XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 61 di Giovedì 5 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, Luca Antonini, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Antonini Luca , Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
D'Incà Federico (M5S)  ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Fornaro Federico  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Collina Stefano  ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 
Antonini Luca , Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, Luca Antonini, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, Luca Antonini, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.
  Ringrazio per avere risposto al nostro invito il professor Antonini che, come sapete, è uno dei «padri» del federalismo fiscale, così come lo conosciamo nei testi normativi che sono stati approvati fino ad oggi, quindi credo che sia il testimone privilegiato per fare una valutazione della situazione e dello stato di attuazione in materia di federalismo fiscale.
  Do la parola al professor Antonini per lo svolgimento della relazione.

  LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Grazie per l'invito. Io divido l'intervento in due parti. Nella prima parte risponderò alla domanda, poi riserverò una parte all'attività della COPAFF ed, infine, esporrò alcune conclusioni.
  Vorrei partire da un quadro che non è a mio avviso rassicurante, perché penso che in Italia la crisi non ha portato semplicemente a un riaccentramento delle competenze, come poteva essere anche giustificato, visto che lo Stato deve fronteggiare una situazione di emergenza, ma ha portato allo stravolgimento dei principi del federalismo fiscale. Tutto ciò ha creato, dal mio punto di vista, un disastro istituzionale che non fa funzionare correttamente il sistema e che crea dei fenomeni che, a mio avviso, possono essere ritenuti allarmanti.
  La crisi ha stravolto i principi fondamentali rispettati in qualsiasi Paese, dove è in atto un processo di federalismo e di decentramento, come dimostrerò, sia in relazione all'autonomia delle regioni sia in relazione all'autonomia dei comuni.
  Per quanto riguarda l'autonomia comunale, noi abbiamo avuto, a dimostrazione di questo stravolgimento dei principi del federalismo fiscale, il paradosso di un'imposta, cioè l'IMU, che è oggi un'imposta comunale compartecipata dallo Stato, il che non corrisponde minimamente all'impianto costituzionale dell'articolo 119, che dispone che regioni, province e comuni hanno una compartecipazione ai tributi erariali, ma che non prevede una compartecipazione dello Stato ai tributi locali.
  L'IMU, come sapete, è un'imposta che, a partire dal Governo Monti, è stata praticamente raddoppiata o triplicata attraverso le rivalutazioni catastali e che, anche se lo Stato mantiene la compartecipazione Pag. 3sulle seconde case, continua a chiamarsi «municipale». Inoltre, è il Sindaco che «ci mette la faccia», ma la maggior parte del gettito viene incamerato dallo Stato.
  Sono stati previsti anche tagli pesanti dei finanziamenti ai comuni che, per effetto di questa operazione, praticamente offrono meno servizi di prima, pur essendo l'imposta triplicata o raddoppiata.
  Tutto ciò è evidentemente un corto circuito istituzionale che rende, per esempio, inutili i fabbisogni standard, che avrebbero dovuto evidenziare il livello della spesa congrua mettendolo a confronto con le imposte del comune, ma, se la tracciabilità è stata completamente abolita perché c’è la compartecipazione dello Stato, il principio del fabbisogno standard salta e non serve allo scopo per cui era stato pensato.
  Un altro esempio emblematico: con l'applicazione dei fabbisogni standard alle province, la spesa per i fabbisogni standard è stata fissata a circa 1 miliardo o 1 miliardo e 500 mila euro, mentre, in realtà, le imposte riscosse sono pari a circa 3 miliardi di euro.
  A quel punto sarebbe stato ragionevole che l'imposta provinciale di trascrizione (IPT) e la responsabilità civile autoveicoli (RC Auto), ossia le imposte attribuite alle province, si riducessero in misura corrispondente al fabbisogno standard, rendendo nota ai cittadini la riduzione dell'IPT e dell'RC Auto a 1 miliardo e 500 mila euro, invece le province continuano a riscuotere 3 miliardi e la differenza la incamera lo Stato. Le imposte non sono diminuite per l'applicazione del fabbisogno standard, come era nella logica, ma sono rimaste invariate e lo Stato ne ha incamerato gettito, rendendo le province esattori dello Stato.
  In più, questa dinamica di distorsione è stata aggravata dalla serie di tagli lineari che sono stati praticati sulle risorse delle regioni e dei comuni.
  Prima di parlare dei tagli specifici alla sanità, vorrei soffermarmi su quelli praticati ai comuni. In merito, il più grande «avvocato» dei comuni ormai è la Corte dei conti che, nelle sue relazioni, mette in evidenza come il finanziamento del comparto degli enti territoriali sia stato tagliato oltre il livello di sostenibilità, mettendo a rischio la garanzia dei servizi sociali.
  La Corte dei conti ha detto questo nella sua relazione alla fine del 2014 e l'ha ribadito nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, a giugno del 2015, in cui la Corte dei conti ha affermato che «il complesso percorso di riequilibrio dei conti pubblici ha impegnato costantemente il comparto degli enti locali in una misura che eccede i limiti di un ragionevole criterio di proporzionalità tra i rapporti di composizione della spesa della pubblica amministrazione» e che «tale percorso si è espresso, sul piano dei vincoli di spesa e dei tagli, con un riflesso inasprimento della leva fiscale rimessa alla disponibilità degli enti di livello locale».
  In particolare, nel rapporto del 2015 sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti si è espressa con una frase che, a mio avviso, dal punto di vista istituzionale, è gravissima: «l'aumento della pressione fiscale locale è stata il frutto di scelte operate a livello di Governo centrale piuttosto che espressione dell'autonomia impositiva degli enti decentrati», che vuol dire che l'aumento della pressione fiscale locale dipende da scelte del centro e che è la risposta ai tagli che sono stati attuati.
  In tal senso, si capisce che il principio democratico del no taxation without representation è stato stravolto da questa dinamica che ha generato sfiducia nei sindaci. Recenti indagini dicono che ormai la gente non ha più solo sfiducia nelle regioni ma comincia ad avere sfiducia anche nei sindaci. Un sondaggio di Nando Pagnoncelli sul Corriere della sera di qualche giorno fa mette in evidenza la perdita di fiducia nei sindaci.
  I sindaci sono «rimasti con il cerino in mano», perché è stato creato questo sistema in cui sono diventati gli esattori dello Stato, e ancora oggi questo avviene per l'imposta sui capannoni, ossia gli Pag. 4immobili di categoria D, il cui gettito è di competenza dello Stato nonostante l'imposta si chiami «municipale».
  In merito, due anni fa noi di COPAFF avevamo fatto la proposta di rendere statale quelle imposte perché, se lo Stato ne vuole una quota, deve «metterci la faccia», quindi, se lo Stato vuole l'IMU sui capannoni, la deve chiamare «imposta statale sui capannoni» e non continuare a chiamarla «imposta municipale sui capannoni», senza che il gettito sia incamerato dai comuni.
