XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 75 di Mercoledì 16 dicembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione dell'amministratore delegato di Discovery Italia, Marinella Soldi:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Soldi Marinella , amministratore delegato di Discovery Italia ... 3 
Liuzzi Mirella (M5S)  ... 8 
Airola Alberto  ... 9 
Ciampolillo Lello  ... 9 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 9 
Nesci Dalila (M5S)  ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 10 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Soldi Marinella , amministratore delegato di Discovery Italia ... 11 
Dolores Marcello , vicepresidente affari legali Discovery Sud Europa ... 12 
Soldi Marinella , amministratore delegato di Discovery Italia ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 14 
Soldi Marinella , amministratore delegato di Discovery Italia ... 14 
Fico Roberto , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dell'amministratore delegato di Discovery Italia, Marinella Soldi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'amministratore delegato di Discovery Italia e direttore generale Discovery Sud Europa, Marinella Soldi che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono presenti, inoltre, Marcello Dolores, vice presidente affari legali Discovery Sud Europa e Francesco Canini, responsabile relazioni istituzionali Discovery Italia che ringrazio per la loro presenza.
  Ricordo che tale audizione si inquadra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola alla dottoressa Soldi, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  MARINELLA SOLDI, amministratore delegato di Discovery Italia. Ringrazio innanzitutto la Commissione per l'invito a intervenire in questo approfondimento sul tema del servizio pubblico radiotelevisivo.
  Vorrei iniziare illustrando brevemente il gruppo Discovery e la nostra esperienza sul mercato in Italia. Discovery Communications è una media company presente in oltre 220 Paesi con più di tre miliardi di abbonati. Grazie ai suoi contenuti di qualità Discovery soddisfa la curiosità del pubblico attraverso brand televisivi globali, come Discovery Channel, TLC, Animal Planet, Investigation Discovery, Science, Turbo/Velocity, e una joint venture che abbiamo con Oprah Winfrey per il canale americano OWN.
  Oltre al mercato domestico americano, Discovery ha un grande network internazionale, il business internazionale, che tra l'altro è più grande di quello domestico dal 2014, e distribuisce in ogni mercato una media di dieci canali, con una forte strategia locale e una programmazione in 45 lingue che spazia tra diversi generi, dall'intrattenimento ai documentari, dai canali per bambini allo sport all'attualità, in grado di intercettare i gusti di molteplici target. Il gruppo ha recentemente rafforzato la sua presenza internazionale con l'acquisizione di Eurosport, leader nell'intrattenimento sportivo e l'acquisizione dei diritti delle Olimpiadi per tutti i Paesi europei, per tutte le piattaforme, dal 2018 al 2024.
  Dopo aver parlato dell'azienda globale e dell'azienda internazionale passiamo all'azienda sudeuropea che si trova al suo interno. Milano è l’headquarter della regione sudeuropea, perciò dall'Italia controlliamo Spagna, Portogallo e Francia.Pag. 4
  Il fatturato globale del gruppo è di circa 6 miliardi di dollari, con un utile di 1 miliardo 200 milioni. Si tratta di un'azienda molto ben gestita, che ha la possibilità di investire in maniera sostanziale nei Paesi e nei prodotti in cui crede.
  Siamo in Italia dal 1997 e oggi siamo il terzo editore italiano televisivo per share. Oramai i nostri canali raggiungono il 7 per cento di share, considerando il periodo di gennaio-novembre 2015, e oltre 45 milioni di contatti mensili. Discovery in Italia è l'editore di sette canali sul digitale terrestre, nomi che spero conoscerete, come canali e come utenti: Real Time, Dmax, Deejay TV, Giallo, Focus, Frisbee e K2. Sono distribuiti gratuitamente anche sul satellite di Sky e TivuSat. In più, abbiamo la nostra offerta pay, che comprende Discovery Channel, Discovery Science, Travel & Living e Animal Planet, in esclusiva su Sky, e Discovery World in esclusiva su Mediaset Premium. Abbiamo in aggiunta i due canali Eurosport, Eurosport1 ed Eurosport2, che sono trasmessi sia su Sky sia su Mediaset Premium. A gennaio di quest'anno Discovery Italia ha arricchito il suo portafoglio di canali acquisendo dal gruppo editoriale l'Espresso la società All Music, editore del canale generalista Deejay TV. A partire da giugno, i dati di ascolto di Deejay TV sono pubblicati da Auditel: in soli pochi mesi il canale ha raggiunto l'1 per cento di share, ottenendo ottimi risultati anche grazie al lancio di nuove produzioni originali, in stile neo-generalista, come ci piace chiamarlo. Sempre quest'anno, l'Italia è stata tra i primi Paesi del gruppo Discovery a lanciare DPlay. Non so se avete DPlay sui vostri smartphone o tablet: si tratta del nostro servizio over-the-top che permette di vedere gratuitamente i principali programmi dei canali free, ovunque, in qualsiasi momento e su qualsiasi device.
  In Italia negli ultimi cinque anni Discovery ha quindi colto tutte le opportunità del passaggio dall'analogico al digitale, nel lineare e nel non lineare, diversificando il proprio business e consolidando una presenza multipiattaforma, sia in chiaro sia all'interno delle offerte pay. Questo ampliamento delle attività è stato affiancato da un arricchimento della propria offerta editoriale. Dopo aver lanciato l'innovativo genere televisivo da cui Discovery è conosciuto, il factual entertainment, il gruppo si è aperto ad altri generi come lo sport, i programmi per bambini, crime fiction, game show. Discovery Italia ha così accresciuto sensibilmente i propri investimenti in Italia, dando nuovo slancio alla creatività e alla vitalità dell'industria audiovisiva nel Paese. In effetti nel 2015 sono state prodotte oltre 400 ore di contenuto originale italiano, il 40 per cento in più rispetto all'anno precedente. L'Italia ha assunto un ruolo sempre più significativo come benchmark d'eccellenza all'interno del gruppo Discovery. Questa è una cosa molto importante di cui come italiani siamo molto fieri. I nostri colleghi internazionali guardano a noi per la nostra creatività e per quello che riusciamo a fare con i nostri canali e con i nostri servizi. Inoltre, lo scorso aprile Discovery Italia è entrato ufficialmente nella governance di Auditel, grazie all'elezione del proprio rappresentante nel rinnovato board della società di rilevazione dei dati d'ascolto.
