XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 78 di Martedì 22 marzo 2016

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Audizione di Nicola Rana:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 
Rana Nicola  ... 4 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 
Rana Nicola  ... 4 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 
Rana Nicola  ... 4 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 
Rana Nicola  ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 
Rana Nicola  ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 
Rana Nicola  ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 
Rana Nicola  ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 
Grassi Gero (PD)  ... 6 
Rana Nicola  ... 6 
Grassi Gero (PD)  ... 6 
Rana Nicola  ... 6 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Rana Nicola  ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Rana Nicola  ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Rana Nicola  ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Rana Nicola  ... 7 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 
Rana Nicola  ... 8 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Rana Nicola  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Rana Nicola  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Rana Nicola  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Rana Nicola  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Naccarato Paolo  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Rana Nicola  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Rana Nicola  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Rana Nicola  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Fornaro Federico  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Rana Nicola  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Rana Nicola  ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Fornaro Federico  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Fornaro Federico  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Fornaro Federico  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Rana Nicola  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Gotor Miguel  ... 13 
Naccarato Paolo  ... 13 
Gotor Miguel  ... 13 
Naccarato Paolo  ... 13 
Gotor Miguel  ... 13 
Rana Nicola  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Rana Nicola  ... 14 
Gotor Miguel  ... 14 
Rana Nicola  ... 14 
Gotor Miguel  ... 14 
Rana Nicola  ... 15 
Gotor Miguel  ... 15 
Rana Nicola  ... 15 
Lavagno Fabio (PD)  ... 15 
Rana Nicola  ... 15 
Lavagno Fabio (PD)  ... 15 
Rana Nicola  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 11.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Nel corso dell'odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   incaricare il dottor Allegrini di compiere un esame preliminare della documentazione degli archivi nazionali francesi sulla vicenda Hypérion;

   richiedere al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale documentazione relativa all'attività svolta dall'ambasciata italiana a Beirut nel 1978;

   incaricare la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di acquisire documentazione su due persone coinvolte nei fatti;

   compiere un approfondimento sulla documentazione di interesse presente negli archivi dei servizi segreti della Germania orientale.

  Comunico inoltre che:

   il 18 marzo 2016 è stata acquisita la documentazione, riservata, del processo Pecorelli, selezionata dalla dottoressa Picardi, che sarà messa a disposizione dopo le operazioni di riscontro, archiviazione e digitalizzazione;

   il 21 marzo 2016 il colonnello Occhipinti ha depositato l'esito, riservato, di accertamenti;

   nella stessa data è stata acquisita la risposta del dottor Vladimiro Satta a una lettera inviatagli dalla Commissione l'11 marzo 2016.

  Per quanto riguarda le prossime audizioni, si attende conferma per quella di Fabio Isman e si prevede successivamente di ascoltare l'agente Renato Di Leva e l'autista del dottor Spinella, Emidio Biancone.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Nicola Rana.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Nicola Rana.
  L'audizione fa seguito a quella svoltasi il 16 febbraio 2016 e deriva dalla necessità di approfondire alcune tematiche emerse nella precedente audizione, nonché dalla richiesta del dottor Rana di fornire ulteriori elementi alla Commissione.
  Allo scopo di garantire il più ordinato svolgimento dell'audizione porrò al dottor Rana alcuni quesiti. Inviterò, quindi, il dottor Rana a esporre succintamente, dopo le risposte ai quesiti, gli elementi che intende porre all'attenzione della Commissione. Darò, infine, la parola ai membri della Commissione che intendano intervenire. I quesiti sono per la maggior parte legati a quanto affermato nella scorsa audizione.
  Preliminarmente, voglio sottolineare che la Commissione è particolarmente interessata a due temi, rispetto ai quali le risposte fornite nella scorsa audizione necessitano Pag. 4 di conferme e approfondimento. Il primo tema riguarda i colloqui intercorsi nello studio di via Savoia nei due giorni anteriori al rapimento di Aldo Moro. Il secondo concerne i colloqui intercorsi nel corso del sequestro tra amici e collaboratori di Moro che in diversa maniera dovettero gestire i contatti con i terroristi, le autorità di governo e i giornalisti.
  La Commissione è pienamente consapevole delle difficoltà di ricordare, a quasi quarant'anni di distanza, particolari specifici di un momento drammatico e doloroso. Per questo motivo chiedo al dottor Rana uno sforzo particolare, giustificato dall'importanza e dalla delicatezza delle questioni oggetto dell'indagine.
  Il primo quesito riguarda lo studio di via Savoia.

  NICOLA RANA. Vorrei chiederle una cortesia, dopo averla ringraziata di aver accolto la mia richiesta. Non so se sopravvivrò al mio intervento, ma, ove sopravvivessi sarò ben felice di rispondere ai suoi quesiti. Se me lo consente, vorrei parlare per primo io.

  PRESIDENTE. Va bene.

  NICOLA RANA. Al ringraziamento che le ho appena espresso aggiungo il ringraziamento ai parlamentari che mi hanno rivolto domande, alle quali ho risposto nella maniera in cui sono riuscito a rispondere. Tra questi cito per primi i senatori Corsini, Gotor, Fornaro, il deputato Lavagno e poi il senatore Naccarato, che mi ha assicurato la sua simpatia e la sua solidarietà.
  Vorrei fare una premessa. Sarò brevissimo, presidente. Non prenderò più di cinque o dieci minuti.
  Vorrei ricordare ai parlamentari che ho citato — e agli altri che dovessero intervenire — che per noi del gruppo di via Savoia il 15 marzo non era una giornata diversa dal 15 febbraio, dal 15 gennaio di quell'anno o dal 15 dicembre dell'anno precedente. Queste date si svolgevano all'interno di un periodo politico estremamente sereno per noi, perché stavamo per vedere la conclusione di un percorso politico del Presidente Moro, che giungeva alla conclusione proprio quel 16 marzo e a cui lui – ahimè – non ha potuto assistere.
  Non era solo questo. Eravamo in una prospettiva «quirinalesca», che ormai era piuttosto evidente, chiara e accettata da tutti. Pertanto, la nostra attenzione nei confronti delle situazioni era quasi quotidiana in una segreteria politica e particolare. Gli interventi e le richieste di segnalazioni o altro erano quotidiani.
  Anche gli interventi da parte degli organi di polizia normalmente avvenivano per telefono, piuttosto sporadicamente. Eravamo assistiti da un complesso di autorità idonee alla sicurezza delle istituzioni, che si chiamavano Cossiga, Parlato, Carlo Alberto Dalla Chiesa e il questore di Roma Macera, tutte persone che entravano sì nel gruppo dei nostri amici, ma anche persone di estrema qualificazione.
  Se un giorno avessi visto l'uno o l'altro... In genere, vedevo i capi degli uffici. Vedevo o sentivo Macera, Parlato, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Se fosse venuto un funzionario qualsiasi, senza essere preceduto da una telefonata del suo capo, mi sarei insospettito. Questo non c'è mai stato. Se poi incidentalmente è avvenuto, non gli ho attribuito alcuna importanza. Non ricordo di aver visto queste persone.
  Premesso questo, voglio rispondere ai quesiti che mi sono stati posti in maniera un po' brusca. Chiedo cinque minuti. Intanto, presidente, le passo la copia fotostatica di due lettere, che forniscono la risposta a uno dei primi quesiti posti dall'onorevole... Scusi, non ricordo il nome.

