XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 28 di Giovedì 2 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizioni dell'Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze, Giovanni Bettarini; del presidente della Giunta regionale della Toscana, Enrico Rossi; del Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze, Bernardo Marasco; del funzionario della UILTEC-UIL, Gianfranco Salvi; del Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL, Sergio Spiller:
Catania Mario , Presidente ... 3 
Bettarini Giovanni , Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze ... 3 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Cenni Susanna (PD)  ... 6 
Catania Mario , Presidente ... 7 
Bettarini Giovanni , Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze ... 7 
Catania Mario , Presidente ... 8 
Rossi Enrico , Presidente della Giunta regionale della Toscana ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 13 
Cenni Susanna (PD)  ... 13 
Catania Mario , Presidente ... 14 
Rossi Enrico , Presidente della Giunta regionale della Toscana ... 15 
Catania Mario , Presidente ... 16 17 
Marasco Bernardo , Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze ... 17 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Salvi Gianfranco , Funzionario della UILTEC-UIL ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Spiller Sergio , Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Cenni Susanna (PD)  ... 21 
Catania Mario , Presidente ... 22 
Spiller Sergio , Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL ... 22 
Salvi Gianfranco , Funzionario della UILTEC-UIL ... 22 
Spiller Sergio , Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL ... 23 
Catania Mario , Presidente ... 23 
Marasco Bernardo , Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze ... 23 
Catania Mario , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze, Giovanni Bettarini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze, Giovanni Bettarini.
  Oggi noi abbiamo alcune audizioni importanti nel contesto del lavoro di approfondimento che sta facendo la collega Cenni sul settore del tessile e della moda. Abbiamo il piacere di cominciare con l'assessore allo sviluppo economico e turismo della città metropolitana del comune di Firenze, Giovanni Bettarini, al quale, senza ulteriore indugio, do la parola sulla tematica che ci interessa.
  Grazie.

  GIOVANNI BETTARINI, Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze. Grazie mille. Buonasera e grazie dell'invito molto gradito per confrontarsi su questo tema.
  Io vorrei intanto dire due cose su quanto questo tema sia importante per Firenze da un punto di vista proprio economico. La città di Firenze è percepita come una realtà eminentemente turistica. In realtà, fortunatamente, è anche un'importante città industriale. Per fornire un dato, la città metropolitana ha 32 miliardi di PIL.
  La città metropolitana, come sapete, è la ex provincia. Non include, perciò, Prato e Pistoia, come qualche volta si era discusso di fare, e presenta alcune caratteristiche molto interessanti, che riguardano soprattutto il rapporto tra import ed export.
  La città metropolitana di Firenze esporta per 8 miliardi e importa per 4 miliardi, ossia ha una capacità di essere attrattiva verso l'estero molto importante. Sappiamo che in Italia questo bilanciamento è intorno al 10 per cento di export superiore all’import.
  Perché questo aspetto interessa ? Perché il 41 per cento di questo export viene fatto su abbigliamento, calzature e pelletteria, il cosiddetto made in Italy, che ha a Firenze un centro di produzione importante, per due ordini di ragioni: la prima è la quantità dei prodotti, da cui l'importanza della filiera, l'altra è la residenza di marchi importanti. Basti pensare a Gucci e Ferragamo, che sono nati a Firenze. Alcuni di essi hanno ancora la loro sede principale a Firenze, come, per esempio, Ferragamo.
  Questi dati ci hanno portato a interrogarci sul tema dell'abusivismo, che a noi interessa molto. Non so se questa sia una questione che interessa alle indagini, ma a noi interessa anche per quanto avviene Pag. 4sulle strade della città, ovviamente, perché il fenomeno dell'abusivismo all'interno della città è il fenomeno più discusso.
  Anche da una recente indagine risulta che i fiorentini considerano questo il secondo problema di Firenze dopo il traffico. Il secondo problema è questo, perché si collega evidentemente all'aspetto del turismo. Firenze ha una crescita turistica strutturale da ormai trent'anni del 2 per cento l'anno. Negli ultimi anni tale crescita è stata del 5-6 per cento.