  Venendo al tema della pubblicità, l'ampliamento dei contenuti editoriali e l'opportunità di offrire agli investitori strumenti di comunicazione ancora più efficaci per raggiungere il proprio target di riferimento hanno portato nel 2012 alla nascita di Discovery Media, la divisione interna del gruppo che si occupa di raccolta pubblicitaria. Discovery Media ha fin da subito affermato la propria identità grazie a un modo innovativo di proporsi sul mercato, che l'ha portata a diventare la quarta concessionaria televisiva per fatturato presente oggi in Italia. In uno scenario complessivo ancora in contrazione, Discovery Media rimane uno dei pochi soggetti in controtendenza rispetto all'andamento del mercato, anche per la capacità di individuare proposte commerciali in grado di massimizzare gli investimenti degli inserzionisti. Discovery Media offre, cioè, un tipo di comunicazione che va oltre la campagna tabellare grazie alle partnership basate su una vicinanza di valori di Pag. 5brand. La concessionaria, infatti, ha al suo interno una unit proposta allo sviluppo di attività di branded content, che è il trait d'union tra la concessionaria e la parte editoriale, in grado di generare contenuti in linea con i codici e i valori dei brand. Questo approccio ha permesso una crescita molto rapida, ancora più significativa se si considera il livello altamente competitivo del settore e la presenza di soggetti con posizioni consolidate nel tempo. Discovery Media oggi è un soggetto di primo piano nel settore pubblicitario in Italia e l'insieme diversificato dei suoi canali su tutte le piattaforme si adatta a un mercato sempre più esigente e alla ricerca di soluzioni sempre più personalizzate.
  Qual è stata la nostra esperienza e anche il nostro ruolo all'interno di questo mercato ? Noi siamo molto fieri, perché Discovery Italia sta contribuendo allo sviluppo di una nuova cultura televisiva nel nostro Paese, scardinandone gli stereotipi e dando vita a veri e propri love brand che sanno attirare ampie fasce di pubblico e che portano il gruppo a essere il terzo editore appunto italiano per share. Tutto questo avviene grazie a diversi ingredienti: il coraggio di cogliere le opportunità di mercato, come per esempio il passaggio al digitale terrestre; il desiderio di ricercare e produrre contenuti innovativi e di qualità; la capacità di intercettare i gusti degli spettatori e anticipare i trend; una media company che crede nel nostro Paese; la capacità di pensare e operare in un'ottica multipiattaforma, dando vita a un ecosistema in cui i contenuti si sviluppano in modo complementare, lineare e non, su tutti i canali di distribuzione. Grazie a questo approccio Discovery Italia ormai è tra i top cinque mercati per fatturato all'interno del gruppo Discovery. È un vero e proprio modello di eccellenza, come dimostra la partecipazione al primo Investor Day organizzato dalla casa madre a settembre di quest'anno a New York, per presentare il business Discovery a 300 analisti finanziari. Erano rappresentati soltanto due Paesi, al di fuori dell'America: Brasile e Italia.
  Questo è un percorso di crescita costante degli investimenti, i cui benefici più evidenti sono quelli anche occupazionali: dalle cinquanta persone di cinque o sei anni fa siamo oltre 240 dipendenti. Piccini, direte, però come tasso di crescita in questi anni non è male. Quello che è anche molto impressionante è che la popolazione ha un'età media di 35 anni. Infatti, vedete come sono giovani i miei colleghi. È composta al 50 per cento da millennials, cioè il 50 per cento dei nostri dipendenti ha tra i 18 e i 34 anni, ed è equamente suddivisa tra uomini e donne. Il ruolo femminile, così come accade nella nostra programmazione, viene ampiamente valorizzato. Abbiamo una cultura che premia non le quote, ma il merito. Arriviamo a questi numeri, non perché vogliamo avere il 50 per cento di donne e il 50 per cento di uomini o il 50 per cento di millennials. Noi vogliamo avere le persone migliori; poi, guarda caso, vengono fuori questi numeri. Questa distinzione è molto importante.
  Ritornando al discorso femminile, a me caro, sono tante ormai le ricerche che dimostrano la correlazione tra presenza femminile nelle aziende e crescita del PIL. Un nuovo rapporto del McKinsey Global Institute di questo settembre, citato dal Wall Street Journal, per esempio, offre una buona stima di questo potenziale non sfruttato. Secondo lo studio, infatti, se le donne avessero gli stessi ruoli degli uomini, il PIL annuo globale aumenterebbe di 28.000 miliardi nel 2025. La cultura organizzativa di Discovery non è una cultura di quote, ma di merito. La nostra produzione e la nostra visione, unite alla volontà di investire in un Paese ricco di potenziale, hanno messo in moto un circolo virtuoso, con ricadute positive anche nel settore creativo. Solo nell'ultimo anno Discovery Italia ha prodotto 400 ore di contenuto originale locale, avvalendosi della collaborazione di decine di nuove società di produzione, che ormai sanno di avere un interlocutore disposto ad ascoltare e a dare valore alle buone idee.
  È proprio in questo scenario che il debutto di Discovery nella tv generalista Pag. 6rappresenta, oltre a un'importante sfida a livello imprenditoriale, un'opportunità per portare nuovi stimoli e nuove idee a tutto il comparto generalista, un approccio definibile come «neo-generalista», ossia la capacità di raggiungere platee ampie attraverso nuovi format e nuovi linguaggi.
