XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 66 di Mercoledì 29 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Variazione nella composizione della Commissione:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del presidente del consiglio di amministrazione della Rai, Anna Maria Tarantola:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Tarantola Anna Maria , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 4 
Tarantola Anna Maria , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 4 
Ciampolillo Lello  ... 11 
Airola Alberto  ... 12 
Minzolini Augusto  ... 12 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 13 
Tarantola Anna Maria  ... 13 
Airola Alberto  ... 14 
Fico Roberto , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Variazione nella composizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che in data 23 luglio 2015 la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione il deputato Sergio Boccadutri, in sostituzione del deputato Ettore Guglielmo Epifani, e il deputato Federico Fauttilli, in sostituzione del deputato Mario Marazziti. Nell'esprimere il mio personale ringraziamento, anche a nome degli altri componenti della Commissione, ai colleghi Epifani e Marazziti per il loro contributo alla nostra attività, do il benvenuto, con l'augurio di buon lavoro, ai colleghi Boccadutri e Fauttilli.

Audizione del presidente del consiglio di amministrazione della Rai, Anna Maria Tarantola.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della dottoressa Anna Maria Tarantola, presidente del consiglio di amministrazione della Rai, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono presenti, inoltre, il dottor Nicola Claudio, direttore della segreteria del consiglio di amministrazione, e il dottor Maurizio Rastrello, responsabile della segreteria tecnica del presidente, che ringrazio per la presenza.
  Ricordo che tale audizione si inquadra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola alla dottoressa Tarantola, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  ANNA MARIA TARANTOLA, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Le mie riflessioni partono dall'analisi di contesto. In questo momento infatti tutti i servizi pubblici radiotelevisivi stanno affrontando un cambio di missione, di compiti e di ruolo richiesto dallo sviluppo tecnologico.
  Per chiarire il contesto vale quindi la pena fare una breve premessa sullo sviluppo tecnologico, ma non mi voglio dilungare perché analisi più approfondite sono state fatte anche da altri. In parte ne ho parlato anch'io in mie precedenti audizioni: tuttavia, vorrei focalizzare alcuni concetti base.
  In primo luogo, credo che oggi stiamo vivendo una distruction, ovvero una distruzione del modello di funzionamento precedente, dovuto a questa vertiginosa, Pag. 4costante e continua evoluzione tecnologica che ha un impatto molto forte su tutti i settori e su tutte le istituzioni, non soltanto sull'economia, sul sociale e sulle imprese, ma anche sulle istituzioni pubbliche. Questa distruzione richiede un cambio di paradigma, analisi approfondite dei fattori di cambiamento e – permettetemi di dirlo con il vecchio cappello di economista – anche un cambio di modello di sviluppo. Forse dovremmo cominciare a pensare a una rivoluzione tecnologica che ci chiede di ragionare in termini di nuovo sviluppo economico e sociale. In questo quadro, il prodotto culturale è forse uno di quelli più colpiti o colpiti per primi perché si tratta di beni più facili da smaterializzare. Siccome i servizi pubblici sono produttori di cultura, proprio in questa loro veste e funzione sono particolarmente colpiti. Per questo, la discussione che si sta verificando in sede di rinnovo dei contratti e delle concessioni in vari Paesi si focalizza moltissimo su questo aspetto, cioè su quali siano questi cambiamenti e che cosa stiano determinando nel rapporto fra i cittadini e le emittenti pubbliche radiotelevisive. Vorrei solo ricordarvi che non siamo solo noi che nel 2016 dovremo sostenere il rinnovo della concessione, ma c’è anche, per esempio, il Regno Unito, la Svizzera, la Danimarca e la Francia e tutti stanno affrontando lo stesso problema.
  Questa innovazione è, innanzitutto, un cambio di tecnologie, che sono sempre più sofisticate e richiedono investimenti importanti, e talenti particolarmente portati ad affrontare questo momento. Ciò significa anche l'emergere di nuovi competitori, molto aggressivi, come gli internet provider e gli OTT (over-the-top content), ma anche un'evoluzione socio-economica e culturale, con una grande differenziazione per età. I giovani ormai hanno un modello di uso della tecnologia completamente diverso da quello delle persone più anziane e di questo bisogna tenere conto. L'impatto è che i servizi pubblici devono trovare nuove modalità produttive e distributive, essere presenti su tutte le piattaforme, adeguare i loro modelli di offerta e anche i contenuti.
  Questo è il quadro, in costante e rapida evoluzione e mutamento. Non si può dire mai di essere arrivati perché occorre costantemente capire qual è l'evoluzione ancora più avanzata che si sta verificando, il che richiede, anche da parte dei servizi pubblici, di essere particolarmente capaci di cogliere questi cambiamenti e di adattarsi. Anzi, direi addirittura di anticipare alcune evoluzioni. Una definizione semplice che ricomprende tutto quello che ho detto è quella di passare da broadcaster a media company, nel senso più ampio della parola. In questo contesto, c’è un grande dibattito. Se vi ricordate ne abbiamo già parlato in un'altra occasione. La domanda che si fa è se, in questo mondo in cui sono cambiati i modelli di utilizzo delle informazioni, del divertimento e dell'intrattenimento, il servizio pubblico sia ancora utile. Molti pensano, anche in consessi internazionali, che il mercato, quindi l'evoluzione del mercato, è perfettamente in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini.

  PRESIDENTE. Chiedo un po’ di attenzione perché stiamo ascoltando con molto interesse quello che ci sta dicendo la presidente Tarantola.

  ANNA MARIA TARANTOLA, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Ci starebbe moltissimo da dire sul ruolo del mercato, che sicuramente è importante. Sono però pienamente convinta che anche nell'era del digitale non sia venuta meno la funzione primaria dei servizi pubblici, se la funzione primaria – qui comincio a toccare il tema della missione – è quella di concorrere alla costruzione del futuro di una nazione, di favorire la coesione sociale, l'esercizio dei diritti della collettività e la partecipazione consapevole dei cittadini alle scelte, talvolta anche molto difficili, che sono chiamati a condividere a livello di Stato.
