XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 78 di Mercoledì 10 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall'Orto, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 2 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 4 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 6 
Airola Alberto  ... 7 
Rossi Maurizio  ... 9 
Ranucci Raffaele  ... 11 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 13 
Minzolini Augusto  ... 13 
Crosio Jonny  ... 14 
D'Ambrosio Lettieri Luigi  ... 16 
Fico Roberto , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall'Orto, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall'Orto, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Do la parola al dottor Campo Dall'Orto, e successivamente al dottor Verdelli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine del loro intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Farò una breve introduzione, per poi passare la parola al dottor Verdelli, che non solo insieme a me è parte dell'incontro odierno, ma fornirà anche una testimonianza personale del progetto che abbiamo e che ho rispetto all'informazione.
  Parto con due punti a mio avviso interessanti, di cui uno concerne i dati di Sanremo di ieri sera. Sembra non c'entri nulla con l'informazione, ma è comunque interessante. Oltre al dato per noi sicuramente molto soddisfacente, visto che le seconde edizioni delle conduzioni tendono a scendere in termini di risultati, la cosa interessante è che un evento come questo stia diventando sempre più figlio del mondo dei social. Si potrebbe dire che no, che Sanremo è l'istituzione, il nazionalpopolare, ma la verità è che secondo i dati di ieri con i soggetti dai 15 ai 44 anni, ovvero la fascia più giovane, siamo passati dal 45,7 al 48,5 per cento di ascolto. Per le fasce più giovani, dai 4 ai 14 anni, siamo passati dal 37,5 al 46,2 per cento. Si tratta del dato particolare di ieri, ma provvederemo a raccogliere i dati di tutte le giornate. È una vera e propria esplosione rispetto agli anni scorsi di tutta la parte social che ha contribuito ad accompagnare lo show e a portare pubblico. Sono partito da qui perché si tratta di una conferma che anche nel quadro generale tutto sta cambiando. È anche per questo che credo siano ormai palesi a tutti le riflessioni sui concetti che ho già portato alla vostra attenzione, come quella di media company e di come certi temi si riflettano sull'informazione. C’è una grande soddisfazione, quindi, da parte nostra per Sanremo, e grandi congratulazioni a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione, Carlo Conti, che come sapete già dall'anno scorso lo presenta.
  In secondo luogo, secondo me è particolarmente significativo il tipo di rapporto che in maniera costruttiva stiamo costruendo Pag. 3con la Commissione: l'idea che vi siano luoghi destinati al confronto credo sia importante. La Commissione di vigilanza ha il compito di indirizzo e vigilanza sulla programmazione, tema che richiedono, come credo si sia visto fin dall'inizio da parte mia, non soltanto rispetto, ma anche apertura al confronto.
  Dall'ultima audizione è successa una cosa importante: in azienda abbiamo portato avanti l'implementazione di tutto ciò che voi, come rappresentanti del Parlamento, avevate votato in termini di legge, cioè abbiamo portato avanti tutte quelle azioni – l'ultima è stata l'approvazione dello statuto – che ci hanno consentito di passare da qualche giorno a una fase nuova, in cui la governance approvata dal Parlamento diventa pienamente efficace. A maggior ragione il confronto diventa importante secondo questo nuovo schema.
  Diventa poi importante il progetto legato all'informazione. In questo senso, riprendo il ragionamento introdotto anche nella nostra ultima audizione. Non c’è dubbio che quello dell'informazione è un tema che ha via via assunto un rilievo più strategico nell'attuale contesto tecnologico e di mercato, in particolar modo per un'azienda come la nostra, che è servizio pubblico, il cui caposaldo è il dovere di assicurare alla collettività un'informazione completa, obiettiva e pluralista. Ricordo in tale prospettiva che cento giorni fa, quando in quest'aula si era tenuto un primo incontro con la Commissione, arrivavamo dai tragici fatti di Parigi. Da un lato e pur nella drammaticità, venimmo a condividere l'orgoglio del ruolo che la nostra azienda aveva saputo ricoprire e dall'altro, condividemmo le tematiche che avrebbero poi coinvolto l'azienda nel proprio ripensarsi. È proprio in quel senso che è stato condotto il ragionamento che ci porta qui oggi, che riguarda il ripensamento di quale sia l'obiettivo primo dell'informazione che sta al cuore del servizio pubblico. Ciò è stato fatto anche riflettendo su quali siano state le indicazioni che avevate dato sul progetto newsroom del 15 dicembre. Ne cito alcune che sono state parte della riflessione che ha portato alla decisione della creazione della nuova direzione editoriale. Sono cose che conoscete, ma è importante perché sono parte del processo che abbiamo affrontato. Valutare la possibilità di meglio coordinare l'area dell'informazione mediante una razionalizzazione delle risorse tecnologiche e professionali e una loro riorganizzazione, in linea con le esperienze e i risultati dei più significativi servizi pubblici europei; favorire e rafforzare la definizione di una precisa linea editoriale che caratterizzi l'offerta informativa di ciascuna delle testate giornalistiche del servizio pubblico e sia coerente con il profilo editoriale proprio della rete su cui sono trasmessi con i rispettivi marchi TG1, TG2 e TG3, TGR, Rai News24 e Rai Parlamento; monitorare che i risparmi prospettati nel progetto siano conseguiti mediante un efficientamento complessivo e non già con un mero taglio lineare dell'offerta informativa, che non sarebbe coerente con la funzione fondamentale che l'informazione deve rivestire nel servizio pubblico; favorire l'allestimento di spazi di recupero di risorse giornalistiche interne per trasmissioni orientate a fact-checking; prevedere che la razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse giornalistiche attualmente assegnate alle testate sia finalizzata anche al loro impiego nei programmi formativi e di approfondimento trasmessi sulle reti Rai; approfondire e fare sempre maggiore chiarezza sul ruolo che il web mediante il sito della Rai e non solo potrebbe rivestire all'interno del progetto di riforma; rivedere nella sua autonomia il progetto di riposizionamento dell'offerta informativa della Rai nel nuovo mercato digitale, tenendo conto delle indicazioni contenute nella risoluzione medesima.