  Un particolare segmento in cui si traduce l'approccio unico di Discovery è quello della cultura e dell'informazione, come la intendiamo noi. Esse sono infatti proposte al pubblico attraverso generi diversi, come il docu-reality, definito dai più autorevoli critici televisivi «la nuova frontiera del reportage», per raccontare attraverso un linguaggio originale pezzi di realtà del nostro Paese. Fanno parte di queste produzioni locali programmi di successo come Italiani made in China, che mostra la storia di una prima generazione di cinesi immigrati che vivono tra di noi e che parlano solo italiano, e I colori dell'amore, che racconta la vita di coppie miste, contenuti che hanno acceso un faro su come la nostra società stia cambiando. La nostra società è quella, multiculturale e multirazziale. Proprio il racconto della realtà è uno dei pilastri su cui Discovery costruisce il palinsesto, come accade per Unti e bisunti, un viaggio pop nelle culture e tradizioni culinarie del nostro Paese. Si tratta di una linea editoriale che ha il merito di dare una precisa identità a ciascun canale e che permette di attrarre un pubblico sempre più giovane e ricettivo.
  Deejay TV, inoltre, come canale neo-generalista, è naturalmente vocato a un modo diverso di fare televisione e di leggere e analizzare la realtà. Per questo, l'informazione che propone non è convenzionale, ma è sinonimo di reportage e di giornalismo immersivo. È un modo di raccontare la contemporaneità cogliendola attraverso le sue sfumature meno patinate, dai suoi angoli più inconsueti e veri. Con l'obiettivo di diffondere questo tipo di approccio culturale, Discovery Italia ha mandato in onda Boats (Based on a true story), un ciclo di docu-racconti inediti basati su storie vere, racconti di un'Italia inedita, vicina e reale.
  In qualità di broadcaster, ormai con un 7 per cento di share, ogni giorno entriamo nelle case di milioni di italiani. Noi svolgiamo il ruolo di editore con un forte senso di responsabilità sociale, dando visibilità a tematiche quali la diversità e la disabilità. Ne cito alcuni: Vite divergenti, The undateables, Il nostro piccolo grande amore. Si tratta di un racconto a 360 gradi, senza spettacolarizzazione, dove in primo piano c’è l'autenticità delle vite dei protagonisti.
  Un altro grande progetto sociale targato Discovery è stato ed è Racing extinction, un documentario-inchiesta che fa luce sul rischio estinzione di tante specie animali, in onda in contemporanea in tutti i Paesi in cui è presente Discovery Channel, un impatto comunicativo, oltre che emotivo, senza precedenti. Si è iniziato con il prime time in Nuova Zelanda. Così come cambiava l'orario, questo programma veniva acceso in tutte le parti del mondo, fin quando non è arrivato anche in America.
  Per Discovery, inoltre, è motivo di grande orgoglio aver lanciato durante il 2015 DPlay – siamo il secondo Paese a livello internazionale ad averlo – un servizio over-the-top gratuito, che consente di vedere i programmi del free to air in qualsiasi momento e su qualsiasi device. È un importante investimento che ha un obiettivo preciso: diffondere il più possibile i nostri contenuti e renderli fruibili in maniera semplice e immediata. Con DPlay, Discovery Italia si è posta all'avanguardia, cambiando definitivamente l'approccio nella valorizzazione e distribuzione dei propri contenuti. Cambia proprio il paradigma: non si pensa più a un potenziale mercato di 40 milioni di televisioni in Italia, ma agli oltre 90 milioni di device, tra pc, tablet, smartphone e game console. Si raddoppia l'opportunità di mercato.
  Dopo aver parlato di Discovery, mi focalizzo sull'evoluzione del mercato e sul servizio pubblico.
  Occorre prima di tutto acquisire consapevolezza che siamo in un momento topico nello sviluppo del mercato: da una parte, gli indici internazionali rivelano che, sebbene timidamente, stiamo uscendo Pag. 7dalla crisi economica che negli ultimi anni ha afflitto anche il settore televisivo, con Italia e Spagna tra i Paesi più colpiti; dall'altra, si sta creando un nuovo sistema di mercato, rappresentato in particolare dagli operatori over-the-top e dall'avvicinamento tra media e telecomunicazioni. Tale processo caratterizzerà un mercato che vedrà nuove modalità di fruizione e in cui i servizi offerti dai vari operatori, sia tradizionali sia nuovi entranti, si posizioneranno all'interno di un unico scenario, che vedrà la competizione tra un numero maggiore di operatori per l'incremento del numero degli abbonati e/o della raccolta pubblicitaria. La competizione aumenta (net-net). Abbiamo assistito al lancio di Netflix in Italia, a un aumento dell'offerta dei servizi di video on demand, over-the-top e in streaming, anche da parte dei broadcaster tradizionali, nonché agli accordi tra questi ultimi e gli operatori TLC, per assicurarsi la distribuzione dei contenuti anche su fibra. Questa evoluzione è fondamentale per gli operatori TLC, per migliorare la loro offerta con contenuti di pregio e poter fare la differenza sul mercato, ma lo è ancor più per i media tradizionali, che hanno bisogno di nuovi e diversi canali di distribuzione, per poter mantenere e cercare di accrescere il proprio pubblico, dimostrando l'abilità di raggiungere i milioni di device a disposizione di tutti, adattando i propri contenuti e mantenendo intatta la qualità.
  Questa prospettiva assegna al legislatore un compito delicato e non privo di rischi, perché la necessità e l'opportunità di riesaminare la regolamentazione esistente, per assicurare un level playing field tra tutti gli attori, deve rispettare l'esigenza di non deprimere la crescita dei nuovi protagonisti e dei nuovi business, che, pur godendo al momento di maggiori libertà e minori vincoli normativi, potranno dare un contributo fondamentale alla crescita dell'industria dei contenuti, in particolare di quelli italiani.
  Come è noto, già da tempo è stato avviato il processo di revisione della direttiva sui servizi media audiovisivi, a seguito del quale andrà aggiornato il nostro Testo unico sui servizi media audiovisivi. Al riguardo, è auspicabile che nel dibattito che animerà nei prossimi mesi il confronto tra legislatori e operatori del settore si abbandoni la logica di una contrapposizione tra il vecchio e il nuovo. Per questo motivo, Discovery propone una revisione dell'intera normativa che da anni regola il settore televisivo e audiovisivo tradizionale, rimuovendo, ove possibile, i paletti di una regolamentazione troppo rigida. In un secondo momento, una volta fissate alcune regole fondamentali, si potrà applicare il nuovo corpus di norme a tutti gli operatori del settore, a prescindere dalla modalità di distribuzione e/o dal modello di business adottato.