  Questi grandi competitori sono necessari – attenzione, non bisogna mai demonizzare il mercato – ma hanno obiettivi diversi. Gli internet provider e gli OTT non si porranno mai questi obiettivi. Entrambi, Pag. 5dunque, sono necessari. Questa è la mia convinzione.
  Inoltre, va anche tenuto presente che il servizio pubblico è un investimento. Se fatto bene, costruito bene, organizzato bene e gestito bene serve a costruire l'immaginario futuro di un Paese. Non è un costo bensì un investimento e crea valore sociale. Su questo vi posso dire che ci sono stati studi molto interessanti, anche nella stessa Inghilterra, che dimostrano che crea non solo valore sociale, civico, culturale e formativo, ma anche economico. Per esempio, la BBC ho fatto fare uno studio con il quale si dimostra che per ogni investimento che fa e per ogni attività nuova che svolge c’è un effetto positivo anche sulle altre emittenti, cioè per effetto di trascinamento anche le altre emittenti alla fine del processo hanno un vantaggio.
  Un'altra cosa a cui tengo in modo particolare – che, peraltro, già ho detto altre volte – è che la presenza dei servizi pubblici è un argine contro la formazione di posizione dominanti, rischio molto forte nel mondo dei media e della comunicazione perché ci sono rilevanti economie di scala. Vogliamo un mondo nel quale siamo governati da uno o due grandi player che possono anche guidare e influenzare fortemente le decisioni economiche di un Paese ? Ecco, il servizio pubblico, come bene organizzato, può essere veramente un argine importante. A questo proposito, ho citato alcune dichiarazioni, come la raccomandazione fatta dalle Nazioni Unite e in Europa, ma vi lascerò copia, quindi penso di poter procedere velocemente.
  In questo contesto, se seguite il mio ragionamento – ovvero che è cambiato il mondo, quindi i servizi pubblici devono evolvere, ma non è vero che non servono più – dobbiamo stabilire quale missione devono avere e cosa devono fare in un mondo nuovo. Questo è il ragionamento che sto svolgendo con voi.
  Cominciamo dicendo che le missioni di servizio pubblico sono sostanzialmente analoghe in tutti i media di servizio pubblico europei, anche se sono declinate in modo specifico perché riflettono le peculiarità e le priorità di ciascun Paese. Infatti, sono declinate attraverso leggi e statuti, per esempio nel caso della Germania, della Spagna e dei Paesi scandinavi, o attraverso contratti pluriennali di concessione in altri Paesi, come la Gran Bretagna e l'Italia. In tutti i Paesi queste missioni sono integrate in un piano strategico che viene approvato dal rispettivo organo di gestione, secondo specifiche regole di governance. Il piano strategico è lo strumento attraverso il quale gli organi amministrativi del servizio pubblico conseguono gli obiettivi loro assegnati, adeguandosi al contesto che cambia. Quindi, il piano strategico è uno strumento molto importante perché è proprio la via attraverso la quale il management del servizio pubblico riesce a dimostrare la sua capacità di raggiungere gli obiettivi fondanti, adattandosi e recependo le novità del contesto. Come ho detto, il contesto richiede sicuramente di cambiare o di ripensare l'offerta, l'organizzazione e la tecnologia. Nel caso della Rai, come sapete, il piano strategico 2013-2015 è stato predisposto dal direttore generale e approvato dal consiglio di amministrazione, che ha ritenuto che la missione della Rai e quindi l'uso corretto dei fondi che le vengono dal canone richiedesse interventi su tre fronti: quello economico-finanziario, per mettere l'azienda in sicurezza perché partivamo da una perdita di 245 milioni; sul fronte tecnologico, per adeguare l'azienda ai più elevati standard della tecnologia in atto; editoriale, per rendere l'offerta chiaramente riconoscibile come servizio pubblico e puntare sulla qualità. Questi risultati sono stati largamente conseguiti. Non voglio entrare nel dettaglio, ma sono ben riportati nel bilancio d'esercizio e anche nel bilancio sociale, di cui ho dato la prima copia al presidente della Commissione perché è stato presentato proprio oggi. Questo è un obiettivo che rende tutti noi di Rai particolarmente soddisfatti e orgogliosi perché dà conto di tutto ciò che Rai ha fatto, ma anche delle cose che ancora devono essere fatte sotto l'ottica e il cappello della responsabilità sociale e della sostenibilità. È, quindi, un'ottica diversa Pag. 6da quella del bilancio d'esercizio, che, invece, è quella puramente economico-finanziaria, ovvero di dar conto dei risultati economici conseguiti.