  PRESIDENTE. Posso leggerla?

  NICOLA RANA. Sì, certo. Sono due. Una è la lettera della signora vedova del Presidente, autografa. L'altra è dei figli.

  PRESIDENTE. Leggo la lettera autografa della signora Moro: «Terracina, 27 luglio 1978. Gentile dottore, le avevo inviato alcune cose di Aldo che pensavo le potessero essere care. Le avevo spedite per raccomandata perché le ritengo preziose. Pag. 5Ho avuta respinta la lettera, non era stata aperta. Ho pensato che avesse cambiato casa, mi sono informata e mi è stato assicurato che lei abita sempre lì. Che debbo pensare? Cordialmente.»
  Questo è quello che ci aveva già raccontato la scorsa volta. La lettera finisce qui.
  Poi ce n'è una del 15 settembre 1982, indirizzata sempre a Nicola Rana e firmata da Maria Agnese Moro e Giovanni Moro: «Gentile dottore, leggiamo con ritardo su Il Popolo del 7 settembre scorso alcune dichiarazioni di nostra sorella Maria Fida, dichiarazioni che, tra le altre cose, riguardavano un presunto abbandono della nostra famiglia da parte dei collaboratori di Aldo Moro all'indomani della sua morte. A tale proposito, e lasciando da parte ogni altra considerazione nel merito delle dichiarazioni riportate, vogliamo cogliere questa occasione per dire che, se l'affermazione di nostra sorella si riferisce alla sua persona e a quella del dottor Guerzoni, essa ci trova in radicale disaccordo. Dobbiamo darle atto di aver tenuto, in questi quattro travagliati anni, un comportamento più che irreprensibile nei nostri confronti, subendo, oltretutto in completo silenzio, gravi episodi di ingiusta considerazione della sua persona, mantenendo in ogni occasione la massima riservatezza ed evitando polemiche che sarebbero state certo non ingiustificate. Nella speranza che questa nostra possa contribuire al ristabilimento di una corretta visione della storia di questi quattro anni, che è da fondare non su opinioni personali ma su fatti, e nell'attesa di incontrarla, le inviamo un cordiale saluto».
  Possiamo acquisire queste copie?

  NICOLA RANA. Certo.
  Alla lettura di questo documento non ho niente da aggiungere. Se avete ben sentito il contenuto di queste lettere, la riservatezza e il riserbo da me tenuto su questa questione credo si giustifichino ampiamente. Ho cercato di non portare il nome di Moro in una polemica patetica e inutile. Non so nemmeno come classificarla. Pertanto, non aggiungo più una sola parola su questo.
  Passo al secondo punto. Volevo rispondere al parlamentare – che non conosco e che non ricordo nemmeno come si chiami – che mi aveva posto tutti questi quesiti. Se mi aiuta...

  PRESIDENTE. Quali quesiti? Sono quelli dell'onorevole Grassi, credo.

  NICOLA RANA. L'onorevole Grassi chi è?

  PRESIDENTE. È quel signore là in fondo.

  NICOLA RANA. Bene. Mai visto e mai sentito. Si è autoclassificato moroteo. Lo leggo su un'intervista rilasciata su L'Espresso. Il secondo punto riguarda l'insinuazione. Chiamiamola «episodio Andreotti».
  L'insinuazione è una cosa vile. Lo richiamo alla sua attenzione. Pertanto, non aggiungo una sola parola nemmeno su questo e gliela restituisco pari pari.
  Vorrei solo ricordare che l'onorevole Andreotti al momento della vicenda Moro stava per pronunciare il discorso di insediamento del Governo.
  Ribadisco qui la mia gratitudine. Non sono stati molti gli uomini politici che ci sono stati vicini. Sono stati parecchi, ma non tutti. Il Presidente Andreotti è stato il primo, oltre al Ministro Cossiga, ovviamente, a esserci vicino e a offrire la disponibilità di una macchina e di un aiuto continuo, perenne, giorno e notte.
  Vorrei ricordare a un interrogante senatore, quale credo lei sia...

  PRESIDENTE. È un deputato.

