XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 72 di Mercoledì 13 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del Consigliere di Stato del Cantone Ticino, Norman Gobbi, sull'attuazione del federalismo fiscale in prospettiva comparata (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 ,
Gobbi Norman , Presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino ... 2 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del Dipartimento delle finanze e dell'economia ... 6 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 7 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 7 ,
Ramelli Lino , Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino ... 7 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino ... 9 ,
Ramelli Lino , Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino ... 9 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
Fornaro Federico  ... 11 ,
Marantelli Daniele (PD)  ... 11 ,
Rubinato Simonetta (PD)  ... 12 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 ,
Gobbi Norman , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Gobbi Norman , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Gobbi Norman , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Gobbi Norman , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni ... 16 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 16 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 17 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 17 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 18 ,
Ramelli Lino , Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino ... 18 ,
Marantelli Daniele (PD)  ... 18 ,
Vitta Christian , Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 18 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 19 

Allegato 1: Documentazione consegnata da Norman Gobbi, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni ... 20 

Allegato 2: Documentazione consegnata da Christian Vitta, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia ... 33

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Consigliere di Stato del Cantone Ticino, Norman Gobbi, sull'attuazione del federalismo fiscale in prospettiva comparata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione, del Presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino, Norman Gobbi, sull'attuazione del federalismo fiscale in prospettiva comparata.
  Il consigliere Gobbi è accompagnato da Christian Vitta, consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del Dipartimento delle finanze e dell'economia, Lino Ramelli, direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino, Cristoforo Piattini, collaboratore del Presidente Gobbi, Alice Ghisletta, collaboratrice del consigliere Vitta, Francesco Quattrini, delegato per i rapporti transfrontalieri e internazionali del Cantone Ticino, e Pietro Lazzeri, ministro dell'ambasciata della Svizzera in Italia.
  Ringrazio il consigliere Gobbi e tutti i suoi collaboratori per la disponibilità.
  Do quindi la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