  Il Piano strategico che si sta completando è impostato su 12 cantieri; quasi tutti hanno terminato i loro lavori, quindi si è passati alla fase attuativa. Ce ne sono alcuni sui quali mi fa piacere condividere con voi alcune mie riflessioni. Uno dei 12 cantieri riguarda il perimetro della Rai, quindi il numero dei canali. Se ricordate, ogni tanto c’è questa domanda anche da parte sua, presidente. Infatti, c’è l'opinione che siano troppi. Allora, vorrei semplicemente fare qualche riflessione. Non voglio dire se lo sono o meno. Non è questo il mio ruolo oggi. Tuttavia, l'elevato numero di canali in chiaro della Rai, realizzati in conseguenza del passaggio dall'analogico al digitale, ha consentito una possibilità di scelta per lo spettatore, andando incontro a un'esigenza che stava emergendo. Certo, non è la media company che va non più da uno a tanti, ma da uno a uno, con la capacità di dialogare e di interagire con il singolo spettatore o cittadino. Certamente, però, va incontro a un'esigenza di diversificazione e di personalizzazione. Girando per le strade, mi è capitato di incontrare persone che mi riconoscono e mi dicono bene di un certo canale perché soddisfa un'esigenza personale di musica classica o altro. Avere una pluralità di canali dà la possibilità, la sera, di mettersi davanti alla tv e scegliere, cosa che con il canale generalista non si può fare. Dal punto di vista di mercato, questa scelta ha ampliato la competizione e ne hanno tratto vantaggio i cittadini e l'industria audiovisiva, in termini di ascolti e di redditività. L'offerta, più ampia e gratuita, è anche garanzia di pluralismo culturale e informativo perché ciascuno può alimentare e assecondare le proprie esigenze culturali. Non sono, infatti, tutte uguali; ne abbiamo diverse. La cultura non è solo musica e teatro, ma per fortuna è anche divertimento, lettura e così via. Tutto ciò fa parte dell'ampia scelta culturale. Infine, i canali tematici raggiungono uno share pari al 6,8 per cento nell'intera giornata e al 6 per cento in prime time; hanno un costo complessivo contenuto e un favorevolissimo rapporto costi-ascolti. Questa articolazione ha consentito alla Rai di mantenere la sua leadership (39 per cento in prime time; 37 durante tutta la giornata), ma ha colpito anche me sapere che durante la giornata circa 42 milioni di italiani, ovvero il 75 per cento della popolazione guarda o ascolta un canale della Rai o guarda il web. Insomma, è una quantità rilevantissima. Si può anche pensare che la quantità non dica tutto perché bisogna vedere anche quale sia la qualità. A questo riguardo, sapete che facciamo da diversi anni una rilevazione della qualità dei nostri prodotti con un metodo solido e robusto da parte della società esterna che ha vinto la gara. A differenza di rilevazioni non particolarmente affidabili sul fronte del metodo, i dati ci dicono che la qualità percepita dai nostri ascoltatori, in un range di valori da 1 a 10, è pari a 7,5. In estrema sintesi, raggiungiamo quasi il 40 per cento di share con una qualità più che positiva.
  Un altro importante cantiere affronta l'articolazione territoriale, che viene giudicata talora eccessiva e non efficiente. Anche qui si tratta di un aspetto molto delicato che l'azienda sta affrontando con equilibrio, coniugando l'esigenza di razionalizzazione con quella di salvaguardia e di valorizzazione dell'identità territoriale e della coesione sociale. La dimensione locale dell'informazione è una cosa estremamente delicata nel mondo così complesso, così globale e connesso. Infatti, se è ben strutturata e organizzata, può svolgere un ruolo importante e vitale per la collettività. Vorrei dire che non è un caso che in Europa la dimensione locale, in tutti i casi in cui c’è stato un rinnovo di charter o di convenzioni, è stata mantenuta, anzi talora sviluppata.
  Infine, sempre nell'ambito del cantiere perimetro – insieme al numero dei canali e alla presenza nel territorio – non abbiamo dimenticato anche la presenza internazionale. Sapete benissimo che la presenza internazionale si declina su più fronti: essere presenti in alcuni Stati considerati paesi strategici con propri corrispondenti; Pag. 7la programmazione di Rai World trasmessa su canale Rai Italia; le coproduzioni e le collaborazioni con altri servizi pubblici europei. Anche questi sono tutti ambiti in cui l'attuale dirigenza è intervenuta con operazioni di riassetto e di rivitalizzazione.
  Questo è, dunque, un percorso che va continuato. Sicuramente sarà compito del nuovo consiglio di amministrazione definire il piano industriale 2016-2018.
  Il direttore generale Gubitosi sta ragionando anche su alcune possibili linee di evoluzione. Tuttavia, siccome si parla di missione e di compiti del XXI secolo, mi permetto di dire qual è la mia opinione personale perché, visto che era il tema sul quale devo discutere, mi sembra utile fare un ragionamento. Credo che se la Rai intenda mantenere la centralità di cui i numeri che ho appena citato danno conto e continuare nel percorso di forte identificazione come servizio pubblico debba andare avanti sui tre grossi ambiti individuati dal piano 2013-2015: la sicurezza economico-finanziaria, la tecnologia e l'offerta.
  Per esempio, sul fronte della tecnologia, dobbiamo essere presenti su tutte le piattaforme, ma con una tecnologia d'avanguardia. C’è un problema di essere sulla frontiera più avanzata della tecnologia, sviluppando servizi multischermo interoperabili e disporre di competenze idonee a soddisfare le sfide tecnologiche, anche con un processo di assunzioni dall'esterno e di intensa formazione all'interno.
  Riguardo all'offerta, bisogna puntare sempre più costantemente e con convinzione sulla qualità dei contenuti, ma anche realizzare un'offerta destinata ai canali di nativi digitali, al mobile internet, anche come strumento per combattere l'invecchiamento degli spettatori e dell'utenza e avere un chiaro posizionamento editoriale su tutte le piattaforme. Devono essere individuate molto bene, quindi ci vuole una linea editoriale forte anche a livello di singola piattaforma. Sarebbe altresì utile predisporre di un software per guidare l'utente, con interfaccia intuitiva, nella scelta di un'ampia gamma di programmi, come ha fatto, per esempio, France Télévision. Io l'ho visto; è molto simpatico e consente di scegliere immediatamente, dallo smartphone o dal tablet, il canale preferito o il programma che sta sul web in quel momento. Insomma, è molto carino e si può sviluppare. Non vanno, però, trascurati programmi che sono e resteranno caratteristici della tv lineare, quali l'informazione, lo sport (anche quelli minori), i grandi eventi, che vanno anzi rafforzati perché sono comunque qualcosa di importante che i nostri cittadini vogliono avere.
