XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 56 di Giovedì 1 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze, Pier Paolo Baretta, sullo stato di attuazione delle disposizioni sul pareggio di bilancio di Regioni ed enti locali (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera dei deputati):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Baretta Pier Paolo (PD) , Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 6 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 7 
Fornaro Federico  ... 8 
Guerra Maria Cecilia  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Baretta Pier Paolo (PD) , Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze ... 10 
Fornaro Federico  ... 12 
Baretta Pier Paolo (PD) , Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze, Pier Paolo Baretta, sullo stato di attuazione delle disposizioni sul pareggio di bilancio di Regioni ed enti locali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze, Pier Paolo Baretta, sullo stato di attuazione delle disposizioni sul pareggio di bilancio di Regioni ed enti locali.
  Il Sottosegretario Baretta è accompagnato dai suoi collaboratori Daniela Lembo, Teresa Romeo, Davide Marchi e Angelina Squillacioti.
  Ringraziando il Sottosegretario per la disponibilità, vi informo che c’è una relazione scritta che sta per essere distribuita, in modo che potrete seguire l'intervento.
  Do la parola al Sottosegretario per lo svolgimento della relazione.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze. Grazie, presidente, onorevoli deputati e senatori. Sono io che vi ringrazio per l'invito a questa audizione che è riferita allo stato di attuazione della legge n. 243 del 24 dicembre 2012 concernente le disposizioni per l'attuazione del principio di pareggio di bilancio, ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, nei termini previsti dall'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012.
  Tale legge è declinata per gli enti territoriali agli articoli 9, 10, 11 e 12. Come sapete, è legge «rinforzata» in quanto presenta delle varianti rispetto al procedimento di approvazione ed è sottratta all'effetto abrogativo della legge ordinaria.
  L'articolo 9, comma 1, della stessa legge dispone che gli enti locali debbano conseguire, a decorrere dal primo gennaio 2016, sia in fase di previsione che in fase di rendiconto, l'equilibrio tanto in termini di saldo complessivo di bilancio (entrate finali e spese finali) quanto il saldo di parte corrente, includendo tra le spese correnti anche le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti, entrambi sia in termini di competenza che di cassa.
  S'impone, dunque, per l'ente locale di garantire l'equilibrio non più solamente ex ante e in termini di competenza, secondo le prescrizioni dell'articolo 162 del Testo unico degli enti locali, ma anche ex post e in termini di cassa.
  Il successivo articolo 10 permette il ricorso all'indebitamento sulla base di intese concluse in ambito regionale, che però garantiscano l'equilibrio di cassa del complesso degli enti territoriali sottostanti e della regione stessa. Tali intese sono necessarie per attivare nuovi investimenti, effettuati non solo con il ricorso all'indebitamento ma anche attraverso i risultati di amministrazione degli esercizi precedenti.Pag. 4
  La norma impone che il pareggio dei quattro saldi obiettivi – saldo in termini di competenza e di cassa tra le entrate finali e le spese finali e saldo di competenza e di cassa tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le rate di ammortamento prestiti – sia perseguito tenendo conto dell'impatto delle eventuali fasi avverse del ciclo economico sul bilancio degli enti territoriali, cui si fa fronte con la previsione dell'articolo 11 che istituisce un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze finalizzato a finanziare, in caso di condizioni sfavorevoli del ciclo economico o in caso di eventi eccezionali, i servizi essenziali inerenti ai diritti civili e sociali ed è alimentato da una quota parte delle risorse degli enti, influenzata dal ciclo economico.
  La dotazione del fondo è stabilita nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio e la ripartizione fra gli enti è effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenuto conto delle entrate proprie di ciascun ente, influenzate anch'esse dall'andamento del ciclo economico.
  Parallelamente a quanto stabilito in caso di fasi avverse del ciclo economico, nella congiuntura economica favorevole agli enti è richiesto un contributo da destinare al Fondo ammortamento titoli di Stato, definito e ripartito tra gli enti, considerando la quota di entrate proprie influenzata dall'andamento del ciclo.
  Nel corso della discussione relativa all'imminente applicazione della norma, sono emerse delle criticità in ordine alla complessità per gli enti locali di realizzare tale obiettivo. Considerate le criticità emerse, evidenziate anche dagli stessi enti territoriali, l'entrata in vigore della legge n. 243 del 2012 dal primo gennaio 2016 rappresenterebbe una complicazione rispetto all'attuale situazione, caratterizzata dal rispetto dei parametri imposti dal Patto di stabilità interno, che peraltro nel corso degli ultimi anni ha subìto diversi aggiustamenti favorevoli agli enti locali.