  Per quanto riguarda l'IMU, la vicenda ormai è grottesca perché, dal 2001 in poi, ogni legge di riforma, dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (il cosiddetto decreto «salva Italia») a ogni altro tipo di intervento previsto nelle leggi di stabilità, ha come incipit «nell'attesa di una riforma della tassazione locale». Tuttavia, questa riforma non c’è mai stata e noi abbiamo avuto un susseguirsi di interventi che hanno portato, prima, all'IMU con riserva del gettito delle seconde case allo Stato, poi all'IMU con riserva del gettito dei capannoni allo Stato, poi siamo arrivati alla imposta unica comunale (IUC).
  In questa dinamica, io ho calcolato che in due anni, fra interventi strutturali e decreti-legge che hanno modificato aspetti secondari, l'IMU è stata cambiata dieci volte, creando una confusione istituzionale che non c'era mai stata nella storia del sistema fiscale italiano.
  I contribuenti non capiscono più nulla e, in più, ogni volta che si cambia la base imponibile, si creano problemi di gettito per i comuni, perché un comune che ha dei capannoni, per esempio, risulta penalizzato rispetto al comune che ha molte seconde case, per cui, se si cambia il criterio in un anno, è chiaro che si creino scompensi di gettito.
  In merito alla perequazione, il problema è che, ogni volta che si cambia criterio, non c’è mai accordo sulle stime della base imponibile, quindi inizia un contenzioso. Lo Stato dice «questi sono i miei dati» ma il Dipartimento delle finanze dice questi «sono i miei dati» e inizia un contenzioso logorante che rende difficile la quantificazione.
  Inoltre, l'emblema di tale situazione è rappresentato dal termine dato ai comuni per deliberare il bilancio preventivo. Noi siamo arrivati a dire che il 30 novembre era il termine dato ai comuni per deliberare il bilancio preventivo, ma, in genere, ormai è diventato il 30 settembre. Tale bilancio, che il comune avrebbe dovuto approvare a inizio anno, anche se non ha la cognizione di quante risorse avrà, deve essere approvato a settembre o a novembre. Ciò, evidentemente, fa saltare la capacità di programmazione dei comuni e ci va di mezzo la spesa di investimento, perché è impensabile programmare un'opera pubblica. Tuttavia, in Italia il 70 per cento della spesa di investimento è ascrivibile al comparto regioni-enti locali, quindi potete capire che danno si è creato al sistema.
  In più, appunto perché non ci si metteva d'accordo, sapete cosa è successo con questi continui cambiamenti ? A un certo punto, quando è stata introdotta la IUC, si è data autonomia a ogni singolo comune, cioè la risposta è stata: «visto che non ci si mette d'accordo su qual è la quantificazione degli effetti, do autonomia a tutti». Ognuno degli otto mila comuni italiani, quindi, è diventato un ente che poteva stabilire le aliquote e i regolamenti.
  Noi abbiamo avuto «l'inferno» fiscale. Per esempio, la legge n. 42 del 2009 prevedeva l'autonomia solo per gli enti di una certa dimensione demografica e non a tutti gli ottomila comuni che si fanno il proprio regolamento, magari di cinquanta pagine. Sono state introdotte esenzioni di tutti i tipi, ma questo non è federalismo, è caos e si è creato «l'inferno» fiscale. L'esito è stato che le associazioni di categoria hanno cominciato a mandare ai contribuenti comunicazioni in cui non si chiedeva di calcolare l'IMU tutti gli anni, perché sarebbe costato di più il calcolo dell'IMU che l'IMU stessa, quindi abbiamo generato «l'inferno fiscale».Pag. 5
  Questa dinamica ha distorto profondamente il sistema. In questo contesto, in cui l'imposta è diventata estremamente caotica, non c’è più nessun principio di accountability perché, se il sindaco doveva rappresentare il primo livello della democrazia e della «resa dei conti», tale principio è radicalmente saltato.
  Inoltre, come dicevo, i fabbisogni standard in questo caos fiscale sono diventati praticamente inutili rispetto alla funzione che dovevano avere, cioè quella di essere la pietra di paragone per quantificare l'imposizione locale.
  Le scelte di aumento dell'autonomia delle imposte locali dipendono in Italia dallo Stato, ma, come potete capire, sono saltate completamente le coordinate dell'autonomia locale.
  L'ultima novità è rappresentata dal fatto che si abrogherà l'IMU, quindi l'imposta sulla prima casa, per cui non ci sarà più il principio fondamentale secondo cui l'imposta non viene esportata ed è a carico di chi vota nel comune. Intendo dire che, se si abroga la TASI, praticamente, all'interno del comune il principio «vedo, pago e voto», che dovrebbe essere il cardine del prelievo fiscale, salta completamente e sarà sostituito con finanza di trasferimento, con un passo indietro notevole, anche dal punto di vista della responsabilizzazione; ecco perché ho iniziato dicendo che la crisi non è stata una semplice ricentralizzazione, ma ha fatto saltare, appunto, la dinamica fisiologica del federalismo fiscale.
  Adesso siamo in una dinamica completamente patologica che, a mio avviso, non è recuperabile. L'unico modo per recuperare sarebbe azzerare tutto e ripartire, perché in merito il Governo è diventato una specie di «apprendista stregone» che, a un certo punto, ha perso il controllo dalla macchina e ha provocato un «inferno fiscale». Tuttavia, chi ne sta facendo le spese non sono solo i sindaci ma anche i cittadini, che si vedono coinvolti in una dinamica, che adesso diventa particolarmente evidente – lo dirò anche riguardo alle regioni –, di un silenzioso processo di smantellamento dello stato sociale.
  La dinamica a cui siamo arrivati è quella di uno smantellamento silenzioso e nascosto dello stato sociale, perché tutti i tagli di spesa – capisco benissimo la preoccupazione della Corte dei conti – sono stati fatti «al buio», essendo di tipo lineare, a prescindere da una verifica della sostenibilità che nessuno ha fatto e a prescindere dal fatto che il comune dovrà chiudere gli asili nido o il servizio di mensa scolastica perché non avrà più le risorse necessarie.
  Noi siamo dentro questa dinamica e, secondo me, l'allarme che lancia un'autorità come la Corte dei conti, che non è mai stata tenera nei confronti degli enti locali, è estremamente significativo.
  L'altro esempio che voglio fare riguarda le regioni. In merito, a mio avviso, abbiamo assistito a un processo di deresponsabilizzazione istituzionale dello Stato, in quanto il coordinamento della finanza pubblica non è avvenuto in modo corretto. Lo Stato, infatti, non ha mai definito i livelli essenziali di assistenza (LEA) nel settore della sanità, che risalgono al 2001 e non sono mai stati aggiornati, anche se il finanziamento è stato sistematicamente ridotto. Per quanto riguarda gli andamenti tendenziali possiamo parlare di 15 miliardi o forse di 20 miliardi di euro di riduzione del fondo sanitario, ma i LEA sono rimasti invariati. Lo Stato, pertanto, non si è assunto la responsabilità di ridurre i LEA e, conseguentemente, il loro finanziamento, poiché ha mantenuto invariati i LEA e ha ridotto il finanziamento.
