XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del militare Emanuele Scieri

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 7 aprile 2016

INDICE

Pubblicità dei lavori
Amoddio Sofia , Presidente ... 3 

Audizione della signora Isabella Guarino, madre del militare Emanuele Scieri, e di rappresentanti del Comitato «Giustizia per Lele».
Amoddio Sofia , Presidente ... 3 ,
Guarino Isabella  ... 3 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 4 ,
Zappulla Giuseppe (PD)  ... 4 ,
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL)  ... 5 ,
Greco Maria Gaetana (PD)  ... 5 ,
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 6 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 6 ,
Garozzo Carlo  ... 6 ,
Leggio Daniela  ... 7 ,
Garozzo Carlo  ... 7 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 9 ,
Gallitto Federica  ... 9 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 10 ,
Leggio Daniela  ... 10 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 11 ,
Guarino Isabella  ... 11 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 11 ,
Guarino Isabella  ... 11 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 11 ,
Guarino Isabella  ... 11 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 11 ,
Garozzo Carlo  ... 11 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 12 ,
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 12 ,
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL)  ... 12 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 13 ,
Leggio Daniela  ... 13 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 13 ,
Leggio Daniela  ... 13 ,
Amoddio Sofia , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
SOFIA AMODDIO

  La seduta inizia alle 8.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della signora Isabella Guarino, madre del militare Emanuele Scieri, e di rappresentanti del Comitato «Giustizia per Lele».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della signora Guarino Isabella, madre di Emanuele Scieri, e dei signori Carlo Garozzo, Federica Gallitto e Daniela Leggio, rappresentanti dell'Associazione «Giustizia per Lele».
  Darei subito la parola alla signora Guarino, che ringrazio da parte di tutti per aver accolto il nostro invito. Capisco che non è una situazione piacevole ricordare alcuni fatti, ma la Commissione d'inchiesta attende anche da lei di comprendere che cosa è avvenuto prima del tragico evento del 13 agosto 1999, quando lei ha sentito suo figlio, e che cos'è avvenuto dopo.
  Noi raccogliamo tutto quello che lei ci vorrà raccontare; tutto è registrato e messo agli atti nei resoconti parlamentari.
  Grazie della sua presenza e della sua audizione.

  ISABELLA GUARINO. Buongiorno a tutti. Sono qui sempre nella speranza che si possa fare luce su questo caso così assurdo di mio figlio Emanuele.
  Emanuele era partito nel 1999 perché l'obbligo militare l'aveva costretto a raggiungere prima la caserma di Scandicci e poi, proprio il 13 agosto, si era trasferito a Pisa, nella caserma Gamerra, dove era stato destinato per continuare il suo servizio militare nel corpo della Folgore dei paracadutisti.
  Emanuele ogni sera mi telefonava, ci sentivamo. La telefonata arrivava sempre verso le 20, all'incirca. La sera del 13 agosto l'avevamo già sentito; erano circa le 20.30 quando ci aveva chiamato. Era molto sereno, contento. Io già ero un po’ in ansia per il trasferimento, però lui mi aveva chiamato e mi aveva detto: «mamma, sono qui sotto la torre di Pisa». Quindi, io ero abbastanza tranquilla, quella sera. Lo salutai senza alcuna preoccupazione, senza alcuna angoscia.
  Questa è stata l'ultima chiamata, l'ultima telefonata che mi ha fatto. Da quel momento non siamo più riusciti a sentirlo. Già il sabato sera io ho aspettato invano che lui mi chiamasse, dal venerdì al sabato, però, pensavamo che, trattandosi di una nuova caserma, magari non era riuscito a chiamarci. Certo, l'ansia cominciava a farsi sentire nel nostro cuore. Allora c'era anche mio marito.
  Eravamo in villeggiatura al Lido di Noto, in quel Ferragosto del 1999. Abbiamo aspettato, è passata anche la domenica. Ricordo che quella domenica cadeva proprio il 15 agosto. L'indomani, il 16, aspettavamo ancora. Nel pomeriggio, erano le 16 all'incirca, arriva una telefonata e io subito ho gridato «Emanuele!», perché eravamo tutti preoccupatissimi e ci saremmo attivati già quella serata stessa per sapere perché non telefonava.
  Invece era una telefonata probabilmente fatta per individuare la casa e la Pag. 4nostra presenza lì al Lido. Dopo qualche minuto sono arrivati i carabinieri e hanno bussato alla nostra porta. Appena li abbiamo visti siamo usciti preoccupatissimi, perché cominciavamo a capire che qualcosa non andava. In quel momento, poi, anche l'altro figlio era fuori, in gita con gli amici, quindi eravamo soli io, mio marito e i nonni.
  Sono arrivati i carabinieri e piano piano hanno cominciato a darci la notizia di Emanuele, dicendoci «suo figlio aveva dei problemi...». Noi abbiamo risposto che Emanuele era tranquillo, era partito, non aveva mai manifestato problemi; in quindici giorni ci eravamo sentiti sempre. Eravamo storditi da queste parole del carabiniere.
  Dopo hanno detto tutto, hanno cominciato a dire cos'era successo, che l'avevano trovato lì, ai piedi della torretta. La cosa inaccettabile era che questo ragazzo era rimasto per tre giorni lì e nessuno l'aveva cercato, nessuno ci aveva avvertito. È inaccettabile che in una caserma sia successa una cosa del genere, che nessuno abbia potuto mai spiegare come mai Emanuele è rimasto dalla sera del 13 fino alle 14 del 16, lì, ai piedi di quella torretta. Nel caldo infernale che c'era quell'anno, il corpo si è naturalmente decomposto.
  Siamo partiti disperati. Ci hanno portato a Pisa. Non abbiamo potuto vedere Emanuele, non l'abbiamo potuto neanche accarezzare, niente. Siamo rimasti impietriti dal dolore, dalla perdita di Emanuele, senza poter accettare questa tragedia così assurda, così inspiegabile: Emanuele, tranquillo, era arrivato là e alla fine l'abbiamo perso.
  Aveva telefonato alle 21 anche al fratello, a Francesco, ed era lì tranquillo, contento. Rientra – abbiamo saputo – verso le 22.15, ma alle 23 c'era l'appello e non era presente nella camerata. Niente. Era stato fuori con un amico, con un commilitone, un certo Viberti, e alla fine nessuno ha cercato dov'era Emanuele.
  Dalle 22.30 alle 23 c'è questo buco nero. Emanuele non c'è, non sappiamo che cosa gli sia capitato in quei minuti. Tutto questo è rimasto un mistero fino adesso.
  Abbiamo sempre chiesto che si facesse chiarezza, che si facesse luce; abbiamo lottato tantissimo per questo. Il nostro avvocato, l'avvocato Randazzo, ci ha seguito nei vari processi, nelle varie richieste, della mancata ricerca, della volontà di sapere che cosa era successo a Emanuele.
  Sono passati diciassette anni, ma non sappiamo chi abbia ucciso Emanuele, sicuramente in quella caserma, perché Emanuele non è uscito da quella caserma. È entrato ed è morto lì, nella caserma. Ha perso la vita lì, tra le mura della caserma.
  Nessuno ci ha saputo dire mai chi è responsabile della morte di mio figlio.
  Questi sono i fatti.

