XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 67 di Martedì 15 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 3 
Gasparri Maurizio  ... 7 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 8 
Rossi Maurizio  ... 9 
Verducci Francesco  ... 10 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 11 
Ranucci Raffaele  ... 12 13 
Scavone Antonio  ... 14 
Nesci Dalila (M5S)  ... 14 
Minzolini Augusto  ... 16 
Anzaldi Michele (PD)  ... 17 
Fornaro Federico  ... 17 
Fico Roberto , Presidente ... 18 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 13.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. L'audizione è volta ad acquisire elementi informativi sui motivi alla base della decisione di ospitare alcuni esponenti del clan dei Casamonica alla trasmissione Porta a Porta andata in onda lo scorso 8 settembre 2015, nonché sulla compatibilità del suo svolgimento con i criteri che dovrebbero caratterizzare l'informazione del servizio pubblico radiotelevisivo, secondo i princìpi contenuti nel vigente Contratto di servizio e nel Codice etico della Rai.
  Do la parola al dottor Leone, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Ringrazio il presidente e la Commissione per quest'audizione. Sono trentadue anni che lavoro in Rai e per me ogni volta venire qui è sempre un motivo di accrescimento. Cercherò di rispondere nella maniera più sintetica e, mi auguro, anche ampia possibile ai temi che sono stati svolti in precedenza all'audizione di oggi.
  Comincerò ricordando che l'articolo 2 del vigente Contratto di servizio dispone, al comma 1, lettera d), che Rai debba «assicurare un elevato livello qualitativo della programmazione informativa [...] il pluralismo, la completezza, l'imparzialità, l'obiettività, la deontologia professionale e la garanzia di un contraddittorio adeguato, effettivo e leale, così da garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, nel rispetto del diritto/dovere di cronaca, della verità dei fatti e del diritto dei cittadini a essere informati». Ancor più nel dettaglio si va all'articolo 9, dedicato alle quote dell'offerta televisiva, laddove tra l'altro si ricorda e si ribadisce la necessità, al comma 2, lettera a), di trattare tematiche di attualità interna, di fenomeni sociali ed economici e di condizioni della vita quotidiana del Paese.
  Il tema svolto da Porta a Porta nella puntata di martedì 8 settembre rientrava tra le fattispecie informative sopra descritte. Il programma, giunto al ventesimo anno di trasmissione, è il più autorevole luogo televisivo di seconda serata in cui si descrivono quotidianamente le realtà politiche, sociali, economiche e di cronaca, e proprio di cronaca si è occupato nella puntata di cui stiamo parlando, trattando il fatto sicuramente più rilevante dell'intera estate, che purtroppo ha fatto il giro Pag. 4del mondo e che rappresenta, per la sua pacchianeria e il disprezzo delle più elementari regole della convivenza civile, un fenomeno sociale di totale rilievo. Il fenomeno è di tale rilievo che ha rappresentato anche un luogo di acceso dibattito politico sulle responsabilità attuali e passate dell'amministrazione capitolina, ma non solo, e del concetto stesso di impunità e di mancanza di una visione di insieme dal punto di vista giuridico e legale. Mi riferisco, in particolare, a quella che viene considerata la parcellizzazione delle responsabilità dei diversi componenti della famiglia Casamonica, mai riunite in un'unica voce.
  Porta a Porta ha ritenuto, alla sua ripresa autunnale, che non andasse rimosso quel vulnus che ha macchiato l'immagine della capitale, ma che andasse, al contrario, raccontato nella sua integralità, a partire dal necessario approfondimento sulle motivazioni sociali che hanno spinto la famiglia del cosiddetto clan a inscenare quello spettacolo osceno. Di questa intenzione, ovvero di dedicare una puntata al caso nelle modalità realizzate, ero ovviamente stato informato, come deve esserlo un direttore di rete. La catena di controllo prevede che le decisioni prese di giorno in giorno dalla redazione di Vespa di Porta a Porta, con la partecipazione di un nostro giornalista dirigente, siano poi comunicate alla vicedirezione e alla direzione di rete, che possono intervenire in ogni momento nel processo decisionale. Questo avviene anche, per intenderci, per gli altri programmi di approfondimento di rete. Mi riferisco a Uno Mattina, alla Vita in Diretta, a Petrolio e a tutti quei programmi che hanno come base fondante l'informazione e l'approfondimento.
  Dal 20 agosto scorso, data del funerale di Vittorio Casamonica, il caso è montato ininterrottamente su tutti i media, anche con riflessi internazionali. Era, pertanto, scontato e doveroso che una trasmissione informativa come la nostra dovesse occuparsene, sia pure con le necessarie cautele. Per questo motivo Vera Casamonica, figlia di Vittorio, e il nipote Vittorino sono stati invitati, dopo una lunga ricerca, perché entrambi incensurati e senza alcun avviso di procedimento penale.
  Bruno Vespa, conduttore del programma, ha valutato che solo la presenza in studio di esponenti della famiglia Casamonica potesse garantire la percezione dell'impatto criminoso che questo clan aveva avuto e ha sulla città di Roma e che costituisse anche un modo per presentare in televisione esponenti di una famiglia di cui tutti parlano, ma che il pubblico non conosce. Un collegamento fuori studio, opzione presa in esame vista la delicatezza del caso, non avrebbe permesso di approfondire tutti gli aspetti della vicenda, né di avere un vero contraddittorio. Nello studio è stata garantita la presenza di due prestigiosi giornalisti particolarmente esperti sui Casamonica, come Virman Cusenza, direttore del più importante giornale di Roma, Il Messaggero, e Fiorenza Sarzanini, la più preparata giornalista di giudiziaria italiana, o comunque una delle più autorevoli e importanti, responsabile di questo servizio per il Corriere della Sera e autrice di articoli e inchieste proprio sui Casamonica.
  Con il conduttore essi hanno incalzato i due ospiti e anche il legale della famiglia, mettendo a fuoco tutte le pendenze giudiziarie che il clan Casamonica ha maturato in questi decenni. In particolare, Bruno Vespa ha fatto presente che sono attualmente inquisiti 117 membri della famiglia per reati che vanno dallo spaccio di droga all'estorsione, dall'usura al furto e che 82 sono attualmente sotto sorveglianza della polizia. Naturalmente, sono tutte posizioni al vaglio dell'autorità giudiziaria, ma tutto il casellario giudiziario di Vittorio Casamonica – un caso di usura, uno di estorsione, uno di truffa ed emissioni abituali di assegni a vuoto – è stato illustrato dettagliatamente in trasmissione. In un serrato confronto con la figlia, Bruno Vespa ha ricordato che Vittorio ha cominciato a 13 anni a trafficare con i motorini e che, se a 17 anni aveva una Ferrari, doveva essersela guadagnata in modo illecito, evidentemente, per di più diventando ricco senza pagare le imposte.Pag. 5
  Il punto centrale del programma era, tuttavia, un altro: Vespa ha contestato agli ospiti che la solennità del funerale, pure abituale tra gli zingari, o le tribù, come vengono talvolta denominate, con la musica del Padrino, i manifesti inneggianti al «Re di Roma» vestito da simil-pontefice e scritte come «Hai conquistato Roma», erano semplici segnali di potere lanciati al mondo criminale romano. Del funerale non si era accorto nessuno, all'inizio. Sono stati i familiari stessi di Vittorio a lanciarlo mediaticamente, proprio per confermare il loro potere. Gli stessi Casamonica in studio e il loro avvocato hanno ammesso che decine di membri della famiglia, anche non congiunti di Vittorio, hanno pesantissimi conti aperti con la giustizia. Non c’è stata, quindi, alcuna concessione al folklore, bensì la solita linea di informazione che caratterizza Porta a Porta, una linea rigorosa, puntuale sugli appuntamenti di cronaca e in grado di fornire agli spettatori una lettura completa e corretta degli avvenimenti, con testimoni giuridicamente scomodi presenti in studio. Non è stata la prima volta, ovviamente, che questo è avvenuto, come ben sapete. Per questo motivo nella puntata del programma sono stati trattati tutti gli argomenti più spinosi con trasparenza e completezza, senza fare sconti di alcun genere. Tra l'altro, compito della trasmissione era mostrare il vero volto della tribù rom: quando si parla riduttivamente di famiglie, talvolta si sbaglia. Qui si parla di centinaia di persone legate da complessi legami, distribuite su territori talvolta più vasti di quelli nazionali, clan, o meglio tribù, all'interno dei quali vivono, talvolta nell'ignoranza, regole e riti collettivi per noi difficili da capire e da giustificare. Su questo ha scritto, proprio commentando Porta a Porta, un interessante articolo Dijana Pavlovic su Il Fatto Quotidiano. Tutto ciò non esclude, ovviamente, la presenza di attività illegali, per ora legate a responsabilità individuali, che sono state in ogni momento del programma debitamente citate. Tutto questo è quello che ha voluto mostrare Porta a Porta in quella puntata dedicata al funerale.
  Per quanto riguarda i contatti con i Casamonica, sono avvenuti attraverso il legale della famiglia e la presenza in studio non ha comportato alcun onere per l'azienda. Vera e Vittorino Casamonica hanno presenziato a titolo gratuito e si sono presentati all'appuntamento con i propri mezzi, senza, dunque, alcun costo per Rai.