  NORMAN GOBBI, Presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino. Ringrazio il presidente e le signore e i signori deputati e senatori. È per me un piacere portare il saluto del Governo ticinese, rappresentato dal sottoscritto e dal collega Christian Vitta, che è una sorta di ministro dell'economia e delle finanze, mentre il sottoscritto è più legato alle istituzioni politiche.
  L'occasione di presentare il sistema federale elvetico è per noi interessante. Il mio intervento sarà incentrato sul perché la Svizzera è uno Stato federale, mentre il collega Christian Vitta, seguito dal direttore Ramelli, presenterà gli aspetti pratici e operativi del funzionamento del federalismo fiscale in Svizzera.
  Diversi teorici hanno stabilito i principi del federalismo. Carlo Cattaneo, cittadino anche di Castagnola, oggi quartiere di Lugano, dove ha vissuto a lungo, ma evidentemente milanese, è tra coloro che, nella storia dell'Ottocento, hanno maggiormente caratterizzato questo pensiero.
  Il sistema istituzionale elvetico è composto di tre livelli istituzionali. Il primo livello è quello degli enti di prossimità, cioè i comuni, nei quali operano i municipi, che sono gli organi esecutivi, eletti direttamente dal popolo, e i consigli comunali, anch'essi eletti dal popolo, o le assemblee comunali nei comuni che non prevedono il consiglio comunale. Le assemblee comunali sono libere assemblee di cittadini. Ogni cantone si regola come meglio crede. Non è una legislazione centrale che istituisce il consiglio comunale o meno. Alcune città di medie dimensioni – grandi per la Svizzera – Pag. 3conoscono ancora il sistema dell'assemblea e non del parlamento cittadino.
  Il secondo livello è quello dei cantoni, che sono l'organo territoriale che permette di regolare diverse competenze.
  Al terzo livello c'è la Confederazione, che è lo Stato federale, al quale, partendo dal basso, vengono delegati vari compiti.
  Ogni cantone ha il proprio esecutivo, eletto direttamente dal popolo. Gli organi legislativi sono i Parlamenti cantonali, chiamati Gran Consigli, a loro volta eletti dal popolo con sistema maggioritario o con sistema proporzionale, a seconda della legge elettorale cantonale.
  Il sistema di elezione a livello confederale è un po’ diverso. Il popolo elegge le Camere federali, che sono il Consiglio nazionale – corrispettivo della Camera dei deputati – e il Consiglio degli Stati – corrispettivo del Senato –, i quali, riuniti nell'Assemblea federale, eleggono i membri del Governo federale, chiamato Consiglio federale. Le dimensioni sono evidentemente diverse dalle vostre. I membri del Consiglio nazionale sono 200 e quelli del Consiglio degli Stati 46, due per ogni cantone.
  La Svizzera oggi conta 8,24 milioni di abitanti, suddivisi in ventisei cantoni e 2.289 comuni. Abbiamo quattro lingue ufficiali: il tedesco, che è la lingua predominante, il francese, l'italiano e il retoromancio, che rappresentano, al contempo, le nostre quattro culture unite sotto un'unica bandiera. Poter condividere sotto un'unica bandiera diverse sensibilità è anch'esso effetto del federalismo.
  Il Canton Ticino, unitamente alle vallate del Grigioni italiano, forma la Svizzera italiana o di lingua italiana, che, in termini territoriali, rappresenta il 4,5 per cento. Qualche cittadino italofono vive anche nei cantoni tedescofoni e francofoni e questo ci porta a superare circa il 5 per cento della popolazione residente.
  Il federalismo permea l'architettura istituzionale della Confederazione, come dimostra la natura delle due Camere federali. Il Senato elvetico è – o dovrebbe essere – espressione diretta dei cantoni. Col tempo, sta perdendo questa natura perché i rappresentanti dei cantoni sono oggi sempre più rappresentanti dei propri partiti, ma è un punto di vista interno. Dall'esterno, resta il fatto che ogni cantone elegge due rappresentanti.
  Alla Camera, invece, ogni cantone elegge i propri consiglieri nazionali in base alla popolazione residente. Il numero dei deputati cambia. Il Canton Vallese, per esempio, alle elezioni generali per il Consiglio nazionale dello scorso autunno, ha ottenuto un consigliere nazionale in più perché la popolazione è cresciuta più di quella di altri territori.
  Ogni cantone ha diritto ad almeno un consigliere nazionale e, quindi, anche il piccolo Canton Appenzello Interno, che ha circa 12.000 abitanti, ha di diritto un consigliere nazionale e un consigliere degli Stati. Il secondo è condiviso con il Cantone Appenzello Esterno. Potrebbe sembrare complicato, ma siamo qui per approfondire e spiegare.
  La Svizzera è stata costituita in vari periodi storici. Il Patto federale del 1° agosto 1291 e i successivi patti di Svitto del 1315 hanno realizzato la volontà di unire quelle che, all'inizio, erano le comunità forestali e, poi, le comunità alpine. Questo processo di avvicinamento ha condotto oggi a un Paese federale, per vari motivi, anche storici.
  Federalismo deriva dal latino foedus, che significa alleanza, patto. Il Patto federale fu una prima alleanza, la gemma che ha fatto fiorire il sistema federale in Svizzera. Come sapete, la Svizzera ha anche intrapreso politiche di espansione. I cantoni alpini, infatti, volevano valicare il Gottardo per assicurarsi il controllo dei passaggi alpini e i dazi doganali lungo le rotte di traffico delle Alpi. Fu intrapresa anche una politica di espansione a sud, terminata nel 1515 con la battaglia di Marignano, come la chiamano gli svizzeri, o «battaglia dei giganti», come è conosciuta in Italia. Per circa due anni, dal 1513 al 1515, Milano fu elvetica, ma l'espansione a sud terminò lì perché prendemmo una «scoppola» dai francesi e ci ritirammo nei confini attuali del Canton Ticino. Pag. 4
  Nell'Ottocento, l'arrivo di Napoleone interessò la Svizzera attuale. Quando la neonata Repubblica francese cominciò a espandersi oltre i confini dell'esagono, trovò nella Svizzera una realtà che mal si adattava al concetto di Stato centrale. Dal 1798, Napoleone impose la Repubblica elvetica ai cantoni svizzeri, cercando di centralizzare il Paese sul modello francese, ma incontrò molte opposizioni e, nel 1803, decise di trovare una soluzione che rispettasse i particolari aspetti culturali della Svizzera, firmando l'atto di mediazione, che disegnò l'attuale Svizzera dal punto di vista dei confini tra i cantoni. Il Canton Ticino divenne così un cantone a pieno titolo e non più un baliaggio di cantoni tedescofoni.
  Nel 1815, il Congresso di Vienna confermò la neutralità elvetica, già stabilita nella pace di Vestfalia, e, soprattutto, il ruolo di Stato cuscinetto attorno alla Francia, così come fu per il Belgio.
  La Svizzera conobbe anche una piccola e breve guerra civile, la cosiddetta guerra del Sonderbund, tra i cantoni cattolici e conservatori e i cantoni liberali. Durò poco più di una settimana e i morti furono poco meno di cento, ma è uno dei passaggi che la Svizzera moderna ha dovuto vivere per poter arrivare all'istituzione dello Stato federale, con la Costituzione federale, votata da tutti i cittadini maschi del Paese nel 1848 e rivista nel 1874 perché restrittiva e poco rispettosa di alcune minoranze. Nel 1848, dopo la guerra civile, chi aveva vinto, infatti, aveva cercato di imporre le proprie regole, corrette poi nel 1874.
  La Confederazione elvetica è stata generata da diversi conflitti, inizialmente tra cantoni rurali e cantoni cittadini. Le politiche di espansione dei primi cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo erano contrarie agli interessi delle città di Lucerna, Zurigo e Berna, che erano più interessate ad espandersi a est e a ovest, mentre i cantoni alpini erano più interessati a espandersi a sud delle Alpi. Con la riforma evangelica, abbiamo avuto un lungo periodo di confronto tra cattolici e riformati, che portò a diverse guerre civili tra il 1500 e il 1600. Con la famosa e simbolica pace di Kappel, le fazioni cattoliche e riformate trovarono una soluzione, che evitò un bagno di sangue e definì quali erano i cantoni riformati e quali i cantoni cattolici.
  Essendosi espansa a est e a ovest e avendo conquistato i territori burgundi di madrelingua francese, la Svizzera divenne sempre più multiculturale. Gestire regioni linguistiche differenti richiede un sistema federale perché è più capace di rispettare differenze, particolarismi e sensibilità.
  Ancora oggi, nella Svizzera moderna le grandi città e i cantoni piccoli hanno interessi diversi. Il Canton Zurigo conta 1,5 milioni di abitanti e il Canton Appenzello Interno 12.000. Porre sullo stesso piano realtà che, formalmente, hanno pari diritti e pari funzioni diventa sempre più difficile, ma, nonostante tutto, il sistema ancora funziona. La Svizzera è federale anche per le sue divisioni interne.
  Dal punto di vista costituzionale, l'articolo 3 della Costituzione elvetica recita: «I cantoni sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale ed esercitano tutti i diritti non delegati alla Confederazione». Sono sancite due cose. La Costituzione federale è il testo fondamentale, che limita la competenza dei cantoni, e sono i cantoni a delegare i compiti alla Confederazione. Dal punto di vista pratico, se il Parlamento federale decide in una certa maniera, anche se i cantoni sono contrari, possono arrogarsi determinate competenze perché sono l'organo politico che rappresenta il popolo.
  I cantoni, prima di aggregarsi nello Stato federale, erano Stati e per questo mantengono le competenze originarie in settori quale il fisco, che è principalmente di carattere cantonale. Hanno la competenza sulla formazione e quindi su tutto il settore della scuola primaria, secondaria e, parzialmente, sulla formazione di terzo livello. Anche la sicurezza è gestita dai cantoni, ognuno dei quali ha i propri corpi di polizia.
  Il federalismo si basa anche sul principio di sussidiarietà. L'articolo 5a della Costituzione stabilisce infatti che «nell'assegnazione e nell'adempimento dei compiti Pag. 5statali va osservato il principio della sussidiarietà». C'è la volontà di responsabilizzare i livelli inferiori, per evitare inefficienze ai livelli superiori. Al livello più vicino al cittadino devono essere risolti i problemi ed erogati i servizi pubblici, sulla base della prossimità nei confronti del cittadino.
  Per riassumere, le competenze della Confederazione storicamente sono: la difesa nazionale – nell'Ottocento fu creato l'esercito federale, perché mantenere gli eserciti cantonali poneva problemi di coordinamento e formazione –; la previdenza sociale; le politiche agricole; le infrastrutture nazionali; i trasporti; le relazioni con gli Stati esteri.
  I cantoni, come ho detto prima, hanno compiti primari di polizia, sanità, istruzione secondaria e superiore. I comuni, invece, si occupano di ciò che più è vicino alla vita quotidiana dei cittadini.
  Il sistema richiede una continua ricerca di equilibri. Il federalismo, una volta deciso, non rimane sempre uguale. Il federalismo del 1848 non è quello del 2016. Nel tempo le competenze mutano. Alcune vengono centralizzate e altre sono di nuovo delegate ai livelli più bassi. È quello che vive anche il Canton Ticino, che sta portando avanti una riforma interna per riequilibrare le competenze e i flussi finanziari verso i comuni.
  Ci sono anche necessità di coordinamento e quindi esistono istituzioni di raccordo tra la Confederazione e i cantoni. Il collega Vitta, per esempio, che è una sorta di ministro dell'economia e delle finanze, è il nuovo presidente della Conferenza dei cantoni alpini, la quale difende soprattutto gli interessi idroelettrici di quei cantoni che, essendo proprietari delle acque, incassano i canoni pagati dalle industrie che sfruttano l'idroelettrico. C'è un interesse economico da difendere nei confronti dei cantoni urbani, che abitualmente sono invece proprietari delle grandi imprese idroelettriche che sfruttano le risorse idriche nelle Alpi.
  Il sottoscritto, per esempio, è presidente della Conferenza dei direttori degli affari militari, protezione e popolazione e, come il collega Vitta e gli altri colleghi di governo, sono anche membro di altre conferenze settoriali. Ogni settore di interesse, ovvero giustizia, polizia, finanze, economia pubblica, trasporto pubblico, pianificazione, socialità e sanità, ha una conferenza in cui siedono tutti i ministri cantonali. Queste conferenze, attraverso i propri comitati, si interfacciano con i ministeri e ogni ministro cantonale può interfacciarsi con il ministero federale.
  È un aspetto interessante perché queste istituzioni di raccordo hanno anche il compito di difendere l'assetto federalista da forze che, talvolta, cercano di centralizzare, soprattutto attraverso i ministeri, le competenze verso Berna. Il nostro obiettivo è quello di mantenere sempre di più la nostra autonomia.
  Come detto, anche a livello cantonale c'è necessità di un dialogo tra le istituzioni interne e tra il cantone e i propri comuni. Esiste una piattaforma di dialogo che permette di affrontare i vari temi, alla quale partecipano il governo ticinese e i rappresentanti dei comuni ticinesi, attraverso le proprie associazioni o le principali città. L'obiettivo è quello di coinvolgere, condividere e avere una solidarietà istituzionale.
  Uno dei temi che abbiamo recentemente trattato, per esempio, è un piano di risanamento delle finanze cantonali, a cui anche i comuni dovranno partecipare. Grazie alla capacità di condividere e di coinvolgere, siamo riusciti a ottenere la solidarietà tra i due livelli istituzionali del nostro cantone.
  Anche per il federalismo ci sono sfide. Come ho detto prima, nulla è immutato e immutabile nel tempo. È un processo in continua evoluzione. C'è la volontà di invertire la tendenza al consolidamento del potere centrale. La Confederazione vorrebbe arrogarsi sempre maggiori competenze o, meglio, direttive nell'ambito della strutturazione e dell'erogazione dei servizi da parte dei cantoni. Questo, evidentemente, limita l'autonomia di un cantone che deve rispondere alle necessità di 1,5 milioni di abitanti, come Zurigo, o di 12.000, come Appenzello Interno. Mettendo lo stesso «corsetto» istituzionale e Pag. 6legislativo a cantoni così diversi, qualcuno non ci si troverà bene.
  Sono in corso riforme istituzionali che vogliono rivitalizzare il federalismo interno, come, per esempio, nel Canton Ticino. Un aspetto sul quale anche il popolo recentemente si è espresso è il federalismo fiscale. Alcuni anni fa, il popolo svizzero si espresso sull'iniziativa popolare che voleva armonizzare il fisco tra i vari cantoni. Federalismo fiscale significa anche concorrenza fiscale tra i singoli cantoni. Il popolo svizzero ha respinto questa iniziativa e ha quindi detto sì al federalismo fiscale e all'autonomia di ogni cantone di deliberare e legiferare, dal punto di vista fiscale, nei propri ambiti di competenza.
  Questa vitalità dei cantoni ci permette anche di avere una maggiore attenzione per le spese, perché riuscire a essere concorrenziali dal punto di vista fiscale vuol dire prelevare meno imposte e, di conseguenza, spendere meno per mantenere il bilancio in equilibrio.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del Dipartimento delle finanze e dell'economia. Ringrazio e saluto il presidente e tutti i commissari. Il direttore della Divisione della contribuzione, Lino Ramelli, e io ci concentreremo principalmente sull'aspetto fiscale. Mi aggancerei brevemente ad alcune date storiche in questo ambito.
  Nel 1848, come abbiamo sentito in precedenza, è nato lo Stato federativo in Svizzera. Il fatto importante è che i cantoni perdono la sovranità in materia di diritti doganali e devono introdurre l'imposizione sul reddito e la sostanza.
  Nel 1915, a seguito della prima guerra mondiale, la Confederazione introduce un'imposta diretta, che sarà successivamente denominata imposta di guerra, per la difesa nazionale e, a partire dal 1983, l'imposta federale diretta. Si tratta dell'imposta di competenza della Confederazione.
  Nel 1941 la Confederazione introduce l'imposta sul valore aggiunto (IVA), che in precedenza era denominata imposta sulla cifra d'affari (ICA). Nel 1977 i cantoni approvano l'articolo costituzionale concernente l'armonizzazione delle imposte dirette. Questa legge entrerà in vigore il 1° gennaio 1993. È un aspetto importante. I cantoni, come è stato detto, hanno autonomia, ma la Confederazione vuole, perlomeno, mettere dei paletti entro i quali possano muoversi. Questa legge concernente l'armonizzazione delle imposte dirette delimita il campo all'interno del quale ogni cantone può muoversi, ed è entro questi limiti che si gioca anche la concorrenza fiscale intercantonale.
  Per quanto riguarda la sovranità in materia di imposte dirette, l'articolo 128 della Costituzione federale della Confederazione svizzera dice che «la Confederazione può riscuotere un'imposta diretta sul reddito delle persone fisiche [...] e sul reddito netto delle persone giuridiche [...]. Nella determinazione delle aliquote la Confederazione prende in considerazione l'onere causato dalle imposte dirette cantonali e comunali».
  Come vedete, a livello di imposte dirette, il comune preleva le proprie imposte comunali; il cantone preleva le proprie imposte dirette cantonali e la Confederazione preleva le proprie imposte dirette. Questo, a mio giudizio, è un aspetto molto importante perché responsabilizza l'autorità politica di riferimento. Se il sindaco di un comune preleva le imposte comunali, sarà più soggetto al giudizio del cittadino se spende male i soldi, perché sarà lui a dover chiedere maggiori imposte comunali. Lo stesso vale per il cantone e per la Confederazione. Ci sono degli effetti perequativi verticali, ma, principalmente, ogni livello istituzionale deve finanziarsi con le imposte che preleva dai propri cittadini al livello di riferimento.
  L'articolo 129 della Costituzione federale della Confederazione svizzera dice che «la Confederazione emana principi per armonizzare le imposte dirette federali, cantonali e comunali e prende in considerazione gli sforzi d'armonizzazione dei cantoni». È quanto dicevo in precedenza. Non c'è totale libertà di movimento. Questo mi sembra evidente. Ci sono alcune regole che vanno rispettate. All'interno di queste regole ogni cantone può adattare la propria legge tributaria. Pag. 7
  Per quanto riguarda, invece, le imposte indirette, i tre livelli istituzionali – Confederazione, cantoni e comuni – giocano un ruolo nella loro suddivisione. La Confederazione è competente per l'imposta sul valore aggiunto, per la tassa di bollo federale, per l'imposta sui tabacchi e gli alcolici, per l'imposta sugli oli minerali, per il traffico pesante, per i dazi e i tributi doganali. Queste sono tutte imposte indirette che competono direttamente alla Confederazione.
  I cantoni sono competenti per le tasse di circolazione dei veicoli, per gli spettacoli, per il bollo cantonale e i diritti da acqua. I comuni sono competenti sugli spettacoli e sul bollo comunale. C'è, dunque, anche una suddivisione delle imposte indirette che segue la suddivisione istituzionale prevista dal nostro sistema federale.
  Concluderei questa parte introduttiva dandovi qualche dato relativo alle entrate fiscali in Svizzera, suddivise tra i tre livelli. La Confederazione incassa circa 65 miliardi di franchi, i cantoni 83 miliardi di franchi e i comuni 46 miliardi di franchi. Questo sistema di suddivisione permette di effettuare tali incassi.
  Come ripeto, è molto importante che il livello istituzionale che ha la competenza su un certo tipo di imposta sia incaricato anche del prelievo dai cittadini, perché questo legame responsabilizza il livello istituzionale anche sul fronte della spesa.

