XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 75 di Mercoledì 4 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato sui trasferimenti finanziari a Regioni ed enti locali (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 3 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 ,
Zanoni Magda Angela  ... 14 ,
Collina Stefano  ... 14 ,
Guerra Maria Cecilia  ... 15 ,
Dirindin Nerina  ... 16 ,
Rubinato Simonetta (PD)  ... 17 ,
Marantelli Daniele (PD)  ... 19 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 19 ,
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 20 ,
Mangogna Stefano , Dirigente dell'Ispettorato generale rapporti finanziari con l'Unione Europea della Ragioneria Generale dello Stato ... 21 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato: Il quadro dei trasferimenti finanziari in favore degli enti territoriali alla luce dell'articolo 119 della Costituzione ... 23 

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE . Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato sui trasferimenti finanziari a Regioni ed enti locali.

  PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato sui trasferimenti finanziari a regioni ed enti locali.
  Sono presenti il dottor Bilardo, il dottor D'Ascenzo, il dottor Valducci e il dottor Mangogna.
  Nel ringraziarlo per la consueta collaborazione che assicura alla Commissione, do la parola al dottor Bilardo per lo svolgimento della relazione.

  SALVATORE BILARDO , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. Buongiorno. Vi ringrazio, anche perché per noi le audizioni sono sempre occasione per fare il punto sia teorico sia applicativo dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali.
  Il tema dell'audizione è risultato estremamente complesso, riguardando differenti livelli di governo e variegate modalità di finanziamento, in presenza di un quadro ben definito a livello di principi costituzionali, ma incerto nella sua concreta applicazione legislativa e amministrativa.
  Spaziando su molteplici temi e materie, i contenuti della presente audizione sono da considerare come semplici spunti per ulteriori approfondimenti che coinvolgano le varie Amministrazioni dello Stato, titolari della competenza nell'erogazione delle varie risorse finanziarie.
  Nella descrizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e ciascun livello di governo (regioni a statuto ordinario, autonomie speciali, comuni, province e città metropolitane) si è cercato di delineare il quadro costituzionale e legislativo vigente, la concreta attuazione dello stesso e le prospettive future di riforma.
  Il riferimento costituzionale fondamentale per la regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli altri enti territoriali è rappresentato dall'articolo 119 della Costituzione, che ha operato una chiara scelta in direzione di un sistema di «finanza originaria», con l'abbandono del sistema di «finanza derivata».
  L'articolo 119 della Costituzione, come modificato dalle leggi costituzionali n. 3 del 2001 e n. 1 del 2012, attribuisce agli enti territoriali autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci e dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.
  Viene sancito il venir meno della cosiddetta «finanza derivata», costituita da trasferimenti statali, in favore di fonti di entrata derivanti da tributi propri e compartecipazioni al gettito di tributi erariali, che devono consentire agli enti territoriali di Pag. 4 finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
  In proposito, la Corte Costituzionale si è espressa con una consolidata giurisprudenza (da ultimo con sentenza n. 273 del 2013), asserendo che il legislatore statale non può porsi in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale – delineato dal nuovo articolo 119 della Costituzione – criteri che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale. Tuttavia, nella perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, l'intervento dello Stato è ammissibile nei casi in cui risponda all'esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti tutelati dalla Costituzione stessa.
  Le uniche forme, per così dire, di «finanza derivata» sono riconducibili agli interventi speciali e ai fondi perequativi.
  L'articolo 119 della Costituzione, al quinto comma, prevede che lo Stato – al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni – possa destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni.
  L'intero sistema di norme costituzionali (dagli articoli 3 e 5, agli articoli 116, 117, 118 e 119, agli articoli 81 e 97 della Costituzione) e legislative (dalla legge n. 42/2009, sul federalismo fiscale, alla legge n. 243/2014, sul pareggio di bilancio) trova fondamento nei livelli essenziali delle prestazioni e nelle funzioni fondamentali.
  La disposizione di cui alla lettera m) del comma secondo dell'articolo 117 della Costituzione assegna, come è noto, alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il principio enunciato dal legislatore costituzionale, basato su valori irrinunciabili, non ha avuto attuazione se non in materia di sanità, con il decreto legislativo n. 68 del 2011.
  La citata norma costituzionale è volta a dare attuazione ai principi di cui agli articoli 3 e 5 della Costituzione, equilibrando la differenziazione oggettiva tra gli enti territoriali con l'imprescindibile principio costituzionale di eguaglianza.
  La legge n. 42 del 2009, nel definire i principi di finanziamento delle autonomie territoriali, distingue tra le spese per le funzioni connesse ai livelli essenziali delle prestazioni (articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione) e quelle relative alle funzioni fondamentali degli enti locali (articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione).
  La finalità compiutamente enunciata nell'articolo 1 della predetta legge consiste nel superare per tutti i livelli di governo il criterio della spesa storica, attraverso la quantificazione dei fabbisogni standard e dei costi standard. Il decreto legislativo n. 216/2010 indica gli elementi da utilizzare per giungere ad una metodologia estimativa della quantità e della qualità della spesa pubblica degli enti locali, limitatamente alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni.
  Si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 65 del 2016, ha posto l'attenzione sull’«utilità della determinazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (in tal senso, era già intervenuta la sentenza n. 273 del 2013). Un tale intervento, che deve svolgersi “attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e regione” (sentenza n. 297 del 2012), offrirebbe, infatti, alle regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del quale la spesa – sempreché resa efficiente – non sarebbe ulteriormente comprimibile». Pag. 5 
  Peraltro, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni consente di valutare adeguatamente le risorse a disposizione di ciascun ente territoriale.
  Nella seduta del 12 aprile 2016 la Camera dei deputati ha approvato definitivamente il testo di legge costituzionale recante, tra l'altro, la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
  Per gli aspetti di particolare interesse della Ragioneria generale dello Stato, la riforma costituzionale ha finalmente inserito il coordinamento della finanza pubblica tra le materie di competenza esclusiva dello Stato e ha previsto una modifica dell'articolo 116 della Costituzione, che disciplina il cosiddetto «regionalismo differenziato», prevedendo una nuova condizione per l'attribuzione di particolari forme di autonomia, essendo necessario che la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.
  Inoltre, prevede che le relative modifiche costituzionali non si applicano alle regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi Statuti, sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome.
  Si auspica che ciò possa consentire anche nei territori delle autonomie speciali il coordinamento finanziario dello Stato e il percorso di riforma che sta interessando la finanza degli enti territoriali, con specifico riferimento alla perequazione e alla solidarietà (livelli essenziali delle prestazioni, capacità fiscali e fabbisogni standard).
  Con riferimento agli enti locali, il processo delineato dalla legge n. 42 del 2009 prevede il passaggio, anche se in forma graduale, dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello di attribuzione di risorse incentrato sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle funzioni fondamentali degli enti locali.
  A tal fine, la stessa legge n. 42 del 2009 classifica le spese degli enti locali in spese riconducibili a funzioni fondamentali che, in ogni caso, devono essere assicurate su tutto il territorio nazionale in misura determinata dalla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni; spese relative ad altre funzioni, che non necessariamente devono essere assicurate su tutto il territorio nazionale o la cui misura minimale non è definita a priori; spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali.
  La legge n. 42 del 2009 introduce un doppio canale perequativo che, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, prevede la perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali, mentre per le altre funzioni il modello di perequazione opera per un tendenziale livellamento delle differenti capacità fiscali.
  In attuazione dei principi recati dalla legge n. 42 del 2009, con particolare riferimento al sistema di finanziamento degli enti locali, sono stati adottati il decreto legislativo n. 216 del 2010 e il decreto legislativo n. 23 del 2011.
  Il decreto legislativo n. 216 del 2010 ha dato attuazione all'articolo 2, comma 2, lettera f), della legge n. 42 del 2009, prevedendo la disciplina di determinazione dei fabbisogni standard per comuni e province, con l'obiettivo di assicurare il graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento delle funzioni degli enti locali, nonché l'individuazione delle funzioni fondamentali di comuni e province.
  La determinazione della metodologia da utilizzare per la definizione dei fabbisogni standard è attribuita alla Società per gli studi di settore (SOSE), con la collaborazione scientifica dell'Istituto per la Finanza e l'Economia Locale (IFEL).
  Il comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010, introdotto dal comma 7-bis dell'articolo 3 del decreto legge n. 174 del 2012, ha di fatto previsto che i lavori relativi alla determinazione dei costi e fabbisogni standard possono proseguire sulla base dell'impostazione dettata Pag. 6 dal decreto legislativo n. 216 del 2010, fino a quando i dati contabili che rappresentano la base per la determinazione dei costi e fabbisogni standard, vale a dire i dati dei certificati di conto consuntivo, saranno adeguati alla nuova classificazione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
  Al riguardo, si segnala che il Ministero dell'interno ha allineato le rilevazioni dei certificati di conto consuntivo alla classificazione per missioni e programmi di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011, per cui i primi dati utili coerenti con tale nuova classificazione saranno quelli del consuntivo 2015.
  Diversi sono i DPCM che hanno approvato le note metodologiche e i fabbisogni standard dei comuni e delle province e che trovate elencati nella versione integrale del presente intervento.
  Da ultimo, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, istituita ai sensi dell'articolo 1, commi 29 e successivi della legge n. 208 del 2015, rispettivamente nelle sedute del 15 marzo e del 3 maggio 2016, ha approvato i coefficienti di riparto dei fabbisogni standard, rispettivamente per comuni e province, per l'anno 2016 presentati dalla società Soluzioni per il sistema economico, SOSE SpA.
  Occorre, infine, segnalare che le predette note metodologiche e i fabbisogni standard, in conformità con quanto previsto dalla legge delega, fanno riferimento esclusivamente alle province, alle città metropolitane e ai comuni rientranti nelle regioni a statuto ordinario.
  L'articolo 31 del decreto legislativo n. 68 del 2011 prevede che sia estesa, sulla base della procedura prevista dall'articolo 27, comma 2, della citata legge n. 42 del 2009, anche agli enti locali appartenenti ai territori delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano l'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati, inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative ai sensi degli articoli 4 e 5 del citato decreto legislativo n. 216 del 2010.
  Sarebbe, quindi, opportuno che venisse dato seguito alle indicazioni legislative sopra riportate.
  Il decreto legislativo n. 23 del 2011 rappresenta il punto di partenza del complesso percorso di federalismo municipale, attualmente ancora in corso, finalizzato, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e della relativa legge n. 42 del 2009, a sostituire i trasferimenti statali con carattere di continuità e generalità, eccezion fatta per i contributi speciali ed i contributi in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti per investimento, con tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e gettito (o quote di gettito) di tributi erariali, addizionali a tali tributi. Esso è finalizzato, inoltre, a definire un nuovo assetto redistributivo non più basato sulla spesa storica, ma in grado di tenere conto dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali dei singoli comuni.
  Il regime finanziario dei comuni, come è noto, a partire dall'anno 2011, è stato modificato ogni anno, a seguito delle diverse variazioni che hanno interessato l'imposizione immobiliare e che trovate dettagliate nella versione integrale della presente audizione.
  Nonostante un quadro legislativo estremamente mutevole, è bene sottolineare che le risorse a disposizione di ciascun comune sono sostanzialmente variate, almeno fino all'anno 2014, solo per effetto dei tagli connessi alla revisione della spesa o al concorso alla finanza pubblica.
  In materia, si ritiene, quindi, che ancora non sia stata data risposta alla domanda fondamentale, ovvero individuare le giuste risorse per ciascun comune, chiaramente nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; risposta che presuppone la corretta applicazione dei principi contenuti nella legge n. 42 del 2009 (individuazione dei livelli essenziali di prestazione, fabbisogni standard, entrate standard e fondo perequativo).
  Conseguentemente, la conclusione del processo di revisione del sistema di finanziamento degli enti locali – che, come evidenziato in precedenza, ha nella gradualità una peculiarità riconosciuta dallo stesso Pag. 7 legislatore – richiede obbligatoriamente la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che, unitamente ai fabbisogni standard e alle capacità fiscali, rappresentano un elemento imprescindibile per la presenza dei due fondi perequativi allo stato ancora non istituiti.
  In altri termini, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni non consente, allo stato, di disciplinare i fondi perequativi nei termini indicati dalla citata legge n. 42 del 2009 e, quindi, risulta sostanzialmente improprio individuare nel fondo di solidarietà comunale il fondo perequativo per le funzioni fondamentali previsto dalla legge n. 42 del 2009.
  È, peraltro, da evidenziare che la legge n. 42 del 2009, se da un lato stabilisce che il fondo perequativo per le funzioni fondamentali deve essere alimentato dalla fiscalità generale (articolo 13), dall'altro prevede espressamente (articolo 28) che l'attuazione della stessa legge n. 42 del 2009 deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita a livello europeo e non deve determinare, anche in relazione ai conseguenti decreti legislativi, nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  Inoltre, occorre chiarire che la critica da più parti mossa al fondo di solidarietà comunale di essere alimentato esclusivamente dai comuni attraverso il gettito dell'imposta municipale propria, e non anche dalla fiscalità generale, come previsto dalla legge n. 42 del 2009 in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali, non prende in considerazione quanto connesso all'attuazione delle diverse disposizioni in materia di revisione della spesa introdotte dal legislatore a partire dall'anno 2010 a oggi.
  Ciò premesso, con riferimento alle prospettive future del fondo di solidarietà comunale, si evidenzia che la quota del fondo stesso da distribuire sulla base della differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale per abitante è destinata ad incrementarsi, passando al 40 per cento per l'anno 2017 e al 55 per cento per l'anno 2018, dopo essere stata del 20 per cento per l'anno 2015 e del 30 per cento per l'anno 2016.
  Inoltre, giova evidenziare che, nel corso dei recenti incontri in sede di Commissione tecnica per i fabbisogni standard e del tavolo tecnico Governo-ANCI per la definizione e il riparto del fondo di solidarietà comunale, sta emergendo la necessità di addivenire a un aggiornamento della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard stessi, anche al fine di una loro maggiore rappresentatività dei costi standard connessi alle funzioni fondamentali.
  Tale percorso, come già emerso nei primi incontri della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, dovrà necessariamente essere affiancato da un processo volto alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, con l'ottica generale di ricondurre il processo nel suo complesso nel binario dell'attuazione dei principi alla base della legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo municipale.
  Riguardo a province e città metropolitane, il decreto legislativo n. 68 del 2011 disciplina, in attuazione della legge n. 42 del 2009, l'autonomia di entrata delle province ubicate nelle regioni a statuto ordinario e la conseguente soppressione di trasferimenti statali e regionali, in attesa della loro razionalizzazione. Viene, quindi, operata una revisione del quadro normativo esistente in materia di tributi delle province correggendo alcune improprie stratificazioni.
  Allo stato attuale, il Fondo sperimentale di riequilibrio delle province continua a permanere, ma, in considerazione delle misure di revisione della spesa intervenute nel corso degli anni, le province non ricevono risorse da tale Fondo, in quanto, di fatto, risultano sempre debitrici nei confronti dell'erario e, pertanto, versano al bilancio statale le somme dovute a titolo di concorso alla finanza pubblica.
  In realtà, il quadro legislativo di riferimento per i rapporti finanziari con le province e le città metropolitane va integralmente ridefinito, in quanto non più attuale alla luce della riforma contenuta nella legge n. 56 del 2014 e delle riduzioni di risorse conseguenti. Pag. 8 
  Peraltro, occorrerebbe avere chiarezza sulla portata del nuovo articolo 114 della Costituzione.
  In merito ai trasferimenti in favore delle regioni, la legge n. 42 del 2009 ha definito un quadro piuttosto preciso in materia di autonomia impositiva delle regioni individuando principi e criteri direttivi volti sostanzialmente a correggere i difetti strutturali di un sistema di finanziamento, che si configura come un modello di «finanza derivata» privo di adeguati criteri di responsabilizzazione finanziaria.
  Si è stabilito, pertanto, che le regioni dispongano di entrate proprie (tributi e compartecipazioni al gettito di tributi erariali) in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle proprie funzioni.
  Un'importante novità introdotta dalla legge n. 42 del 2009 è il principio di territorialità che dovrà regolare le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge statale e delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali. In particolare, si dovrà tener conto del luogo di consumo (per i tributi aventi quale presupposto i consumi), della localizzazione dei cespiti (per i tributi basati sul patrimonio), del luogo di prestazione del lavoro (per i tributi basati sulla produzione), della residenza del percettore (per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche).
  Tali tributi dovranno, inoltre, garantire la copertura integrale della spesa valutata sulla base di costi e fabbisogni standard per le sole funzioni connesse ai livelli essenziali delle prestazioni, mentre per le altre funzioni anche in questo caso il criterio di riferimento è costituito dalla perequazione delle capacità fiscali. Ciò, al fine di assicurare il graduale superamento del finanziamento delle funzioni in base al criterio della spesa storica.
  Il successivo decreto legislativo n. 68 del 2011 ha disciplinato nello specifico i principi e i criteri direttivi della legge n. 42 del 2009.
  Si evidenzia, a tal proposito, che il decreto-legge n. 78 del 2015 (articolo 9, comma 1) ha rinviato all'anno 2017 l'entrata in vigore dei meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali come disciplinati dal decreto legislativo n. 68 del 2011, confermando per gli anni dal 2013 al 2016 i criteri di determinazione dell'aliquota di compartecipazione all'IVA di cui al decreto legislativo n. 56 del 2000.
  Circa l'attuazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 68 del 2011, occorre precisare quanto segue.
  L'articolo 4 prevede che dall'anno 2017 il gettito derivante dall'aliquota di compartecipazione IVA – determinata con le modalità previste dal successivo articolo 15 (vale a dire al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione) – sia attribuito alle regioni a statuto ordinario in conformità con il principio di territorialità, tenendo conto del luogo di consumo, identificato come il luogo in cui avviene la cessione di beni.
  L'applicazione di tale principio deve avvenire secondo criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
  L'articolo 7 ha previsto che, a decorrere dall'anno 2017, siano soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali.
  Tali trasferimenti devono essere individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri entro il 31 luglio 2016, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze. In conseguenza della soppressione di tali trasferimenti, l'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche deve essere rideterminata in modo tale da garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi.
  L'articolo 13 ha previsto che la legge statale stabilisca le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio Pag. 9 nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nelle materie diverse dalla sanità.
  Conseguentemente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, è effettuata la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale, nonché la ricognizione dei livelli adeguati del servizio di trasporto pubblico locale.
  Si è previsto, quindi, che, per tali finalità, la SOSE, in collaborazione con l'ISTAT e il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO), debba effettuare una ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, da trasmettere al Ministro dell'economia e delle finanze per la successiva comunicazione alle Camere.
  Tuttavia, tale ricognizione non risulta effettuata, per cui non sono ancora stati definiti i livelli essenziali delle prestazioni nelle materie diverse dalla sanità.
  L'articolo 15, infine, ha stabilito, con decorrenza dall'anno 2017, le modalità di finanziamento delle spese regionali, con distinzione tra spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e altre spese e con l'istituzione di appositi fondi perequativi.
  Tale disposizione ha stabilito i seguenti adempimenti.
  In primo luogo, abbiamo la valutazione del gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF (per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni) su base imponibile uniforme, con le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
  In secondo luogo, vi è la determinazione della percentuale di compartecipazione all'IVA al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
  In terzo luogo, l'istituzione di un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni. Tali spese devono essere computate inizialmente in base ai valori della spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti, per convergere gradualmente, nei successivi quattro anni verso i costi standard. Le modalità della convergenza sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale.
  Infine, si è stabilita l'assegnazione di quote di fondo perequativo per il finanziamento delle altre spese per cui le regioni con maggiore capacità fiscale (gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF superiore al gettito medio nazionale per abitante) alimentano il fondo perequativo, mentre le altre con minore capacità fiscale partecipano alla ripartizione del medesimo fondo, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale per abitante.
  Le modalità di convergenza della perequazione verso le capacità fiscali e di funzionamento del fondo perequativo sono stabilite con decreto di natura regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
  I provvedimenti di cui ai punti sopra evidenziati, concernenti sostanzialmente la definizione della perequazione regionale, potranno essere definiti soltanto dopo aver individuato i livelli essenziali delle prestazioni e i correlati costi standard nelle materie diverse dalla sanità, nonché dopo aver dato attuazione ai citati articoli 4 e 7 del decreto legislativo n. 68 del 2011.
  Quindi, per le regioni, dovendo partire tutto nel 2017, siamo estremamente lontani dall'attuazione.
  I trasferimenti finanziari più significativi, a legislazione vigente, in favore delle Pag. 10 regioni riguardano il settore sanitario, il fondo sviluppo e coesione, il trasporto pubblico locale e altre tipologie, che vanno, tra l'altro, dal diritto allo studio, al fondo per le politiche sociali, dal fondo per le non autosufficienze, all'edilizia scolastica.
  Passo ora al finanziamento del settore sanitario. Il Servizio sanitario nazionale è finanziato, sulla base della normativa attualmente vigente, secondo i criteri stabiliti dal decreto legislativo n. 56 del 2000.
  Conseguentemente, lo Stato, nell'individuare il fabbisogno sanitario ritenuto congruo per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza, garantisce alle regioni a statuto ordinario l'integrale finanziamento dello stesso, mediante le entrate proprie (ticket), i gettiti derivanti dall'IRAP e dall'addizionale regionale all'IRPEF valutate ad aliquota base e, fino a concorrenza del fabbisogno medesimo, mediante l'attribuzione alle regioni di risorse a titolo di compartecipazione all'IVA.
  Le componenti del finanziamento del Servizio sanitario nazionale vincolate per legge ad obiettivi specifici sono finanziate a valere sul capitolo del bilancio statale denominato fondo sanitario nazionale.
  In considerazione del fatto che i valori di gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF considerati per l'anno di riferimento costituiscono valori stimati, qualora i gettiti effettivi risultino inferiori ai gettiti stimati, il differenziale è assicurato dal fondo di garanzia di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 56 del 2000, istituito proprio al fine di compensare le regioni a statuto ordinario delle eventuali minori entrate dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF (corrispondentemente l'eventuale maggiore gettito fiscale effettivo rispetto al gettito stimato è recuperato dallo Stato).
  Nella tabella che trovate nel testo consegnato sono indicati gli importi del fondo sanitario nazionale dal 2002 al 2015 e le relative delibere CIPE di riparto.
  Vediamo, ora, il finanziamento del trasporto pubblico locale. Il trasporto pubblico locale è finanziato mediante un fondo alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise su benzina e gasolio, ai sensi dell'articolo 16-bis del decreto legge n. 95 del 2012.
  La dotazione di tale fondo è determinata annualmente applicando le aliquote stabilite dall'apposito DPCM 26 luglio 2013 alle previsioni annuali di gettito delle accise su benzina e gasolio.
  Alle regioni a statuto ordinario viene erogata un'anticipazione pari al 60 per cento della dotazione del fondo entro il mese di agosto. Le rimanenti spettanze sono erogate nei mesi successivi.
  Allo scopo di incentivare le regioni a riprogrammare i servizi secondo criteri oggettivi di efficientamento e razionalizzazione, il citato articolo 16-bis ha previsto che una quota pari al 10 per cento del Fondo complessivo (l'importo complessivo si aggira intorno ai 5 miliardi), da incrementarsi nel tempo, è attribuito alle regioni che abbiano conseguito gli obiettivi di efficientamento di cui al DPCM 11 marzo 2013, sulla base dei dati trasmessi all'Osservatorio del trasporto pubblico locale.
  Per le regioni che non abbiano conseguito tali obiettivi, le decurtazioni previste sono applicate a valere sull'anticipazione del 60 per cento del Fondo erogata l'anno successivo a quello di rilevazione del conseguimento degli obiettivi di efficientamento.
  In sede di attuazione della delega di cui agli articoli 16 e 19 della legge n. 124 del 2015, sono state introdotte modifiche a tale disciplina, individuando altri criteri di ripartizione del Fondo nazionale del trasporto pubblico locale.
  In particolare, lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 20 gennaio 2016 e attualmente all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, prevede che una quota pari complessivamente al 20 per cento – quota che dovrà progressivamente aumentare nel tempo – venga attribuita sulla base dei proventi complessivi da traffico e dei costi standard.
  Al fine, poi, di incentivare l'affidamento dei servizi con gara, il citato provvedimento prevede la riduzione delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni, qualora i Pag. 11 servizi di trasporto pubblico locale non siano affidati con procedure ad evidenza pubblica.
  Le regioni dovranno, poi, provvedere alla determinazione di adeguati livelli di servizio, per cui, in caso di inadempienza, è previsto l'intervento dello Stato, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 131 del 2003.
  Nella tabella che trovate nel testo integrale consegnato sono indicati gli stanziamenti e le erogazioni del Fondo del trasporto pubblico locale per gli anni 2013-2015.
  In merito al Fondo per lo sviluppo e la coesione, il decreto attuativo della legge n. 42 del 2009 per la parte relativa agli interventi speciali (decreto legislativo n. 88 del 2011) ha previsto che il Fondo per le aree sottoutilizzate assuma la denominazione di «Fondo per lo sviluppo e la coesione» e sia finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi al finanziamento nazionale, contribuendo, in conformità al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, al conseguimento delle seguenti finalità: promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale; rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese; favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona.
  Il Fondo ha carattere pluriennale in coerenza con l'articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, garantendo l'unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i Fondi strutturali dell'Unione europea.
  Per il periodo di programmazione 2014-2020, in attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione e in coerenza con il decreto legislativo n. 88 del 2011, la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per l'anno 2014) ha determinato la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione in 54.810 milioni di euro, destinati a interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del centro-nord. Con la medesima disposizione è stata disposta l'iscrizione in bilancio dell'80 per cento di tale ammontare.
  Nel corso del 2015 è stato dato avvio alla modalità prevista dal citato comma 703 per l'utilizzo delle risorse del Fondo di solidarietà comunale iscritte sul bilancio dello Stato attraverso il trasferimento in apposita contabilità del Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sulla base dei fabbisogni finanziari in relazione alle esigenze di spesa.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze assegna le risorse trasferite alla suddetta contabilità in favore delle amministrazioni responsabili dell'attuazione dei Piani approvati dal CIPE e provvede a effettuare i pagamenti secondo le procedure stabilite dalla citata legge n. 183 del 1987 e dal regolamento.
  In particolare, a valere sugli stanziamenti afferenti alla programmazione 2014-2020, nel corso del 2015 sono stati disposti trasferimenti per un importo complessivo di 100 milioni di euro, di cui 51 milioni in conto competenza 2015 e 49 milioni in conto residui.
  Per le ulteriori tipologie di finanziamento, si rinvia al testo consegnato.
  Tra i trasferimenti indicati sono da considerarsi a regime e, quindi, eventualmente fiscalizzabili senza problemi di copertura i seguenti: diritto allo studio, libri di testo, fondo inquilini morosi incolpevoli, politiche sociali, non autosufficienze, diritto al lavoro dei disabili e piccoli interventi per l'agricoltura.
  Ai fini della compiuta attuazione del federalismo regionale, si auspica l'avvio di tavoli di confronto con le Amministrazioni statali e regionali interessate, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di dare attuazione alle citate disposizioni di cui al decreto legislativo n. 68 del 2011 ed eventualmente verificare la necessità di introdurre correttivi per adeguare tale normativa alle mutate esigenze di finanza pubblica.
  Presupposto necessario è ancora una volta la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei correlati costi standard nei settori diversi da quello sanitario, con l'obiettivo di calcolare in maniera equa Pag. 12 l'entità delle risorse di riferimento per ciascun ente per il finanziamento delle funzioni attribuite.
  Con gli statuti di autonomia si sono conferite alle regioni a statuto speciale potestà legislative e funzioni amministrative, ma anche e soprattutto le risorse per il finanziamento delle spese derivanti dalle funzioni trasferite o delegate.
  Le fonti di finanziamento sono costituite principalmente dalla quasi totalità del gettito fiscale prodotto nell'ambito territoriale di ciascuna regione e sono garantite da norme costituzionali (gli statuti) o di rango costituzionale (le norme di attuazione).
  Le quote di compartecipazione ai tributi erariali sono determinate in base al gettito riscosso o versato nell'ambito del territorio regionale o provinciale, al gettito maturato e al gettito immesso in consumo che tiene conto del prodotto.
  Gli ordinamenti finanziari delle varie autonomie speciali non sono armonizzati. Un'analisi che faccia riferimento solo ai decimi di compartecipazione, prescindendo dai criteri di determinazione del gettito, è parziale e fuorviante. A titolo esemplificativo si segnala che i 10/10 dell'IRPEF spettanti alla regione siciliana in base al criterio del gettito riscosso nell'ambito del suo territorio corrispondono a circa 5,3/10 del gettito IRPEF maturato nel medesimo territorio.
  Nelle tabelle riportate nel testo consegnato, per ciascuna autonomia speciale, sono indicati i decimi di compartecipazione delle entrate tributarie erariali spettanti, nonché i relativi criteri di determinazione del gettito. Spostando lo sguardo sugli effetti che si sono prodotti, trascorsi circa 70 anni dalla nascita delle autonomie speciali, non può non rilevarsi come qualche indubbia situazione di criticità si sia evidenziata. Basti pensare, ad esempio, ai differenti livelli dei servizi erogati ai residenti; alla sostanziale difficoltà di far concorrere le autonomie speciali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base ai rispettivi ordinamenti finanziari, e agli elementi di concorrenza fiscale di cui sono dotate le autonomie speciali.
  Per quanto riguarda il primo punto, la spesa pubblica consolidata pro capite nelle autonomie speciali del nord fra il 2011 e il 2013 risulta sensibilmente superiore alla media nazionale, mentre è ridotta rispetto a tale media in Sicilia e Sardegna. Il differenziale rispetto alla media nazionale, seppure non restituisce valori in merito all'efficienza e all'efficacia della spesa, va, comunque, analizzato anche alla luce del residuo fiscale (entrate pro capite meno spesa pro capite) che è negativo, per l'appunto, in Sicilia e Sardegna.
  In merito al secondo punto, ovvero la difficoltà di far concorrere le autonomie speciali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, va evidenziato come i rimedi giurisdizionali siano stati attivati dalle autonomie speciali anche nei casi in cui la gravissima crisi finanziaria internazionale ha portato il Paese in una situazione di disequilibrio dei conti pubblici, a cui si poteva porre rimedio solo mediante manovre finanziare di grande impatto che coinvolgessero tutti i livelli di governo.
  Con riferimento al terzo punto, peculiari potestà in materia tributaria consentono alle autonomie di attrarre sul proprio territorio nuovi contribuenti attraverso incentivi fiscali ed aliquote agevolate (cosiddetto dumping fiscale).
  La legge delega 5 maggio 2009, n. 42, nel dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione, cerca di coniugare autonomia tributaria e solidarietà, ponendo attenzione all'esigenza di una gestione efficiente delle risorse da parte di tutti i livelli di governo.
  I principi del federalismo fiscale per le autonomie speciali, come si evince dalla sentenza n. 201 del 2010 della Corte costituzionale, non sono direttamente desumibili dagli articoli cui devono riferirsi i decreti legislativi delegati per l'attuazione del federalismo, ma devono essere definiti nell'ambito più corretto della normativa di attuazione statutaria.
  In questo contesto si collocano gli accordi, che trovate riportati nel testo consegnato, siglati tra le autonomie speciali e lo Stato tra il 2009 e il 2010 e nel 2014, che hanno avviato il percorso di adeguamento ai principi ispiratori della legge n. 42 del Pag. 13 2009, ovvero agli obiettivi di perequazione nell'ottica del coordinamento della finanza.
  Anche per le autonomie speciali, la questione è quella di definire quale è il giusto livello di risorse per un dato insieme di funzioni, verificando se nella distribuzione dei fondi tra i diversi enti territoriali si sia operata una corretta allocazione e se le manovre hanno corretto o correggono in modo soddisfacente le situazioni di disequilibrio.
  Per la verifica di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte, è ineludibile il passaggio alla misurazione comparata dei costi e fabbisogni standard per le regioni a Statuto speciale.
  L'esigenza di procedere a una revisione sistematica degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria necessaria per dare certezza ai rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali è correlata anche all'esigenza di individuare criteri di determinazione del gettito da attribuire alle singole autonomie speciali tali da non comportare duplicazioni di oneri per il bilancio dello Stato, come avviene attualmente in alcuni casi.
  I trasferimenti delle risorse agli enti territoriali, relativamente al settore degli interventi cofinanziati dall'Unione europea, riguardano, nel periodo 2010-2015, prevalentemente i fondi strutturali, inerenti la programmazione 2007-2013 e quella 2014-2020.
  Le risorse in questione sono allocate nell'ambito di specifici programmi operativi, a titolarità delle amministrazioni centrali (PON) e regionali (POR) e concorrono a realizzare gli obiettivi prioritari definiti dalla normativa comunitaria. Tali risorse riguardano la quota contributiva a carico del bilancio UE e quella riguardante il corrispondente cofinanziamento nazionale.
  Dal punto di vista delle procedure finanziarie, al trasferimento delle risorse provvede il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie istituito presso il Ministero dell'Economia e delle finanze.
  Il predetto Fondo di rotazione svolge le seguenti principali funzioni: acquisire dall'UE le risorse comunitarie destinate all'Italia e provvedere al loro trasferimento in favore delle amministrazioni centrali e regionali titolari dei programmi; assegnare il corrispondente cofinanziamento statale dei programmi UE e provvedere al relativo trasferimento in favore delle amministrazioni titolari dei programmi.
  Nella tabella che trovate nel testo integrale consegnato sono riportati i dati relativi ai trasferimenti disposti dal citato Fondo di rotazione in favore di regioni, province, città metropolitane e comuni per quanto riguarda il cofinanziamento statale e le risorse comunitarie per gli anni dal 2010 al 2015.
  In aggiunta alle predette risorse, il Fondo di rotazione ha in gestione anche le risorse del cosiddetto «Piano azione coesione», attivato ai sensi dell'art. 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale dei programmi UE e destinate a realizzare gli interventi di sviluppo socioeconomico a titolarità di amministrazioni centrali e regionali, per un ammontare complessivo di circa 8,1 miliardi di euro.
  Nella tabella che trovate nel testo integrale consegnato sono esposti i dati dei trasferimenti in favore di regioni, province, città metropolitane e comuni, effettuati a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie.
  Infine, il citato Fondo di rotazione gestisce, a decorrere dal 1 gennaio 2015, anche le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione ai sensi dell'art. 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
  Nel prospetto che trovate nel testo integrale consegnato sono riportati i trasferimenti disposti dal Fondo di rotazione ai sensi della predetta norma.
  Nel testo integrale trovate anche i dati dei consuntivi del bilancio dello Stato e del preconsuntivo 2015 del bilancio dello Stato e quelli rilevati nei rapporti finanziari tra i vari livelli di governo dal Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici (SIOPE). Tuttavia, in alcuni casi i due dati non si parlano perché quelli SIOPE sono Pag. 14 alimentati dagli enti territoriali con modalità di classificazione a oggi leggermente diverse.
  Con la riforma della contabilità gli enti territoriali e con il Piano dei conti integrato, che è unico, cioè da applicare a tutte le amministrazioni pubbliche, la nostra aspettativa è che vi sia sempre più coerenza tra i dati di bilancio e quelli dei bilanci regionali e degli enti locali.
  Comunque, sono giustificate anche le eventuali discrasie tra le diverse fonti dei dati rappresentati.