  PRESIDENTE. Grazie, signora Guarino.
  Do la parola ai colleghi che intendano fare delle domande, anche su cosa sia accaduto dopo.

  GIUSEPPE ZAPPULLA. Per quanto mi riguarda, più che fare delle domande sento il bisogno di rassegnare il mio – ma presumo che non sia soltanto personale – impegno a lei e ai rappresentanti del Comitato, a chi più di altri si è impegnato e si è mosso su questo terreno.
  Da parte di questa Commissione – ma non compete a me, lo diranno meglio di me il presidente e il vicepresidente – c'è l'impegno, oltre che istituzionale e formale, morale di fare tutto ciò che è possibile, senza alimentare eccessive certezze e garanzie che non siamo in condizione di poter offrire.
  Abbiamo voluto tutti, al di là di chi ha presentato o meno le proposte di legge, questa Commissione, perché pensiamo che, esattamente come ha detto lei, signora, sia inaccettabile che un ragazzo perda la vita dentro il perimetro di una caserma, cioè il luogo dove più che in altri si dovrebbe rispettare e garantire la legalità, la certezza del diritto. È inaccettabile che perda la vita sapendo che le diverse indagini svolte in buona sostanza portino alla conclusione che Lele non ha avuto un incidente, non è scivolato, non ha avuto un mancamento. È stato ucciso, ed è un omicidio compiuto da ignoti. Pag. 5
  Se è già drammatico che questo avvenga in giro, nella società, è moralmente, politicamente, istituzionalmente, giuridicamente – mettiamola come vogliamo – inaccettabile che avvenga lì dove invece dovrebbero esserci garanzia, certezza e rispetto della legalità. Lo dico anche in ragione del fatto che in questi diciassette anni, che lei ha giustamente richiamato, ci sono stati anche momenti di piccole polemiche. A partire dal Comitato, dai familiari, da intere comunità – ormai questa è una battaglia di civiltà, di giustizia e di verità che appartiene in primo luogo a lei, ai familiari, agli amici più stretti, ma un po’ a tutti noi – ci sono state polemiche più o meno striscianti sul fatto che in qualche modo si voleva attaccare il sistema militare.
  È esattamente il contrario. Noi riteniamo che il modo migliore per fare giustizia e anche per rendere onore alle forze militari, è proprio quello di contribuire a individuare i responsabili, perché in questo modo si rischia di infangare tutto il sistema. Io non ritengo che questa sorta di omertà – non so altrimenti come definirla – che viene fuori dalla lettura delle indagini, degli interrogatori e così via, sia accettabile.
  Non ritengo accettabile né sostenibile che in quei tre o due giorni, in quelle lunghe ore di silenzio e di vuoto dentro il perimetro di una caserma, nessuno abbia visto, sentito, ascoltato. È improponibile. Nessuno di noi ragionevolmente e umanamente può credere a un'ipotesi di questo genere.
  Per quanto mi riguarda, sento il bisogno di consegnare a lei e al Comitato due garanzie, due certezze: faremo di tutto, tutto quello che è possibile, tutto quello che ci consentiranno gli strumenti importanti che la legge istitutiva di questa Commissione ci consegna per contribuire a fare verità e giustizia. Di ogni passaggio importante dei lavori di questa Commissione tutti, a partire dalla Presidenza fino a tutti noi, sentiremo il piacere e il dovere di tenerla informata dettagliatamente.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Grazie, presidente. Desidero ringraziare la signora Guarino per la sua presenza in Commissione.
  La sua testimonianza è per la Commissione un momento importante, che dà l'avvio, dopo tanti anni e tante battaglie per istituire una Commissione d'inchiesta, a questi lavori e credo offra a tutti noi commissari un momento di riflessione ulteriore, che ci darà ancora più coraggio e volontà di proseguire in questa azione, che deve essere serena.
  Sono passati tanti anni e forse il tempo trascorso può essere un momento di forza per lo scopo di questa Commissione, per svolgere un lavoro sereno, puntuale, di ricostruzione e di verifica di tutti gli aspetti lacunosi, che noi siracusani, e parlamentari siracusani, conosciamo per aver seguito la vicenda dall'inizio, ma che tutti i colleghi parlamentari possono evincere dalla lettura degli atti.
  Quello che le possiamo assicurare è che ci sarà il massimo impegno da parte di tutti noi a non tralasciare nulla e ad andare fino in fondo. Ovviamente il nostro auspicio è di restituire una verità che in tutti questi anni abbiamo ricercato e non siamo riusciti ad ottenere, affinché Emanuele possa riposare in pace e si possa restituire ai familiari anche un senso e una ragione.
  L'impegno è di andare avanti con determinazione, senza appartenenze politiche. Credo che lo spirito col quale si è composta questa Commissione sia quello di non dare assolutamente peso ai colori politici; non c'è il partito dei militari contro un'altra parte politica o contro i militari. Qui c'è una classe dirigente che vuole fare chiarezza, a partire dal caso Scieri, e io spero che il Parlamento in futuro vorrà proseguire facendo altrettanto su tutti gli altri casi, perché ci sono tanti altri casi analoghi a quello di Emanuele Scieri.

