XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 63 di Mercoledì 8 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews, Paolo Garimberti:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Garimberti Paolo , presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews ... 3 
Airola Alberto  ... 8 
Garimberti Paolo , presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews ... 8 
Verducci Francesco  ... 9 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Garimberti Paolo , presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews, Paolo Garimberti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews, Paolo Garimberti che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che con tale audizione la Commissione è interessata ad acquisire elementi informativi in merito al ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola al dottor Garimberti, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  PAOLO GARIMBERTI, presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews. Il Presidente Fico ha detto che sono presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews. L'ultima volta che sono venuto in quest'Aula ho parlato proprio di Euronews perché ero stato audito su questo tema. Quindi, se il Presidente mi permette, prima di parlare dei temi principali, ovvero della Rai, vorrei aggiornare questa Commissione sull'evoluzione che nelle ultime settimane ha riguardato Euronews perché è un esempio interessante di evoluzione di un servizio che non è tecnicamente un servizio pubblico, ma è considerato dalla stessa Commissione europea di interesse pubblico, essendo la sua composizione, fino a oggi, quella di un azionariato diffuso tra servizi pubblici europei.
  Come ho già detto nell'audizione precedente, i principali azionisti pubblici (tra cui France Télévision e Rai) hanno deciso di ridurre progressivamente a zero i loro contributi a Euronews, ma così non hanno fatto le televisioni pubbliche russa, turca e svizzera. Ora, come potete immaginare, il fatto che la Rai e France Télévision, di colpo, non diano più un euro, mentre le televisioni pubbliche russa e turca diano 700.000 euro l'anno, potrebbe creare qualche problema anche da un punto di vista dell'equilibrio politico.
  In ogni caso, il problema di fondo era che Euronews non era più in grado di finanziarsi nel modo tradizionale che è stato seguito per 22 anni, ovvero attraverso i contributi delle maggiori televisioni pubbliche europee. Due settimane fa, d'accordo con gli azionisti pubblici e con la Commissione europea, che segue l'evoluzione della situazione in modo molto attento e diretto, con continui incontri, è stato votato dall'Assemblea generale un aumento di capitale, con l'ingresso di un azionista privato che avrà la maggioranza del capitale (53 per cento). L'azionista è Pag. 4un ricco egiziano, Naguib Sawiris, che è stato in Italia quando era azionista maggioritario di Wind, dopodiché ha ceduto le sue quote. È un egiziano copto, con un'educazione europea, non solo scolastica, ma di residenza. Dopo vari incontri – il processo di ricerca di un azionista privato è durato due anni – è stato valutato dalla stessa Commissione europea come adeguato dal punto di vista delle garanzie. La cosa interessante è che, proprio per evitare che un azionista che prende il 53 per cento interferisca sulla linea editoriale di Euronews, è stata creata una governance piuttosto complessa. Ci sarà un consiglio di sorveglianza, come oggi, nel quale l'azionista privato avrà 8 rappresentanti e gli azionisti pubblici 6; il quindicesimo rappresentante è il presidente dell’editorial board, composto soltanto dagli azionisti pubblici – di cui nell'ultima assemblea sono stato eletto presidente all'unanimità – membro di diritto del consiglio di sorveglianza, con potere di veto assoluto su tutte le decisioni editoriali. Questo dovrebbe garantire che Euronews mantenga un'autonomia editoriale che non sia in qualche modo inficiata dalle idee «politiche» o personali dell'azionista di maggioranza. È un'architettura complessa. Mi auguro – per il momento non abbiamo le prove perché dobbiamo ancora cominciare concretamente tutta l'operazione – che Euronews continui a mantenere il suo ruolo, che non è minoritario o secondario dal punto di vista dell'informazione soprattutto sulle questioni europee. Infatti, se nei prossimi giorni avranno il tempo di guardare e di paragonare la copertura di Euronews sui temi europei rispetto alle principali televisioni pubbliche e private europee, noteranno che è intensa e continua. Infatti, da quando sono diventato presidente del board editoriale, svolgo costantemente un monitoraggio, quindi la mia responsabilità giornalistica, che poi è la mia origine professionale, è aumentata e devo dire che, in certi momenti, Euronews, come in questo periodo per la Grecia, è l'unica emittente europea che se ne occupa. Del resto, BBC è molto british, quindi ha un focus diverso; CNN International è chiaramente molto americana. Insomma, il ruolo di Euronews non è secondario. Peccato che, nonostante sia gratuita per gli azionisti, venga utilizzata pochissimo, per esempio da Rai e dalla stessa France Télévision, invece la televisione svizzera, avendo una copertura internazionale molto ridotta rispetto ai suoi principali competitor europei pubblici, affida quasi tutta la copertura degli eventi internazionali a Euronews, ovvero prende pari pari i servizi di Euronews, grazie alla possibilità di averli in tedesco, in francese e in italiano. Questa è una soluzione, visto che troppo spesso la copertura degli eventi sulle televisioni pubbliche europee non è sufficiente. In particolare, mi riferisco al caso Rai che, nonostante abbia un canale interamente dedicato all'informazione, non ha una copertura sufficiente come ritengo dovrebbe essere.
