XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 17 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, sugli Stati generali dell'esecuzione penale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 11 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 12 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 12 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 12 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Verini Walter (PD)  ... 13 
Molteni Nicola (LNA)  ... 14 
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 16 
Marotta Antonio (AP)  ... 16 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 18 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 20 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Nota della Presidente della Commissione, onorevole Donatella Ferranti ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale - Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, sugli Stati generali dell'esecuzione penale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, sugli Stati generali dell'esecuzione penale.
  Ricordo che gli Stati generali hanno costituito un momento di riflessione, voluto dal Ministro della giustizia, in materia di esecuzione della pena che ha comportato nell'arco di sei mesi, da maggio a dicembre 2015, un ampio e approfondito confronto tra i soggetti che operano nel settore penitenziario, al fine di definire un nuovo modello di esecuzione penale e una migliore fisionomia del carcere, più dignitosa per chi lavora e per chi vi è ristretto.
  Gli Stati generali, nell'intento del Ministro, sarebbero dovuti essere l'occasione per mettere al centro del dibattito pubblico il tema dell'esecuzione della pena e delle sue implicazioni sia sul piano della sicurezza collettiva, sia su quello della possibilità per chi ha sbagliato di reinserirsi positivamente nel contesto sociale non commettendo nuovi reati.
  L'audizione, richiesta dal Ministro stesso, è finalizzata a rappresentare alla Commissione giustizia gli esiti degli Stati generali anche in vista di eventuali iniziative legislative.
  Do, quindi, la parola al Ministro Orlando, che è accompagnato dal capo di Gabinetto, dottor Giovanni Melillo, e dal Sottosegretario Gennaro Migliore, che salutiamo.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli membri della Commissione. Sono particolarmente grato per questa opportunità di confronto che ho richiesto, perché l'oggetto di questa discussione è come rendere l'esecuzione penale uno strumento effettivamente in grado di contrastare i reati e, al contempo, un percorso graduale di ritorno al consesso sociale. Soltanto così – partirei da questo principio – si può realizzare una sicurezza effettiva della collettività.
  Questo Parlamento ha affrontato nel recente passato, con l'impulso del Governo, una serie di interventi volti a restituire condizioni di vivibilità e decoro agli istituti penitenziari e di rispetto della dignità delle persone ristrette. Devo dire che si sono affiancate iniziative di carattere parlamentare e iniziative di Governo.
  In questo senso vorrei sottolineare una continuità dei Governi che si sono succeduti, per obiettività storica. Con riguardo al tema del sovraffollamento, l'inizio del tema è stato affrontato nell'ultima fase del Governo Berlusconi, che ha previsto i primi sconti di pena, con il Ministro della Pag. 3giustizia Alfano, per poi proseguire con il Governo Monti, il Governo Letta e il Governo Renzi.
  Sono state assunte iniziative adottate anche a seguito della sentenza della Corte di Strasburgo. Quest'ultima, nel sanzionare il nostro Paese per violazione di quel fondamentale articolo della Convenzione europea per i diritti umani che vieta trattamenti contrari al senso di umanità, ha, infatti, indicato una serie di interventi finalizzati a sanare un'inadeguatezza sistemica delle condizioni di detenzione.
  Questa messa in mora e le conseguenze prefigurate qualora non si fosse intervenuti nei tempi stabiliti, dato l'altissimo corso di ricorsi pendenti presso la Corte, temporaneamente sospesi in attesa del nostro intervento, sono state il volano per un insieme di riforme che, nel loro complesso, non si configurano come provvedimenti temporanei, ma come cambiamenti strutturali del nostro sistema. Devo ringraziare per questo il Parlamento per le iniziative legislative assunte in questo settore, nonché per la prontezza con cui ha reagito alle molte sollecitazioni normative che il Governo ha prodotto in un lasso di tempo relativamente breve.
  Voglio ricordare, inoltre, il Presidente Napolitano per la concreta vicinanza all'indomani della condanna di Strasburgo e per lo stimolo costante a considerare la rilevanza democratica della questione penitenziaria, che ha trovato corpo anche in una lettera inviata alle Camere che ha affrontato questo tema.
  Vorrei ringraziare anche il Presidente Mattarella, che ha assicurato la sua partecipazione all'evento finale per la presentazione dell'esito degli Stati generali dell'esecuzione penale.
  Altrettanto doveroso è ringraziare anche in questa sede tutti gli operatori delle diverse aree in cui si articola il mondo della detenzione, che da sempre affrontano condizioni di lavoro estremamente complesse con grande professionalità e abnegazione, qualità ancor più evidenti nei momenti di criticità. Essi hanno garantito in più occasioni che l'intollerabile affollamento non degenerasse in particolari episodi di disordine.
  Proprio il superamento sul piano numerico di una fase emergenziale e il riconoscimento delle trasformazioni introdotte ottenuto sul piano internazionale spingono oggi a guardare avanti. Su questo vorrei fare una precisazione molto chiara: quando parlo di superamento dell'emergenza, mi riferisco semplicemente al dato numerico, che so per primo non essere risolutivo del tema complessivo dell'emergenza detenzione.
  Una contraddizione di fondo, che segna ancora il nostro sistema di esecuzione della pena, l'affronterò più avanti nello sviluppo del ragionamento, tanto che ho ritenuto di dovere convocare questi Stati generali per provare a mettere in moto un meccanismo che sia analogo a quello che ha portato alla riforma del sistema penitenziario del 1975.
  Il carcere è rimasto dal 1975 ad oggi esattamente uguale a se stesso, mentre la società è profondamente evoluta. Partiamo dal presupposto che questa è una società multietnica, in cui si parlano lingue diverse e ci sono religioni diverse. È cambiata la criminalità organizzata e sono cambiati gli elementi che attentano alla sicurezza comune, ma il carcere è rimasto identico a se stesso. Credo che questo sia il punto di partenza da cui trae origine l'attività degli Stati generali.
  L'obiettivo era, quindi, non soltanto quello di cercare la strada insieme affinché la situazione del sovraffollamento non si riproponesse, ma anche quello di cogliere la positiva attenzione verso un complessivo ripensamento del sistema delle pene e della loro esecuzione, che la stagione delle difficoltà innegabilmente ha aperto con la negatività di un processo avviato sulla spinta di una censura internazionale che diviene occasione per una stagione di costruzione di un sistema di esecuzione penale più rispondente al dettato della nostra Carta fondamentale: senso di umanità e dignità della persona, tutela dei diritti, effettività della sanzione e sicurezza della collettività.Pag. 4
  Per questo motivo torno a confrontarmi oggi con il Parlamento, per riaprire la discussione su questi temi e sulle azioni intraprese, in una duplice prospettiva: da un lato, nell'ottica legislativa già avviata con quella parte della legge delega attualmente in discussione al Senato, dopo l'approvazione della Camera dei deputati; dall'altro, nell'ottica del più ampio confronto sulla riforma di questo delicato settore avviato con gli Stati generali dell'esecuzione penale.
  La nostra responsabilità di legislatori e amministratori della «cosa pubblica» credo ci imponga la riflessione essenziale su quale debba essere la reazione al reato che maggiormente soddisfa il complesso dei valori violati a fronte della lacerazione inferta alla vittima dal contesto sociale nel suo insieme. Se l'illecito penale è lacerazione, occorre chiedersi come sanare tale ferita e contenere il rischio che se ne producano di nuove.
  Dobbiamo riconoscere che il diritto penale è solo uno degli strumenti con cui si possono perseguire questi due obiettivi. Molto devono, infatti, contribuire gli sforzi sul piano dell'educazione, della costruzione di legami sociali, dell'adozione di politiche inclusive che riducano le sacche di marginalità e del potenziamento di azioni di prevenzione e di controllo.
  L'intervento sanzionatorio penale è uno strumento da riservare in modo sussidiario a quelle violazioni non altrimenti censurabili o efficacemente riparabili. Sempre maggiore attenzione, dunque, deve essere rivolta a quelle azioni riparative che molto più della punizione insegnano in termini di effettività ed efficacia.
  Gli strumenti di giustizia riparativa che si stanno sviluppando, sempre più, anche nell'ambito della giustizia penale, pongono al centro la negatività del reato e l'azione negativa posta in essere dall'autore, ma richiedono risposte positive per sanare la lesione prodotta. Non affiancano alla negatività dell'azione compiuta l'ulteriore negatività della mera punizione, quanto piuttosto l'assunzione di responsabilità e, appunto, la riparazione.
  Il ricorso ai programmi di giustizia riparativa è oggetto da tempo di indicazioni sovranazionali, tra cui la specifica direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo del 25 ottobre 2012 che prospetta l'abbandono di una posizione esclusivamente incentrata sull'autore del reato in favore di un paradigma processuale che realizzi un bilanciamento degli interessi tra i diversi attori. Tra di essi il ruolo prioritario è assunto dalla vittima.
  Il modello proposto è sintetizzabile in una sorta di triangolo ai cui vertici si pongono l'autore, la vittima e il contesto sociale. L'intervento riparatore deve mirare a riannodare i fili che tengono insieme questi vertici attraverso azioni positive da parte dell'autore che siano riconoscibili come tali anche dal contesto sociale, in quanto indicative di una consapevole aspirazione di ricostruzione e di riparazione.
  Sono indicazioni su cui riflettere, che possono aiutare la vittima a sentirsi maggiormente al centro dell'intervento di reazione al torto subìto e la collettività destinataria di un intervento positivo.
  Una pena sospesa, condizionata a un'adesione consapevole al trattamento e subordinata a un impegno che riavvicini gli autori del reato a una dimensione di operosa normalità, attenuerà lo sgomento a fronte di una condizione di libertà oggi percepita dalla società come uno sfregio alla vittima e a chiunque rispetti le regole del vivere civile.
  Così individuate, le azioni riparatorie non sono meno dure della sanzione meramente punitiva, ma sono certamente maggiormente dense di significato e di risvolti utili. Penso a una reazione attiva con la persona destinataria della sanzione che ottenga un reale riscontro, a un'adesione, come ho già detto, da parte del condannato, senza la quale l'apparato sanzionatorio conserva integra la struttura iniziale e la piena consistenza afflittiva.
  Eppure, sappiamo bene che, per quanto limitato, il ricorso alla pena detentiva non cessa di essere inevitabile per alcuni reati, specie allorquando ricorra l'assoluta necessità di interrompere legami criminali Pag. 5che si configurano come reti in grado di interferire con lo stesso sviluppo democratico.
  La privazione della libertà – e, quindi, il carcere – rimane, nel contesto attuale, una forma sanzionatoria ineludibile, anche se limitata ai casi di effettiva necessità. Non a caso, del resto, la Costituzione si riferisce alle pene declinando questa parola al plurale, non già al singolare «la pena», così chiarendo che la detenzione non è l'unica sanzione penale.