  In certi casi i LEA, previsti dall'articolo 117 della Costituzione, non sono stati nemmeno definiti, come i LIVEAS, cioè i livelli essenziali dell'assistenza sociale, che non sono mai stati definiti nel nostro ordinamento. Inoltre, su tutto è stato previsto un «livello essenziale », con una formula mascherata in cui lo Stato si assumeva alcune competenze, per esempio in materia di istruzione, ma i veri livelli essenziali non sono mai stati Pag. 6definiti, anche se la Costituzione li prevede dal 2001, e sono l'araba fenice della Costituzione italiana, nonostante siano il presupposto necessario del principio di uguaglianza in un sistema decentrato.
  Il fatto che i LEA non siano mai stati definiti è gravissimo, a mio avviso. Inoltre, il finanziamento è stato continuamente tagliato; da qui, la deresponsabilizzazione istituzionale dello Stato, che mantiene invariati i LEA della sanità, non li definisce nel settore dell'assistenza sociale, ma taglia i trasferimenti.
  Tuttavia, lo Stato, in questo modo, non si preoccupa di quello che succederà e si sottrae al controllo della Corte costituzionale, perché, se dice «elimino dai LEA una certa terapia», la Corte costituzionale può rispondere «è legittimo, puoi farlo, non puoi farlo, stai smantellando lo stato sociale o non lo stai smantellando», ma lascia invariati i LEA e taglia i finanziamenti, gli italiani dovranno pagare di tasca propria (out of pocket), cioè con i ticket o con altri sistemi. Il rapporto annuale 2015 dell'ISTAT mostra appunto l'enorme aumento della spesa out of pocket degli italiani e quello del Censis sulla situazione sociale del Paese 2014 dimostra che l'anno scorso il 15-20 per cento degli italiani ha rinunciato a una prestazione sanitaria; ecco perché parlo di smantellamento silenzioso e nascosto dello stato sociale.
  Vorrei fare un altro esempio in materia di sanità. La legge di stabilità dello scorso anno ha, per la prima volta, disposto il taglio diretto del fondo sanitario nazionale, ma l'ha fatto con questa dinamica: anzitutto, lo Stato ha detto alle regioni «se voi vi mettete d'accordo, potete evitare il taglio al fondo sanitario, ma se non vi mettete d'accordo, io taglierò il fondo sanitario, per cui vi propongo un taglio di circa 4 miliardi di euro sulla spesa extra sanitaria ma, se non ce la fate, sarò costretto a tagliare il fondo sanitario».
  Certo, si tratta di una logica ineccepibile, ma, se esaminiamo i bilanci, anche riclassificati dalla COPAFF, il taglio che imponeva lo Stato sulle spese extra sanitarie era superiore alla capienza della spesa extra sanitaria delle regioni per beni e servizi. Si tratta di un taglio di 4 miliardi di una spesa totale di cui un miliardo era vincolato per i contratti con Trenitalia e quello che rimaneva non era sufficiente. Quindi, le regioni avrebbero dovuto sopprimere i finanziamenti alle imprese e nel settore dell'assistenza sociale non appostare risorse per beni e servizi, per azzerare la spesa extra sanitaria rispondendo positivamente alla proposta dello Stato. Ma, non essendoci capienza, necessariamente una parte del taglio ha riguardato il fondo sanitario, che è stato tagliato di 2 miliardi.
  Tuttavia, un'altra dinamica paradossale è che il fondo sanitario non è stato tagliato di 2 miliardi in base ai fabbisogni e ai costi standard, ma in base al PIL, secondo il criterio previsto dalla legge di stabilità, quindi penalizzando le regioni più ricche.
  Il problema è che le regioni più ricche (Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Lombardia) sono quelle che hanno i sistemi sanitari più efficienti. Quindi il taglio è stato maggiore nelle regioni dove i sistemi sanitari sono più efficienti e non sono stati colpiti gli sprechi. Anche nel decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, sugli enti locali, sono previste misure assolutamente inaccettabili e irrazionali sulla sanità, come per esempio l'obbligo di rinegoziare i contratti in essere per l'acquisto di beni e servizi e i tagli ai contratti di fornitura del 15 per cento, come prevede l'articolo 9-ter del decreto-legge. Tuttavia, se in Veneto il costo dei pasti di una giornata di un paziente è di 7 euro, e in altre regioni è di 20 euro, se lo Stato impone un taglio del 15 per cento, si rischia di rendere insostenibile il costo per il Veneto e di «fare il solletico» laddove il costo è 20 euro, trattandosi di un taglio lineare.
  Ancora continuano dinamiche di questo tipo. Si taglia, infatti, il 15 per cento a prescindere dal prezzo di riferimento, secondo dinamiche che la dicono lunga. Pag. 7Tuttavia, se andiamo a vedere i dati – basta andare sulle banche dati a disposizione anche del Governo «OpenCivitas» o «Open conti pubblici», che mettono in evidenza le singole spese delle regioni, ci accorgiamo che, per esempio, le spese per le locazioni sono state tagliate nello stesso modo. Ma, se andiamo a vedere le spese delle locazioni della regione Campania e quelle della regione Lombardia, troviamo che anche per ridurre questo tipo di spesa, anche se non viene assunta come dato di riferimento, la tecnica adottata è quella del taglio lineare, perché si fa molto più velocemente e richiede meno approfondimenti.
  Noi stiamo rischiando di smantellare il sistema sociale e non lo dico io, ma i dati. Per esempio l'OCSE nel 2014 ha messo in evidenza che la percentuale rispetto al PIL che noi destiniamo alla sanità ormai è pari a quella della Grecia, quindi molto più bassa di quella della Germania, della Francia, della Danimarca, dell'Austria.
  Siamo a livello della Grecia e questa è la dinamica. Tuttavia, se alcune regioni funzionano e altre non funzionano, ma si impongono tagli maggiori a quelle che funzionano, è chiaro che si stanno creando i presupposti di uno smantellamento silenzioso dello stato sociale. In quelle regioni si registrano immigrazioni sanitarie di coloro che, a carico del servizio sanitario nazionale, scelgono di farsi curare in tali regioni. Per cui, se si altera il sistema, la gente, visto che non c’è più neanche la speranza della migrazione sanitaria, deve farsi curare a pagamento. Sta aumentando, infatti, la sanità a pagamento, per chi può permetterselo. Ormai i grandi gruppi sanitari non si accreditano neanche più nel sistema pubblico, perché tanto sanno che il malato sarà costretto a ricorrere a quello privato a pagamento, avendo, evidentemente, i soldi per farlo. Questa è la dinamica che si sta verificando.