  Veniamo ora ai temi per i quali oggi vengo audito da questa Commissione. Partirei da un punto che è stato molto discusso in questi giorni sui giornali: il servizio pubblico ha ancora un senso o no ? L'articolo di Grasso sul Corriere della Sera, a cui poi ha fatto seguito un articolo di Freccero, ha suscitato molto interesse. Credo che si possa rispondere a questo tema dicendo che forse è un falso problema. Basta guardare le statistiche – anche quelle che accompagnano il disegno di legge in esame in questi giorni al Senato sulla riforma della Rai – su chi guarda la televisione. L'utenza televisiva non è come noi, nel senso che non è molto selettiva. Molto spesso va dal canale 1 al 7, e non oltre. La gente si informa, per il 70 per cento, secondo le statistiche, dai telegiornali classici (Rai1, Rai2, Rai3, Mediaset o La7). Non sono tanti quelli che vanno a cercare altre fonti. Spesso la stessa Rainews, proprio perché bisogna andarla a cercare, non è di immediata fruizione. Credo, allora, che l'utilità del servizio pubblico – in generale, al di là dell'informazione – sia indiscutibile. Il problema è, semmai, quale servizio pubblico.
  Una prima riflessione che vorrei fare, riprendendo un tema che avevo già analizzato Pag. 5e un po’ anche subìto quando ero presidente della Rai, è che oggi il perimetro del servizio pubblico si è dilatato in maniera assurda. Avere tanti canali, soprattutto quando non hanno contenuti sufficientemente interessanti e attraenti, è sbagliato e soprattutto costoso. Per esempio, oggi la Rai ha due canali di sport, ma se andate a vedere i loro contenuti – sono un appassionato sportivo, praticante e osservante – sono modestissimi. Peraltro, quando hanno contenuti buoni – intendo dire di interesse, come in questi giorni il Tour de France, che insieme al Giro d'Italia sono stati le due atout della Rai dal punto di vista dei contenuti sportivi – li trasmettono su Raitre. Allora spiegatemi perché ci sono due canali di sport, che a volte diffondono sport che nessuno guarda o addirittura partite (a me capita ogni tanto di vederlo perché nella palestra che frequento c’è costantemente Raisport) di vent'anni fa e di nessun interesse. Del resto, anche se è roba vecchia e d'archivio, costa, se non altro per la messa in onda.
  Insomma, oggi il perimetro della Rai è esagerato. Andrebbe ridimensionato, anche perché non è paragonabile a quello di nessuna televisione pubblica in Europa, stando almeno alla mia esperienza, guardandole costantemente e soprattutto confrontandomi con colleghi che sono a capo di televisioni come France Télévision, BBC e così via. Per esempio, la Svizzera ha due canali. L'anno scorso il direttore generale della televisione svizzera mi diceva di avere il problema dei mondiali perché c'erano troppe partite. Allora gli chiesi come faceva ad avere il problema dei mondiali di calcio. Lui rispose che loro fanno tutto. Del resto, hanno anche un canone di 330 franchi svizzeri all'anno, quindi molto alto.
  Se dovessi fare una proposta, penso che un perimetro corretto, tenuto conto anche dei problemi finanziari della Rai, è avere due canali generalisti, un canale di news 24 ore, un canale di sport, un canale di educazione e di cultura e basta. Per esempio, perché io che sono un appassionato melomane devo vedere Sky Classic e non posso ascoltare certe cose sulla Rai ? So che Rai Educational ha assunto la responsabilità dell'orchestra sinfonica di Torino. Tante volte nel periodo della mia presidenza si cercò di chiuderla perché costava troppo. In passato, la Rai aveva quattro orchestre sinfoniche. Oggi ne ha una di assoluta eccellenza a Torino, per cui chiuderla sarebbe colpire un'eccellenza della Rai, oltre che in controtendenza perché tutte le televisioni pubbliche europee hanno la loro orchestra sinfonica. Finalmente, è passata sotto il controllo di Rai Educational, mentre prima non era sotto il controllo di nessuno. Comunque, al di là di questo, ha senso avere così tanti canali, soprattutto se hanno contenuti modesti ? Con questa dispersione, si deprezzano i contenuti anche perché il pubblico non è così avvertito.
  Faccio un altro esempio. Vogliamo guardare la partita della nazionale in HD. Avete provato a cercare Rai in HD ? Si deve andare sul canale 5000 e qualcosa, non sul 501 ! Dico questo perché andrebbe ripensato profondamente il perimetro della Rai e del servizio pubblico.
  Un altro tema molto importante in un ripensamento e in una ristrutturazione è proprio quello del canone. Pure in un perimetro ridotto, andrebbe comunque garantita un'autonomia finanziaria alla Rai e al servizio pubblico, attraverso un giusto equilibrio tra il canone e la pubblicità. Come sapete, il canone, oggi, è certamente uno dei più bassi tra le televisioni pubbliche europee. Ho citato prima l'esempio della Svizzera. Anche in Francia è più alto, anche se non di molto, ma, come succede per la Rai, c’è anche la pubblicità. Comunque, la Francia ha in tutto 5 canali, compreso il Canale d'Oltremare, per cui il perimetro di France Télévision è ben limitato. La BBC, non avendo pubblicità, ha un canone molto alto. È di qualche giorno fa la notizia che ha deciso di tagliare 1.000 posti di lavoro. Infatti, con un canone corrispondente a circa 230 euro all'anno, che porta circa 3,7 miliardi di sterline alla BBC (peraltro, con esenzione totale per gli ultrasettancinquenni), siccome il numero di abbonati si è ridotto a causa del fatto che le nuove generazioni preferiscono andare Pag. 6su internet e non guardare la televisione, pensano che, proprio per la riduzione degli introiti da canone, debbano tagliare 1.000 posti di lavoro.