  Il lavoro affrontato nei tempi più recenti è andato proprio nella direzione di declinare al plurale questa parola, come dimostrato, per esempio, dall'estensione agli adulti dell'istituto della messa alla prova per una consistente fascia di reati di minore gravità, così come sperimentato in gran parte degli ordinamenti internazionali, in particolare quelli anglosassoni.
  Un percorso positivo secondo un programma personalizzato e costantemente monitorato può avere, in molti casi, efficacia maggiore di una mera sottrazione di tempo vitale da trascorrere in carcere. È un'esperienza, questa della messa alla prova, che sta dando positivi risultati e che risponde all'idea di utilità della sanzione penale e non di mera retributività, esattamente come quella che vogliamo alla base del nostro sistema.
  I dati sono eloquenti e dimostrano il sempre crescente numero dei soggetti condannati in esecuzione penale esterna negli ultimi tre anni. Se la complessiva area del controllo penale interno ed esterno al carcere è pressoché invariata, la proporzione tra detenzione e misure alternative da eseguire nel territorio è fortemente a favore di queste ultime. Prima la detenzione era numericamente circa tre volte l'esecuzione nel territorio. Attualmente è scesa a circa una volta e mezza. Vorrei ricordare come molti degli ordinamenti – penso alla Gran Bretagna – abbiano di solito un rapporto di circa uno a uno come parametro di riferimento.
  Il principio dell'utilità sociale della pena deve essere tenuto presente anche quando si affronta il punto nevralgico dell'esecuzione penale. La privazione della libertà deve essere vista come un progressivo percorso che permetta di restituire alla società un individuo realmente consapevole. Se non si ha quale obiettivo il momento del ritorno all'esterno, è difficile intervenire in modo effettivamente riformatore e innovativo sul sistema della detenzione, perché si rischia di considerare tale periodo unicamente come una parentesi afflittiva del tutto scollegata e indifferente ai percorsi individuali e sociali dell'autore di reato.
  Il tradizionale approccio si è dimostrato alla prova dei fatti molto costoso e poco efficace, perché, a fronte di ingenti oneri economici, si conferma l'alto tasso di recidiva. Vorrei ricordare che il nostro Paese ogni anno – credo che questa sia la vera emergenza non risolta – continua a spendere circa 3 miliardi di euro per l'esecuzione della pena e che continua a essere uno degli ordinamenti con i tassi più alti di recidiva a livello europeo.
  Un modello di vita detentiva che offra opportunità concrete per un ritorno più consapevole e graduale del condannato nel contesto di provenienza, così da garantire un'effettiva sicurezza per la collettività, è l'ambizioso obiettivo da perseguire nel dibattito sulla tipologia trattamentale che si vuole attuare. La gradualità, in particolare, è connotazione di un percorso certamente più coerente, perché non ha senso il passaggio immediato da un regime rigidamente restrittivo alla piena libertà.
  Certamente i due presupposti da cui partire sono quelli dell'adeguatezza delle strutture e del rispetto dei diritti delle persone detenute, due elementi che si compendiano nel concetto di tutela della dignità delle persone recluse e che costituiscono presupposto per qualsiasi azione di rieducazione. Se il carcere non è il luogo del rispetto dei diritti della legalità e della dignità di ogni persona, ben difficilmente può essere il luogo di un'esecuzione penale costituzionalmente orientata.
  Per questo motivo non va sottovalutato il risultato già ottenuto con il conseguimento di quella soglia minima di condizioni Pag. 6materiali, a cominciare dallo spazio vitale per ciascun detenuto, che la Corte di Strasburgo ha posto a base della propria sentenza di condanna. Certamente, però, non si può restringere a questa l'azione che intendiamo svolgere per riformare la detenzione.
  Per troppi anni il modello detentivo è stato sostanzialmente centrato sulla segregazione passiva e sull'adeguamento alle regole quotidiane, con nessuna responsabilità richiesta al detenuto e una legislazione premiale strutturata sulla sola regolarità della condotta carceraria e sull'assenza di rilievi disciplinari e non, come pur già espresso dal dettato normativo, sull'adesione positiva e consapevole del detenuto al programma trattamentale, che potrà così considerare tappe progressive di riadattamento.
  Non possiamo essere soddisfatti dei risultati, non solo per le censure internazionali, quanto, soprattutto, per l'incidenza della recidiva, che fotografa, come ricordavo, un sistema sostanzialmente inefficace, nonostante i costi e le molte professionalità impiegate degli operatori.
  La rivisitazione del modello di vita detentiva deve tendere a rompere quello schema che fa ritrovare il detenuto come un mero destinatario passivo di programmi trattamentali stereotipati, senza poter assumere in proprio la responsabilità di gestire anche limitate parti della giornata, senza che se ne conoscano motivazioni inclinazioni e bisogni. Un soggetto a cui è richiesto soltanto di aderire e che non è sfidato ad assumere decisioni responsabili difficilmente saprà reinserirsi nel contesto esterno in modo positivo e rassicurante per chi lo accoglie e per chi deve poi vivergli intorno.
  È utile ricordare che uno dei nuovi princìpi preliminari delle regole penitenziarie europee indica la necessità di rendere la quotidianità detentiva il più possibile simile a quella esterna. In questo senso l'amministrazione penitenziaria non deve unicamente provvedere alle necessità elementari, ma definire e proporre un articolato e individualizzato piano di attività che il soggetto dovrà compiere sotto la guida e il controllo degli operatori, assumendo via via sempre maggiore autonomia, un percorso di impegno scolastico, lavorativo, sportivo e culturale che lo porti a recuperare la capacità di gestire in modo ordinato la propria vita e le proprie relazioni. Non occorre un carcere di semplice attesa di tempi vuoti e di opportunità mancate, ma piuttosto un carcere che offra opportunità calibrate su maggiori elementi di conoscenza del detenuto e delle sue dinamiche affettive e relazionali.
  Vorrei su questo porre una questione. Quando si dice che vogliamo fare carceri come hotel a quattro stelle e questo tipo di critiche, in verità, è esattamente il contrario. Questo meccanismo passivo, in fondo, è un meccanismo che corrisponde a un'attitudine del delinquente abituale. In fondo, questo è un modello nel quale non è chiesto niente e nella passività, se non si fa niente di male, si gode del beneficio.
  Questo è il meccanismo che funziona attualmente. Un carcere che sia in grado, invece, di chiedere un'assunzione di responsabilità in termini di lavoro, di impegno e di scuola è un carcere che non corrisponde soltanto a un'esigenza rieducativa del detenuto, ma anche all'esigenza di sicurezza della società, perché quell'individuo, restituito alla società dopo un periodo di mera segregazione, inevitabilmente sarà eguale o peggiore di quello che è entrato all'interno del carcere.
  Questo percorso di responsabilizzazione all'interno del carcere potrà, tra l'altro, fornire degli strumenti di osservazione e di analisi particolarmente importanti per prevenire ogni forma di reclutamento e radicalizzazione dei soggetti più vulnerabili, fenomeno quest'ultimo, in particolare, di concreto allarme, sul quale sarà necessaria un'ulteriore riflessione condivisa.
  Il carcere, così come è strutturato oggi, è un carcere che non ha anticorpi rispetto ai percorsi di radicalizzazione, perché è un carcere nel quale chiunque sia in grado di esercitare un'attività di leadership all'interno di un contesto nel Pag. 7quale la segregazione è semplicemente uno spazio vuoto in cui non ci sono altri stimoli rischia con questa leadership di esercitare una forza molto superiore a quella che può esercitare all'esterno, nella società, dove naturalmente i livelli di attrazione da parte di altri messaggi è molto più forte.
  Naturalmente, i percorsi rieducativi che così si sviluppano all'interno del carcere devono essere oggetto di continue analisi e valutazioni da parte degli operatori per orientare e adeguare le eventuali rimodulazioni, per analizzare le dinamiche relazionali che si sviluppano all'interno dei gruppi e per individuare gli strumenti e gli interventi necessari.
  In fondo, il carcere è uno spaccato della società nella quale vengono portate all'estremo alcune dinamiche e che la società deve saper guardare anche per saper osservare alcuni fenomeni che la caratterizzano. Ci sono parallelismi tra fenomeni che si realizzano dentro al carcere e all'esterno. Questo della radicalizzazione è esattamente uno di quei fenomeni che nel carcere vengono portati a esponenzialità, ma che ha dinamiche molto simili anche nel resto della società.
  In questo modo le misure alternative alla detenzione che il magistrato di sorveglianza potrà concedere nelle progressive tappe del percorso saranno motivate da effettiva e compiuta conoscenza del singolo caso e saranno orientate a un progressivo ritorno all'esterno. Non si limiteranno, invece, a essere una sorta di diminuzione dell'effettività della detenzione.
  Vorrei, da questo punto di vista, portare come esempio la discussione che abbiamo fatto anche in contesto europeo sul tema della radicalizzazione. I Paesi che invocavano le misure più radicali su questo fronte contemporaneamente chiedevano di non mettere in carcere i diretti interessati perché erano consapevoli del fatto che le loro carceri – che assomigliano molto al carcere che nasce come modello nell'Ottocento, il quale assomiglia molto al nostro; il problema si pone in tutti i Paesi – rischiano di essere il brodo di coltura nel quale, paradossalmente, quel fenomeno di reclutamento diventa più facile.
  Non c’è, quindi, un elemento di «buonismo» nel concepire quest'articolazione dell'esecuzione della pena, ma c’è un elemento di attenzione alla tutela dell'interesse generale e, in particolar modo, della sicurezza della società.
  Proprio questa diversa connotazione della detenzione richiede la possibilità di operare caso per caso, senza alcun automatismo predefinito, sia esso di carattere ostativo alla concessione di misure alternative o automaticamente concessivo.
  Queste sono direttrici su cui credo debba muoversi un diverso modo di ripensare le pene e soprattutto il carcere. Queste sono le direttrici che hanno caratterizzato il lavoro degli Stati generali e le proposte che sono state formulate dai diversi tavoli di lavoro. Queste sono le direttrici lungo cui la discussione continuerà a svilupparsi e lungo cui intende dispiegarsi la politica del Governo. Tuttavia, queste direttrici non richiedono soltanto elaborazione teorica, diffusione di buone pratiche e costruzione di consenso, ma anche richiedono alcune professionalità di sostegno.
  L'azione del mio Dicastero si è, infatti, orientata innanzitutto a offrire il contesto normativo e organizzativo per la realizzazione di questi obiettivi. Il riordino del Ministero, delineato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2015, ha previsto la costituzione di un dipartimento che ponga particolare attenzione alle misure e alle pene che trovano la loro esecuzione nel contesto territoriale.
  Siamo partiti dall'ampia esperienza maturata dal sistema di esecuzione penale minorile, orientato da sempre al dialogo con il territorio e alla costruzione di percorsi controllati e guidati realizzati al di fuori dell'attenzione degli istituti. Si è così costruito il Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, non una giustapposizione di due realtà, ma la creazione di una realtà integrata in cui si sviluppi un approccio multidisciplinare e Pag. 8si confrontino le esperienze che, condotte per minori o per adulti, hanno in comune le forme di accompagnamento e reintegro sociale.
  Parallelamente, il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria si occupa esclusivamente delle pene eseguite in detenzione, oltre alla custodia cautelare in carcere.