  Ribadisco che stiamo assistendo, a mio avviso, a una fortissima deresponsabilizzazione istituzionale nel modo con cui si sta attuando la funzione statale di coordinamento della finanza pubblica, che è la funzione assegnata allo Stato, cioè il coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, questo non è coordinamento e non è assolutamente coordinamento razionale.
  In merito, secondo me, c’è una grave alterazione del sistema, perché la dinamica dei tagli lineari non tiene conto che il nostro welfare, tranne la parte pensionistica, è decentrato. Quindi, tranne quella parte pensionistica che è a livello centrale, il resto, cioè l'assistenza sociale e sanitaria, è decentrato. Inoltre, se, ricorrendo alla retorica degli sprechi delle regioni e degli enti locali, si taglia oltre misura, alla fine, dietro la retorica, c’è lo smantellamento dello stato sociale.
  Detto ciò, vorrei passare alla seconda parte del mio intervento e dire che la Commissione che presiedo ha elaborato, a gennaio 2014, un rapporto sulla distribuzione dei tagli che, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, è frutto della condivisione fra Governo centrale e autonomie, quindi fra Ragioneria generale dello Stato, Governo centrale e autonomie. Emergeva già in quel rapporto una dinamica di tagli che aveva colpito oltre misura gli enti territoriali. Per esempio, la spesa extra-sanitaria delle regioni risultava colpita del 38 per cento, a fronte del 27 per cento di quella delle province, del 14 per cento di quella dei comuni e del 12 per cento di quella dello Stato. Stiamo parlando di gennaio del 2014, poi questa distorsione è aumentata, come dice ormai anche la Corte dei conti.
  A mio avviso, a oggi, sulla spesa centrale dei ministeri non c’è stata nessuna seria spending review.
  Noi elaborammo quel primo rapporto, convalidato dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dalla legge n. 42 del 2009 e poi istituita nel 2013 dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Delrio, che era un organo, secondo me, molto importante. Tale organo, che avrebbe dovuto esprimere il proprio parere su tutti i rapporti finanziari fra regioni, enti Pag. 8locali e Governo, è previsto per legge, è istituito e dovrebbe essere sentito ogni volta che c’è una manovra.
  Tale Conferenza avrebbe dovuto ricalcare, nella logica della legge n. 42 del 2009, per esempio, il Consiglio di pianificazione finanziaria previsto in Germania, che è un organo assolutamente autorevole e molto considerato dai mercati perché composto dai ministri economici dei lander e del Governo centrale, avendo quindi una funzione importante di coordinamento di tutto il sistema. Tuttavia, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è stata istituita nel 2009, è stata convocata una volta, poi non è mai più stata convocata, nonostante la legge n. 42 del 2009 preveda che sia l'organo di raccordo.
  Inoltre, la COPAFF dovrebbe essere la segreteria tecnica di quella Conferenza, che però è stata convocata una volta e poi non è stata più convocata.
  Prima di rispondere volentieri alle domande che mi farete, vista questa situazione, ritengo di dover annunciare qui le mie dimissioni da presidente della COPAFF, visto che ormai è diventato un organo che ritengo completamente inutile.

  PRESIDENTE. Rispetto al quadro desolante prospettato dal professor Antonini, chiedo se ci sono domande o richieste di approfondimento o di chiarimenti.
  L'elemento che mi ha impressionato e che secondo me è indicativo, è stato il richiamo alla statistica dell'OCSE, che ha dimostrato che la spesa pubblica italiana dedicata al sistema sociale è esattamente pari a quella della Grecia. Si tratta, pertanto, di una situazione drammatica, ma che è il risultato di una serie di politiche in nome della razionalizzazione della spesa e all'insegna di una campagna contro gli amministratori locali e le regioni, in particolare, di pregiudiziale colpevolezza rispetto a nefandezze che, per carità, devono essere combattute e, in qualche modo, cancellate. Tutto ciò, alla fine, ha prodotto e produce il taglio dei servizi fondamentali ai cittadini, in particolare i servizi sociali, e adesso anche, probabilmente, dei servizi sanitari.
  Inoltre, mi ha colpito il fatto che i cittadini cercano la risposta alle loro esigenze sanitarie al di fuori della sanità pubblica, naturalmente per chi se lo può permettere, perché ci sono due possibilità. Infatti, chi se lo può permettere, trova una risposta a pagamento, mentre per chi non se lo può permettere non c’è nessuna risposta, il che è veramente grave.
  Penso sia necessaria una riflessione seria, che non comporta necessariamente una critica. Certo, chi ha una posizione politica diversa, come il sottoscritto, lo può fare anche per motivi ideologici e di scelta politica, di centralizzazione o di quella contraria. Tuttavia, penso che la politica di deresponsabilizzazione che produce questo tipo di risultati debba, in qualche modo, far riflettere chiunque, anche chi risponde a una logica centralista rispetto a chi risponde a quella federalista e autonomista.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringraziando il professore di essere qui oggi e rimanendo esterrefatto dalle dimissioni annunciate in questo modo, vorrei dire che, visto l'ottimo lavoro fatto, è un peccato che siano presenti, in pratica, soltanto tre parlamentari e mi scuso per l'assenza degli altri colleghi.
  Rimango esterrefatto dalle sue considerazioni perché sono veramente interessanti; si parla di sanità e di quello che realmente possono causare i tagli.
  Vorrei farle due domande. La prima: ha detto che la spesa per investimento delle regioni e dei comuni è del 70 per cento, ma cosa intende per spese d'investimento ?
  La seconda domanda riguarda, invece, la «COPAFF» tedesca. Vorrei sapere cosa fa la «COPAFF» tedesca, visto che lei ha detto che riunisce i ministri economici degli enti territoriali e quello del Governo centrale. Vorrei qualche informazione in più sulla grande considerazione di cui Pag. 9gode questo organo permanente di vigilanza in Germania, così capiamo cosa fa in più la Germania in questo campo, oltre alle tante altre cose che già fa. Grazie.

  PRESIDENTE. Ho una curiosità a proposito di accountability. Con l'eliminazione dell'imposizione sulla prima casa e con i trasferimenti dallo Stato, si opera sostanzialmente una clamorosa redistribuzione dell'imposizione, tale per cui i comuni e gli enti che più avevano, in qualche modo, premuto sull'acceleratore dell'imposizione locale oggi, improvvisamente, non rispondendo più ai cittadini su questo tipo di decisione di politica fiscale, sono i più beneficiati, per via del fatto che altri soggetti, grazie alla fiscalità generale, alla fine, sopporteranno l'onere di finanziarli.
  Ho fatto l'amministratore locale tanti anni fa, quando c'era la retorica dei «decreti Stammati» che, fotografando un certo tipo di situazione negli anni Settanta, sostanzialmente poi, per un ciclo pluriennale, hanno favorito i comuni più spendaccioni rispetto ai comuni più virtuosi. Infatti, i comuni che, alla fine degli anni Settanta, avevano speso di più, negli anni successivi hanno beneficiato di trasferimenti dallo Stato superiori rispetto a quelli dei comuni che, invece, erano stati più prudenti nella spesa. Ciò significa che anche oggi, a parità di condizioni, per un certo numero di anni, i comuni e gli enti, che più avevano tassato in un determinato periodo, saranno maggiormente beneficiati dai trasferimenti dello Stato. Questo è ciò che si sta verificando alla luce del disegno di legge di stabilità per il 2016, a meno che non ci siano modifiche e siano introdotti criteri d'impostazione diversi. Credo che questa sia la realtà.