  MARIA GAETANA GRECO. Intervengo per ringraziare la signora Guarino, che ho conosciuto occasionalmente ieri sera, per il contributo che oggi ha voluto dare ai nostri lavori. La ringrazio per la sua compostezza e pacatezza nel ricordare un momento che sicuramente ha segnato la sua vita dal punto di vista umano. Pag. 6
  Lo scopo della nostra Commissione – è già stato ricordato sia dall'onorevole Zappulla sia dall'onorevole Prestigiacomo – è quello di contribuire all'affermazione di uno Stato di diritto assicurando, ove possibile, i colpevoli alla giustizia.
  L'indagine muove anche dall'attenzione che oggi il Parlamento italiano, senza distinzione alcuna, vuole rivolgere a casi come quello che lei ha vissuto e, mi permetto di dire, continua a vivere. Il nostro impegno, da questo punto di vista, sarà sicuramente costante, rigoroso e puntuale.
  Signora, questa Commissione non le restituirà suo figlio, ma auspichiamo tutti che con il nostro impegno e il contributo di quanti oggi, a distanza di tempo, vorranno o sentiranno il bisogno di parlare, possiamo quantomeno darle la consolazione di sapere chi e perché ha ucciso suo figlio.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Grazie, presidente. Io non sono siracusano, sono nato in Sicilia, ma non vi ho mai vissuto. Questo caso mi ha appassionato in quanto psicologo, psicoterapeuta e avendo un padre militare.
  Conosco molto bene quello che può accadere a questo livello di dinamiche in quei posti, perché io stesso sono stato oggetto delle stesse ingiustizie che suo figlio presumibilmente ha ricevuto. Le voglio dire una cosa: può darsi anche che non si arriverà a meta, come si suol dire, però grazie al suo lavoro, alla sua disponibilità e purtroppo, alcune volte, anche per alcuni casi del destino, lei sarà una luce che aiuterà lo Stato italiano a dissuadere da qualsiasi tentativo di emulazione di certi comportamenti.
  In questo senso credo che indirettamente questa Commissione, grazie alla vostra disponibilità, farà un grandissimo lavoro di prevenzione proprio tramite l'informazione e la volontà di andare fino in fondo. Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ascoltiamo i componenti del Comitato, in particolare il dottor Garozzo Carlo, che ha vissuto le vicende perché, tra l'altro, si è recato in caserma e ci potrà raccontare i fatti salienti. Soprattutto ci dirà chi era Emanuele, e tutto quello che vorrà riferire a questa Commissione.
  Potranno intervenire ovviamente anche gli altri rappresentanti del Comitato presenti, l'avvocato Federica Gallitto e la professoressa Daniela Leggio.

  CARLO GAROZZO. Grazie a tutti. Sono qui in rappresentanza dell'associazione «Giustizia per Lele». L'associazione nacque – non vorrei esagerare – circa venti giorni dopo le infamanti dichiarazioni rilasciate alle testate giornalistiche da parte dei vertici della caserma Gamerra di Pisa. Mi riferisco in particolar modo al comandante o generale – non ricordo perché non ho fatto il militare – mi sembra Cirneco o Celentano, quando sostenne che Emanuele con molta probabilità cadde da quella scaletta e riferì tre possibili ipotesi. La prima è che Emanuele era interessato nell'osservare una ragazza affacciata a un balcone delle limitrofe palazzine. Emanuele non è morto in un punto oscuro della caserma Gamerra di Pisa ma in un punto centrale della caserma, frequentatissimo e visibile a trecentosessanta gradi. Questa fu la prima ipotesi.
  La seconda è che forse doveva cercare il campo del telefonino, ma non lo trovava, quindi pensò bene di slacciarsi i lacci delle scarpe e arrampicarsi sulla parte esterna. Infine, che voleva fare da solo una prova di auto coraggio.
  Ecco, a seguito di queste infamanti dichiarazioni nacque l'associazione «Giustizia per Lele». Nacque sull'onda di una forma di indignazione assurda nella nostra città, Siracusa. Noi eravamo giovani ragazzi, l'associazione nacque dinanzi a un notaio che pagò di tasca propria le spese di registrazione, dicendoci di andare avanti.
  Così è nata l'associazione e così abbiamo iniziato a lottare, proprio per contrastare questa forma di omertà che pian piano ha preso forma e consistenza in questa vicenda e che – come più volte viene detto, ma io mi sento di ribadirlo in questa sala – non ha niente a che vedere con la famosa omertà siciliana, quella di cui siamo tutti tacciati dinanzi ai reati mafiosi eccetera. Pag. 7
  Questa è un'omertà molto più pressante, molto più pesante, perché è un'omertà di Stato. Emanuele è stato ucciso all'interno di una caserma italiana, è stato ucciso a casa dello Stato.
  Vorrei ricordare brevemente la figura di Emanuele. Emanuele era un ragazzo che amava in maniera straordinaria la vita. Aveva una vitalità sorprendente. Non avrebbe mai e poi mai compiuto un insano gesto come quello che venne all'inizio ipotizzato.
  Tra l'altro, io fui uno degli ultimi amici a sentirlo al telefono. Lo sentii quindici giorni prima dei fatti. Lo chiamai perché non scese a luglio alla festa di laurea di Francesco (mi sembra che fosse la festa di laurea) e questo fatto mi stupì molto. E così lo chiamai. In quel momento era in licenza con dei commilitoni e stava andando a fare un giro a Pisa. Lui fece il CAR a Scandicci.
  Gli chiesi perché non fosse sceso, come mai. Mi disse: «sai Carlo, vorrei continuare perché spero di prendere dei giorni in più di licenza quando scendo», anche perché il 31 agosto avrebbe compiuto...

  DANIELA LEGGIO. C'era Vasco Rossi....