  Queste sono alcune riflessioni che vorrei condividere con voi, ma sono tutte operazioni che richiedono ingenti investimenti e, da parte di Rai, di continuare nell'opera di ottimizzazione dei costi e di un'attenta selezione delle iniziative, per fare solo quelle che hanno una valenza strategica. Questo, però, non basta perché chi fa gestione ed è amministratore o proprietario di un'azienda sa benissimo che c’è un livello sotto al quale non si può andare, quindi richiede anche – mi permetto di dirvi – certezza di risorse pubbliche adeguate.
  Possiamo anche svolgere, come Rai, un ruolo importante nella costruzione della società digitale; questo sia attraverso la nostra programmazione, quindi cosa facciamo vedere, ma anche con la nostra azione aziendale, cioè essere di esempio su come siamo digitali perché anche questo è importante. Questo, per esempio, può contribuire a sviluppare le competenze digitali e stili di consumo o di vita responsabili nell'ambiente digitale. Qui c’è tutto il tema enorme della tutela dei minori nell'uso di internet, che è una cosa importantissima perché i ragazzi non hanno la consapevolezza dei rischi che corrono.
  Occorre, inoltre, utilizzare in modo responsabilmente trasparente i dati personali dei cittadini. Tutti sentiamo parlare moltissimo dei big data. Gli internet provider e gli OTT sono molto avanti su questo fronte, cioè sanno usare l'enorme quantità di dati che potenzialmente hanno a disposizione per poter non solo raccogliere pubblicità e guidare lo spettatore o Pag. 8l'utente, ma anche per usi che potrebbero essere non proprio tutelanti della privacy. In questo il servizio pubblico può fornire un'alternativa affidabile all'uso, che talvolta è puramente commerciale e non rispettoso della privacy, fatto dagli altri competitori. Bisogna, inoltre, sostenere la crescita della domanda attraverso iniziative di comunicazione e offerte di contenuti e servizi ad accesso gratuito basate sempre più sulle relazioni personali con i cittadini. Ancora, è necessario stimolare lo sviluppo dell'industria della produzione digitale. Poc'anzi parlavo di alcune ricerche che vengono fatte dal Centro ricerche e innovazione tecnologica (CRIT) della Rai che possono avere una rilevanza proprio sul fronte digitale per lo sviluppo di un'industria collaterale. Dobbiamo, poi, agire come connettori di imprese, di cittadini e di istituzioni per favorire e migliorare la vita e i servizi erogati e creare nuove opportunità di business.
  Tutto questo riguarda – a bocce ferme – cosa ha fatto e cosa può fare la Rai, ma per poter veramente avere un servizio pubblico molto vitale, molto presente, diverso e rilevante ci vuole anche un nuovo quadro normativo, che è necessario proprio per agevolare l'azienda nel complesso processo di transizione da broadcaster a media company di servizio pubblico.
  Il DDL di riforma della Rai attualmente all'esame del Parlamento introduce nuove regole di governance e delega il Governo a emanare nuove norme in materia di finanziamento di servizio pubblico e di riordino e semplificazione delle disposizioni vigenti. Sono tutti temi di grande rilievo fortemente correlati tra di loro. Ricorderete che in un'altra occasione avevo avuto modo di dirvi che, a mio avviso, questi tre elementi dovevano andare di pari passo. Infatti, è importante per un management sapere quali sono gli obiettivi che gli vengono dati e quali i mezzi su cui può fare affidamento per un certo periodo di tempo, quindi la governance. Tuttavia, è stata fatta un'altra scelta, ma mi permetto di dire che sarebbe importante che le deleghe fossero attuate nel minor tempo possibile insieme con la riforma della governance proprio per non creare una distonia tra i tre aspetti. Mi permetto anche di dire che è necessario chiarire l'architettura complessiva delle disposizioni normative primarie (le leggi) e secondarie (convenzione di concessione e contratto di servizio) attraverso una migliore identificazione dei diversi livelli di intervento.
  Anche su questo vorrei fare alcune osservazioni.
  La missione di servizio pubblico deve definire i grandi obiettivi di interesse generale che sono assegnati dallo Stato al concessionario, in contropartita del finanziamento pubblico. La definizione della missione di servizio pubblico – anche se abbiamo detto che neppure nella stessa Inghilterra non è per legge, mentre lo è in altri Paesi – sarebbe meglio che fosse competenza del Parlamento, assieme all'indicazione dei valori a cui la concessionaria si deve attenere. Infatti, la missione non è e non può essere un elenco dettagliato di compiti, ma la chiara, semplice e incisiva indicazione degli obiettivi fondanti del servizio pubblico, quelli che in economia vengono chiamati «obiettivi finali». Nella maggior parte dei Paesi europei, la missione è definita attraverso principi chiari in 20 righe al massimo. Gli obiettivi intermedi, quelli operativi, possono essere definiti nella concessione o nel contratto di servizio. Gli strumenti – ovvero come faccio a raggiungere quegli obiettivi intermedi, cioè quegli operativi che mi consentono di raggiungere l'obiettivo finale, cioè la missione – devono essere scelti dal management del concessionario perché è loro responsabilità. Se si toglie al management la responsabilità della scelta degli strumenti più adatti per raggiungere gli obiettivi intermedi definiti dal contratto di servizio e dalla concessione, al fine di raggiungere l'obiettivo finale che la missione ha definito per legge, perdono una grossa fetta di responsabilità. Come cittadina, vorrei dire che in Gran Bretagna, per la BBC, è in corso una grande consultazione pubblica perché alla fine del 2016 dovranno rinnovare la concessione, quindi stanno sentendo i cittadini su questo.Pag. 9
  Mi permetto, dunque, di parlare come cittadina. In questo momento non sono presidente della Rai, ma una semplice cittadina alla quale voi, come Commissione, avete chiesto di dare un parere su quale potrebbe essere una missione. Tutto quello che ho detto finora sta parlando di questo tema, ma se pensiamo che la missione possa essere definita per legge mi sono chiesta cosa vorrei leggere in questa legge. Non sorridete e non prendetemi in giro; è solo un tentativo. Ho fatto due ipotesi, una lunga e una breve.
