo che evidenzino in maniera particolare come la confusione che l'onorevole ha sottolineato sia palese. Alcune componenti hanno sottolineato la gravità della situazione, altre hanno smarcato completamente, tra l'altro anche agli atti, mettendo in dubbio l'esistenza di quest'inquinamento.
  Crediamo che sia stata trattata in maniera superficiale, tentando un po’ un muro di gomma. Aggiungo che questo ha portato anche a una sopravvalutazione del danno da parte dei cittadini, perché evidentemente non avendo risposte da chi è atto a governare e a rispondere ai cittadini, si è innescato anche questo processo sociale pericoloso.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Aggiungerei solo due incisi molto brevi.
  Badate bene che i censimenti delle fonti di approvvigionamento idrico non sono completi, e probabilmente offrono uno spettro non completamente esatto della dimensione del problema. Sappiamo che ci sono dei pozzi a uso privato che offrono dei valori di 1.500 nanogrammi litro, pozzi privati assolutamente sfuggiti al censimento da parte delle istituzioni e i cui proprietari si guardano bene dall'andare a disvelare per intuibili problemi legati all'economia.
  Il secondo aspetto è l'atteggiamento, che giudico scarsamente persuasivo, della giunta regionale del Veneto. Crediamo che l'assessore all'ambiente della giunta regionale del Veneto non abbia ben compreso la dimensione di questo problema ambientale. Allo stesso modo, credo che abbia scarso polso dei problemi ambientali esistenti Pag. 8 in Veneto. Mi viene in mente il problema a voi noto legato alla discarica di Pescantina, sito che avete anche visitato.
  Un sollecito al governo del Veneto ad avere un atteggiamento un po’ più attento credo sia assolutamente doveroso.

  PIERGIORGIO BOSCAGIN, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta. Relativamente all'ultima domanda della senatrice Puppato, riteniamo che le cifre di cui abbiamo sentito relative all'indagine epidemiologica e al monitoraggio siano assurde. Oltretutto, se continuiamo a dar da bere a queste persone e a dar da mangiare, come diceva Luigi, acqua e alimenti inquinati, non ha senso. Riteniamo più plausibile effettuare un'indagine che trovi, con i dati che abbiamo già, dei comuni, delle ULSS, zone che probabilmente hanno avuto un impatto sanitario derivante da queste sostanze.
  Lì servirebbe un'indagine approfondita, ma 100 milioni all'anno per dieci anni a noi sembra una cifra assurda. Cambiamo le fonti di approvvigionamento, cerchiamo fonti alternative per quanto riguarda l'agricoltura, altrimenti sarà come un cane che si morde la coda.

  ALBERTO ZOLEZZI. Avete accennato al canale LEB, che dovrebbe diluire: in ogni caso, secondo voi questa diluizione è adeguata o è comunque insufficiente?
  Secondo la percezione che potete avere come associazione territoriale, sentendo i lavoratori e i cittadini sulla gravità della situazione, come vedete la prospettiva della chiusura almeno delle attività di produzione di sostanze perfluoroalchiliche da parte della Miteni?
  Infine, avete percezione che in questo momento anche altre attività produttive stiano rilasciando le medesime sostanze o addirittura quelle a catena lunga nell'ambiente?

  LUIGI LAZZARO, presidente di Legambiente Veneto. Per quanto riguarda la diluizione o presunta tale, se crediamo che sia adeguata o sufficiente, sinceramente lo lasciamo agli organi competenti. Il dubbio che crediamo sia corretto sollevare, anche con riferimento a un incontro avuto con il consorzio LEB, riguarda questa cessione 365 giorni all'anno senza interruzione, senza variazioni, neanche in caso di non piene delle acque dei fiumi, quindi dovendo sottrarre eventualmente periodi invernali. Parliamo di 10 metri cubi al secondo che passano nel canale LEB, e significa sottrarne 6 per diluirle nel Fratta-Gorzone gli scarichi di Arica.
  Essenzialmente, la nostra domanda è: come mai non ci sono variazioni di continuità, neanche in casi di necessità per l'agricoltura, ma sono stabili? Com'è stato normato questo passaggio? Se non sbaglio, la diluizione di per sé di fatto non dovrebbe essere possibile. Questo comporta dei problemi relativamente alle concessioni che il consorzio LEB deve avere per la gestione del resto del bacino, e quindi per distribuire l'acqua per l'agricoltura nel territorio.
  In questo momento, sono anche in fase di rinegoziazione della concessione, negata in prima istanza, per cui c'è anche una difficoltà a garantire la distribuzione dell'acqua da parte del consorzio se permangono questi 6 metri cubi al secondo e senza la possibilità di gestirli, di modularli per le necessità di tutto il territorio nell'emergenza.
  Tra l'altro, il canale potrebbe essere utile, eventualmente, per la diluizione delle acque inquinate, e si potrebbe provare a risolvere un po’ la situazione, proposta che peraltro abbiamo solo sentito e letto nei giornali, ma che non viene dal consorzio LEB. Da un incontro con loro abbiamo capito che non sono stati loro a proporlo, ma l'assessore Bottacin all'ambiente della regione Veneto, senza però un riscontro concreto. Non abbiamo trovato nessun riferimento.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Sul tema della diluizione, credo che possa offrire scarsi dati o comunque non esatti. Un ufficiale di polizia giudiziaria che si era occupato di questi temi prima che l'indagine venisse affidata ai due carabinieri di cui sopra, mi diceva che i campionamenti Pag. 9 delle acque venivano fatti da un ponte, da una tratta legata alla viabilità, e questo necessariamente comportava l'interruzione del traffico, con la conseguenza che questi controlli erano telefonati.
  Il sospetto è che questa diluizione venisse aumentata in coincidenza con i campionamenti, tanto che fu suggerito in tempi non sospetti – parliamo di qualche mese fa – di fare dei campionamenti a sorpresa in ore notturne o in giornate festive. Poi l'indagine è passata ad altri e di queste situazioni non si è più saputo nulla.
  È un peccato, perché questo stesso ufficiale di polizia giudiziaria aveva svolto altre due indagini abbastanza importanti legate proprio al condotto LEB, risalenti al 2007-2008, indagini che avevano poi visto anche l'intervento di consulenti tecnici, che avevano offerto dei dati abbastanza precisi, che potrebbero tranquillamente essere recuperati e resi attuali.
  Per quanto riguarda il secondo tema posto, e cioè se vi siano ulteriori fonti di inquinamento nella zona, certo che ci sono. È il compartimento della concia. Certo, rimescolare le carte, cercando di dire che non sono solo loro ma anche degli altri, è un modo che abbiamo già visto proprio con l'azienda Miteni. Sappiamo che i problemi di contaminazione ambientale legata al compartimento della concia sono legati o erano legati al cromo 6, al cromo esavalente. Credo che l'attuale problematica sfugga a questo tipo di settore e che le responsabilità potrebbero essere compresse e canalizzate verso un'unica fonte.