  PRESIDENTE. Significa che la Confederazione incassa ma non gira ai cantoni e ai comuni?

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. Esatto ed è questo l'importante. In un sistema centralizzato, l'autorità centrale «aspira» e poi ridistribuisce, ma ciò rischia di deresponsabilizzare i vari livelli.
  In Svizzera c'è un contatto diretto con il cittadino.

  FEDERICO FORNARO. Ci sono tre sistemi di prelievo.

  PRESIDENTE. Il cittadino paga tre bollettini.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. Sì, è giusto.
  C'è un effetto perequativo, che il direttore Ramelli spiegherà sul piano tecnico. Questo effetto entra in gioco per livellare differenti situazioni. Ci sono cantoni ricchi e cantoni poveri, ma la perequazione si attua attraverso strumenti specifici, dopo che si è fatto questo esercizio.

  LINO RAMELLI, Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino. Buongiorno a tutti. Dico due parole per completare il discorso sul sistema fiscale.
  Le imposte indirette sono prelevate dall'ente competente. L'IVA, ad esempio, è prelevata dalla Confederazione. Le imposte indirette sono prelevate dall'autorità cantonale, sia per la parte federale sia per la parte comunale. A livello centralizzato esiste unicamente un servizio che vigila sulla corretta applicazione del diritto federale e una piccola unità di super ispettori, che corrisponde all'incirca alle vostre Fiamme Gialle e fa controlli mirati in casi importanti.
  L'autonomia, anche a livello dell'organizzazione per le imposte dirette, è delegata ai cantoni e, in certi cantoni, addirittura ai comuni.
  Vorrei dire solo due parole sulle principali differenze del sistema di imposte dirette. In Svizzera, le imposte dirette vengono prelevate in maniera cumulata, quindi noi tassiamo il reddito da lavoro e il reddito della sostanza, mobiliare e immobiliare insieme. Inoltre, l'aliquota complessiva viene determinata in funzione di questi tre elementi. Contrariamente a quanto accade da voi, dove il reddito da lavoro è tassato alla fonte e i redditi immobiliari sono tassati alla fonte con delle aliquote fisse, da noi tutto è cumulato e centralizzato.
  Un'altra differenza importante è il fatto che noi abbiamo anche l'imposta sulla sostanza Pag. 8 delle persone fisiche. Non tassiamo, però, i capital gain. Lo dico per fare un parallelo.
  Un altro elemento è che abbiamo ancora la tassazione congiunta dei coniugi, quindi, per i coniugi e le persone sposate o i partner registrati, i redditi vengono cumulati e l'aliquota complessiva verrà determinata in maniera unica.
  A livello di imposte indirette, penso che abbiamo più o meno lo stesso sistema e che la differenza sostanziale sia dovuta ai tassi. Da noi, l'IVA è all'8 per cento, quindi ha un tasso molto più basso rispetto agli altri Paesi europei.
  Passo, adesso, a una piccola descrizione del sistema della perequazione finanziaria.
  La perequazione dei compiti, che penso sia uno degli strumenti principali del federalismo svizzero, si basa su vari principi e ha vari obiettivi. Innanzitutto, abbiamo la perequazione delle risorse. Si tratta di ripartire in maniera più corretta le risorse disponibili dei cantoni con la perequazione degli oneri, che mira a sgravare i cantoni che sono soggetti a costi o a situazioni particolari.
  Poi, c'è tutto il capitolo dei compiti. L'obiettivo è quello di dissociare i compiti e, quindi, nella misura del possibile, di definire per un compito un solo livello di competenza per la Confederazione, i cantoni e i comuni e, quando questo non è possibile, di definire chiaramente i compiti che la Confederazione deve svolgere con i cantoni oppure, per certi compiti, addirittura quali sono quelli che i cantoni devono svolgere in maniera comune.
  La perequazione finanziaria è l'aspetto principale. L'obiettivo è che i cantoni più forti partecipino per finanziare quelli più deboli. Come viene fatto il calcolo? Si definisce un potenziale delle risorse, quindi si considera la massa del reddito imponibile delle persone fisiche, la sostanza imponibile delle persone fisiche e l'utile imponibile delle aziende. Questo viene calcolato sulla base delle regole federali. È il diritto federale per l'imposta federale diretta che lo regola. Si prende la base imponibile – e non il gettito d'imposta – per neutralizzare l'effetto di quelle che potrebbero essere politiche più o meno aggressive in materia di aliquote dei singoli cantoni. Non c'è nessuna distorsione perché questo è uguale per tutti i cantoni.
  Come dicevo, viene calcolato un potenziale delle risorse pro capite: si prende la media nazionale come valore pari a 100. L'obiettivo è che in ogni cantone ci sia un potenziale medio pro capite pari almeno all'85 per cento, quindi i cantoni con un potenziale che è più del 100 per cento dovranno pagare e quelli sotto l'85 per cento riceveranno dai cantoni principali.
  Ci sono altri due strumenti della perequazione finanziaria.
  C'è la compensazione degli oneri. Sulla destra della slide che abbiamo depositato, trovate i fattori topogeografici. Questa è una misura che riguarda soprattutto le zone di montagna. Vengono considerati alcuni aspetti: la declività del territorio, la dispersione delle unità abitative in piccoli comuni al di sotto dei 200 abitanti, la parte del cantone che è situata sopra gli 800 metri, eccetera. Questi sono tutti fattori che danno diritto a misure di compensazione.
  Dall'altra parte, abbiamo dei fattori che riguardano più le zone urbane. Gli aspetti considerati sono: l'età della popolazione, l'indice di povertà, cioè la percentuale di persone che, per esempio, beneficiano dell'assistenza, la percentuale di popolazione straniera che non risiede oltre un certo numero di anni, perché si considera che l'integrazione di queste persone nel breve periodo genera costi.
  Questi sono tutti fattori che vengono considerati e che danno poi luogo alla compensazione degli oneri.
  Riguardo al modello nel suo complesso, abbiamo tutta una serie di oneri che vengono versati dai cantoni. Una parte di finanziamento viene dai cantoni, ma la parte maggiore viene dalla Confederazione. Molti dei cantoni sono beneficiari della perequazione, a livello di perequazione delle risorse o a livello di compensazione degli oneri, e una piccola parte di cantoni finanzia quelli più deboli.
  Le cifre globali non sono importanti. Il totale dei flussi della perequazione corrisponde a circa 5 miliardi di franchi svizzeri. Pag. 9 Quindi, in confronto alle cifre che abbiamo visto prima sul totale dei flussi finanziari, si tratta di punti percentuali.
  Tuttavia, non è così per certi piccoli cantoni di montagna. Per esempio, se consideriamo il Canton Uri, che è il Cantone del San Gottardo, il 50 per cento delle sue entrate viene dalla perequazione finanziaria e un ulteriore 20-30 per cento viene da altri flussi della Confederazione. Si tratta di cantoni che esistono e che possono possano far fronte ai loro compiti e fornire le prestazioni unicamente grazie a questi meccanismi di perequazione. Ci sono anche altri cantoni, come il Canton Vallese, che forse è più conosciuto anche in Italia, dove il 50 per cento delle risorse viene da flussi o della Confederazione o della perequazione. Evidentemente, per i cantoni più importanti, quest'impatto è minore.
  La perequazione finanziaria comunale – non mi dilungherò su questo aspetto – poggia praticamente sugli stessi principi. C'è una perequazione verticale e una gradazione dei flussi finanziari fra cantoni e comuni, in base alla capacità finanziaria. C'è, anche in questo caso, una perequazione delle risorse, quindi il contributo di livellamento. Questa è una perequazione orizzontale fra i differenti comuni, C'è poi la perequazione degli oneri, costituita da finanziamenti particolari del cantone a favore dei comuni, che è fatta prelevando, se non erro, principalmente sui canoni per l'acqua, che sono i famosi diritti legati allo sfruttamento dell'acqua da parte delle imprese idroelettriche.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. Sugli oneri, ci sono, per esempio, i comuni di montagna che hanno costi legati alla loro localizzazione geografica e che vengono compensati attraverso questa perequazione.