  L'idea è creare valore per i cittadini con programmi e servizi che informano, educano e divertono – questo è copiato dalla BBC – e, aggiungerei, interconnettono (questa, infatti, è una cosa nuova che prima non c'era) in modo da rafforzare l'identità e la cultura nazionale ed europea (perché facciamo parte dell'Europa); favorire la formazione di una cittadinanza attiva e consapevole; assicurare l'universalità di accesso e la pluralità di voci; coltivare e seguire l'interesse generale. La versione più breve è arricchire ed elevare la qualità della vita sociale e culturale degli italiani; accentuare l'identità nazionale ed europea dei cittadini e con programmi che informano, educano, intrattengono e interconnettono nel miglior modo possibile.
  Per legge dovrebbe anche essere garantita l'indipendenza da possibili interferenze economiche e politiche, una condizione essenziale per giustificare l'esistenza di un servizio pubblico finanziato dai cittadini.
  Come ho detto prima, anche la governance e le risorse finanziarie disponibili devono essere disciplinate per legge. Sarebbe, altresì, necessario definire in modo chiaro per non dare adito a dubbi, la natura giuridica della Rai. La Rai è una SpA, è un'impresa pubblica o un ente di diritto pubblico ? Questo è un elemento indispensabile per definire il contesto normativo entro cui si muove l'azienda. Peraltro, se ricordate la mia prima audizione partì da questo. Compiti e obiettivi operativi andrebbero definiti in sede di concessione o di contratto di servizio. In questo modo, da un lato si darebbe stabilità alla missione e dall'altro si renderebbe possibile modificare i compiti alla luce dell'evoluzione del contesto, senza dover avviare il complesso iter di modifica della legge. La semplificazione e una migliore articolazione del quadro normativo permetterebbero alla Rai di concentrarsi sugli aspetti essenziali della missione di servizio pubblico e di disporre di maggiore autonomia e agilità nella realizzazione degli obiettivi intermedi. Sta al management dell'azienda individuare gli strumenti più idonei per conseguire in modo efficace ed efficiente gli obiettivi assegnati. Ovviamente, la concessionaria deve rendere conto del proprio operato – anche su questo, però, mi permetto di ribadire – non sul singolo atto, ma sui risultati conseguiti e sui costi sostenuti. Le modalità non possono che essere i bilanci d'esercizio e sociale, le relazioni semestrali e la contabilità separata. L'uso di indicatori preventivamente individuati può essere utile.
  Vorrei fare, infine, un cenno alla visione. Ogni azienda deve avere una visione, che non va confusa con la missione. Per capire la differenza mi sono permessa di vedere cosa fa la BBC, che viene spesso citata. Sul suo sito, la BBC dice «our mission is to enrich people's lives with programmes and services that inform, educate and entertain» (la nostra missione è arricchire la vita delle persone con programmi e servizi che informano, educano e divertono); «our vision is to be the most creative organization in the world» (la nostra visione è essere l'organizzazione più creativa al mondo). Come vedete, la visione è un'ambizione alta. La visione della McDonald's era quella di essere il cibo di tutte le famiglie del mondo. In qualsiasi parte del mondo, a pranzo o a cena fuori con la famiglia si deve andare da McDonald's: questa era la visione. È una sfida, che non può che venire dall'interno della concessionaria ed essere condivisa. Per esempio, la Rai potrebbe avere come visione quella di essere la media company più innovativa e creativa in Italia e nell'area euro-mediterranea. Peraltro, la Pag. 10dimensione euro-mediterranea per la Rai può essere veramente molto importante. C’è tantissimo da fare su quell'ambito, anche alla luce di quello che sta succedendo nel nostro bel mar Mediterraneo.
  Un organismo proteso verso il futuro, con solide capacità tecnologiche, intellettuali e artistiche, capace di posizionarsi con autorevolezza e riconoscibilità nel contesto competitivo della comunicazione digitale globale con un approccio appropriato e un sistema di sinergie, di alleanze e di energie creative. Questo è sfidante, ma credo si possa fare con una grande volontà e determinazione e anche con il supporto dello Stato. Essere un servizio pubblico rilevante, autorevole, differente nel XXI secolo vuol dire essere un servizio pubblico ben gestito e bene organizzato, capace di adattarsi al contesto digitale, ma soprattutto di realizzare un prodotto di eccellenza. Infatti, credo che il futuro più roseo di Rai sia quello di bravo, bravissimo editore. Questo è quello che ci può rendere veramente differenti.