  Tutte queste cose, nei loro fondamenti condivisibili, hanno portato a un ragionamento che non poteva non essere condotto anche nei contesti di riferimento in cui viviamo. Credo che sia oggi necessario per il servizio pubblico lavorare sicuramente sull'efficienza, ma ancor più sull'efficacia del servizio. Il fatto di avere un'informazione coerente, plurale e diversificata diventa il centro del sistema. A maggior Pag. 4ragione, in un momento in cui il Parlamento ha approvato un nuovo meccanismo del pagamento del canone, credo sia fondamentale riaffermarsi o affermarsi rispetto alla propria missione principale. È proprio in questo contesto che si inserisce l'istituzione della direzione editoriale per l'offerta informativa, guidata da Carlo Verdelli, cui lascerò la parola tra pochi minuti. Quest'azione va nel senso di avere un ruolo che rivesta una forte importanza, una forte funzione di coordinamento, che unisca a competenze nel settore giornalistico anche una formazione manageriale al fine di sviluppare l'informazione in una logica televisiva, ma anche multipiattaforma. Allo stesso modo, avrete letto, ma penso sia importante ribadirlo, che le missioni di questo ruolo sono – ovviamente ferme restando le facoltà e le prerogative contrattualmente attribuite ai direttori di testata – il coordinamento funzionale delle testate giornalistiche e dell'offerta editoriale formativa; la supervisione delle proposte editoriali e la titolarità dei meccanismi approvativi dei prodotti giornalistici; il raccordo con le direzioni competenti per gli aspetti produttivi e realizzativi dell'offerta informativa; la gestione delle priorità editoriali anche di tipo straordinario dell'offerta informativa Rai nel suo complesso. È in questo contesto che arriva la proposta, che sono molto lieto che Carlo Verdelli abbia accettato, di lavorare sul complesso dell'informazione Rai con questo tipo di obiettivi. In questo senso, poco posso aggiungere della sua storia perché la conoscete e credo che, appunto, parli più di qualunque cosa che io possa aggiungere. Quello che però vorrei aggiungere è che credo che in questi casi di discontinuità, di cambiamento, come sta avvenendo in questo momento per la nostra azienda, l'esperienza e la storia delle persone che interpretano questo cambiamento siano fondamentali. È per questo che sono molto contento che Carlo Verdelli abbia accettato di entrare a far parte della Rai e di essere parte di questo progetto, sicuramente ambizioso ma, allo stesso tempo, credo anche necessario. Detto questo, se il Presidente è d'accordo, lascerei la parola a Carlo Verdelli.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Sono in Rai da un mese, e sto studiando. C’è molto da studiare, perché la Rai è una grande azienda con molte persone. Una parte dell'informazione è assai rilevante non soltanto nei canali televisivi, ma anche in quelli radiofonici, e prospettiva indifferibile è di dotare l'azienda di strumenti all'altezza del suo brand dal punto di vista digitale.
  Una delle dichiarazioni che ha fatto il direttore generale Antonio Campo Dall'Orto è che in questo mandato intende aiutare la Rai a diventare una media company, che per forza di cose è preceduta da un'altra figura specifica, ovvero una digital media company. Piaccia o no, il mondo è cambiato in modo irreversibile. Tenete conto che Facebook, fatto su cui vale la pena riflettere, ha appena compiuto i suoi primi 12 anni, niente in rapporto al salto di civiltà non soltanto dell'informazione, ma di tutto ciò che stiamo vivendo: un giornale in dodici anni aveva appena il tempo di sbocciare. Facebook è diventata una delle più grandi potenze del mondo, è la seconda o terza «nazione» più popolata del mondo, ha già acquistato una rilevanza impressionante dal punto di vista anche finanziario: è un potere. Lo dico perché non si può ragionare in assenza di gravità, non si può ragionare di informazione in assenza di quello che accade nel mondo. Neanche la Rai può ragionare senza confrontarsi con quello che accade nel mondo, e quindi con quello che accade con i suoi azionisti di riferimento, che sono poi i cittadini.
  Sono cresciuto con molti buoni maestri, tra i quali Indro Montanelli, il quale ripeteva come un mantra, e se lo poteva permettere perché era Montanelli, un po’ per vezzo un po’ per credo, che il suo unico vero padrone era il lettore. In realtà, il suo unico vero padrone era sé stesso, ma il suo sé stesso era rappresentato dal lettore che lui immaginava di avere davanti. Pag. 5Nel momento in cui ho accettato la proposta di Campo Dall'Orto ho pensato a questa frase di Montanelli, e per la prima volta nella mia carriera, che non è breve, sono venuto a lavorare in un'azienda pubblica in cui effettivamente l'auspicio ideale di Montanelli di avere come unico padrone il lettore è una realtà di fatto. I padroni della Rai sono i cittadini italiani, che voi rappresentate attraverso il voto che avete ottenuto e che noi cerchiamo di servire perché questo è il mandato della Rai, del servizio pubblico. E il dovere del servizio pubblico, se possibile, nel 2016 si eleva al quadrato perché il fatto che il canone venga reso un po’ «più obbligatorio» con l'introduzione della bolletta elettrica rende più gravosa la responsabilità, che già era piena e ora la rimarca con due «sottolineature».
  Penso che il pubblico, e quindi il mio azionista di maggioranza, che è il vostro stesso azionista di maggioranza, i cittadini italiani, abbia nel campo di cui mi occupo – l'informazione – tre diritti fondamentali: il diritto di non sapere, il diritto di non capire, il diritto di non ricordare. Penso che questo valga per tutte le informazioni. Non voglio fare il maestro per nessuno, ma se in particolare c’è una cosa che deve fare il servizio pubblico moderno, è di rispettare questi tre diritti, di riconoscerli e di soddisfarli. Nei pochissimi incontri avuti finora con le persone che si occupano di informazione della Rai ho parlato molto di questo in generale. Sembrano concetti vaghi, aerei, ma in realtà sono l'ascissa di qualsiasi sistema informativo moderno, non del trapassato remoto, ma di oggi.
  Pensate al fatto che il motore di ricerca che ha spazzato via tutti gli altri, e che è diventato un'altra potenza paragonabile a Facebook, Google, arriva sul mercato neanche dieci anni fa e si presenta con un'interfaccia, con una schermata che rende di colpo obsoleti, vecchi, polverosi, superati tutti i motori di ricerca che esistevano prima, Altavista, Yahoo, pieni di finestre, di richiami. Questi arrivano con la pagina bianca, un quadratino, una scritta apparentemente moderna, buffa, dietro cui c’è un algoritmo straordinario, come la formula della Coca Cola, ma quella pagina è una svolta. Quella pagina intercetta esattamente uno dei bisogni diffusi, il bisogno di semplicità. È un'informazione semplice, popolare, non povera o degradata. È un'informazione che risponde ai bisogni, credo – non sono io soltanto a crederlo – di un cittadino, compreso un cittadino italiano, indaffarato, che rispetto a dieci o vent'anni fa ha infinite fonti di informazione a disposizione, fin troppe, e ha bisogno che qualcuno lo aiuti a scegliere, a capire che cosa succede, a permettergli di non ricordare quello che è successo, e quindi a ripeterglielo, e a spiegarglielo. Nessuno pensa di avere la spiegazione giusta, ma già mettersi nella parte di chi ascolta, rendendo al cittadino il diritto di non aver capito o di non sapere cercando di soddisfarlo, fa già un pezzo di strada importante. Così è in linea di principio.
  In linea più pratica, per quello che riguarda l'informazione della Rai, il mio compito, senza voler nulla togliere a chi mi ha preceduto, anche se nessuno lo ha fatto in questo ruolo, è di aiutare. Fatta salva l'autonomia dei direttori, il problema non è togliere il lavoro a qualcuno né costringere nessuno a fare quello ritengo giusto. Sono stato per tanti anni direttore, quindi rispetterò l'autonomia dei direttori, ma loro rispetteranno l'interesse principale, che è quello di far parte di un'azienda che ha un marchio, la Rai, uguale per tutti. Mi piacerebbe fare un lavoro con loro, con i direttori delle testate giornalistiche, con i conduttori dei programmi di approfondimento, con i direttori dei telegiornali, con le persone che si occuperanno dell'informazione sul digitale, che è molto importante, con quelle che si occuperanno dell'informazione sui social network, molto importante, perché quelle sono le piazze che ormai frequentano in massa non soltanto i giovani, ma fasce di popolazione sempre più ampie, e dove la Rai deve per forza di cose essere presente con la sua voce. Vorrei dare una mano perché questa parte importante dell'azienda, Pag. 6come gli elefanti di Pirro, scavalcasse le Alpi della modernità. Non c’è un'alternativa.