  ALBERTO ZOLEZZI. C'è un discorso che ha degli aspetti anche sociali che forse voi avete affrontato.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Sugli aspetti sociali ricordo di aver fatto qualche anno fa un processo all'Eni Power a Porto Tolle. Ricordo l'atteggiamento ostico della popolazione di Porto Tolle, che tutto sommato diceva che...

  PRESIDENTE. Era ENEL.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Mi perdoni, presidente.
  Dicevo dell'atteggiamento ostico dei lavoratori. Quello era il loro lavoro, e c'erano delle ricadute tali che bucavano le carrozzerie delle autovettura. Chiudere la Miteni, se fosse accertata la responsabilità, potrebbe essere un buon inizio. Questa è una multinazionale tedesca che viene in Italia probabilmente perché i limiti posti dalla legislazione tedesca sono stringenti. Non mi pare che questo sia il Paese nel quale venire a insediare questo tipo di attività, ovviamente se venisse accertato.

  MIRIAM COMINELLI. La mia è una curiosità, più che una domanda, per l'avvocato. Le risulta la riconferma del CSM del procuratore di Vicenza in carica?
  Inoltre, colgo l'occasione per ricordare anche la richiesta di audizione del consorzio LEB, che credo sia già stata calendarizzata.

  LUCA TIRAPELLE, presidente del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto. Relativamente alla notizia sul futuro del dottor Cappelleri, non ne sappiamo nulla. Sappiamo che ha affidato l'indagine a un magistrato, la dottoressa De Munari, con cui dovremo confrontarci. Pare, infatti, che tutte le indagini che sono state aperte da quattro procure della Repubblica – parliamo di Padova, Verona, Vicenza e Rovigo – siano destinate a confluire all'autorità giudiziaria vicentina.
  Quella del dottor Cappelleri non è una figura che, naturalmente, ci deve preoccupare. È un magistrato che fa il suo lavoro. Chiaramente, occorre che venga dato un segnale da parte dell'autorità giudiziaria.
  Quanto alla seconda questione, credo che meriti il coinvolgimento anche Acque Veronesi, che si sta muovendo in modo assolutamente...

  PRESIDENTE. Lo abbiamo già fatto. Noi lavoriamo non solo per audizioni, ma acquisiamo anche documentazione, altrimenti a volte non ne veniamo a capo. Pag. 10
  Non ho domande specifiche da formulare, perché credo ci abbiate fornito degli elementi che in Ufficio di Presidenza vedremo di approfondire, soprattutto alcune indicazioni. Vi faremo sapere.
  Vi ringraziamo per le informazioni che ci avete fornito. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 9.20, è ripresa alle 14.10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