  PRESIDENTE . La ringrazio della relazione. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI . Chiedo scusa ma alle 9 è convocata la Commissione bilancio. Siccome al Senato mancano i numeri, devo andare. Farò, quindi, alcune domande per poi leggere le risposte successivamente, dal momento che, facendo prima il giro delle domande, non credo di avere il tempo per ascoltare la replica.
  A ogni modo, ringrazio molto il dottor Bilardo per il lavoro che ci hanno fornito, che mi sembra davvero molto interessante, approfondito e soprattutto non appiattito, avendo suggerito stimolanti spunti di discussione. Vorrei, pertanto, porre tre rapide domande, anche per evitare di perdere tempo.
  La prima è che mi è giunta notizia di un decreto-legge sugli enti locali che dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri probabilmente nell'estate. Credo che sia un'ottima cosa, perciò vorrei avere qualche notizia in più e comprendere se lo seguite voi o qualcun altro.
  La seconda riguarda il tema dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che è stato sottolineato più volte. Anch'io credo che sia un punto cruciale. Come si intende, però, proseguire?
  L'inciso sulle regioni ci ha fatto sobbalzare, ma anche per gli enti locali non siamo ancora in dirittura d'arrivo. Questo, però, è un punto indispensabile perché attualmente, come abbiamo visto anche nelle scorse sedute, il sistema di distribuzione del Fondo di solidarietà comunale sta creando problemi a livello locale. In questo periodo il rapporto con gli enti locali e con l'ANCI è migliorato perché c'è sicuramente un maggiore dialogo. Anche dal punto di vista delle risorse, complessivamente, stiamo andando in una direzione positiva, ma le ricadute sui singoli comuni stanno creando diverse criticità.
  La terza considerazione ha a che fare con il rapporto con la SOSE o comunque con tutti gli enti di supporto. Abbiamo fatto un incontro anche con loro e devo dire che si ha la sensazione che lavorino per conto loro, facendolo sicuramente in modo approfondito e con grande professionalità, ma forse con tempi e con modalità poco compatibili con la tempistica data sia dalla normativa sia dalle esigenze reali, che richiedono informazioni legate al processo decisionale e non una teorica e generica attività di informazione.
  Insomma, non si tratta dei dati dell'Istat, che hanno una loro storia e una loro dinamica utile anche ai ricercatori universitari per fare i trend storici e così via.