  I servizi trasmessi durante la puntata hanno funzionato da corollario al programma, con spunti importanti. In un ampio servizio, frutto di contatti diretti con i magistrati inquirenti, tra i quali Michele Prestipino, capo della DDA di Roma, era intervistato il capo della squadra mobile di Roma, che ha riassunto tutti i reati e il peso criminale del clan, in grado di controllare alcuni quartieri della capitale. Alcuni servizi trasmessi nel corso della puntata si sono occupati, oltre che dell'inchiesta giudiziaria, di cui abbiamo parlato in precedenza, anche della manifestazione per la loro legalità, svoltasi nella piazza del funerale qualche giorno prima, alla presenza del sindaco, della concessione di alloggi popolari in tempi passati a numerose famiglie nel clan e, infine, della documentazione sulla provenienza del carro funebre e del suo costo presso la società noleggiatrice.
  Consentitemi, dunque, una riflessione. A caldo io dichiarai: «Porta a Porta ha trattato un argomento controverso con trasparenza e completezza di informazione, senza fare sconti di alcun genere e con l'interesse di fornire ai telespettatori il più ampio quadro possibile di notizie», quello che oggi sto riferendo nuovamente. Questa parte, però, la prima parte del comunicato ufficiale, è stata da qualcuno criticata perché letta come la difesa a trecentosessanta gradi del nostro programma, in quel momento oggetto di contestazioni, come se non si volesse mai ascoltare la voce degli altri. Allo stesso tempo, però, dissi – questa era la seconda parte del comunicato del direttore di Rai 1 quel giorno – che «le reazioni diffuse dei cittadini ci hanno fatto riflettere su quanto sia cruciale il ruolo del servizio pubblico nel trattare tematiche delicate Pag. 6come queste». Pertanto, ho annunciato la puntata del giorno dopo, da alcuni considerata riparatrice – il senso era quello di chiarire e approfondire dopo le polemiche – dedicata a un'intervista sul controverso tema all'assessore capitolino per la legalità Sabella, che ha potuto, con molta incisività, svolgere tutte le tesi contrarie ad alcuni contenuti della trasmissione.
  Che cosa vuol dire tutto questo ? Che non abbiamo ignorato le critiche che ci sono state rivolte e che ci siamo posti il problema di ritornare sul tema in modo conclusivo, chiarendone i contorni e trasmettendo il parere schietto e motivato dell'autorità capitolina che ha subìto il danno di quel funerale. Sabella non ha mancato di presentare e di argomentare, in modo anche energico, le critiche al programma, inquadrando il tema nel contesto della visibilità negativa della comunicazione criminale.
  Dunque, abbiamo ritenuto corretto e doveroso dedicare un'ulteriore puntata di Porta a Porta proprio per rivolgerci a coloro che non avevano apprezzato né capito lo spirito informativo a cui si era ispirata la trasmissione. Non ci siamo chiusi in una difesa a oltranza, ma abbiamo responsabilmente aperto a un supplemento informativo.
  Vorrei concludere l'intervento ribadendo che ogni esperienza in televisione, soprattutto se legata a un'intensa e diffusa reazione di malessere, non può essere da noi liquidata con la certezza di chi ritiene di aver operato bene. Non possiamo, dunque, ignorare quella parte della collettività che ci ha criticato. Abbiamo voluto comprendere le ragioni, al netto delle logiche politiche, che, anche in questo caso, non sono state del tutto estranee al dibattito. Vi garantisco che ne stiamo ancora parlando e che ci stiamo interrogando. C’è qualcosa, però, di più profondo che l'aspro confronto di questi giorni e di queste ore tende a trascurare. Si tratta, secondo me, di questo: la televisione, tutta la televisione, e con essa il nostro racconto pubblico, ha talvolta perso il senso – nella percezione degli altri, sia chiaro, non nella nostra – di una netta distinzione tra il bene e il male. Sì, certo, i vecchi cliché educativi sulla Rai pedagogica non stanno certamente più in piedi. L'attenzione del pubblico si raccoglie intorno a una trama e, se questa trama risulta troppo edulcorata o troppo didascalica, il suo messaggio non arriva a destinazione, talvolta. Resta, però, la necessità di evitare, per la semplificazione e l'immediatezza del messaggio televisivo attuale, che il bene e il male, laddove esistano, siano percepiti in modo confuso e sovrapposto.
  Probabilmente c’è chi pensa che i protagonisti di una trama, in questo caso il racconto dei Casamonica, per il solo fatto di essere in quel momento protagonisti e di trovarsi al centro della trama abbiano acquisito un livello di legittimazione. Nessuna persona può dare credito alla versione dei Casamonica per come è stata trattata la loro storia, né la loro condizione morale può essere ingigantita dal fatto di essersi seduti sulle poltroncine bianche del programma. Eppure qualcuno ha pensato che essi siano stati messi su un piedistallo e che il solo fatto di ascoltare le loro improbabili spiegazioni li abbia messi in condizioni di privilegio. Al contrario, ritengo che abbia reso evidente a tutti quelli che poco sapevano, non avendo avuto modo magari di conoscerli bene. Questo è ciò che ci deve interessare: come evitare che la necessaria esposizione dei fatti da parte di protagonisti di fatti rilevanti, ancorché negativi ed esecrabili, diventi altro, come fare per evitare che alla televisione vengano attribuite responsabilità che sono, invece, del racconto che si è appena fatto. Questo è il rischio che si cela sempre nel linguaggio televisivo, che cerca il racconto con tutti i protagonisti, anche quelli negativi. Dico questo per far capire che ci è chiaro questo rischio, ma che questo rischio non deve impoverire il racconto, né far venire meno voci determinanti per la sua comprensione e per la completezza della sua esposizione. Al contempo dovremo lavorare, perché è necessario cercare sempre il meglio, affinché il luogo televisivo non venga confuso con la tribuna che restituisce dignità a tutti. La risposta non sta, dunque, nel diminuire le Pag. 7voci, ma nel renderle sempre più chiaramente distinte, spiegando al nostro pubblico che i codici televisivi possono talvolta indurre in errore, ma che è meglio correre questo rischio che impoverire la ricostruzione. Ritengo che il programma abbia seguito questi codici, ma ritengo anche che il dubbio debba essere la nostra unica certezza e che questa riflessione non debba fermarsi qui, ma possa essere motivo per noi di elaborazione, di analisi e di continua crescita anche grazie al contributo di questa Commissione e di questo dibattito intorno alla trasmissione.

  MAURIZIO GASPARRI. Ringrazio il direttore, anche perché non ho sentito una difesa aprioristica. La parte finale, in particolare, introduce questo elemento del dubbio sul modo di fare la televisione e sulla presenza di personaggi di varia natura, su dove la cronaca dove si ferma e su dove deve arrivare.
  È ovvio che questo è un dibattito che proseguirà. Io stesso personalmente non amo questo tipo di televisione, ma neanche i grandi gialli esplorati in maniera da vivisezione di cui tante volte si discute, che toccano argomenti meno sensibili politicamente. La vicenda di cui si è discusso è intrecciata con le vicende romane, con le vicende amministrative e ha assunto una sua rilevanza, che va al di là dell'attività criminale degli appartenenti, o di alcuni appartenenti, alla famiglia Casamonica.
  Ritengo che l'illustrazione sia stata chiara, ma voglio anche aggiungere una mia opinione e considerazione. Credo che noi, come Commissione di vigilanza, dovremo discutere delle vicende che complessivamente hanno riguardato fattori di questa natura. Anni fa ho chiesto, per esempio, inutilmente, che si discutesse – non lo facciamo mai in Commissione di vigilanza – di un caso più eclatante. Io, che protestai per un caso più eclatante, potrei legittimamente protestare oggi, ma ritengo che la vicenda, così come è stata illustrata e gestita, rientri più nell'ambito della cronaca. Molti hanno taciuto, anche se ho visto che molti hanno protestato adesso per la presenza dei Casamonica, quando alcuni anni fa la Rai – ho qui tutte le mie dichiarazioni che feci allora, come membro della Commissione di Vigilanza – nel 2009-10, la Rai ospitò in più occasioni Ciancimino junior, il quale andò in televisione supportato anche dall'esterno da un magistrato importante, che poi fondò un partito, Ingroia, il quale lo definì «un'icona dell'antimafia». Il conduttore all'epoca era Santoro, e il suo collaboratore Ruotolo, che condivideva anche frequentazioni con Ciancimino. Ciancimino andò in televisione a dire cose che poi si rivelarono false e, tra una puntata e l'altra, fu incriminato. Lì ci fu, dunque, non un caso come quello dei Casamonica, che può piacere o non piacere. Ripeto, la discussione sul dubbio e sul tipo di televisione è un dibattito infinito, che verte su quali siano i limiti alla cronaca e su quale sia il rischio di dare una tribuna a personaggi che nella migliore delle ipotesi sono folkloristici e nella peggiore sono personaggi che possono aver commesso reati. Io, però, non ho visto un dibattito di analogo tenore. Cercai di sollevarlo. Forse è colpa mia, ma l'avevo sollevato non ascoltato. Per la vicenda Ciancimino la Rai ha offerto una tribuna più volte a uno che usava la televisione per fornire la sua versione. Ricordo una puntata in cui, parlando della mamma, Ciancimino si mise a piangere. Dopo un mese poi trovarono una parte dei soldi in Romania, un'altra in Francia. Erano i soldi del padre, noto boss mafioso. Poiché qui si è fatta anche la discussione sul linguaggio, la musica e il tipo d'intervista, se si fa apparire uno folcloristico, quasi quasi lo assolvi. Si è discusso anche in riferimento a Porta a Porta del tipo di impatto e se l'intervista andasse fatta in studio o in un altro posto. Anche il modo in cui si offre il prodotto televisivo ha una sua rilevanza. Quindi, se nel programma si fa vedere Ciancimino che si commuove, uno può dire: «In fondo ci può essere del buono in quest'uomo».