  In particolare, il turismo fiorentino si indirizza soprattutto su un turismo di qualità. Stiamo cercando di portarlo a questo lavorando su alcuni aspetti. Alcuni indicatori ci dicono che probabilmente abbiamo azzeccato qualche mossa, perché i cinque stelle in quattro anni sono aumentati da 12 a 16. Per una città delle dimensioni di Firenze questo è un fatto importante. È molto aumentato il turismo straniero, che viene in città per comprare cose considerate di qualità, sia nei due settori dell'oreficeria e della moda, ossia calzatura e pelletteria, sia nella moda più latamente intesa.
  Anche in questo caso c’è un aspetto che riguarda il decoro e il controllo della città, un aspetto molto diffuso, purtroppo, perché la presenza degli abusivi impatta molto sull'idea di sicurezza, oltre a rappresentare delle filiere di produzione di grande importanza. So che avete parlato con Vinicio Biagi anche della vicenda di Prato. Dunque, avete già analizzato e conoscete il tema di quanta produzione ci sia dietro a questo fenomeno, che è molto ampio.
  Noi abbiamo costituito, insieme alla Camera di commercio e artigianato di Firenze, un osservatorio in cui abbiamo coinvolto le forze dell'ordine, l'Agenzia delle dogane e anche le associazioni di categoria. Si tratta di un organismo che si è insediato da tre anni e che si incontra periodicamente, con una certa frequenza, per cercare di individuare le varie iniziative che possono limitare il fenomeno.
  Una delle iniziative – eventualmente, ve ne posso anche lasciare la documentazione – riguarda i requisiti dell'etichettatura dei prodotti tessili. Si tratta di corsi di formazione fatti alle aziende che vendono il prodotto per cercare di formare i venditori e i produttori riguardo ai requisiti dell'etichettatura e a tutto ciò che riguarda la corretta indicazione della filiera del prodotto. È un aspetto molto importante.
  Va da sé che la presenza di numerosissimi laboratori dei famosi contoterzisti è consistente. La provincia di Firenze ne è piena. Buona parte di questa esportazione si deve a una diffusa presenza di PMI, soprattutto di medie, piccole e piccolissime aziende che spesso lavorano per un solo marchio.
  Non è sempre facilissimo controllare il lavoro di queste aziende, perché lavorano in condizioni spesso non facili, anche se il settore della moda, soprattutto dell'alta moda, sta andando molto bene. Chi lavora con i marchi dell'alta moda sa di avere una continua possibilità di lavoro.
  Va pur detto che un'azienda che produce borse per una grande marca – in quella in cui sono stato l'altro giorno le borse vengono vendute a 6.000 euro l'una e l'azienda guadagna per ciascuna 63 euro – realizza il prodotto assolutamente finito. Dalla grande azienda, cioè, viene tutto il materiale, escluso il filo. Questi pellettieri, quindi, confezionano la borsa, nel caso in specie, con tutto quello che la compone e con le fibbie, esattamente pronta per andare in negozio, con un guadagno, considerati tutti i costi, di 63 euro.
  Questo è un aspetto che sottolineo, perché io penso che anche un lavoro fatto sulla valorizzazione di un settore molto diffuso e molto importante, che esprime grande qualità, influisca su un fenomeno che si sta vedendo in questi mesi a Firenze, quello del ritorno di molte aziende dall'estero verso l'Italia rispetto alla produzione, proprio per la ricerca della qualità. Ci sono degli accorgimenti molto particolari che vengono adottati nella fabbricazione e nella finitura di questi prodotti, che producono una qualità che in altri casi non è possibile avere.
  Passo a un'altra iniziativa realizzata ultimamente. In occasione dell'Expo noi abbiamo realizzato una cosiddetta Casa Pag. 5delle eccellenze, ossia un luogo – chi conosce Firenze sa che è in San Firenze, dove c'era il vecchio tribunale, che è stato di recente trasferito in una nuova sede – in cui tra le varie eccellenze artigianali che vengono tenute con una rotazione di quindici giorni nel periodo dell'Expo abbiamo esposto anche dei falsi.
  Perché abbiamo esposto dei falsi ? Perché abbiamo cercato di fare una sensibilizzazione su questo tema con del materiale che spiegasse il danno che i falsi portano alla produzione. C’è stato anche, ovviamente, un confronto pubblico su questo aspetto nella sede dell'ex tribunale. Un po’ plasticamente, i falsi sono stati messi dietro le sbarre, perché, trattandosi di un ex tribunale, c'era la gabbia degli imputati. I falsi sono stati messi lì e sono stati forniti dalla Guardia di finanza e dall'Agenzia delle dogane. Sono il frutto di diversi sequestri. Nell'ambito dello studio sul sistema moda, insieme alla CNA, noi abbiamo lavorato per mostrarli e cercare di confrontarli con i prodotti originali.