  In particolare, la preoccupazione degli enti locali è fondata sul fatto di dover conseguire contemporaneamente un numero di saldi – otto, ma per le regioni parliamo di sedici, se consideriamo anche la sanità – così evidentemente maggiorato rispetto alla situazione esistente che vede sostanzialmente la presenza del solo saldo obiettivo del Patto di stabilità e crescita, oltre ovviamente all'equilibrio di parte corrente in sede di preventivo, come disposto dal Testo unico.
  A ciò aggiungo che già nell'esercizio 2015 il comparto regioni ha sperimentato una versione attenuata dell'articolo 9, mettendone in risalto le criticità esposte.
  Negli ultimi mesi, quindi, ci si è confrontati su una possibile ipotesi di cambiamento dell'attuale assetto, tenendo conto che una modifica della legge n. 243 del 2012 richiederebbe una maggioranza qualificata e, pertanto, la sua effettiva realizzabilità nelle condizioni attuali investe valutazioni più specificatamente politiche.
  Un'ipotesi di revisione potrebbe riguardare gli articoli 9, 10, 11 e 12 della legge stessa al fine di migliorarne la coerenza con i vincoli di finanza pubblica. Poiché tale prospettiva di modifica implica un approfondito lavoro preparatorio di difficile realizzabilità entro il 2015, il Governo ha già chiesto all'Unione europea il posticipo del pareggio di bilancio dello Stato e potrebbe essere considerata, in coerenza, anche la possibilità di posticipare le regole di attuazione della legge n. 196 del 2009 relative al pareggio degli enti, in considerazione del fatto che i vincoli nominali di finanza pubblica imposti dall'Unione europea sono sostanzialmente due: lo stock di debito pubblico e il flusso di indebitamento netto della pubblica amministrazione.
  L'eventuale posticipo dei tempi previsti per il pareggio al 2017 comporterà comunque di definire le regole di finanza pubblica con cui si governerà l'anno 2016, considerato che il Patto di stabilità interno, di fatto, sembra aver esaurito la sua funzione. Si potrebbe pensare a un percorso parallelo che, accanto alla definizione Pag. 5di nuove regole di finanza pubblica, configuri, specialmente per il comparto dei comuni, un percorso coerente di superamento della spesa storica e di entrata a pieno regime, con le opportune gradualità, di un sistema di allocazione del Fondo di solidarietà comunale interamente sulla base dei fabbisogni standard e della capacità fiscale, così come previsto dalla legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
  Con riferimento alle eventuali modifiche degli articoli da 9 a 12, va considerato che l'articolo 9 comporta per gli enti locali il raggiungimento di quattro saldi non negativi, sia in fase di previsione che di rendiconto. In tale ottica, la proposta potrebbe essere quella di far conseguire agli enti un solo saldo obiettivo, espresso in termini di competenza, tra entrate finali (Titoli 1, 2, 3 e 4) e spese finali (Titoli 1 e 2) sia in fase di preventivo che di rendiconto. L'obiettivo numerico sarebbe fissato con legge dello Stato con valenza triennale, tenendo conto dei parametri di virtuosità, nel rispetto dei vincoli contabili europei, lasciando comunque aperta la possibilità, contenuta nell'articolo 10, di «movimentare» gli equilibri degli enti territoriali, purché venga garantito l'equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti. Tutto ciò naturalmente rispetto all'unico vincolo sopravvissuto.
  L'eliminazione della «non negatività» del saldo obiettivo dei vincoli, dunque, lascia la determinazione dell'obiettivo interamente alla conduzione della politica economica su un orizzonte triennale. In tal modo, viene conseguito il cambio di segno dell'obiettivo numerico assegnato. Nelle fasi negative del ciclo economico vi è la possibilità teorica di fissare un obiettivo negativo con previsione di rientro nel triennio, mentre nelle fasi positive la politica economica può chiedere all'amministrazione locale una compartecipazione allo sforzo controciclico e fissare un obiettivo numerico positivo.
  Tale impostazione appare più coerente con la lettera e lo spirito del nuovo articolo 81 della Costituzione che, vi ricordo, così recita: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta [...]».
  A tal proposito, evidenzio che forti sono anche le richieste da parte degli enti territoriali di agevolare contabilmente gli investimenti, proponendo per il pareggio un unico saldo finale di competenza. Parimenti forti sono le spinte a liberare l'avanzo e consentirne l'utilizzo per gli investimenti. In realtà, non esistono contrarietà di tipo politico o tecnico, ma solo di copertura.