  NICOLA RANA. ...che il senatore Andreotti è stato nominato senatore a vita, ed è stato nominato parecchi anni dopo questi episodi da un'autorità che è la massima dello Stato, cioè dal Presidente della Repubblica, il quale si chiamava Cossiga.
  Passo al terzo episodio. Questo è più divertente, onorevole Grassi. Lei, che parte sempre da cose sbagliate (si vede che ha una vocazione all'errore), dilungandosi in Pag. 6una serie di argomentazioni inutili sotto tutti gli effetti e spesso ridicole, esclude che nell'ultima visita del Presidente Moro a Bari il dottor Rana ci fosse.
  Intanto le chiedo come fa ad accertare che io non ci fossi. Io non stavo mica sempre attaccato come Leonardi al Presidente Moro. Quindi lei ha seguito tutti i possibili giri dell'onorevole Moro, sbirciando se io ci fossi o non ci fossi.
  Mi dispiace deluderla: io c'ero eccome in occasione di quella visita che facemmo a Bari per una serie di ragioni, una delle quali forse interesserà a lei. Il Presidente Moro doveva consultare autorità e personalità locali in ordine a due problemi – credo che uno la interessi molto – ossia la nomina di uno dei due sottosegretari del Governo che stava per nascere e la questione Gazzetta del Mezzogiorno e Corriere del Mezzogiorno, giornali che erano stati dismessi dal partito della Democrazia Cristiana. Erano arrivate delle candidature che poi noi approvammo e portammo avanti.
  Il primo elemento lo discutemmo in prefettura. Chi ha ancora dubbi suppongo che possa telefonare alla prefettura di Bari, dove il Presidente e io non solo dormimmo la sera precedente, ma fummo anche a pranzo. In quell'occasione il Presidente vide una serie di parlamentari, escluso uno, che è quello che credo interessi a lei, perché non ce n'era bisogno, e l'altro candidato alla stessa carica.
  Quell'occasione la ricordo, oltretutto, piuttosto puntualmente perché il senatore Rosa, che era stato sindaco di Canosa, volle portare Lino Banfi a conoscere il Presidente Moro. Fu un incontro piacevole e gradevole. Dico questo per arricchire e per cercare anche di diluire la carica di rabbia che avevo sopito stamattina, ma che adesso mi sta ritornando.
  La cosa che mi ha colpito di più è che lei si è soffermato a lungo su una falsità, il che è la sua particolarità, ossia sul fatto che io non ci fossi. Quanto alla sua insistenza nel ricordare che stavamo per andare, come era costume di Moro, nel nord barese, sappia che quella indicazione l'avevo data proprio io al Presidente, perché speravo di portarlo anche a Minervino, che oltretutto è anche il mio paese di origine. Non ci riuscimmo, ma tra Terlizzi e Corato – questo lei lo sa benissimo, onorevole – fui aggredito malamente da un gruppo di cosiddetti morotei. Sto cercando di guardare il suo viso, ma sono passati quarant'anni... perché credo, a suo onore, che ci fosse anche lei.
  Non abbia alcuna paura, perché il Presidente li assolse subito. Mi riferisco alla gazzarra che faceste, guidati da un certo Ferlicchia. Mi auguro per lei che ci fosse anche lei, perché, quando Leonardi riferì al Presidente di questo episodio e mi avvicinai al Presidente, lui mi prese per mano e mi disse: «Rana, non se la prenda. La passione politica porta a questi risultati. Sono ragazzi che tengono alla politica». Quindi, lei è assolto. Sono stato io a bocciare questo intervento, anche perché ne ho subìto praticamente le conseguenze – si fa per dire – di tipo soltanto personale. Certamente non siete arrivati, come si direbbe, alle mani.
  L'ho voluto ricordare e, a questo punto, la inviterei solo a fare una cosa, ossia a chiedere scusa ai suoi colleghi di questa Commissione e, in particolare, al Presidente per averli portati a discutere una questione che, in genere, è oggetto di discussione negli androni dell'ingresso.
  Ho finito, presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Ritornerei poi all'onorevole Grassi al termine dei quesiti.

  GERO GRASSI. Chiedo di intervenire per fatto personale, anche perché credo di averne diritto.
  Premesso che non ho capito le affermazioni fatte da lei – dico che non ho capito – respingo al mittente i suoi insulti, perché non fanno parte...

  NICOLA RANA. Io non ho insultato nessuno.

  GERO GRASSI. No, dottore, ora lei mi fa parlare. Io l'ho ascoltata; lei mi ascolti.

  NICOLA RANA. Chiedo scusa.

Pag. 7

  GERO GRASSI. Gli insulti li respingo al mittente perché non fanno parte della mia formazione, né culturale né politica. Non ho capito di che cosa parla. Vorrei ricordarle, ove le fosse poco noto, che al tempo di quel comizio, che peraltro si svolse nella mia città nel novembre del 1977, avevo diciannove anni e che non ho partecipato ad alcuna sommossa, perché notoriamente non facevo sommosse.
  Inoltre, non ho capito dove avrei detto che lei non c'era. Ho descritto, evidentemente male, che cosa successe quella sera, facendo riferimento al comportamento del maresciallo Leonardi, che ispezionò con gli altri uomini della scorta la sezione della Democrazia Cristiana e poi il sottopalco. Ho detto questo, senza minimamente citare lei, per dirle che, in un mondo nel quale tutti temevano che si verificasse un episodio – diciamo così – disdicevole nei confronti di Moro, l'unico a non aver recepito questo era stato lei.
  Quando poi ho citato Andreotti e Cossiga, persone sulle quali sarà la storia a esprimere il giudizio morale, perché quello politico credo che spetti alle persone...

  NICOLA RANA. La storia, d'accordo.

  GERO GRASSI. ...li ho citati semplicemente perché lei ha detto in Commissione di aver scritto una lettera di ringraziamento intorno al 17-18 maggio. Le ho fatto notare, ove lei l'avesse dimenticato...

  NICOLA RANA. No.

  GERO GRASSI. ...che la persona per la quale lei lavorava, o meglio la persona per la quale lei avrebbe dovuto lavorare – questa gliela mando io – ...

  NICOLA RANA. Restituisco.

  GERO GRASSI. ...dal carcere ha scritto delle lettere a Cossiga e Andreotti e ad altri, anche ai suoi amici democristiani, nelle quali l'espressione di cordialità che Moro usava normalmente fu abbandonata per rivolgere a entrambi parole che non avrebbero dovuto moralmente consentire a lei di scrivere una lettera per ringraziarli. «Io ci sarò sempre come punto di riferimento per evitare che della DC si faccia quello che se ne fa oggi» non l'ho detto io. «Cara Noretta, quando vedrai Cossiga, ringraziamelo tre volte, per non avermi protetto, per non avermi cercato e per la politica inconcludente del Governo e del Parlamento.» «Onorevole Andreotti, lei passerà alla triste cronaca che le si addice, non alla storia. La storia è un'altra cosa. Lei è una persona cinica, senza un attimo di umana pietà».
  Non sono cose che ho detto io; le ha scritte Moro dalla prigionia. Il buon gusto di chi ha lavorato con Moro per tanti anni dovrebbe indurla perlomeno a maggiore riflessione, non a venire qui a cercare di insultare un componente della Commissione. Lei dovrebbe venire qui a spiegarci per quale motivo in questi anni ha cambiato la versione che ci ha fornito nell'ultima occasione. Delle due l'una: o è falsa quella che ha detto qui, o sono false le precedenti. Chiedo al presidente di comparare le diverse versioni, di verificare e di trarne le conseguenze.

  NICOLA RANA. E di chiamare i Carabinieri, suppongo, visto che qui sono in stato di accusa, praticamente, da un'unica persona che non ha capito...