  LINO RAMELLI, Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino. Vorrei fare qualche esempio che riguarda gli effetti della ripartizione degli oneri e la perequazione finanziaria.
  In materia stradale, c'è tutta una rete di strade che viene definita «rete di strade nazionali» e che è finanziata dalla Confederazione, attingendo dai dazi sugli idrocarburi. C'è una seconda categoria, che viene definita «strade principali» e che è di proprietà dei cantoni, cui la Confederazione partecipa con dei contributi fissi. Infine, i cantoni finanziano la loro rete stradale cantonale, mentre i comuni finanziano le loro strade comunali e possono essere chiamati a finanziare in parte le strade comunali.
  Su questo, c'è stato un grosso cambiamento nell'organizzazione dei costi perché, fino all'inizio degli anni Duemila, i contributi venivano versati a oggetto, quindi la Confederazione finanziava un determinato oggetto, per un progetto particolare e preciso. Poi, siamo passati a un sistema in cui è previsto un finanziamento globale, quindi si finanziano gli obiettivi. Questo è stato fatto per evitare distorsioni. Nel caso di due opzioni, il rifacimento di una strada o la sostituzione totale dell'opera, magari il cantone, in funzione dei differenti livelli di sussidi che poteva ottenere dalla Confederazione, faceva delle scelte che, globalmente, non erano economiche.
  Un altro aspetto interessante è quello dell'educazione, per la quale i compiti della Confederazione sono relativamente limitati, perché la Confederazione ha solo due scuole politecniche federali, quella di Losanna e quella di Zurigo, e finanzia il Fondo nazionale per la ricerca, ma tutti gli altri livelli scolastici sono di competenza dei cantoni, cioè le scuole medie, i licei, le università, eccetera.
  C'è, però, una piccola particolarità. Nell'ambito dell'esercizio della ripartizione dei compiti, sono stati definiti anche alcuni compiti per i cantoni che devono collaborare fra loro, in particolare per le università cantonali e le scuole universitarie e professionali. Forse, nel caso del Canton Ticino, per il suo essere isolato e per una questione linguistica, siamo meno coinvolti in queste collaborazioni, ma si tratta di un elemento molto importante, per esempio, nella Svizzera romanda e in quella tedesca, dove, effettivamente, tutti i centri di formazione Pag. 10 universitaria e professionale possono essere coordinati fra i differenti cantoni.
  Un altro esempio è quello della sanità, dove effettivamente la Confederazione si occupa soprattutto della politica sanitaria e del finanziamento delle organizzazioni «mantello», che fanno assistenza agli invalidi e agli anziani. I cantoni sono tenuti a collaborare fra di loro per la medicina di punta. Tutto il sistema di base sanitario, cioè gli ospedali, le cliniche, eccetera, resta di competenza dei cantoni, come pure l'assistenza agli invalidi e agli anziani, che resta di competenza dei cantoni e dei comuni.
  Per quanto riguarda i flussi finanziari, nella documentazione depositata trovate un esempio relativo al Canton Ticino. Abbiamo già visto l'aspetto della perequazione, anche se non è l'unico. Questi indicati nella slide sono i flussi finanziari fra il Canton Ticino e la Confederazione. Il Canton Ticino, nel 2014, ha ricevuto 709 milioni di franchi svizzeri. La parte principale è rappresentata da una porzione dell'imposta federale diretta. Quindi sono i cantoni che la incassano anche per la Confederazione, perché attualmente il 17 per cento degli introiti d'imposta federale diretta rimane ai cantoni.
  Gli altri elementi sono i contributi federali sui differenti tipi di prestazioni, cioè sulle assicurazioni per malattia e su prestazioni complementari nell'età della vecchiaia. Sulla medesima slide è indicata la perequazione degli oneri. Risulta che il Canton Ticino riceve 35 milioni di franchi svizzeri per la perequazione degli oneri, il che vuol dire che, nell'esercizio della perequazione, noi siamo svantaggiati rispetto al tipo di territorio. In effetti, abbiamo zone di montagna, abbiamo molti comuni piccoli, abbiamo terreni in pendenza, eccetera. Inoltre, abbiamo altri fattori, forse legati a elementi sociali, perché abbiamo una popolazione residente costituita da molti anziani. Il Canton Ticino è un po’ la Florida della Svizzera perché molte persone anziane vengono a stabilirsi in Ticino, quindi i costi legati a queste persone sono più elevati. Certo, abbiamo una compensazione per questi maggiori oneri, però siamo considerati un cantone relativamente favorito a livello di risorse, nel senso che siamo oltre quel famoso 85 per cento e, quindi, paghiamo 10 milioni di franchi svizzeri a livello di perequazione finanziaria.
  Al di là delle particolarità che vi ho riassunto, più che parlare dei vantaggi e degli svantaggi, bisogna dire che questo sistema è fondamentale, perché la Svizzera non è nata da una logica geografica né da un'unicità culturale, ma è un Paese che vive grazie al fatto che un certo numero di persone con culture differenti e con territori differenti condividano obiettivi comuni. Quindi, questa organizzazione federale e questo sistema di perequazione dei compiti e delle risorse sono fondamentali per la coesione nazionale.
  L'organizzazione del federalismo e della perequazione, così come la conosciamo, aumenta effettivamente il margine di manovra dei poteri pubblici, perché si può intervenire in maniera molto più mirata e in maniera locale. Inoltre, tale organizzazione migliora sicuramente anche il rapporto del cittadino con lo Stato, perché le prestazioni sono più mirate e più adatte e, dall'altra parte, perché il cittadino ha anche un margine di controllo e un'influenza molto importanti rispetto al funzionamento dello Stato, quindi c'è senz'altro un maggiore coinvolgimento.
  Quello che può essere un po’ delicato talvolta, soprattutto nei tempi moderni in cui bisogna agire molto rapidamente di fronte a eventi o pressioni di tipo internazionale, è il fatto che, nel nostro sistema, il processo decisionale è relativamente complesso. L'avete visto prima, anche se non so se vi sono sfuggite le date della legge sull'armonizzazione fiscale, che è un elemento importante del nostro coordinamento. Ci sono voluti quindici anni, dal momento in cui il popolo ha votato il principio costituzionale, per adottare una legge di questo tipo. Quindi, effettivamente, certe volte i processi decisionali sono molto complessi.
  La concorrenza fiscale può essere, ed è sicuramente, uno stimolo per le regioni e anche per lo Stato a funzionare meglio, però può prodursi anche una situazione Pag. 11delicata. Come abbiamo visto prima, ci sono cantoni, per esempio, che vivono praticamente grazie a flussi finanziari esterni e che possono anche permettersi politiche fiscali più aggressive. Questo può essere un problema.
  A livello organizzativo, come abbiamo già detto prima, c'è un sistema decentralizzato. Questo favorisce, nel funzionamento, il rapporto di prossimità con la popolazione e una maggiore efficacia. C'è qualche limite, nel senso che la decentralizzazione magari di vari tipi di prelievo fiscale impedisce la creazione, come per esempio accade nei Paesi nordamericani, di sportelli per grandi imprese e grandi contribuenti, eccetera. Certo, noi abbiamo competenze, ma, se consideriamo l'IVA e le imposte dirette, non potremmo mai giungere ad un coordinamento efficace, perché ci sono effettivamente due livelli differenti dello Stato che prelevano questo tipo di imposta.
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FORNARO. Vorrei fare un ringraziamento per l'accuratezza della presentazione e la massa di dati e di informazioni fornite.
  Io vorrei, però, concentrare l'attenzione e avere qualche informazione in merito alla legge sulle aggregazioni coordinate tra i comuni, che avevo letto su internet e che mi aveva molto colpito, soprattutto per lo straordinario lavoro di analisi che ha preceduto le ipotesi di aggregazione. Vorrei avere qualche notizia in più perché ho letto sul sito – ieri, in preparazione della riunione di oggi – che siamo ancora alla fase del work in progress, cioè ci sono alcune aggregazioni che sono state completate e altre che sono ancora in itinere. Mi ha un po’ stupito il fatto che ce ne sono anche alcune bloccate, cioè che, sostanzialmente, non sono andate avanti; almeno così riportava il sito.
  Questo è un aspetto che mi interessava, in particolare perché il tema dell'organizzazione dei comuni e delle dimensioni ottimali dei comuni è un tema che è oggetto anche del dibattito dell'agenda politica interna italiana.