  Vale la pena di sottolineare, a tale proposito, il ruolo importante che i singoli direttori penitenziari devono assumere nella definizione di progetti di esecuzione penale che siano orientati ai princìpi che ho in linea generale richiamato, coordinando i diversi apporti e le diverse sollecitazioni che scaturiscono dalle professionalità degli operatori e soprattutto valorizzando il ruolo della Polizia penitenziaria.
  A garanzia dell'omogeneità culturale dei due dipartimenti, l'uno orientato all'esecuzione penale esterna e l'altro a quella intramuraria, il decreto di riordino prevede una matrice culturale unica per la formazione degli operatori, così come dei rispettivi dirigenti.
  L'unicità dell'ambito della formazione dovrà essere garanzia di una costruzione culturale orientata in modo armonico, pur con le necessarie diversificazioni. Le linee riformatrici tracciate producono, infatti, significative ricadute organizzative e formative del personale, a cominciare dal superamento della troppo rigida distinzione tra compiti di sicurezza e compiti di trattamento.
  È doveroso sottolineare, in questo contesto, che la Polizia penitenziaria, che ha il più diretto contatto con la quotidianità dei detenuti, ha mostrato di condividere la necessità di un cambiamento del modello di detenzione, ponendo così fine a limitati ed episodici interventi dettati dall'esigenza di risolvere delle emergenze. In un modello di vigilanza cosiddetta dinamica, la Polizia penitenziaria assume così il nuovo ruolo di osservatore di prossimità e depositario di un patrimonio di conoscenze utili alla valutazione del percorso trattamentale. Queste linee di riforma troveranno espressione sul piano legislativo nell'attuazione della delega che ho richiamato, che interviene su ben nove punti strategici dell'ordinamento penitenziario.
  L'obiettivo finale, in sostanza, è ripensare il carcere anche come luogo di tutela di diritti e di dignità delle persone. Entro queste coordinate si è aperta l'esperienza degli Stati generali dell'esecuzione penale, una larga consultazione che ho voluto avviare per raccogliere proposte, osservazioni e critiche, ma soprattutto per far dialogare soggetti diversi accomunati dall'essere, a vario titolo, coinvolti nell'analisi del sistema dell'esecuzione penale e nella sua attuazione, eppure spesso distanti nel linguaggio e nei modelli di lettura del sistema. L'iniziativa che ha dato avvio agli Stati generali ha inteso così sperimentare un metodo innovativo, caratterizzato da un'attenzione multifocale alla realtà dell'esecuzione penale.
  La consultazione si è articolata in 18 tavoli, che hanno esaminato i diversi aspetti dell'esecuzione penale, dall'architettura delle carceri per l'organizzazione degli spazi in modo funzionale a indurre un determinato modello di quotidianità, alla ricostruzione di un sistema organizzativo complesso come quello dell'esecuzione penale, il tutto passando attraverso la discussione sulla dignità della persona, sul rispetto dei diritti, sull'autodeterminazione responsabile della persona detenuta, sull'affettività, sulla giustizia riparativa e tanto altro ancora.
  Ciascun tavolo ha avuto una composizione variegata, con la presenza di almeno un docente universitario, un magistrato, un avvocato rappresentante del volontariato, un garante territoriale, un direttore di istituto e alcuni operatori tra educatori, poliziotti penitenziari, assistenti sociali e dirigenti. Non ci siamo limitati ai protagonisti diretti della realtà carceraria, ma abbiamo coinvolto esperti di diverse discipline, che hanno consentito un linguaggio comune al servizio del medesimo obiettivo.
  Si è trattato, dunque, di una consultazione tesa a promuovere, alimentare e sostenere l'elaborazione scientifica, normativa e organizzativa e, al contempo, Pag. 9finalizzata a incidere profondamente sulla percezione collettiva dei temi della pena e del carcere, anche di quella che ne hanno i detenuti stessi, talvolta direttamente consultati.
  Certamente non posso in questa sede riassumere tutti gli esiti elaborati in piena autonomia dagli oltre 200 componenti dei tavoli nei sei mesi di alacre lavoro condotto, che saranno attentamente valutati dalle competenti articolazioni ministeriali, ma voglio quantomeno fare un cenno alle singole tematiche affrontate.
  Il primo tavolo, dedicato allo spazio della pena, ha studiato soluzioni architettoniche per l'adeguamento delle strutture esistenti, la rimodulazione di quelle in corso di costruzione e la progettazione di nuovi istituti, ispirandosi a un modello di detenzione corrispondente alle regole penitenziarie europee e discutendo con i detenuti stessi le soluzioni possibili.
  Proprio il modello di quotidianità detentivo è stato il tema affrontato dal secondo tavolo, che ha sviluppato la riflessione sulla razionalizzazione dei circuiti penitenziari.
  Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo tavolo hanno dedicato uno studio approfondito all'esigenza delle donne detenute, soprattutto di quelle madri, dei minorenni autori di reato, e all'attenzione specifica da riservare ai detenuti vulnerabili e agli stranieri.
  Particolare riflessione hanno riguardato la tutela delle relazioni familiari e la cura da riservare ai bambini con genitori detenuti. In questo contesto di attenzione alle relazioni affettive trova naturale inserimento il tema del diritto a un'adeguata espansione dell'affettività anche all'interno della vita reclusa.
  I tavoli 8 e 9 hanno affrontato le aree che qualificano la quotidianità della vita in carcere al fine di rendere il tempo recluso significativo e non vuoto, con il lavoro, la formazione professionale, l'istruzione, l'espressione culturale e sportiva.
  I tavoli 10 e 11 hanno approfondito i cruciali temi del diritto alla salute e del disagio psichico e il delicato settore delle misure di sicurezza.
  L'esecuzione penale esterna, le pene non detentive e la giustizia riparativa sono state esaminate da ogni possibile angolazione dai tavoli 12, 13 e 14, anche attraverso lo studio comparativo con gli altri sistemi europei.
  La formazione degli operatori penitenziari registrata nell'ottica dell'individuazione di un nuovo modello trattamentale individualizzato e responsabilizzante e il ruolo degli enti locali nel processo di reinserimento sono stati alcuni tra i temi oggetto di studio dei tavoli 15, 16 e 17.
  Il tavolo 18, infine, ha analizzato le modalità con cui le strutture amministrative dell'esecuzione penale possono offrire il miglior supporto a questo nuovo modo di interpretare le pene.
  Com’è evidente, la pluralità dei temi affrontati offre la possibilità di una riflessione a tutto raggio per rispondere alla cruciale domanda del come rispondere al reato affinché tale risposta sani la lacerazione che il reato ha determinato nel tessuto sociale e aiuti il prevenire del ripetersi.
  Ora che i risultati del lavoro dei tavoli sono stati pubblicati, si apre una consultazione ancora più ampia, rivolta soprattutto all'opinione pubblica, che potrà sviluppare e arricchire ulteriormente la discussione avviata.
  Il lavoro – lo ribadisco – è stato svolto nella più assoluta autonomia dei protagonisti e potrà rappresentare un patrimonio utile all'esercizio della delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario. Per converso, non ha alcuna paternità da parte del Ministero fino a che non sarà oggetto di una proposta specifica che verrà sottoposta al Parlamento.
  Per questo motivo, ho ritenuto doveroso venire a illustrare le linee del percorso intrapreso e la direzione lungo cui ci si è incamminati, innanzitutto, in Parlamento. Il ragionamento è molto semplice ed è questo. Dovremo tenerne conto per farvi delle proposte. Voi tenetene conto per analizzare le proposte che vi faremo, perché credo che questo sia uno strumento utile di lettura a tutti e che offra un parametro di valutazione inconsueto rispetto Pag. 10al modo in cui spesso si analizzano i testi normativi. Credo, però, che sia adeguato a un passaggio, da questo punto di vista, storico. Se siamo in grado di esercitare effettivamente la delega, questa è una riforma che non si realizza dal 1975.
  In fondo, il convincimento dal quale parto – naturalmente, è un convincimento che può anche non essere condiviso e che probabilmente non lo sarà – è che l'attenzione rivolta alle componenti critiche della nostra società è un modo di essere attenti alla collettività nel suo insieme. Abbiamo raccolto anche posizioni molto distanti dal nostro sentire, ma credo che sia stato utile, e soprattutto credo che sia stato utile che il carcere sia stato sottoposto a una discussione, che non è stata – lo voglio dire; questa è una raccomandazione sommessa che temo non troverà accoglimento – strumento della propaganda politica.
  Il carcere è quello che è anche perché spesso è utilizzato come strumento della propaganda politica. Ne viene utilizzato l'aspetto di carattere simbolico, mentre non viene analizzato l'elemento di carattere funzionale. Si discute per il messaggio che trasmette alla società, che naturalmente è una parte importante della sua funzione, ma non se ne discute analizzandolo nel come funziona e nel cosa produce.
  La raccomandazione che cerco di fare a tutte le forze politiche, anche a quelle che hanno posizioni più distanti dalle mie, è di provare a fare una discussione questa volta su come funziona, cioè su come riusciamo a smontare un meccanismo e come riusciamo a ricostruirlo in funzione degli obiettivi, che credo non possano dividerci. Penso non soltanto a quello di corrispondere alle indicazioni contenute nella Costituzione, ma anche a quello di effettivamente garantire sicurezza.
  La considerazione dalla quale vorrei partire è questa: non c’è stata una proporzionalità tra l'utilizzo e l'investimento sul carcere e l'aumento della sicurezza all'interno della società, probabilmente non perché il carcere non serva a garantire sicurezza, ma perché questo carcere non è in grado di garantire sicurezza. Si tratta, quindi, probabilmente di affrontare insieme il modo in cui questo obiettivo si riesce a raggiungere effettivamente, sapendo che si tratta di un passaggio non semplice perché, quando parliamo del carcere, parliamo della proiezione nel nostro corpo sociale, rispetto al quale ognuno di noi fa valutazioni in ragione anche di impostazioni culturali e ideologiche profondamente diverse.
  Quella che credo si possa superare e che credo si stia superando – e concludo veramente – è l'idea di un utilizzo del carcere come strumento per affrontare e risolvere problemi di carattere sociale. È una tentazione storica. Ho citato nella mia relazione sullo stato della giustizia un discorso che fece Filippo Turati in Parlamento molto tempo fa. L'attitudine – non le conseguenze – è rimasta nel corso del tempo molto simile a quella, cioè all'idea che alcuni fenomeni di carattere sociale si possano contrastare attraverso l'utilizzo del carcere e che le patologie di quei fenomeni sociali si possono contrastare con il carcere. Quei fenomeni non si eliminano con il carcere. Credo che questa sia un'evidenza quasi lapalissiana, ma che non sempre è sufficientemente colta anche nella produzione di carattere normativo.
  Il tentativo, questa volta, è quello di non compiere gli stessi errori, riducendo, per quanto possibile, il tasso di propaganda e di ideologia che – ripeto – ritengo sia inevitabile che si sprigioni quando si discute di un tema così simbolico e appetibile da questo punto di vista, che, però, se va oltre quella soglia di guardia, rischia di produrre elementi che paga la collettività nel suo insieme, non i detenuti.
  I detenuti hanno pagato nel corso del tempo un prezzo più o meno alto, talvolta meno alto del dovuto e talvolta più alto del dovuto. Il problema fondamentale dal quale partire è che la collettività ha pagato un prezzo in termini di sicurezza, di mancato utilizzo ottimale delle risorse e di mancato rispetto di alcune indicazioni che stanno alla base del nostro patto fondamentale, cioè la Carta costituzionale.
  Vi ringrazio.