  Questo fenomeno meriterebbe di essere analizzato in qualche modo. Certo, ho appreso delle sue dimissioni, però la COPAFF potrebbe farlo, cioè potrebbe verificare quali sono i comuni con la maggiore imposizione fiscale nel 2014.
  Adesso quella compensazione di 2 o 3 miliardi di euro o 3 miliardi e 500 mila euro – nessuno sa esattamente quant’è – da chi viene sostenuta e da chi viene pagata ? Credo dalla fiscalità generale, quindi sostanzialmente da chi paga.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il presidente per la chiarezza su una serie di questioni che sono state oggetto di approfondimento da parte di questa Commissione.
  Condivido la sua relazione per l'impostazione generale e la preoccupazione molto forte.
  Vorrei partire dalla riflessione del presidente per non cadere noi stessi, alla fine, in un tranello. Intendo dire che, se noi facciamo passare sostanzialmente l'idea che un sindaco che ha messo più tasse è, automaticamente, spendaccione, e che, quindi, i sindaci virtuosi sono quelli che hanno fatto pagare meno tasse, facciamo completamente saltare l'idea che le tasse devono essere correlate ai servizi. Questo è un problema vero, cioè stiamo coinvolgendo in questa «criminalizzazione» della tassazione anche comuni virtuosi che, magari, hanno un alto livello di tassazione, ma hanno anche un altissimo livello di servizi.
  In merito, mi permetto di fare una riflessione, non un'osservazione, al presidente, perché è un tranello molto pericoloso, visto che porta all'idea che, a questo punto, è meglio avere tutti le stesse tasse, il che è l'esatto contrario di qualsiasi ipotesi federalista. Inoltre, tale tranello è alla base del ragionamento per cui, alla fine, chi vota dovrebbe avere gli strumenti per valutare come sono spese le risorse derivanti dalle tasse da lui pagate e, conseguentemente, a fronte di due proposte differenti, valutare quella che prevede più servizi.
  Alle questioni che ha posto il presidente della COPAFF ne aggiungo un'altra, che è quella che, ad esempio, si è verificata con la cosiddetta «IMU agricola», cioè una tendenziale sovrastima del gettito teorico da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, quindi l'apertura di continui contenziosi nella definizione tra gettito teorico e gettito reale.Pag. 10
  Vorrei passare alla seconda questione che sta appesantendo i bilanci dei comuni: ammesso e non concesso che la stima da parte del Ministero del gettito IMU sia corretta, il replicarla tutti gli anni, senza tenere conto del crescente fenomeno dell'elusione e dell'evasione, sta provocando, di fatto, un taglio implicito, perché la crisi economica ha portato al diffondersi di fenomeni di difficoltà nei pagamenti, nella migliore delle ipotesi. Tuttavia, nella ipotesi peggiore, a questo punto, le tasse locali sono le ultime che si pagano, perché il mancato pagamento non ha risvolti penali. Mi riferisco alla crisi delle imprese perché, nei fallimenti, prima si mettono in regola le tasse che hanno risvolti di carattere penale.
  Per quanto riguarda la situazione in corso, io condivido che bisognerebbe avere il coraggio di ripartire da una sorta di «anno zero» per non prenderci più in giro ripetendo modelli di Stato federale, quando il nostro non è uno Stato federale. Tuttavia, non si può neanche pensare di tornare alla situazione dei «decreti Stammati». Inoltre devo dire, in merito, che il presidente Giorgetti ha usato la stessa immagine che il presidente Chiamparino usa da qualche giorno: il richiamo ai «decreti Stammati» è ricorrente, perché è vero che prefigurano un modello completamente differente.
  Non sapevo di questa cosa che ho imparato oggi grazie al presidente, cioè che, nel modello iniziale di autonomia regolamentare, era stata individuata una diversa flessibilità o comunque un diverso grado di autonomia, a seconda della dimensione dei comuni. Si tratta di una considerazione che ritengo molto efficace e credo sarà da riprendere, perché, effettivamente, l'alternativa potrebbe essere quella di individuare dei regolamenti standard, limitando l'individuazione dei livelli di esenzione.
  Tutto ciò va incontro – io faccio parte anche della Commissione finanze del Senato – anche alla richiesta degli operatori, come i commercialisti, che operano, per esempio, in un territorio come quello da dove arrivo, cioè il Piemonte, che ha 1.206 comuni. Infatti, se la provincia di Alessandria dovesse avere un cliente per comune, ci sarebbero 190 regolamenti, quindi è meglio non parlare ai commercialisti, perché le bestemmie mi sono già arrivate, quando in un comune si era fatto in modo e in un altro si era fatto diversamente.
  Teoricamente, il punto d'approdo ideale sarebbe di favorire in ciascuna comunità coloro che hanno, per esempio, un noccioleto, il che può diventare addirittura una leva interessante e intelligente di programmazione, ma è ovvio che, se si oltrepassa un certo livello, si va all'ingovernabilità e in quello che lei ha definito, con una espressione molto forte, «l'inferno fiscale».
  In ultimo, ho un'osservazione più di carattere metodologico. È in atto una scelta che va nella direzione della semplificazione il cui esempio più eclatante è la decisione assunta dal Governo con il disegno di legge di stabilità 2016 dell'abolizione pressoché totale dell'imposizione sulla prima casa, cosa che, devo dire, ovviamente ha il vantaggio della comunicabilità. Certo, il concetto è semplicissimo, però io credo, con un'opinione differente dalla sua, che ci possa essere una dialettica anche di tipo parlamentare, perché l'abbandono di qualsiasi logica di progressività dell'imposta, attraverso l'uso della detrazione, si porta dietro sicuramente una cosa di minore impatto comunicativo ma, alla fine, anche in termini di redistribuzione del peso fiscale, più corretta.
  La scelta che è stata fatta va nella direzione di «ristornare» un altro dato oggettivo di cui dobbiamo essere coscienti, cioè che il peso dell'imposizione immobiliare è passato, nel giro di pochi anni, da 9 a 25 miliardi di euro. C’è stato un eccesso, perché siamo passati dall'essere l'ultimo tra i grandi Paesi europei nell'imposizione immobiliare a essere il secondo o il terzo, a seconda da dove si considera la graduatoria.