  DANIELE MARANTELLI. Anch'io vi ringrazio davvero. Questa è un'occasione preziosa perché il Consigliere Norman Gobbi e il Consigliere Christian Vitta, ma anche il dottor Lino Ramelli, l'ultimo audito, con il suo intervento, ci hanno descritto in maniera molto efficace sia il sistema istituzionale federalista svizzero sia la ricostruzione storica.
  Noi, con il Canton Ticino, abbiamo tante cose importanti in comune, a partire dalla lingua, ma anche radici culturali, ambientali ed economiche molto forti.
  Carlo Cattaneo, che era un amico dalla Svizzera, è stato un grande federalista e ha scritto libri addirittura sui collegamenti alpini tra l'Italia e la Svizzera.
  Noi veniamo da lì e io invidio tante cose alla Svizzera e al Canton Ticino, a partire dai bellissimi campi di calcio che ho frequentato.
  Sarei tentato di chiedere molte cose su quello che abbiamo ascoltato stamattina, perché attengono al tema della sanità e delle strade, come, per esempio, un giudizio sulla Regio insubrica o su come vivete l'esperienza più europea delle regioni alpine, però mi rendo conto che questo ci porterebbe molto lontano, per cui preferisco concentrarmi sulle questioni più attinenti al nostro lavoro di Commissione e che riguardano gli aspetti fiscali.
  Mi scuso anticipatamente, se le due «domandine» possono sembrare poco eleganti, però credo sia giusto farle, perché ho premesso quanto sia importante il legame di amicizia con la Svizzera e con il Canton Ticino e perché è necessario che ci sia chiarezza.
  Con l'accordo raggiunto lo scorso dicembre, sarà superato il cosiddetto «dumping fiscale» sui frontalieri, come si sa, seppure con necessaria gradualità. Tuttavia, il dumping sul salario lordo resterà significativo e continuerà – io credo e prevedo – a esercitare una forte attrazione sui lavoratori italiani. Come pensate di correggerlo? Lo chiedo perché c'è chi si oppone, Pag. 12per esempio anche da voi, all'introduzione di salari minimi.
  In secondo luogo, non trovate piuttosto contraddittorio indurre, come credo sia giusto fare, le imprese lombarde a trasferirsi in Ticino con il programma Copernico e con misure, in qualche modo, di dumping fiscale e poi lamentarsi dell'eccessivo numero di frontalieri italiani?
  Infine, cosa intende fare il Cantone Ticino riguardo alle misure di dumping fiscale volte ad attrarre le imprese italiane, giudicate dannose ai fini della concorrenza fiscale dannosa, non da noi, ma dall'Europa?
  Ho preferito fare queste domande molto dirette perché credo che l'interazione tra il Canton Ticino e questa parte dell'Italia sia destinata sempre più a crescere e anche a fare i conti con un mondo che cambia con una velocità enorme. Io sono un sincero ammiratore del federalismo svizzero. Tuttavia, mi pare di capire che, con le misure che avete adottato e i recenti accordi, la Svizzera sta rivedendo la sua missione e il suo DNA. Negli ultimi vent'anni, abbiamo visto nel mondo cambiamenti che non si vedevano dai tempi delle scoperte geografiche e ho l'impressione che, nei prossimi venti, ne vedremo di maggiori, quindi sento il bisogno di un rapporto sempre più stretto tra queste realtà transfrontaliere, così vicine e così amiche.
  Concludo l'intervento ringraziando in maniera non formale per gli interventi che ho ascoltato stamattina.