  STEFANO COLLINA . Anch'io la ringrazio per la relazione. Tra l'altro, fornisco ai sindaci della mia zona i documenti e gli esiti di quello che si fa in una Commissione importante come questa, affinché comincino a familiarizzare con la forma mentale e con il livello di riflessione e di approfondimento che stiamo conducendo.
  La mia vuole essere una provocazione. Non riusciamo a staccarci dal cordone ombelicale che ci lega alla spesa storica. Questo è il punto. Allora, non si potrebbe inventare una specie di «busta arancione» anche per i comuni?
  C'è qualcuno in Italia che spedisce a casa di tutti noi una prefigurazione di quello che sarà il futuro pensionistico di ciascuno (anch'io sono curioso di scoprire come sarà il mio futuro). Allora, credo che – non dico per lanciare il cuore oltre l'ostacolo – dovremmo aiutare i comuni a ragionare su qualcosa che va oltre la spesa storica, mentre, purtroppo, il confronto è sempre su questo piano. Pag. 15 
  Abbiamo i fondi, la capacità fiscale, i fabbisogni standard, il fondo di perequazione dei comuni e così via. Dopodiché, si guarda cosa salta fuori da una parte e cosa dall'altra, ma non ci si ritrova più.
  Allora, se vogliamo istituire una sorta di convergenza tra la situazione attuale, che è legata alla spesa storica, e quello che sarà il sistema futuro, bisogna che cominciamo a dire ai comuni che dal nostro punto di vista – ormai l'abbiamo studiata da tutte le angolazioni – il punto di arrivo di tutto questo lavoro che anche oggi, come ha detto la senatrice Zanoni, stiamo conducendo (ormai anche chi studia non sa più cosa prefigurare), non può essere che quello.
  Questo potrebbe essere un obiettivo reale. Con la base di dati, gli di studi che abbiamo fatto e tutti i tavoli tra Governo, ANCI, comuni e così via, entro un anno potremmo dare in mano ai comuni la busta arancione su cui è scritto qual è la convergenza che ciascuno deve trovare ragionando sui propri bilanci.
  Dobbiamo dire loro quali saranno i livelli essenziali, i servizi che devono fornire ai cittadini, i costi sulla base dei servizi stessi, le entrate e così via. Insomma, dobbiamo dire loro qual è il quadro entro il quale si dovranno muovere. Altrimenti, faranno sempre il confronto con il bilancio dell'anno precedente e si aspetteranno le somme mancanti dal fondo di perequazione. Insomma, continueranno a gestire i tagli rispetto non a un'evoluzione del bilancio comunale conforme a questi studi, ma alla necessità di seguitare a difendere con le unghie e con i denti una realtà che era, però, quella organizzata precedentemente.

  MARIA CECILIA GUERRA . Ringrazio anch'io sia per l'esposizione sia per il materiale prezioso che ci avete messo a disposizione.
  Il punto della situazione che avete fatto ci crea alcune preoccupazioni. Non dico, che non le avessimo già prima. Infatti, confermo che in questa Commissione ci rendiamo costantemente conto che siamo dentro un quadro che era partito con una linea – ognuno avrà le sue opinioni su questo – di cui si capiva il senso, ovvero con la legge n. 42 del 2009, e che successivamente, per diversi motivi, è mutato, in primo luogo per gli interventi di riduzione delle risorse per il consolidamento della finanza pubblica e poi anche per una svolta nel disegno complessivo. Adesso siamo, quindi, in un quadro che non sembra avere una finalizzazione chiara.
  Insomma, non è chiaro. Le scadenze che ricorda – non le avevo presenti tutte – sono impressionanti. Dovremmo essere molto più avanti per poter dare attuazione al percorso delineato dalle norme.
  Siccome tutto ruota attorno alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, la scorsa settimana abbiamo fatto, per scrupolo, un'audizione che ci conferma che è tutto da venire, specialmente nelle regioni. Abbiamo, dunque, delle scadenze e un percorso, ma non andremo in quella direzione. Il problema, però, è che non sappiamo neanche in quale direzione andremo.
  Avevamo un quadro centrato sull'autonomia e sui tagli dei trasferimenti, ma non è quello che stiamo perseguendo. Fra l'altro, nel vostro quadro, manca, se posso dire, un elemento che lo inquina ulteriormente dal punto di vista filosofico – non sto dando dei giudizi – ovvero i trasferimenti compensativi, che stanno assumendo, specie nella finanza comunale, un peso rilevante e rappresentano una cristallizzazione della spesa storica, come ci siamo detti molte volte.
  Se eliminiamo alcune imposte – ovviamente, il passaggio più significativo è stato eliminare l'IMU sulla prima casa – e contemporaneamente cristallizziamo la situazione precedente con un trasferimento compensativo, stiamo sottolineando il mantenimento della spesa storica. Questa è la conseguenza. Dopodiché, si può fare tutto. Sto solo discutendo del quadro.
  Non mi è chiaro come si esce da questa situazione, se non con un intervento veloce di individuazione di un nuovo modello. Qui è saltato tutto, proprio perché la perequazione che abbiamo fatto non ha niente a che vedere con i criteri iniziali a nessun livello. Infatti, non è stata realizzata in quel Pag. 16 senso. Ne è un esempio la distinzione fra livelli essenziali, altre spese e funzioni fondamentali per i comuni, come anche il fondo comunale, che è diventato orizzontale.
  Dal punto di vista dell'impianto si può fare anche quello. Molti Paesi hanno fondi che sono esclusivamente orizzontali, ma è evidente che il fondo comunale non era nato così. La componente perequativa sui livelli essenziali doveva essere verticale, cosa che ha un altro significato. Insomma, sono tutte cose che dobbiamo rivedere.
  Sulla questione dei LEP e delle funzioni fondamentali, stiamo costruendo i fabbisogni standard che, da un punto di vista conoscitivo, sono un passo avanti molto significativo. Tuttavia, l'utilizzo che ne facciamo è improprio. Se vogliamo seguire quella via, dobbiamo proseguire di conseguenza, ovvero definire i LEP, stabilire quanto ci costano e poi rispettare il criterio costituzionale di adeguatezza del finanziamento. Siccome, però, non stiamo facendo quest'ultima cosa, siamo lontani mille miglia dall'obiettivo.
  Allora, è inutile che facciamo finta di usare i fabbisogni standard, che sono, invece, dei criteri di riparto di un fondo la cui entità è assolutamente casuale. A questo punto, credo che sia meglio usare tutto quel percorso con un'altra funzione, magari di benchmark, che è molto utile e di tipo conoscitivo. Dopodiché, dovremmo fare dei trasferimenti con criteri più semplici oppure tornare a criteri, per esempio, di popolazione ponderata per l'età, come si fa nella sanità.
  Ecco, sarebbe meglio perché spendiamo meno risorse pubbliche e non facciamo finta di fare una cosa che, in realtà, poi non stiamo facendo. In questo modo, probabilmente, avremo un quadro più trasparente. Non vorrei essere troppo pessimista nel mio dire, ma credo che sia un punto su cui collettivamente – Parlamento e Governo, con il supporto delle persone che hanno competenza tecnica su questo piano – potremmo arrivare a un quadro più pulito. Ritengo, quindi, che questa sia una cosa da fare.
  Non ho capito bene chi sta tenendo le fila di tutto il discorso, e questo mi preoccupa. Infatti, ho la sensazione che arriveremo tardi a definire le risorse, per cui gli enti locali saranno in sofferenza, anche perché spesso non sanno su quali risorse basarsi.
  Dopo queste considerazioni, arrivo alla domanda. Ci sono fondi non finanziati, che, però, esistono in legge. Nella revisione che immagino si stia facendo, visto che i trasferimenti di parte corrente dovrebbero essere superati e quant'altro, si farà un elenco di questi fondi?
  Faccio l'esempio del fondo di cui si è parlato in una delle ultime conferenze Stato-regioni, quello per le barriere architettoniche. Ovviamente, anche questo non è colpa vostra, ma più nostra. Ad ogni modo, ci si trova con disposizioni di legge che impongono alle regioni di acquisire dai comuni le richieste dei cittadini, ma poi, nel caso specifico, il fondo non è finanziato da 14-15 anni; ciò nonostante, il processo va avanti.
  Ecco, questa sarà l'occasione per mettere ordine, dal punto di vista non solo legislativo, ma anche operativo, nell'intera problematica?

  NERINA DIRINDIN . Anch'io ringrazio per il quadro completo, argomentato e analitico che è stato ricostruito e che aiuta a chiarire alcuni aspetti – che chiari non erano – rispetto a quanto sta succedendo in relazione ai trasferimenti.
  Mi ha fatto piacere sentire il richiamo ai LEP, soprattutto per i trasporti e per il settore sociale, che sono le due categorie più importanti. Credo che su questo, come in parte ha già detto la collega che mi ha preceduto, varrebbe la pena fare una riflessione.
  Voi fate molto riferimento a questo e ne auspicate la definizione. Ritengo, però, che anche voi concordiate sul fatto che non possono essere uno strumento risolutivo dei tanti problemi che abbiamo. Certo, potrebbero essere una pietra importante. L'esperienza della sanità ha consentito di definire i LEP, anzi i LEA (livelli essenziali di assistenza) in questo caso, ma ciò è stato frutto di un percorso ultradecennale di Pag. 17 definizione delle prestazioni, dei presidi e dei servizi che possono essere erogati ai cittadini.
  Invece, in molti altri settori questo non è stato fatto o è stato fatto solo in parte, per cui una mera definizione sarebbe estremamente utile come primo passo, ma poi il secondo passo – ovvero definire le forme e le modalità di finanziamento, nonché un sistema per garantire una disponibilità di risorse adeguate a livello territoriale – blocca anche la definizione dei LEP.
  Credo, quindi, che bisognerebbe trovare il sistema per separare la definizione dei diritti che i cittadini dovrebbero vedersi riconosciuti dall'immediata e contestuale definizione delle forme di finanziamento, altrimenti non ne usciremmo più e si smonterebbe completamente l'intero sistema.
  A parte questa riflessione che mi sono permessa di fare, c'è una curiosità che mi è stata destata da una delle tante cose che ha detto.
  Parlando delle prospettive per le regioni a statuto speciale, avete auspicato che la determinazione del gettito da attribuire sia fatto con criteri tali da evitare duplicazioni di oneri per il bilancio dello Stato. Lei ha detto, fra parentesi, «come adesso avviene». Siccome è una cosa che non mi è mai capitato di vedere, mi piacerebbe sapere a cosa fa riferimento e soprattutto di quali dimensioni parliamo. Insomma, è importante o si tratta solo di questioni marginali?

  SIMONETTA RUBINATO . Anch'io ringrazio per la bella sintesi dello stato di fatto e del fallimento degli obiettivi. Ormai è certificato. Peraltro, mentre lei parlava, dottor Bilardo, sono andata a ripescare il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti del 2015 e devo dire che, sostanzialmente, la sintesi è la medesima che ho appena sentito da lei.
  In pratica, come dice la Corte, la finalità esplicita del processo innescato dalla riforma costituzionale del 2001 era superare il meccanismo di finanza derivata, in modo da accrescere, oltre che l'efficienza, anche l’accountability dei livelli locali di governo.
  Ecco, questo obiettivo è sostanzialmente fallito, per cui dopo 14 anni osserviamo la mancata attuazione della riforma costituzionale.
  La legge n. 42 nel 2009 – sul cui impianto complessivo possiamo avere varie opinioni – è stata un tentativo di attuare l'articolo 119 della Costituzione. La conferma viene anche da voi, quando dite che dovevamo superare il sistema di finanza originaria con l'abbandono del sistema di finanza derivata.
  Secondo la Corte dei conti, nel 2015 eravamo esattamente al medesimo punto; oggi, invece, probabilmente abbiamo fatto un passo indietro perché la trasformazione in trasferimento dell'imposta municipale IMU-TASI va proprio nella direzione di accrescere la finanza derivata.
  Siamo, peraltro, nell'imminenza della modifica della riforma costituzionale, con un articolo 119 che in questa Commissione il professor Gallo ha definito come un tentativo di riportare l'autonomia finanziaria a livelli degli anni Settanta, con un pericolo per l'attuazione del principio di accountability.
  Ho fatto una sintesi molto veloce, ma quello che ha detto il professor Gallo è agli atti di questa Commissione. Anche voi, del resto, tratteggiate questo aspetto, anche se non in maniera così esplicita. Tuttavia, l'articolo 119 nell'attuale riforma è sicuramente diverso dall'articolo 119 del 2001, tra l'altro con il problema che nell'opinione pubblica la mancata attuazione è passata come la cattiva prova del federalismo fiscale.
  In sostanza, il federalismo non è stato attuato, ma, ciò nonostante, la colpa di tutti i mali della finanza pubblica di questo Paese – nell'opinione pubblica, ma anche in molta stampa – è il federalismo, che ha «sbracato» i conti pubblici. Lo dico molto semplicemente: il problema è che ci troviamo nella situazione in cui siamo proprio perché non si è fatto il federalismo secondo un principio di responsabilizzazione, con grandi resistenze delle rappresentanze degli enti locali.
  Invece, purtroppo, si diagnostica un male trovandone la causa in quella che Pag. 18 poteva essere la cura. Allora, sbagliando, si torna indietro. Il pericolo è che in futuro ci siano minori strumenti per andare nella direzione che si era auspicata e per la quale ci sono state forti resilienze – questa sarebbe una domanda da farsi; lo dice anche la Corte dei conti – più da parte delle istituzioni complessivamente che da parte della politica ad attuare il processo di trasformazione del nostro Paese da una finanza derivata a una finanza di responsabilità, di autonomia.
  Questa non è una domanda che posso porre a voi. È la politica che se la deve porre, anche se in questo momento non è neppure consapevole di doverlo fare. Come è stato detto bene dalla collega Guerra e soprattutto da voi, il bilancio è che non solo non abbiamo superato la finanza derivata e la spesa storica, che tutti riconoscono come fonte di iniquità e sperequazioni, ma abbiamo una spesa storica con le sue disparità, aggravata dai tagli lineari.
  Questo è lo stato in cui siamo, con una grande inefficienza, una scarsissima responsabilizzazione degli amministratori locali nonché ingiustizie e sperequazioni che si sono accresciute anziché diminuire e per le quali sarebbe urgente trovare delle soluzioni. Questo è lo stato dei fatti, che ci dice, appunto, quanto dovremmo impegnarci in questa direzione.
  Anche sulle regioni – lo certificate in modo molto chiaro e di questo vi ringrazio – non siamo di fronte all'attuazione del federalismo fallito, come qualcuno dice, bensì a un modello di finanza derivata.
  Le regioni sono state enti decentrati di spesa dello Stato, privi di adeguati criteri di responsabilizzazione finanziaria. Se non andiamo al cuore del problema, che è questo, e non modifichiamo la questione, non ne usciamo. Senza una vera perequazione alle regioni in difficoltà, rischieremmo di far tornare indietro anche chi oggi riesce a gestire le risorse in modo più efficiente.
  Il fatto che non si sia ancora realizzato un impianto più federalista – ovvero che la legge n. 42 del 2009 non abbia avuto attuazione, cosa evidenziata anche da parte vostra – consentirebbe di fare qualche considerazione. Un impianto che non è partito, infatti, può essere corretto. Forse su questo dovremmo riflettere per avanzare proposte.
  Per esempio – faccio una riflessione su cui chiedo anche una vostra opinione tecnica – di recente ho partecipato a un convegno dell'università di Padova, al quale ha preso parte il professor Buratti. In quella sede è stato ricapitolato il sistema di finanziamento regionale secondo la legge n. 42 del 2009, sottolineando la necessità di rivederne l'impianto. In particolare, veniva evidenziata l'inadeguatezza delle compartecipazioni, specialmente quella relativa all'IVA, a costituire un vero strumento di autonomia finanziaria per le regioni, perché la compartecipazione IVA non garantisce trasparenza nei confronti dei cittadini e non dà manovrabilità sulle aliquote.
  Insomma, è la famosa mano che prende e poi spende. È stata avanzata, quindi, una proposta – da vagliare nei contenuti – che, mantenendo inalterati i trasferimenti alle regioni, ovvero senza toccare la distribuzione delle risorse, utilizzasse lo strumento della regionalizzazione dell'IRPEF, in tutto o in parte. Questo è da vedere perché le cifre complessivamente rimangono inalterate, quindi non è un problema di spostamento –. Si tratta di un'imposta che consentirebbe, a parità di risorse destinate alla regione, di rendere molto più trasparente il rapporto con i cittadini, realizzando il principio dell’accountability, e di consentire alla regione di fare politiche fiscali manovrando sull'aliquota.
  Ugualmente, è interessante la proposta che l'IRAP – che essa finanzi la sanità è infatti una contraddizione – potrebbe essere molto più agevolmente manovrata a livello statale per politiche che incidano sul sistema delle imprese, cosa che peraltro lo Stato oggi fa, pur trattandosi nominativamente di un'imposta regionale.
  Ecco, vedete anche voi questa opportunità? Potrebbe essere utile perseguirla, visto che non vi è stata attuazione, o è pericoloso pensare di rivedere l'impianto per migliorarlo?
  Le chiedo, inoltre, se può precisare come vede l'impatto della riforma costituzionale Pag. 19  dell'articolo 119 nel sistema dato rispetto ai principi di accountability.
  Infine, dottor Bilardo, lei ha fatto riferimento ad una sintesi di alcuni dati (spesa pubblica consolidata pro capite nelle autonomie speciali superiore alla media nazionale, e così via). Le chiedo, quindi, se questi dati ci possono essere messi a disposizione.
  Questo vale per le autonomie speciali. Più in generale, però, il MEF fa ogni anno un rapporto molto interessante sulla spesa pubblica regionalizzata. Le domando, pertanto, se ci può dare qualche indicazione su questo, perché se guardo la bella tabella sintetica predisposta dal MEF (quella che vede la spesa in termini assoluti per regione, pro capite per regione e in rapporto al PIL per regione) ne ricavo un'altra fotografia impietosa delle sperequazioni che esistono in questo Paese. Peraltro, vengo da una regione che si trova tra due regioni a statuto speciale e che sta decisamente soffrendo per l'aumentare delle disparità.
  Insomma, forse il sistema funzionava meglio prima che si partisse con le riforme, anche per gli enti locali che probabilmente stavano meglio, ma che si aspettavano molto dalle riforme messe in moto.
  Avete, poi, certificato anche il dumping fiscale. Le chiedo, allora, qualche indicazione su questi dati e sulla spesa pubblica complessiva regionalizzata.

  DANIELE MARANTELLI . Credo sia stato opportunamente sottolineato quanto sia impeccabile la documentazione che ci è stata fornita, perché la domanda di trasparenza e la richiesta di assunzioni di responsabilità dei diversi livelli di governo avanzata dall'opinione pubblica e dai cittadini è effettivamente molto forte. Per contro, a partire dagli enti locali, abbiamo assistito a cambiamenti tumultuosi che hanno introdotto moltissime incognite, in questa sede richiamate più volte, per cui non si tratta di un elemento nuovo.
  Sono state fatte delle domande molto puntuali che condivido e non riprendo. Mi limito a dire che anch'io ritengo una solenne stupidaggine la tesi sostenuta da coloro che pensano che il tentativo di federalismo iniziato qualche anno fa sia la causa delle difficoltà della spesa pubblica. Al contrario, ritengo che l'applicazione corretta dei costi standard sia un modo per abbattere la spesa pubblica con criteri di giustizia sociale. Su molti temi, a partire dai LEP, abbiamo, però, molto ancora da fare.
  Sono partito con l'esigenza di trasparenza. Allora, dottor Bilardo, le faccio una domanda molto secca.
  Qui continuiamo a fare discussioni, spesso di carattere generale, sull'economia. I DEF fanno previsioni, anche se, per la verità, negli ultimi documenti previsioni e risultati si avvicinano molto di più ai dati reali, rispetto agli anni precedenti, cosa senz'altro positiva. Ecco, qual è, però, l'ammontare reale dei debiti delle regioni nel campo della sanità? Qual è la stima della ragioneria generale su questo?
  Sono del tutto convinto che, se non si parte dalla conoscenza della realtà, si rischia di scrivere alcune cose sul DEF per poi scaricare sulle regioni problemi di diversa natura.
  Le faccio questa domanda non a caso, perché mi ha colpito il dato sulla diminuzione dell'età media degli italiani. È la prima volta che andiamo indietro. Non penso si debba automaticamente legare questo dato, per me preoccupante, ai temi della sanità. Che, però, vi siano diversi campi – non solo quello dell'odontotecnica – nei quali ormai non si fa prevenzione, mi pare sia un dato ormai accertato.
  Allora, dobbiamo occuparci di perequare, e quant'altro. Tuttavia, se non andiamo al cuore di alcuni problemi che si stanno verificando nella società italiana, temo che non stiamo sul pezzo.