  Credetemi, secondo me il problema non è tanto quello di fare fino in fondo tanto più ascolto della concorrenza. Lo metto in conto, penso che il compito di qualunque direttore editoriale sia di fare bene, di fare meglio di chi l'ha preceduto, di ottenere dei buoni risultati. La cosa più importante è, però, per quanto sarà lungo il mio mandato, di cercare di portare l'azienda attraverso una serie di scelte sempre nell'ambito dell'informazione nel nuovo mondo. Non c’è ancora. Essere nel nuovo mondo vuol dire risintonizzarsi dal punto di vista dell'informazione con i bisogni informativi che hanno i cittadini del 2016, del 2017, del 2018, che sono diversi da quelli che avevano i cittadini nel 2000 o nel 2010.
  La mia bussola è una copertina del 2006 di uno dei più importanti nella storia del giornalismo moderno, il Time, anticipatoria di quello che sarebbe avvenuto. Tra le tante cose per cui lo è, Time è famoso perché sceglie alla fine dell'anno l'uomo o la donna dell'anno. In qualche modo, dell'uomo o della donna dell'anno scelti da Time tutto il mondo parla. Non è così semplice. Tutti quanti fanno l'uomo o la donna dell'anno, ma non se li «filano», mentre quelli di Time sì.
  Nel 2006 Time fa una scelta particolare: mette in copertina uno specchio e la scritta «You», nel senso che l'uomo dell'anno sei tu, tu cittadino, tu che mi stai comprando, anticipando quello che sarebbe avvenuto in realtà. Nel mondo dell'informazione si verifica, infatti – già era in corso, Time la interpreta e poi deflagra – una trasformazione radicale. Per tutto il Novecento e per i primi anni degli anni Duemila, il rapporto tra chi produceva informazione e chi la riceveva era verticale, un po’ come nella messa: il prete celebra la messa, tu la ascolti, alla fine della messa dice la benedizione, ed esci. La tua possibilità di interloquire è solo di cantare quando c’è la parte del coro. Quello che è successo adesso con i nuovi mezzi di comunicazione, per esempio gli smartphone, è che è cambiato completamente il rapporto, che da verticale è diventato orizzontale. Quello you è diventato protagonista, il singolo you è diventato protagonista, e tu devi tenerne conto nel momento in cui fai informazione, sia che la faccia per un gruppo privato, un giornale, un quotidiano, un settimanale, ma a maggior ragione se la fai per un servizio pubblico.
  Questo è quello che cercherò di fare quando avrò terminato la mia fase di studio, che è necessario che ci sia. Diversamente, sarei stupido e presuntuoso a pensare di aver capito in un mese qualcosa della Rai, che ha quasi 60 anni di storia, più di 13.000 dipendenti, un'infinità di possedimenti e di presìdi dal punto di vista dell'informazione.
  Tenete anche conto del fatto che quello del giornalista è un mestiere contadino. Quando si butta un seme, non viene fuori un baobab in dieci giorni, ma, se va bene, una piantina, che va curata con pazienza, disinfestata se aggredita dai germi, curata e fatta crescere, poi si raccolgono i frutti. Quando qualcuno mi ha chiesto in questi giorni che cosa stessi facendo, ho risposto che sto studiando il terreno, ho cominciato ad ararlo e butto i primi semini. I fiori, i frutti, le piante, di solito nella mia carriera ho fatto in modo che arrivassero.
  A maggior ragione con il senso proprio di appartenenza da italiano al fatto di arrivare a questo punto della mia carriera con una sfida come quella per il servizio pubblico, darò tutto me stesso perché i frutti e le piante crescano e i frutti arrivino.

  PINO PISICCHIO. Saluto e faccio una considerazione di gratitudine per il dottor Campo Dall'Orto e il dottor Verdelli per la loro presenza qui, per le parole che hanno usato, che continuo a registrare, ma l'elemento di continuità è riferito evidentemente all'amministratore delegato, perché vediamo il dottor Verdelli quest'oggi per la prima volta carico di volontà collaborativa e di confronto con la Commissione nella dimensione di interazione giusta, che è quella che si deve a un organo che rappresenta Pag. 7il Parlamento italiano. In qualche modo, siamo noi che diamo sostanza all'idea del servizio pubblico.
  Ho ascoltato le parole di entrambi. In modo particolare, ho voluto recuperare un'affermazione del dottor Campo Dall'Orto che faceva riferimento al progetto complessivo dell'informazione, che non può non essere completa, obiettiva e pluralistica. Questo è nelle carte dei rapporti tra Rai e Parlamento, ma è anche nella Costituzione italiana, per cui siamo in sede materiae, parliamo dell'informazione, quindi del polmone della democrazia, l'elemento che caratterizza in modo diretto, pieno e di totale e di squisita competenza dell'istituzione parlamentare.
  Informazione in senso largo significa anche espressione di una sorta di pedagogia democratica, se mi è consentito, che il servizio pubblico è chiamato a svolgere. Si articola, dunque, non solo attraverso i telegiornali, o comunque i contenitori che hanno a oggetto in modo precipuo la dimensione informativa. Del resto, dall'alto della sua lunga esperienza giornalistica, il dottor Verdelli sa bene che per esempio l'informazione è quella che si può trarre – pedagogia democratica lato sensu – anche da un programma di intrattenimento reso in un certo modo. Mai sufficientemente lodate, con molte virgolette, performance di alcuni conduttori di contenitori domenicali e non con la raccolta del rumore di fondo antipolitica e quant'altro, sono informazione, resa peraltro in una dimensione che non sarebbe molto piaciuta ai grandi ricercatori americani Petty e Cacioppo, i quali dicevano che, essendo l'uomo un animale che non ha molta voglia di ragionare sulle cose, che è un risparmiatore cognitivo, il rumore di fondo, il percorso periferico è quello che costituisce l'elemento più forte dell'informazione nei giorni nostri. Devo dire che in questo caso è un rumore di fondo poco buono.
  Verrò subito alle domande. Ho apprezzato moltissimo la vocazione di entrambi all'attenzione e alla sensibilità nei confronti dei new media. È evidente che, per realizzare una profondità nel servizio dell'offerta informativa, bisogna comprendere che la televisione va messa in asse con tutto il resto del sistema informativo. La considero, sotto questo profilo, un'utile interpretazione del famoso parere che abbiamo licenziato ormai ere geologiche fa sul progetto informazione che ci venne proposto dalla vecchia gestione, quando parlavamo di momenti di coordinamento dell'offerta informativa. Voi avete prodotto un momento di coordinamento, e a mio parere questa è una modalità che si sposa con quanto noi tutti avevamo auspicato all'interno di questa Commissione.
  Quello che abbiam detto già in altre circostanze è che probabilmente oggi la Rai sotto questo profilo dovrebbe rinnovare una sua mission. All'interno di una platea così oberata, carica di informazione da un lato, e della società italiana, sempre più fratta, polverizzata, forse la visione potrebbe essere quella del recupero di un'identità collettiva. Questo è il valore pedagogico che andrebbe restituito al nostro Paese. Quest'identità collettiva si declina anche con un progetto relativo all'informazione. Il dottor Verdelli, all'esito di quest'importante full immersion nell'ambito dei diversi comparti dell'informazione televisiva, intenderà proporre a questa Commissione un progetto che faccia riferimento a un'idea strategica ? Questo progetto avrà anche un declinato di carattere organizzativo ? Immagina che questa cosa possa avvenire e in che tempo ?