  Ci sono poi altre iniziative sul territorio dirette al fenomeno, che vi dicevo, dei compratori e dei turisti che si fermano presso i venditori abusivi. È un fenomeno molto importante e piuttosto preoccupante anche, lo ribadisco, da un punto di vista dell'ordine pubblico. Si è cercato in diversi modi, nel corso degli anni, soprattutto in anni recenti, di fare a Firenze una forte azione di comunicazione verso i turisti, invitandoli a non acquistare merce contraffatta e mettendoli anche in guardia riguardo alla questione in sé, ossia riguardo a ciò che succedeva alle persone che si presentavano loro.
  È stata fatta, quindi, una campagna di comunicazione piuttosto lunga. È chiaro che non è semplicissimo misurare gli effetti di queste campagne. Si fanno nell'auspicio che si possa poi ottenere un risultato nei confronti delle persone. Va detto che la maggior parte dei turisti si ferma nella media tre giorni a Firenze, sicché è difficile coinvolgerli in una campagna di comunicazione che non sia massiva.
  L'altra iniziativa ha riguardato le misure regolamentari di multa e di contravvenzione a chi acquista prodotti falsi, misura che però io non ritengo, in realtà, molto efficace, perché eccessivamente afflittiva per taluni suoi aspetti e perciò applicata anche con molta difficoltà di fatto dalle forze dell'ordine. Si arriva fino a 5.000 euro di sanzione. Dal mio punto di vista questa è un'iniziativa che può servire, ma solo in un'azione molto più ampia e più diffusa.
  Quello che abbiamo fatto in maniera massiccia sono i sequestri, insieme e anche su iniziativa della procura della Repubblica, nei confronti sia di venditori, sia di produttori di falsi che fossero verificati come tali.
  Ho portato due dati esemplificativi. Nel periodo giugno-dicembre sono stati eseguiti 1.332 sequestri, di cui 94 penali, di merce contraffatta, con 53.190 oggetti posti in vendita sequestrati: 885 di questi erano contraffatti, perché va detto che i venditori abusivi vendono di tutto, non necessariamente solo prodotti falsi.
  Nel 2014, per significarvi anche quanto sia aumentato questo fenomeno, nello stesso periodo ci sono stati 2.000 sequestri. Abbiamo sequestrato 88.900 oggetti di cui 1.480 oggetti contraffatti. Perciò il fenomeno è molto aumentato e questo ha fatto sì che anche la quantità di merce sequestrata sia aumentata.
  La procura di Firenze ci ha delegato delle indagini che sono iniziate nell'aprile del 2014 e sono state finalizzate all'individuazione di luoghi e locali in cui fosse detenuta la merce. Noi abbiamo fatto dei controlli nei comuni di Firenze e Sesto Fiorentino. Nel corso di questa operazione sono state sequestrate 323 borse di vari marchi (Benetton, Gucci, Prada), 82 paia di scarpe – questo è tutto materiale contraffatto – 11 giubbotti, 333 targhette in metallo e loghi di stoffa.
  Questo per dire che si tratta di un'azione complicata, perché molto articolata, di cui non sempre è facile vedere gli effetti. Il fenomeno dell'abusivismo di sicuro, almeno nelle strade, anche per la parte che riguarda la merce contraffatta, infatti, è ancora decisamente presente.Pag. 6
  Poiché dopo ci sarà il Presidente Rossi, penso che ne voglia parlare anche lui. Comunque, a proposito delle varie iniziative, segnalo che noi abbiamo una filiera importantissima soprattutto sulla pelle. Abbiamo una filiera completa all'interno della città di Firenze, nel senso che ci sono i marchi, ci sono i designer, ci sono i progettisti, ci sono le fiere di vendita e ci sono i realizzatori in loco.
  Sulla filiera è stata messa in atto quest'anno un'azione molto interessante, attuata dalla Camera di commercio della regione Toscana con altri organismi, che noi abbiamo sostenuto in diversi modi, perché ci interessa molto, anche se su tanti aspetti non abbiamo competenze dirette. L'azione è sostanzialmente diretta a coinvolgere i produttori e i venditori in una filiera che sia compatta e che veda uno sviluppo reale e completo della leggibilità del prodotto.