  SIMONETTA RUBINATO. Non ho domande specifiche da fare.
  Intanto vi ringrazio perché alcune delle indicazioni e delle descrizioni che sono state fatte del sistema federale svizzero ci confermano alcune nostre convinzioni, anche personali, su quale sia l'assetto organizzativo migliore anche per il nostro Paese. Come avete raccontato riguardo al vostro percorso storico, un'unità fatta di differenze, attraverso il federalismo, ha trovato una composizione più adeguata a valorizzare queste differenze e, nello stesso tempo, a portare il potere più vicino ai cittadini.
  Noi oggi, anzi ieri, alla Camera abbiamo votato in via definitiva una riforma costituzionale – che si è resa necessaria anche a causa di una cattiva prova di gran parte delle classi dirigenti regionali del nostro Paese – che va in una direzione opposta, da questo punto di vista. È molto positivo il fatto che, superando il bicameralismo paritario, venga introdotto nel nostro ordinamento il Senato delle autonomie, che potrebbe essere il luogo in cui dovrebbero finalmente emergere i conflitti territoriali. Voi avete parlato appunto di federalismo anche come risposta ai conflitti territoriali, quindi questa, secondo me, è finalmente un'opportunità per il nostro sistema. Dall'altro lato, nella riforma del Titolo V c'è quella che molti costituzionalisti hanno definito una «controriforma» sull'attribuzione delle competenze legislative e, di conseguenza, amministrative.
  C'è una norma di equilibrio, che rimane nel testo del Titolo V. Questo è il motivo per cui io, che faccio parte della maggioranza, ho comunque votato una riforma che ritengo abbia luci, ma anche ombre. Si tratta di strumento di equilibrio, che è difficile ma possibile, tra la nuova ridistribuzione delle competenze e l'articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Tale norma prevede la possibilità di negoziati tra le regioni, che lo chiedano e che abbiano alcuni requisiti di virtuosità, con il Governo nazionale, per l'attribuzione di competenza legislativa, correlata alle conseguenti risorse. Quindi, io mi auguro che questo possa consentire equilibri più avanzati, rispetto all'assetto ordinamentale generale.
  Lo dico anche perché facciamo i conti con Autonomie speciali effettive, quindi con differenze ulteriori, oltre a quelle sociali, economiche, geografiche e culturali del nostro Paese.
  Il tema che mi interessa di più tra quelli che voi avete sottolineato è quello che riguarda soprattutto il sistema fiscale, perché credo che il rapporto tra lo Stato e il contribuente e anche la distribuzione fiscale tra i diversi livelli di Governo siano determinanti, più che della forma di Governo, della stessa forma di Stato. In un Paese, secondo me questo tema è il parametro Pag. 13 fondamentale con cui si misura il tasso di democrazia.
  Da questo punto di vista, il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti del 2015 che ha misurato il tasso di federalismo nel nostro ordinamento, dopo la riforma costituzionale del 2001, che andava in direzione, appunto, di obiettivi federalisti, fino al 2014, verificando cioè quanto la riforma costituzionale abbia avuto effettiva attuazione.
  La Corte dei conti riporta sostanzialmente una situazione assolutamente inalterata. Il dato relativo alla finanza derivata del nostro Paese è all'80 per cento nel 2001 ed è rimasto sostanzialmente all'80 per cento nel 2014, quindi in realtà la riforma appena approvata prende atto della mancata attuazione della riforma in senso federalista.
  In merito, la mia preoccupazione – voi lo sottolineavate, per cui vorrei, eventualmente, una vostra riflessione su questo – è la deresponsabilizzazione che comporta una finanza derivata. Io ne sono convinta e anche l'Europa, in questa direzione, insiste molto sul principio dell’accountability.
  Nella riforma costituzionale approvata ieri, il coordinamento della finanza pubblica diventa materia esclusiva dello Stato, mentre prima era prevista almeno una concorrenza con le regioni, per cui io temo che questo comporti una cristallizzazione appunto del tema della finanza derivata. Inoltre, temo che, alla fine, la buona intenzione di pensare che, accentrando e coordinando meglio tutto dal centro, si ottenga il risultato di una spesa pubblica più efficiente e contenuta, in realtà vada esattamente nella direzione opposta. Quello che noi diciamo è che «si va verso l'inferno con le migliori intenzioni».
  Vorrei capire qualcosa in più su questo tema molto delicato, anche perché noi abbiamo un grande problema di spending review e di efficienza della macchina pubblica. Vi chiedo se sia preferibile un assetto che, appunto, preveda una diversa distribuzione dei compiti fiscali, in funzione di una maggiore responsabilizzazione dei livelli. La situazione attuale a me preoccupa soprattutto perché io temo che l'effetto sia esattamente l'opposto, per cui vi chiedo se avete, eventualmente, dei suggerimenti in questa direzione.
  Vi ripeto che confido nel fatto che lo strumento previsto dall'articolo 116, comma terzo, della Costituzione, possa consentirci alcune sperimentazioni. Penso che, almeno per quello che non è stato disciplinato, di fatto, con una riforma costituzionale, se esistono buone pratiche che cominciano a essere adottate sul territorio, dal basso si può provare a cambiare e poi a costruire principi, sulla base dei buoni risultati di alcune sperimentazioni. Tuttavia, questo timore c'è. Grazie.

  PRESIDENTE. Vorrei fare due osservazioni conclusive.
  Credo che si volesse sottolineare il trattamento privilegiato, o meglio, l'equità che viene riservata ai comuni di montagna nel sistema federale svizzero. Questa è l'interpretazione libera del pensiero di chi, come l'on. Borghi, rappresenta la voce dei comuni di montagna in Parlamento.
  Vorrei focalizzare l'attenzione su due punti. Il primo riguarda l'imposizione sulla casa – voi usate termini diversi – che è un tema particolarmente interessante. Vorrei chiedervi, sull'imposizione sulla casa in Svizzera e in particolare sulla prima casa in Svizzera, se la prima casa di abitazione viene tassata o meno e, in generale, qual è l'imposizione immobiliare in Svizzera. Lo chiedo perché praticamente tutto il sistema perequativo italiano, adesso, si basa sulla tassazione della seconda casa e della terza o quarta casa, eccetera.
  La seconda questione interessante riguarda la dinamica della perequazione, nel senso che, oggi, il Canton Ticino, da un lato, riceve la contribuzione perequativa per l'indicazione territoriale orografica, e quant'altro, mentre, per quanto riguarda la dimensione della ricchezza e delle risorse, ne è contributore.
  In un sistema così, non dico, di concorrenza fiscale, ma in cui la perequazione minima è parametrata al potenziale medio pro capite pari almeno all'85 per cento, vorrei sapere qual è l'evoluzione del Canton Ticino su questo aspetto. Mi sembra di ricordare che il Ticino sia stato considerato Pag. 14all'inizio come cantone «sostanzialmente» povero e che adesso, per tante ragioni, sia «relativamente» povero. Nello schema molto complicato in cui ogni cantone veniva in qualche modo classificato come contributore o recettore, adesso il Ticino è a una via di mezzo tra i cantoni poveri e quelli ultraricchi, tipo quello di Zurigo, che contribuiscono, in modo molto significativo, per tutti gli altri cantoni. Le chiedo qual è l'evoluzione del Canton Ticino sotto questo aspetto.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica, a cominciare dal consigliere Gobbi.

  NORMAN GOBBI, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni. Io risponderò alla questione sull'aggregazione dei comuni. Sull'aspetto della perequazione, che è più centrale e riguarda il fisco, il consigliere Christian Vitta e il direttore Ramelli potranno rispondere in maniera molto più puntuale.
  Anche il Canton Ticino, al suo interno, conosce la perequazione tra i comuni ricchi e i comuni poveri: sono circa una trentina i comuni che contribuiscono al fondo perequativo e circa un centinaio i comuni che ne beneficiano.
  La politica di aggregazione dei comuni del Canton Ticino ha portato, nel corso degli ultimi sedici anni, dai 245 comuni di allora ai 133 odierni, nonché ai 118 dell'anno prossimo, quindi sostanzialmente li abbiamo ridotti della metà, attraverso processi aggregativi. Questi processi sono partiti molto spesso dal basso. Si tratta, quindi, di un processo bottom-up, perché sono i comuni stessi a farne richiesta, anche se sono comunque stimolati dal cantone, dall'autorità cantonale.

  FEDERICO FORNARO. Si tratta di comuni nuovi, cioè la fusione di due comuni provoca la nascita di un nuovo comune?

  NORMAN GOBBI, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni. Esatto. Noi abbiamo avuto un primo processo, che fu «storico», perché portò anche a un referendum cantonale. Il popolo ticinese si espresse sul decreto legislativo votato dal Parlamento cantonale per il comune di Capriasca. Si definì il fatto che il legislativo cantonale, cioè l'autorità cantonale, poteva (e può oggi) imporre un'aggregazione coatta, quindi una fusione, obbligata da parte dell'autorità cantonale, di un comune, anche se per quel comune, in votazione consultiva, la sua popolazione aveva espresso voto negativo.
  Questo è stato più volte oggetto di verifica anche da parte del Tribunale federale, che è una nostra Corte. Più volte è stato affermato che questo processo è corretto o che comunque c'è la possibilità della comunità locale di esprimersi e di essere sentita, anche se questa votazione non è vincolante perché consultiva, però ci ha portato a questo.
  L'obiettivo, in questo caso, era quello di ridurre anche gli organi intermedi, in particolare i consorzi di comuni che, evidentemente, davano luogo ad un organo poco democratico per erogare dei servizi.
  La maggior parte dei consorzi è costituita da consorzi per la depurazione delle acque. Questo accade perché ogni comune, viste le dimensioni piccole, non può provvedere da solo, per cui la depurazione veniva fatta in maniera consortile. Tuttavia, i consorzi spesso poi avevano loro dinamiche che erano completamente avulse dal controllo politico dei comuni ed è per questo che abbiamo modificato anche la legge sul consorziamento dei comuni.
  D'altra parte, abbiamo stimolato la politica delle aggregazioni con due strumenti.
  Da un lato, per i comuni periferici fortemente indebitati perché poveri di risorse veniva risanato parzialmente il debito pubblico, in modo che potessero avere una quota parte di finanziamento per la progettualità e, rispettivamente, un contributo anche per i progetti.
  Recentemente il Bellinzonese, che è la regione della nostra capitale cantonale, ha votato un progetto d'aggregazione di 17 comuni. La nostra capitale è attualmente di 16.000 abitanti. Il progetto prevedeva l'aggregazione dei 17 comuni di questa regione, ma solo 13, alla fine, hanno detto di Pag. 15sì, perché gli altri quattro rimarranno autonomi. Abbiamo fatto questa scelta politica e quella che nascerà dall'aggregazione sarà una città di 40.000 abitanti. Sostanzialmente questo tipo di processo riguarda non solo le zone periferiche, dove è stato maggiormente sviluppato, ma anche le città.
  La prima città che ha intrapreso questo processo è stata la città di Lugano, che oggi conta 70.000 abitanti. Lugano aveva, quindici anni fa, 25.000 abitanti, quindi è diventata tre volte più grande rispetto a un tempo.
  Oggi, in Ticino abbiamo ancora un comune di dodici abitanti, Corippo. Questo comune finalmente sta attendendo la fusione, dopo diverse opposizioni da parte di alcuni comuni, in un nuovo comune, che sarà di 800 abitanti, perché la Val Verzasca non è molto grande e popolosa. Evidentemente, un comune di dodici abitanti oggi può garantire solo i servizi di cancelleria ai propri cittadini e nulla di più.
  Direi che le differenze comunque non mancano.
  L'aspetto perequativo è oggi strutturato su due livelli. Ci sono diverse perequazioni, anche settoriali, perché, evidentemente, sono previsti anche da parte del cantone diversi strumenti perequativi, per esempio, nel sostenere il comune nell'erogazione dei propri servizi. Pensiamo all'ambito sociale, dove, evidentemente, la forza finanziaria conta, ma poi c'è anche una solidarietà intercomunale, che oggi è di 60 milioni di franchi svizzeri, tra comuni paganti che versano ai comuni più poveri di risorse.
  La fortuna è che, al Governo, ci sono comunque tre persone che provengono anche dai comuni. Il collega Christian Vitta era sindaco di un piccolo comune di montagna e il collega Paolo Beltraminelli era un municipale della città di Lugano, quindi abbiamo questo tipo di sensibilità a livello di Governo cantonale, cioè di considerare anche l'ente locale...