  Il mandato editoriale si potrebbe articolare nei seguenti obiettivi: informare, raccontare, educare, valorizzare, creare, digitalizzare, connettere, interagire e includere. Sono nove punti. Il primo punto è informare in modo indipendente, veritiero e autorevole, accessibile a tutti i cittadini e a tutti i livelli locale, nazionale e internazionale, su tutte le piattaforme distributive, attingendo a tutte le possibili fonti contemporanee e valorizzando la funzione territoriale. Il secondo è raccontare la pluralità di voci del XXI secolo. Dobbiamo raccontare l'Italia e il mondo come sono oggi e come potrebbero essere domani, servendoci delle più diverse forme narrative e di linguaggi della narrazione, con particolare attenzione alla dimensione umana che viene spesso trascurata, alle storie individuali e collettive. Il terzo è supportare attraverso la formazione informale – quando si parla di «educare» preferisco usare l'espressione «formazione informale» perché l'educazione viene fatta nella scuola e all'università, attraverso la formazione formale; noi, invece, possiamo trasmettere una formazione informale, fatta non nelle aule dove occorre seguire il maestro, ma catturando l'interesse dello spettatore che può spegnere o andare su un altro canale. Si tratta di una formazione informale che è molto più complicata perché deve essere talmente ben costruita e narrata che lo spettatore si ferma e guarda. Non è come in classe, dove difficilmente uno si alza e se ne va. Allora, bisogna saper supportare questa formazione informale, essendo particolarmente allettanti, usando tutti i generi e aiutare il processo di acquisizione delle conoscenze e delle competenze necessarie, comprese quelle economico-finanziarie e scientifiche per consentire ai cittadini di agire in modo consapevole, ma anche di affrontare nuovi mestieri. In Italia abbiamo un problema nella capacità e nel processo di acquisizione delle competenze necessarie per svolgere bene i nuovi mestieri che sono richiesti oggi. Siamo molto bravi nei vecchi mestieri. Non è che non siamo bravi nei nuovi, ma lo siamo un po’ meno. Il servizio pubblico può trasmettere questo messaggio.
  Il quarto punto è valorizzare il patrimonio paesaggistico, artistico, monumentale e culturale italiano in tutte le sue forme, espressioni e manifestazioni. Il quinto è creare opere audiovisive, progetti editoriali e contenuti originali, attirando, coltivando e mettendo a frutto i migliori talenti e le migliori intelligenze del nostro tempo, sostenendo la produzione indipendente, cosa che già facciamo perché investiamo decine per non dire centinaia di milioni al riguardo. Il sesto è agevolare il processo di digitalizzazione del Paese, accompagnandolo la società italiana verso il superamento del divario digitale. Il settimo è connettere persone, saperi, competenze, esperienze, ambiti e comunità. C’è una tendenza all'individualismo della società di oggi. L'ottavo punto è interagire con i cittadini, stimolando il dialogo e la partecipazione per incoraggiare una cittadinanza attiva e consapevole. Infine, abbiamo la funzione di includere, favorire la coesione sociale, amalgamare i più diversi sentimenti di appartenenza, unire, considerando Pag. 11sempre che ogni elemento di diversità e singolarità è fonte di ricchezza.
  Una linea editoriale orientata in questo senso richiede una forte condivisione, determinazione e competenze autoriali. Non che non le abbiamo, ma bisogna ulteriormente alimentarle e rafforzarle. Forse, per questo penso che sia molto utile avere un comitato editoriale adeguato nella composizione ed efficace nell'azione.
  Nel medio e lungo periodo – concludo – in un mondo in cui l'immanente e l'immateriale conta quanto, se non più, del materiale, la Rai dovrà sempre più essere un editore, capace di offrire contenuti di qualità, differenti da quelle degli altri media, per esempio delle tv private, e un produttore che si sa avvantaggiare e adattare al nuovo contesto digitale. Insomma, la Rai deve essere motore di innovazione e di creatività di prodotto e di tecnologia, operando con standard di economicità, affidabilità ed elevata professionalità, oltre che di trasparenza nella gestione e nelle modalità di funzionamento, attenendosi sempre ai criteri e ai principi di una buona governance. Deve essere un editore indipendente – insisto sulla parola – che può puntare all'eccellenza dei contenuti e della tecnologia, grazie a risorse certe e adeguate e capace di dotarsi di una buona organizzazione e di una buona gestione. Lo Stato deve supportare questo progetto in una logica di investimento sul futuro della stessa nazione. Making the difference (fare la differenza): questo è il comandamento cui Rai deve rispondere come servizio pubblico radiotelevisivo, anche nel mondo multipiattaforma e digitale.
  In conclusione, una Rai al servizio dei cittadini – questa frase è un po'enfatica; non so se dirvela, ma la dico lo stesso – e che può e deve essere uno strumento di democrazia 2.0 di enorme efficacia.

  LELLO CIAMPOLILLO. Lei ha parlato di informare e di educare, soprattutto di informare essendo un servizio pubblico. Invece, nel nostro Paese dove la Rai possiede ben 5 mux, quindi oltre 100 megabit di banda, per cui potrebbe andare ben oltre i canali che trasmette, sono assenti i due canali di Camera e Senato, che, di fatto, oggi sono visibili solo sulla piattaforma satellitare, che tra l'altro è quasi come se fosse un servizio a pagamento perché chi ha il satellite lo usa, appunto, a pagamento, tranne i rari casi di chi si è dotato di un decoder free to air. Questo va di pari passo con la questione che abbiamo sollevato più volte, sia qui che in ottava Commissione al Senato, del servizio di informazione di Rai Parlamento. Infatti, Rai Parlamento in FM ha una copertura ridotta, per cui siamo costretti ad affidare il servizio a Radio Radicale, che, peraltro, lo svolge in modo ottimo, ma i cittadini pagano due volte, a fronte di un servizio in FM di Rai Parlamento che ha scarsa copertura e, per giunta, con canali che la Rai ha acquistato da privati in passato proprio per creare questa rete di GR Parlamento in FM.
  Dunque, la domanda è come mai fino a oggi la Rai non abbia ritenuto di assumere un impegno preciso in tal senso. Sicuramente non sfuggirà l'importanza per la democrazia e per un'adeguata diffusione delle conoscenze e della maturità politica dei cittadini di garantire il libero accesso alla visione dei lavori parlamentari. Il dubbio è che tale non impegno da parte delle istituzioni pubbliche e della Rai trovi la sua ragione nella paura di poter avere una cittadinanza che si esprima liberamente, senza il filtro di una cronaca giornalistica molto spesso parziale. Come ho già avuto modo di precisare, non ci si può sorprendere se i ragazzi appaiono oggi più attenti alle televendite o magari alla vita privata di qualche tronista o velina o «olgettina» piuttosto che cercare di comprendere i perché delle tante contraddizioni di questo nostro Paese.