  Per fare questo ci sono ormai sistemi tecnologici di ogni tipo di etichettatura elettronica e di riconoscibilità del prodotto. Questa è un'iniziativa che, secondo noi, va sviluppata molto. Va pur detto, infatti, che buona parte dei falsi sono di eccellente qualità. Sfido chiunque a riconoscere un falso da un prodotto originale. Il tema è capire come si fa a produrre tutto quel sistema all'interno del quale la parte relativa alla creatività, alla promozione commerciale e all'originalità rappresenta un valore economico di enorme portata.
  Per questo motivo io sono convinto che quest'azione per lo sviluppo della leggibilità dei prodotti, della tracciabilità e del coinvolgimento delle filiere sia un po’ la direzione verso la quale probabilmente occorre andare.
  Noi siamo interessatissimi al tema. Vi ho riferito i dati iniziali per significare quanto esso incida sull'economia fiorentina. Praticamente incide quasi sul 50 per cento del nostro export e, perciò, su una buona parte della nostra ricchezza. Il sistema di filiera che è stato pensato dalla Camera, dalla regione e dagli altri organismi di controllo è fatto di più parti. Si tratta di controlli dati, presenza di dati, banche dati condivise, ovviamente con garanzie di riservatezza, ma anche con una messa a disposizione importante da parte delle aziende.

  PRESIDENTE. Ringrazio sin da ora l'assessore Bettarini per questa introduzione, sicuramente utile. Premesso che avrò anch'io una domanda in questa occasione, chiedo prima ai colleghi e, in particolare, alla relatrice, la collega Cenni, se ritengono di intervenire.

  SUSANNA CENNI. Grazie, presidente. Innanzitutto rivolgo davvero un ringraziamento all'assessore per la disponibilità, per le cose che ci ha detto e per i materiali che vorrà lasciarci. Queste sono le ultime audizioni in ordine di tempo che noi stiamo svolgendo per mettere insieme un po’ tutto il quadro.
  Anche se l'indagine è partita dal distretto di Prato, è evidente, però, che il tema è il distretto del tessile e della moda e che, quindi, ovviamente, va ben oltre i confini del comune di Prato, indipendentemente dalla dimensione dell'area metropolitana. In ciò Firenze ha un ruolo fondamentale.
  Io ritengo anche importanti e molto positive le iniziative che lei ci ha illustrato e che il comune, nella sua funzione anche di città metropolitana, sta cercando di svolgere.
  Ho un paio di domande da fare, anche se la sua esposizione è stata molto chiara. Fin dall'inizio, soprattutto quando, durante la missione a Prato, ci siamo confrontati con vari interlocutori e ci siamo trovati davanti alla rappresentazione di alcune difficoltà che probabilmente riguardano anche voi, ho notato che una di queste era legata al tema dei sequestri e ai luoghi in cui si vanno a stoccare i materiali. Volevo chiedere su questo, rispetto ai materiali che voi sequestrate, cosa significa ciò in termini di costi e di difficoltà e se questa situazione gravi anche sul bilancio dell'amministrazione. Immagino di sì. Come vi state comportando su questo tema dei sequestri ?
  L'altra domanda, invece, è di carattere un po’ più generale. Mentre abbiamo trovato Pag. 7una grande disponibilità e abbiamo avuto, io credo, nei materiali e nelle suggestioni che ci sono state messe a disposizione una grande apertura, anzi un interesse al lavoro che noi faremo con questa relazione da parte delle Camere di commercio e del sistema confindustriale, dai singoli marchi, francamente, abbiamo trovato un po’ meno disponibilità a rappresentare e raccontare.
  In merito vorrei fare all'assessore qualche domanda. Vorrei sapere, cioè, se voi avete trovato da parte dei marchi principali che hanno sede nell'area di riferimento una disponibilità a fare un lavoro insieme alle Istituzioni.
  Capisco che ci sono stati recentemente alcuni episodi legati a trasmissioni che possono aver irrigidito un po’ questo atteggiamento, ma mi pare abbastanza evidente soprattutto l'ultima questione che lei ci rappresentava, cioè che non si può fare un salto di qualità solo con la repressione, il controllo e, ovviamente, con le norme adeguate – come sa, purtroppo, il tema del made in non è ancora risolto a livello comunitario – ma si riesce ad avere un lavoro di certificazione e di processo trasparente lungo tutta la filiera solo se c’è una grande collaborazione da parte dei grandi marchi.