  Non è un processo semplice – ce ne rendiamo conto – ma concordiamo con il pensiero rappresentato proprio davanti a questa Commissione dal professore Enzo Cheli: la necessità di accelerare il processo di revisione delle regole potrebbe spingere ad affrontare i problemi non necessariamente con una legge organica, ma in modo selettivo, procedendo per tappe e utilizzando gli strumenti normativi disponibili in base alle circostanze. L'importante, evidentemente, è non perdere la visione del quadro generale, ovvero il passaggio da un sistema di broadcasting a un sistema complessivo di media, per poi strutturare e calibrare ogni intervento. Tale approccio è ancor più valido se si pensa ad alcune situazioni di incertezza che hanno inevitabilmente rallentato la competitività del mercato, quali per esempio il logical channel numbering (LCN), la pirateria dei contenuti e il tema delle quote d'investimento.
  In riferimento a questi temi, merita approfondimento proprio l'annosa questione dell'LCN, il piano di numerazione dei canali del digitale terrestre, un contenzioso avviato nel 2010 e che, a cinque anni di distanza, è ancora in attesa di una soluzione definitiva. È difficile spiegarlo ai nostri azionisti americani. Discovery auspica che su questa vicenda si arrivi quanto prima a una decisione finale, senza la quale difficilmente il mercato potrà beneficiare di investimenti importanti, in Pag. 8particolare da parte di nuovi editori o di operatori di rete che vogliono affacciarsi sul mercato delle frequenze.
  Arriviamo, dunque, al servizio pubblico. Siamo certi che la presenza di un servizio pubblico sia tuttora imprescindibile e che sia opportuno definire cosa si intenda per servizio pubblico, inquadrandone con precisione le funzioni. Modernizzare il servizio pubblico non significa solo aprirsi alla tecnologia e alle nuove modalità di distribuzione, ma anche rivedere e aggiornare i linguaggi e le rappresentazioni del contenuto. Da questo punto di vista, l'esperienza del gruppo Discovery, pur da emittente commerciale, è particolarmente indicativa. È un editore puro, con programmi che toccano diversi generi di programmazione, ma che possono adattarsi a qualsiasi modalità di distribuzione, favorendo allo stesso tempo l'interattività con il proprio pubblico. La finalità della televisione è quella di intrattenere e di informare, utilizzando diversi tipi di linguaggio e di format. La mission del servizio pubblico inevitabilmente va oltre, dovendo anche assolvere il compito di educare, di coinvolgere e di contribuire alla crescita culturale dello spettatore.
  Nello specifico, immaginiamo un servizio pubblico totalmente finanziato dal canone, che non sia più schiavo dello share e che affianchi ai canali generalisti un numero limitato di canali tematici dedicati, ad esempio, alla cultura e alle produzioni locali e canali in lingua originale per i bambini, sviluppando in ogni caso programmi e linguaggi che nulla abbiano a che vedere con quelli della tv commerciale.
  Questo permetterebbe al servizio pubblico di assumere un'identità marcata e indiscutibile e, allo stesso tempo, di liberare risorse sul mercato, alimentandone la crescita in termini di contenuti e di pluralismo. In poche parole, si tratterebbe di un sistema nuovo, la cui attuazione potrebbe e dovrebbe avvenire ovviamente con gradualità, assegnando il compito alle preposte autorità indipendenti di regolare, vigilare e contrastare la formazione di posizioni dominanti che possano creare squilibri competitivi.
  Potrebbe essere utile guardare ai modelli di altri Paesi, purtuttavia non commettendo l'errore di voler traslare e applicare integralmente un sistema, bensì prendendo ciò che di buono esso ha prodotto e adattandolo alle caratteristiche economiche, sociali e di informazione del nostro Paese, e far partire da questo ogni ragionamento su come e dove migliorarlo.
  Non meno importante è il ruolo che un'emittente del servizio pubblico è chiamata a svolgere nel rapporto con gli utenti. Riteniamo che questo processo vada gestito per permettere al servizio pubblico sia di catturare l'attenzione di quel pubblico di giovani oggi tanto ambito sia di riconquistare un notevole prestigio e una forza nel porsi come fonte di informazione ufficiale e come riferimento culturale nel Paese. Va ricordato come e quanto il nostro Paese stia soffrendo di un processo di invecchiamento della popolazione, un fenomeno che inevitabilmente influenza anche il nostro mercato nella fruizione e nel consumo dei contenuti. Prendendo atto di questa realtà, ci piace immaginare un servizio pubblico che svolga soprattutto una funzione di ponte, favorendo il dialogo tra generazioni, nell'utilizzo di vecchie e nuove tecnologie, prendendo quanto di buono è stato fatto per la nostra formazione e la nostra crescita culturale, per adattarlo e trasferirlo ai giovani di oggi e di domani. Vorrei aggiungere che dovrebbe svolgere una funzione di ponte anche nel senso di far sì che le persone più adulte del nostro Paese non perdano il contatto con la generazione giovane facendo sì che ci sia veramente una possibilità di comprensione.

  MIRELLA LIUZZI. La ringrazio per l'analisi molto stimolante. È stato interessante conoscere come è disposta Discovery, con i suoi dipendenti, la suddivisione tra uomini e donne e le possibilità per i giovani che fanno parte di questa azienda.
  C’è una prima questione che non è presente in questa analisi, che però, secondo Pag. 9me, è rilevante. Qualche mese fa Discovery, tramite Deejay TV, ha fatto un'operazione di servizio pubblico veramente interessante, trasmettendo la finale di tennis Vinci-Pennetta. Mi aspettavo che quella finale fosse trasmessa dal nostro servizio pubblico Rai. Credo che in questo senso Deejay TV abbia fatto sicuramente un'ottima scelta. Io l'ho seguita in chiaro tramite il canale Deejay TV.