  PRESIDENTE. Direi che, se chiudiamo questo approfondimento che c'è stato, possiamo passare ai quesiti, premettendo però che l'approfondimento sulle dichiarazioni, che le leggerò in modo puntuale, è dovuto al fatto che ci sono dichiarazioni sue e di altri, fornite ripetutamente, che per noi è importante capire, essendo anche documenti pubblici. Adesso gliele leggo.
  Per la Commissione è di particolare interesse chiarire la natura e i contenuti dei colloqui che si svolsero a via Savoia – do per certo questo, perché risulta allo stato degli atti giudiziari e allo stato degli atti delle Commissioni – il 15 marzo 1978. In proposito nell'audizione del mese scorso lei ha affermato – e l'ha confermato questa mattina – che non vennero né Spinella né Parlato e che rimase a parlare con l'onorevole Moro all'uscita di via Savoia fino alle Pag. 8ore 23-23.30, ricordandoci che c'era anche una preoccupazione familiare non legata a vicende politiche.
  L'incontro tra lei e Parlato è, tuttavia, confermato da tutte le testimonianze sinora disponibili. Gliene do lettura. Lei stesso l'8 agosto 1978, in prossimità di quegli eventi, dichiarò al giudice Imposimato: «Il giorno prima che succedesse il fatto di via Fani io avevo ricevuto in via Savoia il capo della Polizia, dottor Parlato, il quale mi parlò della questione Moreno; in quell'occasione gli chiesi un servizio di vigilanza per lo studio».
  Nell'audizione presso la Commissione Moro del 30 settembre 1980 lei ribadì di aver segnalato a Parlato anche i ripetuti furti alla sua auto. Chiarì, inoltre, che «la sera in cui venne il capo della Polizia chiudeva una giornata che per noi era stata pesantissima. Lui fu molto gentile a passare. Gli avevo detto che sarei stato io a passare da lui, ma volle venire ugualmente. Ma devo dire che io lo ascoltai un po' così... oltretutto mi aveva già cercato il Presidente, che era venuto e voleva andare via. Era sera tardi».
  Il capo della Polizia Parlato affermò, il 29 agosto 1978, davanti al giudice istruttore Gallucci, che il 14 o il 15 venne a via Savoia e definì con lei un'ipotesi di vigilanza dello studio. Nell'audizione presso la Commissione Moro del 20 giugno 1980 lo stesso Parlato confermò che parlaste della protezione di via Savoia.
  Il capo della DIGOS di Roma, Spinella, in un suo appunto al questore di Roma del 22 febbraio 1979, dichiarò di essersi recato a via Savoia il 15 marzo 1978 per incarico del questore, che a sua volta aveva ricevuto disposizioni dal capo della Polizia Parlato. Spinella precisò di essersi incontrato con lei alle ore 19.30 circa e che scopo della visita era concordare con lei le modalità di un servizio di tutela dello studio dell'onorevole Moro.
  Nell'udienza del 12 ottobre 1982, nel primo processo Moro, il questore di Roma De Francesco confermò di aver inviato la sera del 15 marzo i dirigenti della DIGOS a parlare con lei della vigilanza a via Savoia sulla base dell'indicazione che gli era stata fornita dal capo della Polizia.
  Questa è la comparazione di tutti gli interventi. Credo che a lei non sfugga che tutti danno per scontato, in testimonianze anche giudiziarie, che quell'incontro ci sia stato. È altrettanto evidente che lei e Parlato riferite di un incontro tra voi. Un documento del 1979 dice che vennero i dirigenti della DIGOS.
  Perché ci soffermiamo su questo punto? Perché da una serie di documenti che vanno evidenziandosi, in noi nasce la sensazione che il Presidente Moro, o l'ufficio del Presidente, e le forze di polizia comunque avessero elementi di preoccupazione e che esistesse una forma di paura per qualcosa. Interpretiamo dalle dichiarazioni del documento prodotto da Spinella che la polizia fosse lì per la questione di Moreno che girava lì e faceva i furti. Altri lo mettono in relazione ad altri dati che abbiamo trovato.
  Quello che le chiedo è se conferma le sue dichiarazioni del 1978 e del 1980 – che sono state fatte a qualche mese e a due anni dagli eventi – secondo le quali lei si incontrò col capo della Polizia la sera del 15 marzo 1978. In quell'occasione chiese al capo della Polizia di provvedere a una sorveglianza per lo studio di via Savoia nelle ore diurne, quando non c'era la scorta? Tale richiesta nacque da un'idea dell'onorevole Moro o sua? In questo secondo caso, ne informò il Presidente prima di rivolgersi al capo della Polizia e, se ciò avvenne, quale fu la reazione dell'onorevole Moro?
  Le faccio le domande dettagliate, ma la prima centrale è: le sue dichiarazioni del 1978 e del 1980 le conferma oppure no? Mi riferisco alle dichiarazioni relative al suo incontro con Parlato la sera del 15 marzo.

  NICOLA RANA. Se sono le mie dichiarazioni all'indomani o quasi della vicenda, non posso che confermarle. Se le ho dette... Sono passati quarant'anni e sono successe tante cose che hanno cancellato certi ricordi. Se sono le mie dichiarazioni, non posso fare altro che confermarle, perché allora la mia memoria era attuale.

Pag. 9

  PRESIDENTE. Sono le sue dichiarazioni. Per sua tranquillità, gliele leggo. L'8 agosto 1978 lei dice al giudice Imposimato: «Il giorno prima che succedesse il fatto di via Fani io avevo ricevuto in via Savoia il capo della Polizia dottor Parlato, il quale mi parlò della questione Moreno; in quell'occasione gli chiesi un servizio di vigilanza per lo studio». Sempre lei, il 30 settembre 1980, di fronte alla Commissione d'inchiesta dell'VIII legislatura, disse: «In occasione di questo episodio Moreno e poi successivamente io richiamai l'attenzione del capo della Polizia che, a parte questo episodio e l'altro che io ho esposto alla magistratura, c'erano stati in quei giorni, per una decina di giorni consecutivi, furti di radio alla mia macchina, alla quale in due mesi hanno tolto dieci volte la radio, in via Savoia. Quindi lo dissi al capo della Polizia – non per il fatto in sé stesso, ma questo mi dava l'occasione di richiamare la sua attenzione – che forse questi fatti potevano in qualche maniera suscitare delle preoccupazioni. E il capo della Polizia proprio il 15 sera venne da me per chiedermi informazioni su questo fatto».
  Le ho letto testualmente quello che lei ha detto.

  NICOLA RANA. Quindi, le confermo.

  PRESIDENTE. Le conferma e, quindi, come tale, la sua conferma diventa sostitutiva delle dichiarazioni in merito del 16 febbraio 2016. Riconferma oggi quanto detto allora, nel 1978 e nel 1980.

  NICOLA RANA. Sono passati quarant'anni da allora.