Pag. 11

  PRESIDENTE. Signor Ministro, grazie di questo complesso lavoro che è stato avviato. Tra l'altro – l'ho già detto, ma lo dico anche in sua presenza – il link che ci è stato trasmesso dai suoi uffici attraverso il quale si può vedere l'esito degli Stati generali e anche dei lavori dei vari tavoli, è stato messo a disposizione di tutti i colleghi deputati. Ovviamente qui la segreteria, per questioni anche di risparmio di carta, ha messo a disposizione solo uno dei volumi, ossia il volume generale, che è a disposizione per la consultazione. Bisogna poi andare nei link per vedere il lavoro.
  Poiché alle 16.15 sono previsti i lavori dell'Aula, darei la parola per porre quesiti o formulare osservazioni a un commissario per Gruppo, per ora, salvo poi vedere che tempi abbiamo, per consentire anche al Ministro di replicare. Auspico, ovviamente, che si contengano i tempi dell'intervento.

  VITTORIO FERRARESI. Grazie, presidente.
  Ministro, il suo discorso mi ha fatto rabbrividire – glielo dico sinceramente – perché parlare con una freddezza del genere rispetto a una tragedia che si sta vivendo e rispetto a fatti inconfutabili mi risulta alquanto sconcertante. Vado subito nel merito, ovviamente.
  Mentre il tavolo 1 e il tavolo 2 discutono di vigilanza dinamica, a Rebibbia i detenuti escono dal carcere con due lenzuoli, buttando giù una rete con un calcio e scavalcando. Non so se rendo l'idea. Sono fatti che saprà già. L'unico agente nella macchina di servizio di Rebibbia non ha potuto far altro che segnalare l'evasione in corso.
  Quando si chiede degli allarmi, le guardie rispondono che l'antiscavalcamento e l'antintrusione non hanno mai funzionato, se non forse nei primissimi tempi. Telecamere ? Niente. Quelle che ci sono non funzionano. Per non parlare della mancanza di organico: 7.000 agenti denunciati da tutti i sindacati, di cui 908 solamente nella regione Lazio.
  Detto questo, le proposte noi le avevamo fatte ovviamente, perché è bello far la «bella faccia» in Europa dicendo che sono diminuiti i carcerati, ossia che la popolazione carceraria è diminuita. Tuttavia, chi vive il carcere, i detenuti, e chi lavora in carcere non ha notato un miglioramento, bensì un peggioramento dello stato dei fatti.
  Parlando di provvedimenti, noi avevamo fatto alcune proposte. Le facciamo da tre anni durante l'esame della legge di stabilità. Mi riferisco all'assunzione di nuovo personale di Polizia penitenziaria, a nuove risorse per garantire la rieducazione del detenuto e anche a esigenze di sicurezza e di dignità per chi lavora all'interno delle carceri.
  Come ho detto, ci sono anche delle esigenze legate alla mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria. L'ha lamentato il sindacato CGIL. Le esigenze lavorative devono essere corroborate da un intervento sul controllo e la sicurezza, altrimenti succedono le cose che abbiamo già visto.
  Si parla tanto, in questi anni, c’è tanta discussione, ci sono state tante perizie e tante consulenze, ma ancora fatti concreti non ce ne sono. Quanto tempo dobbiamo aspettare perché si intervenga con risorse adeguate e costruendo nuovi carceri ? L'ultimo Piano di Alfano, che è tuttora Ministro dell'interno, ha dato zero nuovi «posti carcere». Quanto devono continuare questi tavoli a parlare, discutere e fare consulenze sull'architettura, prima che si parta effettivamente con la costruzione di ambienti idonei, anche nella zona di Napoli, ovviamente ?
  Si parla di sorveglianza dinamica. Ci si dimentica sempre che l'Europa va ascoltata in toto, non solo per il fatto che questa sorveglianza dinamica deve essere imposta per cercare di aiutare e di fare in modo che ci sia meno utilizzazione della repressione possibile. L'Europa ci dice anche che i detenuti devono essere valutati caso per caso, pericolosità per pericolosità. Questa cosa non è stata fatta. Bisognerebbe guardare a tutto quello che ci dice l'Europa.Pag. 12
  Dal documento escono dei dati inquietanti, come se non si sapesse della situazione attuale. C’è una visione senz'altro innovativa, ma quale ? Nella relazione più ampia non si evince. Sarebbe, quindi, il caso di spiegare chiaramente ai contribuenti come si intenda declinare in maniera nuova il seguente concetto: soldi spesi per l'esecuzione penale e sicurezza per la collettività. Questo non è ancora stato chiarito.
  Voi andate a scrivere addirittura nelle relazioni che verrebbe da affacciarsi all'esterno non nella forma della fortezza...

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Onorevole, mi scusi. Noi non abbiamo proposto niente. Vi abbiamo sottoposto l'esito dei tavoli. È importante per il rispetto reciproco starsi ad ascoltare. Io mi sono sforzato quattro volte di spiegare che quella proposta dei tavoli non è la proposta del Ministero, ma ho ritenuto doveroso, prima che il Ministero le analizzasse, sottoporle alla Commissione.

  VITTORIO FERRARESI. Le proposte sono arrivate, ma, nel frattempo, voi fate qualcosa o no ? Se nel frattempo si lascia solo chiacchierare...

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Questo è un altro discorso...

  VITTORIO FERRARESI. È chiaro che il Ministro non propone niente. Sono solo discussioni. Il Ministro, infatti, non ha proposto niente in questi anni. Come ha fatto il Ministro Cancellieri, ha fatto il Ministro Orlando: non ha proposto niente. La situazione è inquietante.
  Vado avanti, presidente, e arrivo...

  PRESIDENTE. Devono parlare anche gli altri.

  VITTORIO FERRARESI. Ho capito, ma c’è un intervento per Gruppo. Me lo faccia fare questo intervento.
  Sto guardando proprio agli esiti di quello che ci è arrivato dalla Commissione, che parla non di fortezze impenetrabili, ma di una sorta di nuovo quartiere urbano in rapporto dialettico con il proprio intorno. Qui ci si potrebbe veramente fare qualche domanda.
  Andiamo alle domande, Ministro, che c'entrano, ovviamente, con gli Stati generali dell'esecuzione penale. La prima domanda è la seguente: quanto deve ancora rimanere al Senato il provvedimento sulla tortura prima che, dopo trent'anni, questa legislatura possa approvarlo ?
  Passando alla seconda domanda, lei ha lanciato un'inchiesta sulle carceri dovuta alla denuncia del detenuto Rachid Assarag. Ci sono novità su questa inchiesta che ha lanciato ? Ci può dire quali sono le novità ?
  Passo alla terza domanda. Il pubblico Ministero di Parma Podda, nel decreto di archiviazione per l'indagine nel carcere di Parma sulle denunce che ha fatto Rachid Assarag, che non rientrano nel caso singolo, ma in una fattispecie generale e globale della situazione di ricatto e mafia che vige nelle nostre carceri, ha archiviato sostenendo che quelle frasi, quelle minacce, sono lezioni di vita carceraria.
  Ministro, come si pone rispetto a queste dichiarazioni ? Ritiene che potrebbe mandare degli ispettori alla procura di Parma ? Diversamente, si accetta il fatto che l'articolo 27 della Costituzione non vale all'interno delle carceri e che le pene corporali sono reintrodotte nel nostro ordinamento. Se accetta questo fatto, benissimo, riscriviamo la Costituzione e il codice penale. Se non lo accetta, le chiedo se può mandare degli ispettori alla procura di Parma, perché è inaccettabile che un pubblico ministero pronunci queste frasi «lezioni di vita carceraria», frasi pesantissime, in cui sono coinvolti tutti, ossia poliziotti, direttori e medici, che non sono neanche stati ascoltati dal pubblico ministero.
  Ho un'ultima domanda e ho chiuso. Ministro, sono molto preoccupato per questa inchiesta e per il fatto che lei abbia ignorato queste gravi parole del procuratore di Parma. Perché ? Perché all'interno del suo Ministero – le chiedo se ne è a conoscenza, ovviamente; a noi risulta, ma Pag. 13magari è un caso di omonimia – aggiornato al 18 marzo 2015 sul sito Internet, come coordinatore del Nucleo scorte, c’è il nome di Leonello Catini. È ancora il coordinatore del Nucleo scorte ?
  Benissimo. Questa persona, Catini Leonello, è indagata proprio per i fatti di Parma. È coinvolta con frasi più o meno gravi nei fatti di Parma, rispetto ai quali è stata richiesta l'archiviazione, con queste gravissime frasi.
  Sta facendo un'inchiesta su questa situazione denunciata dal detenuto Rachid Assarag ? Sta facendo questa inchiesta ? Lei deve valutare se inviare gli ispettori. Uno degli indagati con richiesta di archiviazione è Catini Leonello, che mi risulta essere – spero di essere smentito – coordinatore del Nucleo scorte del Ministero della giustizia. Conferma che è coordinatore del Nucleo scorte una persona implicata in queste gravi notizie ?