  Il ragionamento può essere completato valutando, poi, l'opportunità di abrogare gli articoli 11 e 12, nella misura in cui il Fondo straordinario – da istituirsi presso il Ministero dell'economia e delle finanze per ammortizzare l'impatto che eventuali fasi avverse del ciclo economico o eventi straordinari possano avere sui servizi essenziali inerenti ai diritti civili e sociali – presenta un meccanismo troppo complesso e farraginoso e potrebbe creare articolate e infinite complicazioni nella fase della sua assegnazione e distribuzione. Inoltre, implicherebbe uno stanziamento nel bilancio dello Stato, peraltro al momento non previsto, fino al 2017. In caso di abolizione, dunque, entrerebbero in gioco le previsioni del nuovo articolo 9, lasciando alla politica economica la fissazione di target triennali, possibilmente anche in base alle fasi cicliche dell'economia.
  A tal proposito il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha espresso la condivisione tecnica di privilegiare il saldo di competenza. Si ricorda che dal 2015, a seguito dell'applicazione dei princìpi contabili recati dal decreto legislativo n. 118 del 2011, è molto vicino alla dinamica della cassa e dell'indebitamento netto. Peraltro, il divieto di utilizzo di partite straordinarie per finanziare la spesa corrente, al fine di evitare difficoltà strutturali nei bilanci degli enti, è già Pag. 6contenuto nella riforma della contabilità degli enti territoriali di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011.
  In merito alla sostituzione dell'obiettivo del pareggio con un obiettivo stabilito dalla legge dello Stato con valenza triennale, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha evidenziato che, come già accaduto per le regole imposte dal Patto di stabilità interno, alcuni enti non potranno spendere gli avanzi di cassa, mentre altri avranno l'obiettivo di competenza che consente spese maggiori della cassa disponibile.
  Resterebbe comunque aperto il problema della distribuzione dell'obiettivo fissato per ciascun livello di governo fra i vari enti. Il ciclo economico, inoltre, non avrebbe lo stesso effetto su tutti gli enti di un certo livello di governo.
  I criteri di virtuosità andrebbero definiti, in quanto senza l'esatta declinazione degli stessi si rischia di lasciare disattesa la norma o addirittura potrebbero verificarsi fenomeni distorsivi, premiando enti virtuosi sotto alcuni aspetti ma negligenti verso altri (cito gli esempi di Palermo e Catania del 2009).
  Probabilmente sarebbe più opportuno lasciare il richiamo all'obiettivo di pareggio, ma gestire separatamente gli interventi di riequilibrio del ciclo economico oppure, lasciando la norma vigente, considerare l'istituzione del fondo magari semplificandone le modalità di utilizzo.
  Un'altra soluzione potrebbe essere prevedere una norma che consenta l'intervento dello Stato per modificare degli obiettivi, in considerazione degli effetti del ciclo economico sulla finanza degli enti territoriali e al fine di rispettare i vincoli imposti dall'Unione europea.
  Resta, comunque, da approfondire il problema relativo al ricorso all'indebitamento per finanziare gli investimenti.
  Mi avvio alla conclusione prospettandovi, a questo punto, due possibili alternative.
  La prima è quella di ritenere possibile la modifica della legge n. 243 del 2012, come finora prospettato. In tal caso, è opportuno posticipare all'anno 2017 l'attuazione della stessa, in attesa delle revisioni che necessitano dell'assenso del Governo, dopo gli approfondimenti necessari. Tale percorso deve cominciare immediatamente, dai primi di gennaio. Se tale fosse la linea adottata, chiedo sin da ora ai presidenti delle Commissioni Bilancio e al presidente Giorgetti di programmare questo percorso immediatamente dopo la sessione di bilancio, per non trovarci che il rinvio ci porti semplicemente a un altro anno inutile.
  Nel caso prevalesse, al contrario, una valutazione di tipo politico circa l'impossibilità o inopportunità di modificare la legge n. 243 del 2012, la stessa andrebbe comunque attuata nell'anno 2016, con interventi nella normativa secondaria volti alla soluzione dei punti di maggiore criticità, come ad esempio sanzionare solo il mancato rispetto del saldo ritenuto più importante o entrate e spese finali in termini di competenza. In tal caso, potrebbe essere opportuno rimandare l'attuazione, in via interpretativa, della legge all'anno 2017 e prorogare per gli enti locali le regole vigenti del Patto di stabilità interno.
  Resta, comunque, da risolvere il problema delle regole di finanza pubblica per le regioni che dal 2015 stanno sperimentando i saldi previsti all'articolo 9 della legge n. 243 del 2012, sebbene con importanti deroghe.
  Presidente, ho ritenuto opportuna una illustrazione molto aperta che consenta una discussione tecnica e politica da parte della Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie, Sottosegretario Baretta. Prima di dare spazio alle domande, vorrei fare un breve cappello.