  Ciò avviene, per esempio, se essi comprendono fino in fondo che da lì passa anche un pezzo del loro valore aggiunto che aiuterà un dato tipo di consumatore a essere ancora più attento all'etichettatura e a quello che trova.
  È stato interessante la scorsa settimana sentire e anche vedere da parte della Stefano Ricci l'insieme delle forme non solo di etichettatura, ma anche di contrassegno, tutte sullo stesso prodotto. Erano tre o quattro. C’è chi ci investe tantissimo.
  Lui è venuto in audizione la scorsa settimana insieme a Confindustria Prato. Ci hanno fornito tutti gli elementi di identificazione di vario tipo, proprio percorrendo tutte le strade ad oggi aperte. Abbiamo avuto, per il resto, un po’ questa impressione e volevo capire se da parte sua c’è una conferma oppure no in proposito.

  PRESIDENTE. Assessore, aggiungo anch'io una domanda che, in una certa misura, ha un legame con l'ultimo ragionamento fatto dalla collega Cenni.
  Nel lavoro che noi abbiamo fatto in quest'anno ci siamo imbattuti in tutta una serie di tipologie di contraffazione, che, il più delle volte, riguardavano prodotti che venivano contraffatti all'estero e poi introdotti sul territorio nazionale o distribuiti nel mondo o anche in prodotti contraffatti in alcune zone del Paese, in particolare in Campania. Per quanto riguarda i tessuti penso al tema pratese.
  Lei oggi, parlandoci, invece, in particolare, della filiera della pelle, che è quella di maggior spicco e di maggior rilievo economico, se ho ben compreso, ha sfiorato un tema che, in realtà, noi non abbiamo mai approfondito fino in fondo, cioè se sussista, magari anche in forma rilevante, un problema di contraffazione che esce dalla filiera stessa. Penso a imprese di lavorazione infedeli che realizzino illegittimamente delle partite non destinate al cliente titolare della griffe, che vengono poi avviate sotto banco sul mercato.
  È un tema che lei considera ? Non è detto che questo avvenga da un fornitore necessariamente ubicato nel comune o nella provincia di Firenze. Può essere ubicato anche altrove. Per quello che riguarda la filiera della pelle alla quale lei si riferiva e che, come assessore fiorentino, conosce meglio, a suo avviso, questo è un tema che va scandagliato, o è un fenomeno minore nell'ambito della contraffazione sulla filiera ?

  GIOVANNI BETTARINI, Assessore allo sviluppo economico, turismo, città metropolitana del comune di Firenze. Partendo dall'ultima domanda, io penso che questo sia un fenomeno minore, perché le sanzioni da parte delle case sono tali per cui c’è un grande controllo. Io non ho parlato di questo, ma il controllo delle case madri è molto forte e io credo che sia una parte Pag. 8di grande efficacia, perché esse sono pienamente consapevoli del danno che viene fatto.
  Io capisco la riservatezza. Il tema della riservatezza industriale in questi casi è importantissimo. Io mi sono trovato davanti episodi dai quali ho capito quanto queste case investano anche sulla riservatezza della produzione, delle tecniche di produzione e di tanti aspetti. Per questo motivo penso che questo sia un aspetto marginale.
  Ribadisco, andando a vedere e conoscendo le fabbriche, io credo che il tema di quanto viene pagato il lavoro anche in Italia a volte debba essere sollevato. C’è il prodotto del lusso nella filiera. Io penso che questo possa essere una questione interessante per evitare che ci siano contraffazioni. Capisco che c’è una questione di costi, ma non mi sembra che sull'alta moda la competizione sia sui costi, ovviamente. In una filiera di questo tipo, quindi, la valorizzazione adeguata del lavoro io penso sia importante.
  C’è un aspetto molto positivo di Firenze. Voi avete citato l'imprenditore che, per esempio, l'altro giorno era il Magnifico Messere del Calcio storico. Questo per dire che queste persone sono protagoniste della vita cittadina e che perciò c’è una fortissima collaborazione con queste aziende.