  ALBERTO AIROLA. Certo, poche sono le informazioni che ancora possiamo ottenere essendosi lei insediato da poco e che, come dice giustamente, sta studiando. Ci ha citato la razionalizzazione delle risorse, la linea editoriale, il fact-checking e il web. Sono sicuramente quattro aspetti importanti.
  Diciamoci chiaramente che, siccome in questi giorni di ipocrisia ne sentiamo parecchia anche al Senato trattando argomenti molto sensibili come quello delle unioni civili, a me piacerebbe trovare un certo campo di dialogo, di confronto, in cui riuscire a confrontarci, fatte salve le vostre responsabilità, al vostro ruolo appena Pag. 8iniziato e la realtà della Rai qual è, sul problema del controllo politico dell'informazione. È un tema che mi sembra sia fondamentale. Ai livelli istituzionali, ci siamo mossi perché non condividiamo minimamente questa legge, e stiamo cercando di portare avanti un'azione per cambiare la governance della Rai, ma questo non riguarda voi. In realtà, voi siete la soluzione che il premier ha suggerito anche al Parlamento di seguire, e siete di fatto le sue nomine governative del ministero, proprio per evitare l'assalto dei partiti alla Rai.
  Ci troviamo in una Rai che arriva da questo. Mi rendo conto che non potete dire pubblicamente che ricevete telefonate, pressioni, ma tutti in Italia sanno che questo potrebbe essere in atto attualmente. Non glielo chiedo per fare contestazione, ma parlano anche i giornali di contatti tra Renzi o lei o altri parlamentari. A me non interessa, e non voglio entrare in questa polemica...
  Ovviamente, lotto per una Rai che sia un faro di indipendenza. La Rai deve essere un faro. C’è un'entropia informazionale. Lei citava Google, il web. Oggi un cittadino è bombardato da una marea di notizie, molte delle quali sono dei fake, delle «balle» o delle storpiature di notizie che vanno confrontate. Il cittadino un po’ più capace, che ha strumenti, è alfabetizzato dal punto di vista informatico, riesce a trovarsi delle prove sul web. Un cittadino medio, che invece non ha questi strumenti, si rivolge al servizio pubblico. Questo deve essere il servizio pubblico, uno strumento che in qualche modo permette di avere un riferimento nel mondo dell'informazione, con delle fonti accreditate.
  Tornando al problema della lottizzazione, lei si trova adesso con un impianto che arriva da uno precedente che ha subìto questa dinamica. Possiamo raccontarci quello che volete, ma questo è. Questa situazione può essere modulata nel corso del tempo, non in maniera così radicale, ma di fatto ci troviamo in questa situazione. Peraltro, ha un ruolo nuovo. Dice che parlerà di linee editoriali, ma ovviamente manterrà l'autonomia dei direttori, che il direttore generale nominerà, peraltro sulla sua responsabilità per garantire l'indipendenza. Di fatto, però, le cose sono così come sono sempre state. Questo problema di riforma della Rai, di riduzione dell'influenza politica, di questo pluralismo, per cui bisogna decidere una volta per tutte se diventa distribuzione di parola a tutti o indipendenza dell'informazione – questi sono i due punti, o li mettiamo tutti dentro o li togliamo tutti e facciamo un'informazione indipendente – è un po’ il punto cruciale di tutta la faccenda.
  Da lei vorremmo sapere anzitutto come intende affrontare questo problema, se rientra nelle sue specifiche competenze. È quello che penso tutti i cittadini si domandino anche alla luce di altri articoli. Abbiamo fatto un sacco di esposti Agcom, ci siamo attaccati anche alla disparità di informazione che attualmente rileviamo, che è poi sotto gli occhi di tutti, ci sono i numeri. Ci sono stati casi clamorosi che abbiamo denunciato, come quello di Quarto. Ho già avuto più volte modo di sottolineare che mi sta benissimo che si parli di queste cose, ma è chiaro che si dovrebbe parlare con altrettanta evidente attenzione di centinaia di indagati di altri partiti ogni giorno, e probabilmente non vi basterebbero e dovreste forse aprire qualche altro canale. Voglio uscire da tutto questo, e vorrei, vorremmo arrivare a una Rai che si libera da tutto questo, ma questo implica un percorso che dovete chiarirci. Non è chiaro ancora come si farà, perché i direttori sono ancora quelli. Sento parlare di Leone o di Berlinguer o di altri e bene o male sono nomi che fanno tutti parte di una storia della Rai, che ha sicuramente tanta qualità, tante belle cose, ma anche un incontestabile controllo e nomina della politica. Questo è importantissimo.
  Più volte mi sono trovato in trasmissione a dire A, mentre un altro diceva B, e il giornalista non sapeva se dire C o A o B. Questo è importante: qualcuno deve essere arbitro dell'informazione. Se un politico mente – lo facciamo spesso, per Pag. 9carità – il giornalista non deve assecondarlo o chiarire al cittadino se il cittadino ha un dubbio nel merito.
  Restando sulla razionalizzazione delle risorse, è chiaro che è un altro compito arduo. Mantenendo l'autonomia, bisogna razionalizzare, ma secondo me si può fare. Ho lavorato, sono stato operatore. Forse lei non sa, ma tutti qui sanno che ho lavorato come esterno, non sono mai stato dipendente, ma ho fatto l'operatore anche per Rai News, quindi conosco benissimo le problematiche e le dinamiche. So benissimo, per esempio, che la qualità dipende da un'equa retribuzione e dalla professionalità.
  Verificherà anche, per esempio, i feedback qualitativi sui service, sugli appalti, non sugli interni. Quest'anno, direttore, penso si stia occupando, anche con energia, delle indagini interne, degli scandali, di tangenti, di mazzette. Se riusciamo ad avere un circuito di fornitori seri, in grado di fornire a parità di prezzo, costo e qualità, un buon servizio, ne godono i cittadini italiani. Non entro nell'amministrazione dell'azienda, ma posso parlare di qualità del prodotto. Questo è un argomento su cui stiamo cercando di capire. Adesso c’è sicuramente un momento di confusione in Rai su quest'aspetto. Immagino che anche alla luce delle indagini ci siano ripensamenti. Lei ha parlato di piantine. È vero, bisogna arare un campo, ma lei è arrivato in una giungla, quindi forse bisogna disboscare prima. Lo valuterà lei.
  C’è un ultimo punto: la qualità è anche data dall'indipendenza dei giornalisti e dal fatto che spesso, ad esempio, molti lavorano sotto testata, hanno una copertura editoriale da parte del loro direttore, mentre altri, come avevamo già accennato, per i talk show, sotto la rete, non hanno questa copertura. Bisogna riuscire a rendere indipendenti i giornalisti anche dal controllo interno. A un bravo giornalista che fa un buon lavoro nessuno deve porre l'ostacolo della volontà di un politico. È molto importante, è un punto nevralgico dell'informazione. Anche su questo bisognerebbe chiarire. Purtroppo, si usano anche molti precari in Rai, che sono ricattabili. Ritengo che ci sia, quindi, una serie di questioni da affrontare.
  Infine, e mi rivolgo forse più al direttore, sicuramente abbiamo capito che bisogna uscire dall'appiattimento del dualismo pubblico-privato, che secondo me ha abbassato la qualità in questi ultimi vent'anni. La Rai è una società pubblica anche partecipata, ma che si trova in questo momento anche di fronte ai cittadini con due cappelli, che si mette e si toglie secondo le situazioni, per cui servirebbe chiarezza.