  Credo, quindi, che oggi si sia fatta una discussione che andrebbe fatta in assoluto e che non si fece in quel caso, che ho sollevato e che ha avuto una sua rilevanza. Lì c’è stato un uso strumentale della Pag. 8televisione per dare, insieme ad altri fattori – ho ricordato anche le definizioni di Ingroia – un'aura di sacralità, perché Ciancimino junior serviva a ricostruire una storia d'Italia in un dato modo piuttosto che in un altro. Ben venga, dunque, una riflessione, se la promuove la Commissione di vigilanza, tutto sommato, su questo tipo di televisione e su queste vicende. Se ne sono viste di tutti i colori. Tanti anni fa Michele Greco, il «Papa», usò proprio in televisione il verbo «In che cosa ho mafiato io ?». Fu coniato un neologismo in un'intervista di Michele Greco, che appunto usò questo termine, che non esisteva e che da allora è diventato gergale, per non parlare poi di Buscetta e di altri. Il precedente presidente della Commissione di vigilanza, Zavoli, fece bene a intervistare tutta una serie di esponenti del terrorismo, conservando e regalando alla televisione e al sapere italiano delle testimonianze che tra cinquant'anni resteranno. Anche in quelle testimonianze qualcuno degli intervistati probabilmente non avrà detto tutta la verità o avrà fornito una sua versione dei fatti – mi riferisco a La notte della Repubblica – ma restano documenti.
  In questo caso siamo quasi nell'ambito di una trasmissione che alterna una sera lo sport, una sera la politica e una sera altri temi. Ripeto, la discussione si può fare, ma devono parlare quelli che, quando ci fu il caso Ciancimino, hanno parlato. Quelli che stettero zitti sembrano più protagonisti di un'iniziativa politica perché il conduttore o la trasmissione o la collocazione erano quelli. Ci si dovrebbe indignare sempre. Quelli che si indignano a fasi alterne hanno poca credibilità.
  Pertanto, credo che le osservazioni fatte, anche l'ultima sul dubbio, siano importanti e che la discussione debba proseguire in generale e non per usi strumentali delle polemiche.

  PINO PISICCHIO. Grazie, direttore. Io la ringrazio soprattutto per aver adoperato nella fase finale del suo dire quella formula dubitativa che era stata evocata un attimo fa dal mio collega.
  Perché dico questo ? Perché, direttore, lei, per la sua storia personale, per il suo spessore culturale e per il suo fortissimo radicamento in Rai, ha molto ben presente la cognizione del mezzo, dello strumento che lei stesso, peraltro, dirige. Non voglio fare citazioni banali, mcluhaniane. Nel caso di specie il messaggio è il mezzo e basta.
  Lei dirige una rete che potrebbe essere considerata, nella tripartizione storica delle tre reti, quella nazional-popolare, quella che si presta alla lettura più larga. All'interno di questa rete non c’è dubbio – bongré, malgré, che piaccia o non piaccia; io non sono fra coloro che fanno i salti di gioia – che Porta a Porta sia il vessillifero di questa impostazione.
  Qual è il punto ? Con grande precisione lei ha articolato gli aspetti del contesto, quali le poltrone bianche, ma il punto fondamentale è che noi abbiamo un testo e un sottotesto. Il testo è quello che lei ha raccontato: formalmente la dialettica si è svolta all'interno di un contesto in cui, da una parte, c'era la presenza di questi due protagonisti di un fatto di cronaca sicuramente non di secondo momento e, dall'altra, c'erano due validi giornalisti che rappresentavano il contraddittorio in questo schema. Tuttavia, direttore – ripeto, la sua formula dubitativa mi fa immaginare che lei l'abbia messo nel conto e per questo l'ho apprezzata – non si può negare che esista nel sottotesto una linea di continuità tra la rappresentazione barocca del funerale, con le rose, la musica del Padrino e queste macchine funebri che somigliano a film di Totò degli anni Cinquanta, e la presenza di questi due personaggi all'interno del salotto buono, del salotto bianco – qualche bravissimo commentatore, come Gramellini, ha raccontato le modalità con cui questo avveniva – in cui la settimana prima c'era il Presidente del Consiglio. È vero che è tipico della tribù rendere tutto piatto, con A uguale B uguale C uguale D. Lo spot pubblicitario che si alterna alla tragedia racconta questo. Tuttavia, nella rappresentazione del sottotesto è arrivato questo e probabilmente questo volevano anche che Pag. 9arrivasse i componenti di questa gentile famigliola, che viene citata – credo che lei lo sappia – persino nei libri di un giallista come Manzini, che è un bravissimo giallista italiano. Quando Manzini deve parlare di un gruppo di delinquenti che a Roma tiene banco, parla dei Casamonica. Io nemmeno li conoscevo. Leggendo i libri di Manzini, ho scoperto che esisteva questa realtà.
  La domanda è: qual è la missione della Rai ? Siamo nella stagione post-tecnici, abbiamo da poco nominato il consiglio di amministrazione, il nuovo presidente e il nuovo direttore generale. Non è fuori di senno una domanda che ci interpelli fino in fondo sulla missione di questo servizio pubblico. Certamente fra gli elementi costitutivi del servizio pubblico c’è quello di svolgere una funzione pedagogica ed educativa quanto all'educazione alla legalità. Mi pare che questo non possa essere fuori dal quadro delle indicazioni che dobbiamo sempre tenere al primo posto, ai primissimi posti della missione della Rai. Lei ci ha detto prima che c’è sempre una verifica preventiva da parte della direzione sui contenuti di questa trasmissione, che – giova ricordarlo a noi; io lo ricordo a me stesso – è una produzione che viene fatta in outsourcing. Non c’è l'attingimento da risorse giornalistiche della Rai. Dobbiamo domandarci allora se funzioni ancora questa formula, se funzioni ancora questo tipo di talkshow. Ha una sua ragione d'essere, ha un suo significato, o sarebbe più utile – mi fermo e finisco – immaginare un altro modo, che adesso non so, non esprimo ?
  Questo nostro dibattito, che si svolge grazie alla sua presenza, non ha questo come obiettivo, ma mi domando se non possa esistere anche una possibilità diversa di realizzare approfondimento che non sia quella volta alla spettacolarizzazione così clamorosa, che porta alle derive che questa volta – ha ragione il collega Gasparri – hanno posto sugli altari questa simpatica famiglia e che in un'altra circostanza potrebbero porre sugli altari altre simpatiche famiglie, altri simpatici single o altre simpaticissime questioni che certamente non concorrono a costruire quel dovere di educazione alla legalità che la Rai deve perseguire.

  MAURIZIO ROSSI. Apprezzo il modo in cui il direttore ha fatto la sua esposizione, il che fa pensare che il dubbio ce l'abbiate, ma il mio dubbio è un altro. Il 6 maggio dell'anno prossimo scade la concessione tra Stato e Rai. Noi riteniamo che i cittadini, in base alle situazioni che si sono create su questo caso, pensino che ancora la Rai possa spacciare per servizio pubblico questo tipo di programma ? Noi dobbiamo chiederci questo. È una cosa che ho detto dall'inizio della riforma. L'ho detto più volte in Commissione: si pensa alla governance, si pensa ad altre cose, ma non si pensa a definire che cosa sia il servizio pubblico.
  Ieri sera su una rete privata c’è stata la trasmissione di Del Debbio, che ho trovato molto più di servizio pubblico di quella che ha fatto Vespa. Quella non la pago, mentre questa la considero meno di servizio pubblico e, per quanto mi concerne, molto meno obiettiva per come è stata gestita. Tuttavia, devo pagarla. Ricordiamoci che obblighiamo i cittadini a pagare 113 euro. Questa è la differenza, la differenza enorme. Ricordiamo che scade un contratto. Come Commissione, vorrei capire innanzitutto quanto e chi era a conoscenza degli inviti che erano stati fatti da Vespa. Mi farebbe piacere. Se del caso, chiedo anche al Presidente Fico se non possiamo acquisire almeno le clausole del contratto con Vespa, non dico le parti che possono considerarsi private, ma la parte del contratto in cui si capisce quanto la Rai può influenzare effettivamente le trasmissioni e gli ospiti qualora, essendo la trasmissione in outsourcing, si ritenga non siano conformi al servizio pubblico. Se questo caso farà riflettere lei e, più che altro, il nuovo consiglio di amministrazione, mi chiedo se non siano da inserire delle clausole in tutti i contratti in outsourcing che verranno fatti perché non si ripetano casi del genere, che secondo me sono da condannare e secondo altri no.Pag. 10
  Ricordiamoci che parliamo del servizio pubblico. Dobbiamo ancora riformare il canone e dobbiamo andare a una nuova assegnazione del servizio pubblico dal maggio dell'anno prossimo. Queste cose penso che debbano, mi perdoni, far riflettere la Commissione e specialmente la Rai e il nuovo consiglio di amministrazione.

  FRANCESCO VERDUCCI. Rivolgo un ringraziamento al direttore Leone per essere presente qui oggi, dopo qualche giorno dalla trasmissione oggetto di questa nostra discussione, nonché per la sua relazione. È certamente una relazione molto accurata e condivisibile, se non fosse che, avendo io visto con grande attenzione la trasmissione dedicata ai due familiari Casamonica, ho trovato la ricostruzione da lei fatta incongrua con quello che, invece, ho visto in trasmissione. Poi brevemente dirò.
  Nel suo intervento lei risponde anche ad alcune sollecitazioni contenute in un'interrogazione presentata dal sottoscritto e dal collega Ranucci. Anche di questo, naturalmente, la ringrazio.