  PRESIDENTE . Dottor Bilardo, vorrei chiederle se un dato è giusto o ho capito male. A pagina 16 del testo del suo intervento, si parla di stanziamenti afferenti alla programmazione 2014-2020 per un importo di 100 milioni di euro. Prima si parla di 54.810 milioni e poi nel 2015 figurano 100 milioni, di cui 50 in competenze e 49 in residui. Non so se c'è uno zero in più prima o in meno qui.
  Do la parola al dottor Bilardo per una breve replica.

Pag. 20  

  SALVATORE BILARDO , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. Sull'emanando decreto-legge, nella conferenza Stato-regioni dell'11 febbraio, nel momento in cui è stata stabilita e concordata la distribuzione del taglio 2016-2018, le regioni hanno proposto una serie di misure che non hanno impatti in termini di finanza pubblica, ma che aiutano la loro attività gestionale. Quindi, l'emanando decreto-legge – sui tempi non posso dire nulla – prevede un insieme di misure richieste dalle regioni, oltre ad alcuni correttivi minimali per quanto riguarda gli enti locali.
  Circa i LEP, la nostra posizione è chiara, anche perché abbiamo un notevole imbarazzo nel momento in cui, nei vari tavoli, dobbiamo ragionare in termini di distribuzione delle risorse e dei tagli. Tutte le posizioni, infatti, diventano ragionevoli e al tempo stesso infondate, se non viene risolto il punto fondamentale, ovvero capire qual è il livello di servizi che ciascun ente deve erogare e le risorse che, sulla base dei fabbisogni standard, devono essere riconosciute.
  Mi rendo conto che la difficoltà è stata accentuata dalla crisi economica perché la definizione dei LEP a risorse in riduzione potrebbe comportare una scelta politica non da poco, con un abbassamento del livello dei servizi in territori importanti del Paese, cosa che non può essere l'obiettivo dei LEP, che dovrebbero portare tutti a livelli di servizio adeguati e non abbassare i servizi per un numero elevato di enti. Ovviamente, quando le risorse si riducono, diventa ancora più difficile la loro distribuzione.
  Sul ruolo di SOSE – che è stato equiparato a quello dell'Istat – la preoccupazione è fondata perché il suo lavoro ha ricadute sostanziali e significative. La Commissione fabbisogni standard, da poco avviata, è il luogo in cui effettivamente dovrebbe svolgersi una valutazione tecnica del lavoro di SOSE, stimando anche le ricadute politiche che le scelte o la metodologia statistica di SOSE pongono in essere.
  Peraltro, questo è il lavoro che cerchiamo di svolgere anche noi, come Ragioneria dello Stato, all'interno della Commissione fabbisogni standard. Dopodiché, si potrebbe lavorare su forme organizzative diverse.
  Attualmente, un ruolo importante di verifica del lavoro di SOSE viene svolto anche da IFEL, per una scelta che ha fatto il legislatore, cioè il Parlamento. Comunque – ripeto – il luogo in cui si discute il lavoro di SOSE è la Commissione fabbisogni standard.
  Rispetto alla spesa storica e ai fabbisogni standard, non dimentichiamo che il target perequativo che la disciplina prevede è del 10 per cento nel 2014, del 30 per cento nel 2016 e poi del 50 e dell'80. Tuttavia, nell'attuazione concreta è stato posto un target perequativo al 48 per cento, il che significa che l'effetto di allontanamento dal criterio della spesa storica in favore dei fabbisogni standard è stato ulteriormente ridotto, sempre per evitare di sottrarre eccessive risorse ad alcuni comuni a favore di altri.
  In particolare, nel momento in cui applichiamo i fabbisogni e le entrate standard, i comuni in cui c'è una maggiore concentrazione di seconde case sono penalizzati, il che ha un senso perché si tratta di comuni ricchi, che contribuiscono affinché vengano riconosciute risorse agli altri comuni.
  Dico questo per far capire concretamente qual è il problema e perché c'è questa tendenza conservativa, dato che fabbisogni ed entrate standard non servono solo ad aggredire le inefficienze, ma sono anche un elemento di perequazione che sottrae risorse ai comuni i più ricchi.
  Le poche affermazioni che abbiamo fatto sulle autonomie speciali, utilizzando i dati pro capite dei conti pubblici territoriali, si basano sulla spesa consolidata di tutti i livelli, proprio per evitare le differenze nella distribuzione della titolarità delle funzioni.
  In sostanza, il Friuli-Venezia Giulia potrebbe avere un livello di funzioni finanziate Pag. 21  dalla regione diverso dalla Lombardia, dalle province di Trento e Bolzano, dalla Sicilia e così via. I conti pubblici territoriali, invece, ci consentono di consolidare l'intera spesa pubblica di comuni, province, regioni e Stato, a prescindere da chi esercita la funzione.
  L'ultimo aggiornamento è al 2014. In un primo momento, avevamo inserito la tabella complessiva, dopodiché abbiamo soprasseduto, innanzitutto perché vorremmo verificare con più attenzione il lavoro sui conti pubblici territoriali, che viene effettuato da un dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, e in secondo luogo anche per evitare di diffondere, come Ragioneria generale dello Stato, una tabella che, nel mettere in evidenza il residuo fiscale, evidenzia la carenza nella distribuzione della spesa pubblica. Si tratta di una tabella pubblica, ma vogliamo evitare che venga individuata come un lavoro della Ragioneria generale dello Stato, per questo nel testo consegnato non è stata riportata, anche se – ripeto – la consideriamo nel fare le nostre valutazioni.
  La spesa statale regionalizzata, invece, riguarda soltanto la spesa del bilancio dello Stato ed è una parte del lavoro sui conti pubblici territoriali che somma, invece, anche la spesa dei comuni, delle province e delle regioni. La pubblicazione della Ragioneria generale dello Stato riguarda, quindi, soltanto la territorializzazione del bilancio dello Stato.
  Passando alle duplicazioni di oneri per le autonomie speciali, il fenomeno è abbastanza limitato. Non è, dunque, di notevole consistenza, ma fa comprendere che esiste un problema nell'armonizzazione degli ordinamenti finanziari delle autonomie speciali.
  Nel testo consegnato abbiamo indicato, per ciascuna autonomia speciale, i decimi di compartecipazione e il criterio che, come dicevo, è diverso, a seconda se ragioniamo sul riscosso o sul maturato.
  Per esempio, per l'IRPEF Trento e Bolzano utilizzano il criterio del maturato; la Sardegna, nel momento in cui è passata al maturato, ha guadagnato molte risorse finanziarie in più. Quindi, quando parliamo dell'IRPEF, non ha senso mettere a confronto i nove decimi di Trento e Bolzano con i dieci decimi della Sicilia perché, appunto, Trento e Bolzano utilizzano il criterio del maturato, mentre la Sicilia utilizza il criterio del riscosso. Come ho detto nel corso dell'audizione, se mettessimo a confronto il maturato, la Sicilia con i cinque decimi avrebbe le stesse risorse rispetto al riscosso. Pertanto, anche su questo occorrerebbe lavorare per armonizzare.
  Tutte le revisioni degli ordinamenti finanziari delle autonomie speciali stanno andando verso il maturato. In Sardegna è stato fatto di recente; si sta lavorando anche con la Regione siciliana, in modo da avere una coerenza complessiva degli ordinamenti.
  Sul fallimento del federalismo, penso che sia un percorso da proseguire. A giudizio della Ragioneria generale dello Stato, la n. 42 del 2009 è una bella legge, coerente con il quadro costituzionale, per cui lavoriamo affinché venga attuata concretamente. È necessario che ci sia, però, un commitment forte in questa direzione.
  Sui debiti delle regioni, ho appena chiesto alla collega che si occupa di sanità di darmi la differenza tra debito sanitario e debito commerciale. Quello che posso dire è che dei 56 miliardi di debiti commerciali, ben 34 sono delle regioni. Di questi debiti commerciali – vado a memoria – più della metà sono sanitari. Comunque, fornirò alla Commissione il dato sulla finanza nel settore sanitario.

  STEFANO MANGOGNA , Dirigente dell'Ispettorato generale rapporti finanziari con l'Unione Europea della Ragioneria Generale dello Stato. Confermo che lo stanziamento previsto nella legge n. 147 del 2013 ammonta a 54 miliardi. Ci sono due ordini di ragioni. La prima è che il grosso della programmazione del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 si sta definendo in queste settimane, con i patti per il sud. Dunque, la maggior parte delle risorse in conto competenza si sta definendo su questo fronte.
  Il secondo elemento è che, analogamente a quanto avviene per tutti i fondi europei, a fronte dello stanziamento di Pag. 22 competenza per interventi programmati, l'erogazione delle risorse si basa, a seguito di una prima piccola anticipazione finanziaria, sullo stato di avanzamento effettivo delle spese per gli interventi programmati.
  Ciò significa che le assegnazioni vengono fatte, a fronte di un 100 per cento di valore dell'importo programmato, sulla base degli stati di avanzamento. L'avanzamento della spesa tira, cioè, le risorse del Fondo sviluppo e coesione.

  PRESIDENTE . Ringrazio il dottor Bilardo per il contributo e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

ALLEGATO

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO

AUDIZIONE

presso la Commissione Parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

4 maggio 2016

(versione integrale)

Il quadro dei trasferimenti finanziari in favore degli enti territoriali alla luce dell'articolo 119 della Costituzione

(Dott. Salvatore Bilardo – Ispettore Generale Capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni)

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  Indice
  1) Il quadro costituzionale di riferimento
  Dalla finanza derivata alla finanza originaria
  Gli interventi speciali
  I livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali
  La nuova riforma del Titolo V della Costituzione

  2) I trasferimenti in favore degli enti locali
  La legge n. 42 del 2009 per gli enti locali
  La concreta applicazione della legge n. 42 del 2009 per Comuni e Province
  Le prospettive future per gli enti locali

  3) I trasferimenti in favore delle Regioni a statuto ordinario
  La legge n. 42 del 2009 e la concreta applicazione per le Regioni a statuto ordinario
  Il finanziamento del settore sanitario
  Il finanziamento del trasporto pubblico locale
  Il Fondo per lo sviluppo e la coesione
  Le ulteriori tipologie di trasferimenti
  Le prospettive future per le Regioni a statuto ordinario

  4) Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano
  Le Autonomie speciali: assetto costituzionale e autonomia statutaria
  La legge n. 42 del 2009 e la concreta applicazione per le Regioni a statuto speciale
  Le prospettive future per le Autonomie speciali

  5) Trasferimenti per gli interventi UE e complementari

  APPENDICE – DATI FINANZIARI
  A. Trasferimenti dalle Regioni agli enti locali
  B. Trasferimenti dallo Stato agli Enti territoriali

  ALLEGATO 1
  Decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009

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  Il tema dell'audizione è risultato estremamente complesso, riguardando differenti livelli di governo, variegate modalità di finanziamento, in presenza di un quadro ben definito a livello di principi costituzionali, ma incerto nella sua concreta applicazione legislativa e amministrativa.

  Spaziando su molteplici temi e materie, i contenuti della presente audizione sono da considerare come semplici spunti per ulteriori approfondimenti che coinvolgano le varie Amministrazioni dello Stato, titolari della competenza nell'erogazione delle diverse risorse finanziarie.

  Nella descrizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e ciascun livello di governo (Regioni a statuto ordinario, Autonomie speciali, Comuni, Province e Città metropolitane) si è cercato di delineare il quadro costituzionale e legislativo vigente, la concreta attuazione dello stesso e le prospettive future di riforma.

  1) Il quadro costituzionale di riferimento

  Dalla finanza derivata alla finanza originaria

  Il riferimento costituzionale fondamentale per la regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli altri enti territoriali è rappresentato dall'articolo 119 della Costituzione, che ha operato una chiara scelta in direzione di un sistema di «finanza originaria», con l'abbandono del sistema di «finanza derivata».

  L'articolo 119 della Costituzione, come modificato dalle Leggi Costituzionali n. 3 del 2001 e n. 1 del 2012, attribuisce agli Enti territoriali autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci e dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.

  I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome, stabiliscono e applicano entrate e tributi propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali da riferirsi al proprio territorio.

  Si prevede, poi, l'istituzione di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

  Viene sancito, pertanto, come sopra accennato, il venir meno della cosiddetta «finanza derivata», costituita da trasferimenti statali, in favore di fonti di entrata derivanti da tributi propri e compartecipazioni al gettito di tributi erariali, che devono consentire agli enti territoriali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

  In proposito, la Corte Costituzionale si è espressa con una consolidata giurisprudenza (da ultimo con sentenza n. 273 del 2013), asserendo che il Legislatore statale non può porsi in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria Pag. 26 regionale – delineato dal nuovo articolo 119 della Costituzione – criteri che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale, per cui nell'ambito del nuovo Titolo V della Costituzione non è concesso, di norma, allo Stato prevedere propri finanziamenti in ambiti di competenza delle Regioni, né istituire fondi settoriali di finanziamento delle attività regionali. Tuttavia, nella perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, l'intervento dello Stato è ammissibile nei casi in cui risponda all'esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti tutelati dalla Costituzione stessa.

  Gli interventi speciali

  Le uniche forme, per così dire, di «finanza derivata» sono riconducibili agli interventi speciali e ai fondi perequativi.

  L'articolo 119 della Costituzione, al quinto comma, prevede che lo Stato – al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni – possa destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

  Sulla base di quanto asserito dalla Corte Costituzionale, tali fattispecie di intervento, assieme al Fondo perequativo da istituire senza vincoli di destinazione, che deve essere indirizzato ai soli territori con minore capacità fiscale per abitante, costituiscono le uniche tipologie di finanziamento statale coerenti con il quadro costituzionale vigente.

  I livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali

  L'intero sistema di norme costituzionali (dagli articoli 3 e 5, agli articoli 116,117, 118 e 119, agli articoli 81 e 97 della Costituzione) e legislative (dalla legge n. 42 del 2009, sul federalismo fiscale, alla legge n. 243 del 2012, sul pareggio di bilancio), trova fondamento nei livelli essenziali delle prestazioni e nelle funzioni fondamentali.

  La disposizione di cui alla lettera m) del comma secondo dell'articolo 117 Cost. assegna, come è noto, alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il principio enunciato dal Legislatore costituzionale, basato su valori irrinunciabili, non ha avuto attuazione se non in materia di sanità, con il d.lgs. n. 68 del 2011. Tale norma costituzionale è volta a dare attuazione ai principi di cui agli articoli 3 e 5 della Costituzione, equilibrando la differenziazione oggettiva tra gli enti territoriali con l'imprescindibile principio costituzionale di eguaglianza.

  La legge n. 42 del 2009, nel definire i principi di finanziamento delle autonomie territoriali, distingue tra le spese per le funzioni connesse ai livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, c. 2, lett. m), Pag. 27 Cost.) e quelle relative alle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117, c. 2, lett. p), Cost.). La finalità compiutamente enunciata nell'articolo 1 di tale legge consiste nel superare per tutti i livelli di governo il criterio della spesa storica, attraverso la quantificazione dei fabbisogni standard e dei costi standard.

  Per una compiuta ricognizione dei decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009, si rinvia all'elenco contenuto nell'allegato 1.

  Il d.lgs n. 216 del 2010 indica gli elementi da utilizzare per giungere ad una metodologia estimativa della quantità e della qualità della spesa pubblica degli enti locali, limitatamente alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni. Il valore stimato individua la spesa standardizzata che, in quanto tale, può essere superiore o inferiore alla spesa effettivamente sostenuta. La stima dei fabbisogni deve tenere conto di una serie di variabili legate alle diverse specificità territoriali e sociali, della spesa storica sostenuta e dei costi pro capite di un determinato servizio (anche con riferimento a quelli esternalizzati o svolti in forma associata).

  Con il d.lgs. n. 68 del 2011 si è provveduto a regolare l'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario (Capo I), delle Province (Capo II) e delle Città metropolitane (Capo III), nonché i fabbisogni e costi standard per il settore sanitario (Capo IV); prevedendo, inoltre, l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (Capo V). Per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), ed in ordine alla individuazione delle spese relative ai livelli medesimi, che concernono i settori della sanità, dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale (quest'ultimo limitatamente alle spese in conto capitale), viene precisato che per stabilire i LEP vanno considerate, per ciascuna materia, macro-aree di intervento, operando secondo una progressiva convergenza degli obiettivi di servizio verso i LEP medesimi. È, peraltro, previsto a tal fine, come necessario presupposto (articolo 13), un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la ricognizione dei LEP nei settori dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale che, tuttavia, ancora non è stato emanato.

  Per quanto riguarda il piano giurisdizionale va registrata una tendenza all'allargamento dei confini dei LEP ad ambiti che non sono strettamente riconducibili a «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». La Corte costituzionale, infatti, vi ha fatto rientrare anche la certificazione ambientale per le imprese, l'edilizia sanitaria ed altro (cfr. sent. C.Cost. n. 322/2009 n. 99 /2009, n. 423/2004, n. 285/2005, n. 120/2005).

  Infine, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 65 del 2016, ha posto l'attenzione sulla «utilità della determinazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (in tal senso, già sentenza n. 273 del 2013). Un tale intervento, che deve svolgersi “attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione” Pag. 28 (sentenza n. 297 del 2012), offrirebbe, infatti, alle Regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del quale la spesa – sempreché resa efficiente – non sarebbe ulteriormente comprimibile.». Peraltro, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni consente di valutare adeguatamente le risorse a disposizione di ciascun ente territoriale.

  Nuova riforma del Titolo V della Costituzione

  Nella seduta del 12 aprile 2016 la Camera dei deputati ha approvato definitivamente, a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri, il testo di legge costituzionale recante: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Il relativo testo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016.

  Il provvedimento di riforma dispone, tra l'altro, il superamento dell'attuale sistema di bicameralismo paritario, nonché una profonda revisione delle previsioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.