  PRESIDENTE. Usi un altro tono, per favore. Non stiamo facendo un interrogatorio.

  VITTORIO FERRARESI. Grazie, Ministro.

  PRESIDENTE. Usiamo un tono sempre rispettoso delle Istituzioni.
  Poiché vorrei che il Ministro potesse rispondere, vi prego di contenere le domande.

  WALTER VERINI. Presidente, vado molto rapidamente anche perché, francamente, si può pensare un po’ tutto. Ogni forza politica ha il diritto e persino il dovere di tenere posizioni anche critiche, a seconda della propria collocazione parlamentare. Quello che eviterei, sia in Aula, sia, tanto più, in Commissione, è di usare questi toni così inquisitori, questi occhi così iniettati di cattiveria che ho visto adesso. Forse era un effetto dello schermo televisivo.
  Si sta parlando di una relazione da parte del Ministro della giustizia che rappresenta un Governo che, per la prima volta – devo dare atto anche al suo predecessore, Ministro Cancellieri, di aver impostato una politica carceraria adeguata – come ci ha rappresentato adesso il Ministro della giustizia, sta affrontando il tema delle carceri, dopo aver risolto il problema drammatico del sovraffollamento carcerario.
  Se fosse dipeso dall'atteggiamento di alcune forze politiche, come quella cui appartiene il commissario Ferraresi – per «commissario» intendo membro della Commissione giustizia, non faccio riferimenti di altra natura – avremmo probabilmente ancora oltre 60.000 persone dentro le carceri italiane.
  Quello che intendo dire è che, per la prima volta, dopo aver risolto il tema del sovraffollamento carcerario, si sta affrontando in maniera sistemica e anche partecipata, con il contributo di personalità, studiosi e associazioni – gli Stati generali dell'esecuzione penale hanno dimostrato questo – il problema delle carceri.
  Secondo me, la chiave di tutto è quella che ha detto il Ministro Orlando: investire – come è giusto che sia, come dice la Costituzione, come dice un principio di umanità, come ci suggerisce l'Unione europea, ma anche come ci insegnano due secoli quasi di civiltà giuridica – in pena certa, recupero e reinserimento. Ciò significa investire in sicurezza per i cittadini, senza pensare alla permanenza e alla detenzione nelle carceri come un luogo di afflizione e ozio.
  Recentemente mi è capitato, in una settimana, di visitare tre istituti di pena di vario ordine. In un paio di questi sono emersi i temi della vigilanza dinamica e della gestione delle sezioni aperte, che sono state – questo va rivendicato – una conquista di civiltà, ma che chiamano, ovviamente, anche il personale a un ruolo più consapevole e diverso. C’è già una relazione, prevista dal lavoro degli Stati generali, che rappresenta un contributo, certamente, non un diktat, anche se dentro quelle pagine ho trovato degli spunti di straordinario interesse, dei quali mi auguro che il Governo tenga conto.
  Dentro quest'innovazione, ci sono alcune problematiche che riguardano non Pag. 14tanto e non solo il numero del personale degli agenti di custodia, quanto la loro formazione, soprattutto davanti a queste nuove modalità di gestione del detenuto. Su questo è ovvio che si lavora meglio. Perché non cogliere il fatto che, per la prima volta dopo decenni, questo Paese e, quindi, questo Parlamento può affrontare il tema della pena nel giusto modo, come hanno fatto finora la Camera e il Senato (più la Camera che il Senato) e il Governo con tutto il tema delle pene alternative, della messa alla prova, del carcere come extrema ratio, che è parte di un progetto che prevede questa funzione rieducativa del carcere ?
  Per questo motivo, se posso, Ministro, la invito ancora di più a correre. Noi corriamo su molte cose, ma l'idea è di investire ancora di più in formazione. Investite in risorse, perché ogni euro investito in questo significa investire in sicurezza e non soltanto in umanità. La invito, quindi, per quello che può valere la mia voce, Ministro, a far sì che tutti i temi della formazione e del lavoro in carcere, tutti i temi della socializzazione negli istituti di pena, tutti i temi che riguardano il trattamento detentivo come occasione di nuova chance, una volta scontata la pena, vengano implementati. Troverà nel nostro Gruppo parlamentare un sostegno assolutamente incondizionato in questa direzione.
  Voglio concludere dicendo che sono quasi quarant'anni dalla riforma della legge carceraria, la legge Gozzini, che è un punto di riferimento di livello europeo. Noi pensiamo che il tagliando che di fatto si sta facendo anche con il lavoro degli Stati generali di quella storica riforma non debba farci volgere la testa all'indietro, come qualcuno vorrebbe forse, in maniera sbrigativa e populista, magari speculando sul bisogno di sicurezza, che è un bisogno reale, farci intraprendere. Vogliamo che questa sia l'occasione per un salto in avanti, perché quelle conquiste siano non solo consolidate, ma ancora implementate.
  Passo davvero all'ultima cosa che intendo dire. Ministro, penso che questa non debba e non possa essere soltanto una questione da tenere «chiusa» nelle Aule parlamentari. Penso che un Governo e un Parlamento che affrontano in questi termini il problema della detenzione e della pena non possano avere alcun timore di andare a spiegare ai cittadini italiani che investire in questo significa investire anche nella sicurezza dei cittadini, senza avere preoccupazioni da bar, che magari strumentalizzano il bisogno di sicurezza dei cittadini.
  Grazie.

  NICOLA MOLTENI. Grazie, Ministro. Con rispetto, ovviamente, ma fermi nelle nostre posizioni, ricordo che quello che noi pensiamo sulle scelte politiche che sono state fatte da lei e da chi l'ha preceduta sul tema del sovraffollamento delle carceri è assolutamente noto. Le nostre sono posizioni chiare.
  Non accetto quando lei dice che il problema degli sconti di pena è stato anticipato dal Governo Berlusconi, perché così non è. Ovviamente, lei fa riferimento al provvedimento sui dodici mesi non in carcere, ma ai domiciliari. Sa benissimo che quel provvedimento è stato fortemente attenuato e poi da voi modificato, portandolo da dodici a diciotto mesi. Si ricorderà bene che la scelta operata dal Governo Berlusconi sul tema del sovraffollamento delle carceri fu quella di investire 500 milioni di euro sul Piano carceri. Ancora oggi, dopo inchieste aperte e una denuncia che lei, correttamente, ha fatto appena si è seduto al Ministero, non sappiamo ancora nulla di quei 500 milioni di euro del Piano carceri.
  Ministro, mi sento, in questo caso, però, di interpretare il pensiero collettivo di coloro che vivono fuori da questo palazzo, di coloro che vivono la quotidianità della vita, che mi chiedono tutti: «Se hai occasione di incontrare il Ministro della giustizia, fargli presente una cosa, ossia il profondo senso di paura e di insicurezza che i cittadini italiani, da Nord a Sud, vivono». Perché ? Perché voi avete investito tanto e troppo sul problema del sovraffollamento delle carceri. La dignità del detenuto è un principio di umanità Pag. 15sacrosanto. Avete investito, però, sulla dignità del detenuto, ma non avete investito sulla dignità della vittima. Troppe volte e troppo spesso, anche nel suo intervento di oggi, parlate di detenuti e di carceri, ma non delle vittime, che sono i reali soggetti che subiscono questo senso di profonda insicurezza.
  Avete investito sul sovraffollamento, ma avete sacrificato l'investimento politico sul tema del sovraffollamento e avete ceduto sul tema della sicurezza e della certezza della pena. Con qualunque cittadino parliate – lei è un Ministro che vive la realtà quotidiana della politica – sapete benissimo che il cittadino oggi lega il tema dell'insicurezza al tema della mancanza di certezza della pena.
  Questo perché, Ministro, le scelte politiche che avete fatto, di cui vi assumete la responsabilità politica di fronte ai cittadini, sulla liberazione anticipata speciale a settantacinque giorni, sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto per reati fino a cinque anni, sulle depenalizzazioni, sulla depenalizzazione del piccolo spaccio, sulla possibilità di far scontare gli ultimi diciotto mesi ai domiciliari e non in carcere, sulla messa alla prova, sui lavori di pubblica utilità e gli otto euro che date ai detenuti e non alle vittime sono tutti provvedimenti normativi – che noi abbiamo semplificato nei famosi 4-5 «Svuota carceri» – che hanno generato all'interno dei cittadini un profondo senso di insicurezza.
  Hanno generato un profondo senso di smarrimento rispetto all'affermazione del principio della certezza della pena per cui chi sbaglia paga, principio che oggi non viene assolutamente percepito. Il cittadino si sente abbandonato, le forze dell'ordine si sentono abbandonate, c’è l'impotenza generale complessiva rispetto a un sistema che ha visto la politica degli ultimi quattro anni e i Governi che hanno retto il Paese negli ultimi quattro anni investire maggiormente su chi sta in carcere che non su chi sta nelle case.
  Vi siete occupati dei 60.000 detenuti, ma vi siete totalmente dimenticati dei 60 milioni di cittadini italiani che non stanno nelle carceri. È stato, quindi, un fallimento totale, di cui c’è una responsabilità politica. Vi prego di fermarvi sulla delega. Di danni ne avete già fatti a sufficienza. Credo che il Paese non abbia bisogno di ulteriori danni.
  Ho quattro domande. Ci sono 17.000 detenuti stranieri all'interno delle carceri. A che punto sono gli accordi bilaterali per far scontare la pena nel Paese d'origine ?
  In secondo luogo, i 500 milioni di euro del Piano carceri che fine hanno fatto ? Sono stati investiti, non sono stati investiti, ci sono state delle responsabilità, qualcuno ha pagato per queste responsabilità ?
  La terza domanda riguarda la Polizia penitenziaria. Nelle carceri, oltre al detenuto, ci sono, ovviamente, anche gli operatori di Polizia penitenziaria, che si sentono profondamente abbandonati e sfiduciati.
  Passo alla quarta domanda, che riguarda il disegno di legge sulla carcerazione preventiva. C’è una norma, fortemente contestata anche dalla magistratura di merito che ha impedito l'arresto di quattro terroristi a Bologna per una parte di questa normativa legata alla qualità del pericolo, tant’è che è dovuto intervenire un provvedimento amministrativo del Ministero dell'interno per fare le espulsioni. Avete intenzione di modificarla ?
  Chiudo con una richiesta. Vi abbiamo sempre chiesto – avremmo portato il nostro contributo e il nostro aiuto – di scorporare rispetto al disegno di legge sul processo penale quella norma giusta e di buonsenso sull'aumento dei massimi e dei minimi sul reato di furto. Non l'avete fatto. Quella cosa non verrà mai portata a termine. Vi ricordo ancora, per l'ennesima volta, che lo strumento penale non è l'unico strumento di deterrenza rispetto a un fenomeno di criminalità quotidiana. I furti e i reati predatori, qualunque cosa dica il suo collega Alfano, sono in netto aumento. Avete intenzione di scorporare quella parte sull'aumento delle pene sui furti ? Fate un provvedimento a parte e da parte nostra ci sarà il massimo contributo.