  CARLO GAROZZO. ...c'era Vasco Rossi. Insomma, Emanuele aveva un progetto per le sue vacanze estive. Mi disse: «ho preferito così, ma stai tranquillo che il 31 sarò lì e festeggeremo tutti insieme».
  Io ne approfittai per chiedergli: «Come va?». «Tutto bene. Mi hanno detto che appena arrivo a Pisa, certo, la vita sarà un po’ più dura, perché è un centro di addestramento, però almeno imparo a lanciarmi con il paracadute». Queste furono le sue parole, le testuali parole rilasciate durante quella telefonata.
  Invece Emanuele il 31 agosto non festeggiò il suo compleanno. Provammo noi a festeggiare Emanuele il 31 agosto, perché andammo a Pisa a portare una corona di fiori all'interno della caserma. Per far capire, secondo il nostro punto di vista, le omissioni e la banalità con la quale sono state condotte le indagini, vi racconto quei giorni.
  Il 31 agosto arrivammo a Pisa con un pullman. Attraversammo tutta l'Italia con il nostro striscione «Giustizia per Lele». All'ingresso della caserma non ci fecero scendere. Ci accompagnarono direttamente con il pullman nel punto in cui Emanuele aveva perso la vita, ai piedi di quella torretta. Sia a destra sia a sinistra avevamo tanti militari che ci guardavano dai finestrini, ridacchiando in maniera – scusatemi il termine – molto spocchiosa.
  Già questo ci faceva capire il clima che si viveva in quei giorni. Avremmo gradito davvero poggiare noi stessi, con le nostre mani, la corona ai piedi della torretta, però ci dissero che non era possibile, perché in quel punto Emanuele aveva perso la vita. Allora il comandante ordinò a un carabiniere presente di poggiare la corona ai piedi della torretta.
  Subito in tutti noi un pensiero fu immediato: come può un comandante di una caserma ordinare a un carabiniere di poggiare quella corona di fiori? Agli stessi carabinieri che effettuarono le indagini all'interno della caserma?
  Lo dico non perché non si potesse fare questo, ma perché ricordo benissimo che dopo un po’ di tempo venne fuori che sulla scaletta si era ritrovata una traccia di sangue. Ci si chiese di chi fosse quel sangue: non era di Emanuele. All'improvviso un carabiniere disse «sì, è mio, mi ferii durante i rilievi effettuati per le indagini». Mi sembra che non ci furono verbali su questo, né mi sembra che ci furono dei rilievi.
  Dico questo solo per testimoniare che tutto venne condotto in maniera davvero superficiale. La scena, il luogo venne inquinato da tutti. Ovviamente tutto questo ha causato in noi fortissime perplessità, dubbi.
  Siamo sicuri che Emanuele Scieri è stato ucciso ed è stato ucciso all'interno di quella caserma. Siamo sicuri per un motivo: Emanuele era un ragazzo di legge, fermo, intelligente. Emanuele era appena arrivato in caserma, era da poche ore all'interno di quella caserma e non si sarebbe mai messo in una situazione di conflittualità con i militari della stessa caserma. Parlo delle figure più apicali, quelle che potevano creare problemi in termini di nonnismo. Non si pongono in essere, appena Pag. 8 arrivati, atteggiamenti che possono essere lesivi della propria immagine.
  Emanuele è morto a distanza di poche ore. Siamo convinti che forse il caso – ahimè davvero il caso – ha voluto che Emanuele, per una serie di circostanze, abbia incontrato dei militari che, in una calda serata di agosto, senza che ci fosse nulla da fare all'interno di una caserma, poiché tra l'altro erano in pochi, hanno ritenuto opportuno praticare su Emanuele quello che magari avevano subito loro stessi e poi il tutto sia finito in tragedia. Quindi, hanno obbligato Emanuele a salire sulla scala.
  Quello che indigna, quello che ci fa stare male e che ci porta, dopo sedici anni, ad avere ancora la rabbia e il tremolio nelle parole è che noi siamo certi che Emanuele è stato lasciato ai piedi di quella torre agonizzante. Questo è quanto di più codardo e vile possa un uomo porre in essere. Per questo non ci fermeremo mai e poi mai dinanzi alla tragedia del nostro amico.
  Potrei dire ancora tanto su Emanuele. Vi potrei parlare dei funerali, dei funerali di Stato che vennero celebrati a Siracusa. A quei funerali devo dire che noi amici di Emanuele ci opponemmo, ovviamente nel nostro intimo, ma mai dinanzi alla famiglia, che abbiamo sempre sostenuto. Ci opponemmo perché abbiamo assistito davvero al carosello della banalità.
  Mandarono Emanuele accompagnato dai parà più sempliciotti – scusatemi il termine – quelli che avevano più la faccia da bravi ragazzi. Non sembravano dei parà, assolutamente. Provarono a dare questa immagine di Emanuele. Infatti, l'unico momento in cui ci fu uno scontro – lo ricordo bene – fu proprio nella camera ardente.
  Racconto un episodio che fa capire di cosa stiamo parlando. I parà stavano fino a un certo orario a fare il picchetto ad Emanuele. Quando andavano via le televisioni, quando andavano via i media e tutti gli altri, arrivavano alcuni ragazzi da una vicina caserma di Catania a fare la notte. Noi a quel punto ci opponemmo e richiedemmo che rimanessero tutta la notte a fare il picchetto, come noi amici eravamo là dentro a fare il picchetto ad Emanuele. Invece no. Questa immagine che si è voluta dare di una Folgore forte, bonaria, bonacciona ha sempre alimentato la nostra ricerca della verità.
  Vi potrei parlare – ma già lo sapete – del famoso «Zibaldone» del comandante Celentano, delle ignobili e assurde affermazioni in esso contenute – l'odio razzista nei confronti del sud, dei meridionali – ma non mi va di farlo. Non è il caso, sarebbe inutile.
  Lo ripeto, Emanuele era un ragazzo pieno e carico di vita, aveva una vitalità straordinaria. Non avrebbe mai e poi mai compiuto un gesto come quello che inizialmente gli venne addebitato, ovvero – tra le tante ipotesi – il suicidio, anche e soprattutto il suicidio, che fu la prima ipotesi mandata avanti.
  Abbiamo scoperto – ahimè – anche negli anni successivi, entrando in contatto con le associazioni di familiari delle vittime, che il suicidio è sempre la soluzione primaria che viene offerta. Abbiamo scoperto che ci sono stati tanti casi di suicidi di giovani militari morti con quattro, cinque colpi di pistola e via discorrendo. Situazioni allucinanti.
  Emanuele non si è suicidato. È stato vittima di un atto di nonnismo o comunque di un atto goliardico finito male. In ogni caso, Emanuele è stato ucciso dalla caserma Gamerra di Pisa perché doveva essere soccorso e non lo è stato. L'una o l'altra, ci sono gravissime responsabilità che probabilmente ritroverete negli atti processuali. Le omissioni sono davvero infinite.
  A nome dell'Associazione, vorrei davvero ringraziare il Parlamento italiano per aver, dopo sedici anni, ascoltato la nostra istanza. Noi non ci siamo mai fermati. L'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta per noi, a prescindere da tutto, è un atto di grande civiltà ed è una vittoria civile, prima di tutto.
  Durante quei momenti io stavo studiando diritto pubblico. Dovevo sostenere l'esame di diritto pubblico all'università. Per mesi non toccai quel testo. Ho avuto difficoltà a sostenere l'esame, perché sia io sia i miei amici, tanti ragazzi, siamo cresciuti Pag. 9 con un fortissimo senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Dopo sedici anni, sono qui per chiedere a voi tutti di non deludere la nostra fiducia nelle istituzioni, non tanto rispetto al risultato. Mi auguro davvero che qualcuno dopo sedici anni possa passarsi la mano sulla coscienza e riferire a questa Commissione particolari che possano riaprire il caso o, comunque, fare chiarezza.
  Per noi è importante che questa Commissione non deluda il senso di fiducia che vogliamo riavere nelle istituzioni. Questo è il messaggio forte che vogliamo mandare.
  Vi preghiamo di lavorare – e non abbiamo dubbi che questo avverrà – con la massima serietà e velocità, e con l'impegno di ridare fiducia e speranza nelle istituzioni a ex ragazzi, oggi donne e uomini, che sono cresciuti con la storia di Emanuele e con questo grandissimo desiderio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Garozzo, per le sue parole, per la fiducia e per l'incitamento a questa Commissione. Ce ne servirà tanto per i lavori che ci aspettano.
  Prima ascoltiamo gli altri ospiti presenti, poi passeremo eventualmente alle domande.