  Ora, anche se il canone della Rai non è certamente a livello di 230 euro circa l'anno, vi è comunque il problema di garantire un equilibrio finanziario, ovvero la possibilità al servizio pubblico di autofinanziarsi sufficientemente, tenuto conto anche di un'annosa difficoltà che abbiamo in Italia, ovvero il 27 per cento di evasione, che consentirebbe alla Rai di avere una situazione finanziaria estremamente tranquilla. Si tratta purtroppo di un problema endemico, cui non è mai stato posto rimedio, nonostante vari tentativi e ipotesi, come quella di inserirlo nelle bollette elettriche). Sarebbe, dunque, molto importante fare una seria riflessione su quale debba essere l'ammontare del canone, ma anche quale debba essere la possibilità per il servizio pubblico di finanziarsi con la pubblicità, tenuto conto che ci sono tetti che hanno un senso perché c’è, appunto, il canone, ma che probabilmente oggi sono troppo stretti.
  Un altro punto fondamentale su cui bisogna riflette e soffermarsi – contenuto, peraltro, nel disegno di legge – è quello della governance. Sotto questo aspetto, penso che la governance che ho conosciuto io, con un consiglio d'amministrazione di 9 membri, come quello attuale, non funzioni, innanzitutto perché, anche se le cose sono un po’ cambiate nell'attuale situazione rispetto al periodo della mia presidenza, si fa un consiglio di amministrazione a settimana, il che è un'assurdità. Di fatto, il consiglio di amministrazione era un amministratore delegato collegiale, che significava che su ogni decisione, compreso una fiction, si passavano ore di discussione. Inoltre, tra preparare e riunire il consiglio, metà della settimana, non solo del presidente e del consiglio, ma anche del direttore generale andava via per questo. Il direttore era operativo per metà settimana, mentre il resto del tempo lo passava a preparare i consigli e a discutere. Insomma, con 9 membri non va.
  Ho letto che la proposta attuale è di avere un consiglio a 7, con due componenti nominati dalla Camera, due dal Senato, due dal Governo e uno dal personale della Rai.
  Ricordo che quando ho fatto il direttore del TG2, negli anni Novanta, con la cosiddetta «Rai dei professori», il consiglio d'amministrazione era composto da 5 membri, nominati dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato, che erano gli onorevoli Napolitano e Spadolini. Il consiglio a cinque funzionava molto bene, forse perché il momento era particolare. Tuttavia, si riuniva 5-6 volte l'anno. I consiglieri non andavano tutti i giorni alla Rai, quindi non avevano uffici e segretarie. Insomma, era un consiglio di amministrazione classico, come in tutte le grandi aziende. Si riuniva ogni tre mesi per definire le grandi linee generali e per approvare il bilancio. Non era certamente un consiglio operativo che faceva da supplente dell'amministratore delegato che non c’ era.
  Forse, cinque è un numero molto ridotto. Potrebbe anche essere adottato. Basterebbe ridurre da due a uno per la Camera, uno per il Senato e uno per il Governo. Penso, però, che sia estremamente complicata l'elezione di un membro del consiglio di amministrazione da parte del personale della Rai. Immagino che si scateneranno sconfinate battaglie interne per linee politiche o partitiche. Tuttavia, detto questo, penso che più il consiglio è ridotto, meno si riunisce e meglio è per la Rai. Invece, è molto importante avere un forte amministratore delegato, con moltissimi poteri. Infatti, un'azienda che deve produrre contenuti ha bisogno di decisioni rapide, che non richiedano grandi dibattiti o consultazioni. Non è ammissibile discutere per ore su una fiction. Il senatore Gasparri ricorderà quanto è stata discussa la fiction Barbarossa in consiglio d'amministrazione della Rai. Da una parte si voleva, dall'altra no e si passavano ore a discutere. Ecco, questo non ha veramente senso. Allora, penso che bisogna fare come in tutte le televisioni pubbliche. Gli esempi che sono davanti a noi sono molto chiari. Pag. 7In Francia, il presidente si chiama président-directeur général (PDG) e ha un potere fortissimo. In pratica, decide tutto da solo. Ho chiesto all'attuale, che cambierà ad agosto, quante volte si riuniscono, mi ha risposto quattro volte l'anno. Per il resto, decide lui con i suoi direttori. Per la BBC il sistema è lo stesso. Il trust viene interpellato solo ogni tanto. Lo stesso vale in Svizzera. I criteri di nomina variano. Non credo esista un criterio di nomina perfetto. Abbiamo visto cosa è successo alla BBC, con gli scandali e i problemi che l'hanno coinvolta. In Francia, una volta, la nomina del presidente direttore generale era affidata esclusivamente al Presidente della Repubblica. Poi il sistema è stato giudicato troppo politicizzato perché, chiaramente, il Presidente della Repubblica sceglieva qualcuno che era del suo stesso partito o comunque della sua linea politica. Adesso è il Comité de l'audiovisuel che nomina il presidente attraverso delle audizioni. In sostanza, si può autocandidare. I candidati vengono auditi; presentano il loro programma, vengono interrogati e poi scelti. È un sistema analogo alle hearing per confermare il segretario di Stato negli Stati Uniti. Attualmente, il sistema ha portato alla nomina di una signora che era presidente amministratore delegato di Orange, poi contestata. Insomma, non c’è un sistema perfetto, quindi non voglio dare indicazioni su quello che dovrebbe essere il sistema di nomina. Credo – per quanto mi hanno detto ultimamente – che il presidente della commissione avrà il diritto e il potere di votare, com'era quando fui eletto io, e che, nel bilanciamento dei poteri tra l'amministratore delegato, il consiglio avrà più potere soprattutto sulle nomine dei direttori editoriali. Penso che comunque sarebbe un errore se al ruolo di amministratore delegato venisse aggiunto – come ho letto da qualche parte – anche quello di direttore generale perché fatalmente si creerebbe una diarchia che confliggerebbe. Questa è la storia della Rai. Chi conosce la Rai sa che raramente questo conflitto non c’è stato. Non c’è stato, per esempio, ai tempi di Zavoli (per citare il suo predecessore, presidente), Agnes o Manca. Insomma, ci sono stati momenti in cui il sistema funzionava, ma in generale in Rai il presidente e il direttore generale, per i loro ruoli, hanno sempre avuto un conflitto. Sarebbe bene, quindi, che ci fosse un potere molto forte di un amministratore delegato per rendere la Rai un'azienda come le altre, ancorché con le caratteristiche, i limiti e tutto quello che consegue al fatto di essere servizio pubblico.