Audizione di Davide Bubbico, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Davide Bubbico, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno, che ringrazio per la presenza.
  Ricordo che la Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Cedo dunque la parola al dottor Bubbico per lo svolgimento di una relazione introduttiva del suo libro «L'economia del petrolio e il lavoro» afferente alla situazione della regione Basilicata, con particolare riferimento alle attività di prospezione, estrazione e trasporto di idrocarburi, al termine della quale ci saranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari. Ringrazio nuovamente il dottor Bubbico e gli cedo la parola.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Ringrazio per l'invito. Concentrerò il mio intervento, poi sulla base anche delle vostre indicazioni e delle vostre domande cercherò di rispondere per la mia competenza sugli aspetti strettamente occupazionali relativamente alla presenza dell'ENI in Basilicata e del suo indotto.
  Faccio una piccola premessa relativamente alla fonte di questi dati. Sono fonti diverse, ma principalmente la fonte è relativa a un'attività d'indagine che il sottoscritto ha realizzato in vari periodi dal 2008 in poi, ma soprattutto in un primo momento, perché vi era un'assenza di dati a questo proposito. Gli unici dati ufficiali resi disponibili dall'ENI risalgono soltanto al 2012.
  Io ho realizzato una serie di indagini in collaborazione con alcune categorie della CGIL sulla consistenza dell'indotto occupazionale in Val D'Agri, anche per una problematica specificatamente sindacale relativa all'introduzione di una clausola sociale nei cambi d'appalto, considerato che nella filiera petrolifera molte delle attività affidate alle aziende dell'indotto avvengono attraverso quelle che sono tecnicamente delle convenzioni, ma che è come se fossero dei bandi.
  Il problema era che nei cambi d'appalto le aziende, quando assumevano i lavoratori precedentemente impegnati in quelle stesse attività in nuove aziende, li assumevano con inquadramenti contrattuali differenti, senza riconoscere l'anzianità, sostanzialmente con un guadagno economico relativo, proprio perché le gare erano fatte in modo da incidere sul costo del lavoro. Il problema, come dicevo, era però relativo al fatto che mancavano dati, che abbiamo cercato di capire come recuperare.
  Siccome le stime sull'indotto petrolifero erano già all'epoca molto ampie, abbiamo fatto in collaborazione con i delegati sindacali dell'area un'attività d'indagine che ci ha consentito di fornire alcune prime Pag. 11stime. Mi riferisco a queste, che vi riporto molto sinteticamente di seguito: nella prima indagine relativa al gennaio 2009, abbiamo stimato complessivamente tra diretti ENI e indotto un'occupazione di 600 addetti. Questa stessa stima è salita a 900 nell'aprile 2012, e nel febbraio 2015 è salita a circa a 1.500 addetti. Perché cresce questo numero?
  Cresce sia perché è complessivamente cresciuto il numero di addetti ENI, da 180 a 380 impiegati a Viggiano, e sia perché è cresciuta l'attività dell'indotto, che naturalmente cresce perché sono aumentati i pozzi, le attività del Centro Oli in quanto tale sono aumentate, e quindi la necessità di servizi aggiuntivi o ausiliari è cresciuta. Se ci sarà il tempo, dirò qualcosa nel merito di questi dati.
  Perché vi era l'interesse a cercare un dato più realistico? In realtà, l'ultimo dato disponibile di ENI, riferito a un local report del 2015 che fa riferimento al 2014, parla in Basilicata di 3.121 addetti. Ora, qui è nata una questione non interpretativa, ma di corretta interpretazione del dato. Come tutti voi sapete, quello petrolifero è un indotto diverso da quello di qualsiasi altra attività industriale. Alcune sono attività programmate, e quindi si può conoscere il fabbisogno annuale di mano d'opera per un anno intero. Altre attività sono di carattere straordinario, occasionali.
  Nel caso del 2014, va specificato che erano in corso diverse attività di natura straordinaria, tra cui soprattutto la costruzione della famosa quinta linea gas, che ha richiesto un fabbisogno di manodopera significativamente elevato, di cui tra l'altro una parte rilevante proveniente da fuori regione.
  Le mie stime, e anche quelle riportate nel volume di cui siete a conoscenza, hanno sempre dato un'indicazione diversa rispetto a quei 3.121 addetti dell'indotto. La mia stima realistica è all'incirca di mille addetti effettivi. Che cosa significa questo? Se facciamo un ragionamento rispetto al fabbisogno ordinario al netto della costruzione di nuovi impianti e delle altre attività di natura straordinaria, l'impatto occupazionale dell'indotto è più prossimo a mille dipendenti che ai 3.000. Questo non significa che 3.121 unità non siano transitate nel 2014 in Val D'Agri. Sicuramente sono transitate, ma è molto probabile che queste unità abbiamo lavorato in Val D'Agri solo alcuni mesi, se non per alcune settimane.
  Se, infatti, prendiamo in considerazione anche solo semplicemente i dati dell'ENI relativamente al numero di ore complessivamente lavorate tra diretti ENI e indotto ENI e dividiamo questo monte orario per un orario annuale di lavoro, nel settore industriale di circa 1.700-1.800 ore, anziché avere 3.500 dipendenti nel 2014 tra ENI e indotto, abbiamo 2.000 addetti. Va tenuto conto anche di quello che ho detto, cioè che nel 2014 era in corso quelle attività.
  La mia risposta a quale sia stato l'impatto occupazionale in termini di unità impiegate costantemente, tutti i giorni dell'anno, in unità di lavoro equivalente, direi che questo dato è di 2.000 dipendenti nel 2014, in virtù però, tra l'altro, dei lavori di natura straordinaria che sono stati elencati.
  Naturalmente, quello dell’oil&gas, delle attività estrattive, non è un settore che produce tradizionalmente un grande numero di occupati, perché l'intensità di capitale e la natura tecnologica degli impianti richiede un numero di manodopera significativamente inferiore rispetto a quanto ci si potrebbe immaginare per altri versi. Non si può, quindi, fare nessun confronto con l'altro grande investimento, quello della FIAT a Melfi, rispetto a quello che è avvenuto in Val D'Agri.
  Ci sono poi altri dati, ma adesso non voglio tediarvi su questo, che in qualche modo ridimensionano quest'impatto occupazionale e che sono relativi ai dati che provengono dall'applicazione di un accordo sindacale del 6 agosto 2014. Che cosa accade?
  Il sindacato riesce a istituire una contrattazione di secondo livello, e quindi il riconoscimento di un premio di risultato anche per i lavoratori dell'indotto; si stabilisce come criterio che hanno la possibilità di usufruire di questo premio perlomeno quei lavoratori che abbiano lavorato Pag. 12almeno per quindici giorni nel cantiere ENI Val D'Agri di Viggiano. Le aziende che finora hanno complessivamente risposto per questo tipo di accordo sono 32, i lavoratori che hanno complessivamente beneficiato, molti anche con pochi ratei di lavoro, quindi anche con poca attività nel corso dell'anno, sono proprio mille, un numero che tende enormemente a tornare.
  Sapete del dibattito su cosa abbia creato il petrolio o meno, e la mia tesi è che c'è lavoro, c'è nuova occupazione, ma non c'è la nuova occupazione dichiarata dall'ENI, io dico in forma pubblicitaria, nei suoi open report, perché questo può aiutare la compagnia petrolifera di Stato a giustificare la sua presenza in Basilicata. Se ho tempo, aggiungo due cose.
  Poi c'è un altro aspetto, anzi a dire la verità ce ne sono tanti, ma relativamente alla questione dell'occupazione vorrei evidenziare in questa sede la qualità di questo dato. Questi sono dati quantitativi, dati numerici, ma se andiamo a vedere che cosa c'è dietro, scopriamo alcuni aspetti che credo significativi anche per capire l'impatto effettivo di quest'attività sul territorio della Val D'Agri.
  Riguardano il fatto che la metà soltanto in media dei dipendenti occupati nell'indotto, ma anche nella stessa ENI, è personale residente in Basilicata, quindi in qualche modo ascrivibile al mercato del lavoro locale. Tra l'altro, anche su questo criterio della residenzialità bisognerebbe discutere, perché un lavoratore di Milano se lavora in Val D'Agri può nel corso del tempo prendere la residenza a Viggiano. In ogni caso, l'ENI utilizza questo dato della residenza.
  Questo è un dato molto significativo, che quindi in qualche modo contribuisce a ridimensionare anche l'impatto occupazionale effettivo sulla popolazione locale. Come vi ho detto in precedenza, peraltro, soprattutto nell'indotto molte di queste attività sono di natura temporanea, quindi si tratta di lavoratori che sono presenti sul territorio alcuni mesi dell'anno o alcune settimane a seconda dei lavori che devono svolgere.
  Un altro dato interessante riguarda, invece, la composizione della forza lavoro, e quindi dei diretti ENI, ma anche dell'indotto, per professionalità. Quello che si nota, anche leggendo i local report dell'ENI, è che sostanzialmente le professionalità tecniche a più elevato valore aggiunto ancora oggi, a distanza di vent'anni ormai, continuano a provenire da fuori regione. Questo significa che per un laureato lucano è forse più semplice lavorare a San Donato Milanese che in Val D'Agri per le ragioni che ho appena detto.
  La stessa ENI, relativamente al suo organico di 409 dipendenti, dipendenti del distretto meridionale, dichiarava al 2014 soltanto 76 unità in possesso di laurea, di cui solo 24 residenti in Basilicata. Questo è un dato che vorrei portare all'attenzione relativamente al tema di come questo dato vada letto dal punto di vista anche strettamente qualitativo. Naturalmente, tra la manodopera locale dell'indotto è maggiore l'incidenza del personale con contratto a tempo determinato rispetto a coloro che, pur provenendo da fuori, sono impiegati con la stessa tipologia contrattuale.
  Ho enunciato questo molto sommariamente per descrivere alla Commissione quello che i dati fino a oggi disponibili dicono a proposito della situazione che rappresenta in qualche modo fino alla fine di marzo, cioè fino alla pre-chiusura impianto.
  Come sapete, con la chiusura delle attività estrattive, con il blocco impianto, a partire dal mese di aprile, le attività si sono fermate. Questo ha determinato per le imprese dell'indotto, ma anche per l'ENI, in una prima fase la necessità o l'opportunità di ricorrere alla cassa integrazione ordinaria.
  Anche in questo caso ho dovuto ricostruire i dati proprio in questi ultimi giorni, e non sono sistematici, anche se so che l'Assoil School ha prodotto una propria mappatura, che credo abbia già fornito alla Commissione. Al netto di questo dato, posso affermare, sulla base anche di altri contatti che ho avuto nel frattempo con personale che lavora in Val D'Agri, quanto segue.
  In realtà, nel primo mese di blocco delle attività produttive, quindi nel mese di Pag. 13aprile, sia i diretti ENI, la maggior parte di questi, sia i lavoratori dell'indotto, sono stati di fatto impegnati nella messa in sicurezza degli impianti. L'attività produttiva si è fermata, ma questo non significa che si sia fermata anche l'attività lavorativa. Nel di aprile è avvenuto per l'appunto proprio questo.
  Nel mese di maggio, invece, è stata eseguita una serie di attività di manutenzione, proprio per il fatto che l'attività è stata ferma. Come sapete, nel frattempo l'ENI ha iniziato a ragionare sulle prescrizioni di natura tecnica per l'adeguamento degli impianti. Questo significa, in altri termini, che è vero che alcune aziende, non tutte, hanno fatto richiesta della cassa integrazione ordinaria. Vi fornisco un dato che riguarda soltanto sei aziende metalmeccaniche (RAM, D'Andrea, Nolitalia, Elettra e Sudelettra), che hanno presentato richiesta di cassa integrazione. Si tratta, nel complesso, di 333 addetti. Hanno presentato richiesta di cassa integrazione per 229 addetti, ovvero per il 70 per cento. Queste sono tra le principali aziende metalmeccaniche che insistono nell'indotto ENI.
  Parlando, però, con responsabili sindacali dell'area, loro mi dicono che della cassa integrazione le ore autorizzate sono state impiegate soltanto per il 30 per cento, per cui le aziende, dopo esame congiunto con le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria, hanno aperto la cassa integrazione, ma poi non hanno usufruito o non hanno utilizzato tutte le ore a loro disposizione, proprio anche per le ragioni che vi ho detto in precedenza: l'attività produttiva si è fermata, ma le attività di messa in sicurezza, di manutenzione, sono comunque continuate, e quindi questo ha significato che la cassa integrazione ha riguardato poche unità, e molto spesso a rotazione. Sostanzialmente, potremmo dire che c'è stata una continuità sul piano lavorativo, non sto dicendo produttivo.
  Quello che, piuttosto, è avvenuto è che i contratti di lavoro che erano in scadenza per il personale a tempo determinato non sono stati in molti casi, dove erano presenti, rinnovati. Anche qui, però, ho notizia che alcune imprese che non avevano rinnovato più i contratti di lavoro a tempo determinato in questo periodo, stanno richiamando il personale che avevano precedentemente in carico, proprio perché le attività di ripristino dell'attività produttiva da parte dell'ENI stanno riprendendo.
  In altri casi sono stati fatti accordi per usufruire delle ferie non godute e quindi si sono trovati degli strumenti diversi dalla cassa integrazione, per mantenere ancora i dipendenti in organico, o comunque in attività lavorativa. Resta fermo che alcune imprese hanno anche altre attività lavorative fuori dall'area della Val D'Agri, e quindi avevano parte dei propri dipendenti impiegati altrove. Mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Vorrei chiedere anche delle considerazioni sulle royalty e sull'utilizzo...