  Abbiamo capito che il tetto ai dirigenti salta perché ci sono emissioni di bond. In alcuni casi però la Rai rispetta le indicazioni del MEF e della legge rispetto all'essere una società partecipata: abbiamo visto, per esempio, nel caso delle retribuzioni dei due membri del consiglio di amministrazione che sono pensionati. Quella lo rispettiamo. Quanto al tetto, ci sono le emissioni del bond e si rispetta. Sulla nomina dei dirigenti e dei direttori – ci sarà poi forse anche il vaglio del consiglio di amministrazione – fino ad allora la Rai in quanto società pubblica avrebbe l'obbligo di procedimenti trasparenti per questa selezione. Sappiamo che lei è in grado di non attuarli, ma sicuramente avrà dei criteri: questo è molto importante. In svariati documenti avevamo chiesto procedure trasparenti, ovviamente meritocratiche, per la selezione del personale, in modo che fosse chiaro – questo tutela anche lei nelle sue scelte – non ci fossero pressioni e le scelte fossero effettuate sulla base di indipendenza e competenza. Anche su questa schizofrenia della Rai bisognerebbe cominciare a trovare una posizione una posizione unica finale, per cui ogni volta non si cambia il dettaglio.

  MAURIZIO ROSSI. Ho due domande veloci al direttore Campo Dall'Orto. Il Governo non ha dato alcuna indicazione su che cosa sia definibile servizio pubblico. Lei può dirci ora, oggi che cos’è secondo lei il servizio pubblico e perché dovrebbe essere gestito dalla Rai anche dopo il 6 maggio, quando scade la concessione ?Pag. 10
  L'altra domanda è molto diretta e vorrei, di nuovo, una sua risposta chiara, possibilmente oggi: visto che il consiglio non conta più nulla, le nomine che lei farà, in particolare quelle editoriali, verranno fatte sulla base di quali requisiti e criteri ?
  Direttore Verdelli, premesso che apprezzo enormemente la sua professionalità, conosco molti giornalisti che la apprezzano e mi hanno parlato molto bene di lei, quindi ben venga che ci sia una persona come lei in Rai, non voglio approfittare di quello che ha dichiarato, che è preoccupante. Le esprimo, però, un mio pensiero, che nasce proprio adesso. Mentre mi ero preparato prima le domande per il direttore Campo Dall'Orto, ho buttato giù queste ascoltandola.
  Lei dice che bisogna risintonizzarsi con il nuovo mondo, e che non siamo ancora pronti: come si fa a dire che sia la Rai il soggetto in grado di fornire il servizio pubblico dal 7 maggio, visto che il 6 maggio scade una concessione ? Ricordiamolo. Dal 7 maggio la Rai o il Governo devono dire che cos’è il servizio pubblico. Non a caso, ho chiesto e ottenuto che in Commissione 8a venga il Sottosegretario Giacomelli. L'ho saputo oggi. Ho chiesto al presidente Matteoli e a tutto l'Ufficio di Presidenza dell'8a Commissione di convocare il Sottosegretario Giacomelli per venire a dire come intende portare avanti la concessione dal 7 maggio, che ricordo è una nuova concessione.
  Ho già detto altre volte, ma mi permetto di dirlo di nuovo visto che oggi c’è lei, che nel 2013 il Viceministro Catricalà, quando già sostenevo che si doveva parlare da subito del contenuto del servizio pubblico, non della governance, disse che era necessario che si arrivasse sicuramente attraverso le aule parlamentari ad assegnare una nuova concessione, altrimenti dal 7 maggio sarebbe stato il caos. La Corte dei conti non autorizzerà nessuno a ricevere gli introiti del canone se non ci sarà una nuova concessione. Le chiedo quindi, se la Rai non è pronta, come sarà possibile fornire un servizio pubblico dal 7 maggio.
  Floris e la Gruber in Rai sono servizio pubblico, a La7 no: com’è spiegabile ? Come lo spieghiamo ai cittadini ? Perché non pensare che c’è già chi saprebbe fare il servizio pubblico su Google, su Internet, su Web ? La Rai pensa di spendere un mare di soldi per inseguire un ascolto che non ha più, quello fino ai 35 anni, e ne parlava il direttore Campo Dall'Orto l'altra volta. C’è già chi sa farlo: perché investire soldi per essere all'inseguimento se c’è già chi è pronto a contattare decine di milioni di persone ?
  Come facciamo a definire Isoradio una radio di servizio pubblico quando RTL forse fa un servizio migliore e non costa nulla ai cittadini ? Dai dati che abbiamo visto poco tempo fa si diceva che la radio costava circa 110 milioni di euro, ne incassava 30 e perdeva 80 milioni all'anno. Perché dobbiamo rinnovare per altri vent'anni una perdita di 80 milioni di euro della radio o anche 60 o 70, quando magari ci sono radio in grado di dare servizio pubblico a costo molto inferiore nel puro interesse dei cittadini ?
  La normativa comunitaria prioritaria dice una cosa: il servizio pubblico deve essere dato al soggetto in grado di dare il miglior servizio al costo inferiore nel puro interesse dei cittadini. Questa è una normativa. Perché deve farlo Rai se c’è, scadendo la concessione, chi sa farlo meglio su Internet, sulla radio, sulla televisione ? Diamola a chi sa farlo meglio a un costo inferiore. È inutile che la Rai si metta adesso a cercare di fare una cosa per la quale impiegherà anni ! Non saprà farla e butteremo via centinaia di milioni di euro !
  Ricordo a tutti che, qualora il contratto che va firmato fosse di vent'anni, il Governo dovrebbe firmare un contratto da 35 miliardi di euro, perché 1,7 miliardi per vent'anni danno 35 miliardi di euro. Abbiamo idea di quale importo stiamo parlando ? Credo che, se ci sono soggetti che, anziché a 35 miliardi, fossero in grado di erogare lo stesso servizio a 10, faremmo risparmiare 25 miliardi di euro ai cittadini.
  C’è bisogno di una fase di studio, l'ha detto lei, che ha appena iniziato e deve Pag. 11avere i tempi per farlo. Secondo lei, il prodotto servizio pubblico è chi fornisce il servizio pubblico o è il prodotto che viene fatto il servizio pubblico ? La BBC ha detto una frase evidenziata in maniera molto forte sui giornali inglesi: siamo la BBC e quello che facciamo noi è servizio pubblico. Sembra molto simile a quello che ha detto la Rai in questi vent'anni, ma non può più andare avanti così nei prossimi vent'anni. Non è il soggetto che produce un programma che eroga servizi e, siccome lo fa lui, è servizio pubblico. È quello che dà che può essere o meno servizio pubblico. Io penso che su questo non vi siano dubbi.
  Con quale procedura, quindi, potrà essere data la concessione dal 7 maggio a uno o più soggetti ? In certi Paesi europei è data a più soggetti, in certi altri a un unico soggetto. Per quanti canali ? Tre canali o cinque, come nel resto d'Europa, o quindici, come in Italia, di cui diversi con un rapporto costi/ascolti drammatico. Abbiamo dei canali in Rai che fanno lo 0,2, lo 0,4 per cento e magari hanno 2-300 persone che ci lavorano. Peraltro, sono doppioni di altri canali di informazione.