  Faccio un rilievo sulla questione dell'LCN. Parliamo di nuovi media, parliamo di internet, parliamo di over-the-top, però poi ci scontriamo con una realtà dei fatti che sicuramente per un'azienda che si occupa di televisione è importante. Mi riferisco alla numerazione dei canali sulla televisione. Questo, da un lato, può essere visto come un ancoraggio verso il passato, però capisco che ci sono sentenze che ne annullano altre e che il Consiglio di Stato si esprime dando ragione prima a uno e poi all'altro. Insomma, una situazione un po’ complicata. Faccio rilevare che in un discorso globale di nuovi media questa cosa fa un po’ sorridere. Soprattutto per i nativi digitali, che magari vedono la tv tramite Netflix e i nuovi sistemi, parlare ancora di numerazione è un po’ anacronistico. Tuttavia, capisco bene che ci sono interessi importanti e che a volte avere una numerazione rispetto a un'altra può fare la differenza.

  ALBERTO AIROLA. Buongiorno e grazie di essere qui. È molto interessante quello che avete detto. La mia è una domanda difficile, me ne rendo conto. Vorrei sapere secondo lei quanto tempo reggerà il sistema digitale terrestre televisivo. Si parla di quattro, cinque, dieci o venti anni. Io ritengo che siamo in un ordine di tempi decisamente ridotti, vista la velocità di cambiamento. Questa è una valutazione che a noi serve per capire (sempre che si possa essere incisivi nella progettazione del servizio pubblico).
  La seconda domanda concerne l'impatto sul linguaggio. Spesso si usa genericamente la definizione «nuovi linguaggi» per indicare prodotti che vanno su altre piattaforme, al di fuori di quella televisiva. Trovo che questo sia spesso un misunderstanding. Cosa vuol dire «nuovi linguaggi» ? Parliamo del primo piano, del controcampo ?
  Si parla anche di prodotti che durano di meno o di più. Vorrei sapere da lei quali differenze deve affrontare oggettivamente un network per prevedere dei contenuti che siano multipiattaforma e quanto questo inficia il linguaggio e la narrazione all'interno di un prodotto.

  LELLO CIAMPOLILLO. Grazie per la presenza e per l'esaustiva relazione. Vorrei fare un ulteriore passaggio sull'LCN. La questione è abbastanza nota, nel senso che ci sono emittenti locali che da un lato chiedono più spazio, soprattutto sulle prime numerazioni, e dall'altro c’è la possibilità di utilizzare gli archi di numerazione, un po’ come si fa su Sky, magari divisi per generi: il dibattito è aperto. Vorrei capire qual è la vostra posizione, cioè quello che vi aspettate da un'eventuale modifica dell'attuale assetto dell'LCN. Voi cosa proponete ?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. La ringrazio, non solo per la disponibilità a partecipare all'audizione, ma anche per lo sforzo della comunicazione che ci ha presentato. Nella relazione ci sono alcuni contenuti di rilievo per questa Commissione e anche per il lavoro della Commissione trasporti, che peraltro ha svolto un'indagine conoscitiva di ampio respiro. Vedo che nelle domande ritornano temi che sono già stati trattati in quella sede, ma credo che siano utili anche per inquadrare l'oggetto specifico del nostro percorso di audizioni.
  Mi voglio concentrare sull'ultima parte, anche perché diverse delle domande poste dai colleghi mi sembrano d'interesse. Vedo che il tema del ruolo del servizio pubblico è affrontato di petto – di questo la ringrazio – anche in riferimento alla riflessione che fate affermando che il servizio pubblico dovrebbe essere totalmente finanziato dal canone. È un modello di riferimento ben preciso, anche per quanto riguarda gli altri Paesi europei, è un Pag. 10modello che non è applicato nel nostro Paese ed è anche una riflessione che in questa Commissione è venuta alla luce più volte nelle audizioni del Viceministro Catricalà sul «bollino blu», su cosa sia il servizio pubblico e su come si differenzi la programmazione di servizio pubblico. Mi sembra un punto di vista interessante. È un approccio diverso da quello che ha in questo momento l'azienda di servizio pubblico, la Rai, e da quello che in larga parte si è finora sostenuto in questa Commissione, però mi sembra di grande rilievo.
  Presidente, recentemente abbiamo fatto una scelta. Peraltro, credo che proprio in queste ore al Senato stiano iniziando la terza lettura in Aula della riforma della governance Rai. La scelta che finora è stata fatta è quella di intervenire sulla governance, non in termini di sistema più complessivo, dove una riflessione di questo tipo ha una sua cittadinanza. Penso al progetto di legge presentato dall'onorevole Gentiloni nella legislatura 2006-2008, che affrontava questo nodo con l'idea di una holding di servizio pubblico. Questo è un po’ il modello inglese: canali e un soggetto totalmente finanziato dal canone e un altro soggetto che sta sul mercato. Mi sembra uno stimolo interessante, che richiama assetti più complessivi.
  C’è un'altra parte, che attiene più direttamente al nostro percorso auditivo, relativa al come il servizio pubblico attuale (non quello che possono ipotizzare riforme più complessive) riesca a svolgere fino in fondo la propria funzione. Mi sembra che il tema che avete definito nella sua comunicazione come una funzione di ponte tra le generazioni attenga, non solo alla mission del servizio pubblico, ma anche a un riferimento preciso all'attuale insediamento in termini di audience del servizio pubblico e soprattutto di alcuni canali generalisti. Credo che questo tema riguardi, non solo un ruolo più complessivo e futuro, ma anche l'attuale capacità del servizio pubblico di riuscire a parlare oltre a un perimetro che è sempre più definito e che lascia fuori una generazione che, invece, ha bisogno di un ruolo attivo del servizio pubblico nella formazione di un elemento di identità nazionale e di appartenenza a una comunità e di un riferimento più complessivo alla cittadinanza.

  DALILA NESCI. Vi ringrazio tutti. Sono molto felice che lei persegua l'obbiettivo di ampliare l'approccio femminile all'interno di questa azienda. Non è una cosa scontata. Grazie a lei ho conosciuto anche il rapporto del McKinsey Global Institute. Siccome anch'io mi sforzo in questo senso, aldilà della becera discussione sulle quote rosa, che nulla hanno a che vedere con quell'approccio intuitivo femminile che effettivamente abbiamo (non tutte), le rivolgo i complimenti per i risultati ottenuti.