  FEDERICA GALLITTO. Vorrei aggiungere a quanto ha detto il dottore Garozzo che se siamo qui dopo tanto tempo è perché davvero la risposta della Folgore è stata inaccettabile.
  Si è parlato di nonnismo, ma non c'entra. Io non ho esperienze di vita militare, né personalmente né in famiglia, ma io non lo chiamo nonnismo, nella misura in cui per me si tratta di reati. Nello «Zibaldone» del generale Celentano, e non di Giacomo Leopardi, sono indicati degli atti che loro definiscono «scherzi», ma non è uno scherzo gettare il fuoco sui piedi di un uomo e per spegnerlo vedergli fare il gesto della bicicletta e chiamarlo appunto «gesto della bicicletta».
  Dopo la morte di Emanuele, ricordo che tantissimi ragazzi denunciarono. Mentre prima c'era timore nel rivelare cosa avvenisse all'interno di quelle caserme, grazie alla forza della famiglia e dell'associazione, tanti denunciarono, tant'è che in Parlamento si discuteva già del passaggio dalla leva obbligatoria ai volontari di truppa e nel 2000, su impulso – lo leggiamo anche negli atti parlamentari – della vicenda di Emanuele, il Parlamento delegò il Governo per il passaggio dalla leva obbligatoria alla leva volontaria.
  È chiaro che noi abbiamo riscontrato, da quello che abbiamo letto e che venne raccolto nel testo degli atti del processo, che le lacune ci sono state. Molti commilitoni – ne cito una a titolo esemplificativo – hanno dichiarato di aver saputo della morte di Emanuele il 15 agosto, un giorno festivo che quell'anno cadeva la domenica. Nella richiesta di archiviazione, il pubblico ministero ha detto che evidentemente c'era stata una confusione tra il giorno 15 e il giorno 16, quando il corpo di Emanuele venne ritrovato.
  Credetemi, per esperienza professionale, quando avviene un fatto un giorno festivo, doppiamente festivo come un 15 agosto di domenica, non credo che sia facile confonderlo. Io, che non vado in licenza il giorno di Ferragosto o che rientro in caserma il giorno di Ferragosto, non lo confondo con il lunedì successivo, che non è festivo.
  Chiediamo a voi di impegnarvi in questa ricerca della verità. Credetemi, siamo tanti. Io non utilizzo i social con piacere, ma vi dico che abbiamo aggregato 9.000 persone che dopo sedici anni e mezzo hanno chiesto l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che indaghi ancora.
  Hanno deliberato anche tredici consigli comunali, tra Sicilia, Pisa e il comune di Castelverde in provincia di Cremona. Come già è stato detto, questo non è un caso siciliano, non è un caso siracusano. Questo è un caso nazionale.
  Concludo con una frase – che non è mia, e di questo chiedo scusa – che credo possa sintetizzare il tutto: «Non può essere veramente amico dell'uomo chi non è amico della verità».
  Speriamo che il tempo trascorso sia un amico e non un nemico e che qualcuno ci racconti cosa ha visto o cosa ha fatto. Grazie.

Pag. 10

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato Gallitto.
  Do la parola alla professoressa Leggio Daniela.