  Voglio partire dall'eco molto grande che ha avuto nella stessa giornata del 20 agosto il funerale di Vittorio Casamonica, capo di una famiglia, che, come è noto, è oggetto di indagini reiterate che la considerano tra le più pericolose famiglie della criminalità organizzata a Roma, in un contesto in cui la città è certamente, come sappiamo non solo dalle inchieste, ma anche dai fatti di cronaca, sotto un durissimo attacco portato da poteri criminali, malavitosi e anche mafiosi. Quell'eco ha significato un sentimento molto largo di offesa da parte della stragrande maggioranza della cittadinanza, non solo romana, ma italiana. Vorrei soffermare l'attenzione sua e di tutti noi su un fatto, su una percezione che certamente non ha rilevanza assoluta né scientifica, ma che io invito a prendere in seria considerazione, ossia sul fatto che un'eco simile si sia, in maniera assolutamente autonoma, generata la sera in cui quell'8 settembre, una settimana fa, la trasmissione Porta a Porta stava andando in onda. Molti cittadini hanno cominciato a dirsi con nettezza offesi da una trasmissione che sembrava loro reiterare in qualche modo la violazione che c'era stata con il funerale di Vittorio Casamonica in piazza Don Bosco, per aver quel funerale e poi le immagini reiterate e spiegate in trasmissione utilizzato dei simboli propri di una sottocultura malavitosa e criminale. Questa offesa per una vasta opinione pubblica io penso abbia indotto – del resto, lei vi accennava nella sua relazione – a una puntata riparatoria. Il fatto che ci sia stata una puntata riparatoria, a mio avviso, già la dica lunga sul passo falso che è stato fatto nel momento in cui si è pensato di dedicare una puntata di fatto ai soli esponenti di una famiglia presunta criminale che si presume avere qualche legame con la cosiddetta Mafia Capitale, per poi spacchettare il tutto con un'altra trasmissione dedicata, invece, a coloro che sono rappresentanti dei cittadini o che hanno comunque nel loro curriculum una vicenda legata a una cultura della legalità e dell'antimafia.
  C’è, naturalmente, come lei ha detto con forza, il dovere della Rai a informare i cittadini. Questo è un dovere che il senatore Gasparri adesso richiamava, facendo anche degli esempi, a suo dire controversi. Io non contesto, naturalmente, che si debba – anzi, si deve – fare in modo che personalità controverse siano oggetto di inchiesta da parte del servizio pubblico. Io contesto, come diceva adesso anche il collega Pisicchio, che tutto questo sia avvenuto in un format che di fatto contraddice quell'attenzione al rigore, al ritmo serrato, al ritmo incalzante dell'inchiesta che prima, invece, venivano citati come elementi decisivi o comunque auspicabili. Sappiamo che il contenuto della trasmissione è travolto dal format stesso della trasmissione e sappiamo che in questi vent'anni il format di Porta a Porta è stato identificato da tutti come il luogo simbolo di un potere riconosciuto, nel senso di un potere politico e di un potere di Istituzioni molto forti. Già questo permette agli ospiti un'ostentazione, quella che lei chiamava una legittimazione.Pag. 11
  È anche vero che in questi anni la trasmissione, che nasceva come un talk prettamente politico, ha poi virato sempre più sulla cronaca, sia nera, sia rosa. Ho visto con grande attenzione la trasmissione dello scorso 8 settembre: abbiamo assistito più a una trasmissione di «cronaca rosa» che a una trasmissione di cronaca nera, perché il tono indugiava alla colloquialità, al gioco, anche allo scherzo, in alcuni frangenti. Abbiamo assistito alla levità del tono per tutta la durata della trasmissione, nonostante i contrappunti che lei citava dei vari momenti di approfondimento giornalistico fossero indubbiamente serrati. Lo studio, nonostante la presenza di due autorevoli giornalisti, aveva però un carattere di assoluta levità. Del resto, mi permetta anche di dire che questo avveniva sin dal titolo della trasmissione, che si chiedeva perché i funerali di Casamonica fossero stati organizzati in quel modo. C'era un tono vagamente giustificatorio. L'oggetto della trasmissione è stato appunto di chiedere ai familiari di giustificare funerali organizzati in quel modo.
  Chiudo dicendo che il compito, che lei naturalmente ha presentissimo, che noi, che sediamo in questa Commissione, come Parlamento, abbiamo e che ha il servizio pubblico e al quale noi richiamiamo con assoluta fermezza il servizio pubblico è quello non solo di contribuire alla crescita civile e sociale e, quindi, economica del Paese, ma, prima ancora, anche quello di costruire una cultura di civismo e di legalità molto forte. Per fare questo il servizio pubblico radiotelevisivo, così come per altri versi l'istituzione scolastica, è decisivo nell'isolare qualunque cosa abbia a che fare con una sottocultura criminale assolutamente pervasiva, che opera suggestione nei confronti di tantissimi giovani, soprattutto dove lo Stato è più debole, dove la crisi è più forte, dove non c’è lavoro. Parlo di una sottocultura criminale che vive di ostentazione, di un'ostentazione di simboli che molto spesso induce sottomissione. Quella sottocultura che è stata contestata nell'aver organizzato in quel modo il funerale induce sottomissione e omertà. Il nostro compito è far vivere, invece, una cultura del rispetto, della sobrietà, dell'attivismo. Io penso che la trasmissione Porta a Porta della scorsa settimana sia stata un pesante passo falso, anche grave da questo punto di vista, nell'aver sottovalutato l'impatto e indugiato anche a questa rappresentazione di sottocultura che, invece, noi con ogni mezzo dobbiamo debellare e contrastare.
  Per questo motivo penso che l'episodio accaduto sia molto grave per il servizio pubblico e certamente da non ripetersi e che l'attenzione che ci vuole debba essere massima da questo punto di vista.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio ringraziare anch'io il direttore Leone per aver aderito tempestivamente alla nostra richiesta di audizione e per la relazione che ha svolto, in cui vedo che non si è sottratto e ha ricordato i vari passaggi, sostenendo di essere stato informato della trasmissione. Ha anche riportato i contenuti delle sua dichiarazione e oggi le ha argomentate. Le voglio dire con grande franchezza che non mi ha convinto, non perché oggi dobbiamo ripetere argomenti e dichiarazioni a caldo che un po’ tutti conosciamo, essendone stati protagonisti in larga parte, come membri di questa Commissione, avendo fatto dichiarazioni a caldo. Presidente, non voglio entrare nel merito del se fosse giusto invitare questi personaggi, se la conduzione abbia avuto effettivamente i caratteri che sono stati richiamati e se il mix degli ospiti, dei giornalisti, chiamati a costruire il contraddittorio con cui hanno incalzato fosse quella giusta. Queste sono scelte assolutamente della redazione, editoriali. Non mi cimento in questo tema, perché qui il punto è un altro: se la trasmissione e gli effetti della trasmissione corrispondano alle caratteristiche previste dal Contratto di servizio, che peraltro il direttore ha richiamato anche in maniera puntuale, facendo riferimento all'articolo 2 e all'articolo 9. Credo che questo sia il punto su cui intervenire e intorno a cui oggi costruire una riflessione all'interno della Commissione.Pag. 12
  Volevo dire due cose. La prima è che il servizio pubblico ha fatto una scelta, nel momento in cui un fatto di cronaca, come lei ha richiamato, del 20 agosto è stato riproposto l'8 settembre. Non si trattava, rispetto all'urgenza di un fatto di cronaca, di cercare di capire che cosa fosse successo, perché erano passati diversi giorni. Peraltro, in quella stessa giornata, come ci ricordava il collega Anzaldi, erano successe altre cose di grande rilievo. Pertanto, il servizio pubblico avrebbe potuto decidere di fare l'approfondimento rispetto a quanto stava accadendo nel mondo e non solo. Si è fatta, invece, la scelta di ritornare su un fatto di cronaca, facendone un momento di approfondimento che doveva avere, quindi, caratteristiche di particolare attenzione, come hanno richiamato i commissari che sono già intervenuti.
  Qui c’è un secondo punto. Come ha detto lei, direttore, nel funerale, rispetto al quale il giudizio qui è condiviso da tutti, a partire dalle sue parole, c'era un'ostentazione nella scelta dei suoi elementi – l'elicottero, i manifesti e tutto il resto – un messaggio di potere, come ha detto lei. Credo che il punto sia questo: in una trasmissione che, al di là delle citazioni (terza Camera dello Stato e via elencando), ha un particolare rilievo anche nella formazione dell'opinione pubblica, una trasmissione nella quale, seduti su quelle poltrone bianche, ci sono i protagonisti delle Istituzioni, della politica, del costume e della società, che sono riconosciuti come portatori di ruolo, di punto di vista, di argomenti giudicati dal servizio pubblico di credibilità e di rilevanza nella comunicazione con i telespettatori, nel momento in cui si sono fatti sedere gli esponenti dei Casamonica, si è attribuito loro questo status. Questo è il punto. Se fosse stato fatto un collegamento, come hanno fatto altre trasmissioni, anche non di servizio pubblico, se fosse stato fatto un lavoro di inserire nel loro contesto questi personaggi, questo si sarebbe riflesso anche in termini di impatto, come diceva il Presidente Pisicchio, immagino, e ne avrebbe dato l'esatta contezza.
  Quando il presidente Gasparri citava altre interviste con personaggi controversi, è giusto ricordare anche che essi erano collocati in un'altra dimensione. Non erano lì ospiti in studio, seduti in quelle poltrone, ma nel loro contesto. Non erano in studio, perché erano in altra collocazione. Una cosa è intervistare un pentito in ambiente protetto, fare un servizio collocato nel suo ambiente, un'altra... Questo è l'argomento che ho espresso prima. Il senatore Gasparri non è d'accordo, abbiamo due opinioni diverse. L'interruzione del presidente Gasparri non mi fa cambiare opinione. Credo che questo sia il problema che è stato sollevato da più parti. Io non sono d'accordo, e l'ho detto, direttore – anche lei l'ha richiamato – con la prima parte del suo comunicato, per le ragioni che ho appena esposto.