  Vorrei informarla che per quanto riguarda la riforma del canone, che è stata surrettiziamente inserita all'interno della legge di stabilità, anche noi abbiamo proposto che il gettito del canone sia utilizzato all'interno dell'azienda Rai, visto che soffre di un gap che più volte abbiamo denunciato anche all'interno di questa Commissione di vigilanza Rai. Purtroppo, le direzioni governative vanno in tutt'altro senso. Grazie per questo contributo.

  PRESIDENTE. Anch'io vorrei chiederle una cosa. Chiaramente, se coloro che la accompagnano vorranno intervenire, potranno farlo.
  Sarei curioso di avere una riflessione da voi, come azienda privata, rispetto a Rai Fiction e a Rai Cinema. La Rai ha anche 01, che è una società di distribuzione. Vorrei sapere se, quando si dice, come ho letto nella relazione, che la Rai deve essere un servizio pubblico e, quindi, deve cambiare totalmente il linguaggio, che deve essere davvero diverso da quello di una tv commerciale, ci riferiamo anche a Rai Fiction, a Rai Cinema e alla rete di distribuzione. Quando parliamo di liberare le risorse della Rai per reinvestirle nel mercato, intendiamo anche quei settori che la Rai gestisce ?
  Inoltre, farei un confronto minimo con la BBC. Come diceva Peluffo, la BBC sul suo territorio nazionale raccoglie il canone e non la pubblicità. Potremmo dire che ci Pag. 11sono due canali differenti: BBC 1, finanziato totalmente dal canone, e Channel 4, che è finanziato dalla pubblicità ed è quindi sul mercato, ma appartiene sempre al pubblico. Vorrei sapere se un modello del genere possa essere interessante oppure se sia preferibile una Rai finanziata solo dal canone, in cui si fa esclusivamente quello che si riesce a trarre da tale risorsa.
  Vi chiedo una riflessione su che tipo di sinergia potrebbero avere o hanno un'azienda come Discovery e il servizio pubblico della Rai. Vorrei sapere se ci sono difficoltà. Si potrebbe dar vita a partnership molto interessanti, lavorando anche con i servizi pubblici europei e internazionali. Vorrei sapere se avete già altre esperienze ben riuscite in altre parti del mondo.
  In terzo luogo, vi chiedo che tipo di difficoltà avete incontrato in Italia lavorando in questo settore. Vedo che avete sviluppato le assunzioni, che sono molto salite. Inoltre, avete parlato di una legislazione più coerente, che sia più efficace, efficiente e riordinata. Vorrei capire quali sono le difficoltà principali che incontrate in particolare nel mercato interno.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Presidente, siccome a breve debbo andare a votare in Commissione permanente, vorrei sapere se manteniamo l'Ufficio di presidenza, apprezzate le circostanze, dato che non tutti i Gruppi sono presenti.

  PRESIDENTE. Lo possiamo rimandare.

  MARINELLA SOLDI, amministratore delegato di Discovery Italia. Grazie per tutte le domande. Vuol dire che abbiamo destato interesse: ad alcune risponderanno anche i miei colleghi.
  Vorrei iniziare dall'ultima domanda sulle difficoltà che incontriamo in questo settore in Italia. I risultati dimostrano che non abbiamo difficoltà né all'interno del quadro normativo né nel contesto dei cambiamenti che ci sono stati; anzi, siamo riusciti a cogliere serenamente le opportunità di investimento e siamo riusciti a crescere. Non vediamo particolari difficoltà in questo momento. Per aiutare gli investimenti in Italia da parte di un'azienda americana o straniera, le cose che servono sono trasparenza e stabilità, dal punto di vista delle leggi e anche dal punto di vista del sistema.
  Cosa si poteva fare o si potrà fare in più nel momento in cui questo quadro normativo sarà meglio risolto dopo cinque anni ? Questa è una buona domanda. Per il resto – facendo il nostro lavoro in serenità e in indipendenza, con un approccio estremamente meritocratico – non abbiamo trovato particolari difficoltà. È chiaro che adesso cominciamo ad avere una dimensione tale per cui in alcuni momenti o in alcune situazioni potremmo avere maggiori difficoltà, ma questo è più che altro il risultato di una crescita della presenza.
  Perché è così importante l'LCN ? A monte – ripeto quello che ho detto – ci deve essere una stabilità, per aiutare noi a convincere i nostri azionisti a investire sempre di più in Italia. Una situazione normativa non chiara, instabile o in sospeso non aiuta. Se da un lato il mondo si sta muovendo a una velocità straordinaria – c’è stata una domanda rispetto al tempo necessario perché questo mondo venga stravolto – è anche vero che l'essere umano è abitudinario. Perché abbiamo comprato All Music dal Gruppo L'Espresso, anche se avevamo già i nostri quattro canali sul free ? Noi siamo ossessionati dai nostri consumatori; li studiamo in tutti i modi, proprio perché vogliamo cercare di anticipare, di capire, di rendere loro un servizio sempre più soddisfacente. Abbiamo notato che abitualmente il 50 per cento della popolazione che guarda la televisione non va oltre il numero 9 sul tasto del telecomando. Ciò vuol dire che il 50 per cento delle persone in Italia abitualmente non ha la delizia di guardare i nostri canali o quelli degli altri. L'LCN è un bene importante, ogni Paese decide come gestirlo. In Spagna, per esempio, non c’è un LCN: ognuno in casa propria definisce il ranking dei propri canali. In Inghilterra si compra: il canale acquista il numero. Ovviamente il numero 1 è molto Pag. 12più caro del numero 302. Ogni Paese è libero di fare come crede, però alla base c’è la preferenza dell'individuo. Questo, da una parte o dall'altra, deve essere regolato e stabilito, ci deve essere quella risposta.
  Penso di aver risposto già ad alcune domande. Sull'LCN, se il Presidente consente, lascerei la parola al dottor Marcello Dolores.