  Viene, infatti, rivisto il riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni, oggetto dell'articolo 117 della Costituzione. In particolare, è soppressa la competenza concorrente con una redistribuzione delle materie tra competenza legislativa statale e competenza regionale. Tra le materie attribuite alla competenza statale si richiamano, in particolare: la promozione della concorrenza; la disciplina dei mercati assicurativi, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e la sicurezza alimentare; la tutela e sicurezza del lavoro, nonché le politiche attive del lavoro; l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; le disposizioni generali e comuni concernenti l'istruzione e la formazione professionale; le forme associative dei comuni; il commercio con l'estero; l'ordinamento sportivo; la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; le disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; il sistema nazionale e il coordinamento della protezione civile; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale.

  Di particolare significato è l'attribuzione alla competenza esclusiva statale, rispetto alla precedente competenza concorrente, della materia del coordinamento della finanza pubblica, accogliendo una specifica richiesta della Ragioneria Generale dello Stato.

  Inoltre, è stata introdotta la cosiddetta clausola di supremazia, in base alla quale la legge statale – su proposta del Governo – può Pag. 29 intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva, quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell'interesse nazionale.

  La riforma comporta una modifica dell'articolo 116 della Costituzione, che disciplina il cosiddetto regionalismo differenziato. In particolare, viene ridefinito l'ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario. Inoltre, è introdotta una nuova condizione per l'attribuzione di tali forme di autonomia, essendo necessario che la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.

  La riforma prevede, poi, che le relative modifiche costituzionali non si applicano alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi Statuti, sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome.

  Si auspica che ciò possa consentire anche nei territori delle Autonomie speciali il coordinamento finanziario dello Stato e il percorso di riforma che sta interessando la finanza degli enti territoriali, con specifico riferimento alla perequazione e alla solidarietà (livelli essenziali delle prestazioni, capacità fiscali e fabbisogni standard).

  2) I trasferimenti in favore degli enti locali

  La legge n. 42 del 2009 per gli enti locali

  La legge n. 42 del 2009 di delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, individua, tra l'altro, nell'ottica di superamento del sistema di finanza derivata, attraverso l'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti locali, la base del nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti locali medesimi, pur nel rispetto dei principi di solidarietà e coesione sociale.

  In particolare, il processo delineato dalla legge n. 42 del 2009 prevede il passaggio, anche se in forma graduale, dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello di attribuzione di risorse incentrato sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle funzioni fondamentali degli enti locali.

  A tal fine, tale legge classifica le spese degli enti locali in:

  spese riconducibili a funzioni fondamentali che, in ogni caso, devono essere assicurate su tutto il territorio nazionale in misura determinata dalla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni;

  spese relative ad altre funzioni, che non necessariamente devono essere assicurate su tutto il territorio nazionale o la cui misura minimale non è definita a priori;

Pag. 30 

  spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali.

  Per le spese riconducibili all'esercizio di funzioni fondamentali, il finanziamento integrale dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni è garantito dai tributi propri degli enti locali (sostanzialmente per i comuni dall'imposizione immobiliare e per le Province dal gettito di tributi relativi al trasporto su gomma), da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo.

  Per le spese riconducibili all'esercizio di funzioni non fondamentali, per le quali non è garantito il finanziamento integrale del fabbisogno, il finanziamento è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo basato sulle capacità fiscali per abitante.

  Conseguentemente, la legge n. 42 del 2009 introduce un doppio canale perequativo che, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, prevede la perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali, mentre per le altre funzioni il modello di perequazione opera per un tendenziale livellamento delle differenti capacità fiscali.

  La concreta applicazione della legge n. 42 del 2009 per Comuni e Province

  In attuazione dei principi recati dalla legge n. 42 del 2009, con particolare riferimento al sistema di finanziamento degli enti locali, sono stati adottati i seguenti decreti legislativi:

  - Decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province;

  Il decreto legislativo n. 216 del 2010 ha dato attuazione all'articolo 2, comma 2, lett. f), della legge n. 42 del 2009, prevedendo la disciplina di determinazione dei fabbisogni standard per Comuni e Province, con l'obiettivo di assicurare il graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento delle funzioni degli Enti locali, nonché l'individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni e Province.

  La determinazione della metodologia da utilizzare per la definizione dei fabbisogni standard è attribuita alla Società per gli studi di settore (SOSE), con la collaborazione scientifica di IFEL.

  Occorre ricordare che, secondo la definizione data dalla legge n. 42 del 2009, il fabbisogno standard, «valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica». Sulla base di tale espressa indicazione legislativa, il fabbisogno Pag. 31  standard appare dunque costituire il livello ottimale di un servizio valutato a costi standard.

  Ciò premesso, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010 individua, in via transitoria e sino all'adozione della legge statale in materia, le seguenti funzioni fondamentali dei comuni:

  1. le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge 5 maggio 2009, n. 42;
  2. le funzioni di polizia locale;
  3. le funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;
  4. le funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
  5. le funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia, nonché per il servizio idrico integrato;
  6. le funzioni del settore sociale.

  Successivamente, il comma 1 dell'articolo 19 del decreto legge n. 95 del 2012, modificando l'articolo 14, comma 27, del decreto legge n. 78 del 2010, ha individuato le funzioni fondamentali dei Comuni a regime in conformità all'articolo 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione. Tale individuazione comprende sia funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia funzioni dirette alla comunità territoriale. Inoltre, si registra la modifica del riparto di attribuzione tra comune e provincia della funzione di edilizia scolastica, nonché l'individuazione di una nuova funzione, rappresentata dai servizi in materia statistica.

  Nello specifico, le nuove funzioni fondamentali dei Comuni sono:

   a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;

   b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

   c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

   d) pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale, nonché partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

   e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

   f) organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e riscossione dei relativi tributi;

Pag. 32 

   g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

   h) edilizia scolastica, per la parte non attribuita alla competenza delle Province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

   i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

   l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici, nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale;

   l-bis) servizi in materia statistica.

  Per quanto attiene alle Province (e alle Città metropolitane), invece, il predetto articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010, individua le seguenti funzioni fondamentali:

  1. le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge 5 maggio 2009, n. 42;
  2. le funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;
  3. le funzioni nel campo dei trasporti;
  4. le funzioni riguardanti la gestione del territorio;
  5. le funzioni nel campo della tutela ambientale;
  6. le funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

  Anche le funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane sono state oggetto di riordino ad opera della legge n. 56 del 2014. In particolare, per le Province, quali enti di area vasta, sono definite le seguenti funzioni fondamentali:

   a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

   b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale inerente a tale tipologia di strade;

   c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;

   d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

   e) gestione dell'edilizia scolastica;

   f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

Pag. 33 

  Alle predette funzioni fondamentali, nel caso di Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri si aggiungono anche le seguenti funzioni fondamentali:

   a) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;

   b) cura delle relazioni istituzionali con Province, Province autonome, Regioni, Regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.

  Infine, relativamente alle Città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono individuate anche le ulteriori funzioni fondamentali che seguono:

   c) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei Comuni e delle Unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle Regioni, nel rispetto delle leggi regionali nelle materie di loro competenza;

   d) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei Comuni compresi nel territorio metropolitano;

   e) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i Comuni interessati, la Città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive;

   f) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano;

   g) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della Città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);

   h) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.

  A conclusione della specificazione delle funzioni fondamentali, occorre menzionare anche il comma 1-bis del ripetuto articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010, introdotto dal comma 7-bis dell'articolo 3 del decreto legge n. 174 del 2012, che dispone che in ogni caso, ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, le modifiche all'elenco delle funzioni fondamentali di Comuni e Province sono prese in considerazione dal primo anno successivo all'adeguamento dei certificati di conto consuntivo alle modifiche suddette, tenuto anche Pag. 34 conto degli esiti dell'armonizzazione degli schemi di bilancio ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011.

  Ciò vuol dire che i lavori relativi alla determinazione dei costi e fabbisogni standard possono proseguire sulla base dell'impostazione dettata dal decreto legislativo n. 216 del 2010, fino a quando (il termine temporale è, peraltro, lasciato indeterminato) i dati contabili che rappresentano la base per la determinazione dei costi e fabbisogni standard, vale a dire i dati dei certificati di conto consuntivo, saranno adeguati alla nuova classificazione delle funzioni fondamentali degli enti locali. Al riguardo, si segnala che il Ministero dell'interno ha allineato le rilevazioni dei certificati di conto consuntivo alla classificazione per missioni e programmi di cui al d.lgs. n. 118 del 2011, per cui i primi dati utili coerenti con tale nuova classificazione saranno quelli del consuntivo 2015.

  Attualmente, per i Comuni sono stati approvati i seguenti DPCM:

  Adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a Statuto ordinario, relativi alle funzioni di istruzione pubblica, nel campo della viabilità e dei trasporti, di gestione del territorio e dell'ambiente e nel settore sociale:

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC03U – Funzioni di istruzione pubblica, e relativi allegati.

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC04A – Funzioni nel campo della viabilità, e relativi allegati

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC04B – Funzioni nel campo dei trasporti, e relativi allegati

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC05A – Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente al netto dello smaltimento rifiuti, e relativi allegati

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC05B – Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente – Servizio smaltimento rifiuti, e relativi allegati

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC06A – Funzioni nel settore sociale al netto del servizio di asili nido, e relativi allegati

  - D.P.C.M. 27/03/2015, Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC06B – Funzioni nel settore sociale – Servizio di asili nido, e relativi allegati

Pag. 35 

  - D.P.C.M. 23/07/2014, Adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun Comune e Provincia relativi alle funzioni generali di amministrazione di gestione e controllo.

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC01A – – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo – Servizi di gestione delle entrate tributarie e servizi fiscali e relativi allegati]

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC01B – – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo – Servizi di ufficio tecnico e relativi allegati]

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC01C – – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo – Servizi di anagrafe, stato civile, elettorale, leva e servizio statistico e relativi allegati]

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC01D – – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo – Altri servizi generali e relativi allegati]

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC01 A/B/C/D – – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo – Documento riepilogativo]

  - D.P.C.M. 21/12/2012, Adozione della nota metodologica e del fabbisogno standard per ciascun Comune e Provincia, relativi alle funzioni di polizia locale (Comuni), e alle funzioni nel campo dello sviluppo economico – servizi del mercato del lavoro (Province), ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 216/2010.

  Con riferimento alle Province sono stati approvati, invece, i seguenti DPCM:

  - D.P.C.M. 23/07/2014, Adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun Comune e Provincia relativi alle funzioni generali di amministrazione di gestione e controllo.

  [Nota metodologica recante determinazione dei fabbisogni standard per le Province – FP01U – Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo e relativi allegati]

  - D.P.C.M. 21/12/2012, Adozione della nota metodologica e del fabbisogno standard per ciascun Comune e Provincia, relativi alle funzioni di polizia locale (Comuni), e alle funzioni nel campo dello sviluppo economico – servizi del mercato del lavoro (Province), ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 216/2010.

  Da ultimo, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, istituita ai sensi dell'articolo 1, commi 29 e successivi della legge n. 208 del 2015, rispettivamente nelle sedute del 15 marzo e del 3 maggio 2016, ha approvato i coefficienti di riparto dei fabbisogni standard per l'anno Pag. 36 2016 dei comuni e delle province e città metropolitane, presentati dalla società Soluzioni per il sistema economico Sose S.p.A.

  Tutto ciò premesso, in prospettiva futura, il computo delle occorrenze finanziarie derivanti dai fabbisogni standard andrà effettuato rispetto alle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane espressamente individuate in via definitiva dalle norme sopra richiamate. A tal fine, anche per assicurare il rispetto del vincolo di assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, andranno, altresì, stabiliti gli obiettivi di servizio connessi ai livelli essenziali delle prestazioni da erogare per le stesse funzioni fondamentali.

  Occorre, infine, segnalare che le predette note metodologiche e i fabbisogni standard, in conformità con quanto previsto dalla legge delega, fanno riferimento esclusivamente alle Province, alle Città metropolitane ed ai Comuni rientranti nelle Regioni a statuto ordinario.

  È, però, da evidenziare che l'articolo 31 del decreto legislativo n. 68 del 2011 prevede che sia estesa, sulla base della procedura prevista dall'articolo 27, comma 2, della citata legge n. 42 del 2009, agli enti locali appartenenti ai territori delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano l'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati, inerenti il processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative ai sensi degli articoli 4 e 5 del citato decreto legislativo n. 216 del 2010.

  Sarebbe, quindi, opportuno che venisse dato seguito alle indicazioni legislative sopra riportate.

  - Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 – Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.

  Il decreto legislativo n. 23 del 2011 rappresenta il punto di partenza del complesso percorso di federalismo municipale, attualmente ancora in corso, finalizzato, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e della relativa legge n. 42 del 2009:

  1. a sostituire i trasferimenti statali con carattere di continuità e generalità, eccezion fatta per i contributi speciali ed i contributi in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti per investimento, con tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e gettito (o quote di gettito) di tributi erariali, addizionali a tali tributi;
  2. a definire un nuovo assetto redistributivo non più basato sulla spesa storica, ma in grado di tenere conto dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali dei singoli comuni.

  - Anno 2011

  Il processo di federalismo municipale (relativo ai soli Comuni delle Regioni a statuto ordinario) prende avvio nel 2011 con la soppressione dei vecchi trasferimenti erariali (fondo ordinario, fondo perequativo, fondo consolidato) per un ammontare complessivo di circa 11,3 miliardi Pag. 37  di euro, sostituiti per un importo corrispondente dal fondo sperimentale di riequilibrio. Il predetto FSR viene virtualmente alimentato dal gettito o da quote del gettito derivante da taluni tributi immobiliari per un ammontare pari a 8,4 miliardi di euro (imposta di registro ed imposta di bollo sugli atti indicati all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro; imposte ipotecaria e catastale; imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario; imposta di registro ed imposta di bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili; tributi speciali catastali; tasse ipotecarie; cedolare secca sugli affitti) e da una compartecipazione IVA di 2,9 miliardi di euro.

  Tuttavia, sotto il profilo sostanziale, l'ammontare complessivo del fondo sperimentale di riequilibrio non deriva dal gettito dei tributi interessati a determinare l'ammontare del fondo, ma è prefissato in misura tale da assicurare l'assenza di effetti finanziari negativi sia per lo Stato che per i Comuni.

  Conseguentemente, i criteri adottati per il riparto delle risorse del FSR assicurarono nel 2011, sostanzialmente, per ciascun Comune un importo analogo a quello dei previgenti trasferimenti erariali.

  - Anno 2012

  Nell'anno 2012, il fondo sperimentale di riequilibrio continua ad essere teoricamente alimentato dal gettito totale o parziale di taluni tributi immobiliari, assorbendo anche la compartecipazione IVA. La dotazione del predetto fondo, tuttavia, oltre a recepire i tagli previsti dal Legislatore, registra anche il recupero del maggior gettito a favore dei Comuni riconducibile alla sostituzione della previgente ICI con l'IMU effettuata dall'articolo 13 del decreto legge n. 201 del 2011.

  La ripartizione del fondo sperimentale di riequilibrio (pari a complessivi 6.825,4 milioni di euro), sempre in un'ottica di salvaguardia degli equilibri di bilancio dei Comuni interessati, è operata in modo tale che ciascun Comune benefici comunque di un ammontare di risorse complessive sostanzialmente invariato, al netto dei tagli previsti dal Legislatore.

  In altri termini – al netto dei tagli – la somma attribuita a ciascun Comune a titolo di gettito IMU ad aliquota standard di propria spettanza (gettito IMU abitazioni principali e relative pertinenze, gettito IMU fabbricati rurali ad uso strumentale e 50% del gettito IMU sui restanti immobili) e a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio, corrisponde alla somma del previgente gettito ICI con il previgente ammontare dei trasferimenti statali fiscalizzati.

  - Anno 2013

  L'articolo 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 interviene nuovamente in materia attraverso la soppressione del fondo sperimentale di riequilibrio e l'istituzione del fondo di solidarietà comunale, il cui ammontare complessivo è fissato in modo tale da assicurare Pag. 38 l'invarianza finanziaria per Comuni e Stato. Conseguentemente, il nuovo fondo di solidarietà comunale è alimentato da una quota prefissata di gettito IMU ad aliquota standard di spettanza di ciascun Comune e da una quota di risorse a carico del bilancio dello Stato.

  Inoltre, la predetta legge n. 228 del 2012 stabilisce che ai Comuni sia attribuito tutto il gettito IMU ad eccezione di quello ad aliquota standard relativo agli immobili classificabili nella categoria catastale D riservato allo Stato.

  In conclusione, nell'anno 2013 il nuovo fondo di solidarietà comunale (nel complesso pari a 6.974,4 milioni di euro, di cui 169,3 milioni di euro versati dai cosiddetti comuni incapienti(1) ) – che, oltre ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario, interessa anche i Comuni delle Regioni Siciliana e Sardegna – continua ad assicurare l'invarianza delle risorse finanziarie complessive (gettito IMU ad aliquota standard di spettanza di ciascun Comune variato dell'importo del fondo di solidarietà comunale relativo al medesimo ente).

  - Anno 2014

  La legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, articolo 1, commi 639 e seguenti) è nuovamente intervenuta sulla materia riordinando la tassazione immobiliare, con l'istituzione della Imposta Unica Comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi: uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore (IMU), che non colpisce le abitazioni principali; l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali (TASI e TARI). Tale modifica, comunque, non ha inciso sui criteri di riparto del fondo di solidarietà comunale, ammontante a 6.339,9 milioni di euro, di cui 168 milioni di euro versati dai cosiddetti comuni incapienti, sostanzialmente confermati rispetto all'anno precedente(2) , pur considerando la sostituzione del gettito ad aliquota di base dell'IMU sull'abitazione principale (e relative pertinenze) che viene abolito con il gettito, ad aliquota di base pari all'uno per mille, della TASI su tutti gli immobili soggetti a tale imposta. A livello macro, i due importi sono sostanzialmente equivalenti, salvo differenze tra i singoli enti con conseguenti variazioni sulle assegnazioni del fondo per assicurare l'invarianza di risorse.

  - Anno 2015

  I commi 380-ter e 380-quater dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012, rispetto all'anno 2014 e limitatamente ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario (per le Regioni Siciliana e Sardegna non sono disponibili Pag. 39  i fabbisogni standard e le capacità fiscali), prevedono l'introduzione nel riparto del fondo di solidarietà comunale (4.778,7 milioni di euro di cui 399,9 milioni di euro versati dai cosiddetti comuni incapienti) di meccanismi perequativi finalizzati ad avviare il passaggio graduale dal criterio della distribuzione delle risorse in base alla spesa storica ad un criterio di distribuzione basato su fabbisogni standard e capacità fiscali (c.d. «risorse standard»), in una misura pari al 20 per cento della dotazione del fondo di solidarietà comunale stesso, in linea con la legge n. 42 del 2009.

  L'aspetto di maggior rilievo è riconducibile alla circostanza per cui, nel 2015, per la prima volta ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario, ferme restando le riduzioni legislativamente previste, non viene più assicurata l'invarianza delle risorse, prendendo avvio, anche se con effetti per ora contenuti, il più volte teorizzato processo di allontanamento dalla spesa storica a favore dei fabbisogni standard.