  Questa legge, come ricorderà anche l'onorevole Baretta, è nata in una fase particolarmente convulsa e delicata della storia politica italiana e sull'onda di una pressione che arrivava dai mercati in primo luogo, ma anche dagli organismi internazionali e dalla Commissione europea, e non solo, sul Parlamento. Tale pressione ha prodotto dapprima la modifica dell'articolo 81 della Costituzione e Pag. 7poi l'approvazione della legge «rinforzata» di attuazione dell'articolo 81.
  Tali provvedimenti sono stati fatti non dico con fretta e neanche con superficialità, però sicuramente su un'onda emotiva tale per cui le decisioni adottate in Parlamento – basta vedere le maggioranze con cui sono state approvate le due norme – hanno fatto sì che dovesse prevalere, come purtroppo avviene anche in altri casi, la rapidità nella decisione piuttosto che l'approfondimento della medesima. In sostanza, faceva premio il fatto che si approvasse comunque la norma per dare un segnale fuori, rispetto al fatto che una norma debba essere adeguatamente approfondita.
  Credo sia ulteriormente confermato da quanto detto dal Sottosegretario Baretta che l'argomento è di assoluta complessità e che, a distanza di anni, gli approfondimenti che immagino il Governo attuale, come già i precedenti, sta conducendo con gli enti locali e gli enti territoriali, confermano la difficoltà a ricercare una sintesi tra gli obblighi costituzionali, i vincoli europei, che via via sono stati diversamente anche interpretati, e una fase del ciclo economico che probabilmente oggi si presenta un po’ diversa rispetto a quella del passato.
  Aggiungo anche che probabilmente altri, che questo tipo di pressione anche temporale e mediatica non l'avevano, come i tedeschi, se la sono presa un po’ più comoda. Io non vorrei sbagliare, ma ricordo che nell'audizione che abbiamo avuto con il nostro validissimo ex presidente della Sassonia, egli ci ha detto che loro questi tipi di vincoli li hanno introdotti a decorrere dal 2020 e hanno adottato, ad esempio per l'indebitamento, una regola fissa alla tedesca (0,5 e via dicendo).
  Chi ha partecipato a quella audizione – chi non l'avesse fatto può sicuramente rintracciare la documentazione rilasciata – può capire come sia un sistema frutto di un altro tipo di cultura e di un approccio molto schematico.
  Si tratta di un problema che sicuramente rende impraticabile e impossibile partire nel 2016 con tale strumentazione. Inoltre, da quello che ho sentito rimangono comunque alcune problematiche di difficile soluzione. In merito, cito soltanto uno dei problemi, quello relativo al ricorso all'indebitamento per finanziare gli investimenti. Vorrei far presente che già non riusciamo a risolvere il problema degli avanzi di cassa e di come possano essere effettivamente utilizzati per gli investimenti da coloro che li hanno generati nell'ambito delle varie regole del Patto di stabilità.
  Rimane un altro problema, che cito en passant. La legge n. 243 del 2012 merita aggiornamenti, manutenzioni e modifiche, ma siamo proprio sicuri che l'articolo 81 da cui genera la legge n. 243 del 2012 non necessiti anch'esso di una qualche forma di manutenzione ?
  Anche l'articolo 81 della Costituzione è stato approvato con una maggioranza che un tempo si diceva «bulgara», ma direi che, più che bulgara, è coreana del nord. Siamo sicuri che l'articolo 81, così come è scritto, non ponga delle limitazioni e, di fatto, alla fine quel benedetto articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012 renda impossibile modificare in alcuni punti critici la legge n. 243 del 2012 ? Questa è la riflessione che faccio. Intendo dire che sia la legge n. 243 sia il rinnovato articolo 81 sono figli dello stesso clima e sono figli di una stessa impostazione che oggi non è più di moda e che probabilmente dovrebbe essere aggiornata. Probabilmente è necessario modificare la legge n. 243 del 2012 in base alle nuova sensibilità politiche, ma forse anche una qualche limatura e un qualche aggiornamento rispetto a quanto scritto nella legge costituzionale n. 1 del 2012 sarebbero necessari e opportuni.
  Naturalmente questa è una mia riflessione, la riflessione di chi in qualche modo ha contribuito anche a generare queste norme in un clima totalmente diverso.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIOVANNI PAGLIA. A parte il fatto che avete fatto una quantità di danni in Pag. 8quella legislatura che non ne basteranno dieci per rimediarla ! Dite che avete salvato il Paese, ma ogni tanto è meglio essere lasciati affondare che essere salvati, visti i costi dei salvataggi.
  Premesso che io non credo che siano inattuabili tali norme sul piano tecnico, ho semplicemente l'impressione che porterebbero alla paralisi sia politica che gestionale ed economica i nostri enti locali. Non mi sembra che ci sia un'impossibilità tecnica nell'attuazione e forse nemmeno una difficoltà. C’è un'impossibilità, poi, di contribuire in qualsiasi modo allo sviluppo del Paese.