  MARCELLO DOLORES, vicepresidente affari legali Discovery Sud Europa. In realtà, ho ben poco da aggiungere. Senza andare troppo nei tecnicismi, come l'onorevole Liuzzi sottolineava, è una vicenda che ormai va avanti da più di cinque anni, tra Consiglio di Stato, commissario ad acta, giudizi di ottemperanza, creando un clima di straordinaria incertezza rispetto a una risorsa, ovvero l'EPG (electronic program guide) e che ha realmente un valore, piuttosto scarsa. Essendo una risorsa scarsa, va sicuramente gestita nel migliore dei modi possibili, cosa che finora non è stata fatta.
  Venendo alla domanda del senatore Ciampolillo, il sistema va organizzato meglio. Il nostro punto di vista è che l'LCN attuale riesca comunque a salvaguardare le esigenze, peraltro tutelate dalla normativa primaria, delle emittenti locali, che hanno sicuramente posizioni di privilegio, anche in un numero congruo per le emittenti locali effettivamente di valore. Da sempre proponiamo una razionalizzazione del sistema, in particolare con riferimento al primo arco di numerazione. È sotto gli occhi di tutti il fatto che ci sia un cattivo uso della risorsa, avendo destinato buona parte del primo arco di numerazione, cioè le numerazioni che vanno dal 70 al 99, alle emittenti locali. Di fatto, quella è una risorsa inutilizzata o utilizzata più volte. Sicuramente questo è uno dei punti sui quali una possibile riforma dell'LCN dovrebbe intervenire.
  Ci viene da dire, ritenendoci da questo punto di vista abbastanza innovativi, che anche una riflessione sull'organizzazione degli archi tematici probabilmente andrebbe fatta. Fermo restando che sicuramente attribuiamo un valore alla tv generalista, se non altro perché eredita i vecchi operatori analogici, e all'emittenza locale, anche questa tutelata dalla normativa primaria, probabilmente l'individuazione degli altri archi tematici a oggi potrebbe essere un po’ più flessibile e soprattutto richiedere un aggiornamento un po’ più frequente. Infatti, la formulazione e previsione di archi tematici a maglie piuttosto larghe ha concesso a volte un'interpretazione della normativa che ha creato alcuni fenomeni distorsivi all'interno dell'LCN, che, da un lato, generano cattivo utilizzo della risorsa e, dall'altro, creano distonia nel sistema, nella misura in cui all'interno di certi archi troviamo canali che poco hanno a che vedere con quegli archi di riferimento.
  Queste sono le nostre riflessioni sull'LCN. Come diceva la dottoressa Soldi, occorrono prima di tutto chiarezza e stabilità del sistema.

  MARINELLA SOLDI, amministratore delegato di Discovery Italia. Passando alle altre domande, si chiedeva cosa vuol dire «nuovo linguaggio». Ognuno interpreta quest'aspetto come crede. Per noi, come gruppo, il nuovo linguaggio si articola in tre modi principali. Il primo è un consumo tradizionale di contenuto, per esempio su canali lineari. Quando parliamo di nuovi linguaggi, intendiamo probabilmente un'accessibilità rispetto a temi più nodosi. Ad esempio, un conto è un documentario didattico, distante e un po’ educativo rispetto ad alcuni temi, e un altro conto è raccontare la stessa cosa tramite un docu-reality molto accessibile, con parole semplici, con personaggi assolutamente semplici per chi lo guarda. Questo è quanto abbiamo tentato di fare con I colori dell'amore oppure con Italians made in China. Italians made in China è un classico esempio. Non so se alcuni di voi l'hanno visto. Se non l'avete visto, andate a vederlo assolutamente su DPlay. Racconta la storia di sei ragazzi cinesi che si autodefiniscono «Bananas, gialli fuori e bianchi dentro», Pag. 13che sono nati in Italia o che ci sono venuti da piccolissimi e che cercano un'identità loro. Li portiamo in Cina a incontrare i nonni che non hanno mai conosciuto o i luoghi dove sono stati i loro genitori e che non conoscono. È una vicenda molto forte ed emotiva. I messaggi che questo tipo di contenuto trasmette sono: «Caspita ! L'Italia è cambiata !», «Caspita ! L'Italia è anche questa cosa !» Umanamente, queste persone stanno cercando le loro radici. Sono una serie di temi che si potrebbe cercare di veicolare raccontandoli in un documentario che mostri ad esempio le migrazioni: invece, raccontati tramite la storia personale, vera, di ognuno di questi ragazzi, hanno un impatto diverso. Quando si parla di linguaggio, secondo noi è questo: rendere accessibili temi importanti con un linguaggio che i ragazzi apprezzano e nel quale si ritrovano.
  Il secondo tema rispetto al nuovo linguaggio è rendere accessibili gli stessi contenuti ovunque. Non si deve aspettare la puntata di quella sera, ma si può vederla quando e dove si vuole, sul treno e su tutti i device. Lo stesso contenuto però con un accesso molto più ampio.
  Il terzo tema è un contenuto nuovo, che risponde a una fruizione che per molti giovani vuol dire avere un attention span di cinque minuti, anziché di mezz'ora, di un'ora o di tre ore: una sfida ancora più grossa.
  Per quanto ci concerne, come gruppo abbiamo fatto un po’ di sperimentazione su questo tema. Abbiamo acquistato un'azienda a San Francisco, che si chiama Revision3, il cui mandato è proprio quello di produrre contenuti più economici e che offrono quel tipo di fruizione. Non è più la fruizione di lungometraggio: ci stiamo ancora ponendo domande e facendo esperimenti. Nessuno, secondo me, ha il risultato, ma ci sono aziende che sono specializzate in questo settore.
  Dico tutto questo per sottolineare che non bisogna aspettare una nuova piattaforma tecnologica per avere un nuovo linguaggio. Secondo noi, il nuovo linguaggio è una sperimentazione continua di storytelling; si tratta di raccontare le storie in maniera sempre più accattivante.