  Credo che il nostro, il suo e il dovere della Rai come servizio pubblico sia quello di garantire a tutti la conoscenza di quello che accade nelle istituzioni parlamentari e come i propri rappresentanti svolgano il proprio ufficio. Credo che la Rai dovrebbe fare di più, grazie anche all'opportunità del digitale terrestre, inserendo due canali nazionali, visto che la banda lo consente. Tra l'altro sarebbe a costo zero perché il Pag. 12servizio già esiste, per cui tecnicamente bisogna soltanto prendere la copia di quello che va sul satellite e trasferirlo sul digitale terrestre.
  Signora presidente, le chiedo, dunque, se ha avuto modo di occuparsi di una simile problematica e, in caso negativo (come immagino), di farlo al più presto. In tal senso, ho anche presentato un ordine del giorno nella riforma Rai che stiamo discutendo proprio in questi giorni in Aula al Senato.

  ALBERTO AIROLA. Voglio solo ringraziarla. Non ho granché da aggiungere, anche perché abbiamo avuto numerosissime occasioni di confrontarci anche in Commissione ottava. Voglio fare un appello. Lei prima ha detto che anche in Inghilterra hanno avviato un'audizione e un dibattito pubblico sulla riforma della governance. Ecco, ritengo che in Italia se ne stia parlando poco fuori. Non è, ovviamente, solo colpa o responsabilità della Rai, ma secondo me la Rai può fare molto in questo senso, sensibilizzando, in questo periodo in cui stiamo affrontando questo importante impegno, i cittadini sulle scelte e sulle problematiche che il Parlamento si trova ad affrontare.

  AUGUSTO MINZOLINI. Credo che le argomentazioni avanzate dalla presidente siano condivisibili. Chi non vuole una Rai o un'informazione indipendente ? Tuttavia, credo che questo dibattito nasca anche perché stiamo facendo la riforma della Rai. Lei ha visto il tipo di progetto che è stato presentato, che se dovessi sintetizzare segna il passaggio da una Rai che ha come riferimento il Parlamento a una Rai in cui l'influenza del Governo è maggiore, tenendo conto degli equilibri. Allora, rispetto al tipo di mission che immaginava e prospettava, questo cambiamento è positivo o meno ?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio ringraziare la presidente Tarantola per essere qui oggi e per la comunicazione che ha fatto, anche perché credo abbia fornito elementi che derivano dalla sua esperienza di questi tre anni. Peraltro, come gruppo del Partito Democratico in Commissione di vigilanza abbiamo sostenuto l'esperienza dalla presidente Tarantola, avendola votata nella scorsa legislatura nel momento in cui la Commissione di vigilanza è stata chiamata esprimere il voto sul presidente designato, quindi abbiamo sostenuto gli obiettivi da lei indicati. Poi ci sono stati momenti di carattere istituzionale con punti di vista diversi. Anche in sede di audizione abbiamo avuto punti di vista diversi, in punto di diritto e di prassi. Per riassumere con un modo di dire delle mie parti, ofelè al fa el so mestè e credo che ognuno l'abbia fatto anche nel momento in cui avevamo punti di vista diversi, per cui il mio è un ringraziamento non formale.
  Credo che nella sua comunicazione ci siano suggestioni non scontate rispetto al ruolo del servizio pubblico nelle trasformazioni, a partire da quelle di carattere tecnologico, che credo costituiscano materiale molto utile per il ciclo auditivo che abbiamo iniziato e per il lavoro che si è dato questa Commissione nei prossimi mesi.
  Mi permetto soltanto una battuta rispetto a quanto diceva il senatore Minzolini. Non mi trovo d'accordo nelle considerazioni che ha fatto rispetto al disegno di legge che in queste ore è in discussione al Senato. Ho un giudizio diverso. Credo, infatti, che sia un punto equilibrato di riforma, soprattutto perché – rispetto a quanto ha sollevato il senatore Minzolini – nella proposta di riforma della governance viene mantenuto il ruolo preponderante del Parlamento, nel senso che è proposto che nel Consiglio di amministrazione 4 membri su 7 siano indicati dal Parlamento (2 dalla Camera e 2 dal Senato), con un meccanismo diverso rispetto a quello attuale, ossia l'elezione da parte dell'Aula. Da questo punto di vista, c’è coerenza rispetto alle sentenze della Corte costituzionale e soprattutto rispetto all'obiettivo che è sempre stato indicato, ovvero di mantenere la centralità del Parlamento.

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  PRESIDENTE. A nome di tutta la Commissione, la ringrazio ufficialmente per il lavoro svolto in questi tre anni. Oltretutto, credo che questa – al di là di quando ci sarà il rinnovo del consiglio di amministrazione – sia presumibilmente l'ultima audizione che facciamo con la presidente Tarantola. Quindi, la salutiamo.
  Personalmente, la saluto anche con una domanda perché trovo molto positive le suggestioni che ci consegna oggi in Commissione. Ci sono, infatti, dei punti sull'informazione che sono cruciali e molto importanti rispetto all'indipendenza di cui tutti parliamo sempre. Tuttavia, spesso non riusciamo mai a raggiungere l'indipendenza totale della Rai.
  Allora, anche per lasciarlo agli atti della Commissione e lavorare meglio nel futuro. Mi chiedo, in questi tre anni, quali sono stati i problemi per cui non è riuscita a raggiungere e a realizzare una parte di queste suggestioni. Le chiedo, in particolare, se è per problemi interni, di influenza politica, di lottizzazione, di scarsa competenza del consiglio di amministrazione su alcuni punti perché non è interdisciplinare o con scarsa visione editoriale. Ecco, in questo caso parlo di visione, non di missione.