  DANIELA LEGGIO. Buongiorno a tutti. Da amica e compagna di classe di Emanuele, abbiamo vissuto tante esperienze e tanti momenti. Sono amica ovviamente di Carlo Garozzo, di Federica e di tanti altri che non sono presenti, ma che hanno da sempre portato avanti questa battaglia.
  Vorrei aggiungere un particolare a quello che ha detto Carlo. Noi siamo saliti una seconda volta a Pisa il 14 febbraio, quindi sei mesi dopo. Personalmente il 31 non ero salita, perché non me la sentivo. Tra le altre cose, come nel caso richiamato precedentemente, sono anche io figlia di militare, mio padre era un generale della Finanza. Io avevo capito la situazione, ma ricordo benissimo il gesto di mio padre, che spense la televisione e mi disse: «Questo è nonnismo». Nulla di tutto quello che stavano dicendo nelle prime ipotesi avanzate ridicole e infanganti, dal nostro punto di vista.
  A febbraio salii a Pisa. Sono curiosa, la signora Scieri lo sa, mi conosce. Un po’ schiva nei riguardi delle situazioni dolorose, perché cerco di cogliere il lato positivo, ma in ogni caso cercai il contatto immediato con i commilitoni. Quindi, mi defilai un po’ dalla situazione e individuai tre ragazzotti con il visino pulito, chiedendo chi dormiva nella camerata di Emanuele, chi lo conosceva nei ventiquattro giorni di CAR.
  Uno di questi tre ragazzi con cui parlai mi disse che lo conosceva, che era un ragazzo simpatico con cui giocava a calcetto. A quel punto, umanamente ho chiesto come mai non avessero ritenuto opportuno informare. Infatti, quello che suonava strano era come all'interno dello Stato – perché una caserma è Stato – una mancanza non fosse stata denunciata. Per me, da cittadina, era questo. Se Emanuele non si presenta al contrappello, ed era invece presente all'appello, allora è un disertore.
  Io insegno e se un alunno non torna dopo la ricreazione non sono tranquilla, pensando che sia una cosa assolutamente normale. In quel momento la scuola è lo Stato e lo vado a cercare. Quindi, perché Emanuele non era stato denunciato, visto che, essendo presente all'appello, non era poi stato segnato al contrappello?
  Il commilitone mi rispose con gli occhi sgranati – ricordo il viso di chi vuole dire e non può parlare – «nelle caserme vige una gerarchia, c'è un sistema gerarchico che deve assolutamente essere rispettato. Quando tu per tre giorni di seguito vai da chi è il tuo superiore e segnali la mancanza della persona e per tre giorni di seguito ti dicono “sì, va bene” io non posso più fare niente». Secondo me, in maniera abbastanza metaforica, ma direi anche palese, la dichiarazione era equivalente a dire: «Ce ne siamo accorti dal giorno 13 notte che Emanuele non c'era. L'abbiamo segnalato, ma siamo stati imbavagliati».
  Non me l'ha detto perché probabilmente quello che hanno visto, le minacce che hanno subìto – ma questa è una mia illazione, ovviamente – saranno state più forti rispetto alla sete di verità, considerando che erano ragazzi sui diciotto anni, erano ragazzi piccoli.
  Questa discussione in tante occasioni – il sabato pomeriggio a casa dei signori Scieri abbiamo discusso, con Corrado Scieri, con la signora – mi è sempre risuonata nelle orecchie come una chiave di lettura di qualcosa che ovviamente dall'esterno leggevamo, ed è stata una conferma.
  Con l'associazione, con gli amici di sempre, con la signora, con Francesco ci confrontiamo quotidianamente, con posizioni talvolta differenti, forse perché c'è ancora questa forma di nervosismo. È un filo bellissimo quello che, devo dire, Emanuele ha ancora il dono di tessere e di tenere fortissimo, perché ci tiene legati come se ci vedessimo tutti i giorni, e sono passati tanti anni.
  Individuo anch'io, come Carlo e come Federica, questa situazione come l'ultimo treno. Mi auguro di poter contribuire a quello che spiego ogni giorno anche ai ragazzi, che sono i cittadini del domani: nonostante tutto, cerco di spiegare loro la fiducia nelle istituzioni. Spero di poter dire un domani, presto, che questa fiducia era Pag. 11meritata. E sono sicura che, a prescindere da tutto, è meritata.
  Anche il gesto di costituirsi come Commissione è già un motivo validissimo, a prescindere da quelli che saranno i risultati, per dire che, comunque, non tutti gli esseri umani sono negativi.

  PRESIDENTE. Grazie, professoressa.
  La signora Guarino vuole aggiungere qualcosa?

  ISABELLA GUARINO. A proposito della mancata ricerca di Emanuele, ricordo che nell'archiviazione il procuratore scrisse una frase per me incomprensibile, cioè che i militari della caserma erano stati avvertiti, ma non informati. Non ho mai capito quale fosse la differenza tra avvertire e informare.
  Perché non era stato ricercato? Per questo motivo, perché erano stati avvertiti, ma non informati. Così viene conclusa l'archiviazione del procuratore di Pisa, il dottor Iannelli. Mi ha sempre turbato questa frase inspiegabile.
  Grazie a voi e all'impegno che metterete, ne sono certa, nella ricerca di questa verità, di questa giustizia che noi abbiamo sempre affermato.

  PRESIDENTE. Se permettete, io farei qualche domanda e poi darei la parola ai colleghi se intendono porne altre. Penso che possa rispondere chiunque degli auditi presenti.
  Emanuele aveva chiesto di andare nei paracadutisti già otto anni prima. Me lo confermate? Sì? Sì, va bene. Nel microfono, per favore. Emanuele si era laureato in Giurisprudenza da poco tempo? Inoltre – rivolgo la domanda alla signora – noi ci ricordiamo tutti, essendo siracusani, che c'è stata anche un'opposizione all'archiviazione per omicidio colposo. Nell'opposizione all'archiviazione – se lo ricorda, signora – avete chiesto di continuare ad indagare ancora e non è stato risposto positivamente?

  ISABELLA GUARINO. Sì.

  PRESIDENTE. Su alcune di queste indagini – non tutte, nel senso che alcune riguardano intercettazioni telefoniche che dovevano essere fatte solo allora – la Commissione potrà proseguire. Lei ricorda che ci fu un'opposizione all'archiviazione?

  ISABELLA GUARINO. Sì, ci fu l'opposizione. Mi ricordo che era il periodo vicino a Natale, dicembre, mi pare dell'anno 2000. Mio marito e mio figlio Francesco andarono all'udienza a Pisa dove si discuteva di questa mancata ricerca. Lì, ancora una volta, intervenne il procuratore Iannelli per chiudere immediatamente questa nostra opposizione.
  Ricordo l'indignazione del nostro avvocato Ettore Randazzo, perché c'era stato questo intervento a gamba tesa, quasi, del procuratore che aveva fatto subito chiudere la nostra opposizione. Lo stesso Francesco dovette stare zitto perché aveva avuto un moto di rabbia, nel senso che aveva visto la chiusura di questa nostra istanza, di questa nostra ricerca. Così venne assolutamente chiusa e non fu fatto niente per cercare di capire.
  Era anche molto importante, allora, capire perché non era stato cercato, come tutti qui abbiamo sostenuto. Questo è un punto veramente grave di quello che è successo, di questi fatti che ancora sono stati così poco chiariti.
  Nessuno ci ha spiegato perché Emanuele non sia stato cercato subito la sera del 13, quando non si è presentato al contrappello.