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. C'è un problema di carattere più generale. Noi sappiamo quali sono le royalty riconosciute. Ci sono i dati pubblicati sul sito della pagina dell'ufficio minerario del Ministero dello sviluppo economico, per cui sappiamo annualmente quali sono gli importi riconosciuti dalle compagnie petrolifere allo Stato, alle regioni e ai comuni. È più difficile, però, poi capire l'utilizzo da parte dei comuni e delle regioni, in questo caso specificamente della regione Basilicata, delle royalty riconosciute dalle compagnie petrolifere.
  Il dato mi sembra paradossale, quindi voglio portarlo all'attenzione della Commissione. Abbiamo dovuto aspettare un'indagine della Corte dei conti del 2014 per sapere come fossero state distribuite le royalty in termini d'impegni di spesa da parte della regione Basilicata, all'incirca dal 2001 al 2012. Abbiamo, però, qui soltanto un dato contabile, nel senso che la Corte dei conti ha chiesto conto alla regione dell'impiego. All'epoca si è trattato di una somma complessivamente, se non sbaglio, di 765.000 milioni di euro. Ha chiesto semplicemente dove li avessero indirizzati. In questo rapporto compare una serie di tabelle che ricostruiscono il caso. Pag. 14
  Voglio dire che oggi non esiste nessun documento che ci dia la possibilità di capire, nell'ambito della spesa regionale, come siano stati utilizzati questi fondi, se non facendo riferimento a questo rapporto della Corte dei conti.
  Nel caso delle royalty – è uno strumento che sicuramente la Commissione conoscerà – l'accordo del 1998 prevedeva che una parte di questi fondi sarebbe stata destinata al finanziamento del programma operativo Val D'Agri, destinandovi qualcosa come 350 milioni di euro. L'ultimo rapporto disponibile sul sito del programma operativo Val D'Agri è riferito al 2012. Non ci sono altri rapporti. Io sono riuscito a ottenere il rapporto del 2013, ma per interposta persona, facendo una richiesta a un gruppo consiliare, ma non c'è un dato da questo punto di vista aggiornato su quest'aspetto.
  Giustamente, l'interesse della Commissione sarà quello di comprendere se il programma operativo Val D'Agri abbia contribuito a invertire o migliorare le dinamiche economiche del territorio. I rapporti finora pubblicati dal COVA da questo punto di vista dicono poco sull'impatto occupazionale. Quando lo fanno, nel 2012 ad esempio, parlano complessivamente per le misure finanziate di un aumento dell'occupazione di 500 unità, ma si aggiunge subito dopo che sono servite a compensare nel frattempo l'occupazione persa per effetto della crisi economica. Sostanzialmente, si tratterebbe di un saldo zero.
  Anche la natura di questi rapporti ci dice poco sull'attività effettiva in termini di incrementi occupazionali, perché sono di fatto monitoraggi di natura contabile, cioè non ritornano nuovamente sulle imprese con un'indagine specifica ad hoc per indagare sul risultato sul piano occupazionale.
  Questo è uno dei problemi di questo programma, che tra l'altro non è neanche semplice esaminare, perché contiene diversi bandi, quindi diverse linee di finanziamento, è estremamente polverizzato. Si va dal sostegno alla piccola impresa alle delocalizzazioni, a tante altre misure, per cui non è semplice trovate la quadra.