  Certamente, quando dico «rifare il punto zero» significa capire, a questo Pag. 11punto, come teniamo insieme queste scelte con la richiesta dell'ANCI, per esempio, che afferma, sostanzialmente, che bisogna ripensare alla local tax, cioè reintrodurre in qualche modo un'autonomia tributaria dei comuni. La vera riflessione da fare è se vogliamo ridare un'autonomia tributaria ai comuni oppure, dando ragione al professore, chiamiamo le cose col loro nome, introducendo l'imposta statale sui capannoni e anche l'imposta comunale sui capannoni, perché oggi ci sono tutte e due, anche se, intuitivamente, l'imposta è municipale e il contribuente ne è convinto. Tutto ciò vale anche per l'IMU sulla seconda casa, perché il 38 per cento del gettito ritorna allo Stato col meccanismo che tutti voi conoscete.
  Io la inviterei, se mi posso permettere, a riflettere sulla sua decisione, perché forse in questo momento lo sforzo dovrebbe essere esattamente opposto, cioè provare, partendo dalla COPAFF, a lanciare l'idea – mi si passi una battuta – di Stati generali sul tema dell'autonomia tributaria, perché io credo che ci sia necessità di ripensare e di fare un «anno zero». In effetti, con la stessa logica, anche questa Commissione oggi è ancorata a una legge sulla cui applicazione, quando si vedono queste cose, ci si chiede dove si è arrivati, essendo esattamente dalla parte opposta rispetto a quando essa è stata approvata, ed è inutile stare a negarlo. Io sono convinto che lo sforzo debba essere esattamente opposto, cioè provare insieme, Governo, autonomie locali e regioni.
  Per quanto riguarda il tema delle regioni – poi chiudo chiedendo scusa perché mi sono un po’ dilungato – è stato molto enfatizzato quello che è successo in Senato. Come sa anche il collega Collina, l'ordine del giorno presentato lo scorso 8 ottobre dal collega Ranucci effettivamente fissava il numero ideale delle regioni a dodici, a seguito di un lavoro e di una conseguente proposta di legge, nonché la nuova definizione dei loro «confini». Tuttavia, è passata la comunicazione che è stato approvato quell'ordine del giorno. In realtà, non è stato accolto dal Governo nel suo testo originario – sappiamo cosa significa – ma con riformulazione, quindi nel dispositivo finale c’è, mi sembra, un invito al Governo a ragionare sul tema della riorganizzazione delle regioni, ma non individuandone il numero.
  Io credo che, all'interno di questo ridisegno, non ci possa non essere anche la dimensione ottimale delle regioni, perché, proprio a causa dei ragionamenti che noi facciamo spesso sui comuni, per cui oggi noi abbiamo leggi di bilancio che valgono sia per il comune di Roma sia per il comune di Moncenisio che ha trentatré abitanti, allo stesso modo, oggi, le medesime regole valgono sia per la Lombardia, che ha dieci milioni di abitanti, sia per il Molise, che ha meno abitanti della provincia da cui provengo.
  Esiste il tema delle dimensioni ottimali dei comuni e delle dimensioni ottimali delle regioni e, in mezzo, del ruolo dell'area vasta; particolare che è stato abbastanza tralasciato dalla comunicazione, anche se, per la prima volta dal 1948, il termine «area vasta» entra in Costituzione, in quanto le norme transitorie riportano, per la prima volta, la definizione di «enti di area vasta». Che cosa ne vogliamo fare, che livello di autonomia vogliamo dare loro, se attribuire tutte le competenze alle Regioni, e via dicendo, sono domande riconducibili a un unico tema.
  Dobbiamo costruire un'altra casa ed è inutile star dietro a quella che c’è già, perché, se si tira giù un muro, ne viene giù un altro. La situazione è in continua evoluzione, per cui le scelte compiute nel 2015 sono state fatte in una situazione di emergenza che tendiamo tutti a dimenticare. Adesso tutti sono pronti a chiedersi come hanno fatto i parlamentari a votare tali disposizioni, ma l'hanno fatto perché l'alternativa era portare i libri in tribunale.
  Probabilmente, la strada giusta è prendere atto di una situazione e provare a ridisegnarla, perché non credo neanche che oggi ci sia una volontà da parte del Pag. 12Governo di «uccidere» il sistema delle autonomie locali. Certamente, c’è in atto da tempo, ancor prima che da parte di questo Governo, un tentativo di ricentralizzazione abbastanza evidente e chiaro, però anche in una logica di decentramento, senza tirare in ballo il termine «federalismo». Ci sono, infatti, decentramento e decentramento e livelli di autonomia e livelli di autonomia.
  In merito, credo che il ruolo, ad esempio, anche della COPAFF può continuare ad essere estremamente utile e, in qualche modo, anche di sollecitazione nella direzione di un ripensamento complessivo dello Stato, anche perché i temi dell'articolazione dei livelli di governo si stanno evidenziando in una ridefinizione della struttura decentrata degli uffici, delle agenzie e delle varie strutture periferiche dello Stato stesso.
  Mi scuso se il mio intervento è stato lungo.

  PRESIDENTE. Vorrei dire che non critico chi ha scelto l'opzione di tassare di più o tassare di meno. Inoltre, come certamente il senatore Fornaro sa, c'era chi ha deciso, magari, di pigiare di più il piede sull'acceleratore delle addizionali IRPEF o delle imposte sulla casa. Tuttavia, è chiaro che il comune più efficiente, ad esempio, assicurava il servizio degli asili nido. Adesso, gli asilo nido, che prima erano finanziati dai cittadini con la tassazione locale di quel comune, sono finanziati dalla fiscalità generale. Quindi, per carità, encomio solenne a chi ha concepito quei servizi, ma chi li paga adesso ? Il rischio è che c’è chi eroga i servizi e chi tassa e, se non riusciamo a mettere in correlazione questo principio di responsabilità, credo che torneremo indietro, invece di andare avanti.

  STEFANO COLLINA. Se vogliamo fare l'elenco dei paradossi in Italia, ce ne sono e sono il risultato di una stratificazione storica di tutta una serie di aspetti e di modalità, quindi di storie che, territorio per territorio, si sono sviluppate e sovrapposte.
  Tuttavia, il problema è di capire quale sia la dimensione ottimale per erogare determinati servizi e fare determinate scelte.
  L'esempio della grande disomogeneità delle regioni è sotto gli occhi di tutti. L'esempio della grande disomogeneità dei comuni è un altro elemento sotto gli occhi di tutti. Mi chiedo come si possa confrontare l'autonomia impositiva di un comune di 2.000 abitanti rispetto alla sua capacità di erogare servizi con l'autonomia impositiva che può essere sviluppata da un comune di 60.000 abitanti, che ha un'organizzazione e delle necessità completamente differenti.
  Ci sono certi servizi che hanno necessità di una scala per poter essere erogati in modo efficiente. Inoltre, rispetto alla spesa storica, il punto è: noi siamo contrari al confronto tra la spesa storica e la riorganizzazione dei servizi sul territorio attraverso le autonomie locali. Tuttavia, questo tipo di confronto, che abbiamo cercato di indirizzare attraverso alcuni indicatori, come i costi standard, oggi si scontra sempre con questo elemento, perché il compito di un sindaco che viene eletto oggi è partire dal dato di fatto e ragionare su quello, su che servizi sta offrendo e su che risorse gli servono per continuare a mantenere quel livello.