  Per quanto riguarda la seconda parte del comunicato, fare riferimento a una puntata in qualche modo riparatrice credo non abbia risolto il problema sollevato. Mi voglio legare, però, alla parola che lei ha utilizzato, cioè «dubbio» rispetto alle reazioni e rispetto a una riflessione necessaria. Credo che questo dubbio debba rimanere vivo nella discussione, come è stato anche sollecitato, di questa Commissione e credo che debba rimanere vivo anche nel lavoro che verrà fatto in azienda nel prosieguo. In sostanza, credo che, per via di quanto è accaduto, l'elevato livello qualitativo, la deontologia, il contraddittorio, di cui all'articolo 2 del Contratto di servizio, siano sempre al centro dell'attenzione e che il dubbio sia legato anche alle reazioni nell'opinione pubblica. Quindi, spero che da questo punto di vista quello che è accaduto l'8 settembre non si riproponga.

  RAFFAELE RANUCCI. Anch'io voglio ringraziare il direttore Leone per essere qui. Ho sentito soltanto la parte finale della sua relazione, soprattutto per quello che riguarda la formula dubitativa. La sua professionalità non è assolutamente in dubbio. La militanza di Giancarlo Leone in Rai è una militanza vecchissima. Io lo ricordo vicedirettore di Televideo.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCESCO VERDUCCI

  RAFFAELE RANUCCI. Ricordo che guardava Televideo ogni momento, controllava le parole e, se trovava notizie sbagliate, immediatamente chiamava per correggere. L'amore per quest'azienda nasce da molto lontano nel dottor Leone. Tuttavia, sono uno dei due firmatari dell'interrogazione, insieme a Verducci, e credo che ci sia un punto fondamentale. Come prima domanda, trovo molto giusta l'affermazione di Pisicchio su un testo e sottotesto di quello che noi leggiamo in questa trasmissione, ma ci sarebbero state quell'intervista e quella trasmissione senza quei funerali ? La rilevanza mediatica è stata il motivo per fare l'intervista, o quell'intervista si sarebbe comunque fatta al clan Casamonica perché era un clan che ha usato quei funerali e ha voluto quella rilevanza mediatica soprattutto per ribadire la sua egemonia sul territorio romano ?
  Ho sentito moltissimi commenti. Si ricordava che in passato ci sono state delle trasmissioni e che in video sono arrivati mafiosi, camorristi. Certo, ricordo, come credo tutti noi, le interviste ai camorristi di Joe Marrazzo, che gli sono costate anche una condizione di essere sotto scorta.
  La televisione deve fare questo, ma, come il mio capogruppo ricordava, l'immaginario collettivo del salotto buono della Rai, quello che, in modo sbagliato o giusto, viene definito la terza Camera dello Stato, a mio avviso, non avrebbe dovuto ospitare delle persone che, tra l'altro, in questo momento nella nostra città sono il simbolo della Mafia Capitale, vera o falsa che sia, o comunque della malavita. Lo sono da oggi come lo sono da vent'anni a questa parte. Pertanto, credo che la formula dubitativa, che mi fa molto piacere che il direttore Leone abbia usato, sia una formula che ha portato anche alla puntata di riparazione. Di questo bisogna, invece, ringraziare Leone, perché vuol dire aver ammesso in qualche modo che qualcosa non ha funzionato. Certo, mi sarei aspettato anche dal conduttore una riflessione, o forse una formula dubitativa; invece, sicuro e con la sua professionalità, ha voluto comunque ribadire che era una cosa giusta.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  RAFFAELE RANUCCI. Ritengo che non sia stata una cosa giusta. Per esempio, è stata ricordata anche la trasmissione di Del Debbio di ieri, una trasmissione molto incalzante. All'interno di quella trasmissione una giornalista è stata addirittura minacciata. Sono state minacciate la sua famiglia e la sua residenza di Ostia, con parole molto pesanti.
  È vero, c’è stato Ciancimino e ci sono stati i Casamonica, ma non ci devono essere né i Ciancimino, né i Casamonica, anche se, come ha ricordato Peluffo, il contesto era molto diverso. Qui bisogna cominciare a fare una riflessione su cosa sia il servizio pubblico e su quando e come debbano essere affrontati alcuni temi, che sono temi scottanti non solo per una città come Roma, ma anche per il nostro Paese. Probabilmente – adesso il senatore Gasparri mi risponderà – se fosse stata approvata la riformina, o la riforma, della Rai che è stata approvata al Senato, anche alla Camera, non ci troveremmo oggi a fare questa discussione, perché non chiameremmo il direttore di rete a venire qui a raccontarci quello che accadeva. Ci sarebbero ogni sei mesi delle relazioni. Probabilmente ci sarebbe oggi un amministratore delegato che dovrebbe rispondere direttamente di quello che accade e che avrebbe molte più responsabilità, ma questa è una cosa che mi auguro possa avvenire in futuro.
  Peraltro, le responsabilità personali dell'amministratore delegato che ogni tre anni deve essere rivotato o rinominato probabilmente sono molto più forti di quelle di un direttore generale che in questo momento ha le sue funzioni, ma che è sempre sottoposto al vincolo di una verifica da parte della Commissione.Pag. 14
  Pertanto, voglio ringraziare il direttore Leone per le verifiche che lui sicuramente farà sulla formula dubitativa e per il fatto di essersi messo comunque in gioco stando qui. Mi auguro che nel futuro ci siano più trasmissioni, molte più trasmissioni di inchiesta sui mali di questo Paese, ma certamente nei luoghi e nelle trasmissioni giuste, certo non in un salotto in cui si discute tra un sorrisino e un modo di essere molto più accattivante per fare audience. Non è questo il modo per combattere e per far sì che la malavita in questo Paese sia posta al bando della nostra società civile.

  ANTONIO SCAVONE. Ho ascoltato con attenzione la sua relazione, molto seria, responsabile e politicamente corretta. Istituzionalmente le fa onore che abbia ricostruito nel suo ruolo e dal suo punto di vista quello che è avvenuto, offrendo le sue spalle larghe a un infortunio, che probabilmente va chiamato in questa maniera, che non mette in dubbio la professionalità e nemmeno l'animo con cui si è voluta fare la trasmissione e con cui viene gestito questo tipo di comunicazione.
  Purtuttavia, credo che questo sia più di un dubbio. Credo che sia stato un grossolano scivolone consentire di parlare del tema nel linguaggio di un talkshow politico, offrendolo e mettendolo in bocca a personaggi che certamente in questa maniera, grazie alla trasmissione, acquistano una dignità impensabile per un mondo che dovrebbe semplicemente essere disprezzato. Sarà il mio punto di vista di uomo che vive fisicamente e quotidianamente una società pervasa e aggredita da questa maniera grossolana e indecente di portare a livello della società civile mondi che, purtroppo, questa società aggrediscono continuamente e nella quale vogliono prendere ruolo e prevalenza, ma o credo che questo sia stato un vero grossolano errore. Bastava ammetterlo. Anche la trasmissione riparatrice, che non so da chi sia venuta – sarà stata voluta probabilmente dalla rete – avrebbe potuto lasciare spazio ad altro piuttosto che al palcoscenico di chi non credo abbia mai ammesso questo errore (io non l'ho sentito), di chi ha voluto dare un senso a quello che era stato fatto il giorno prima. Era uno spazio che forse non serviva e che probabilmente non è stato seguito con la stessa impressione che ha suscitato, invece, il giorno prima questa modalità incredibile di consentire a chi, tra l'altro, usa un linguaggio diverso, che non è quello televisivo, ma è quello di una giustificazione popolare fuori dalla legalità, di avere la stessa dignità di chi normalmente a queste trasmissioni partecipa con un altro ruolo.
  Se, purtroppo, avviene questo è perché abbiamo torto tutti noi. Non siamo stati in grado in questi due anni e mezzo di imporre un nuovo Contratto di servizio. Non siamo stati capaci di imporre al governo, anzi ai governi che ci sono stati, l'attenzione che la riorganizzazione del sistema della comunicazione pubblica merita.
  Assumendo, per quanto mi e ci riguarda, anche questo limite, credo che sia venuto il momento, come ha detto qualcuno, di rivedere correttamente il messaggio del servizio pubblico affidato a trasmissioni in outsourcing che hanno, per carità, grande successo di pubblico e di attenzione e per questo probabilmente permangono, ma che alcune volte – non voglio usare un'espressione troppo negativa – per l'ipertrofia dell’ego di chi ha fatto tanta buona televisione e ha fatto in maniera importante la propria professione, ci offrono uno scivolone di prudenza e di misura, che è quello che credo sia avvenuto nella trasmissione della scorsa settimana.

  DALILA NESCI. Grazie, direttore, per essere qui oggi. Svolgo una brevissima premessa. La libertà di informazione è un caposaldo della democrazia. Nessuno di noi del Movimento 5 Stelle in alcuna uscita ha mai inteso ridimensionarne la portata. Questa brevissima premessa è necessaria.