Pag. 16

  GAETANO PIEPOLI. Siamo un po’ al di là del semplice misurarsi con le specifiche professionalità, con le domande che escono fuori anche dai soggetti professionali nei diversi settori sulle materie qui analizzate.
  Oserei dire – mi permetto di dire questo al Ministro – che anche il dibattito che qui stiamo svolgendo dimostra che abbiamo un bisogno di creare un idem sentire su questo tema, altrimenti siamo costretti a dividerci sull'emergenza. Questo non ci fa fare un passo in avanti, tanto meno rispetto a orizzonti, che tutti condividiamo, di rendere il nostro sistema un sistema civile e moderno.
  Mi chiedo, quindi, se i temi qui analizzati – non sto più a ritornare su di essi – e gli strumenti che sono convinto il Ministero proporrà al Governo non debbano più essere esclusivamente oggetto di una esposizione singola del Ministero, quasi fossero oggetto di una politica settoriale.
  Adesso abbiamo un dannato bisogno di uscire dall'emergenza e, quindi, di creare per questo idem sentire, un clima nel quale le misure proposte possano essere credute, organizzate, accettate e messe in pratica. Questo è un clima del Governo, un clima da creare nel Paese, che non è solo oggetto di una comunicazione politica, perché non è di questo, ovviamente, che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno veramente di un contesto. Per questo mi permetto di suggerire al Ministro, di cui condivido le linee di fondo che ha qui indicato, di farsi carico nel Governo di questa preoccupazione.
  Grazie.

  ANTONIO MAROTTA. Incomincerò con la domanda che dovrei fare alla fine. Ministro, è intenzionato a portare avanti, così come stiamo facendo, quella serie di provvedimenti che sono in corso e altri da aggiungere in questa direzione ?
  Perché lo chiedo ? Perché, al di là delle sterili polemiche – non le ho mai fatte e non le farò mai nella vita – che mi interessano poco, negli ultimi anni, in particolare negli ultimi tre anni, vedo veramente un'inversione nell'approccio che abbiamo con il sistema giustizia. Prima si trattava di un sistema di interventi emergenziali e di tampone rispetto a una serie di situazioni. L'Italia è vissuta per vent'anni di legislazione dell'emergenza. Non me la sono inventata io, è una realtà. Da qualche anno a questa parte si è abbandonato questo filone, che contribuiva a risolvere, tamponare e a mettere una toppa, così come si dice, ma non ad affrontare il problema alla radice.
  Il problema alla radice si affronta con interventi di natura strutturale. Fino a questo momento devo dare atto che tutto quello che è stato fatto consta di provvedimenti che incidono in maniera strutturale nel sistema penale e, quindi, anche nel sistema carcerario. Quegli interventi a cui il Ministro faceva riferimento, e che qui non citerò, hanno dato dei frutti. Il problema ora è valutare, come hanno fatto gli Stati generali, di cui prendiamo atto, i risultati di questa inversione di tendenza.
  Vorrei ricordare a tutti che tre anni fa ci siamo incontrati con un problema emergenza carceri che vedeva la popolazione carceraria di 20.000 unità superiore rispetto ai posti, al di là di quello che era stato fatto precedentemente del Piano carcere, dell'intervento sulle delibere, dei commissari che venivano nominati. Si pensava che con i moduli nel carcere si potesse risolvere il problema carcerario. Poi si è capito che il problema carcerario si risolve con gli interventi legislativi.
  Una serie di interventi legislativi ha portato così a ridurre il problema in maniera consistente, in base ai risultati che abbiamo e che sono anche il lavoro e il frutto della sintesi degli Stati generali. Alla fine del 2015 i posti nelle carceri da 47.000 erano passati a 49.000, ossia erano aumentati di ben poco. La popolazione carceraria, invece, era scesa da 67.000 unità, il che addirittura rendeva impossibile la vita nel carcere – non devo dire altro; questi sono i risultati a cui bisogna far riferimento – a 52.000. Penso, quindi, che, nel giro di qualche mese, avremo il bilanciamento: tot posti, tot detenuti.Pag. 17
  Qual è la conseguenza di questo ? Lo devo dire, perché poi i risultati sono le statistiche. Le statistiche non le possiamo citare solamente quando ci fanno comodo e quando vanno nella direzione che auspichiamo, cioè di risolvere il problema. Alla fine del 2015 sappiamo che, al di là della sicurezza dei cittadini, a cui dedicherò pure un momento, i reati sono diminuiti in Italia di circa il 10 per cento. Parlo del totale dei reati. Ci sarà anche qualche reato particolare che sarà aumentato, ma il totale è diminuito del 10 per cento.
  Questo è il risultato di una statistica, di un'elaborazione matematica rispetto alla quale bisogna far entrare ora i cittadini – qui finisco, perché mi rendo conto che devono parlare altri dopo di me – anche in un cambio culturale di approccio con il sistema. Questo deve essere anche il lavoro del Governo.
  Il Governo, la maggioranza, il sistema parlamentare, il sistema politico devono far anche avere uno sbalzo e un diverso approccio culturale rispetto al problema. Oggi si sa che il problema non può essere più il detenuto in carcere nel momento in cui, con la globalizzazione, abbiamo un movimento di un milione di persone che invaderanno l'Italia, come l'Europa. È inevitabile. Vogliamo continuare a discutere del detenuto che evade o del fatto di Parma ? Non so proprio a che cosa si riferisce. Sicuramente sarà vero, non lo metto in dubbio, ma vogliamo continuare a discutere del fatto particolare rispetto a questi problemi ?
  Dobbiamo preparare la società e i cittadini a questo. Ecco perché dico che ci vuole un cambio culturale anche rispetto al problema della sicurezza e della valutazione della sicurezza dei cittadini. Ritengo che l'unica cosa che dobbiamo fare – in questo la mia forza politica le sarà a fianco con responsabilità e coraggio, come ha sempre detto – è andare avanti con le riforme strutturali del sistema legislativo che riguarda la giustizia.