  Nessun sindaco vuol fare la figura di quello che riduce i servizi, dopodiché dice: «sono arrivato adesso, che cosa posso fare di nuovo, visto che l'unica possibilità che ho è difendere la spesa storica ?». Si tratta di elementi da cui non si esce se non facciamo un ragionamento sui compiti, in termini di erogazione dei servizi, degli enti locali e delle regioni, perché oggi ci sono comuni che fanno cose che, probabilmente, non gli competono e altri che non fanno cose che dovrebbero fare, ma questo è un altro tema, e poi c’è, appunto, il problema della dimensione di sostenibilità economica dei servizi che devono essere erogati.
  Richiamare l'idea di fare un «punto zero», di sgombrare il tavolo e di ripartire Pag. 13dall'inizio è una cosa che si può fare su tutto, perché con una frase del genere («è tutto sbagliato, è tutto da rifare») si può dire di tutto, ma non siamo Bartali, quindi dobbiamo cercare dei percorsi per individuare le condizioni per potere rimettere in sesto il sistema.
  In merito, faccio un esempio sull'eliminazione dell'IMU sulla prima casa, che nasconde un tema irrisolto, la riforma del catasto. Noi, nel momento in cui vogliamo azzerare tutto, pensiamo a un mondo più equo e solidale, ma non possiamo immaginare di riformare il catasto senza neutralizzare l'IMU sulla prima casa o, comunque, le tasse sulla prima casa, che oggi sono basate su un catasto iniquo, perché ci sono villette degli anni Settanta, classate in un certo modo, che pagano molto di più rispetto ad appartamenti in centro storico che, ovviamente, erano stati classati nel 1939 come case popolari o anche peggio.
  Immaginatevi oggi fare la riforma del catasto con l'IMU sulla prima casa, quando alcuni si troveranno a moltiplicare per quattro la loro rendita, perché, chiaramente, oggi le rendite in centro storico sono molto diverse rispetto a quelle delle periferie, che invece hanno classamenti completamente differenti e superiori.
  Noi dobbiamo cercare le strade per garantire più equità in questo Paese, facendo delle scelte che vadano in una direzione sostanziale e non ideologica, e questo è il punto, perché poi si verificherebbero dei paradossi: per non far pagare l'80 per cento dei proprietari di casa, non si fa pagare neanche il restante 20 per cento.
  C’è una serie di scontri inevitabili legati al fatto che la frase «è tutto sbagliato, è tutto rifare, ripartiamo da zero», in realtà, rimane un concetto astratto. Noi siamo alla ricerca di strade concrete per dare equità, di passaggi graduali che tengano conto di una realtà presente e che non lascino indietro, possibilmente, nessuno rispetto ai problemi che ci sono da affrontare e che cerchino, appunto, di farsi carico di tutte le complessità che oggi ci sono. Questo è il punto.
  Mi rendo conto che, da questo punto di vista, si può dire tutto e il contrario di tutto, nel senso che, se uno fa una cosa, non era da fare e, se insiste su un punto, bisognava cambiare o, se le cose non cambiano, era meglio insistere. Ci sono, cioè, tanti punti di vista che possono confrontarsi, però io credo che oggi siamo a questo punto. Inoltre, la chiave di lettura che stiamo dando delle scelte di Governo e di tutte le possibili modifiche che riflettono le sensibilità presenti nel Parlamento rappresenta una linea, una possibilità, un disegno coerente che va in questa direzione.
  Io credo che su questo dobbiamo confrontarci. Questo è il tema che abbiamo davanti. Affrontiamo il tema delle dimensioni ottimali per l'erogazione dei servizi e cerchiamo di traghettare l'Italia da una situazione storica che sconta tante disomogeneità, tanti paradossi e tanti elementi stratificati nel tempo, verso una configurazione futura che garantisca realmente più equità ai cittadini ma anche un'organizzazione più sostenibile e efficiente allo Stato e alle autonomie locali.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Antonini per la replica.

  LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). È stato estremamente interessante quanto è stato detto, ma devo mantenere le mie dimissioni ed io le preannuncio qui appunto perché c’è una differenza fra la COPAFF e la vostra Commissione.
  La Commissione evidentemente ha una sfera di autonomia, può muoversi, può fare le audizioni, mentre la COPAFF si muove su input del Governo. In questo momento, a fronte delle mancate convocazioni e del modo con cui è stata considerata la COPAFF, io sono appunto qui e trasmetto a voi il mio allarme, in quanto il mio vuol essere un atto anche Pag. 14di trasmissione, in un luogo che stimo, come è questa Commissione, delle cose che ho detto, in modo che siano segnalate all'opinione pubblica del Paese e al cuore di questa Commissione, avendo quindi anche un valore simbolico.
  Certo, capisco che si potrebbero fare dei lavori interessanti, per i quali io rimango assolutamente disponibile sul piano accademico, da professore che si occupa da tempo di queste materie, però chiarisco che, finché non verranno definiti i LEA, io manterrò le mie dimissioni e, finché non verranno utilizzati i costi e i fabbisogni standard per attuare i tagli dei finanziamenti, io manterrò le mie dimissioni.
  Inoltre, vi dico che non ritirerò le dimissioni finché non verranno definiti i LEA, perché la ritengo una cosa fondamentale per far funzionare il sistema, e finché, quando si dovranno fare dei tagli a carico di un ente locale o di una regione, non si utilizzeranno i costi e fabbisogni standard e non più i tagli lineari, perché ritengo tale dinamica assolutamente deresponsabilizzante. Ribadisco che, se mi sarà offerto di ritornare, io porrò questa condizione, cioè che non debba più vedere, come presidente della COPAFF, cose di questo tipo.
  Per quanto riguarda l'altra questione sollevata, vorrei dire che è vero che non c’è la volontà di «uccidere», ma si trascura l'aspetto per cui, quando si altera un principio di un sistema istituzionale, quel principio poi «si vendica», perché non è mai indolore l'alterazione di un principio.
  Per esempio, se si elimina l'imposta sulla prima casa, si sta alterando un principio fondamentale della dinamica del decentramento e del federalismo fiscale. Quindi, sicuramente, si creano delle distorsioni, perché, appunto, si ritorna a un fenomeno che è deresponsabilizzante, si ritorna alla finanza derivata.
  I «decreti Stammati» per quanto tempo li abbiamo pagati nel sistema e per quanto tempo abbiamo pagato quella distorsione di un principio nel sistema ? Intendo dire che la distruzione di un principio si paga per anni, ma è questo l'errore che bisogna evitare.