  PAOLA NUGNES. Questo bando del 1998 era su un quinquennio, su un...

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. No, quello del 1998 è un accordo istituzionale: ENI, Governo e regione Basilicata.
  L'accordo del 1998 ha previsto, tra i vari punti, che una parte delle royalty che sarebbero state riconosciute dall'ENI e dalla Shell alla regione Basilicata sarebbero state impegnate per un programma migliorativo della qualità ambientale, dello sviluppo economico, dell'insediamento, relativamente all'area della Val D'Agri. Era posto, quindi, in quell'accordo del 1998 questo programma che in realtà ha iniziato a operare soltanto dal 2002-2003, per cui non è stato immediatamente operativo.
  Peraltro, le prime royalty, quelle più consistenti, sono arrivate proprio all'inizio degli anni Duemila. Quello del 1998, quindi, era un po’ un accordo quadro. L'accordo del 1998 è lo stesso, per intenderci, che ha previsto l'istituzione dell'Osservatorio ambientale in Val D'Agri, che come sapete è stato inaugurato soltanto nel 2011, per entrare poi in funzione in parte nel 2012. Si parte dall'accordo del 1998 per capire un po’ le dinamiche.
  Voglio soltanto dire, a proposito delle royalty, che c'è un altro problema nel capire come sono utilizzate da parte della regione Basilicata. Spesso si è detto che le royalty servono per finanziare la sanità, le politiche sociali e tutto il resto. Questo dato viene utilizzato da più parti, io credo, in maniera strumentale. Fatto sta che non c'è un documento contabile che ci dica esattamente che cosa è avvenuto.
  Nuovamente, l'unico dato a disposizione, che ho riportato nel testo, è un dato che è stato chiesto anche questo dalla Corte dei conti alla regioni Basilicata, all'ufficio di presidenza, ma è relativo soltanto agli anni 2010-2012. La Corte dei conti chiedeva, quindi, alla regione Basilicata di avere una ripartizione delle royalty relativamente a spese correnti e spese in conto capitale, per capire anche su quali voci andava effettivamente a incidere. Non vado Pag. 15nel dettaglio, è tutto disponibile nel testo, dove ho riportato questo dato.
  Tra l'altro, voglio far notare che ho chiesto tramite un gruppo consiliare presente in regione di avere questo stesso dato per un periodo più ampio: come potete immaginare, quando l'ufficio di presidenza del consiglio ha risposto al consigliere regionale in questione, non ha fatto nient'altro che girargli i dati che aveva già girato alla Corte dei conti, e naturalmente solo per quelle tre annualità.
  Comunque, soltanto per queste tre annualità, per intenderci, ad esempio in termini di incidenza sulla spesa corrente, le royalty sono passate dallo 0,1 per cento del 2010 al 4,8 per cento del 2012, e le spese in conto capitale sono passate dall'8,6 per cento al 20 per cento. In questi tre anni si legge un incremento, ma, mancando i dati del 2013, del 2014 e del 2015, è difficile interpretare questo dato.
  Un dato che c'è, perché per fortuna i bilanci devono essere resi pubblici, e che voglio qui portare all'attenzione della Commissione, è relativo a quanto effettivamente incidono le royalty in termini di entrate accertate rispetto alle entrate complessive dalla regione Basilicata.
  Devo dire che c'è una serie storica un po’ più lunga e si osserva un incremento abbastanza significativo, nel senso che si passa – sto parlando di entrate accertate, quindi quanto pesano effettivamente o quanto hanno pesato – dal 3,1 per cento del 2010 al 9 per cento del 2014.
  Se poi andiamo a prendere...

  ALBERTO ZOLEZZI. Scusi, dal 3,1 del 2010 al...?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Al 9 per cento del 2014.

  ALBERTO ZOLEZZI. Di tutte le entrate della regione?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Sì.

  ALBERTO ZOLEZZI. Quindi, in valore assoluto?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. In valore assoluto, le entrate accertate con le royalty erano circa 54 milioni nel 2010, 102 milioni nel 2011, 140 nel 2012, 168 nel 2013, 158 nel 2014. Non ho fatto nient'altro che pesare queste entrate accertate, quindi so che effettivamente quei soldi sono stati messi a bilancio, perché sono stati riscossi sul totale delle entrate accertate, cioè di tributi diretti e indiretti. Ho calcolato semplicemente un'incidenza percentuale di questa somma.
  Mancano altri dati, perché non sono ancora disponibili i dati del bilancio 2015, ma ho preso i dati di previsione del bilancio per gli anni 2016, 2017 e 2018, che sono stati pubblicati a febbraio di quest'anno, che significa che sono stati pubblicati prima del blocco dell'attività estrattiva: per quanto riguarda le previsioni di entrate legate alle royalty calcolate sul totale dei tributi diretti e indiretti, questa percentuale tendenzialmente, secondo le previsioni fatte a febbraio di quest'anno, andavano dal 9,9 per cento del 2016 e, sempre in termini previsionali, al 12,1 del 2017, al 13,5 del 2018.
  Naturalmente sono previsioni e c'è un aspetto da considerare, come saprete: le royalty sono legate alla quotazione del prezzo del barile. Questa è una somma, quindi, estremamente variabile, ma questa è la previsione iscritta in bilancio così come pubblicato sulla sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata del 9 febbraio 2016, tra l'altro prima del blocco delle attività produttive ed estrattive in Val D'Agri.