  Per quanti anni dovrà essere data la concessione dal 7 maggio ? Cinque, dieci, quindici, vent'anni ? Nessuno lo dice. Non ci stanno dicendo nulla di quello che si vuol fare dal 7 maggio. Qual è la missione di servizio pubblico ? Ricordo che l'articolo 5 introdotto dai colleghi della Camera, che non avevamo certo introdotto al Senato – secondo me, un autogol clamoroso – ha parlato di mettere una consultazione pubblica che serve proprio per capire che cosa dovrebbe essere la missione di servizio pubblico, finanziata addirittura nella legge di stabilità ! Se non facciamo questa, come facciamo a dare la concessione il 7 maggio ? Prima si fa la consultazione, come fa la BBC per due anni, dopo la consultazione si prendono i dati, si scrive quello che deve diventare la missione di servizio pubblica, e si decide di affidarla. È così che dovrebbe essere fatto. Non ci sono i tempi tecnici. Come si fa in tre mesi a fare la consultazione e a passare alle Aule parlamentari una legge che assegna una concessione dal 7 maggio ? Non ci sono i tempi tecnici, tanto che in un convegno la settimana scorsa ho detto che l'unica soluzione è dare una proroga alla Rai di un anno e affrontare queste cose seriamente non prendendo in giro i cittadini con false consultazioni.
  I canali di servizio pubblico devono essere con o senza pubblicità ? In passato è andata così, ma non è più accettabile. A livello europeo, ci saranno cause certamente sulla concorrenza sleale per un vantaggio competitivo che la Rai non può più portare avanti ! Non si può comprare la partita della nazionale italiana, perché si dice che è servizio pubblico, a 5, 10, 15, 20 milioni, e poi metterci dentro anche la pubblicità in concorrenza alle altre reti commerciali che non hanno potuto usufruire del denaro pubblico ! Se si fa servizio pubblico, si pagano i programmi e non ci si mette la pubblicità, come succede nel resto d'Europa. Magari in Germania si ha la pubblicità dalle 17.00 alle 20.00, e non in altri, o in Spagna o in Francia ! È finito questo tipo di logica ! Non si può pensare di arrivare alla nuova concessione come negli ultimi vent'anni. Dobbiamo disegnare un sistema serio per i prossimi cinque, dieci o vent'anni, e la Rai deve adeguarsi. Non sarà più come prima, altrimenti saranno cause in Europa da parte di tantissimi soggetti.
  Invito a ragionare su questi punti, altrimenti ci facciamo illusioni noi e tutti i soggetti, il personale e i dirigenti che lavorano in Rai, il mercato, ma in effetti ci saranno soggetti che non accetteranno più quanto sta avvenendo. Ripeto che c’è il rischio di infrazioni europee sia sulla metodologia di affidamento dal 7 maggio sia per quanto concerne il palese vantaggio competitivo garantito dagli 1,7 milioni incassati da Rai, nei confronti degli altri soggetti sul mercato.

  RAFFAELE RANUCCI. Vorrei prima rivolgermi al direttore generale e poi al direttore editoriale Verdelli.
  Direttore, abbiamo lavorato molto a lungo per la riforma della Rai. Lei ha detto che in questi mesi avete lavorato per Pag. 12una nuova Rai, ma c’è un punto che credo che sia di snodo, fondamentale: l'approvazione del nuovo statuto, che, se non sbaglio, è avvenuta non molto tempo fa; da quel momento si può parlare della nuova Rai e dei nuovi poteri del direttore generale.
  È certo che i nuovi poteri possono non piacere ad alcuni, abituati a un sistema vecchio di interlocuzione con la Rai, di potere, di occupazione di caselle. Ritengo, invece, che questo sia il punto di partenza vero e reale affinché la Rai abbia una nuova governance e un nuovo modo di stare sul mercato. Tra l'altro, sono assolutamente convinto che nelle sue due scelte ci saranno criteri di trasparenza. Lo dico al collega Airola, con cui abbiamo lavorato per questa riforma. Io sono assolutamente convinto, poi se vuole ci risponderà.
  Il secondo punto su cui vorrei interloquire con lei è quello dell'informazione. Ritengo che l'informazione sia sicuramente nel modo di esprimere, quindi un'informazione è quello che trasmettiamo, ma potrebbe anche essere un contenitore. La Rai avrà circa 170-180 milioni non in più ma di recupero di canone e di evasione fiscale. Siccome ne parliamo tutti, la BBC ha fatto una straordinaria operazione al centro di Londra: ha costruito un broadcasting center, ha investito quasi un miliardo di sterline in 10-12 anni, ed è diventato il più grande contenitore di notizie, il più grande broadcasting center del mondo – se non è tale, credo che ci sia vicino – diventando anche un'attrazione. In questo straordinario edificio non solo si producono le notizie – è il più grande centro di media company – ma è anche diventato un punto di incontro, la gente può andare e mettersi davanti alle telecamere. È diventato interattivo con gli azionisti, che sono le persone.
  Ritiene, direttore, che possa un'idea ? Oltretutto, credo che, a parte questo, il recupero possa andare sui territori. Roma ha il 60-70 per cento delle persone che lavorano in Rai, altri territori hanno moltissime persone che lavorano per la Rai. Il fatto di poter con questo far crescere nuove aziende di servizi sui territori potrebbe essere interessante. Soprattutto, basta con pochi operatori che servono la Rai. A fare le fiction sono in due o in tre, si potrebbe allargare e coinvolgere di più i territori affinché la Rai ne diventi traino della loro economia. Questo potrebbe essere un ottimo volano. Sulle fiction – fantastico il grandissimo successo dell'altro giorno sul sindaco pescatore – la Rai sia proponente, non soltanto ricevente di proposte. Secondo me, dovrebbe dire che crede che sia bene sviluppare un certo filone di fiction, di comunicazione e consapevolezza del nostro Paese.
  Voglio ringraziare il dottor Verdelli perché per la prima volta anche qui si è fatto un ragionamento contrario. È importante che nel suo ragionamento abbia parlato di linee, di una visione, dell'informazione in modo diverso. Questa volta ha fatto un'operazione completamente diversa. Non abbiamo parlato di caselle, di nomi, di chi va dove e come. Voi, però, vi assumerete la responsabilità, e dovete farlo, ma è anche il privilegio di condurre quest'azienda, di scegliere le persone finalmente con una nuova filosofia. Credo che questo sia un punto fondamentale per la nuova Rai. Basta con i telecomandi, la Rai sceglie, e voi sarete responsabili nei confronti del vostro azionista principale, il pubblico, e poi dell'azionista, il vostro azionista. Questi sono i due punti di riferimento. La Commissione di vigilanza potrà vigilare: porterete avanti i vostri piani industriali, ma credo che questi siano i punti fondamentali. Il direttore generale oggi può nominare chi vuole, come vuole, quando vuole, sicuramente con trasparenza, e voi sarete responsabili. Credo che sia oggi ancora difficile e complicato da capire.