  Mi sembra che la cosa più interessante da discutere riguardi le due soluzioni prospettate alla fine. La seconda mi lascia un po’ perplesso, per cui vorrei capire meglio come si ritenga possibile che una legge, per di più rafforzata, sia modificata di fatto per via regolamentare nei suoi punti di maggiore criticità. Peraltro, modificare per via regolamentare e fare i bilanci degli enti locali su questa base, salvo poi avere una Corte che interviene per dire quello che dovrebbe apparire di primo acchito ovvio, cioè che per via regolamentare non si può modificare nella sostanza una disposizione di legge, a me sembrerebbe inopportuno. Quindi, visto che è scritto così, vorrei capire meglio.
  Mi lascia perplesso anche la possibilità di rimandarne l'attuazione per via interpretativa, anche perché – ha ragione il presidente Giorgetti – c’è addirittura una derivazione da una norma costituzionale. Se la Costituzione è chiara laddove parla di pareggio di bilancio, dato che essa vale anche per gli enti locali, è ovvio che qualcuno deve determinare a un certo punto qual è il ciclo economico avverso, perché una norma costituzionale come quella sul pareggio di bilancio non la si supera per via interpretativa o attraverso delle modifiche regolamentari, apparentemente.
  In realtà, tale ragionamento vale anche, sotto alcuni aspetti, per la modifica della legge, perché, se pareggio di bilancio deve essere, pareggio di bilancio deve essere. Al massimo si dovrebbe, mi pare di comprendere, modificare la legge, andando a capire chi e come si determina una fase di ciclo economico avverso, quindi come ciò influisce nella possibilità di determinare una temporanea divergenza dagli obiettivi.
  Noi abbiamo richiesto insieme ad altre forze di cambiare anche l'articolo 80; abbiamo detto che l'unico articolo che andava cambiato, essendoci una riforma costituzionale in essere, era proprio l'articolo 81, ma, per ragioni che non si possono trattare in questa sede, sembra che non ci sia la possibilità di discuterne.
  Come ho già detto, credo andrebbero approfondite sia la prima che la seconda ipotesi perché, in particolar modo la seconda, dal mio punto di vista, sembra di difficile attuazione. Tuttavia, anche la prima ipotesi mi pare abbia problemi ben più forti di quanti ne mostri apparentemente.
  Non si tratta semplicemente di cambiare una legge e neanche di trovare una maggioranza qualificata, che credo si troverebbe con una certa facilità, perché la sensibilità del Parlamento, come si è visto in tutte le condizioni in cui si è trattato di superare vincoli rigidi, è sempre stata favorevole a farlo. Il punto è non aprire con tale cambiamento una fase di incertezza e, poi, di potenziali bombe giurisprudenziali sui bilanci degli enti locali.
  Su tale aspetto, fin da adesso, vi invito a fare un'attenzione estrema, perché non vogliamo ritrovarci in una situazione come quella della regione Piemonte, laddove a un certo punto arriva la Corte dei conti e ti dice che hai un potenziale buco di miliardi perché la norma era stata male interpretata o non è applicabile.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il Sottosegretario Baretta per l'onestà intellettuale della presentazione e cerco di andare al nocciolo, anche se lui rimanda a scelte politiche che in qualche modo sono sia del Parlamento ma anche del Governo.
  La mia valutazione, a caldo e seguendo il filo logico della sua presentazione, è che l'unica cosa certa è che l'applicazione tout court dal primo gennaio del 2016 del Pag. 9pareggio di bilancio sia impraticabile, e lo è per una serie di ragioni, non ultimo il fatto che una quota significativa degli investimenti di questo Paese passa per il comparto delle autonomie locali. In questo momento, il rischio di congelamento e di ulteriore diminuzione, che è già stata significativa in questi anni di crisi, svolgendo esattamente la funzione opposta a quella che avrebbe dovuto svolgere, cioè essere anticiclica, in realtà ha finito per aggravare la crisi.
  Detto ciò, se la soluzione al problema sia la prima o la seconda ipotesi bisognerà valutarlo. Tuttavia, nelle valutazioni complessive del Governo per la ricerca di una soluzione intermedia – quella che, mi pare, il Sottosegretario Baretta ha preconizzato nel documento – mi sento di inserire un ulteriore elemento. Si tratta di un tema che, se si parla con gli amministratori locali, è un po’ un leitmotiv che ritorna ciclicamente ed è l'utilizzo degli avanzi di amministrazione.