  FEDERICO FORNARO. Mi aveva molto colpito l'analisi socioeconomica illustrata dagli auditi. Voi siete arrivati ad una proposta, sostanzialmente proveniente dal basso, ma mi è sembrato che ci fosse stato anche un lavoro importante di analisi.

  NORMAN GOBBI, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni. Questo è stato il cambiamento dal 2010 in avanti perché, fino al 2010, i comuni decidevano di aggregarsi. Allora, Christian Vitta, che non faceva ancora il Consigliere di Stato, era uno dei consulenti, attraverso la sua società fiduciaria, dei comuni per lo studio di un progetto di aggregazione e, nell'analizzare gli elementi socioeconomici, per chiedere al cantone finanziamenti, dicendo «guardate che il nostro obiettivo è andare in quella direzione, per cui vorremmo avere dei contributi da parte del cantone per poterlo raggiungere».
  Il cambiamento c'è stato con la riforma della legge sull'aggregazione, in cui è previsto il piano cantonale per l'aggregazione e in occasione della cui approvazione è stato analizzato il territorio ticinese dal punto di vista territoriale, dal punto di vista funzionale e dal punto di vista delle risorse e della popolazione, per capire qual fosse la dimensione corretta per un determinato territorio e per una determinata popolazione. Evidentemente possiamo considerare un territorio di 3.500 abitanti che in montagna deve gestire una zona grande quanto tutto il Mendrisiotto, che è la parte inferiore del nostro cantone, in alto, e al sud un territorio con 50.000 abitanti. Evidentemente sono due realtà in relazione alle quali devono essere ponderate le dimensioni di capacità anche degli organi politici comunali e dei servizi, per poter gestire un determinato territorio e per avere comunque un equilibrio tra i poli urbani.
  Lugano sarà comunque polo urbano principale, con una dimensione di circa 100.000 abitanti e poi vi saranno gli altri tre poli, Mendrisiotto, Chiasso-Mendrisio, Bellinzona e Locarno, con circa 50.000 abitanti. Quindi, si cerca anche di raggiungere un equilibrio tra i vari poli e di gestire tutta la zona di montagna.

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  FEDERICO FORNARO. Non c'è una dimensione teorica ottimale ma ogni territorio ha la sua.

  NORMAN GOBBI, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle istituzioni. Esatto.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. Io farei approfondimenti sul tema frontalierato, accordi fiscali e tassazione delle persone giuridiche. Procedo in maniera molto telegrafica, considerate le scadenze temporali che avete.
  Per quanto riguarda il dumping salariale, in realtà – questo è un aspetto importante – proprio nell'ambito del federalismo fiscale i cantoni hanno la possibilità di introdurre quelli che sono definiti i contratti normali di lavoro, che fissano minimi salariali. Per dire come la situazione in Ticino metta pressione attualmente sul mercato del lavoro, sappiate che in Svizzera ci sono 22 contratti normali di lavoro applicati dai cantoni e ben 15 di questi 22 contratti normali di lavoro sono presenti in Ticino.
  Questi contratti sono applicati per settore. Quindi, nel settore che, sulla base di analisi e dati verificati sul territorio, si dimostra che c'è dumping salariale, interviene quella che viene definita la «Commissione tripartita», dove sono presenti i sindacati, i rappresentanti dei datori di lavoro e lo Stato, che fissa un contratto normale di lavoro di durata determinata – dopo un certo numero di anni si verifica se le condizioni per rinnovare il contratto ci sono ancora o meno – e questo contratto normale di lavoro prevede minimi salariali.
  Bisogna dire che, come in tutte le cose, fatta la regolamentazione o fatta la legge, c'è chi poi trova il modo anche per aggirarla, spezzettando i tempi di lavoro, spezzettando le remunerazioni. Però ci sono i contratti normali di lavoro. Il popolo ticinese recentemente, in una votazione popolare, ha anche disposto l'introduzione nella Costituzione della previsione di un salario minimo. Il problema è l'applicazione di questo principio proprio nell'ambito del federalismo svizzero, in quanto questa normativa, se applicata così come è stata votata dal popolo, va contro la Costituzione federale, che prevede la libertà di commercio.
  Non entro in dettagli di natura giuridica, però ci tenevo a dire che già oggi in Canton Ticino, nei settori più sotto pressione, vi sono contratti normali di lavoro che fissano minimi salariali.
  Devo anche dire, sul tema del frontalierato, che in Ticino abbiamo circa 64-65.000 frontalieri: il frontaliero è l'italiano che risiede in Italia, viene in Svizzera a lavorare e poi rientra. È un tema molto caldo da noi, perché abbiamo 64.000 frontalieri e calcolate che la nostra popolazione è di 350.000 abitanti, quindi la proporzione è significativa.
  Io penso – questa è una mia riflessione personale – che oggi siano due i temi legati al frontalierato. Un tema è quello quantitativo. C'è stata una crescita importante, negli ultimi anni, però il tema quantitativo è anche legato a come va l'economia. Se l'economia va bene e crea posti di lavoro, è più facile che il numero di frontalieri salga e, viceversa, se il mercato del lavoro non va bene, c'è una contrazione anche sul numero di lavoratori.
  Tuttavia, l'aspetto di cui si parla poco ma che, secondo me, è importante e su cui, verosimilmente, ci può essere una convergenza di interessi, è che questa situazione di un mercato del lavoro in Ticino sotto pressione e di un mercato del lavoro lombardo che fa sì che ci sia sempre più gente che, per poter avere da mangiare, cerca lavoro e quindi lo cerca anche oltre frontiera, sta spingendo a una concorrenza molto forte fra frontalieri stessi.
  Noi abbiamo statistiche che dimostrano che, se il salario medio del residente rimane al medesimo livello, il salario medio del frontaliere sta calando continuamente. Quindi, il divario tra il salario medio del residente e quello del frontaliere sta sempre più ampliandosi. Questo aspetto danneggia tutti: danneggia noi, come mercato del lavoro, perché, chiaramente, si crea una situazione malsana, ma, a lungo andare, Pag. 17danneggia anche il frontaliere, che deve lavorare per un salario sempre più basso.
  In questo senso bisogna trovare soluzioni che possano essere a beneficio del mercato del lavoro e quindi, indirettamente, a beneficio di tutti coloro che su questo mercato operano. Qui bisogna anche sottolineare che il nuovo accordo sui frontalieri, di cui molto si discute, crea una parità di trattamento fiscale fra il residente italiano e il frontaliere; come sapete, il frontaliere oggi ha comunque un trattamento fiscale molto favorevole rispetto al residente italiano che lavora in Svizzera. Però, a questo punto, si crea un problema interno – e abbiamo letto anche noi sulla stampa della reazione di chi vive lungo la frontiera – attorno a questo accordo. Dall'altra parte, bisogna comunque dire che l'accordo attualmente in vigore è del 1974, quindi, per certi versi, è anche un po’ superato.
  Arrivo al terzo punto. Lei, presidente, ha toccato il tema dell'imposizione delle persone giuridiche e delle aziende. In Svizzera – quindi non riguarda solo il Ticino ma tutta la nazione – c'è stata una forte pressione internazionale per abolire gli statuti speciali, ovvero quelle che sono definite società a statuto speciale. Non entro nel dettaglio tecnico, ma dico solo che si tratta di società che non necessariamente hanno l'attività produttiva sul territorio ma hanno magari unicamente la sede legale.
  Ecco, la Svizzera sta facendo uno sforzo con la riforma III delle imprese, che, in buona sostanza, intende adeguarsi alle esigenze internazionali in materia di imposizione delle persone giuridiche.
  Questo significa che non ci può essere più differenziazione fra società a statuto speciale e società a tassazione ordinaria; significa però che sono riconosciute, ad esempio, deduzioni maggiorate per la ricerca e sviluppo, ad esempio. Ci sono ambiti e costi che, a livello internazionale, sono riconosciuti e che possono essere oggetto di un trattamento fiscale particolare. So, ad esempio, che in Italia avete previsto un trattamento fiscale particolare, soprattutto legato ai marchi. Quello dei marchi, se pensiamo al settore della moda, è un tema sensibile.
  Noi stiamo adesso portando avanti, a livello federale, questa riforma III delle imprese, che risponde al quesito che lei poneva e comporta l'abolizione degli statuti speciali e un ordinamento conforme alle regole internazionali, la cui entrata in vigore è prevista nel 2019, anche se qualcuno ha già annunciato... Però poi i cantoni devono automaticamente adeguarsi.
  Cito ancora due punti rapidamente. Circa le competenze, io condivido il pensiero dell'on. Rubinato, nel senso che il sistema non funziona se non si riesce a legare il servizio e la spesa che offro con la responsabilità di quello che prelevo, quindi non solo sono io che incasso i soldi, ma sono anche io che decido il livello impositivo. Come cantone posso alzare o abbassare le aliquote. Ecco, se non riusciamo a creare questo collegamento, arriviamo a una deresponsabilizzazione e il sistema non funziona più.
  Se invece vi è tale collegamento, quando spendo nella sanità, se spendo troppo sarò io che devo andare dai cittadini a dire loro che devo alzare il coefficiente di imposta e quindi, probabilmente, sarò più attento nella spesa: se invece la spesa la faccio io, ma i soldi mi arrivano da un'entità superiore, c'è questa dissociazione della responsabilità, quindi anche il principio della sussidiarietà non funziona più appieno.
  Devo anche dire, se siete interessati, che il professor Marco Bernasconi, specialista di diritto tributario in Ticino, ha fatto presso l'Università Cattolica di Milano nel 2008 una tesi di dottorato sul federalismo fiscale svizzero. Se siete interessati, potrei farvene avere una copia, con la sua autorizzazione, Presidente.