  Vorrei aggiungere una cosa sull'informazione. Ho letto che soltanto il 5 per cento degli utenti ha fiducia nell'informazione della televisione pubblica, mentre in Gran Bretagna il 30 per cento ha fiducia nell'informazione della BBC. Ora, senza mitizzare la BBC, che a volte è un falso mito perché abbiamo visto che cosa è successo negli ultimi anni, l'informazione del servizio pubblico non è considerata sufficientemente attendibile perché credo che nella percezione della gente ci sia ancora un'idea di un sistema spartitorio nella scelta di chi fa l'informazione. Se una volta, rimontando ai tempi in cui ero al TG2 o ancora prima, il TG1 era democristiano, il TG2 socialista e al TG3 comunista, tutto questo è diventato un po’ più mescolato. Tuttavia, fondamentalmente, l'idea di quella che si usa chiamare «lottizzazione» anche dei giornalisti è rimasta. In parte, però, è sbagliata perché oggi è più difficile. Comunque, nella percezione della gente è così.
  Soprattutto, credo che sia anomalo che oggi la Rai non abbia il sito internet di informazione più visitato d'Italia. Infatti, quello più visto continua a essere quello di Repubblica. Ecco, oserei dire che questa è un'anomalia europea. BBC ha un sito che è considerato la Bibbia, cioè la fonte di informazione principale. Questo è dovuto ai vizi d'origine, cioè alla divisione tra varie testate, ma soprattutto al fatto che, evidentemente, la credibilità non è sufficientemente alta. Credo che, invece, sarebbe normale che il servizio pubblico avesse un sito di grandissima credibilità e qualità. So che c’è stato del lavoro e che è ancora in corso, ma evidentemente non è stato sufficiente.Pag. 8
  C’è un altro punto molto importante sul quale dobbiamo soffermarci oggi ed è anche una ragione per cui la proliferazione di canali è inutile. Cosa intende fare la Rai – questa è la grande domanda – per andare sulle nuove piattaforme e per corrispondere a quella che sempre di più sarà la domanda degli utenti ? Oggi, la domanda degli utenti è andare a vedere l'informazione sul telefonino. Euronews, da questo punto di vista, sta lavorando tantissimo e vediamo che funziona. L’alert sulle news è molto importante. Ecco, questo è il futuro. Non mi dilungo, ma questo è il futuro. Il Financial Times ha fatto una pagina su questo tema. Chi va su Facebook o su Google: questo è il futuro dell'informazione. Non a caso, CNN e il best of the best stanno in questo settore. Infatti, questo deve essere pensato come uno sviluppo enorme dal punto di vista della qualità non solo del prodotto, ma dell'utente. Quindi, anche sul piano economico può portare molti contributi. Oggi in Inghilterra si discute se far pagare il canone anche a chi guarda la televisione via internet o addirittura il sito di informazione della BBC. Questo è un segnale importante di cosa sta accadendo. La mia esperienza a Euronews è molto interessante da questo punto di vista. Infatti, anche il nuovo azionista che è appena entrato dice che la cosa più importante è essere in grado di svilupparci su nuove piattaforme. Ecco, questo mi sembra un discorso molto trascurato dal servizio pubblico in Italia.
  Credo di aver terminato con le mie riflessioni, quindi sono disponibile per eventuali domande.

  ALBERTO AIROLA. La ringrazio, presidente Garimberti. È stato chiarissimo. Ha centrato tutti i punti. Si vede che è una persona che ha una sua storia nell'informazione, anche se nel servizio pubblico. Attualmente sto bisticciando con la maggioranza e con il Governo perché l'unica cosa che sfugge è che serve un amministratore delegato competente – cosa che noi proponevamo come Movimento Cinque Stelle – con un consiglio di amministrazione snello e competente. L'operatività è direttamente proporzionale all'indipendenza, altrimenti dobbiamo inserire degli elementi di controllo. La Rai che si sta profilando ha un nuovo convitato di pietra – questa è la nostra sensazione – al tavolo della governance, ma con un elemento di controllo, che resterà presumibilmente questa Commissione di vigilanza, che non ha grandissimo potere, a parte rare eccezioni. Prenderò atto di tutte le osservazioni che ha fatto e che condivido in pieno. Vi sono troppi canali. L'altro giorno Del Brocco ci parlava di 01, la società di distribuzione cinematografica. Ecco, la Rai non può essere così vasta.

  PAOLO GARIMBERTI, presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews. Non ho parlato di altre produzioni oltre all'informazione. Tuttavia, non c’è dubbio che la Rai dovrebbe ritrovare lo spirito che per tanti anni ne ha fatto un servizio pubblico di qualità.