  PRESIDENTE. È inutile che prosegua nel chiederle se l'idea fu sua o del Presidente Moro, perché, se non se le è venuto in mente allora, non se lo può ricordare ora.
  Cambio argomento e le pongo una serie di questioni relative al recapito delle lettere di Moro. Oltre alle due occasioni menzionate nell'audizione dello scorso mese, cioè il 29 marzo 1978 presso Sant'Andrea della Valle e il successivo 4 aprile a viale Trastevere, ed escludendo le lettere a lei consegnate dalla signora Moro, ha ricevuto o rinvenuto altre comunicazioni scritte dell'onorevole Moro o delle BR?

  NICOLA RANA. No.

  PRESIDENTE. Nel corso dell'audizione del 16 febbraio ultimo scorso ha dichiarato che, quando si recò per la prima volta a prendere un plico delle BR, vide distintamente un ragazzo e una ragazza appoggiati a un albero. Facevano finta di essere appoggiati con la spalla all'albero in scambi di effusioni. Ha, inoltre, affermato di aver appreso in seguito che si trattava di Valerio Morucci e Adriana Faranda. Anche qui le chiediamo uno sforzo di memoria per collocare dove sia avvenuto questo, perché il luogo del primo recapito fu piazza Sant'Andrea della Valle, dove non ci sono sicuramente alberi. Inoltre, il 4 aprile 1978 lei dichiarò al procuratore De Matteo, in riferimento al plico da lei preso a piazza Sant'Andrea della Valle: «Sul posto indicatomi non trovai nessuno ad aspettarmi. Non mi guardai neppure intorno e non ho notato nulla di particolare».
  Può migliorare il suo ricordo, che ha netto, di questi due giovani che si baciavano? Dove è avvenuto e qual è l'occasione a cui si riferisce, se non è la prima?

  NICOLA RANA. Anche questa, se è riferita immediatamente dopo... Il particolare che ricordo della prima lettera che mi fu consegnata e che andai a ritirare è che giunsi sul posto prima del capo della Polizia Parlato. Nonostante la diffida di Morucci di non avvisare la Polizia, ritenni di avvisarla. Parlato, con due macchine della Polizia, si recò sul posto che gli avevo indicato. Io arrivai molto tempo prima della Polizia, raccolsi le lettere e ne portai una a casa Moro (e la consegnai alla signora) e l'altra a Cossiga.
  Il capo della Polizia, insospettito del tempo trascorso, perché riteneva che non fossi arrivato, si era impressionato e aveva chiamato due macchine della Polizia. Poi si era recato da Cossiga. Io li raggiunsi insieme e, quando mi videro che arrivavo lì Pag. 10con questa lettera, mi abbracciarono. Finalmente si tolsero da questo incubo.

  PRESIDENTE. Questo particolare dei due ragazzi non riesce a collocarlo? Quando è successo? Sicuramente, se lo rammenta, è avvenuto con una delle altre lettere che le hanno consegnato.

  NICOLA RANA. No, era la prima. Due lettere ho avuto consegnate. Una fu in viale Trastevere.

  PRESIDENTE. Quindi, se questi due stavano lì, non potevano essere vicini a un albero.

  NICOLA RANA. No, stavano appoggiati a un albero. Tenga presente che quella piazza poi ha cambiato aspetto... La prima lettera fu lasciata alle spalle di un'edicola, che corrispondeva più o meno sull'altro versante della strada con un negozio di gioielleria, dove si era appostato Parlato. Lì c'era un'edicola e io ricordo quest'albero. Poi non so se me lo sono inventato nella mia fantasia.

  PRESIDENTE. L'edicola c'è ancora?

  NICOLA RANA. No, l'edicola non c'è più.

  PAOLO NACCARATO. Quella di Sant'Andrea della Valle non c'è più.

  L'edicola c'era; adesso non c'è più. C'era. Lì ho avuto l'ufficio io, quindi lo so.

  PRESIDENTE. Non lo metto in discussione. Dicevo solo che, per pura coincidenza, anche oggi a poca distanza da piazza Sant'Andrea della Valle ci sono un'edicola e una gioielleria.

  NICOLA RANA. Scusi, presidente, che importanza ha questo fatto?

  PRESIDENTE. Per la presenza dei due che controllavano. Questo è avvenuto anche con don Mennini, quando è andato a ritirare un plico con lettere di Moro.

  NICOLA RANA. L'ha confermato anche Morucci.

  PRESIDENTE. Ancora nel corso dell'audizione svolta il 16 febbraio le ho domandato se aveva la sensazione, come taluni riportano, che le lettere che le venivano recapitate a casa dai brigatisti arrivassero da un luogo non lontano dalla sua abitazione. Lei ha risposto di sì, perché per la prima lettera riferì un odore di inchiostro fresco, come se l'avessero appena vergata. Al riguardo le chiedo anzitutto di precisare se le lettere da lei reperite furono quelle due. Non ne ha avute altre?

  NICOLA RANA. Due.
  Le altre sono state sequestrate dalla Polizia e non più consegnate. Io ho avuto le copie di queste lettere.

  PRESIDENTE. In proposito le ricordo che a un recapito presso la sua abitazione sembra riferirsi anche Anna Laura Braghetti alle pagine 66 e 67 del libro Il prigioniero, pubblicato nel 1998, relativamente alle prime tre lettere di Moro alla famiglia, a Cossiga e a lei: «La busta che conteneva i tre testi fu consegnata a un indirizzo che Moro fornì e l'avvocato Rana inoltrò il giorno stesso a Cossiga la lettera a lui diretta». Risulta che la sua abitazione fosse in via Giovagnoli, la cui distanza da via Montalcini è di qualche chilometro.

  NICOLA RANA. È alle spalle.

  PRESIDENTE. Le domando, quindi, se intendesse riferire la distanza da via Montalcini, quando dice che era poco.

  NICOLA RANA. Sì.

  PRESIDENTE. Come ricorderà, in numerose intercettazioni che sono state lette in audizione, peraltro già utilizzate nel primo processo Moro, emerge un linguaggio codificato basato su alcune parole – già l'altra volta ci ha detto alcune cose; vorremmo qualche specifica in più, se è in grado di ricordarlo – tra cui «sigaro», di cui partecipano, tra gli altri, oltre a lei, Corrado Guerzoni, Pag. 11 Sereno Freato e Giovanni Moro. Nell'audizione ha spiegato che il termine non aveva particolare significato. Sembra invece assai probabile che in vari casi, il termine «sigaro» faccia riferimento alle lettere o a chi doveva ricevere le lettere.
  Le cito, per esempio, la telefonata tra Guerzoni e lei del 28 aprile 1978, nella quale le dicono che «sarebbe arrivato un sigaro lassù e un altro sigaro a Grosseto». È noto che a Grosseto risiedeva Anna Maria Moro. Si intende che furono recapitate lettere anche tramite Anna Maria o il marito?