  Rispetto all'ipotesi di ripartire il 100 per cento del fondo con le «risorse storiche», tale nuovo criterio ha determinato, per i Comuni con fabbisogni standard superiori alle capacità fiscali, un aumento della quota del fondo di solidarietà comunale spettante (ovvero, in caso di enti incapienti una diminuzione delle somme da versare al fondo), per i Comuni con fabbisogni standard inferiori alle capacità fiscali, una riduzione della quota del fondo di solidarietà comunale (ovvero, in caso di incapienza, un incremento delle somme da versare).

  - Anno 2016

  Relativamente al fondo di solidarietà comunale 2016, pari a 6.442,7 milioni di euro, di cui 345 milioni di euro derivanti da ulteriori versamenti dei Comuni incapienti come sopra definiti, si segnala che nella seduta del 24 marzo 2016 della Conferenza Stato-città ed autonomie locali è stato raggiunto l'accordo sulle modalità di alimentazione e riparto del fondo stesso e che il relativo DPCM è in corso di adozione.

  In particolare, la legge di stabilità 2016 ha nuovamente innovato la tassazione immobiliare prevedendo il venir meno dell'imposizione immobiliare sulle abitazioni principali e relative pertinenze, nonché riformando la tassazione dei terreni agricoli.

  Il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ha stimato la perdita complessiva di gettito conseguente alle predette innovazioni in complessivi 3.767,45 milioni di euro, che sono stati appostati sul fondo di solidarietà comunale allo scopo di rimborsare ciascun Comune in misura corrispondente alla effettiva perdita di gettito. In altri termini, per il contributo in parola non operano i criteri di riparto ordinario del fondo di solidarietà comunale.

  La stessa legge di stabilità 2016 ha poi disposto una riduzione da 4.717,9 a 2.768,8 milioni di euro dell'alimentazione del fondo di solidarietà comunale a carico del gettito IMU di spettanza di ciascun Comune, con una corrispondente riduzione di 1.949,1 milioni di euro della dotazione del FSC 2016.

Pag. 40 

  Inoltre, una quota (80 milioni di euro) del fondo di solidarietà comunale è stata finalizzata al riconoscimento di un contributo ai Comuni con aliquota TASI effettiva inferiore a quella standard ed un'ulteriore quota di 9 milioni di euro del fondo è stata attribuita al Comune di Campione d'Italia.

  La restante dotazione del fondo di solidarietà comunale è stata ripartita, per i Comuni delle Regioni a statuto ordinario, per il 70% sulla base dello «storico» e per il 30% tenendo conto della differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscali per abitante. Per i Comuni delle Regioni Siciliana e Sardegna, in linea con il 2015, la quota del fondo spettante è assegnata esclusivamente sulla base del criterio «storico»(3) .

  Si riporta di seguito una breve tabella riassuntiva dell'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio/fondo di solidarietà comunale relativo agli anni considerati.

Fondo sperimentale riequilibrio

Fondo di solidarietà comunale(4)

  Anno 2011(5)
  (decreto Interno/Mef 21 giugno 2011).

11.264.914.591,29

  Anno 2012
  (decreto Interno/Mef 4 maggio 2012).

6.825.394.605,00

  Anno 2013
  (DPCM 13 novembre 2013).

6.974.344.596,18

  Anno 2014
  (DPCM 1° dicembre 2014).

6.339.884.208,94

  Anno 2015
  (DPCM 10 settembre 2015).

4.778.689.793,58

  Anno 2016

6.442.721.947,09

  - Conclusioni

  Nonostante un quadro legislativo estremamente mutevole, per cui il regime finanziario dei Comuni è stato modificato ogni anno, le risorse Pag. 41 a disposizione di ciascun Comune sono sostanzialmente variate, almeno fino all'anno 2014, solo per effetto dei tagli connessi alla revisione della spesa o al concorso alla finanza pubblica.

  Si ritiene che ancora non sia stata data risposta alla domanda fondamentale, ovvero individuare le giuste risorse per ciascun Comune, nel rispetto chiaramente dei vincoli di finanza pubblica; risposta che presuppone la corretta applicazione dei principi contenuti nella legge n. 42 del 2009 (individuazione dei livelli essenziali di prestazione, fabbisogni standard, entrate standard e fondo perequativo).

  Conseguentemente, la conclusione del processo di revisione del sistema di finanziamento degli enti locali – che, come evidenziato in precedenza, ha nella gradualità una peculiarità riconosciuta dallo stesso Legislatore – richiede obbligatoriamente la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che, unitamente ai fabbisogni standard e alle capacità fiscali, rappresentano un elemento imprescindibile per la presenza dei due fondi perequativi allo stato ancora non istituiti.

  In altri termini, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni non consente, allo stato, di disciplinare i fondi perequativi nei termini indicati dalla citata legge n. 42 del 2009 e, quindi, risulta sostanzialmente improprio individuare nel fondo di solidarietà comunale il fondo perequativo per le funzioni fondamentali previsto dalla legge medesima.

  È, peraltro, da evidenziare che la legge n. 42 del 2009, se da un lato stabilisce che il fondo perequativo per le funzioni fondamentali deve essere alimentato dalla fiscalità generale (articolo 13), dall'altro prevede espressamente (articolo 28) che l'attuazione della stessa legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita a livello europeo e non deve determinare, anche in relazione ai conseguenti decreti legislativi, nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Pertanto, dall'analisi delle disposizioni recate dalle due citate norme della legge n. 42 del 2009, si desume che la misura dell'alimentazione del fondo perequativo a carico della fiscalità generale dipenderà dalle scelte che saranno adottate in relazione ai livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

  Inoltre, occorre chiarire che la critica da più parti mossa al fondo di solidarietà comunale di essere alimentato esclusivamente dai Comuni attraverso il gettito dell'imposta municipale propria, e non anche dalla fiscalità generale, come previsto dalla legge n. 42 del 2009 in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali, non prende in considerazione quanto connesso all'attuazione delle diverse disposizioni in materia di revisione della spesa introdotte dal Legislatore a partire dall'anno 2010 ad oggi (articolo 16 del decreto legge n. 95 del 2012, articolo 47 del decreto legge n. 66 del 2014 e comma 435 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014).

Pag. 42 

Misure di finanza pubblica a carico degli Comuni per l'anno 2016 (dati in milioni di euro)

Articolo 14, comma 2, DL 78 del 2010

2.500

Articolo 28, comma 7, DL 201 del 2011

1.450

Articolo 16, comma 6, DL 95 del 2012

2.600

Articolo 9, DL 16 del 2014

118

Articolo 47, commi 8 – 13, DL 66 del 2014

563,4

Legge 190/2014

1.200

TOTALE

8.431,4

  In particolare, le predette disposizioni di revisione della spesa, nell'introdurre iniziative e strumenti volti a conseguire risparmi della spesa corrente dei Comuni (ad esempio riduzione del costo dei contratti di servizio, contenimento delle spese per acquisti di beni e servizi, ricorso alle centrali uniche di committenza, limitazioni delle spese di consulenza e per auto di servizio), hanno previsto effetti positivi sulla spesa corrente dei medesimi enti che, in un'ottica di contenimento della finanza pubblica, non sono stati lasciati nella disponibilità degli stessi per essere destinati ad incremento delle altre spese, ma acquisiti al Bilancio statale a titolo, per l'appunto, di contributo per il risanamento della finanza pubblica del comparto comunale, ferma restando la neutralità dell'operazione per i bilanci comunali stessi.

  Conseguentemente, la riduzione delle risorse erariali destinate al finanziamento del fondo di solidarietà comunale (originariamente al finanziamento del fondo sperimentale di riequilibrio dei comuni) è da considerarsi una mera scelta operativa, in un'ottica di semplificazione, di acquisizione dei predetti risparmi al Bilancio statale che, parimenti, si sarebbe potuta ottenere mantenendo inalterata la contribuzione erariale al fondo di solidarietà comunale e disponendo, parallelamente, l'obbligo per i Comuni interessati di versare le somme corrispondenti ai ripetuti risparmi di spesa al Bilancio statale, con evidente appesantimento contabile e gestionale.

  - Prospettive future

  Ciò premesso, con riferimento alle prospettive future del fondo di solidarietà comunale, si evidenzia che la quota del fondo stesso da distribuire sulla base della differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale per abitante è destinata ad incrementarsi, passando al 40% per l'anno 2017 e al 55% per l'anno 2018, dopo essere stata del 20 % per l'anno 2015 e del 30% per l'anno 2016. Inoltre, giova evidenziare che, nel corso dei recenti incontri in sede di Commissione tecnica per i fabbisogni standard e del tavolo tecnico Governo-ANCI per la definizione e il riparto del fondo di solidarietà comunale, sta emergendo la necessità di addivenire ad un aggiornamento della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard stessi, anche al fine di una loro Pag. 43 maggiore rappresentatività dei costi standard connessi alle funzioni fondamentali.

  Tale percorso, come già emerso nei primi incontri della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, dovrà necessariamente essere affiancato da un processo volto alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, con l'ottica generale di ricondurre il processo nel suo complesso nel binario dell'attuazione dei principi alla base della legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo municipale.

  - Decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario.

  Province e Città metropolitane

  Il d.lgs. n. 68 del 2011 disciplina, in attuazione della legge n. 42 del 2009, l'autonomia di entrata delle Province ubicate nelle Regioni a statuto ordinario e la conseguente soppressione di trasferimenti statali e regionali, in attesa della loro razionalizzazione. Viene, quindi, operata una revisione del quadro normativo esistente in materia di tributi delle Province correggendo alcune improprie stratificazioni.

  In particolare, a decorrere dall'anno 2012, l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato delle Province, con aliquota pari al 12,5 per cento e con la possibilità per le Province medesime di aumentare o diminuire l'aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali. Resta, poi, attribuita alle Province l'imposta provinciale di trascrizione con le modalità previste dalla vigente normativa.

  Alle Province viene, poi, attribuita una compartecipazione all'IRPEF in misura tale da compensare i trasferimenti statali aventi carattere di generalità e permanenza soppressi a decorrere dall'anno 2012, la cui individuazione è avvenuta con apposito DPCM 12 aprile 2012. La determinazione dell'aliquota della compartecipazione all'IRPEF delle Province delle Regioni a statuto ordinario è avvenuta, invece, con DPCM 10 luglio 2012 (0,60 per cento del gettito IRPEF).

  Tale gettito ha alimentato un Fondo sperimentale di riequilibrio, istituito a decorrere dall'anno 2012, per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle Province di autonomia di entrata.

  Allo stato attuale, il Fondo sperimentale di riequilibrio continua a permanere, ma, in considerazione delle misure di revisione della spesa intervenute nel corso degli anni, il comparto delle Province non riceve risorse da tale Fondo, in quanto, di fatto, risultano sempre debitrici nei confronti dell'Erario e, pertanto, versano al bilancio statale le somme dovute a titolo di concorso alla finanza pubblica.

Pag. 44 

  In realtà, il quadro legislativo di riferimento per i rapporti finanziari con le Province e le Città metropolitane va integralmente ridefinito, in quanto non più attuale alla luce della riforma contenuta nella legge n. 56 del 2014 e delle riduzione di risorse conseguenti.

  Peraltro, occorrerebbe avere chiarezza sulla portata del nuovo articolo 114 della Costituzione, come da riforma costituzionale recentemente approvata.

  Si riportano di seguito due prospetti: una breve tabella riassuntiva dell'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio provinciale relativo agli anni considerati, sostanzialmente finanziato dalle Province stesse, nonché una tabella riassuntiva del concorso cumulato del comparto provinciale alla finanza pubblica per l'anno 2016.

Misure di finanza pubblica a carico delle Province per l'anno 2016 (dati in milioni di euro)

Articolo 14, comma 2, DL 78 del 2010

500

Articolo 28, comma 8, DL 201 del 2011

415

Articolo 16, comma 7, DL 95 del 2012

1.250

Articolo 47, commi 1 – 7, DL 66 del 2014

585,7

Legge 190/2014

2.000

TOTALE

4.750,7

Pag. 45 

  Il decreto legislativo n. 68 del 2011 aveva stabilito che, a decorrere dall'anno 2013, ciascuna Regione a statuto ordinario avrebbe dovuto assicurare la soppressione di tutti i trasferimenti regionali, aventi carattere di generalità e permanenza, di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, di parte capitale, diretti al finanziamento delle spese delle Province. Si era previsto, poi, che ciascuna Regione a statuto ordinario determinasse con atto amministrativo, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d'intesa con le Province del proprio territorio, una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica spettante alla Regione, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai predetti trasferimenti regionali soppressi.

  La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con deliberazione del 22 novembre 2012 ha evidenziato che, fino al compimento del processo di riordino delle Province, non è possibile procedere all'applicazione del predetto processo di fiscalizzazione. Tale deliberazione è da ricondurre all'incertezza connessa al quadro delle risorse finanziarie di spettanza delle Province medesime.

  In particolare, le Regioni hanno manifestato difficoltà nella individuazione dei trasferimenti in favore delle Province che devono formare oggetto di fiscalizzazione, anche in considerazione della necessità di distinguere i trasferimenti in conto capitale finanziati tramite indebitamento, come richiesto dal decreto legislativo n. 68 del 2011.

  La mancata soppressione di tutti i trasferimenti regionali aventi carattere di generalità e permanenza, a sua volta, non consente di procedere alla definizione della compartecipazione delle Province alla tassa automobilistica.

  3) I trasferimenti in favore delle Regioni

  La legge n. 42 del 2009 e la concreta applicazione per le Regioni a statuto ordinario

  La legge n. 42 del 2009 ha definito un quadro piuttosto preciso in materia di autonomia impositiva delle Regioni individuando principi e criteri direttivi volti sostanzialmente a correggere i difetti strutturali di un sistema di finanziamento, che si configura come un modello di «finanza derivata» privo di adeguati criteri di responsabilizzazione finanziaria.

  Si è stabilito, pertanto, che le Regioni dispongono di entrate proprie (tributi e compartecipazioni al gettito di tributi erariali) in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle proprie funzioni.

  Un'importante novità introdotta dalla legge n. 42 del 2009, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, è il principio di territorialità che dovrà regolare le modalità di attribuzione alle Regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge statale e delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali. In particolare, si dovrà tener Pag. 46 conto del luogo di consumo (tributi aventi quale presupposto i consumi), della localizzazione dei cespiti (tributi basati sul patrimonio), del luogo di prestazione del lavoro (tributi basati sulla produzione), della residenza del percettore (tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche).

  Tali tributi dovranno, inoltre, garantire la copertura integrale della spesa valutata sulla base di costi e fabbisogni standard per le sole funzioni connesse ai livelli essenziali delle prestazioni, mentre per le altre funzioni il criterio di riferimento è costituito dalla perequazione delle capacità fiscali. Ciò, al fine di assicurare il graduale superamento del finanziamento delle funzioni in base al criterio della spesa storica.

  Il successivo decreto legislativo n. 68 del 2011 ha disciplinato nello specifico i principi e i criteri direttivi della legge n. 42 del 2009 per le Regioni. Si evidenzia, a tal proposito, che il decreto legge n. 78 del 2015 (articolo 9, comma 9) ha rinviato all'anno 2017 l'entrata in vigore dei meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali come disciplinati dal d.lgs. n. 68 del 2011, confermando per gli anni dal 2013 al 2016 i criteri di determinazione dell'aliquota di compartecipazione all'IVA di cui al d.lgs. n. 56 del 2000.

  Circa l'attuazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 68 del 2011, occorre precisare quanto segue.

  L'articolo 4 prevede che dall'anno 2017 il gettito derivante dall'aliquota di compartecipazione IVA – determinata con le modalità previste dal successivo articolo 15 (al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni in una sola Regione) – sia attribuito alle Regioni a statuto ordinario in conformità con il principio di territorialità, tenendo conto del luogo di consumo, identificato come il luogo in cui avviene la cessione di beni. L'applicazione di tale principio deve avvenire secondo criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

  L'articolo 7 ha previsto che a decorrere dall'anno 2017 siano soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle Regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali. Tali trasferimenti devono essere individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri entro il 31 luglio 2016, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze. In conseguenza della soppressione di tali trasferimenti, l'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche deve essere rideterminata in modo tale da garantire al complesso delle Regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi.

  L'articolo 13 ha previsto che la legge statale stabilisca le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Pag. 47 Costituzione, nelle materie diverse dalla sanità. Conseguentemente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente è effettuata la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale, nonché la ricognizione dei livelli adeguati del servizio di trasporto pubblico locale.

  Si prevede che, per tali finalità, la Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a., in collaborazione con l'ISTAT e il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO) delle Regioni, debba effettuare una ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le Regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, da trasmettere al Ministro dell'economia e delle finanze per la successiva comunicazione alle Camere. Tuttavia, tale ricognizione non risulta effettuata, per cui non sono ancora stati definiti i livelli essenziali delle prestazioni nelle materie diverse dalla sanità.

  L'articolo 15, infine, ha stabilito, con decorrenza dall'anno 2017, le modalità di finanziamento delle spese regionali, con distinzione tra spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e altre spese e con l'istituzione di appositi fondi perequativi.

  Tale disposizione ha stabilito i seguenti adempimenti:

  Valutazione del gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF (per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni) su base imponibile uniforme, con le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

  Determinazione della percentuale di compartecipazione all'IVA al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola Regione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

  Istituzione di un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni Regione il finanziamento integrale delle spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni. Tali spese devono essere computate inizialmente in base ai valori di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti, per convergere gradualmente, nei successivi quattro anni verso i costi standard. Le modalità della convergenza sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale.

  Assegnazione di quote di fondo perequativo per il finanziamento delle altre spese per cui le Regioni con maggiore capacità fiscale (gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF superiore al gettito medio nazionale per abitante) alimentano il fondo perequativo, mentre le altre con minore capacità fiscale partecipano alla ripartizione del Pag. 48 medesimo fondo, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale per abitante. Le modalità di convergenza della perequazione verso le capacità fiscali e di funzionamento del fondo perequativo sono stabilite con decreto di natura regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

  I provvedimenti di cui ai punti sopra evidenziati, concernenti sostanzialmente la definizione della perequazione regionale, potranno essere definiti soltanto dopo aver individuato i livelli essenziali delle prestazioni e i correlati costi standard nelle materie diverse dalla sanità, nonché dopo aver dato attuazione ai citati articoli 4 (principio di territorialità nell'attribuzione del gettito IVA) e 7 (fiscalizzazione dei trasferimenti aventi carattere di generalità e permanenza).

  I trasferimenti finanziari più significativi, a legislazione vigente, in favore delle Regioni riguardano il settore sanitario, il fondo sviluppo e coesione, il trasporto pubblico locale e altre tipologie, che vanno, tra l'altro, dal diritto allo studio, al fondo per le politiche sociali, dal fondo per le non autosufficienze, all'edilizia scolastica.

  Il finanziamento del settore sanitario

  Il Servizio Sanitario Nazionale è finanziato, sulla base della normativa attualmente vigente, secondo i criteri stabiliti dal decreto legislativo n. 56 del 2000. Conseguentemente, lo Stato, nell'individuare il fabbisogno sanitario ritenuto congruo per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza, garantisce alle Regioni a statuto ordinario l'integrale finanziamento dello stesso, mediante le entrate proprie (tickets), i gettiti derivanti dall'IRAP e dall'addizionale regionale all'IRPEF valutate ad aliquota base e, fino a concorrenza del fabbisogno medesimo, mediante l'attribuzione alle Regioni di risorse a titolo di compartecipazione all'IVA.