  PRESIDENTE. Chiedo se qualcun altro intende rispondere alle altre domande.

  CARLO GAROZZO. Per quanto riguarda la scelta di Emanuele di fare il paracadutista, il parà – ringrazio per questa domanda –, vorrei chiarire che Emanuele non voleva fare il parà nella vita. Quando, a diciott'anni, vai a fare la visita militare e ti vedono prestante, alto, con determinate caratteristiche, ti chiedono se vuoi entrare nei corpi «speciali» o comunque quelli d’élite, e tu che hai diciott'anni accetti, perché per te è motivo di vanto, Pag. 12anche con i tuoi amici, dire che hai fatto la visita militare e ti hanno preso nei parà.
  Emanuele non voleva fare la carriera militare. Ricordo bene le discussioni che ci furono quando arrivò la chiamata militare. Emanuele si era laureato, aveva iniziato a fare il praticantato. Addirittura ci furono discussioni perché, essendo laureato, avrebbe potuto anche fare un determinato tipo di carriera militare, però questo comportava per Emanuele un maggior impegno temporale all'interno del mondo militare ed Emanuele voleva fare l'avvocato.
  Emanuele era il ragazzo che custodiva gelosamente il primo assegno che aveva ricevuto dall'avvocato presso il quale faceva pratica. Non andò mai a cambiarlo, proprio perché era il suo primo stipendio. Emanuele voleva fare questo nella vita, voleva fare l'avvocato. È stato un caso che sia finito tra i parà. Questo è importante, perché si disse tanto, all'epoca, sull'argomento.
  Ne approfitto per ricollegarmi a quanto ha detto Daniela. Il 14 febbraio del 2000 – non una data a caso, ma il giorno di San Valentino, fu fatto apposta – noi andammo a Pisa e arrivammo dinanzi alla caserma, sempre con il nostro amato striscione. Ricordo ancora che un tale Centofanti (mi colpì il cognome, ma non mi ricordo se era un caporale o un tenente) disse: «Ricordatevi che Emanuele ha scelto di fare il parà», come per dire che Emanuele avrebbe dovuto contemplare la possibilità di andare incontro anche a una vita dura, difficile, pesante, che poteva eventualmente comportare non dico ovviamente la morte, ma atti di sopruso necessari a forgiare il carattere. Volevo aggiungere questo.

  PRESIDENTE. È molto utile.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Dottor Garozzo, faccio solo un appunto. Ovviamente bisogna capire che qui il problema è il metodo, un metodo che è stato fallimentare anche da parte delle procure, un metodo di formazione dei caratteri che è stato fallimentare in quegli anni e presumibilmente non è cambiato nulla, perché non c'è mai stata una linea di discontinuità.
  Probabilmente per eccesso di umiltà lei ha parlato di atti di sopruso per forgiare il carattere. Ma non si fanno atti di sopruso per forgiare i caratteri. Si creano le condizioni per costruire una responsabilità nella coscienza di un ragazzo che si sta formando. Quindi, si possono creare le condizioni per rendere immediatamente responsabili relativamente a mancate comprensioni o a mancati errori, ma non sono soprusi, sono richieste di accettazione di una responsabilità all'interno di un contesto di regole. Queste possono essere fatte classicamente, come flessioni, come giri di barra per quanto riguarda la Marina militare, ma non è previsto, non è mai previsto il contatto fisico.
  So che questo a voi è chiaro come è chiaro ai membri di questa Commissione. Qualora ci fosse l'insubordinazione nel momento della formazione di un ragazzo, se ne parla e se ne discute in rapporto, in altri contesti, con altri comandanti ed esistono le cosiddette «punizioni», ad esempio la mancata possibilità di uscire, la mancata possibilità di andare in licenza. Questo è quello che fa il contesto militare nell'atto della formazione di un giovane ragazzo, di un giovane soldato. È la responsabilizzazione.
  Sono sicuro che lei volesse dire questo, forse per essere accondiscendente rispetto al dolore che avete tutti provato, che può essere devastante. Ma io credo che la Commissione abbia ben chiaro che gli atti di sopruso non formano i caratteri; sono bensì i caratteri che formano gli altri caratteri, perché insegnano come seguire le regole attraverso i metodi militari.
  Non credo che c'entri nulla con quello che è successo là.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Più che porre una domanda vorrei innanzitutto ringraziare gli amici dell'Associazione «Giustizia per Lele Scieri» per il loro impegno in tutti questi anni. Sono stati eccezionali, hanno mantenuto vivo non soltanto il ricordo di Emanuele Scieri, ma soprattutto Pag. 13 il bisogno di non abbandonare questa battaglia per la ricerca della verità.
  Credo che il loro supporto a questa Commissione sia importante. Questi sono i primi incontri che vengono svolti ed è chiaro che un'unica audizione non può raccogliere tutti gli spunti che invece noi abbiamo considerato – credo che la presidente sia assolutamente d'accordo – importantissimi, cioè tutte quelle sfumature, tutti quei passaggi che sono avvenuti immediatamente dopo e che sono impressi nella vostra memoria e che ci aiutano a inquadrare meglio la situazione.
  Nelle parole di Carlo Garozzo, quando commentava la scelta dei commilitoni della Folgore che dovevano fare il picchetto, c'è tutta la reazione di chi non ha consuetudine con il mondo militare e resta impressionato da alcuni aspetti.
  Fu esattamente la mia sensazione quando chiesi la Commissione d'inchiesta, a suo tempo, e per darmi un contentino mi diedero l'indagine conoscitiva sui fenomeni di bullismo e nonnismo. Ricordo anche le discussioni sull'uso di questi termini. Anche l'uso della parola «nonnismo» o della parola «bullismo» aveva un significato e una serie di conseguenze.
  Ricordo che nelle audizioni (non so se questo si potrà evincere dagli atti parlamentari), quando parteciparono i vertici militari – e una delle richieste che farò alla Presidenza sarà proprio di audire la catena dei vertici militari di oggi – io avvertivo questo approccio assolutamente negazionista di quelle che erano evidenze testimoniate da fatti di cronaca che riguardavano Emanuele, ma non soltanto Emanuele.
  Quello che diceva l'avvocato sulla fenomenologia degli atti di nonnismo è ampiamente documentato. Abbiamo fiumi di letteratura su questi aspetti. Mi fa piacere la presenza del collega Baroni in questa Commissione, con la sua esperienza non soltanto professionale ma anche di vita, perché può dare un apporto importante ai nostri lavori.
  Penso che tutti quei momenti, quelle sfumature, quelle piccole cose che voi avete sicuramente annotato nella vostra memoria, nel lavoro, nei convegni, negli incontri pubblici che si sono svolti a Siracusa, e non solo, vadano messi agli atti della Commissione, nella forma o di altre audizioni o di comunicazioni scritte, perché sono fondamentali per inquadrare il clima nel quale sono state svolte queste indagini, con tutte le omissioni che noi avvertiamo come palesi. Sembrava di rimbalzare contro un muro di gomma.
  Tutte queste sfumature sono importanti. Ad esempio, il colpo di teatro – così diciamo in siciliano – dei commilitoni con la faccia bella e via dicendo sono tutti aspetti importantissimi che aiutano a dimostrare quello che tutti noi pensiamo sia accaduto, ma che non siamo riusciti in tutti questi anni a dimostrare.
  Noi abbiamo tutti la certezza che Emanuele è stato ammazzato, che c'è stata una messinscena per coprire l'omicidio, forse non volontario, comunque un atto di nonnismo finito male.
  Chiaramente non lavoriamo in Commissione con una verità precostituita. Noi dobbiamo ripercorrere tutte le inchieste e ognuno di noi si è fatto in cuor suo e nella sua testa un'idea di quello che è successo. Tutti questi aspetti sono dunque fondamentali. Voi, forse più di altri che noi ascolteremo in questa Commissione, potete essere preziosi.
  Non ho capito, quando lei parlava del soldato, chi era questo soldato. Era Viberti o era un amico? Sarebbe importante cercare di identificarlo perché questa testimonianza è preziosissima per i lavori della Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Gliel'ha detto il nome questo parà?