  NICOLA RANA. Questo non lo so, perché Anna Maria Moro non si faceva mai vedere. Ho visto Anna Moro una o due volte. Era la persona più riservata... non segreta, senatore Gotor. Anna Moro era una persona riservata, non segreta. L'altra volta lei, senatore Gotor, mi ha dato una lezione sulla distinzione tra riservato e segreto, di cui le sono grato. Me la ricorderò.

  PRESIDENTE. Le ricordo, a tal proposito, che il giornalista Fabio Isman, che conferma di aver ricevuto da lei e da Guerzoni la lettera di Moro alla DC la sera del 28 aprile, scrisse a Pecchioli che proveniva da Grosseto.

  NICOLA RANA. Lo scrissi io?

  PRESIDENTE. No. Il giornalista Isman, che noi ascolteremo, dichiara di aver ricevuto da Guerzoni e da lei la lettera alla DC e scrive a Pecchioli, la sera del 28 aprile, che questa lettera proveniva da Grosseto. Ecco perché le chiedevamo se fosse stata consegnata lì. Non lo scrive lei, lo scrive Isman a Pecchioli. Voi gliela consegnate e Isman scrive che ritiene che sia arrivata da Grosseto. Le chiedo se lei o Guerzoni sapeste di questa cosa.

  NICOLA RANA. Le lettere, presidente, erano state raccolte da Guerzoni. Uscimmo insieme per andarle a consegnare a Isman, che, essendo giornalista, era amico di Guerzoni. Le lettere erano arrivate a Guerzoni. Quando si trattò di consegnarle a Isman, Guerzoni tremava, ragion per cui tolsi le lettere dalle mani di Guerzoni e le consegnai a Isman, che non sapevo nemmeno chi fosse. Poi ho accertato... Non era sicuro per me se ci fosse stato un canale Isman, ma può darsi che sbagliassi. Comunque la lettera era stata ricevuta da Guerzoni e consegnata a Isman da me materialmente. Non sapevo nemmeno, nella fretta, che cosa contenesse.

  PRESIDENTE. Nell'audizione svoltasi il 16 febbraio ha affermato che il colonnello Giovannone aveva contatti solo con lei e con Sereno Freato.

  FEDERICO FORNARO. Non so come vuole impostare la questione per non frammentarla, presidente, ma questo tema dei «sigari» credo che...

  PRESIDENTE. Fatemi finire l'ultima domanda. Poi ciascuno di voi interverrà. Così almeno chiudo questa parte e poi una serie di altre domande le farò io dopo che sarete intervenuti.
  Secondo quanto lei ci ha detto nell'audizione del mese scorso, il colonnello Giovannone aveva contatti con lei e con Sereno Freato: «Contatti con Moro in via Savoia non ne ha mai avuti». Dalle registrazioni risulta una sola telefonata di Giovannone nei 55 giorni. A prescindere dai giorni del rapimento, i contatti che poteva avere Giovannone con voi, con lei o con Freato, su che cosa vertevano? Di che cosa le parlava?

  NICOLA RANA. Ho acquisito un rapporto quasi di amicizia con Giovannone all'indomani di questi fatti. Giovannone era una persona che conosceva Freato, che lo portò con noi quando andammo per la prima volta in America nel 1965. Allora il presidente era Johnson. Il dottor Freato, che conosceva Giovannone, se non ricordo male, lo fece venire con noi. Quindi, il rapporto principe era...
  Successivamente abbiamo avuto tanti rapporti con Giovannone, ma al di fuori di questa vicenda.

Pag. 12

  PRESIDENTE. Non mi interessa dopo, ma prima. Solo quando andaste in America? Non c'erano...?

  NICOLA RANA. No, con me no.

  PRESIDENTE. Con Freato sì.

  NICOLA RANA. Con Macera ho avuto molti rapporti, ma non con Giovannone.

  PRESIDENTE. Giovannone aveva rapporti con Freato, non lei con Giovannone. Benissimo.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GERO GRASSI. Per chiudere la vicenda iniziale, le chiedo se le dichiarazioni inerenti...

  PRESIDENTE. Il dottor Rana ha confermato le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria e ha...

  GERO GRASSI. Ritrattato.

  PRESIDENTE. ...rivisto le dichiarazioni.

  GERO GRASSI. No, sono l'opposto. Vengono ritrattate le ultime.

  PRESIDENTE. Vengono confermate quelle rese nel 1978 e nel 1980, visto che la memoria era molto più recente allora di oggi.

  FEDERICO FORNARO. Per chi studierà le carte in futuro sarebbe opportuno, a questo punto, mettere un addendum sull'audizione precedente che rimandi a quest'audizione, considerato che si dice l'opposto.
  Dottor Rana, le chiederei una cortesia. Comprendendo e cercando di comprendere il fatto che a quasi quarant'anni di distanza è difficile ricordare, con tutte le giustificazioni del caso, si metta per un attimo nei nostri panni. Rileggendo quelle intercettazioni, con il riferimento, a più riprese, a «sigari», sigari «accesi», sigari «spenti» e via elencando, francamente è difficile poter credere alle cose che ci ha detto la volta scorsa, cioè alla sua interpretazione secondo cui si trattava di un modo per scaricare la tensione.

  NICOLA RANA. Lo confermo.

  FEDERICO FORNARO. Francamente, questa circostanza, anche a distanza di trentott'anni – ripeto, dando tutte le giustificazioni del caso – non è credibile. Non è credibile.

  NICOLA RANA. Non è obbligatorio credere.

  FEDERICO FORNARO. La invito, quindi, da questo punto di vista, a riflettere e a valutare se questa non possa essere l'occasione per aiutare in questa direzione la Commissione. Francamente...

  NICOLA RANA. Su che cosa dovrei riflettere e richiarire?

  FEDERICO FORNARO. Esattamente come, a fronte della lettura dei documenti da parte del presidente, ha sostanzialmente detto la cosa opposta rispetto a quel che ci aveva detto qualche settimana fa, con lo stesso spirito la invito a riflettere sul fatto che la versione dei «sigari» come un divertissement per scaricare la tensione non sta in piedi. Non regge.