  STEFANO DAMBRUOSO. Sarò brevissimo. Anch'io ho apprezzato, Ministro, l'aggiornamento che ha fatto oggi sullo Stato generale dell'esecuzione penale. Ho avuto il privilegio di essere presente all'inaugurazione degli Stati generali. Eravamo a Bollate.
  I ragazzi detenuti per cui ho promosso un corso di formazione di arteterapia ricordano ancora la sua parziale attenzione, che ha trovato comunque l'opportunità di dare in quella visita piena di eventi, che non l'hanno lasciata insensibile rispetto a quel tipo di avvicinamento. Ancora oggi loro proseguono e hanno diffuso il messaggio che anche con la sua partecipazione in quel giorno è stato trasmesso, ossia che un cittadino restituito più aggiornato, più formato e più istruito è sicuramente il risultato di un investimento sulla sicurezza che riguarda poi tutto il resto dei cittadini e, quindi, anche, per noi politici, degli elettori.
  Voglio sottolineare il riferimento, che oggi ha fatto, in una maniera adeguatamente ampia, al fenomeno della deradicalizzazione. Proprio dieci giorni fa, insieme al collega Manciulli, abbiamo depositato una proposta di legge proprio su questo tema. Essa ha come obiettivo la prevenzione del fenomeno terroristico nel medio-lungo periodo. Abbiamo già introdotto con il decreto-legge della recente primavera strumenti davvero forti e nuovi per contrastare in maniera ferma il terrorismo jihadista. Strumenti, invece, di medio-lungo periodo che mancavano nella nostra normativa oggi hanno iniziato un percorso che mi fa piacere sia stato colto anche fra le parole che lei ha rappresentato, allorché ha parlato di deradicalizzazione.
  Arrivo a due domande. Nei tavoli di lavoro, soprattutto nel 15, del documento che ci è stato consegnato si parla della formazione degli operatori penitenziari. Vorrei sapere se è stata posta una particolare attenzione proprio alla deradicalizzazione e soprattutto alla presenza nel fenomeno femminile del terrorismo jihadista, che ha visto proprio l'Italia avere figure molto visibili mediaticamente di donne che hanno fatto questa scelta.Pag. 18
  Vorrei sapere se nelle carceri, per contrastare la radicalizzazione soprattutto del mondo femminile, siano state individuate – con difficoltà, ritengo – anche delle predicatrici di un messaggio autentico dell'interpretazione del Corano che fra gli uomini, fra i cosiddetti e atecnicamente definiti «Imam moderati» vedono già percorsi avviati nelle carceri italiane. Mi riferisco proprio al mondo femminile. Vorrei sapere se esiste una progettualità su cui è stata prestata una particolare attenzione.
  In secondo luogo, avendo avuto la possibilità di vivere da vicino il mondo della Polizia penitenziaria – l'ho conosciuta molto bene da vicino; per circa vent'anni ha garantito la sicurezza a me e alla mia famiglia, come soggetto sottoposto a scorta – so quali sono le difficoltà, ma anche davvero il senso di appartenenza a un Corpo a cui i membri tengono molto. Il turnover è fondamentale per loro. Le chiedo se sono state avviate delle iniziative concrete di turnover sul personale.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Nel dare la parola al Ministro, lasciandogli almeno i dieci minuti che ci sono prima dell'Aula, volevo ringraziarlo, anche per dare atto della sua massima disponibilità, della sua passione politica e dell'impegno istituzionale che mette nell'esercizio del suo incarico governativo, anche nell'aver voluto questo confronto. Si tratta, infatti, di un'iniziativa che ha avuto il Ministro di chiedere questo confronto su un tema delicato come quello della sicurezza.
  Nel frattempo, colgo l'occasione anche per dare atto di un lavoro molto intenso che ha fatto questa Commissione. Vorrei farlo pubblicamente e alla sua presenza vorrei cogliere questa occasione per ringraziare anche tutti i colleghi e per mettere formalmente nelle mani del capo di Gabinetto l'elenco dei provvedimenti che sono stati varati da questa Camera e che, purtroppo, sono fermi al Senato (vedi allegato). Tra questi c’è quello che lei ha menzionato poco fa e più volte, anche nell'inaugurazione dell'anno giudiziario e nella relazione al Parlamento, che consentirà l'attuazione della delega proprio sulla revisione dell'ordinamento penitenziario.
  È un atto formale, che faccio in pubblico, con riconoscenza e gratitudine anche per l'impegno che sta svolgendo.
  Do la parola al Ministro Orlando per la replica.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Mi scuseranno i colleghi onorevoli se non risponderò alle singole surrogazioni di sindacato ispettivo, alle quali mi rendo disponibile immediatamente anche in una seduta specifica, quando lo riterrà la presidente della Commissione.
  Parlerò, invece, della questione su cui ho sollecitato una discussione e, naturalmente, risponderò anche quando avranno una valenza generale le questioni poste, seppure continui ad auspicare che la discussione sia sul tema che ho cercato di sottoporre alla vostra attenzione.
  Avrei potuto tranquillamente evitare questo passaggio. Avrei potuto limitarmi a fornire un dato, che poi fornirò, ragionieristico e dire che ho trovato una situazione complicata e che l'ho lasciata meglio di come l'ho trovata. Non ritengo, però, che questo sia sufficiente perché credo che il superamento dell'emergenza numerica offra un'occasione a tutte le forze politiche e al Parlamento che non deve essere perduta: quella di una riflessione sistemica per capire perché siamo arrivati a quel sovraffollamento, perché ci sia ancora questo livello di recidiva e perché il carcere non garantisca ancora sicurezza.
  Non vi ho proposto una mia ricetta. Vi ho proposto la discussione che è stata fatta da 200 persone a titolo gratuito, 200 persone tra le quali probabilmente, onorevole Ferraresi, ci saranno anche dei suoi elettori, che non meritano come riconoscimento il fatto che il loro lavoro sia derubricato a chiacchiere. Il loro è un lavoro offerto al Parlamento e al Governo per un passaggio che vogliamo fare dopo quarant'anni, ossia dopo una situazione che, nel frattempo, si è venuta a strutturare e a sclerotizzare, con tutti i pro e tutti contro di ogni intervento di carattere organico Pag. 19come, a suo tempo, li ebbe la legge Gozzini.
  Credo che oggi sia giusto. Invito a farlo anche lei, in particolar modo, perché so che la sua forza politica ha non solo un grosso peso, ma anche una riflessione autonoma a guardare a quel materiale e alle cose prodotte come a un contributo sul quale provare a costruire una discussione, che sarà fatta non per mettere un fiore all'occhiello di questo Governo ma per provare a costruire un'istituzione del futuro.
  È del tutto evidente che tutto il tempo che porterà via l'esercizio di questa delega non vedrà una ricaduta in questa legislatura. Tuttavia, abbiamo l'occasione, proprio perché non abbiamo più da fronteggiare quell'emergenza di carattere numerico, di fare questa riflessione e di consegnarla, chissà, magari a un Governo del Movimento 5 Stelle. Io mi auguro, francamente, di no, lei magari sì. Proviamo, però, a guardare un po’ più avanti rispetto semplicemente alla contingenza e allo scontro politico quotidiano, che ha tutti i suoi spazi e le sue sedi e al quale non mi sono mai sottratto.
  Questo è l'invito che cerco di fare e per questo speravo che questa discussione fosse un po’ una zona franca. Prendo atto che mi sono illuso di questo dato, ma comunque, essendo caparbio, insisterò per proporre questa discussione, perché sono convinto che faccia bene a tutti riflettere fuori dalla contingenza su alcune questioni che hanno una valenza e un carattere strategico.
  Vorrei rispondere, invece, ad alcune questioni legate al presupposto strutturale all'intervento sul sovraffollamento. Procedendo per flash: che cosa abbiamo fatto per il rimpatrio dei detenuti ? Abbiamo avviato i negoziati con Tunisia, Senegal, Cina, Gambia, Argentina, Colombia, Filippine, Uruguay e Nigeria. Abbiamo ratificato il trattato – l'ha fatto il Parlamento, ragion per cui forse non dovrei neanche dirlo – con l'Egitto e il Kazakistan. Questo Governo ha firmato un trattato, che attende ratifica, con il Marocco, gli Emirati Arabi Uniti e il Kenya, oltre a convocare nell'immediatezza del mio insediamento una riunione di tutti i procuratori generali che hanno competenza per avviare il percorso di rimpatrio. Era la prima che si teneva in questo Paese per discutere del tema del rimpatrio dei detenuti.
  Non c’è più l'onorevole Molteni, ma francamente la mia sorpresa principale è che nessuno avesse mai fatto queste cose prima, essendo stato questo uno dei cavalli di battaglia delle forze che hanno governato per lungo tempo il Paese. Si è parlato di rimpatrio dei detenuti. Si è proposto, anziché far scontare loro la pena da noi, di fargliela scontare a casa loro. Peccato che non fossero state costruite le convenzioni internazionali perché questi meccanismi si potessero realizzare.
  Questo è quello che abbiamo fatto noi e devo dire, senza tema di smentita, che l'attività su questo fronte non ha precedenti nella storia della Repubblica. Non sfioro la megalomania perché dico la verità, ma prima questo tipo di attività non era stato fatto.
  Sulla questione relativa a che cosa abbiamo fatto dei soldi, di quei 500 milioni di euro, non c’è alcun mistero. La prima cosa che ho fatto appena insediato è stato fare una denuncia alla procura della Repubblica di Roma perché nella gestione della vicenda «Piano carceri» ho ravvisato delle irregolarità. È stata fatta un'attività di carattere ispettivo interno.
  Aggiungo una considerazione. La prima cosa che abbiamo chiesto è il superamento della figura del commissario, perché abbiamo valutato che quella figura non aveva prodotto alcun risultato, anzi, aveva immobilizzato moltissime risorse. Quelle risorse sono state restituite ai Ministeri di competenza, con i quali abbiamo rimodulato il Piano carceri. Nel frattempo, però, non è successo niente.
  Poiché il commissario carceri aveva drenato tutte le risorse, sia quelle per gli investimenti, sia quelle per la manutenzione, abbiamo recuperato i soldi per la manutenzione che erano immobilizzati lì. Con i soldi per la manutenzione – mi dispiace che nessuno l'abbia notato – abbiamo recuperato circa 4.000 posti che non erano disponibili precedentemente.Pag. 20
  Sostanzialmente chiedete: «Perché non fate nuove carceri ?» La risposta è che prima di fare nuove carceri forse dobbiamo utilizzare meglio quelle che abbiamo. Da questo punto di vista abbiamo questo bilanciamento, a cui ci avviciniamo, tra numero dei posti disponibili e detenuti. Non si è realizzato solo per la diminuzione dei detenuti, ma anche per l'aumento dei posti disponibili e potrà ulteriormente realizzarsi attraverso l'inaugurazione delle carceri che sono già in fase di costruzione.
  Personalmente ritengo che, più o meno, non sia necessario andare molto oltre quelle che sono già in fase di costruzione o di progettazione esecutiva, perché il nostro è un Paese che, quando ha un potenziale di disponibilità di 60.000 posti, è in una situazione di equilibrio. La crescita esponenziale prevista con il Piano carceri, a mio avviso, non è giustificata, a meno che non ci sia un incremento demografico improvviso degli abitanti.
  Noi non riteniamo, quindi, che quel Piano carceri fosse adeguato e che fosse necessario effettivamente, ragion per cui abbiamo ridotto l'investimento su questo fronte e contemporaneamente abbiamo lavorato sulla manutenzione. Questo ci ha consentito di recuperare – voglio dirlo senza tema di smentita – più posti di quelli che si sono recuperati dal momento del varo del Piano carceri in poi.
  Per quanto riguarda la questione del rapporto sicurezza e provvedimenti di deflazione, ha ragione l'onorevole Molteni: non si prevedeva nella prima misura la liberazione anticipata, ma si prevedevano i domiciliari. Questa è stata la prima misura oggettivamente di deflazione e io ne ho dato merito al Governo Berlusconi, che è stato il primo ad aver affrontato l'emergenza. Pur dopo averla determinata, in verità, ha affrontato il tema dell'emergenza carceraria, perché – dobbiamo smetterla un po’ con la propaganda – qualunque Governo, di qualunque colore, non può infischiarsi della possibilità di una condanna per violazione dei diritti dell'uomo da parte della Corte di Strasburgo. Non l'ha fatto il sottoscritto per ragioni di sensibilità.
  Forse, scusi, onorevole Ferraresi, non lo faccio con il sufficiente calore, ma ognuno ha il carattere che ha. Le posso assicurare che ho dedicato molta passione e molto impegno in questo senso, ma non avrebbe potuto infischiarsene neanche un Governo di centrodestra o di 5 Stelle, perché nessuno può reggere l'onta internazionale di essere condannati per una violazione di quel genere.
  Quando mi si rimprovera del fatto che sono stati erogati otto euro ai detenuti, non si tiene conto del fatto che quella era esattamente una delle prescrizioni previste dalla Corte di Strasburgo, ossia la possibilità di risarcire un danno che era eventualmente stato inflitto al detenuto per una violazione. Si può discutere della congruità. Molti dicono che è troppo poco, ma il fatto è che quello era un dato al quale assolutamente non ci si poteva e, a mio avviso, non ci si doveva sottrarre.
  Voglio precisare che, quando si discute del fatto che si erogano gli otto euro ai detenuti e non si eroga nulla alle vittime, non si colgono due dati oggettivi. Il primo è che questo è il primo Governo che sta varando una disciplina per le vittime. Dopo vent'anni di dibattito sulle vittime, in nome delle vittime si sono aumentate le pene e si è fatta una legislazione eccezionale, ma non esisteva nel nostro Paese uno Statuto delle vittime. Noi abbiamo recepito le indicazioni europee per quanto riguarda i diritti da assicurare all'interno del processo e siamo i primi ad approntare un fondo per il risarcimento delle vittime. Questa a me pare una questione che non dovrebbe sfuggire ai colleghi parlamentari.
  Stavo rispondendo a lei, onorevole Molteni. Credo che il tema delle vittime non lo dovremmo utilizzare in modo strumentale. Siamo il primo Governo che sta facendo una legislazione sulle vittime. Ci direte che non sarà abbastanza, che bisogna fare di più, ma faccio notare che fino adesso non è stato fatto niente.