  Credo, assumendomi la responsabilità di quello che dico, che il Patto di stabilità, progressivamente eroso nella rigidità, sia per larga parte dei comuni in questo momento considerato gestibile, magari con un ulteriore depotenziamento. Tuttavia, quello che non è gestibile anche agli occhi dei cittadini è avere avanzi di amministrazione molto significativi di comuni virtuosi che sono sostanzialmente non spendibili. Per quanto la legge sull'armonizzazione dei bilanci ha ridimensionato le dimensioni di questi avanzi di amministrazione, dove però ci sono e dove a questo punto sono certificati, il non poterli spendere effettivamente rischia di essere una beffa per gli amministratori e quindi anche per i cittadini di quei territori.
  Mi chiedo se un uso non indiscriminato dell'avanzo di amministrazione, inteso come investimenti, ma mirato ad alcuni tipi di investimenti, come quelli per le scuole o quelli infrastrutturali determinati, precisi e non interpretabili, potrebbe essere una soluzione.
  Mi permetto di avanzare un ulteriore suggerimento, pensando al fatto che il Patto di stabilità ha avuto due fasi, in particolare la fase che ha interessato i comuni tra 1.000 e 5.000 abitanti, che nel primo periodo erano esclusi dal Patto di stabilità. Se dunque noi rinviassimo e ritornassimo per esempio al modello iniziale di Patto di stabilità, che coinvolgeva solo i comuni sopra i 5.000 abitanti, riducendo quindi di molto la platea interessata, e intervenissimo in maniera selettiva sull'avanzo d'amministrazione, credo che queste due cose insieme potrebbero consentire un governo della materia. Ovviamente sullo sfondo rimane la questione se intervenire, perché a questo punto alla domanda del Governo la risposta, a mio giudizio, non può che essere la prima, cioè la via maestra di intervenire con la modifica della legge n. 243 del 2012. Questo è abbastanza evidente. Mi sono permesso, quindi, di indicare alcune possibili vie di fuga.
  Da ultimo, vorrei affrontare una questione che credo il Governo abbia ben presente, ossia le tempistiche. È evidente che non possiamo affrontare le richieste che vengono dai comuni più seri che stanno impostando i bilanci del 2016 e ci chiedono se c’è o meno l'attuazione del pareggio di bilancio, né possiamo dirglielo onestamente a marzo o aprile del 2016, altrimenti tutti i ragionamenti che facciamo ciclicamente circa la certezza, la tempistica e la programmazione sono assolutamente inutili.

  MARIA CECILIA GUERRA. Ringrazio anch'io il Sottosegretario Baretta perché effettivamente la sua relazione è molto utile nel fare un punto, anche se è un punto che ci lascia tutti preoccupati, a partire dallo stesso relatore.
  Anch'io sarei partita dall'ultima osservazione del senatore Fornaro, cioè dal problema delle tempistiche, perché è veramente un tema di grande preoccupazione per noi anche in relazione a tutti gli altri problemi che abbiamo esaminato nel corso di queste audizioni.
  Poiché il senatore Fornaro di fatto ha già illustrato i punti che anche secondo me sono più rilevanti e poiché dobbiamo andare via per partecipare a un'altra Commissione Pag. 10alle 9, ci tengo ad ascoltare le sue risposte, quindi aggiungo un ulteriore punto. Nel definire il nuovo quadro di finanza locale, con l'urgenza che ormai i tempi richiedono, sono preoccupata per la questione del Fondo di solidarietà comunale e dei fabbisogni standard, non perché io abbia dei problemi con i fabbisogni standard – ne abbiamo parlato lungamente, sicuramente sono un criterio – però qui si parla di superare la spesa storica.
  Ora, noi sappiamo che questo Fondo, che ovviamente dovrà giocare un ruolo, è un fondo apocrifo, nel senso che doveva essere un fondo di perequazione ed è in larga parte di compensazione. Tuttavia, se questo Fondo continuerà a essere e, da quello che si capisce, lo sarà ancora di più, dal momento che per forza gli verrà scaricata anche la compensazione della eventuale abolizione dell'IMU prima casa, noi avremo l'impossibilità di superare il ritardo della spesa storica. Il criterio della compensazione congela la situazione in essere, comunque lo si faccia: riconoscendo o meno lo sforzo fiscale si fa un errore, perché se lo si riconosce si premia chi ha fatto lo sforzo fiscale permettendogli di fare più servizio a carico della comunità collettiva; se lo si toglie, si toglie una leva autonoma, dopo che la si era concessa, a chi magari si è portato avanti con spese che poi non può più finanziare.
  Se non affrontiamo il problema della coerenza fra le modalità di finanziamento e quello che i comuni devono fare, questo Fondo non può essere tirato da tutte le parti per assegnargli delle funzioni che non può svolgere. Io non ce l'ho con i fabbisogni standard, ma con la retorica dei fabbisogni standard. Non possiamo dire che stiamo migliorando la spesa storica e che mettiamo i fabbisogni standard, come è accaduto l'altro anno, quando abbiamo aumentato la percentuale ma l'abbiamo applicata a una quota del fondo di solidarietà ridotto perché tutto il resto era compensazione.