  NICOLA RANA. Si vede che i sigari non erano di buona fattura.
  La questione dei sigari è nata la prima volta – credo – addirittura in sede giudiziaria con Cossiga. Fu intercettata una telefonata di Cossiga, che, parlando con me, mi assicurava... Si trattava, però, di sigari veri. Era stato in Germania perché c'era stato un rapimento.

  FEDERICO FORNARO. Nelle cose lette dal presidente non c'è Cossiga. Le intercettazioni non riguardano Cossiga.

  PRESIDENTE. No, le intercettazioni che ho letto nei passaggi riguardano specificatamente Pag. 13 la vicenda per cui, leggendo il contesto, a un certo punto i termini «sigaro» e «sigaraio» trasmettono la sensazione, leggendo – parlo di me per non coinvolgere l'opinione di altri – che si esprima con «sigaro» una lettera che doveva arrivare e con «sigaraio» colui che doveva ricevere la lettera.

  FEDERICO FORNARO. Chi sono i soggetti? Ricordiamo al dottor Rana chi sono i soggetti.

  PRESIDENTE. I soggetti che parlano sono alcune volte il dottor Rana con Guerzoni, altre volte Giovanni Moro con Guerzoni.

  FEDERICO FORNARO. Quindi, non c'entra nulla Cossiga, per essere chiari.

  PRESIDENTE. La prima volta c'è un'intercettazione di Cossiga che fa riferimento ai sigari. Quello che dice il dottor Rana si riferisce al fatto che, dopo che Cossiga inviò dei sigari cominciarono a utilizzare quella parola per parlare d'altro. La prima volta nasce da lì. Poi è stata più volte utilizzata. Il gruppo di intercettazioni a cui noi facciamo riferimento contiene, per esempio, quella che menziona Grosseto, in cui sembra che chi parla con lei, nella fattispecie Guerzoni, faccia riferimento ad altro e non a veri sigari, precisando che un «sigaro» doveva arrivare a Grosseto,
  Questa è la sensazione che abbiamo avuto. Ci riferiamo a questo.

  FEDERICO FORNARO. Sì.

  PRESIDENTE. Lei non ne ha memoria.

  NICOLA RANA. Non ho memoria di questo fatto. L'interpretazione originale del tempo era di un sigaro effettivo, perché il Ministro Cossiga mi aveva portato una scatola di sigari o dalla Germania o dalla Svizzera e, telefonando, disse che me li voleva mandare. Da allora il «sigaro» è stato utilizzato da ciascuno di noi secondo lo stato d'animo, vorrei dire, o secondo il modo di riferire una notizia sperando che non fosse recepita nella versione originale.
  Quindi, è stato usato «sigaro». Io l'ho sempre usato nel senso di una notizia certa, di una notizia importante. Gli altri poi... Non gli attribuivo alcun significato. Se poi Freato e Guerzoni, nello scambio di telefonate fra di loro – Freato era sempre immaginifico e anche Guerzoni – gli abbiano attribuito altri significati, questo non posso dirlo.

  PRESIDENTE. Ho capito.

  MIGUEL GOTOR. Vorrei sapere se aveva mai sentito che Moro fosse preoccupato per eventuali rapimenti che potessero riguardare o i suoi figli, o il suo nipotino, e in che misura, se per caso si fosse confidato con lei, la vicenda del rapimento del figlio di De Martino, avvenuto esattamente un anno prima – anche De Martino era un candidato alla Presidenza della Repubblica in quella stessa tornata – l'aveva colpito.

  PAOLO NACCARATO. L'ha già fatta la volta scorsa questa domanda, identica. Se ci sono delle differenze, altrimenti...

  MIGUEL GOTOR. Noto che ci sono delle versioni diverse tra un'audizione e l'altra.

  PAOLO NACCARATO. Allora la domanda va impostata diversamente, ossia se conferma la risposta o no.

  MIGUEL GOTOR. Le lezioni private di come si fanno le domande le facciamo in un altro momento. La ringrazio. Poi anche le risposte magari.
  Inoltre, vorrei sapere se durante il sequestro abbiate avvertito l'esigenza di raccogliere del denaro, non solo e non soltanto per eventualmente liberare Aldo Moro, ma per timore che potessero verificarsi dei rapimenti ai familiari.

  NICOLA RANA. No. L'unica preoccupazione che ho avuto in questo senso è stata la sera stessa, quando – credo che sia verbalizzato – ho dichiarato che telefonai a tre persone di settori diversi, immaginando Pag. 14di doverle utilizzare. In questa prospettiva per un eventuale riscatto chiamai il presidente Agnelli, il quale si mise subito a disposizione e delegò un suo funzionario ad avere contatti con me. Chiamai anche il dottor Macera e il generale Dalla Chiesa, tutti in prospettive diverse, i quali assicurarono il loro intervento.
  Successivamente almeno io non mi sono mai preoccupato, perché non vedevo né la necessità, né la prospettiva. Se le vedeva la famiglia Moro, a me questo non l'ha detto. Non ne ha mai parlato.

  PRESIDENTE. Solo per aiutarla, dottor Rana, nella memoria, ricordo che la stessa domanda che le ha fatto oggi il senatore Gotor le fu posta anche dalla Commissione d'inchiesta nel 1980. Il presidente le disse: «La Commissione raccoglie la sua audizione in sede formale e ha ricapitolato i quesiti che ritiene più importanti. A questi lei può aggiungere quello che ritiene utile. Poi i colleghi faranno ulteriori domande. Lei ha fatto cenno a timori espressi dal Presidente sulla situazione del Paese in relazione a possibili sviluppi dell'eversione. Può darci dei chiarimenti a questo riguardo, oltre quelli che ha già dato al magistrato?»
  Lei rispose allora: «Al magistrato ho detto tutto quello di cui ero a conoscenza. I particolari, gli elementi ai quali mi riferivo attengono alle preoccupazioni che mi ha espresso in una sola occasione il Presidente Moro, che fu quella del ritorno da una visita che noi avevamo effettuato all'onorevole De Martino in occasione del rapimento di suo figlio. Tornando a Roma – io avevo accompagnato il Presidente Moro e lo avevo notato piuttosto partecipe e preoccupato dello stato d'animo e delle parole che l'onorevole De Martino gli aveva detto – il Presidente mi disse che era letteralmente preoccupato delle cose che l'onorevole De Martino gli aveva detto e delle valutazioni che lui faceva di quelle cose. E mi pregò – in quella occasione non espresse nessun timore per se stesso, ma per la sua famiglia, per i suoi ragazzi – di intervenire presso le autorità di polizia per segnalare questa necessità, che a lui tale sembrava allora, e di chiedere l'assistenza possibile, la sorveglianza possibile sia alla casa che ai figli. Per se stesso non espresse una particolare preoccupazione; lui era dotato di una scorta che riteneva sufficiente. In seguito a queste preoccupazioni io presi contatto con il generale Ferrara...» e poi il testo del resoconto continua.
  Questo è l'unico riferimento che lei fa allora. Credo che confermi.