  Le componenti del finanziamento del Servizio sanitario nazionale vincolate per legge ad obiettivi specifici (a titolo di esempio, si richiamano gli obiettivi del Piano sanitario nazionale di cui all'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n. 662 del 1996) sono finanziate a valere sul capitolo del Bilancio statale denominato fondo sanitario nazionale.

  In considerazione del fatto che i valori di gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF considerati per l'anno di riferimento costituiscono valori stimati, qualora i gettiti effettivi risultino inferiori ai gettiti stimati, il differenziale è assicurato dal fondo di garanzia di cui all'articolo 13 del d.lgs. n. 56 del 2000, istituito proprio al fine di compensare le Regioni a statuto ordinario delle eventuali minori entrate dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF (corrispondentemente l'eventuale maggiore gettito fiscale effettivo rispetto al gettito stimato è recuperato dallo Stato).

  Il decreto legislativo n. 68 del 2011 (non ancora attuato, limitatamente alla predisposizione delle nuove fonti di finanziamento, fino all'anno 2016 compreso, ma già vigente per il settore sanitario in Pag. 49 materia di modalità di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard) inserisce la sanità fra gli ambiti di spesa caratterizzati dalla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il cui finanziamento, ai sensi del richiamato articolo 15 del medesimo decreto legislativo n. 68 del 2011, dovrà essere assicurato dalla compartecipazione all'IVA, dall'IRAP, dall'addizionale regionale all'IRPEF e dal fondo perequativo, nei termini sopra indicati (oltre che dalle entrate proprie del settore, nella misura indicata dallo stesso articolo 15). Per la sanità restano comunque ferme, ai sensi dell'articolo 3 del richiamato decreto legislativo n. 68 del 2011, le disposizioni vigenti in materia di quota premiale e relativa erogabilità (quota del finanziamento condizionata alla verifica positiva degli adempimenti stabiliti), le disposizioni in materia di finanziamento di specifici obiettivi di piano sanitario nazionale (di cui alla citata legge n. 662 del 1996) e di fondo di garanzia e di recuperi di cui al richiamato articolo 13 del decreto legislativo n. 56 del 2000.

  Come sopra accennato, il decreto legislativo n. 68 del 2011 (articoli 27 e successivi) reca la disciplina dei fabbisogni standard nel settore sanitario, finalizzata ad incentivare comportamenti «virtuosi», volti a perseguire recuperi di efficienza ed efficacia nella erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per garantire un miglioramento strutturale degli equilibri di bilancio e massimizzare il soddisfacimento dei bisogni sanitari dei cittadini compatibilmente con le risorse complessivamente disponibili per lo svolgimento delle funzioni sanitarie.

  Nel procedimento di determinazione dei fabbisogni standard, risulta prioritaria la determinazione della quota di ricchezza da destinare al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, ovvero il fabbisogno sanitario nazionale standard, da definire in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria e nell'ambito del quale sono poi fissati i fabbisogni regionali standard.

  La quantificazione dei singoli fabbisogni standard regionali si basa sul calcolo del costo standard sanitario pro capite individuato nelle Regioni benchmark, che esprime il costo di erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, efficacia ed appropriatezza. I costi standard sono computati a livello aggregato per ciascuno dei tre macro-livelli di assistenza: assistenza collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera.

  Sono Regioni benchmark le tre Regioni, tra cui obbligatoriamente la prima, scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque indicate dal Ministro della salute, in quanto migliori cinque Regioni individuate in base a criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza, definiti con Delibera del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2012.

  Le Regioni benchmark devono comunque soddisfare i seguenti requisiti:

   a) aver garantito l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

Pag. 50 

   b) aver garantito l'equilibrio economico-finanziario del bilancio sanitario regionale con le risorse ordinarie;

   c) non essere assoggettate a piano di rientro;

   d) risultare adempienti alla valutazione operata dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali con riferimento all'ultimo anno per il quale risulti completato il procedimento di verifica annuale.

  Nella seguente tabella sono indicati gli importi del fondo sanitario nazionale dal 2002 al 2015 e le relative delibere CIPE di riparto.

  Si riporta di seguito la Tabella contenuta nella Delibera CIPE n. 53 del 2015, recante il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale per l'anno 2014.

Pag. 51 

  Il finanziamento del trasporto pubblico locale

  Il trasporto pubblico locale è finanziato mediante un fondo alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise su benzina e gasolio, ai sensi dell'articolo 16-bis del decreto legge n. 95 del 2012. La dotazione di tale fondo è determinata annualmente applicando le aliquote stabilite dall'apposito DPCM 26 luglio 2013 alle previsioni annuali di gettito delle accise su benzina e gasolio.

  In merito, occorre ricordare che la scelta del Legislatore di alimentare il predetto fondo mediante il gettito delle accise su benzina e gasolio si discosta da quanto precedentemente stabilito dal d.lgs n. 68 del 2011, che aveva previsto che i trasferimenti erariali in favore delle Regioni, incluso il finanziamento del trasporto pubblico locale, fossero fiscalizzati mediante un incremento dell'addizionale regionale all'IRPEF.

  Alle Regioni a statuto ordinario viene erogata un'anticipazione pari al 60 per cento della dotazione del fondo entro il mese di agosto. Le rimanenti spettanze sono erogate nei mesi successivi.

  Allo scopo di incentivare le Regioni a riprogrammare i servizi secondo criteri oggettivi (ed uniformi a livello nazionale) di efficientamento e razionalizzazione, il citato articolo 16 bis ha previsto che una quota pari al 10 per cento del Fondo complessivo, da incrementarsi nel tempo, sia attribuito alle Regioni che abbiano conseguito gli obiettivi di efficientamento di cui al DPCM 11 marzo 2013 (aumento annuale del «load factor» calcolato attraverso l'incremento del numero di passeggeri trasportati su base regionale; incremento del rapporto calcolato su base regionale tra ricavi da traffico e la somma dei ricavi da traffico e dei corrispettivi di servizio al netto della quota relativa all'infrastruttura; mantenimento o incremento dei livelli occupazionali di settore) Pag. 52 sulla base dei dati trasmessi all'Osservatorio del trasporto pubblico locale.

  Per le Regioni che non abbiano conseguito tali obiettivi, le decurtazioni previste sono applicate a valere sull'anticipazione del 60 per cento del Fondo erogata l'anno successivo a quello di rilevazione del conseguimento degli obiettivi di efficientamento.

  La ratio della disposizione è quella di realizzare la progressiva rispondenza tra offerta e domanda di trasporto in un'ottica di efficienza e qualità, superando la cristallizzazione dei servizi e della spesa storica con l'eliminazione di sovrapposizioni non giustificate e liberando risorse per migliorare qualitativamente e quantitativamente i servizi a domanda elevata. A tal fine, le Regioni hanno approntato i rispettivi piani di ristrutturazione del servizio.

  In sede di attuazione della delega di cui agli articoli 16 e 19 della legge n. 124 del 2015, sono state introdotte modifiche a tale disciplina, individuando altri criteri di ripartizione del Fondo nazionale del trasporto pubblico locale.

  In particolare, lo schema di decreto legislativo recante «Testo Unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale» (SIEG), approvato preliminarmente dal Consiglio dei ministri nella seduta del 20 gennaio 2016 e attualmente all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, prevede che una quota pari complessivamente al 20 per cento – quota che dovrà progressivamente aumentare nel tempo – venga attribuita sulla base dei proventi complessivi da traffico e dei costi standard.

  Al fine, poi, di incentivare l'affidamento dei servizi con gara, il citato provvedimento prevede la riduzione delle risorse del Fondo da trasferire alle Regioni qualora i servizi di trasporto pubblico locale non siano affidati con procedure ad evidenza pubblica, con ciò penalizzando le Regioni che non procedano alla tempestiva adozione delle nuove procedure.

  Le Regioni dovranno poi provvedere alla determinazione di adeguati livelli di servizio, per cui, in caso di inadempienza, è previsto l'intervento dello Stato, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 131 del 2003.

  Nella seguente tabella sono indicati gli stanziamenti e le erogazioni per gli anni 2013-2015 del Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale:

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  Il Fondo per lo sviluppo e la coesione

  Il decreto attuativo della legge n. 42 del 2009 per la parte relativa agli interventi speciali (d.lgs. n. 88 del 2011) ha previsto che il Fondo per le aree sottoutilizzate (articolo 61 della legge n. 289 del 2002), assuma la denominazione di «Fondo per lo sviluppo e la coesione» e sia finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale, contribuendo, in conformità al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, al conseguimento delle seguenti finalità:

  - promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale;

  - rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese;

  - favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona.

  Il Fondo ha carattere pluriennale in coerenza, con l'articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, garantendo l'unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi strutturali dell'Unione europea.

  Il Fondo è destinato a finanziare interventi speciali dello Stato e l'erogazione di contributi speciali, a garantire il finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale, ovvero realizzativa tra quelli funzionalmente connessi, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale.

  Per quanto riguarda la programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, il citato d.lgs. n. 88 del 2011 prevede che il Documento di economia e finanza, adottato nell'anno precedente a quello di inizio del ciclo di programmazione dei fondi europei, determini – in relazione alle previsioni macroeconomiche, con particolare riferimento all'andamento del PIL, e di finanza pubblica e coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica – l'ammontare delle risorse da destinare agli interventi finanziati con il Fondo. Con riferimento agli esercizi successivi, il Documento di economia e finanza può rideterminare l'ammontare delle risorse anche in considerazione del grado di realizzazione finanziaria e fisica degli investimenti finanziati con gli stanziamenti già destinati. Nella Nota di aggiornamento del Documento Pag. 54 di economia e finanza sono indicati gli obiettivi di convergenza economica delle aree del Paese a minore capacità fiscale, con particolare riferimento al graduale conseguimento, nelle medesime aree, dei livelli delle prestazioni e del livello dei costi di erogazione dei servizi standardizzati secondo quanto previsto dai decreti attuativi della legge n. 42 del 2009, valutando l'impatto macroeconomico e gli effetti, in termini di convergenza, delle politiche di coesione e della spesa ordinaria destinata alle aree svantaggiate. Sulla base di quanto indicato dal Documento di economia e finanza, è previsto che la legge di stabilità relativa all'esercizio finanziario che precede l'avvio del nuovo ciclo pluriennale di programmazione provveda a stanziare risorse aggiuntive riferite all'intero periodo di programmazione, compatibilmente con il rispetto dei vincoli di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica. Sempre con la legge di stabilità si provvede alla ripartizione della dotazione finanziaria complessiva per quote annuali e al relativo aggiornamento, in relazione all'andamento stimato della spesa in base all'avanzamento degli interventi finanziati in corso di realizzazione.

  Per il periodo di programmazione 2014-2020, in attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione e in coerenza con il d.lgs. n. 88 del 2011, la legge

  n. 147 del 2013 – Legge di stabilità per l'anno 2014 (art. 1, c. 6) ha determinato la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione in 54.810 milioni di euro, destinati a interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord. Con la medesima disposizione è stata disposta l'iscrizione in bilancio dell'80% di tale ammontare.

  Con la legge n. 190 del 2014 – Legge di stabilità per l'anno 2015 – è stata ridefinita la cornice di programmazione delle risorse FSC 2014-2020, con specifici elementi di riferimento strategico, di governance e di procedura. In particolare, il comma 703 ha previsto che la dotazione finanziaria del FSC sia impiegata per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali, anche con riferimento alla «Strategia nazionale di specializzazione intelligente», come definita dalla Commissione europea nell'ambito delle attività di programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei, nonché alle programmazioni di settore, tenendo conto in particolare di quelle previste dal Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013. Per ciascuna area tematica nazionale sono, quindi, definiti, da apposita Cabina di regia, composta da rappresentanti delle Amministrazioni centrali, regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, articolati e specifici piani operativi con l'indicazione dei risultati attesi e delle azioni e dei singoli interventi necessari al loro conseguimento, con relativa stima finanziaria, dei soggetti attuatori a livello nazionale e regionale, dei tempi di attuazione e delle modalità di monitoraggio, nonché dell'articolazione annuale dei fabbisogni finanziari fino al terzo anno successivo al termine della programmazione 2014-2020 in coerenza con l'analoga articolazione dello stanziamento per ogni area tematica nazionale.

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  I piani operativi devono tener conto della destinazione ai territori delle Regioni del Mezzogiorno di un importo non inferiore all'80% della dotazione complessiva.

  La ripartizione per aree tematiche nazionali e la successiva approvazione dei singoli piani operativi sono attribuite al CIPE.

  Lo stesso comma 703 ha, inoltre, previsto che – nelle more dell'individuazione delle aree tematiche e dell'adozione dei piani operativi e su proposta dell'Autorità politica per la coesione – il CIPE possa approvare, in anticipazione della programmazione complessiva e con assegnazione delle risorse necessarie, Piani stralcio per la realizzazione di interventi ad immediato avvio dei lavori destinati a confluire nei piani operativi, in coerenza con le aree tematiche cui afferiscono.

  Nel corso degli anni 2014 e 2015 sono stati previsti, sia per il finanziamento di Piani stralcio da parte del CIPE che in attuazione di disposizioni normative, anche con delibere del CIPE, utilizzi di risorse FSC 2014-2020 per un importo complessivo di oltre 4 miliardi di euro.

  Nel corso del 2015 è stato dato avvio alla modalità prevista dal citato comma 703 per l'utilizzo delle risorse FSC iscritte sul bilancio dello Stato (cap. 8000/MEF), attraverso il trasferimento in apposita contabilità del Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sulla base dei fabbisogni finanziari in relazione alle esigenze di spesa. Il Ministero dell'economia e delle finanze assegna le risorse trasferite alla suddetta contabilità in favore delle Amministrazioni responsabili dell'attuazione dei Piani approvati dal CIPE e provvede a effettuare i pagamenti secondo le procedure stabilite dalla citata legge n. 183 del 1987 e dal regolamento di cui al DPR 29 dicembre 1988, n. 568.

  In particolare, a valere sugli stanziamenti afferenti alla programmazione 2014-2020, nel corso del 2015 sono stati disposti trasferimenti per un importo complessivo di 100 milioni di euro, di cui 51 milioni in conto competenza 2015 e 49 milioni in conto residui.

  Ulteriori tipologie di trasferimenti

  - Istruzione:

  1. Diritto allo studio: il fondo integrativo per la concessione di borse di studio è stato istituito con il d.lgs. n. 68 del 2012 e concorre alla copertura del fabbisogno finanziario necessario per garantire gli strumenti ed i servizi per il pieno successo formativo in ambito universitario, assieme alle risorse regionali e al gettito derivante dalla tassa per il diritto allo studio.

  Il fondo è ripartito con apposito DPCM su proposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza Stato – Regioni. Nelle more dell'adozione del DPCM, il Ministero procede mediante acconti sulla base di riparti provvisori, mentre il saldo è generalmente erogato verso la fine dell'anno successivo una volta pubblicato il DPCM recante il riparto definitivo. Maggiori dettagli Pag. 56 potranno essere forniti dal competente Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

  2. Edilizia scolastica: nel Fondo unico per l'edilizia scolastica, istituito dall'anno 2013 con decreto legge n. 179 del 2012 (articolo 11, comma 4-sexies) confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica. Le assegnazioni a valere sul Fondo vengono effettuate sulla base dei piani regionali trasmessi al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nonché della capacità di spesa dimostrata dagli enti locali in ragione della tempestività, dell'efficienza e dell'esaustività dell'utilizzo delle risorse loro conferite nell'annualità precedente. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, verificati i piani trasmessi dalle Regioni e dalle Province autonome, in assenza di osservazioni da formulare li approva e ne dà loro comunicazione ai fini della relativa pubblicazione, nei successivi trenta giorni, nei rispettivi Bollettini ufficiali. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla Struttura di missione per l'edilizia scolastica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
  3. Fornitura gratuita di libri di testo: il contributo è finalizzato a consentire ai Comuni la possibilità di garantire la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo in favore degli alunni che adempiono l'obbligo scolastico in possesso dei requisiti richiesti, nonché la fornitura di libri di testo da dare anche in comodato agli studenti della scuola secondaria superiore in possesso dei requisiti richiesti. Il riparto avviene con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, mentre l'effettiva erogazione è effettuata dal Ministero dell'interno in favore delle Regioni, o, salvo diverso accordo con le Regioni medesime, direttamente ai Comuni. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

  - Politiche abitative

  4. Sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione: il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione è stato istituito con legge n. 431 del 1998 per la concessione ai conduttori aventi i requisiti minimi di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione dovuti ai proprietari degli immobili, di proprietà sia pubblica sia privata, e per sostenere le iniziative intraprese dai Comuni e dalle Regioni tese a favorire la mobilità nel settore della locazione, attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione a canoni concordati, ovvero attraverso la rinegoziazione delle locazioni esistenti. Il fondo è ripartito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza Stato – Regioni, sulla base dei criteri fissati con apposito decreto. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  5. Inquilini morosi incolpevoli: il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli è stato istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con decreto legge n. 102 del 2013. Le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei Comuni ad alta tensione abitativa che abbiano avviato bandi o altre procedure amministrative per l'erogazione Pag. 57  di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli. Il riparto avviene con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato – Regioni. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

  - Politiche sociali e assistenza

  6. Fondo nazionale per le politiche sociali: il fondo è stato istituito con legge n. 328 del 2000 per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale. Il riparto avviene con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri interessati, d'intesa con la Conferenza unificata. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  7. Fondo per le non autosufficienze: il fondo è stato istituito con legge n. 296 del 2006 al fine di garantire l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti. Il riparto avviene con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, il Ministro con delega alle politiche della famiglia e il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Unificata. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  8. Fondo per il diritto al lavoro dei disabili: il fondo è stato istituito con legge n. 68 del 1999 per le concessioni di contributi ai datori di lavoro per l'assunzione di lavoratori disabili. Il riparto avviene con decreti annuali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei criteri stabiliti con DM 27 ottobre 2011. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  – Ulteriori interventi

  9. Soggetti danneggiati da trasfusioni: il contributo, stanziato con l'articolo 1, comma 186, della legge n. 190 del 2014, è volto a dare attuazione alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 settembre 2013, prevedendo che le Regioni debbano utilizzare annualmente il contributo almeno per una quota non inferiore al 50 per cento, per il pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (soggetti danneggiati da trasfusioni ed emoderivati) fino al 31 dicembre 2011 e, per la restante quota, a compensazione degli oneri finanziari derivanti dalla corresponsione dei citati indennizzi, a decorrere dal 1° gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014.
  10. Edilizia sanitaria: il fondo è finalizzato a dare esecuzione ad un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, ai sensi della legge n. 67 del 1988 (articolo 20). Il finanziamento è erogato alle Regioni sulla base dello stato di avanzamento lavori del programma degli interventi da esse predisposto in accordo con il Ministero della salute, in cui sono specificati i progetti da realizzare. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero della salute. Pag. 58 
  11. Agricoltura: sono previste somme da assegnare alle Regioni per interventi nel campo del miglioramento genetico del bestiame, nei settori dell'agricoltura, dell'agroindustria e delle foreste e di altre attività trasferite in attuazione del decreto legislativo n. 143 del 1997. Il riparto avviene con decreti annuali del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Maggiori dettagli potranno essere forniti dal competente Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

  Si rappresenta che tra i trasferimenti sopra indicati, sono da considerarsi a regime e, quindi, eventualmente fiscalizzabili senza problemi di copertura i seguenti: diritto allo studio, libri di testo, fondo inquilini morosi incolpevoli, politiche sociali, non autosufficienze, diritto al lavoro dei disabili, agricoltura.