  PRESIDENTE. Assolutamente.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. L'ultimo punto riguarda perequazione e imposizione sulla casa. Per i dettagli tecnici potrà dire qualcosa il collega.
  Sulla perequazione, è chiaro che adesso il Ticino, con la riforma nel settore finanziario, Pag. 18 sta perdendo un po’ di terreno e sta arrivando vicino alla neutralità. Tuttavia, pensando al frontalierato, abbiamo anche noi dei problemi. Come magari i comuni del nord Italia hanno qualche problema con Roma, perché il nuovo accordo non prevede il ristorno ai comuni, noi abbiamo un problema con il Governo centrale. Nella perequazione delle risorse, la formula matematica include che l'imposta alla fonte, che noi preleviamo sui frontalieri – il salario– entra nel denominatore, quindi come risorsa, ma nel numeratore che io considero per calcolare le risorse pro capite i frontalieri sono esclusi e si considerano solo i 350.000 abitanti. Quindi, capite che noi abbiamo una sovra-ponderazione della nostre risorse pro capite, quando è anche chiaro che il frontalierato qualche costo lo genera. Si pensi alla mobilità, alle necessità infrastrutturali eccetera.
  Questa è la discussione che adesso abbiamo con Berna, laddove il nuovo accordo è in corso di negoziato tra le due nazioni, però internamente dobbiamo cercare di correggere questa distorsione.
  Per quanto riguarda invece l'imposizione sulla casa, di cui chiedeva il presidente, noi abbiamo – ma potrà dare qualche dettaglio più tecnico il dottor Ramelli – l'imposta immobiliare, che è pari all'un per mille sul valore di stima, abbiamo il valore locativo, in base al quale anche chi abita nella propria casa deve esporre un valore locativo teorico dell'utilizzo della propria abitazione. E poi, chiaramente il valore di stima, rientra nella sostanza.
  A fronte di questo fattore imponibile, chiaramente poi sono previste deduzioni legate alla casa, quindi gli interessi sull'ipoteca, sul mutuo, le deduzioni per manutenzioni e quant'altro. Su questo sicuramente può entrare più nel dettaglio il collega.

  PRESIDENTE. Lei ha detto che non è prevista l'esenzione per la prima casa...

  LINO RAMELLI, Direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino. Facciamo una piccola distinzione, nel senso che noi dovremmo valutare il 60-70 per cento dei valori di mercato. Per le seconde case calcoliamo il valore locativo al 100 per cento, ma in teoria dovrebbe essere più elevato. Questa è attualmente l'unica differenziazione esistente su questo aspetto.

  DANIELE MARANTELLI. Intervengo in maniera irrituale, se posso dire, ma è interessante anche interagire. Che il tema sia maledettamente complesso credo sia fuori discussione. Condivido la sua valutazione che, in prospettiva, si apriranno quelli che alcuni pensatori prima di noi chiamavano «contraddizioni in seno al popolo», quindi, evidentemente, anche tra i frontalieri è facile prevedere che accadrà quello che diceva lei.
  Tuttavia, a testimonianza di come il tema sia complesso, mi limito a fare un esempio in materia di sanità. Una strumentista che lavora in sala operatoria spesso viene a lavorare a Bellinzona o in un ospedale del Ticino perché sta meglio, guadagna di più. Però per formare una strumentista, hai voglia! E questa formazione è avvenuta fondamentalmente in un ospedale italiano, di Varese o di Gallarate o Busto Arsizio. Per questo ritengo che sia molto saggio affrontare questo tema con grandissima consapevolezza. Se lo affrontiamo a colpi di machete alla fine penso che facciamo danni sia in Canton Ticino sia in Italia.

  CHRISTIAN VITTA, Consigliere di Stato del Cantone Ticino, direttore del dipartimento delle finanze e dell'economia. Su questo aspetto, se posso, vorrei aggiungere che vi è l'interesse a salvaguardare un mercato del lavoro sano. Vi faccio due esempi. Quando un salario scende sotto i 3.000 franchi – semplifichiamo, 3.000 euro – al mese, cominciamo a preoccuparci, perché si avvicina al livello di dumping. Chiaramente, da voi un salario di questo tipo è un buon salario. Oggi noi constatiamo che soprattutto questo fenomeno si sta spostando in un settore che tipicamente offriva buoni salari, che è quello dei servizi. Storicamente il frontalierato era legato all'industria, al settore secondario, quindi arrivava Pag. 19 il frontaliere che lavora nell'industria, perché magari l'industria l'aveva fondata anche un imprenditore italiano. Pensiamo, ad esempio, alla farmaceutica, ma ci sono imprenditori che hanno messo radici in Ticino e che veramente hanno costruito alcune belle realtà e, a fronte di queste realtà, vi erano anche lavoratori provenienti dalla vicina Italia. Quindi, il settore secondario.
  Da un po’ di anni a questa parte, si evidenzia un forte incremento del frontalierato nel settore dei servizi, il terziario, quindi i settori bancario, fiduciario eccetera, che erano settori che tipicamente offrivano buoni salari. Questa pressione sta creando anche molto disorientamento. Quando facciamo i controlli per accertare se occorre un contratto normale di lavoro, noi ci troviamo di fronte a contratti di lavoro da 1.500 franchi al mese (1.500 euro per semplificare). Per noi questo è un salario da dumping e diventa un problema, a medio termine, per il mercato, perché, alla fine, è una guerra al ribasso. Questo è ciò che intendo dire.
  Questo è il tema delicato con il quale siamo chiamati a confrontarci. Forse è anche interessante che sappiate che è un fenomeno che in Svizzera tocca tanto il Canton Ticino, perché sulla parte romanda abbiamo addirittura, sull'Arco Lemanico, regioni con un frontalierato che viene dalla Francia, dove addirittura, in certe zone, il frontaliere guadagna di più del residente. Questo grosso divario fra residenti e frontalieri è una particolarità ticinese e dobbiamo riuscire a gestirlo nell'interesse di tutti.

  PRESIDENTE. È stata un'ora e mezza assai ricca di spunti e di riflessioni. Ringrazio a nome di tutta la Commissione i nostri ospiti per il contributo, che ovviamente rimane agli atti.
  Acquisiremo volentieri anche il contributo del professor Bernasconi. Magari ci saranno occasioni di rivederci per ulteriori audizioni, ma intanto quello che avete depositato è un materiale informativo per noi molto importante. Quindi, di nuovo grazie per il contributo a tutti gli intervenuti e anche agli accompagnatori della delegazione.
  Ringrazio gli intervenuti per la loro relazione e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.

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