  La Rai produceva grandissimi sceneggiati e tanti begli spettacoli. Oggi, sul piano dei contenuti, la Rai non offre una grande attrattiva. Questo è un problema. Invece di pensare a una Rai sempre più elefantiaca, dovremmo considerare che la BBC ha due canali nazionali e BBC world, ma realizza – grazie anche al fatto che produce in inglese – fiction di altissima qualità. Oggi, la Rai non può pensare di confrontarsi con la televisione privata di una volta perché la gente ha molte offerte di grandissime fiction o di serie televisive. Pensiamo a prodotti come House of cards, che a volte, però, sono anche un po’ trucidi. Per esempio, alle 11 di sera su Sky c’è True Detective, che è veramente molto forte anche dal punto di vista del linguaggio. Peraltro, questo aspetto andrebbe regolamentato perché non va bene che si sentano ripetere certe parole a quelle ore serali, ma si tratta di un altro discorso.
  Ecco, è su questo che bisogna confrontarsi. Braccialetti rossi è l'unica cosa di cui si sente parlare, ma non basta. La Rai deve rimettersi sul mercato di una fiction internazionale. Una volta si facevano le coproduzioni, come La certosa, invece oggi Pag. 9non si fanno più. Non voglio fare critiche a nessuno. Voglio soltanto dire che il futuro della Rai deve essere non soltanto di contenere i conti – cosa comunque importantissima – ma anche di avere contenuti, che ha sempre meno. Francamente, questo sminuisce il valore del servizio pubblico agli occhi dell'utente in generale. Non va più bene offrire dei palinsesti – io li ho letti – uguali tutti gli anni. Si deve cambiare, per forza. Non si può pensare che basti Sanremo per salvare un'annata. Sanremo da solo non salva un'annata.

  FRANCESCO VERDUCCI. Grazie, presidente Garimberti, per il suo intervento molto ricco e utile, che tiene dentro un'esperienza importantissima.
  Cercherò di essere breve. Questa è la seconda tappa di una serie di audizioni. Anche l'altra volta mi ero espresso su quanto sia importante questo ciclo di audizioni perché la nostra Commissione sta facendo un lavoro focalizzato sul tema del rilancio del servizio pubblico proprio parallelamente al lavoro del Parlamento. In queste ore, il Senato sta lavorando sulla riforma della Rai. Questo è particolarmente importante perché il percorso di riforma ha come obiettivo finale di centrare i criteri e gli strumenti per affermare non solo l'importanza del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, ma anche il suo rilancio dopo anni di difficoltà. Da questo punto di vista, penso che vada focalizzato anche il tema di una netta discontinuità rispetto al modo che abbiamo avuto negli ultimi anni di pensare la nostra televisione e soprattutto il servizio pubblico. La sua audizione mi conforta perché al centro della volontà che abbiamo di riformare la Rai c’è innanzitutto il pezzo che riguarda la governance, quindi si tratta di mettere al centro una Rai che riacquisisca in pieno le sue capacità manageriali e che rilanci in pieno anche la sua vocazione industriale attraverso la figura di un capo azienda forte, che riesca a decidere. Naturalmente, occorre che tutto questo non vada a nocumento dell'autonomia, dell'indipendenza e del pluralismo, che sono fondamentali. Le sue parole rafforzano il percorso della riforma, come il tema della certezza delle risorse e quello, che si lega alla questione del servizio pubblico, della missione e dell'identità della Rai, di fronte anche al nuovo traguardo del rinnovo della concessione che da qui a poco avremo. In particolare, trovo fondamentale un tema tra quelli a cui ha accennato, ovvero il fatto che in questi anni, nonostante indici di ascolto molto alti, il nostro servizio pubblico ha perso molte posizioni in tema di credibilità e di legittimazione sociale. Non è un caso che la perdita di legittimazione sia avvenuta parallelamente alla perdita di legittimazione delle istituzioni pubbliche, anche della politica in senso lato. Penso che questa riconquista della politica e del servizio pubblico vadano in parallelo. Se saremo in grado, come politica, di rimettere al centro la Rai, di riformarla bene e di rilanciare il servizio pubblico, come intendiamo fare, riacquisiremo consenso e legittimazione anche sul versante delle istituzioni in senso lato. Naturalmente, gran parte di questa credibilità e di questa legittimazione dovranno essere riconquistate su quello che forse è il versante centrale del servizio pubblico, cioè l'informazione, ovvero la capacità di riformare l'informazione del servizio pubblico nel contesto della rivoluzione del web 2.0 e delle tecnologie, che è rapidissima, incessante e continua. Fondamentale sarà avere un'azienda che si trasformi sempre più da broadcaster a media company per rimettere al centro – cosa che lei diceva e su cui sono molto d'accordo; più volte l'abbiamo detto anche nei nostri dibattiti qui in Commissione – i contenuti e il prodotto. Ecco, oggi forse mancano al nostro servizio pubblico figure professionali in grado di pensare e di lavorare sul prodotto. Oggi scarseggiano quelle che erano figure professionali decisive nel nostro servizio pubblico, in quell’excursus che poco fa richiamava, citando anche personaggi che hanno fatto grande la Rai e il nostro servizio pubblico. Questo nuoce Pag. 10molto alla capacità espansiva, manageriale e produttiva dell'azienda e del nostro servizio pubblico.