  Lei ha risposto ad alcuni dei nostri dubbi. Ha chiaramente detto anche che il Pag. 15conduttore Vespa si era confrontato con lei e con i vertici di rete e ha esplicitato le motivazioni che l'hanno indotta ad approvare l'ospitata dei Casamonica. Secondo noi, però, ciò si è tradotto maldestramente durante la conduzione del programma Porta a Porta, che sappiamo essere un programma di punta della Rai. Per noi questa ospitata ha significato innanzitutto una legittimazione sociale del clan, soprattutto per il modo in cui il conduttore Vespa ha accolto i suoi membri e li ha resi protagonisti, non semplici intervistati. In realtà, il suo modo di approcciarsi attraverso le domande e le sollecitazioni era particolarmente accondiscendente, secondo noi. Il ragionamento che lei ha fatto sulla spettacolarizzazione della partecipazione di questa famiglia alla puntata di Porta a Porta, secondo me, è stato abbastanza deludente e, oserei dire, pericoloso. Mi spiego meglio. È ovvio che questa spettacolarizzazione abbia avuto un effetto immediato, che è quello legittimante. Come sappiamo benissimo tutti, lo spettacolo televisivo legittima di per sé, sia perché la trasmissione Porta a Porta è un luogo televisivo di salotto politico e di costume e, dunque, una sede ambita nell'immaginario collettivo, sia perché è ritenuta una tribuna di primo piano. È esattamente questo il ragionamento, secondo noi. Queste considerazioni si rafforzano se si considera la portata mediatica e, quindi, l'onda lunga d'ascolto della precedente vicenda dei funerali di Vittorio Casamonica, amplificata dalla spettacolarizzazione televisiva di uno show funebre che ha mostrato la debolezza del sistema pubblico e una tracotanza compiaciuta dell'organizzazione criminale.
  Il messaggio passato è che anche per i Casamonica c’è posto nel mondo dei grandi della TV, perché i Casamonica sono grandi nella potenza criminale, nei rapporti di forza e nella subordinazione delle istituzioni. Pertanto, hanno la loro dignità televisiva e il diritto di sedere nel salotto di Porta a Porta, come se fosse un fatto normale e pacifico. L'aver dato spazio alla storia e, in qualche modo, alle ragioni dei Casamonica è stato un errore madornale, che ha un corrispettivo alto da pagare, secondo noi. L'opinione pubblica, infatti, ne ha assorbito gli aspetti dominanti, su tutti l'indiretta celebrazione di un potere che, per quanto fuori dalla Costituzione, dalle leggi e dalle norme statuali, risulta efficace, accattivante e molte volte preferibile da alcuni. Volendo allargare l'analisi, il risultato è stato simile all'elevazione di icone già note agli annali del piccolo schermo, come Il capo dei capi, Donato Bilancia nella famosa intervista di Bonolis a Domenica In, il mito di Al Capone, gli infanticidi e i vari perversi delle cronache giudiziarie, tutti, a ben vedere, uniti da un unico filo rosso: la presenza ricorrente e ossessiva in televisione, il loro passaggio da personaggi in cerca d'autore a personaggi d'autore, da profili di detenuti a detentori della verità, da vinti a vincitori.
  Il servizio pubblico non può permettersi queste forme di intronizzazione di soggetti criminali, di sovversione dei valori che fondano l'ordinamento, di distruzione pedagogica costante e senza freni dei princìpi dello Stato di diritto. La nostra Costituzione mette la persona umana al centro della Repubblica, che è chiamata a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo e a garantire l'uguaglianza dei cittadini sotto l'ombrello della legge e, dunque, il rispetto del singolo contro la violenza, la sopraffazione e l'Antistato propri dei gruppi criminali, come quello dei Casamonica.
  In quella puntata è stato leso il principio base del Codice etico e del Contratto di servizio, ovverosia il principio di responsabilità nei confronti della collettività. Come lei sa meglio di me, a definire il servizio pubblico non concorrono soltanto la scelta dei contenuti, ma anche le modalità con cui quest'ultimi vengono raccontati e trattati. Nel momento in cui si sceglie di affrontare un tema così delicato, cioè le azioni di uno dei più pericolosi clan della capitale con l'inchiesta Mafia Capitale ancora in corso, si pone immediatamente Pag. 16il problema della qualità e del modo di fare informazione su quel tema. È per questo che rispetto al messaggio implicitamente lanciato dalla Rai noi non consideriamo per nulla rilevante il fatto che la figlia e il nipote di Vittorio Casamonica fossero incensurati.
  Per quanto riguarda le domande, alle quali spero che risponderà puntualmente, vorremmo sapere per quale motivo non avete preferito fare un approfondimento serio, documentato e puntuale sui recenti fatti legati ai Casamonica e sull'attività criminale del clan, che si distingue appunto per la sua capillare presenza in settori quali lo spaccio di cocaina e l'usura, proprio per i ragionamenti che si facevano prima. Vorremmo sapere perché la protagonista della puntata era la famiglia Casamonica e non lo erano, invece, le inchieste in cui essi sono immersi, soprattutto non di certo le inchieste di Mafia Capitale.
  Inoltre, cosa dobbiamo aspettarci nei mesi che verranno dal punto di vista delle modalità con cui la programmazione della rete ammiraglia tratta gli episodi di cronaca collegati alla criminalità organizzata ? Quali sono le azioni che sono state già intraprese – speriamo – al fine di scongiurare il ripetersi di trasmissioni quale quella in oggetto ?

  AUGUSTO MINZOLINI. Ringrazio il direttore di esser venuto perché in ogni caso abbiamo l'opportunità di affrontare un tema così delicato. I discorsi che sono stati fatti nella riunione odierna mi trovano abbastanza d'accordo, a cominciare da quello di Pisicchio.
  Parto da un presupposto: qualunque cosa, qualunque personaggio ha un suo effetto giornalistico, che può portare a interesse da parte del pubblico e probabilmente anche da parte dell'azienda o della testata, che deve mostrarlo. Questo ha una sua logica. Tuttavia, il dubbio diventa enorme quando c’è una sorta di commistione dei generi. Noi arriviamo a una sorta di meccanismo perverso, che purtroppo, secondo me, è il punto centrale di questo problema, in cui abbiamo una contaminazione. La contaminazione porta poi veramente ad avere un disorientamento generale. Ce l'ho io, ce l'abbiamo noi, ce l'avrà anche il pubblico.
  Prima il collega diceva che questa è la cultura nazional-popolare. Sì, è la cultura nazional-popolare, ma, come diceva anche Peluffo, è anche considerata la terza Camera. Probabilmente una cosa del genere ha fatto piacere a chi di fatto è riuscito a imporre una trasmissione in questi termini. Che cosa avviene ? La contaminazione trasmette un messaggio assolutamente difficile da interpretare e pericolosissimo. Perché ? Perché c’è il rischio della legittimazione. Per alcuni versi, il fatto che i due Casamonica fossero andati lì e che non avessero avuto alcun tipo di persecuzione da parte della giustizia, che fossero degli incensurati, è peggio, anzi, da questo punto di vista, credo che i Casamonica abbiano fatto un'ottima operazione d'immagine. Hanno mandato i due che non potevano essere accusati. A questo punto, il messaggio è: «Noi siamo come voi». Questo è il punto. Questo è il dato.
  Dobbiamo porci un problema, secondo me. Sono stato lì, mi hanno fatto una testa così sull'informazione istituzionale e sul servizio pubblico, al punto che non ne posso più, ma ci sono, secondo me, dei dati abbastanza essenziali. Determinati argomenti vanno affrontati con il rigore giornalistico. Non possiamo lasciare degli spazi. L'intervista a Buscetta è un capolavoro del giornalismo del passato. L'intervista a Sindona è un capolavoro del giornalismo del passato.
  Quando entriamo in meccanismi perversi... Posso fare degli esempi. Posso parlare di Porta a Porta, ma vi dico anche un'altra cosa. Anche L'Arena è un'altra trasmissione che non capisco, perché confondono cose molto chiare e non hanno neanche la motivazione, se parliamo di servizio pubblico, perché l’audience non dovrebbe essere l'elemento essenziale su questo aspetto: si tratta del problema della conoscenza. Tornerei, indipendentemente dal fatto che le produzioni siano fatte fuori o dentro – credo che ci siano Pag. 17sicuramente personalità forti anche all'interno della Rai che possano farle – a una divisione in cui si sa che un certo programma è giornalistico, chiaro, con un rigore e anche un approccio di un dato tipo, e un altro, invece, che è puro divertimento. Questo aspetto, che nella TV commerciale non è necessario, nel servizio pubblico probabilmente è proprio quello che gli conferisce l'identità. Io non penso che la TV debba avere un ruolo pedagogico, ma sicuramente deve avere un ruolo di informazione per cui la gente, quando vede i Casamonica, sa chi sono. L'elemento folcloristico, ossia l'idea della TV commerciale che porta il fenomeno di baraccone ed è già di per sé contenta di questo, nel servizio pubblico non basta. Si deve dimostrare cos’è un certo spaccato della società.

  MICHELE ANZALDI. Grazie, direttore. Vorrei un attimo soffermarmi sul ruolo del servizio pubblico e su quello che ci siamo persi. Siamo tutti d'accordo sul fatto che la trasmissione avesse dei nei, che potevano essere parecchi, che dovevano essere migliorati e che sono stati denunciati da quasi tutte le forze politiche e dai giornali. Cosa si fa perché ciò non accada più ? Bisogna ricordare che la Rai prende un grosso contributo dai cittadini, il canone. Che cosa è successo ? Cosa facciamo perché questo non accada più ? Ho fatto una semplice ricerca in quei due giorni in cui è andata in onda Porta a Porta. La trasmissione sui Casamonica è avvenuta venti giorni dopo. La sera prima c'era stato Del Debbio, che aveva ospitato altri due membri della famiglia Casamonica e nessuno l'aveva notato, nessuno aveva detto niente sul ruolo del servizio pubblico in quella trasmissione. Volevo leggervi quello che ho trovato in agenzia, quello che abbiamo perso, quello che gli italiani non hanno potuto sentire nell'approfondimento Rai che pagano, come è giusto, perché li informi meglio.