  MIRIAM COMINELLI. Non c'è, quindi, una destinazione chiara e precisa delle royalty verso impieghi per scopi ambientali.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Dobbiamo distinguere. L'accordo del 1998 conteneva Pag. 16altri 11 punti finanziati dall'ENI indipendentemente dalle royalty. Del totale di questi punti potete trovare riscontro anche nel local report dell'ENI, pubblicato nel 2015 con riferimento al 2014, tra cui il finanziamento all'osservatorio ambientale e altre misure.
  Complessivamente, come vi dicevo, sono allocati altri 170 milioni, che credo in parte siano distinti dalle royalty. Mi riferisco sempre all'accordo del 1998. L'osservatore ambientale nasce perché sostanzialmente finanziato nell'ambito dell'accordo con l'ENI.
  Se poi mi chiede se queste attività sono servite anche a finanziare attività di monitoraggio, le devo dire che in realtà sarebbero dovuti servire solo per finanziare l'attività dell'osservatorio in quanto tale, ma le dico che l'osservatorio è stato previsto dall'accordo del 1998 ed è stato inaugurato soltanto nel 2011, quindi a distanza di tredici anni. Questo pone già qualche problema rispetto al dato che sembrava rilevare.
  Tra l'altro, è un osservatorio che in parte riceve dati elaborati dal sistema di monitoraggio che l'ENI ha costruito. Da questo punto di vista, quindi, se mi posso permettere, è una situazione abbastanza paradossale, in cui il soggetto che doveva essere controllato ha fornito il sistema di monitoraggio al soggetto che avrebbe dovuto costruire questo sistema.
  L'ENI parla di un trasferimento di questo sistema di monitoraggio alla regione Basilicata, ma qui c'è il problema poi dell'assenza di un'indagine, cosiddetto punto zero, mai realizzata in Val D'Agri, per cui anche l'analisi dei dati a oggi, a distanza di vent'anni dell'attività estrattiva, come sapete può presentare qualche problema di natura interpretativa. Potremmo dire che l'impatto sul territorio oramai si è già determinato, quindi misurare che cosa non è chiaro.

  PAOLA NUGNES. In pratica, in nessun accordo ci sono destinazioni obbligate. In nessun accordo è stabilito che una quota parte venga destinata a un'azione specifica. Non si tratta semplicemente del fatto che questa cosa non è stata realizzata o messa all'evidenza. Non esiste un documento che renda obbligatoria la spesa.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Queste entrate, di cui ho detto, nel bilancio della regione sono praticamente svincolate, cioè non hanno una destinazione specifica. L'unica cosa è che l'accordo del 1998 ha previsto che una quota delle royalty avrebbe dovuto finanziare, per un importo di circa 350 milioni, in realtà 333, il programma operativo Val D'Agri.
  Lì abbiamo una serie di misure che sono state già previste dal programma operativo Val D'Agri, e quindi le somme che vanno a finire in questa voce sono in qualche modo vincolate, anche se nel corso degli anni probabilmente sono cambiate all'interno rispetto alle destinazioni. Sostanzialmente, tutto il resto delle entrate è servito in questi anni in parte per contribuire al disavanzo sanitario, in parte per contribuire alle borse di studio, in parte per supportare il settore dell'agro-forestale, quindi ad esempio con un progetto di sostegno al reddito dei lavoratori nel settore forestale. Da questo punto di vista, non c'è una destinazione vincolata rispetto alle entrate.