  VITTORIO FERRARESI. Abbiamo fatto l'emendamento e l'avete bocciato.

Pag. 21

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Sto parlando della disciplina, non della capienza. In quella legge di stabilità, nella quale non si sono colti naturalmente tutti gli obiettivi che avrei voluto cogliere – è chiaro che anch'io vorrei sostenere il disegno riformatore come una serie di investimenti, ma lo vogliono fare anche i miei colleghi rispetto ad altri interventi di riforma – si è realizzato, però, un obiettivo storico, ossia il riallineamento della Polizia penitenziaria agli altri gradi dei Corpi di polizia. Sono state stanziate più risorse a favore di tutti i Corpi di polizia, compresa la penitenziaria. È stata introdotta la piattaforma della telemedicina, che non è solo un beneficio per i detenuti, ma è anche un risparmio per i contribuenti, perché molti servizi che attualmente vengono erogati dal Servizio sanitario nazionale possono essere erogati direttamente in carcere. È partito finalmente il Garante nazionale dei detenuti, anche questo un tema di carattere storico.
  Vengo, residualmente, agli Stati generali, avendo – credo – risposto alle questioni che sono state poste rispetto al sovraffollamento. A me dispiace che non sia stato colto un dato. In quei 18 tavoli sono state dette molte cose. Valutatele come volete. Nella mia relazione, però, ho fatto mio un principio su cui vorrei che le forze politiche si pronunciassero, ed è questo: secondo noi, il modello, così come è costruito oggi, ossia con benefici automatici e regimi ostativi automatici a prescindere dal comportamento del detenuto, è un modello che non produce miglioramenti e percorsi di riabilitazione. È un modello passivizzante, un modello che alla fine serve semplicemente per mettere una parentesi in un'esistenza delinquenziale.
  La proposta che vogliamo provare ad avanzare è, e su questo mi interesserebbe una valutazione delle forze politiche, un meccanismo di esecuzione della pena che tenga conto del comportamento che il detenuto tiene all'interno del periodo di esecuzione della pena. Questo è un tema che ha molto a che vedere con la questione che poneva il collega Molteni sulla questione della certezza, perché abbiamo un'esecuzione della pena che ha sì un carattere afflittivo, ma a proposito di vittime non ha alcun elemento di carattere restitutivo.
  Che cosa restituisce alla società chi ha prodotto una lacerazione con il reato ? Quasi niente. In un mio inciso, che pensavo fosse colto, ho detto una cosa che forse può sembrare, da questo punto di vista, sicuritaria: c’è una parte di reati che, poiché sottoposti alla sospensione condizionale della pena, non producono alcuna forma di restituzione alla società.
  Il concetto che voglio porre è questo: perché non pensiamo, per esempio, che la sospensione condizionale della pena sia subordinata a una forma di esecuzione in termini restitutivi ? Perché non accompagniamo un percorso di reinserimento ? Perché abbiamo un nero che è il carcere e un bianco che è la libertà e non costruiamo un grigio ?
  Ci troviamo persone che hanno fatto il 41-bis e che, quindi, sono state ritenute pericolosissime fino a mercoledì, che poi giovedì, avendo scontato la pena, sono libere e il giorno dopo possono circolare. Perché non anticipiamo, magari, l'attenuazione di quel regime nel periodo precedente e prolunghiamo un po’ il periodo in quello successivo con forme di controllo su quella persona ? Perché non costruiamo una zona grigia nella quale la persona pericolosa viene valutata dal punto di vista della diminuzione della pericolosità ? Perché non affrontiamo in modo non burocratico il percorso della riabilitazione ?
  Questo è il tema che pongo alle forze politiche. Naturalmente, questa è una proposta che va spiegata e di cui bisogna assumersi la responsabilità. È una proposta, onorevole Molteni, che non può essere semplicemente la replica dell'insicurezza che c’è nella società. Vogliamo provare anche noi a spiegare alla società che non sempre la sicurezza si garantisce semplicemente con l'inasprimento delle pene e con automatismi, perché quei meccanismi possono servire da un certo punto di vista, ma in altri campi non funzionano, anzi hanno prodotto esattamente il contrario.Pag. 22
  Questa è la discussione che vorrei fosse assunta da questa Commissione. Non ce l'ho fatta, questa volta, a eccezione di alcuni interventi, che ringrazio per il sostegno. Mi piacerebbe perché davvero vorrei che a questa discussione partecipassero tutte le forze politiche e che la si potesse fare in futuro, perché – ripeto – non la considero, questa volta, un patrimonio di questo Governo, ma soprattutto un servizio reso al Parlamento e un patrimonio che si può consegnare al Paese.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e i colleghi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.25.

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ALLEGATO

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, sugli Stati generali dell'esecuzione penale.

NOTA DELLA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE, ONOREVOLE DONATELLA FERRANTI

Provvedimenti approvati dalla Camera dei deputati all'esame del Senato

DI COMPETENZA DELLA II COMMISSIONE

C. 245 Scalfarotto, C. 1071 Brunetta e C. 280 Fiano – (S. 1052).
Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della transfobia.
Approvato dalla Camera il 19 settembre 2013.

C. 559 Bolognesi.
Introduzione dell'articolo 372-bis del codice penale, concernente il reato di depistaggio.
Approvato dalla Camera il 24 settembre 2014.

C. 360 Garavini, C. 1943 Nicchi, C. 2044 Carfagna, C. 2123 Governo e C. 2407 Gebhard, C. 2517 Fabbri.
Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 7 gennaio 2014.
Approvato dalla Camera il 24 settembre 2014.

C. 2150 Ferranti, C. 1174 Colletti, C. 1528 Mazziotti Di Celso, e C. 2767 Pagano.
Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati.
Approvato dalla Camera il 24 marzo 2015.

C. 2168, approvata dal Senato, C. 189 Pisicchio, C. 276 Bressa, C. 588 Migliore, C. 979 Gozi, C. 1499 Marazziti e C. 2769 Farina.
Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano.
Approvato dalla Camera il 9 aprile 2015.

C. 1335 Bonafede e C. 3017 Gitti.
Disposizioni in materia di azione di classe.
Approvato dalla Camera il 3 giugno 2015.

C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana e C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro, C. 1989 Rossomando, C. 2321 Brambilla e C. 2351 Santerini.
Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità.
Approvato dalla Camera il 18 giugno 2015.

C. 925-B, approvata dalla Camera e modificata dal Senato.
Disposizioni in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale. Ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato.
Approvato dalla Camera il 24 giugno 2015.

C. 1129 Molteni.
Modifiche agli articoli 438 e 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo.
Approvato dalla Camera il 29 luglio 2015.

C. 2798 Governo, C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti C. 408 Caparini, Pag. 24C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C. 1957 Ermini, C. 1966 Gullo, C. 1967 Gullo e C. 3091 Bruno Bossio.
Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena.
Approvato dalla Camera il 23 settembre 2015.

C. 2874, approvata dal Senato.
Disposizioni in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra e modifica all'articolo 414 del codice penale.
Approvato dalla Camera il 13 ottobre 2015.

C. 1138 d'iniziativa popolare, C. 1039 Gadda, C. 1189 Garavini, C. 2580 Vecchio, C. 2786 Bindi, C. 2737 Bindi e C. 2956 Formisano.
Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
Approvato dalla Camera l'11 novembre 2015.

DI COMPETENZA DELLE COMMISSIONI II e III
C. 1460 Verini, C. 2440 Migliore, C. 1332 Marazziti, C. 1334 Migliore, C. 2747 Scotto e C. 2813 Governo.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione.
Approvato dalla Camera il 3 giugno 2015.
C. 3303-A Governo.
Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005 Governo.
Approvato dalla Camera il 28 gennaio 2016.

DI COMPETENZA DELLE COMMISSIONI II e IX
C. 3169-B.
Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
Approvato dalla Camera il 21 gennaio 2016.

DI COMPETENZA DELLE COMMISSIONI II e XI (Giustizia e Lavoro pubblico e privato)
C. 3365 Businarolo, C. 1751 Businarolo e C. 3433 Ferranti.
Disposizioni per la protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico.
Approvato dalla Camera il 21 gennaio 2016.