  Chiudo aggiungendo a queste mie considerazioni una domanda. In questi ultimi 15 anni, in virtù anche della trasformazione dei social network e del loro affermarsi anche in relazione alla capacità di fare e di essere anche luogo credibile di informazione, abbiamo vissuto esperienze importanti di social tv che avevano come mission centrale la condivisione di contenuti generati dagli utenti. Il caso di Current tv è quello più celebre, ma ne abbiamo avuti di meno celebri ovunque. Ecco, come considera questo tema ? Intendo non solo il tema della capacità per il servizio pubblico di produrre contenuti in grado di andare su tante piattaforme, ma le chiedo se considera ancora attuale la questione della capacità, per il servizio pubblico, di utilizzare i contenuti che vengono prodotti dagli utenti, non solo quelli riferiti all'informazione, dove evidentemente questa utilità può essere riaffermata, bensì in generale. Le domando anche come tutto questo possa trovare una sua centralità dentro il rilancio del servizio pubblico e di una programmazione generalista, non solo sulle reti settoriali e specifiche.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio ringraziare anch'io il presidente Garimberti per la prima parte della comunicazione rispetto agli assetti di Euronews. Per quanto mi riguarda, il complesso di notizie che ci ha trasferito è di grande rilievo. Infatti, di alcune non eravamo a conoscenza, quindi credo che sia stato davvero utile. Credo che questo apra una riflessione rispetto a quanto sta accadendo più complessivamente nel mondo dei media e del servizio pubblico e che ci consenta di collocare in maniera più appropriata la riflessione che stiamo facendo nel nostro Paese rispetto alle trasformazioni in corso sul ruolo del servizio pubblico.
  Nella seconda parte devo dire che il presidente Garimberti ha affrontato il tema senza svicolare. Vi sono considerazioni utili, che colgono il senso di questo ciclo di audizioni. Lei ha risposto a una domanda – quella rispetto al perimetro del servizio pubblico – in maniera molto netta. Se in una prima fase del passaggio al digitale, per quello che è un riflesso condizionato del nostro sistema di duopolio, c’è stata una rincorsa, come accaduto anche precedentemente, a costruire un'offerta molto ampia tra Rai e Mediaset, adesso è venuto il momento di capire se quell'offerta corrisponde non solo agli assetti pubblicitari, ma alla necessità di erogare un servizio pubblico efficiente. Credo che questa sia una parte della discussione che va affrontata, anche perché abbiamo tempo da qui alla scadenza della concessione. È ovvio che su questa riflessione dovranno esserne anzitutto i nuovi vertici Rai a esprimere un punto di vista, ma credo che questa sia una domanda rispetto alla quale anche noi dobbiamo produrre un orientamento. Personalmente, non ho ancora una risposta, quindi credo che queste audizioni ci servano – come è successo anche su altri percorsi – a definire un pensiero. Comprendo il senso della definizione che dava anche il presidente Garimberti, cioè due canali generalisti, un canale all news, uno di sport e uno educational, che mettano in evidenza i terreni principali del servizio pubblico, ripartendo dalla riaffermazione che la tv generalista continua ad avere un senso perché è quella che orienta l'opinione, quindi deve essere il terreno intorno al quale si costruisce l'offerta di servizio pubblico.
  Riguardo alla seconda questione, ovvero l'autonomia finanziaria garantita alla Rai, lei ha citato quanto abbiamo letto sui giornali in questi giorni in merito a quanto sta accadendo in Inghilterra con la diminuzione dei trasferimenti a BBC, quindi conseguentemente con il piano di riduzione. Questa è una parte della riflessione, visto che il Governo ha avanzato una proposta complessiva di riforma della Rai, a partire dall'intervento sulla governance a cui faceva riferimento il collega Airola. Infatti, al Senato stanno votando gli emendamenti in questi minuti. Una parte della Pag. 11riforma riguarda, quindi, il rinnovo della concessione, che avverrà nei prossimi mesi, mentre l'altra concerne il canone Rai. Su questo c’è una delega al Governo nel testo di riforma della Rai che dovrà essere riempita di contenuti. Ci sono opzioni diverse. Mi sembra che il presidente Garimberti, anche in riferimento agli altri servizi pubblici, abbia messo in evidenza un elemento, la certezza dell'autonomia finanziaria dell'azienda. Perciò, dei diversi modelli bisogna sceglierne uno che consenta di avere certezza, a inizio anno e al di là delle scelte dei governi, per quanto riguarda il finanziamento del servizio pubblico, tenendo conto che abbiamo uno dei canoni più bassi e più evasi d'Europa. A ogni modo, mi sembra che l'elemento della autonomia finanziaria sia importante.
  Per quanto riguarda le considerazioni sulla governance Rai, mi trovo d'accordo con il presidente Garimberti sull'esigenza di un consiglio di amministrazione più snello, che sia però tale ovvero faccia le scelte di orientamento e intervenga anche con un ruolo di sorveglianza, ma con una funzione da codice civile, senza più un direttore generale che di volta in volta, su ogni scelta, deve andare a cercarsi una maggioranza. Occorre un amministratore delegato che sia figura apicale dell'azienda, il vertice del management. Questo è il senso della riforma e del lavoro che si sta facendo. Credo che questa considerazione, almeno per quanto mi riguarda, mi convinca ulteriormente di questo aspetto.