  Si allega un prospetto che evidenzia gli stanziamenti e le erogazioni dei citati interventi per gli anni 2013-2015.

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  Prospettive future per le Regioni a statuto ordinario

  Ai fini della compiuta attuazione del federalismo regionale, si auspica l'avvio di Tavoli di confronto con le Amministrazioni statali e regionali interessate, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di dare attuazione alle citate disposizioni di cui al d.lgs. n. 68 del Pag. 61 2011 ed eventualmente verificare la necessità di introdurre correttivi per adeguare tale normativa alle mutate esigenze di finanza pubblica.

  Presupposto necessario è la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei correlati costi standard nei settori diversi da quello sanitario, con l'obiettivo di calcolare in maniera equa l'entità delle risorse di riferimento per ciascun ente per il finanziamento delle funzioni attribuite.

  4) Regioni a statuto speciale

  Le Autonomie speciali: assetto costituzionale e autonomia statutaria

  Le Regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Siciliana, Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta sono enti a diritto differenziato, cui l'articolo 116 della Costituzione riconosce «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale», specificando che la Regione Trentino Alto Adige «è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano».

  Com'è noto, tra i motivi che hanno giustificato l'istituzione e il mantenimento dei predetti enti territoriali, assumono particolare rilievo le peculiari condizioni storiche, sociali, culturali ed economiche delle due isole maggiori e delle tre Regioni di confine.

  Con gli Statuti di autonomia, si sono conferite alle Regioni a statuto speciale potestà legislative e funzioni amministrative, ma anche e soprattutto le risorse per il finanziamento delle spese derivanti dalle funzioni trasferite o delegate.

  Le fonti di finanziamento sono costituite principalmente dalla quasi totalità del gettito fiscale prodotto nell'ambito territoriale di ciascuna Regione e sono garantite da norme costituzionali (gli statuti) o di rango costituzionale (le norme di attuazione).

  Le quote di compartecipazione ai tributi erariali previste dagli statuti variano da caso a caso, presentando elementi di «specialità nella specialità» che in parte dipendono dalle caratteristiche proprie degli statuti e delle norme di attuazione (funzioni svolte e relativi oneri), in parte dalle capacità negoziali differenziate che sembrano riflettere le diverse condizioni economico/politiche.

  Le predette quote di compartecipazione sono determinate in base al:

  1. gettito riscosso o versato nell'ambito del territorio regionale o provinciale, che tiene conto esclusivamente del luogo di versamento del tributo;
  2. gettito maturato, ovvero afferente al territorio regionale o provinciale anche se versato fuori dal medesimo territorio per esigenze amministrative. Per l'IVA il gettito maturato è determinato sulla base del gettito nazionale, assumendo a riferimento i consumi finali delle famiglie rilevati dall'ISTAT a livello regionale o provinciale rispetto a quelli rivelati a livello nazionale; Pag. 62 
  3. gettito immesso in consumo, che tiene conto del prodotto immesso sul mercato. Si tratta del gettito riferibile ai prodotti soggetti ad accisa, in applicazione della normativa comunitaria di settore.

  Gli ordinamenti finanziari delle varie Autonomie speciali non sono armonizzati. Un'analisi che faccia riferimento solo ai decimi di compartecipazione, prescindendo dai criteri di determinazione del gettito, è parziale e fuorviante: a titolo esemplificativo, si segnala che i 10/10 dell'IRPEF spettanti alla Regione Siciliana in base al criterio del gettito riscosso nell'ambito del suo territorio corrispondono a circa 5,3/10 del gettito IRPEF maturato nel medesimo territorio.

  Nelle seguenti tabelle, per ciascuna Autonomia speciale, sono indicati i decimi di compartecipazione delle entrate tributarie erariali spettanti, nonché i relativi criteri di determinazione del gettito.

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  Ciò premesso, spostando lo sguardo agli effetti che si sono prodotti, trascorsi circa 70 anni dalla nascita delle Autonomie speciali, non può Pag. 65 non rilevarsi come qualche indubbia situazione di criticità si sia evidenziata. Basti pensare, ad esempio:

    1) ai differenti livelli dei servizi erogati ai residenti;

    2) alla sostanziale difficoltà di far concorrere le Autonomie speciali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base ai rispettivi ordinamenti finanziari;

    3) agli elementi di concorrenza fiscale di cui sono dotate le Autonomie speciali.

  Per quanto riguarda il primo punto, la spesa pubblica consolidata pro-capite nelle Autonomie speciali del Nord fra il 2011 e il 2013 risulta sensibilmente superiore alla media nazionale, mentre è ridotta rispetto a tale media in Sicilia e Sardegna. Il differenziale rispetto alla media nazionale, seppure non restituisce valori in merito all'efficienza e all'efficacia della spesa, va, comunque, analizzato anche alla luce del residuo fiscale (differenza tra entrate pro-capite e spesa pro-capite) che è negativo, per l'appunto, in Sicilia e Sardegna.

  In merito al secondo punto, ovvero la difficoltà di far concorrere le Autonomie speciali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, va evidenziato come i rimedi giurisdizionali siano stati attivati dalle Autonomie speciali anche nei casi in cui la gravissima crisi finanziaria internazionale ha portato il Paese in una situazione di disequilibrio dei conti pubblici a cui si poteva porre rimedio solo mediante manovre finanziare di grande impatto che coinvolgessero tutti i livelli di governo.

  Con riferimento al terzo punto, peculiari potestà in materia tributaria consentono alle autonomie di attrarre sul proprio territorio nuovi contribuenti attraverso incentivi fiscali ed aliquote agevolate («dumping fiscale»).

  La legge n. 42 del 2009 e la concreta applicazione per le Regioni a statuto speciale

  La legge delega 5 maggio 2009, n. 42, nel dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione, cerca di coniugare autonomia tributaria e solidarietà, ponendo attenzione all'esigenza di una gestione efficiente delle risorse da parte di tutti i livelli di governo.

  L'articolo 27 della citata legge 42 del 2009 richiama gli obblighi di perequazione e solidarietà, nonché il rispetto del patto di stabilità interno e l'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, rinviando, per quanto riguarda i criteri e le modalità di partecipazione delle Regioni a statuto speciale, alle norme di attuazione degli statuti speciali.

  Il comma 2 del medesimo articolo 27 prevede che «le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva» e introduce la necessità che vengano adottati standard comparativi che consentano una valutazione sull'attualità Pag. 66 degli ordinamenti finanziari e sulla loro idoneità alla copertura finanziaria delle funzioni esercitate o da trasferire.

  I principi del federalismo fiscale per le Autonomie speciali, come si evince dalla sentenza n. 201 del 2010 della Corte Costituzionale, non sono direttamente desumibili dagli articoli cui devono riferirsi i decreti legislativi delegati per l'attuazione del federalismo fiscale, ma devono essere definiti nell'ambito più corretto della normativa di attuazione statutaria.

  Nel merito, già la COPAFF (Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale) aveva evidenziato, nella Relazione del 30 giugno 2010, la necessità di estendere alle Autonomie speciali i principi generali ricavabili dalla legge n. 42 del 2009, quali la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, del fabbisogno standard, il superamento della spesa storica, la perequazione, la solidarietà, con strumenti diversi dai decreti legislativi delegati.

  Il decreto legislativo n. 68 del 2011 ha previsto, all'articolo 31, l'estensione, con la procedura di cui al citato articolo 27, agli enti locali appartenenti ai territori delle Autonomie speciali, dell'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010. Tuttavia, tale procedura non è stata attuata, per cui per le Autonomie speciali e i loro enti locali, i costi e fabbisogni standard non risultano definiti.

  In questo contesto si collocano gli Accordi siglati tra le Autonomie speciali e lo Stato tra il 2009 e il 2010 e nel 2014, che hanno avviato il percorso di adeguamento ai principi ispiratori della legge n. 42 del 2009, ovvero gli obiettivi di perequazione nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica. Si allega il seguente prospetto che sintetizza gli Accordi siglati tra lo Stato e le Autonomie speciali.

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  Prospettive future per le Autonomie speciali

  Anche per le Autonomie speciali, la questione è quella di definire quale è il giusto livello di risorse per un dato insieme di funzioni, verificando se nella distribuzione dei fondi tra i diversi enti territoriali si è operata una corretta allocazione e se le manovre hanno corretto o correggono in modo soddisfacente le situazioni di disequilibrio.

  Per la verifica di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte, è ineludibile il passaggio alla misurazione comparata dei costi e fabbisogni standard per le Regioni a Statuto speciale, affinché l'orizzonte di riferimento dell'Accordo sia «costituito dalle diverse componenti delle relazioni finanziarie che, nel loro complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale.» (Sentenza della Corte Costituzionale n. 19 del 2015)

  L'esigenza di procedere ad una revisione sistematica degli Statuti speciali e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria necessaria per dare certezza ai rapporti finanziari tra lo Stato e le Autonomie speciali è correlata anche all'esigenza di individuare criteri di determinazione del gettito da attribuire alle singole Autonomie speciali tali da non comportare duplicazioni di oneri per il Bilancio dello Stato.

  Tale esigenza nasce dalla circostanza che gli ordinamenti finanziari dei singoli enti a diritto differenziato, emanati in un arco temporale molto ampio, spesso, come sopra evidenziato, non risultano coerenti tra di loro e non risultano adeguati al mutato quadro normativo statale, come, ad esempio, alle modifiche intervenute nelle modalità di riscossione, anche a seguito dell'introduzione del versamento unificato e della possibilità di compensazione tra tributi diversi, che possono aver modificato l'ammontare del gettito a livello regionale.

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  Tale revisione non può che ispirarsi ai principi che, con specifico riferimento al predetto articolo 27, riguardano gli «obiettivi di perequazione e di solidarietà», l’«assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario», il «principio del graduale superamento del criterio della spesa storica» cui, peraltro, si lega la definizione condivisa fra i vari livelli di governo dei costi e dei fabbisogni standard per l'intero territorio nazionale.

  5) Trasferimenti per interventi UE e complementari

  I trasferimenti delle risorse agli enti territoriali, relativamente al settore degli interventi cofinanziati dall'Unione europea, riguardano, nel periodo 2010-2015, prevalentemente i fondi strutturali, inerenti la programmazione 2007-2013 e quella 2014-2020.

  Le risorse in questione sono allocate nell'ambito di specifici programmi operativi, a titolarità delle amministrazioni centrali (PON) e regionali (POR) e concorrono a realizzare gli obiettivi prioritari definiti dalla normativa comunitaria. Tali risorse riguardano la quota contributiva a carico del bilancio UE e quella riguardante il corrispondente cofinanziamento nazionale.

  Dal punto di vista delle procedure finanziarie, al trasferimento delle risorse provvede il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie istituito presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato dalla legge 16 aprile 1987 n. 183.

  Il predetto Fondo di rotazione svolge le seguenti principali funzioni:

  - acquisire dall'UE le risorse comunitarie destinate all'Italia e provvedere al loro trasferimento in favore delle amministrazioni centrali e regionali titolari dei programmi;

  - assegnare il corrispondente cofinanziamento statale dei programmi UE e provvedere al relativo trasferimento in favore delle amministrazioni titolari dei programmi.

  Ciò premesso, nella tabella sottostante sono riportati i dati relativi ai trasferimenti disposti dal citato Fondo di rotazione in favore di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni per quanto riguarda il cofinanziamento statale e le risorse comunitarie per gli anni dal 2010 al 2015.

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(Dati in euro)

  In aggiunta alle predette risorse, il Fondo di rotazione ha in gestione anche le risorse del cosiddetto «Piano Azione Coesione (PAC)», attivato ai sensi dell'art. 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale dei programmi UE 2007/13 e destinate a realizzare gli interventi di sviluppo socio-economico a titolarità di amministrazioni centrali e regionali, per un ammontare complessivo di circa 8,1 miliardi di euro.

  Nella sottostante tabella sono esposti i dati dei trasferimenti in favore di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, effettuati a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie.

(Dati in euro)

  Infine, il citato Fondo di rotazione gestisce, a decorrere dal 1/1/2015, anche le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione ai sensi dell'art. 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

  Nel seguente prospetto sono riportati i trasferimenti disposti dal Fondo di rotazione ai sensi della predetta norma.

Pag. 70 

(Dati in euro)
APPENDICE – DATI FINANZIARI

  A. Trasferimenti dalle Regioni agli enti locali

  Si riporta la seguente tabella che riepiloga i dati SIOPE relativi ai trasferimenti dalle Regioni e Province Autonome nei confronti degli enti locali (Province, Città metropolitane, Comuni ed Unioni di comuni) per il periodo 2010-2015.

  Sono state poste a confronto le erogazioni come risultanti effettuate dalle Regioni con le entrate come risultanti incassate dagli enti locali.

(Dati in euro)

  Le differenze tra il «dato Regioni» e il «dato enti locali» sono essenzialmente riconducibili alle diverse modalità di classificazione adottate dagli enti eroganti e dagli enti destinatari, cui si sta ovviando mediante l'attuazione del d.lgs. n. 118 del 2011 in materia di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali, che prevede l'adozione di un piano dei conti che individua con precisione la natura dei soggetti Pag. 71 che erogano/ricevono i trasferimenti e il divieto di classificare le operazioni della gestione adottando il criterio della prevalenza (art. 7, comma 1, lettera a).

  B. Trasferimenti dallo Stato agli Enti territoriali

  Si riporta la seguente tabella che riepiloga i dati SIOPE relativi ai trasferimenti dallo Stato a Regioni e Province Autonome ed enti locali (Province, Città metropolitane, Comuni) per il periodo 2010-2015.

  Le differenze tra i dati SIOPE e i dati desunti dal bilancio dello Stato, analogamente a quanto sopra evidenziato con riferimento ai pagamenti delle Regioni agli enti locali, sono essenzialmente riconducibili alle diverse modalità di classificazione adottate dagli enti destinatari, cui si sta ovviando mediante l'attuazione del d.lgs. n. 118 del 2011 in materia di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali, che prevede l'adozione di un piano dei conti che individua con precisione la natura dei soggetti che erogano/ricevono i trasferimenti e il divieto di classificare le operazioni della gestione adottando il criterio della prevalenza (art. 7, comma 1, lettera a).

(Dati in euro)

  Si riportano, inoltre, le seguenti tavole che, per gli anni 2010-2015 (il 2015 è un dato di preconsuntivo), riepilogano i dati desunti dal bilancio statale concernenti:

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  - gli stanziamenti di competenza, impegni e pagamenti per missione, distinti tra:

  trasferimenti correnti a Regioni e Province autonome – categoria di bilancio 4.2.1 (con evidenziazione della compartecipazione IVA);

  trasferimenti correnti a Province e Comuni – categorie 4.2.2. e 4.2.7. (in questa categoria sono classificati dal 2011 alcuni trasferimenti a enti locali di rilevante importo, quali il fondo di solidarietà comunale, i fondi sperimentali di riequilibrio delle province e dei comuni e la compartecipazione IVA dei comuni);

  contributi agli investimenti a Regioni e Province autonome – categoria 22.2.1;

  contributi agli investimenti a Province e Comuni – categoria 22.2.2.

  - I pagamenti relativi alle due categorie di trasferimenti alle Regioni e Province autonome (4.2.1 e 22.2.1.), con la distinzione tra somme destinate alle Regioni a statuto ordinario, alle Regioni a statuto speciale e PP.AA e, in via residuale, ad altri soggetti diversi dai precedenti. In particolare, si evidenzia che nella voce «altri soggetti» sono ricompresi pagamenti in favore di soggetti diversi dalle Regioni a valere su capitoli destinati alle Regioni medesime, nonché versamenti a Cassa Depositi Prestiti e banche, per mutui a carico dello Stato e che non sono distribuibili tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale.

  Non sono considerate le spese della categoria 31 relative alla concessione delle anticipazioni per estinzione debiti pregressi.

  Circa le voci che compongono le singole missioni, si rinvia alle Amministrazioni di settore.

  Si evidenzia, comunque, che i pagamenti a valere sulla Compartecipazione IVA, come da Bilancio dello Stato, indicati nella specifica tabella, sono superiori per l'anno 2015 di circa 6 miliardi rispetto al corrispondente dato SIOPE. Tale differenza è imputabile sostanzialmente ad una reiscrizione nel Bilancio statale di residui perenti per ripiani di anticipazioni di tesoreria (circa 4,3 miliardi di euro) ed erogazione alle singole Regioni di quote premiali relative a vari anni (2009-2013 per circa 2 miliardi di euro), successivamente svincolate a seguito delle deliberazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri.

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  ALLEGATO 1
  Decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009

  - Decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale);

  - Decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156, Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale;

  - Decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province;

  - Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale;

  - Decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario;

  - Decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, Disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42;

  - Decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, come modificato e integrato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126;

  - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni;

  - Decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale, come modificato e integrato dal decreto legislativo 26 aprile 2013, n. 51.

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(1)  I comuni cosiddetti incapienti sono i comuni il cui fondo di solidarietà comunale non consente di assorbire i tagli da disporre a carico dello stesso o che hanno risorse da imposizione immobiliare ad aliquota standard eccedenti le risorse complessive di cui dovrebbero beneficiare

(2)  Il comma 380-quater dell'unico articolo della legge n. 147 del 2013 aveva inizialmente previsto che il 10% dell'importo, attribuito ai comuni a titolo di fondo di solidarietà comunale, fosse accantonato per essere ripartito tra gli stessi sulla base dei fabbisogni standard approvati dalla COPAFF entro il 31 dicembre dell'anno precedente. Successivamente con l'articolo 14 del decreto legge n. 16 del 2014 l'applicazione dei fabbisogni standard è stata rinviata all'anno 2015.

(3)  Al riguardo, si evidenzia che la legge di stabilità per il 2016 ha previsto (articolo 1, comma 17) che la quota del fondo non ripartita in base alla differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale, ovvero il 70% per i comuni delle regioni a statuto ordinario e il 100% per i comuni delle regioni Sicilia e Sardegna, deve essere determinato in modo da garantire, proporzionalmente, la medesima dotazione netta del fondo 2015.

(4)  L'ammontare del Fondo tiene conto anche delle somme rivenienti dai cosiddetti comuni incapienti che, per effetto del gettito IMU riscosso ad aliquota base, dispongono di risorse eccedenti alle risorse di cui devono beneficiare che sono riversate allo Stato per essere riassegnate al Fondo stesso.

(5) La variazione dell'ammontare delle risorse tra i vari anni considerati è sostanzialmente da ricondurre agli interventi di revisione delle spesa introdotti dal Legislatore, nonché alle varie modifiche in materia di sistema di finanziamento dei comuni esplicitati nel paragrafo in esame.