  DANIELA LEGGIO. No. Avevano un cartellino e io l'ho letto. Ricordo un cognome, però potrei anche dire una sciocchezza, perché magari negli anni, parlando...

  PRESIDENTE. Noi lo verificheremo, dica quello che si ricorda.

  DANIELA LEGGIO. Ricordo il cognome Marras. Non ricordo, però... Erano tre. Pag. 14
  Come diceva l'onorevole Prestigiacomo, sono pezzi della memoria che via via abbiamo chiuso, in parte, e che si stanno riaprendo. Io ricordo questo cognome. Ho letto il nome, può essere che sia questo, ma può essere che mi stia sbagliando.
  Basterebbe controllare chi dormiva con lui nella camerata a Scandicci. Loro avevano posato le valigie nella camerata a Pisa e questa persona era ricapitata con lui. Se si chiami Marras o in altra maniera...
  Erano tre. Io avevo visto tutti e tre, però ai tempi non ho annotato il cognome.

  PRESIDENTE. Grazie. Risulta dagli atti giudiziari, che senz'altro acquisiremo – ovviamente non li ho letti tutti, perché sono una mole spaventosa, ma alcuni li ho letti –, che diversi paracadutisti hanno detto, come è già stato riferito dai componenti dell'associazione, che si sapeva della morte di Emanuele Scieri già il giorno 15. Ricordo a tutti che il corpo viene scoperto il giorno 16. Il 15, come è già stato detto, oltre ad essere Ferragosto era anche domenica.
  Il nome Marras risulta insieme ad altri nomi che avrebbero saputo della morte già il giorno 15. Comunque lo verificheremo, anche eventualmente ascoltandolo.
  Non so come ringraziare, a nome mio e di tutta la Commissione, innanzitutto la signora Isabella Guarino, perché mi rendo conto che non è facile venire qui a ricordare – lei l'ha dovuto fare più volte nel corso di questi anni – ma ritengo che per tutta la Commissione fosse un atto dovuto sentirla.
  Cogliamo a piene mani e con tutta la nostra mente e la nostra dedizione l'accorato impegno ad andare avanti anche abbastanza velocemente. Penso che i testi da sentire saranno tanti.
  Ringrazio il dottor Garozzo, che ha sottolineato che Scieri era prima di tutto un avvocato. Anzi, credo che lo chiamassero così all'interno della caserma, lo chiamavano «l'avvocato», quindi forse si è anche impegnato a difendere qualcuno nelle poche ore che è stato in quella caserma. Questa, ripeto, è sempre un'ipotesi.
  Voglio ricordare a tutti che era proprio un avvocato. Non è morto da paracadutista, ma da giurista, perché sulla sua bara è stata messa la toga, simbolo della professione. Lo Stato ha quasi certificato che non era un paracadutista caduto come paracadutista, ma un avvocato.
  Ringrazio la professoressa Leggio soprattutto perché espleta una funzione molto importante di educazione alla legalità, attraverso il suo lavoro di insegnante, e per quello che ha detto davanti a questa Commissione, ossia che ai suoi alunni insegna la fiducia nelle istituzioni.
  Ringrazio anche l'avvocato Gallitto, la quale ha dato atto che questa Commissione quantomeno è un modo per ripristinare quella fiducia tra cittadini e Stato, che viene sempre interrotta quando accade un fatto di così grandi dimensioni.
  Noi ripeteremo accoratamente il nostro impegno a lavorare, e ce la metteremo tutta, nell'accertamento della verità. Come avete detto voi, speriamo tutti che il tempo trascorso possa fare in modo che qualcuno dei paracadutisti, che magari sono ritornati alla vita civile, possa dire che cosa è successo quella sera. Certo, non ci aspettiamo che chi ha commesso il fatto confessi, anche se tutto è possibile, però auspichiamo che chi ha visto e chi ha saputo possa denunciare il responsabile. Magari dopo tanto tempo è tornato alla vita civile e può finalmente fare un atto di grande dignità.
  Ringrazio dell'attenzione, della compostezza e soprattutto della sensibilità i deputati che sono intervenuti e che hanno posto le domande.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.