  Infine, ha sollevato una questione che rispetto a questi nodi così complessi può sembrare secondaria, ma che ritengo di grande rilievo. Riguardo al sito Rai, in questa Commissione più volte ci siamo tornati in diverse discussioni, in maniera carsica, anche rispetto al contratto di servizio. Credo che sia una questione di scelte, organizzativa e tecnica, nel senso che la Rai non può continuare ad avere un numero incredibile di siti che disperdono l'attenzione. Non può avere, inoltre, un sito che crea difficoltà anche per la semplice navigazione. Insomma, c’è un problema organizzativo. Tuttavia, sono convinto che, come ha detto il presidente Garimberti, vi sia anche un problema di credibilità. Oltre a dover intervenire per semplificare, fare investimenti univoci e potenziare di più il sito, nel momento in cui ha tanti contenuti e disdice l'accordo con YouTube, la Rai o rafforza il sito o non si capisce perché ha disdetto quell'accordo che poteva essere un veicolo per moltiplicare l'accesso ai contenuti Rai. Credo, però, che oltre a questo aspetto ce ne sia uno di credibilità. Per moltissime persone è più immediato andare a cercare la notizia o addirittura il filmato, anche se in formato breve, su siti che fanno riferimento a un quotidiano o su altri siti che non su quello della Rai. Ecco, credo che questo sia un problema che riguarda la credibilità del servizio pubblico, per cui ci tenevo a sottolineare che siamo incappati in questo tema da diversi punti di vista. Credo che ci sia una questione di organizzazione, ma che oggi sia stata messa in evidenza – concordo con il presidente Garimberti – una questione più generale che attiene alla credibilità.

  PRESIDENTE. Vorrei porle anch'io qualche domanda, prima di darle la parola per la replica. In questa Commissione abbiamo dibattuto molto del progetto di riforma dell'offerta informativa presentato dal direttore generale Gubitosi. Alla fine siamo arrivati a una risoluzione in 17 punti poi recepita dal consiglio di amministrazione. Visto che lei si è occupato nella sua vita di informazione, vorremmo conoscere il suo pensiero sul progetto approvato dal consiglio di amministrazione della Rai.
  Riferendomi proprio a quello che ha detto il deputato Peluffo sull'accordo che la Rai ha disdetto con YouTube, so che Euronews ha degli accordi con YouTube, forse già conclusi o rinnovati a breve, quindi vorrei capire in che modo si declinano. In sostanza, una televisione come Euronews fa dei passi, mentre la Rai ne fa altri. Ecco, vorremmo avere maggiori informazioni per comprendere la ratio di tutto questo.Pag. 12
  Visto che al Senato, in ottava Commissione, è in discussione il disegno di legge sulla riforma della governance della Rai, vorrei chiederle cosa pensa del fatto che il Governo possa scegliere l'amministratore delegato con pieni poteri. Sono d'accordo anch'io sul fatto che occorrano un consiglio di amministrazione più agile e un amministratore delegato forte, ma vorrei sapere cosa pensa di una relazione troppo stretta tra Governo e amministratore delegato, visto che non c’è nessun cuscinetto nel mezzo, stando a quello che leggo nel disegno di legge. Le domando questo avendo ascoltato anche altri pareri che, su questa scelta, ci paragonano a dei servizi pubblici arretrati.

  PAOLO GARIMBERTI, presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews. Prima di rispondere sui contenuti dall'esterno, a proposito delle qualità che ci sono nell'azienda, vorrei dire che, in parte, la Rai di un tempo aveva autori di straordinaria qualità, che erano i cosiddetti «capistruttura», quindi ben più che autori, i quali hanno fatto grande la Rai. Tuttavia, vi è un problema di formazione dei quadri che il servizio pubblico in generale non si è mai posto in modo serio. Infatti, queste persone non hanno tramandato la loro capacità di fare buonissima televisione ad altre persone più giovani, per cui a un certo punto è finita una generazione ed è come se fosse completamente finito tutto un mondo che aveva tenuto su la Rai alla grande. Questo è un problema che certamente non è risolvibile con una legge, ma andrebbe affrontato.
  Lei ha parlato di una possibile nuova era della Rai o comunque del servizio pubblico. Ecco, ricordo che successe proprio all'epoca dei professori. Era il 1992-1993, alla fine della prima Repubblica, come si suol dire, in un momento in cui c’è stato quasi un vuoto dal punto di vista politico, che paradossalmente si è riflesso in modo positivo sulla Rai, che è stata molto autonoma e libera da condizionamenti politici, in quel momento di grande transizione.
  Oggi è di nuovo un momento in cui la Rai deve rifondarsi profondamente. Questa rifondazione può passare attraverso una grande riqualificazione dei quadri. Del resto, la Rai ha un corpo grosso, forse troppo, per cui anche quello, come i canali, andrebbe riguardato perché ho visto qualche statistica in termini di produttività del lavoro, ma non è confortante. A ogni modo, è un momento in cui è necessaria una rifondazione. Spero che questa nuova legge porti a una rifondazione autentica, ma deve cominciare da dentro, dall'autocoscienza di chi lavora e di chi dirige la Rai.
  Sui contenuti, sono sempre stato molto scettico, se non critico, in relazione a quello che ho sempre chiamato, sul piano dell'informazione, il «giornalismo fai da te» perché ha prodotto dei disastri clamorosi dal punto di vista della credibilità dell'informazione in generale. Oggi con la proliferazione che abbiamo, ovvero con il fatto che ciascuno, ovunque sia, possa mandare informazioni, si rende sempre più necessario un controllo di queste informazioni, così come è sempre più necessario un controllo dei contenuti. Va benissimo che la Rai promuova un'iniziativa degli stessi utenti, a condizione che questa sia filtrata con grande attenzione e rielaborata con professionalità, senza la quale c’è il rischio che i contenuti siano devastanti. Questo è tanto più importante per quanto riguarda l'informazione. Su questo, ho avuto anni fa un'esperienza particolare: in passato ho diretto e di fatto condotto Repubblica TV, che si faceva al mattino per due ore. Nel 2005 ci furono gli attentati terroristici a Londra e fui inondato di telefonate dalla zona della City, da gente tecnologicamente molto avanzata. Quel giorno ebbi un momento di turbamento e di folgorazione insieme. Mi chiesi chi mi garantiva che chi chiamava mi avrebbe dato un'informazione autentica e corretta. Nella concitazione del momento tutto era buono, ma è molto pericoloso. Bisogna fare moltissima attenzione su questo punto.