  Ritengo che questo tema debba essere affrontato, e rapidamente, nell'ottica di una riconsiderazione della finanza comunale nel suo complesso. Bisogna capire – lo propongo anche come tema di revisione costituzionale – se, dal momento che non crediamo più nell'autonomia fiscale come fonte di finanziamento primario degli enti decentrati, sia delle regioni che dei comuni, non sia bene ripristinare la possibilità dei trasferimenti non perequativi, perché francamente altrimenti il sistema non regge.
  Sottolineo tale aspetto perché il tema del finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni è evocato anche dalla legge che noi vogliamo giustamente superare, e sono d'accordo sul fatto che andrebbe superata il più possibile nel modo lineare, cioè modificandola, però vi ricordo che quella legge si pone un problema di finanziamento dei livelli essenziali e che, quando parliamo di fabbisogni standard, non ci riferiamo ai livelli essenziali ma ai criteri di ripartizione di un fondo predeterminato che può essere assolutamente insufficiente a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni.
  A mio avviso, si tratta di un tema che prima o poi, nel medio periodo, non in questi tre mesi, dovremo porci.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Baretta per la replica.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze. Sicuramente condivido, avendola convissuta, l'analisi che il presidente Giorgetti all'inizio ha ricordato sul contesto nel quale è nata quella legge. Voglio dirle in battuta, onorevole Paglia, che lei non sa a quanti guai abbiamo rimediato rispetto alle impostazioni originarie che ci erano state proposte di quella legge, tant’è che lo stesso testo dell'articolo 81, che il presidente Giorgetti ci invita ad approfondire, è stato oggetto in quella situazione di una dura discussione e, come io ricordo sempre, non è un caso che non compaia la parola «pareggio», ma la parola «equilibrio».
  Non sarà soddisfacente ai fini della discussione che stiamo facendo oggi in un contesto diverso, ma in quella circostanza l'impostazione originaria dello stesso Governo di allora era esattamente il pareggio chiuso nell'arco dell'anno.Pag. 11
  La dizione finale che il Parlamento ha scelto è molto trasversale; in questo caso devo dire che nell'intero Parlamento, con le parti che sostenevano il Governo di allora, c’è stata una discussione molto schietta e anche molto condivisa. Alla fine, si è approdati in primo luogo al concetto di equilibrio, in secondo luogo al tener conto del ciclo positivo e avverso.
  Non c’è dubbio che la complessità della materia, che ho cercato di rendere evidente e senza nessun velo, ha bisogno di ulteriori riflessioni e di soluzioni meno improvvisate dal punto di vista logico.
  Viene considerata da me, ma anche da voi, una difficoltà applicativa tout court nel 2016. Questo è vero, però voglio dire – perché è giusto che lo facciamo in riferimento anche ad alcune osservazioni fatte – che le difficoltà applicative che io ho evidenziato e che voi avete considerato sono inerenti alla struttura stessa della legge, quindi l'opzione che io suggerisco è evidentemente quella di scegliere una via di riforma, ma non possiamo nasconderci, per onestà intellettuale, che vi sono lentezze nella gestione da parte degli enti locali.
  Il riferimento ai fabbisogni standard, al di là della retorica, significa l'approccio a un salto di qualità complessivo che potrebbe comportare la loro adozione, ma potrebbe comportare anche una revisione del sistema dei fondi con i quali oggi si regola il traffico dei rapporti tra enti locali e Stato centrale.
  Devo riconoscere che, da quando me ne occupo, avverto nelle discussioni, forse per comprensibili ragioni – i comuni sono 8.000, sono molto differenziati e hanno diversa distribuzione territoriale – che la rappresentanza dei Comuni tende ad avere un approccio iperprudenziale sull'applicazione dei fabbisogni standard, finendo così per esaltare anche oggettivamente le difficoltà applicative della legge.
  Quest'anno abbiamo avuto una lunga discussione sulla dimensione, perché il Governo aveva proposto il 44 per cento, ma poi si è scesi al 20 per andare incontro alle richieste che ci sono state. Esiste, dunque, un'oggettiva difficoltà applicativa, ma, nel momento in cui noi decidessimo, come personalmente prospetto e mi pare sia opinione abbastanza condivisa, di affrontare una riforma, facciamola pure con tutta la condivisione possibile, ma deve essere finalizzata al salto di qualità complessivo della gestione del quadro di riferimento che abbiamo di fronte.