  Le aziende che hanno mantenuto legami forti con il territorio hanno un rapporto fortissimo con noi e collaboriamo con loro in maniera continuativa da tanti punti di vista. Ferruccio Ferragamo è il presidente di Polimoda, la scuola di moda fondata insieme al comune di Firenze, di cui noi siamo soci. Collaboriamo da tutti i punti di vista perché investiamo molto su questa idea. Loro sono consapevoli del valore della produzione fiorentina anche per i loro marchi e la cosa funziona anche reciprocamente, ovviamente, ma questo è un aspetto di grande rilievo. Noi della collaborazione con chi è sul territorio siamo estremamente soddisfatti e contenti.
  I costi dei depositi non ve li so dire, francamente. Impegnano delle discrete parti di superficie, ma noi non siamo impegnati sempre su questo tipo di operazioni, che spesso sono svolte dalla Guardia di finanza, dall'Agenzia delle dogane e da altri tipi di organismi. Noi le facciamo soprattutto per contrastare e cercare di incidere sul fenomeno dei venditori abusivi nel centro di Firenze, che sono diventati una questione per noi piuttosto seria.

  PRESIDENTE. Credo che possiamo chiudere qui l'audizione. Tutto quello che l'assessore Bettarini ritiene di poterci lasciare può essere acquisito dagli uffici. La ringrazio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente della Giunta regionale della Toscana, Enrico Rossi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della Giunta regionale della Toscana, Enrico Rossi.
  Siamo nel contesto – lo ricordo a tutti noi – del lavoro che la collega Cenni sta facendo sulla contraffazione nel settore del tessile e della moda, con un focus specifico sul sistema pratese, ma con ovvie ricadute anche su tutta una serie di problematiche di territorio che riguardano moltissimo la Toscana in generale. Questa è la ragione dell'utilissima presenza qui del Presidente Rossi.
  Io non ho altre cose da dire in introduzione, ragion per cui prego il Presidente Rossi di farci un suo intervento sulla materia. Sicuramente poi la collega avrà qualche richiesta in merito.
  Do la parola al Presidente Rossi.

  ENRICO ROSSI, Presidente della Giunta regionale della Toscana. Grazie innanzitutto per quest'audizione, che faccio, francamente, molto volentieri, perché per la Toscana si tocca un punto decisivo del suo apparato produttivo e anche dei problemi relativi all'integrazione nel tessuto sociale della presenza di una così forte immigrazione, peraltro concentrata nel centro della Toscana, a Prato, ma anche un po’ in realtà limitrofe, intorno a Prato, in sostanza in tutta l'area fiorentina fino a Pag. 9Pistoia, nell'empolese e nei comuni della cintura fiorentina verso ovest, tra cui Scandicci, Calenzano e altri.
  Ci sono degli studi che, se vorrete, possiamo anche mandarvi, ma senz'altro li avrete. Li ha fatti l'IRPET. Altri studi importanti sono stati fatti da altri ricercatori delle università. Credo che meriterebbero una lettura, magari fatta fare a esperti, anche le indagini della procura della Repubblica soprattutto sulla vicenda dei money transfer, che, secondo me, svelano uno spaccato interessante di come funziona il sistema. Naturalmente, spesso accade che il clamore delle indagini si fermi al giorno del rinvio a giudizio e poi si perda, ma credo che un focus interessante possa fornircelo la stessa procura.
  Il fenomeno inizia, secondo una ricostruzione che ha fatto l'IRPET, negli anni Novanta, con i primi insediamenti di cinesi provenienti dalla provincia di Wenzhou vicino a Shanghai, una città di 8 milioni di abitanti. È stata visitata da Prodi, che ce la descrive, in un articolo che fece la sua comparsa nel dicembre 2013, più o meno come una città in cui è fondamentale comprare, dove «tutti comprano e vendono, dove i soldi non li prestano le banche, ma se li prestano le famiglie fra di loro».
  Prodi ripete questa frase più volte in questo articolo, rimanendo particolarmente colpito dal dinamismo e dalla vivacità di questa città e dalla sua voglia di intraprendere, domandandosi – cosa che io condivido – se la presenza di questa comunità Wenzhou nel cuore della Toscana non possa essere anche una grande opportunità di crescita e di sviluppo. Io credo che la questione vada presa sotto questo punto di vista, senza nasconderci i problemi che comporta.
  Fino al 2000 gli insediamenti negli spazi lasciati vuoti dagli artigiani tessili che si ritiravano dall'impresa a seguito della crisi del distretto pratese, o semplicemente perché si ritiravano in pensione, si limitano, secondo i conti che sono stati fatti, a circa 9.000 soggiornanti regolari, a cui tipicamente poi si aggiungono altrettanti irregolari. Sono registrate 1.200 imprese nel corso degli anni Novanta e si parla di delocalizzazione in loco.