  C'era una domanda sulla velocità del cambiamento. Su questo ci scommettiamo l'azienda. È chiaro che, se un business plan dà per vivo il digitale terrestre o comunque la televisione lineare per altri dieci anni oppure per altri cinque, gli economics cambiano in maniera significativa. Non abbiamo la sfera di cristallo: secondo me, ciò che possiamo fare è imparare da quello che succede negli altri Paesi, che sono molto più avanzati di noi principalmente dal punto di vista della tecnologia e della fibra. Occorre analizzare questi fenomeni, che non sono sempre facilmente decifrabili, perché le condizioni sono diverse: in America il tema del cord cutting è molto più accentuato che in Inghilterra o in altri Paesi, dove il prodotto tv everywhere (lo Sky On line o lo Sky Go della situazione) si trova maggiormente. Netflix si è aggiunto a prodotti di qualità a pagamento che si possono vedere over-the-top: si tratta sempre un discorso di contesto di mercato. Per chi fa contenuti, come noi o come Rai, questa proliferazione è soltanto un'opportunità. Per noi cambia il paradigma, si raddoppia il mercato, perché non cerchiamo di trovare accesso a un unico schermo; in famiglia ce ne sono tutt'a un tratto cinque o sei. Certamente in questo momento non sono misurati: questo è il vero tema. È come se, anziché mangiare tre volte al giorno, tutti decidessero di mangiare sei volte al giorno: per chi produce cibo è soltanto un'opportunità di mercato. Non sappiamo rispondere a questa domanda, però sicuramente vediamo la televisione lineare abbastanza centrale per molto tempo, anche per ragioni demografiche.
  Cosa fare con Rai Fiction e Rai Cinema ? Bella domanda ! Penso che per quanto riguarda Discovery il nostro punto di oggi sia proprio il fatto che il servizio pubblico deve essere slegato da logiche di share. La nostra era una considerazione molto legata al mondo televisivo. Questo Pag. 14non vuol dire che un'azienda di servizio pubblico non debba avere una parte commerciale. Tuttavia, se la televisione si slega dalla schiavitù dello share, perché non ha bisogno di ottenere obiettivi di budget pubblicitari, può sperimentare di più e fare cose ad alto valore e che però magari non vanno nella direzione commerciale.
  La televisione dei bambini, i cui prodotti sono trasmessi in lingua originale (francese, tedesco e inglese) andrà molto lontano anche rispetto al tipo di approccio alle lingue che stiamo cercando di attuare nelle scuole. È chiaro che un bambino, se ha la possibilità di vedere Peppa Pig in inglese oppure su un altro canale doppiato in italiano, tendenzialmente guarderà l'altro canale, però comunque si continua a offrirglielo in inglese. È per questo che non si possono avere le due cose legate allo share.
  Si potrebbe guardare al modello BBC o forse ad altri. Secondo noi, come abbiamo scritto, la questione non è importare un modello da un altro Paese. È anche vero che in Spagna TVE non ha pubblicità, ma è finanziata tramite una tassa sugli altri operatori; in Francia, se non è in prime time, non ha pubblicità; in Inghilterra non ha pubblicità. Troviamo un modo di finanziare, ma il vero punto è dare la possibilità di sperimentare con del contenuto che si misura in altre maniere – per carità, il canone è comunque un finanziamento – e non con lo share.
  Per quanto riguarda sinergie tra Discovery e Rai, penso che ce ne possano essere tantissime. Quelle più ovvie forse sono nell'ambito dello sport. Eurosport, per esempio, detiene i diritti delle Olimpiadi. Questo è un qualcosa che dal punto di vista della finestra free interessa, giustamente, la Rai. Per il resto (cercare di trovare aggregazioni di contenuto, coproduzioni e scambi di visioni), siamo estremamente aperti. In altri mercati ciò avviene in maniera diversa, perché in pochi altri mercati Discovery è anche free. Nella maggior parte dei mercati in cui è presente, Discovery è un prodotto pay. Pertanto, forse, l'alleanza diventa un po’ più semplice. Questo dipende, ancora una volta, da quali sono gli obiettivi della Rai rispetto a un broadcaster commerciale come noi. Penso di aver risposto a tutto.

  PRESIDENTE. In questi due anni di Commissione abbiamo analizzato a fondo il bilancio della Rai. Non so se lei ha mai letto il bilancio della Rai degli ultimi due anni. Non la voglio mettere in imbarazzo chiedendole giudizi.
  Con 1,75 miliardi di euro di finanziamento sicuro – anche se c’è il 27 per cento di evasione del canone – con circa 600 milioni di raccolta pubblicitaria, con circa 13.000 dipendenti a tempo indeterminato e determinato, con circa 1,3-1,4 miliardi di appalti esterni, con un costo molto alto del personale, con il rapporto tra dirigenti, quadri e impiegati, con 1.700-1.800 giornalisti, più le sedi regionali – il punto non è se è troppo grande o troppo piccola – secondo lei, la Rai potrebbe fare enormemente di più, oppure è difficile fare di più e va bene quello che sta facendo ? È un bilancio coerente con quello che produce, oppure si discosta totalmente perché con un bilancio così non può avere una produzione di questo tipo ?
  Non voglio entrare troppo nello specifico, ma, a grandi linee: se arrivo come amministratore delegato e leggo questo bilancio, dico che è una follia oppure no, in relazione a quello che si deve fare, compresa la presenza delle sedi regionali comunque previste per legge ? Volevo chiederlo all'amministratore delegato di Discovery.

  MARINELLA SOLDI, amministratore delegato di Discovery Italia. Sono amministratore delegato di un gruppo commerciale, non della Rai, perciò non posso commentare risultati di altri. Ci può stare e, come ci eravamo detti anche prima, si va a monte a quella che è alla fine la missione. Si può anche avere un bilancio così o un bilancio completamente diverso, e comunque raggiungere i propri obiettivi. Dipende molto da qual è l'obiettivo, secondo Pag. 15me: dare molta occupazione e formare determinate persone o essere vicino in termini di territorio e avere un posto primario da un punto di vista di produzioni fiction o essere sicuri che il cinema italiano rimanga creativo e in produzione.
  È impossibile emettere un giudizio. Chi ha gestito la Rai negli ultimi anni sicuramente è stato estremamente capace e seguiva determinati obiettivi. Abbiamo molta fiducia anche nell'attuale management per la capacità di portare avanti un progetto che ci sembra molto ambizioso e anche molto positivo. Penso che sia difficile commentare oltre questo.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Soldi e i suoi collaboratori e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.