  Devo dire, per rispondere alla richiesta dell'onorevole Paglia, che privilegio la prima ipotesi, come ho detto in maniera abbastanza esplicita, ma mi è parso doveroso mettervi di fronte alle due opzioni perché, essendo tra l'altro a ottobre, ho trovato giusto che si prendesse in considerazione anche la tesi che privilegiasse la possibilità di non modificare il quadro, e non a caso faccio l'esempio delle sanzioni nella seconda ipotesi.
  Certo, se si scegliesse di non cambiare niente, le modifiche di tipo interpretativo sarebbero limitate, come è nell'esempio delle sanzioni, laddove non c’è bisogno di un intervento normativo. Tuttavia, se si ritiene che la legge debba restare quella di adesso, per cui andrà in vigore il primo gennaio il pareggio di bilancio, così come previsto dalla legge, e, se si vogliono fare degli aggiustamenti, ad esempio la dimensione e la qualità delle sanzioni sarebbero disponibili indipendentemente dalla modifica della legge.
  È chiaro che si tratta di una via secondaria. Personalmente, come ho detto abbastanza chiaramente, privilegio la prima, ma – qui mi riferisco alle tempistiche – non a caso in maniera esplicita chiedo ai presidenti delle Commissioni competenti che, se il Parlamento e il Governo scelgono la via della riforma e quindi in legge di stabilità decidono il rinvio al 2017 (penso che siamo in condizione di farlo in legge di stabilità perché ha un riferimento non soltanto ordinamentale ma esplicitamente collegato all'andamento della finanza pubblica), a gennaio si cominci a fare, attraverso le audizioni, il lavoro per arrivare a definire il nuovo assetto della legge.
  Per quanto riguarda gli avanzi di bilancio, la questione è molto semplice: non esiste, come accenno, nessuna obiezione di carattere politico e tecnico, ma si tratta di Pag. 12un classico caso dove il problema sono le coperture. Il comparto dei comuni è complessivamente in attivo di circa 2 miliardi, però è un attivo di media, quindi abbiamo situazioni nelle quali ci sono comuni con disponibilità teorica, per capirci, di 4 e comuni con non disponibilità di -2.
  È evidente che, per le regole europee attuali, se noi decidessimo, come io propenderei, per una soluzione come quella che lei ha prospettato, cioè mettendo a disposizione anche una parziale liberazione degli avanzi finalizzata a investimenti specifici, per la scuola o altro, dobbiamo tener conto che ci vuole una copertura. Lo Stato decide di mettere sul tavolo 500 milioni, un miliardo o un'altra cifra finalizzata a consentire ai comuni che hanno l'avanzo di bilancio di spenderlo.
  La questione è delicata, il che ulteriormente ci porterebbe a dire che è meglio rinviare per ragionarci, perché tale questione si pone comunque e, anche nell'ipotesi che fosse applicato il pareggio di bilancio tout court, avremmo il problema delle coperture almeno in fase iniziale.
  Infine, l'opzione – in questa sede, per le competenze che ho – che propongo al Parlamento è quella di considerare la prima delle due strade, cioè quella di rinviare l'adozione del pareggio di bilancio, ma condizionata all'avvio della riforma – non un milleproroghe – dandoci anche tempi relativamente certi per la definizione di un nuovo assetto.
  Più complesso dal punto di vista politico è se mettiamo mani o meno all'articolo 81 della Costituzione: non mi sento di rispondere questa mattina, ma prendo atto della riflessione.
  Sicuramente, per quanto riguarda il lavoro da fare, va fatto con il Parlamento e con gli enti locali, ma insisto, concludendo, che abbiamo bisogno che il comparto complessivo degli enti locali si faccia carico di questa fase nuova anche in termini di approccio per se stesso delle novità che la riforma può comportare.

  FEDERICO FORNARO. Mi scusi, Sottosegretario Baretta. Vorrei capire se in merito c’è qualche orientamento: per esempio, ritornare alla fase iniziale dell'applicazione del Patto con l'esclusione dei comuni fino a 5.000 abitanti ritiene che sia un'ipotesi praticabile o possibile ?

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze. Credo che siamo un po’ oltre come quadro di riferimento, anche perché, siccome noi stiamo favorendo come linea generale la fusione e gli accorpamenti, se escludiamo dal Patto i comuni piccoli è come se favorissimo la loro conservazione.
  Bisogna rendere compatibili le due strade, quella che favorisce la fusione dei piccoli comuni, per i quali, come sapete, nella legge di stabilità dell'anno scorso è prevista l'esclusione dal Patto per cinque anni, e una strada diversa. Come molti di voi sanno, è in piedi una discussione per una proposta di legge parlamentare sui piccoli comuni che facciamo fatica a sostenere anche per questo aspetto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Baretta.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.55.