  Il mio auspicio è che realmente si vada avanti ora speditamente visto che, insisto, è una settimana che avete gli strumenti per fare la nuova Rai. Conosco Verdelli da tempo come straordinario giornalista e il direttore come un ottimo manager dei media e mi piace – mi sembra che abbia pensato a un responsabile dei new mediaPag. 13per la Rai – che questa Rai possa cominciare a camminare con un passo diverso e, soprattutto, con indipendenza.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Il direttore generale all'inizio della sua comunicazione faceva una premessa di carattere più generale riferendosi ai dati d'ascolto di Sanremo, e nella scomposizione richiamava questi dati per dimostrare come la Rai stia cambiando. Presidente, mi permetta allora di fare una premessa di carattere ancor più generale. Voglio innanzitutto confermare la fiducia da parte del gruppo PD in questa Commissione nel lavoro e nell'autonomia con cui viene svolto questo lavoro da parte dei vertici Rai, come è stato espresso anche in una nota ieri dei presidenti dei gruppi parlamentari PD Zanda e Rosato. Peraltro, abbiamo concorso a nominare i vertici con il voto sui membri del consiglio di amministrazione di competenza di questa Commissione, con il voto sul presidente a maggioranza qualificata.
  Ci sono state e ci saranno occasioni di confronto anche serrato nella sede della Commissione e con gli strumenti a disposizione dei singoli componenti, come del resto è nei compiti del nostro lavoro, visto che questa è una Commissione di indirizzo e di controllo, convinti come siamo che, per portarlo fino in fondo, ognuno deve svolgere il proprio compito appunto fino in fondo per quanto riguarda l'azienda concessionaria di servizio pubblico e le istituzioni.
  Venendo all'ordine del giorno di quest'audizione, come diceva poc'anzi anche il collega Ranucci, a me convince il respiro che ha voluto dare alla sua comunicazione il dottor Verdelli. Mi ha colpito anche l'uso di un termine: ha parlato del bisogno di semplicità che il servizio pubblico deve riconoscere e soddisfare in riferimento ai tre diritti che ha citato, di non sapere, di non capire, di non ricordare. In ragione di questo, non so se questa sia una risposta a uno dei quesiti posti dal senatore Rossi, ma è sicuramente uno dei compiti del servizio pubblico in quest'età di trasformazione, di convergenza, per dare un titolo per brevità, pensare a un ruolo di accompagnamento, che fa della semplicità lo strumento e la bussola per l'accompagnamento di chi guarda la televisione e l'accompagnamento di un'azienda che ha l'obiettivo di passare da broadcaster a media company.
  Ha già posto il collega Pisicchio la domanda che anch'io volevo rivolgere al dottor Verdelli: a quest'impostazione corrisponde nelle sue intenzioni un piano di riorganizzazione con implicazioni dal punto di vista organizzativo, dei costi, dell'efficientamento, delle riduzioni ? Quali sono i tempi presumibili di questo piano ?

  AUGUSTO MINZOLINI. Francamente, facendo un discorso costruttivo, senza gettarsi nelle solite polemiche, non sono d'accordo con Anzaldi. Rispetto all'ultima esperienza, ho sentito parlare un po’ di informazione, lo dico prima. Possiamo essere d'accordo o meno, ma c’è un linguaggio comune. Su molti aspetti richiamati da Verdelli mi ritrovo, proprio nell'impostazione rispetto al rapporto tra informazione e opinione pubblica.
  Premetto che non stiamo parlando di un servizio pubblico piccolo, ma di un'azienda di cui non conosco neanche il numero di canali e di testate. Contemporaneamente, anche in relazione al discorso di Rossi, capisco che quella è l'alternativa. Su uno schema come il suo la Rai deve avere un canale, essere l'ufficiale e basta. In questo schema debbono tentare di resistere e mantenere l'attuale dimensione, perché è il loro meccanismo, il loro modo, il loro core business, altrimenti cambiamo completamente la natura di quell'azienda. O si sta in un'altra cosa – ne abbiamo parlato all'epoca della riforma della Rai – o, se è questa, capisco dall'altra parte il cercare di mantenere questa grande rappresentanza e un 40 per cento di audience. Se, però, è questa la percentuale, torno sulla vicenda della copertina di Time, you. Il problema è che la Rai deve anche rappresentare, diventare la pelle della società italiana. Deve essere una cosa che rappresenta tutta la società italiana. È un dato essenziale. La natura di questa Rai, Pag. 14che ha queste dimensioni, che di fatto ha altri 180 milioni, che sono rientrati – diciamolo così – deve avere questo tipo di funzione: se non ce l'ha, ha già fallito il progetto. Ecco perché sono d'accordo con te quando fai quel discorso.
  Per rappresentare tutto il Paese e avere questa capacità di rappresentarlo all'interno, però deve anche avere un modo, una capacità dall'altra parte che questa grande opinione pubblica si senta rappresentata dalla Rai. In questo sono d'accordo che il meccanismo è come sul web, nel senso che si interagisce. Per interagire, si deve trovare nella Rai esattamente la rappresentazione di tutti gli aspetti del costume sociale e culturale del Paese, altrimenti dovremmo parlare di un'altra Rai, e ha ragione il senatore Rossi, se per caso seguiamo quella strada.
  Odio, anche perché ci sono passato, discorsi su «panino» o percentuali. Se partiamo da questo presupposto, immaginare che il 64,46 per cento delle presenze appartiene al Premier, al Governo e al partito di maggioranza, qualcosa non va, perché viene meno quello schema. Non parlo di rappresentanza, perché non ci do importanza. Se in televisione non sei capace, il consenso fugge, non rimane, non è quello il punto essenziale. È un problema proprio di nocciolo, di come rappresentare la società italiana, specie in una fase come questa. È stato un po’ il problema di questa riforma, perché prima era molto più semplice rappresentarla.
  Avevamo, ed erano le percentuali di allora, una maggioranza e un'alternativa alla maggioranza, avevamo il bipolarismo. Ora, è del tutto frastagliata, addirittura con tre grandi poli, per cui con quella percentuale del 64 per cento, quando la rappresentanza del Paese fuori da lì è addirittura del 65, qualcosa non va. Possiamo anche dirlo in altra maniera, non è che la presenza debba esserci, ma quell'altra fetta, quel 65 deve riuscire a sentirsi rappresentato.
  Proprio per questo, perché dico che lo schema non è quello di una visione plurale, ma di una pluralità di visioni ? Bisogna avere la capacità, nell'individuare tutte queste testate, tutta questa possibilità di intervenire, di rappresentare la società italiana, di avere nella logica del servizio pubblico, quindi anche rispetto alle nomine, la capacità di rappresentarla tutta. Questo, secondo me, è il vero compito di chi gestisce una testata, ma anche di chi gestisce addirittura lo scenario complessivo.
  Torno al Web per citare un esempio sempre parlando di Time e di you. C’è stata questa rivoluzione – dico che sotto certi aspetti non ho trovato una grande sensibilità – di riportare tutti i siti dentro un grande sito Rai, che è la cosa più spersonalizzante che possa esserci. Di per sé, non si conosce la Rai. Il rapporto si ha con le diverse testate, anzi il meccanismo è tale per cui, se si avesse un sito del TG1, si potrebbe creare un rapporto sinergico. Il dato essenziale dello schema di cui parliamo è che per rappresentare ed essere rappresentato si devono creare comunità nell'informazione del Paese, gente che ci si ritrova, nel rapporto complessivo. In questo modo, si garantisce il pluralismo, altrimenti il modo passato tornerà. Il dato su Sanremo è importante perché si vede la crescita di un nuovo pubblico, ma se continuiamo con il vecchio schema, se non ci si sente rappresentati – essendo questo un pubblico molto più esigente, perché ha altri strumenti, altre capacità di informazione – lo si perderà. Si manterrà soltanto il pubblico residuale che nel tempo si andrà a perdere: su questo farei una riflessione. Se un TG1, un TG2 e un TG3 hanno un motivo di esistere, debbono interloquire, e quindi dovrebbero essere di per sé dei siti, dovrebbero essere delle testate riconoscibili. Se mettiamo tutto insieme, rischiamo di avere questo grande Moloch di cui nessuno sa nulla e si perde il rapporto moderno con le fonti di informazione con cui interagire.