  L'interpretazione che viene data del fenomeno, cioè, è che il grande settore tessile di Prato delocalizza a fianco a sé. Senza andare a cercare i produttori e i confezionatori fuori, nell'Estremo Oriente, in Pakistan o altrove, delocalizza in loco l'utilizzo dei tessuti in questa presenza cinese che confeziona, che cuce e che fa pronto moda.
  Dopodiché, lo sviluppo enorme si ha negli anni 2000, quando gli imprenditori cinesi acquistano davvero una fisionomia propria e si trasformano da subfornitori in imprenditori finali, progettano modelli e commercializzano. Praticamente si arriva a parlare di una presenza, sempre secondo i dati IRPET attuali, di circa 40.000 persone, di cui 32.000 con permessi di soggiorno e un altro numero privo anche di permessi di soggiorno. Abbiamo capito che il numero oscilla molto a seconda dei periodi, il che è già un indice interessante per capire quale sia la funzione di questo distretto.
  Sono nell'area di Prato 4.800 imprese, mentre nell'area vasta noi abbiamo censito circa 7.700 imprese di questo tipo, una dimensione veramente importante. Per area vasta si intende Prato, ovviamente, laddove c’è il cuore, ma anche Firenze, Empoli e Pistoia.
  La presenza di queste oltre 40.000 persone fa supporre, secondo calcoli che sono stati fatti, l'esistenza di 20.000-25.000 lavoratori in produzioni nel settore delle confezioni del distretto cinese, di cui solo 11.000 sarebbero lavoratori ufficialmente registrati.
  Noi abbiamo avuto un momento drammatico nel dicembre del 2013, quando sette lavoratori morirono per l'incendio delle confezioni Teresa Moda. Tutta la Toscana e il Paese sono rimasti scossi da questo episodio. Queste persone, come peraltro già ben si sapeva, dormivano in fabbrica. C’è un'importante lettera, che mi inviò il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che secondo me, con parole puntuali, descrive bene la situazione: Pag. 10«Indirizzo, per suo tramite, ai rappresentanti della comunità cinese della città di Prato l'espressione dei miei sentimenti di umana e dolorosa partecipazione per le vittime della tragedia del rogo che ha distrutto un opificio cinese, suscitando orrore e compassione in tutti gli italiani. Condivido la necessità da lei posta con forza di un esame sollecito e complessivo della situazione, che ha visto via via crescere a Prato un vero e proprio distretto produttivo» diceva il Presidente «nel settore delle confezioni, in misura però non trascurabile caratterizzato da violazioni delle leggi italiane e dei diritti fondamentali dei lavoratori ivi occupati. Al di là di ogni polemica e di una più obiettiva ricognizione delle cause che hanno reso possibile il determinarsi e il permanere di fenomeni abnormi, sollecito a mia volta un insieme di interventi concentrati a livello nazionale, regionale e locale per far emergere da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porle irrimediabilmente in crisi, realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano».
  Questa è stata, secondo me, una lettera fondamentale per indicare il lavoro che tutte le Istituzioni avrebbero dovuto fare e che solo in parte stavano facendo. Ognuna poi risponderà per la propria realtà, per quello che ha.
  Noi ci siamo occupati principalmente della questione della sicurezza nei luoghi di lavoro. Un diritto minimo è quello di lavorare in sicurezza e di non morire mentre ci si riposa nello stesso ambiente di lavoro in cui si lavora. Abbiamo fatto un progetto che ha visto i nostri servizi dell'ASL formare e poi assumere, con finanziamento della regione Toscana, 70 giovani ispettori della sicurezza nei luoghi di lavoro. Abbiamo stipulato un protocollo d'intesa con la procura della Repubblica di Prato e con le altre procure della Repubblica di Firenze e di Pistoia, perché Empoli fa parte di Firenze.
  Il protocollo prevede che le segnalazioni di violazione di reati penali che noi mandiamo alla procura abbiano un'accelerazione nella trattazione e non rimangano sul tavolo. A questo scopo ci siamo anche adoperati per fornire alla procura amministrativi e personale che consentissero di trattare rapidamente queste pratiche relative alla violazione e ai reati penali.