  PRESIDENTE. Faccio io una considerazione. Per quanto riguarda le royalty, in generale secondo lei qual è il grado di trasparenza del loro utilizzo, visto che ha visto i dati e fatto uno studio?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Potrei dire che fino al 2012 c'è la trasparenza, perché c'è un rapporto di monitoraggio, quindi posso vedere sulla singola voce, sul singolo bando quali sono state le risorse impegnate, o meglio le risorse destinate, quelle impegnate e quelle effettivamente spese. Posso dire, quindi, che c'è una trasparenza. Il problema è che questo dato pubblicamente si ferma al 2012, mancano tutti i dati successivi.
  Dico che c'è in generale un problema di accesso ai dati e all'informazione, dopodiché Pag. 17 rispetto al tema della trasparenza, alla chiarezza di questi dati, l'unica denuncia che potrei fare da questo punto di vista è che mancano indagini specifiche realizzate dalla struttura regionale per capire esattamente, a fronte della spesa che è stata impegnata, quali sono stati i risultati in termini di nuove imprese o di nuova occupazione. Manca da parte della struttura di supporto al programma un documento, qualcosa che non sia il rapporto Val D'Agri, che è un rapporto come dicevo contabile, cioè ci dice come sono distribuite le somme, ma ci dice poco sul piano qualitativo.
  Fornisco un'altra indicazione, che non so se possa essere utile alla Commissione. Naturalmente, in questi contesti è difficile valutare l'impatto sull'economia di un territorio o sul mercato. Come sapete, l'unico dato che ci può dire qualcosa è il censimento, che però ha un intervallo decennale, per cui dovremmo aspettare quello del 2021 per avere qualche dato più significativo; in questo caso, mancano indagini specifiche sull'area.
  Quello che sicuramente posso affermare è che c'è però un dato in qualche modo interessante, che non è un dato del mercato del lavoro, ma un dato demografico. Se volete, però, ci consente di leggere anche le dinamiche del mercato del lavoro. Questo dato, relativo alla struttura della popolazione in quell'area, ci dice nel confronto che ho fatto tra 2002 e 2014 che anche nei comuni che hanno usufruito delle royalty abbiamo continuato ad assistere in questi anni a una riduzione della popolazione.
  Principalmente, il saldo naturale diventa sempre più negativo, quindi si fanno meno figli; c'è l'elemento dell'emigrazione. Anche questi comuni che avrebbero potuto e hanno in parte beneficiato di una quota aggiuntiva proveniente dalle royalty registro sul piano demografico una perdita netta di popolazione. Questo significa che qualcosa nel mercato del lavoro non funziona.
  Se prendiamo, però, esclusivamente – dico l'ultima cosa e mi fermo – i comuni di Viggiano e di Marsicovetere, una grande frazione sul fondovalle che avrete visto, lì la popolazione non si riduce, anzi a Villa d'Agri è aumentata di circa mille unità. Questo significa che probabilmente la maggiore concentrazione di risorse provenienti dalle royalty, non queste ma altre, riconosciute dall'ENI direttamente ai comuni, Marsicovetere e Viggiano, la presenza del polo e delle attività estrattive lì vicino hanno sicuramente determinato maggiori benefìci per la popolazione presente a Marsicovetere, più prossima all'attività estrattiva. Lì si può dire che l'occupazione è cresciuta.
  La mia non è una provocazione, ma in questi contesti, come in tanti contesti del Mezzogiorno, può accadere paradossalmente che cresca l'occupazione e cresca la disoccupazione. Non è un dato paradossale. I tassi di attività della popolazione possono essere molto bassi, perché per assenza di lavoro le persone che si presentano sul mercato del lavoro sono numericamente inferiori perché pensano di non incontrare lavoro; laddove, invece, ci sono opportunità occupazionali o si intravedono, ritornano sul mercato del lavoro cercando lavoro anche persone che non l'avrebbero cercato in altri periodi.
  Questo significa che per questi due comuni nello specifico noi osserviamo dei tassi di attività e di occupazione maggiori rispetto agli altri comuni, ma anche dei tassi di disoccupazione che rimangono comunque elevati. Ci sono maggiori opportunità occupazionali, anche se molto limitate, con tutte le caratteristiche che ho detto, ma contemporaneamente, essendo aree che non avevano grandi tassi di attività, cioè un'elevata partecipazione al mercato del lavoro, la quota di persone che comunque cerca lavoro è sempre costante e tende a rimpiazzare quelli che trovano un'occupazione.
  C'è un ultimo dato, da questo punto di vista, a cui si può fare riferimento, per quanto anche questo sia un dato particolare, ossia quello degli iscritti al centro per l'impiego. Come sapete, al centro per l'impiego ci si può iscrivere per mille motivi, anche se non si è alla ricerca di lavoro, ma semplicemente perché bisogna fare la domanda per avere una casa da parte del Pag. 18comune, e quindi bisogna dimostrare lo stato di disoccupazione. I motivi possono essere diversi.
  È un dato amministrativo, ma per il centro per l'impiego di Villa d'Agri, che riguarda i comuni di Marsicovetere, di Viggiano e la maggior parte dei comuni dell'area, le persone iscritte nel 2008 erano 6.306. Nel 2015 – credo questo dato sia di febbraio – gli iscritti erano 6.142, per cui sono addirittura anche cresciuti di un poco. Questo non contraddice quello che ho detto rispetto al fatto che è cresciuta l'occupazione nell'area, ma semplicemente il fatto di avere tassi di attività molto bassi, perché naturalmente l'ENI non può rispondere a tutto il fabbisogno occupazionale presente nell'area, determina il fatto che comunque la popolazione che si trova in una situazione di ricerca di lavoro rimane elevata.

  PRESIDENTE. Per dovere di cronaca, la Commissione ha chiesto dei dati per quanto riguarda appunto la destinazione delle royalty alla regione Basilicata, che ancora non ha risposta. Adesso procederemo per ottenere una risposta dovuta.

  MIRIAM COMINELLI. Forse la domanda è molto generale, ma vorrei capire come funziona il sistema delle royalty nel nostro Paese rispetto al tipo di guadagno, come si collega all'attività estrattiva, alla quantità di estrazione, e come si rapporta il nostro sistema con quelli di altri Paesi europei. Molte volte il dibattito riguarda anche il fatto che in Italia ha un certo peso, all'estero un altro. Vorrei capire un po’.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Sulla seconda parte non so risponderle con esattezza, anche se può trovare qualche richiamo nel testo.
  Noi abbiamo una percentuale pari al 7 per cento del prezzo del barile – questo è il dato – più il 3 per cento, che è stato aggiunto di recente. Complessivamente, quindi – parliamo solo dell'olio, non del gas – la percentuale è del 10 per cento sulla quotazione del barile. Le compagnie riconoscono queste royalty l'anno successivo: con riferimento alle produzioni dell'anno 2014, nel 2015 le royalty sono distribuite tra Stato, regione e comuni. Lo Stato, nel caso specifico, ha rinunciato, quindi ha devoluto interamente la parte alla regione, sempre in virtù dell'accordo del 1998, poi vi è una quota destinato ai singoli comuni, che quindi hanno proprie royalty.
  Nel caso specifico, l'80 per cento delle royalty era, quando l'attività estrattiva era abbastanza elevata, circa 18 milioni di euro, destinati al solo comune di Viggiano, che come sapete è un comune piccolissimo, di meno di 3.000 abitanti. È fissato questo livello percentuale sulla quotazione del barile. Questo è il dato, e naturalmente risente delle variazioni.
  Quello che le posso dire è che in alcuni casi, non ricordo se in quello della Norvegia o di un altro Paese europeo – l'attività estrattiva di olio e gas in Europa riguarda principalmente i Paesi scandinavi, la Norvegia principalmente, in parte l'Inghilterra, in parte la Danimarca, poi sostanzialmente non c'è molto – si è scelto di rinunciare alle royalty, ma di aumentare l'imposta sui bilanci di impresa direttamente.
  Uno studio norvegese dice che i risultati sono stati da questo punto di vista preferibili, ma questa è una valutazione su cui al momento non potrei aggiungere altro. I casi, perlomeno in Europa, sono da questo punto di vista pochi, riguardano pochi Paesi, essendo l'attività estrattiva limitata principalmente al nord Europa e, nel caso specifico, all'Italia.

  PRESIDENTE. Anche un responsabile ENI mi disse che avrebbero preferito più la tassazione che le royalty.