  NICOLA RANA. Lo confermo, certo.

  MIGUEL GOTOR. Vorrei aggiungere – e così mettere a verbale – un particolare. Effettivamente nelle lettere di Moro, che sono state ritrovate, come è noto, in diversi momenti temporali, compare in due passaggi un timore da parte di Moro nei riguardi dei suoi familiari. C'è un passaggio – vado a memoria, posso sbagliarmi – in cui dice: «L'unica cosa che mi consola è che ciò che sto subendo io è qualcosa che storno da voi». Usa questo termine e credo che aggiunga, in una lettera alla figlia Maria Fida, «in particolare da Luca».
  Poi c'è una seconda lettera con un passo, una delle lettere secondo me più enigmatiche.

  NICOLA RANA. Alla famiglia Moro?

  MIGUEL GOTOR. Mi sembra alla moglie Eleonora. Non so se a lei sia mai capitato di rifletterci o di vederla. Esiste una lettera in cui c'è una premessa che è un passo biblico di una decina di righe con dei puntini di sospensione che rivelano, quindi, da parte di Moro la volontà di segnalare che è stato saltato un brano, un passaggio. È un episodio che riguarda una trattativa per la liberazione di Beniamino, di un innocente, di un giovane.
  Questa lettera non fu recapitata, ma è una lettera che a distanza di tanti anni suscita l'attenzione di chi legge quei testi. È comprensibile pensare che la ragione per cui non fu recapitata – posso immaginarlo – fosse perché i sequestratori non riuscivano a interpretare, a capire o a controllare pienamente il messaggio che Moro aveva voluto, o che avrebbe voluto, inviare Pag. 15nel momento in cui premetteva alla lettera quel passo biblico.
  Questa lettera, nelle sue riproduzioni nel corso di questi trentasette anni, ce l'ha presente con questo passaggio?

  NICOLA RANA. L'ho letta nel suo testo.

  MIGUEL GOTOR. Che cosa le ha fatto pensare?

  NICOLA RANA. Devo dire che quelle lettere portavano soltanto angoscia. Le ho viste... Moro ormai non c'era più. Io mi sentivo estraneo a quella vicenda e alle conseguenze di quella vicenda. A me ne interessava solo uno. Il resto, specie se intervenivano personaggi estranei, nel senso che io consideravo tali rispetto alla vicenda, compresa la famiglia, non mi interessava.
  Ho visto le sue lettere e le faccio i complimenti per quel lavoro, che mi ha provocato tante angosce e che devo prendere come una medicina. Ogni tanto le leggo, ma devo dire che le leggo con molto distacco. La cosa importante per me non c'è più e, quindi, il resto... Se la signora, un figlio o un amico... Ne abbiamo discusso tante volte con Guerzoni e con Sereno Freato, fino a quando è stato con noi, perché poi, quando io, Guerzoni e i miei collaboratori fummo esiliati da via Savoia, nemmeno con Freato abbiamo avuto più rapporti.
  Questo lo apprendo da ciò che ha portato lei e soprattutto dalle sue annotazioni. Le prendo con rispetto per la sua fatica e per la sua ricerca, ma senza alcun interesse per quelle cose. Mi tengo lontano. Cerco di salvare me stesso. Ho il diritto di salvare quel tanto o quel poco... Ho cercato di emanciparmi da tutto ciò che è accaduto cercando un nuovo interesse e sono riuscito a crearlo. Mantenere quell'interesse significava allontanarmi il più possibile, non avendo io più niente da fare e avendo non partecipato, ma provveduto alla sistemazione e alla collocazione del personale di segreteria e di alcuni componenti della famiglia dei collaboratori e degli agenti al seguito dell'onorevole Moro. Questa è una cosa che non è stata mai fatta, se non per alcuni casi, e per la maggior parte dei casi grazie a persone come noi, anzi come me, che ho aiutato. I miei collaboratori, licenziati in tronco dalla signora Chiavarelli, hanno trovato tutti una collocazione. Devo ringraziare per questo l'avvocato Agnelli e il presidente Sette, che mi hanno dato una mano, assumendoli.
  Sono anche grato e desidero esprimere in questa sede un ringraziamento al Presidente Renzi, che nella ricorrenza del 16 marzo ha voluto ricordare soprattutto i familiari degli agenti caduti.

  FABIO LAVAGNO. Avrei una domanda brevissima, dottor Rana. L'altra volta ho fatto una domanda che si riferiva a un caso molto precedente alla vicenda Moro, ossia il sequestro Sossi. Lei mi rispose che fondamentalmente non sa. Mi disse qualcosa del genere, ossia che si faceva tutto quello che era necessario, ma senza sapere che cosa si fosse fatto nel merito. Faceva riferimento soprattutto all'azione del Ministero dell'interno.
  Sa che sul sequestro Sossi ci sono state varie trattative, tra cui una del Vaticano. All'epoca l'onorevole Moro era Ministro degli esteri. Lei non sa neanche se nella funzione di Ministro degli esteri Aldo Moro abbia in qualche modo interceduto presso la Santa Sede rispetto a quella vicenda?

  NICOLA RANA. Questo non lo so, perché il consigliere per gli esteri dell'allora Ministro Moro era l'avvocato Manzari, poi Presidente del Consiglio di Stato. Queste cose, avendo l'importanza relativa a quella funzione di ministero, erano seguite anche dall'ambasciatore Pompei, che era stato capo della segreteria di Moro. Non mi sono interessato della questione se non da quello che leggevo, perché la gestivano due personaggi competenti, Manzari e Pompei.

  FABIO LAVAGNO. Quindi, posso riassumere – mi corregga se sbaglio – che può essere che sia stata seguita nella funzione di Ministro degli esteri, ma non è a sua conoscenza.

Pag. 16

  NICOLA RANA. No, io non ne ero a conoscenza. Ero capo della segreteria particolare allora e, quindi, mi interessavo del collegio del Presidente.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringrazio il dottor Rana. Vi prego di rimanere. Passiamo brevemente in seduta segreta perché devo comunicarvi alcune cose.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica)

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.