  La puntata con i Casamonica in studio è andata in onda martedì 8 settembre. Tra domenica e martedì al centro delle cronache c'era la questione degli immigrati: «Matura la svolta della Merkel nel cambio di atteggiamento sulla questione: la Germania si dice pronta a raccogliere 500.000 profughi», «Il Papa scende in campo, chiedendo addirittura a ciascuna parrocchia di ospitare una famiglia di migranti a partire dalla diocesi di Roma», «Tra l'Ungheria e l'Austria prende corpo il fenomeno dei cittadini austriaci e tedeschi che vanno con le loro auto a prendere i profughi», «La UE discute le modifiche al Trattato di Dublino». È un ruolo decisivo per la questione, che ancora oggi si discute, perché anche oggi abbiamo degli strascichi, sulla ripartizione delle quote tra gli Stati europei.
  Poi c'era la Siria. La Francia decide ufficialmente di fare i primi raid aerei in Siria, l'Inghilterra fa sapere di avere già effettuato attacchi con i droni, le cronache politiche stanno tutte sul Senato e sulla terza lettura delle riforme costituzionali.
  Questo era quello che c'era sulle agenzie fra domenica e martedì, mentre noi sul servizio pubblico abbiamo parlato di una cosa avvenuta venti giorni prima, che era andata in onda con nessun successo, o con poco successo, sulle TV commerciali. Io, più che tornare su ieri, vorrei, se fosse possibile, avere delle garanzie sul domani: cosa fa il servizio pubblico, pagato dagli italiani, per garantire comunicazione su alcune vicende che magari non portano alle stelle lo share, ma sono essenziali per la vita della nostra comunità ? Ce ne sono a non finire. Giorni fa abbiamo firmato una commessa col Kuwait da 8 miliardi. La notizia è passata così. È una notizia che non è di sinistra o di destra, ma che riguarda l'Italia.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio anch'io il direttore. Mi sembra che la discussione e il dibattito convergano sugli elementi di criticità e sui più che forti dubbi che aveva già espresso il direttore. Volevo, però, cogliere due aspetti più in chiave futura che in chiave retrospettiva.
  In primo luogo, mi ha molto colpito il fatto che lei abbia sottolineato che le due persone presenti in studio erano incensurate, Pag. 18perché credo che questo non possa essere il metro di valutazione. Probabilmente, se andassimo a vedere i certificati dei carichi pendenti dei congiunti dei principali latitanti o di figure rappresentative, per esempio, di mafia o ’ndrangheta, risulterebbero incensurati. Questo non mi sembra un metro di valutazione, soprattutto in chiave futura. Mi pare, invece, che – questo è un invito – debba essere prestata maggiore attenzione, magari anche con l'aiuto di qualche esperto, come è stato in parte ricordato anche dalla collega dei Cinque Stelle, al carico simbolico che, in particolare già a partire dal funerale, la famiglia Casamonica ha voluto lanciare. Alcuni erano messaggi diretti, come ha ricordato prima il collega Ranucci, altri erano quasi subliminali. Quello che abbiamo fatto, come servizio pubblico, è dar loro un palcoscenico. Se avessero avuto uno spin doctor, quale migliore livello di comunicazione avrebbero potuto sognare ? Esattamente di andare a Porta a Porta, dopo aver fatto volutamente lo show del funerale.
  Mi pare che da questo punto di vista si sia sottovalutato il disegno che c'era alle spalle. Dietro il funerale c'erano un preciso disegno, una data cultura e una determinata idea da trasmettere al mondo criminale e all'opinione pubblica più in generale. In qualche modo siamo diventati, senza nulla togliere, ovviamente, alla professionalità di Vespa e dei collaboratori di Porta a Porta, tanto meno alla sua, ma di fatto è così, se oggi lo leggiamo in questo modo, «complici» – uso il «noi» inteso come servizio pubblico – di una strategia comunicativa. Questi sono personaggi che hanno studiato una strategia, come è evidente ormai anche per le reazioni successive, e noi ne siamo diventati complici.
  Credo che anche i paragoni fatti col passato – penso a Zavoli o ad altri – siano francamente fuori luogo, perché qui c'era qualcosa di diverso. L'invito, quindi, è a riflettere maggiormente anche a una direttiva da dare alle trasmissioni, per capire come oggi anche la criminalità organizzata abbia capito l'importanza dalla comunicazione. Non ci troviamo più ad avere a che fare con rozzi personaggi semianalfabeti. All'interno di questa industrializzazione del fenomeno, di questa internazionalizzazione che viene evidenziata dall'inchiesta c’è anche un tema comunicazione. Su questo mi permetto di invitare per il futuro a un approfondimento e, se del caso, anche a una direttiva precisa, altrimenti si rischia di fare quello che, ahinoi, si è fatto, ossia di conferire loro uno strumento straordinario di comunicazione, se è vero, come è vero, secondo i dati dell’audience, che hanno visto la trasmissione alcuni milioni di italiani.

  PRESIDENTE. Grazie. Direttore, le ricordo anch'io, francamente, che ci sono tanti cittadini italiani che pagano il canone e che ogni anno versano circa un miliardo e 700 milioni di euro. Sempre più spesso questi cittadini si chiedono il motivo per cui questo canone viene versato. Personalmente ricevo centinaia di e-mail di lamentele rispetto al servizio pubblico. Quest'audizione è stata richiesta dal Partito Democratico e io ero anche molto d'accordo molto sul farla – facciamo l'audizione e, giustamente, anche lei ci porta il Contratto di servizio, citando l'articolo 2, che parla di completezza dell'informazione eccetera. Noi magari possiamo citare lo stesso articolo, cui però attribuiamo un senso e un significato diversi. L'articolo che ha citato, secondo me, non corrisponde alla realtà della trasmissione che è andata in onda. Questo è il grande punto e il problema di fondo. Io leggo gli articoli, come a volte la Costituzione, poi attribuisco loro un senso profondo e, al di là di quello che c’è scritto, riesco a capire se l'ho tradito o meno.
  Penso che in quella trasmissione, come in altre, sia stato tradito il senso di servizio pubblico. C’è un servizio pubblico che rincorre sempre più il commerciale, la spettacolarizzazione, che il contenuto e i fatti. Secondo me, non è un mantra inutile parlare di cultura, di educazione, di questi aspetti molto importanti. Lei ha detto che se ne può parlare, ma che non possiamo uscire dalla narrazione che il presente è e che il presente fa. Possiamo però entrare Pag. 19in questa narrazione in un altro modo, in un'altra dimensione, che è quella del servizio pubblico. È per questo che anche in Commissione abbiamo avviato un grande processo per contribuire allo sviluppo e al senso del servizio pubblico con molte audizioni. Voi, che siete gli attori principali, perché lavorate in Rai, secondo me, dovreste sentire molto da vicino e bene in sé che cos’è il senso del servizio pubblico. Se non ci chiariamo su questo senso, potremo fare mille audizioni con mille litigi, andare da una parte o dall'altra, ma poi non intenderci sulla sostanza. Se questo deve essere il servizio pubblico, quando si tradisce il pluralismo dell'informazione politica, quando non si rispettano tante regole, comprese le normative attuali, che senso ha più il servizio pubblico ? Potremmo dire che è vero che ci sono alcune televisioni private che, in alcuni casi, offrono un servizio pubblico migliore, ma non è una questione a cui voglio arrivare, perché credo profondamente che un Paese democratico passi per un servizio pubblico di alto valore e di alta qualità. Questo è importantissimo. La democrazia è un corpo che viene aiutato dal servizio pubblico. Democrazia e informazione, nel senso più ampio, di informazione culturale, di pluralismo culturale, sono il sale di un sistema democratico ed è per questo che in Europa noi, come Paesi democratici, abbiamo tutti il servizio pubblico radiotelevisivo. Penso che spesso questo senso del servizio pubblico venga in sé tradito. È quello che è mancato alla Rai. Noto da molto tempo, e non solo da quando sono presidente della Commissione, il fatto che non ci sia una visione editoriale, una qualità editoriale. Si parla molto spesso di conti, di numeri, di appalti, che sono un problema, e di cui ho parlato spesso, ma poi manca totalmente la visione editoriale, circa il tipo di Rai vogliamo. Ci sono posizioni occupate in Rai, magari anche in outsourcing, da vent'anni, come se fossero dei templi fermi, cristallizzati da vent'anni. Ci vuole un cambiamento anche culturale all'interno della Rai per ridare proprio spinta al servizio pubblico, altrimenti non ha senso che esistano la Commissione e il servizio pubblico e che i cittadini paghino i 113 euro all'anno di canone. O ristabiliamo i princìpi delle cose per quello che sono e cerchiamo di vedere la realtà come è, oppure tutto questo non ha senso. Io, invece, ci tengo a che questa questione abbia un forte e profondo senso, al di là degli articoli e delle cose che ci diciamo.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Cercherò di svolgere una breve e sintetica risposta, tentando anche di rispondere ad alcune domande. Mi scuso se non tutti si sentiranno citati nelle risposte, ma qualche volta gli interventi erano più di critica e di commento a punti sui quali ho già svolto il mio intervento.