  Sul sito, prima non ho parlato di un esempio. Guardiamo al perimetro della Pag. 13radio. La Rai ha una radio che è importante. Se ne parla molto poco. Una delle cose che lamentavo quando ero presidente era proprio che si parlava sempre di televisione e mai di radio. Invece, la radio è una componente fondamentale dell'attività della Rai. La radio ha un bellissimo perimetro perché ha Radiouno, che è informazione e approfondimenti, quindi più seriosa; Radiodue, che è più di contenuti frizzanti, di facile ascolto e di musica, e Radiotre, che è cultura, a volte molto alta. Certo, può essere noiosa per molti utenti, ma ha una sua funzione e guai se non ci fosse. Appartengo a una generazione allevata nel mito della rassegna stampa Prima pagina, alle 7.30 del mattino; farla, per noi giornalisti, era un privilegio, nonostante le alzatacce. Tutto questo è un patrimonio che va conservato. La radio lo fa.
  Sul sito, il problema è quello di riacquistare una credibilità che non sia minata dalla divisione perché ancora oggi la percezione è che i telegiornali rispondano a una logica politica spartitoria, soprattutto in certi specifici casi.
  Presidente, lei prima mi chiedeva sul progetto news. Personalmente, sono sempre stato favorevole a questa riforma per evitare la dispersione dei mezzi. Ho avuto esperienze dirette come direttore del TG2, quando ricevevo risposte a livello locale e vedevo sei microfoni della Rai davanti a un Presidente del Consiglio in trasferta. Ecco, francamente trovo che questo sia profondamente sbagliato, che non abbia senso e che costi troppo. Quindi, è giusto riorganizzare l'informazione e la redazione in un corpo unico che si distribuisca a seconda dei canali (poi vedremo quanti saranno). Ritengo, comunque, che questa sia una riforma sana. Tra l'altro, uno degli autori, Nino Rizzo Nervo, è stato mio collega in consiglio di amministrazione, ma soprattutto è un giornalista di grandissima esperienza, che ha diretto il TG3 e il TG regionale, quindi sa benissimo quali sono i problemi. Personalmente, trovavo francamente sbagliato quando a volte dalle sedi regionali mi veniva proposto, per il TG2, lo stesso servizio che avevo già sentito alla radio o al TG1. Invece, volevo un servizio mio, con la mia ottica. Questo non significa, però, che non si possa fare avendo una redazione unificata, chiedendo di diversificare i servizi.
  Riguardo a YouTube, Euronews vuole essere in qualunque piattaforma che si diffonda nel mondo perché è fondamentale. Non esserci è un errore gravissimo. Inoltre, è fondamentale esserci con un prodotto di qualità. Noi competiamo con i grandi, come BBC, CNN, Al Jazeera, ma puntiamo a connotare la nostra informazione affinché sia appetibile. Se volete sapere non quello che succede nel mondo, ma soprattutto quello che succede in Europa, dovete vedere quello che vi dà Euronews. Questo è il marchio di fabbrica che cerchiamo di lanciare attraverso tutte le piattaforme. Peraltro, abbiamo scoperto che a volte anche sul piano locale, per esempio a Parigi e nelle grandi città, si può essere appetibili, avendo un'informazione profilata perché può essere interessante anche per piattaforme che fino a oggi abbiamo pensato solo internazionali. Quindi, ritengo sia fondamentale questo aspetto.
  Lei mi fa una domanda delicata in merito al fatto che è il governo che sceglie l'amministratore delegato. Ecco, penso che sia improprio che il governo scelga l'amministratore delegato, anche se francamente non ho un'alternativa da offrire. Non saprei chi possa farlo. Per esempio, ho pensato che potrebbe esserci un gruppo di tre saggi (Presidente della Camera, del Senato e della Corte costituzionale) per garantire la scelta. Altrimenti, l'alternativa è che lo scelga il Governo, ovviamente tra impeccabili curriculum, ma che poi ci sia almeno una conferma da parte di questa Commissione con un hearing serio, come si fa in America per un posto pubblico così importante. Anche un ambasciatore viene confermato attraverso le audizioni e se si rivela incapace o privo di qualità, può anche essere bocciato. Non penso che non ci possa essere un sistema di controbilanciamento di una nomina fatta solo dal governo in un ruolo delicato, soprattutto se l'amministratore delegato alla Rai avrà Pag. 14tanti poteri. Lo dico con molta sincerità, come d'altra parte credo di aver sempre fatto nella mia vita. È insano che lo nomini il Governo senza qualcuno che lo controlli e lo confermi e dica se ha o meno le qualità giuste. Ricordo – sempre per rifarmi a un modello americano – le audizioni di certi giudici della Corte costituzionale, che venivano come dicono loro grilled, passati alla graticola, e se non avevano le qualità adeguate venivano solennemente bocciati.
  Se l'amministratore delegato, come io stesso ho auspicato prima, avrà grandi poteri, deve essere qualcuno veramente al di sopra delle parti, altrimenti rischiamo di avere una Rai che obbedisce solo a una certa linea perché, volente o nolente, questo amministratore delegato avrebbe un debito con chi l'ha nominato, e questo è sbagliato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Garimberti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.