  ANNA MARIA TARANTOLA. Non so se riuscirò a rispondere in maniera efficace a tutte le domande. Al senatore Ciampolillo posso dire che il tema è stato affrontato, se la può tranquillizzare. Ci sono state diverse interlocuzioni con i due rami del Parlamento per vedere come strutturare e venire incontro a questa esigenza. Ci sono ancora incontri e discussioni in corso seguiti dal direttore generale. Se non si è ancora definito se e come fare questi due canali ad hoc non dipende dal fatto che non se ne sia parlato o discusso, ma dal fatto che occorrono alcune riflessioni da entrambe le parti. Vorrei, però, dirle che non so se ha notato, ma abbiamo comunque già fatto qualcosa in termini sia di orari in cui si parla delle grandi scelte che il Parlamento sta affrontando, sia di contenuti. Per esempio, le ricordo che subito prima del Tg delle 7, c’è una finestra che in termini temporali è relativamente breve (7-8 minuti), ma particolarmente efficace perché, con la presenza dei parlamentari che stanno discutendo o che hanno presentato proposte, si dà loro la possibilità di discutere e di spiegare meglio ai cittadini le motivazioni di fondo di quelle loro proposte e gli effetti che si propongono. Abbiamo, dunque, lavorato su questo fronte. Credo che le discussioni in corso porteranno a una decisione.
  Sulla presenza dei vari mux, i broadcaster tradizionali e quindi anche la Rai, come tanti altri servizi pubblici europei, sono sotto attacco in sede europea perché c’è la tendenza a portarci via diverse frequenze: è un elemento che va gestito con molta attenzione e con molta determinazione. L'EBU, l'associazione di tutti i servizi pubblici europei, sta seguendo molto da vicino la questione. La commissione Lamy ha consentito di avere un periodo di tempo abbastanza lungo per il trapasso dei 700. Tuttavia, non c’è stata ancora una decisione definitiva da parte della Commissione, quindi è un ambito su cui bisogna lavorare con molta attenzione, non perché i servizi pubblici vogliano fare un'azione di retroguardia, ovvero mantenere lo status quo, ma per avere il tempo necessario per poter passare alla banda larga e ultra larga. Infatti, con il passaggio alla banda ultra larga si libera una notevole quantità di spazio, quindi ci sarà disponibilità per tutti. Non avendo ancora la banda ultralarga, abbiamo bisogno di coprire le frequenze anche per venire incontro alle esigenze di nuovi canali. Insomma, abbiamo bisogno di mantenere lo status quo o perlomeno di darci il tempo di passare dall'uno all'altro.
  Ho, quindi, risposto in parte anche alla domanda del senatore Airola, salvo il fatto che lei, forse, si riferiva anche ai Tg, ovvero non necessariamente con un canale dedicato, ma anche sui canali generalisti. Credo che lo stiamo in parte facendo. Perlomeno questa è la linea di tendenza, anche se non si percepisce ancora completamente, passando dalla cronaca semplice a una cronaca più articolata, che vada anche incontro all'esigenza di capire Pag. 14il perché delle cose. Questo è importante. Se c’è qualcosa che sta succedendo nel Parlamento, non dobbiamo limitarci a dire che è in corso quella certa discussione sulla riforma Rai – credo che sia questa la sua esigenza – ma spiegare di più le motivazioni e posizioni. Su questo credo che ci stiamo muovendo. La linea di tendenza è di cercare di far capire meglio quello che sta succedendo all'interno del Paese, con particolare riferimento a quello che accade in Parlamento, che rappresenta tutti i cittadini.
  Sulla riforma della Rai ho già parlato e lei mi ha già sentito, quindi non vorrei tornare su questo oggi in cui parlavamo di missione. Credo che sia compito del Parlamento dire come si deve fare, non di un presidente della Rai. Vi devo dire qual è l'obiettivo; poi trovate voi la soluzione migliore. Mi sono perfino permessa di dirvi da cittadina quale potrebbe essere la definizione di missione che mi sembrava più opportuna. Peraltro, ho ragionato molto se dirlo o meno. Poi l'ho detto, visto che siamo in un rapporto di grande franchezza, quindi mi sono permessa di dirvi la mia idea.
  Come ha detto il capo delle news della BBC (oggi le abbiamo fatto una pubblicità incredibile) intervenendo a un nostro convegno, l'indipendenza sta dentro di noi. Dobbiamo credere noi di essere indipendenti. Voi lavorate, come membri del Parlamento, per trovare la soluzione legislativa migliore perché certamente è una cosa che va definita per legge, ma poi le persone che saranno incaricate di gestire l'azienda nei prossimi anni dovranno essere loro stesse convinte dell'indipendenza.
  Penso che non abbia particolarmente nulla da dire all'onorevole Peluffo. Forse, con questa risposta ho risposto in parte anche a lei.
  Presidente Fico, siamo molto più indipendenti, ma non voglio entrare nel dettaglio dell'operatività del consiglio. Credo, peraltro, che l'indipendenza si possa agevolare anche lavorando molto sui processi. Questo mi sento di dirlo perché è un mio mantra, come sanno i miei colleghi, che saranno stufi di sentirlo. Sono fortemente convinta che bisogna credere di essere indipendenti, ma che anche i processi sono molto importanti per aiutare l'indipendenza perché se c’è un processo chiaro che definisce come si deve fare una determinata cosa e qual è l’iter è difficile che una voce esterna possa dirmi cosa fare, perché andrebbe contro il processo dato, cosa che andrebbe motivata. Non è detto che attraverso l'individuazione di processi chiari e tracciabili si risolva il problema, ma è sicuramente un contributo importante. Su questo abbiamo lavorato molto.

  ALBERTO AIROLA. Lo riferirò in Aula nell'illustrazione degli emendamenti che hanno per oggetto questi processi.

  PRESIDENTE. Ringrazio la presidente Tarantola e i suoi collaboratori e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.