  JONNY CROSIO. Non sono scandalizzato dalla vostra affermazione, che in parte condivido, di avere una Rai proiettata verso una visione di media company. Mi preoccupa un po’ che affermiate che l'idea è quella di avere sì una Rai efficiente, Pag. 15ma in modo particolare efficace. Questo è, chiaramente, lo specchio della piattaforma media. Parlavate di Facebook e simili. Certo, è molto efficace, ma sull'efficienza qualche dubbio possiamo averlo: tanta efficacia, tante informazioni, rapide, immediate, con numeri spaventosi, ma sull'efficienza/qualità bisogna stare molto attenti, come sapete meglio di me.
  Allora voglio fare due ragionamenti. Per la Rai servizio pubblico la nostra funzione di vigilanza è quella di dare l'indirizzo e cercare di essere funzionali al vostro lavoro, tentando di non polemizzare. Ho polemizzato a sufficienza ai tempi della riforma. Voglio cercare di essere collaborativo. Veramente tifo per voi, come devo tifare per questo Paese che fa fatica e per questa Rai che fa fatica. Sono veramente un teledipendente. Ho abbonamenti vari anche ad altre televisioni fuori dal Paese. Guardo la Rai e, essendo anche un appassionato di sport, un ex sportivo, dico che la Rai non ha più lo sport. Non c’è più sport, tranne un po’ di calcio, non vedo Motomondiale sulla Rai, non vedo più la Formula 1. Ho dimenticato lo sci, ma non volevo. È lì che voglio arrivare. Come servizio pubblico la Rai dovrebbe essere funzionale al territorio, alla società, al nostro Paese.
  Ho detto anche in occasione dell'incontro che abbiamo fatto con la presidente e tutto il consiglio di amministrazione che l'esempio secondo me fondamentale è che nel nostro Paese organizziamo tutti gli anni importanti gare di sci, che vanno in tutta Europa, addirittura in tutto il mondo, in Canada e altrove. Quest'anno siamo stati talmente bravi che ci siamo portati a casa gare previste fuori dal nostro Paese. Siccome qualcuno riesce a fare turismo, pur con tutte le difficoltà, in modo eccellente, siamo riusciti a organizzare due gare di slalom speciale previste in Slovenia.
  Che cos’è che non ha funzionato ? Non ha funzionato la Rai e le dico perché. Non lo dico solo io. Persone molto più qualificate di me, ex sportivi, medaglie olimpiche, grandi campioni come Alberto Tomba, sono rimasti perplessi per quanto accaduto. La Rai era impreparata. Non trasmette più neanche quando ci sono le gare nel nostro Paese, come succedeva una volta, quando ero ragazzino, su Rai Due o Rai Tre, un evento del sabato e della domenica, con due gare funzionali anche alla promozione turistica dei territori. Oggi non succede più e addirittura fanno le telecronache a Saxa Rubra, di dubbia qualità. Tra l'altro, credetemi, ma Rai Sport è inguardabile, a maggior ragione per chi ci passa da Eurosport. Per chi ama lo sport è veramente inguardabile.
  Il ragionamento che voglio fare è questo. Servizio pubblico: quest'anno il turismo in montagna subirà un contraccolpo inimmaginabile per la mancanza di neve, si parla di meno 60 per cento. Gli impianti di innevamento hanno dovuto sparare neve tutto l'anno con costi inimmaginabili. Far vedere quelle poche gare di sci che disputiamo nel nostro Paese a tutti gli italiani forse sarebbe funzionale a un servizio turistico sui territori veramente importante. Nella Rai dobbiamo pensare a queste cose se vogliamo fare il servizio pubblico – mi rivolgo al direttore generale – se vogliamo veramente essere funzionali a un discorso molto più ampio per la Rai, altrimenti parliamo d'altro.
  Cito un altro esempio. In Parlamento mi occupo di infrastrutture, di trasporti e di sicurezza stradale. Quest'anno il Parlamento nel bene o nel male ha fatto scelte molto importanti, a partire dall'omicidio stradale. Piaccia o no – cioè non piace – nel nostro Paese abbiamo ancora un morto ogni due ore e mezza sulle strade, regolarmente. È una guerra che ci porta ad avere 4-5.000 morti. La Rai aveva un servizio che si chiamava «Easy Driver», unico, che hanno cercato di imitare dalle televisioni private, ma senza mai riuscirci, in cui il giornalista, con la collaborazione della Polstrada e di importanti marchi automobilistici, faceva un servizio proprio sulla sicurezza stradale, oltre a presentare le automobili. Oggi lo stiamo perdendo. Se guardate cosa sta succedendo, cerchiamo di privilegiare non la qualità, che ha sempre contraddistinto in questo caso questo servizio molto importante, e quindi Pag. 16la sicurezza e meno morti sulle strade, ma facciamo salire in auto belle ragazze, che quando parlano di sicurezza salgono sulla macchina con un tacco dodici, che può essere anche accattivante da vedere, ma non è funzionale a quello che dobbiamo fare, non va bene.
  Parlate di efficacia e la mia preoccupazione è forse di abbandonare l'efficienza della Rai. L'abbiamo persa in questi anni. Ho detto al consiglio di amministrazione e voglio dire anche a lei, direttore generale, che vorrei veramente che la Rai, oltre a fare il salto di qualità, l'auspicio pronunciato dai colleghi, il pluralismo, con cui ci siamo riempiti la bocca durante la riforma tutti – vedremo che cosa sapete fare, ma dico serenamente che ho davvero fiducia – avesse canali con scritto «Rai» che non subiscano certi paragoni non belli, come quelli fatti dalla presidente dell'EBU, quando venne in audizione in Senato.
  Abbiamo sempre avuto una qualità in Rai, sta a voi tirarla fuori e investire dove si deve. Non per polemizzare col collega Ranucci: sicuramente ci saranno più soldi a disposizione, perché tutti pagheranno il canone. Non sono certo che il Ministro dell'economia vi darà questi soldi vedendo come si sta comportando Padoan anche col Ministero delle infrastrutture. Ha detto apertamente in audizione sulla privatizzazione delle Ferrovie che l'importante è fare cassa, poi sarà lui a stabilire come assegnarla. Non è solo compito di chi è al Governo fare delle scelte, ma anche vostro. Bisogna tirare la giacca al Ministro dell'economia per mettere le risorse importanti dove devono stare. Queste scelte spetteranno a voi. Le attendiamo con ansia, le valuteremo e, se del caso, le criticheremo.

  LUIGI D'AMBROSIO LETTIERI. Sull'ordine dei lavori, volevo chiedere al Presidente come si intenda procedere per i restanti interventi dei colleghi e le risposte degli auditi.

  PRESIDENTE. Ci sono altri cinque interventi. Non sono previste le risposte in questa seduta, perché non c’è tempo. Siccome tra poco inizia l'Assemblea, ringrazio i nostri ospiti e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.10.