  Mi pare che ci siano stati undici interventi. Vengo in Commissione parlamentare di vigilanza ormai da decine di anni e, secondo i diversi ruoli che ho svolto, ho dovuto, secondo i casi, discutere, parlare, spiegare, presentare e qualche volta difendere anche le nostre posizioni, ma raramente come oggi ho sentito il senso della profondità e della serietà del dibattito e ne sono rimasto molto colpito positivamente. Ho sentito da tutti, cosa che non sempre succede – ma questo può avvenire in qualsiasi mondo – un intervento sui contenuti di una trasmissione. Non sempre abbiamo tempo e modo di parlare dei contenuti di una trasmissione, contenuti ai quali credo dobbiamo riservare la massima attenzione. Forse non sarà un caso – qualcuno l'ha notato e mi fa piacere – che nel mio intervento abbia spiegato benissimo alla fine, dopo aver raccontato quali sono i Codici, secondo noi rispettati nella trasmissione di Porta a Porta... Ho anche detto, però, che dobbiamo lavorare affinché il luogo televisivo non venga confuso con la tribuna che restituisce dignità a tutti e che la risposta non è quella di diminuire le voci, ma di cercare sempre di più come al nostro interno si possa rispondere meglio a questa domanda di approfondimento, al contempo evitando, però, la confusione. Ho detto prima che il programma Porta a Porta, sotto la responsabilità della rete, si è svolto in un dato Pag. 20modo. Mi pare di capire dai vostri interventi che non si è tanto messo in discussione il tema in sé, anche se qualcuno ha evocato il motivo per occuparsene venti giorni dopo. Il motivo è che questi fenomeni non possono mai essere dimenticati. Io non credo, quindi, che ci possa essere un periodo oltre il quale poi si mette un tappeto sopra a una determinata vicenda.
  Il problema è il come. Sentivo parlare prima di testo e sottotesto. Il testo era chiaro. Era chiaro il testo per lo svolgimento. Era chiaro per gli ospiti in studio e per com'era stato costruito. Il pericolo c’è sempre quando entra in una trasmissione che non è un telegiornale, che ha tempi ristretti, ma un talk. Il pericolo c’è sempre nel momento in cui si ospitano persone che, direttamente o indirettamente, hanno avuto a che fare o hanno a che fare con la giustizia. Il primo tema che ci dobbiamo porre è: è corretto o non è corretto sentirle, in quale luogo e con quali modalità ?
  Il secondo tema è fare in modo tale che ci sia sempre un contraddittorio e che il pubblico a casa non sovrapponga l'immagine e la qualità delle tesi, che sono spesso le tesi positive, rispetto alla negatività delle situazioni o il rischio addirittura che in taluni casi alcuni personaggi assumano caratteristiche pubblicitarie o di marketing positive, come prima si rilevava. Questo è un pericolo che, purtroppo, c’è nel momento in cui si decide di intervistare o di fare intervistare delle persone ed è quello che in fase di conduzione si cerca il più possibile di evitare. Certamente il fatto che vi siano state così tante critiche al programma è importante. Ho sentito soprattutto critiche, ma ho visto che da parte degli addetti ai lavori, al contrario, c’è stata una propensione positiva verso lo svolgimento. Tuttavia, quando c’è da parte dell'opinione pubblica questo tipo di apprensione verso il modo con cui svolgiamo il servizio pubblico, come ho detto prima, non possiamo far finta di niente, non possiamo sottovalutarlo, non possiamo solo difendere il nostro lavoro e basta. Non c’è dubbio che il dibattito di oggi apre e aprirà sicuramente una fase di approfondimento dentro l'azienda, perché è giusto ed è corretto che sia così. Non possiamo restare chiusi dentro le nostre stanze e pensare che abbiamo fatto solo bene. Ho difeso il programma perché ci credo, ma devo anche prendere atto di tutte le cose che sono state dette e non posso non aprire all'interno della rete una riflessione su tutto questo, come dissi all'inizio.
  Il senatore Minzolini si riferiva al tema delle news e del talk. Non sono convinto che ci possa essere un'unificazione così netta. Il linguaggio delle news è inevitabilmente diverso e la televisione nei talk, o in alcune forme di programmazione, usa dei linguaggi diversi, che talvolta possono risultare più spettacolari, ma che inevitabilmente sono quelli che consentono un racconto maggiore. Cercherò poi di dire alcune cose specifiche.
  Porta a Porta in outsourcing ? Porta a Porta non è in outsourcing. Scusatemi, ma questo lo devo chiarire. Porta a Porta è un programma della Rai, di Rai 1, che ha certamente un contratto con il suo più autorevole personaggio rappresentante, Bruno Vespa, un contratto esterno, e ha anche dei contratti con altri giornalisti e altri collaboratori, ma ha anche molte persone interne che ci lavorano. Non è affidato a una società di produzione esterna, come spesso avviene, tanto più nella televisione commerciale. È un programma a tutti gli effetti della Rai. Chiaramente, per fare un programma, ci vogliono i collaboratori, che qualche volta sono anche esterni. Ci tengo a dire, quindi, che Porta a Porta non è un programma in outsourcing, ma un programma sotto la piena tutela e organizzazione della rete, e che ha collaboratori anche esterni, ovviamente.
  Quanto a chi era a conoscenza della puntata credo di averlo spiegato molto bene prima, ragion per cui non ci torno sopra, ma lo ricordo. Il senatore Rossi forse non ha sentito quel passaggio del mio intervento in cui ho ricordato che, ovviamente, come avviene ogni giorno, vi è un aggiornamento sui contenuti di un programma, che vengono portati fino al Pag. 21livello di direzione di rete e che c’è anche la possibilità che la direzione di rete eccepisca in merito.
  L'onorevole Pisicchio chiedeva se esistano modi diversi di fare informazione e spettacolarizzazione nelle reti. Sì, esistono. Porta a Porta viene citato come terza Camera, come programma autorevole, ma non è l'unico programma della Rai 1, né è l'unico programma di Rai 1. È certamente uno dei programmi di maggiore successo, ma l'informazione viene fatta da Rai 1 in tutta la giornata. Abbiamo quattro ore di diretta di Uno Mattina, che, lo ricordo, è il più importante contenitore del daytime della televisione italiana, insieme a Vita in Diretta. Abbiamo poi in seconda serata gli speciali del TG1 e del TV7, altri due momenti di grande approfondimento. Abbiamo a livello di rete programmi di seconda serata, anche nuovi, come Petrolio di Duilio Giammaria, che cercano di incrociare l'interesse e la particolarità del nostro Paese, il nostro petrolio nascosto, e di tirarlo fuori. Sono tutte strade molto importanti che stiamo cercando di percorrere e che stanno trovando anche da parte del pubblico un certo interesse. A dicembre, lo annuncio, trasmetteremo cinque puntate di una nuova seconda serata che si chiamerà Cose nostre. Saranno cinque puntate, tutte costruite all'interno dalla nostra rete, in cui racconteremo il lavoro che i giornalisti e il mondo dei media fanno nel raccontare la criminalità, non solo mafiosa, con tutto il pericolo e tutti i problemi che ne conseguono, le difficoltà e i riflessi di tutto ciò. Illustreremo il modo di raccontare la criminalità dal punto di vista di chi si assume questo rischio e di chi spesso poi questo rischio lo deve condividere con la propria vita privata. Il senatore Ranucci parlava di dare spazio a più trasmissioni sulle mafie di questo Paese. Auspicava che ci fossero più trasmissioni di questo tipo. Cose Nostre sarà una di queste, ma ricordo che in tutte le nostre trasmissioni, compresa Porta a Porta, i temi delle mafie o delle criminalità varie vengono, ovviamente, seguiti con grandissima attenzione.
  Porta a Porta ha una storia di vent'anni e di 21 edizioni. Raramente come oggi la si è potuta criticare. Un programma va anche visto nel suo insieme e non soltanto in una singola puntata. I temi dell'infortunio e dello scivolone sono tutti temi che non posso che apprezzare, non posso che prendere come commento. Fanno parte dei commenti che abbiamo ricevuto. Ritengo di aver già risposto a tutto questo.
  Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro, chiedeva l'onorevole Nesci, per quanto riguarda la televisione ? Quello che vi potete aspettare è l'interesse e la più grande attenzione da parte nostra a svolgere il nostro lavoro nel modo più completo e serio possibile, anche a condizione di dover ascoltare, come oggi, molte critiche e di riceverne. Ci sono due modi per ricevere le critiche: prenderle e portarle a casa e rispondere alla meno peggio, oppure prenderle e farle diventare un elemento di costruzione e di crescita. Ho già detto nel mio intervento all'inizio che i motivi di crescita sarebbero stati prevalenti rispetto a tutto il resto.
  Il tema di news e talk, cui accennava anche l'onorevole Anzaldi, è un tema molto importante. Credo che la Rai finora, per come è organizzata, abbia una profonda divisione e un'ottima organizzazione nella divisione tra tutta la parte dei telegiornali, dei giornali radio e dei programmi di approfondimento. Non c’è dubbio che ogni programma di approfondimento abbia una sua redazione giornalistica e che viva come una sorta di giornale, come una sorta di magazine autonomo al suo interno, ma mai all'interno della Rai. Da questo punto di vista non so se il modello organizzativo cambierà in futuro, ma è un modello che consente alla Rai di avere sia la parte delle news, sia la parte dei talk, molto importanti per avere tempo a disposizione in un linguaggio più facile per accedere a tutti.
  Rispondo anche a quanto diceva il senatore Fornaro circa le direttive precise per gli strumenti di comunicazione. Come possiamo ovviare a tutto questo ? L'ho detto e lo ripeto: il caso di Porta a Porta sui Casamonica è un caso che, se da una parte mi ha visto, come direttore di rete, Pag. 22non solo difendere, ma anche spiegare le motivazioni del programma, dall'altra presenta sicuramente al suo interno molti elementi di riflessione che saranno certamente utilizzati da chi in Rai, come me, direttore di rete, avrà la possibilità nei prossimi giorni e nei prossimi mesi di lavorare sui propri programmi. Questo dovrebbe essere il risultato più importante, quello di avere avuto non soltanto un ascolto per una difesa d'ufficio, ma un ascolto veramente interessato. Di questo vi ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Leone e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.