  Un altro aspetto che non ho citato prima ma che è stato messo in evidenza dai commissari è quello della questione delle capacità fiscali. In questa Commissione è stato detto che le capacità fiscali dovrebbero essere definite con riferimento a tutte le imposte, invece la scelta del Governo è stata di limitare le capacità fiscali all'IMU e alla TASI. Quindi, per esempio, l'imposta di soggiorno non rientra più nelle capacità fiscali, premiando indebitamente comuni, come Firenze, Roma e altri, perché facciamo pagare di più gli altri.
  Per quanto riguarda il catasto, per esempio il comune di Padova, avendo fatto l'aggiornamento del catasto, è stato virtuoso anche più dello Stato, ma adesso è fortemente penalizzato, per esempio, rispetto a Verona, dalla distribuzione del fondo di solidarietà, perché gli si sottrae molto di più. Quindi, pur essendo virtuoso per avere aggiornato il catasto, è penalizzato.
  Capite bene che è un'alterazione del principio che determina distorsioni che si trascinano per anni. Credo che l'aggiornamento del catasto sia assolutamente fondamentale e da attuare. Infatti, quando si è applicata la rivalutazione, quando venne introdotta l'IMU dal Governo Monti, su coefficienti catastali che, appunto, erano completamente sballati, si è moltiplicata in modo esponenziale l'odiosità e la distorsione dell'imposta, perché è stata triplicata. Tutto ciò, però, non è corretto anche perché io credo che la revisione del catasto debba essere fortemente progressiva perché, in genere, sull'appartamento in centro si paga come su quello in periferia. Tuttavia, l'appartamento in centro ce l'ha il ricco, in genere. Quindi io credo che tali questioni debbano essere affrontate, anche se son d'accordo sul fatto che ci potrebbero essere anche altri aspetti.
  Per quanto riguarda le dimensioni ottimali, in Germania il numero dei comuni è stato dimezzato, perché erano Pag. 1522.000 e oggi sono 8.000; in Gran Bretagna e in Danimarca è successa la stessa cosa, cioè si è creata una dimensione ottimale, arrivando a dire «questa è la dimensione efficiente» di un comune, ed è stato fatto d'autorità. Tutto ciò aiuta un processo di decentramento e federalismo, nel momento in cui si realizza un'economia di scala e si capisce qual è il livello efficiente.
  L'altra questione che è stata sollevata è quella che riguarda il Consiglio di pianificazione finanziaria tedesco. Si tratta di un meccanismo che io ritengo fondamentale; infatti, l'altra cosa, a mio avviso, sconcertante è che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica dimostra tutti i limiti del nostro sistema, perché in Germania nessuno si sogna di prendere una decisione che riguarda il coordinamento della finanza pubblica fuori da una sede istituzionale adeguata, essa non viene assunta nella stanza del Ministero e poi portata alla Conferenza, perché esiste una sede dedicata, che lavora settimane per capire l'impatto della decisione sul sistema e, alla fine, viene condivisa fra i ministri economici. Questa è la differenza e noi siamo molto indietro.
  Addirittura, come dicevo, le decisioni che il Consiglio di pianificazione finanziaria prende sono tenute in conto dai mercati, perché essi sanno che quella è la sede dove si decide il futuro e lo sviluppo di un sistema. Quindi, si spiega perché venne introdotta con la legge n. 42 del 2009 la COPAFF, che ha il compito di far funzionare il sistema, addirittura più del Senato federale: serve una sede che abbia questa specifica competenza. L'impatto di un taglio non è una cosa da poco, perché ci vogliono delle competenze tecniche e delle strutture idonee per capire come ripartirlo o meno; non è un'operazione che si può fare come i conti sulla carta, ma è un'operazione delicatissima, perché si sta ragionando sulla pelle della gente.
  In Germania hanno sedi istituzionali dedicate, mentre da noi tutto avviene in una stanza di un Ministero e poi c’è una contrattazione fra tecnici molto estemporanea. Questo fa la differenza fra federalismo tedesco e federalismo all'italiana. Uno dei punti è che in Germania hanno sedi istituzionali «vere», che ragionano su questi temi, da noi si va, senza volontà di «uccidere» nessuno, per approssimazione, quindi senza nessun criterio.
  Per quanto riguarda la spesa di investimento, il 75 per cento è decentrato, cioè si tratta di opere medie o piccole, come il ponte o la strada del comune. Tuttavia, se racconto all'estero del termine per l'approvazione del bilancio preventivo, si mettono a ridere e non credono al fatto che il bilancio preventivo da noi è approvato dai comuni entro il 30 novembre, con proroga per alcuni al 15 dicembre.
  Come fa il comune a programmare la spesa ? Se io rompo la capacità di programmazione di un comune, ho rotto il sistema, perciò dicevo che l'alterazione di un principio non è mai indolore. Se adesso si sopprime l'IMU sulla prima casa e lo rapporto alle imposte, anche lì si produce un'alterazione di un principio, perché si stabilizza, di fatto, uno sforzo fiscale passato. In certi casi, potrebbe essere un comune che ha garantito più servizi effettivamente, però si altera comunque il principio. Può essere anche il contrario, cioè un comune che deve recuperare un dissesto, perché ha sprecato. Il problema è che l'alterazione di un principio si paga per anni, o anche per decenni.
  Ho detto «azzerare», cioè tornare all’«anno zero», per dire che bisogna tornare ad un contesto di principi sviluppati coerentemente; per questo oggi non è più recuperabile la situazione: «l'apprendista stregone» e «l'inferno fiscale». Tornare all’«anno zero» vuol dire tornare a principi coerenti, a una logica di sistema fatta di principi coerenti. Questo è l'azzeramento. Ritengo che, se lo Stato ha una necessità di spesa, deve introdurre un'imposta che si chiama «statale», altrimenti si altera un principio e la cosa grave è che si altera un principio di Pag. 16democrazia. Infatti, secondo il principio di no taxation without representation, la democrazia nasce sulla questione fiscale, anche se questa è la cosa che in genere viene trascurata.
  Le città metropolitane sono state istituite, ma la base fiscale è quella delle vecchie province, il che è inconcepibile. Non si capisce che il sistema autonomistico vive del sistema fiscale che lo alimenta, perché è lì che si gioca la responsabilità e l’accountability e non si possono disegnare le città metropolitane. Tra l'altro, era in discussione una delega al Governo per realizzare, appunto, il sistema finanziario, che però è rimasta lettera morta, perché si tratta dell'alterazione di un principio. Infatti vediamo qual è la situazione in cui si trovano le città metropolitane.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Antonini, che credo debba meditare di nuovo sulle sue dimissioni, anche perché la COPAFF è, per legge, lo strumento di ausilio per l'attività della nostra Commissione, sia per la produzione di documenti, sia ovviamente, come in questo caso, in occasione di audizioni.
  Capisco, e personalmente condivido, molte delle osservazioni che ha fatto però, anche come auspicato dai colleghi, forse è il momento di non mollare la presa e provare, in qualche modo, a correggere una tendenza che non è condivisibile.
  La ringrazio e ringrazio tutti i colleghi.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.