  ALBERTO ZOLEZZI. A quanto ammonta pressappoco il fatturato di queste attività? Vorrei capire meglio se le royalty riguardano il valore dell'olio estratto o su che cosa si calcolano con precisione.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche Pag. 19 dell'Università di Salerno. Non lo so. Credo si tratti di un dato che conosce solo ENI, che non compare nei suoi bilanci. È un dato che non è in mio possesso.
  Credo che la quotazione sia riferita alla vendita più che all'estrazione, quando la quota di barile, cioè di olio estratto, è venduto.

  ALBERTO ZOLEZZI. Può essere, quindi, che ENI o chi per lei possa avere un fatturato, un valore aggiunto che va oltre il prodotto grezzo estratto. È questo che mi chiedevo.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Sì. D'altra parte, l'ENI si occupa di fare la raffinazione di questo prodotto a Taranto, e quindi è nel momento in cui viene commercializzata quella quota che si realizza il valore effettivo, a quella data sul mercato internazionale...

  ALBERTO ZOLEZZI. Sollecito il presidente, cercheremo questi dati di fatturazione per renderci anche dell'impatto occupazionale, dell'indice occupazionale, correlato in effetti a un prodotto produttivo in termini economici, per capire meglio anche tutta questa polemica sul rischio di perdita.
  Abbiamo analizzato il caso dalla Iplom in Liguria, dove i fatturati erano elevatissimi, con una ricaduta occupazionale, che si rischia di perdere, che è minima in confronto ai valori enormi.

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. Posso aggiungere soltanto che, ufficiosamente, qualcuno dichiara che, anche se il prezzo del barile scendesse a 20 dollari, l'ENI avrebbe comunque convenienza a estrarre petrolio dalla Basilicata. Interpreto questo come un fatto che c'è un'elevata redditività su questo tipo di investimento. Se addirittura il prezzo scende a 20 dollari e la compagnia dice che si può continuare a estrarre, significa che una convenienza c'è.
  Naturalmente, 20 dollari non possono durare dieci anni, ma si può continuare a estrarre nell'intervallo di tempo in cui la quotazione rimane bassa. Del resto, continuava a estrarre petrolio anche quando il barile era sui 35 dollari.

  PAOLA NUGNES. Non sono sicura di aver compreso bene. Con l'80 per cento delle royalty che vanno al comune di Viggiano ci riferiamo al totale?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. No, parliamo solo delle royalty riconosciute ai comuni. Ci sono delle royalty che non sono riconosciute alla regione, ma vanno direttamente in capo...

  PAOLA NUGNES. Al comune di Viggiano non è stata fatta nessuna richiesta sul tipo di utilizzo di queste entrate?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. A dir la verità, ho cercato di fare un'altra cosa. Era un po’ complicato riscostruire il bilancio, perché bisogna avere l'accesso a questi dati prima di poterli elaborare, ma posso segnalare che forse sarebbe interessante per la Commissione ascoltare eventualmente il responsabile di uno sportello unico per l'impresa, che si occupa sostanzialmente della gestione di tutti i bandi del comune di Viggiano. Faccio anche riferimento all'attività di quest'ufficio, su cui c'è un paragrafo specifico, che può secondo me rendicontare sull'attività svolta fino a oggi. Prevalentemente, ci sono bandi per l'occupazione, bandi a sostegno delle attività economiche e bandi di altra natura.
  Quello che posso dire è che il responsabile nell'agosto scorso mi faceva osservare che incentivare un'attività produttiva piccola in un piccolo comune di 3.000 abitanti è cosa diversa dall'incentivare un'attività in un comune anche di 15.000 o 30.000 abitanti. Si può incentivarla, ma se il bacino potenziale di quell'attività economica, Pag. 20 che può essere una sartoria, un artigiano, un metalmeccanico...

  PAOLA NUGNES. Investimenti in ambito ambientale potevano anche essere valutati come congrui alla situazione: piantumazione di nuove specie vegetali per contrastare l'impatto odorifero o altro. Non le risulta?

  DAVIDE BUBBICO, ricercatore presso il dipartimento di scienze economiche e statistiche dell'Università di Salerno. No, mi risulta che ci siano piani di sostenibilità da parte di ENI, di cui si trova riscontro anche nel local report.
  Se, però, posso rispondere con una mia opinione più personale, in realtà nel programma operativo Val d'Agri ad esempio, ma in genere anche nelle altre misure che sono state adottate dalla regione Basilicata, non si è pensato di destinare specificatamente delle risorse alla creazione di imprese nell'ambito delle attività di monitoraggio e di controllo ambientale, né si è pensato con un opportuno protocollo con ENI di affidare ad esempio all'università degli studi della Basilicata delle attività specifiche su questo fronte.
  Che cosa è accaduto? ENI ha costruito il sistema di monitoraggio, lo ha controllato, in parte lo controlla ancora oggi, e l'ha poi trasferito alla regione Basilicata, ma conoscerete anche le vicende dell'ARPA Basilicata, non tra le migliori. C'è un vuoto dal punto di vista dell'iniziativa, di quella che poteva essere anche un'iniziativa privata con degli impatti occupazionali per una componente più qualificata dell'offerta di lavoro. Questo, però, attiene alla programmazione regionale, che evidentemente non ha valutato l'opportunità di un investimento di questo tipo.
  Aggiungo a questo che da anni si parla, o meglio si parlava più in passato, dell'idea di realizzare un distretto energetico regionale – forse sarebbe anche su questo interessante sentire la regione – in Val D'Agri, soprattutto per sviluppare e sostenere le attività legate alle FER, alle fonti energetiche rinnovabili. Si pensava anche alla produzione di natura industriale di componenti per l'industria delle FER, quindi per l'eolico o per il fotovoltaico, anche per intervenire in prospettiva rispetto alla riduzione delle attività petrolifere.
  Di tutto questo, però, non vi è traccia. Vi è solo un incubatore d'impresa, di pochissime, due o tre imprese – trovate riscontro anche di questo nel testo – presente nella zona industriale della Val D'Agri. Ho, però, l'impressione che sia la classica iniziativa messa lì probabilmente anche con l'auspicio di chi effettivamente ci ha creduto, ma che sia lasciata lì semplicemente per dire che si stanno impegnando anche su quel fronte, senza però che nulla vada in una direzione più concreta.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, ringrazio il professor Bubbico e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.