  L'effetto è stato veramente straordinario. Pensate che è meno di un anno che noi abbiamo intrapreso quest'attività e che al 31 maggio – siamo partiti a regime a novembre dell'anno scorso – sono state controllate 2.600 aziende delle 7.000 censite. L'obiettivo è che nel corso del 2016 si completino tutte le visite a tutte le aziende, un'iniziativa unica nel panorama nazionale e forse anche nel panorama europeo.
  Gli effetti sono, al momento – ancora una volta permettetemi di usare questa parola – importanti e positivi. Innanzitutto le violazioni che riscontriamo, con le relative multe, ripagano il progetto, in tempi nei quali dobbiamo giustamente essere attenti anche alle spese. Le principali irregolarità rilevate riguardano macchinari non a norma. Si è trovata anche qualche azienda a norma. Altre irregolarità riguardano macchinari non a norma (663), impianti elettrici (588), condizioni igieniche non regolari (432). Abbiamo riscontrato 249 dormitori in fabbrica, che naturalmente abbiamo chiuso, 130 cucine abusive e 60 bombole a gas.
  Abbiamo visto, quando sono state comminate delle prescrizioni con multa, che esse funzionano, perché per l'83 per cento le imprese si sono adeguate alle prescrizioni che noi abbiamo fatto. Su questa strada vogliamo assolutamente andare avanti, anche perché garantire che ci siano condizioni minime di tutela dei lavoratori è il primo tassello anche di un più complessivo «incivilimento», ossia di una regolarizzazione.
  Quando la comunità cinese ha capito che facevamo sul serio con questo dispiegamento non usuale di 70 giovani formati, responsabilizzati e anche idealmente motivati, gli effetti sono stati che esse hanno capito che, se vogliono continuare il loro business, devono assolutamente adeguarsi.
  Oltretutto, così rimuoviamo la causa principale di questa situazione di degrado, Pag. 11che era quella relativa ai dormitori in fabbrica, dove si trovavano bambini, dove gli orari di lavoro si dilatano senza alcuna sicurezza, dove si mangia, si lavora e si dorme, dove ci sono bombole a gas che possono esplodere e dar luogo agli incendi che abbiamo visto.
  Peraltro, al di là della perdita di vite umane, che è senz'altro la prima preoccupazione in un posto che vuole ritenersi civile, come noi vogliamo che sia, come Paese e come Toscana, c’è anche il fatto che noi non ci possiamo permettere altre vicende di questo tipo perché il contraccolpo in termini di immagine della regione è assolutamente devastante. Su questo, quindi, saremo intransigenti. La legge va applicata in modo inflessibile su questi punti.
  Qual è l'intreccio tra la realtà economica del distretto e la più generale realtà economica ? Il primo intreccio, ovviamente, è nell'affitto del capannone. I cinesi che vengono non si costruiscono il capannone. Acquistano o usufruiscono dei capannoni attraverso un affitto. Le indagini della procura, peraltro, a mio parere opportunamente, hanno chiamato in causa i proprietari, ai quali anche a norma di legge sembra competere il controllo di ciò che avviene dentro i capannoni. Anche questo è stato un passaggio piuttosto interessante.
  Dopodiché, ci sono altri intrecci importanti che meritano un'attenzione della politica e anche la rottura di un clima che cerca, a volte, a mio avviso, di avere due facce, da un lato la faccia feroce e dall'altro, qualche volta, una complicità nascosta.
  Io so che in questo modo rischio di mettermi avverso parte di persone che meritano tutto il rispetto, ma non c’è dubbio che, se tante aziende prima della denuncia dell'IVA chiudono e dopo riaprono, qualcuno fa le carte affinché questo avvenga. Qualcuno aiuta questo fenomeno.
  Io credo che ci sia bisogno di un impegno politico serio, che vada oltre la criminalizzazione della comunità cinese e che cerchi, da parte dello Stato, di colpire chi evade e chi non rispetta le leggi, ma anche, allo stesso tempo, di suscitare un moto positivo in direzione del rispetto della legge.
  Io credo che questo sia uno degli aspetti importanti di tutta la vicenda politica: ci deve essere una complessiva volontà di affrontare il tema, che vada oltre anche il ruolo positivo che svolgono gli apparati dello Stato, i quali devono avere dietro, però, il conforto anche della politica e delle Istituzioni. Penso alla Guardia di finanza, che deve intervenire. Deve avere anche la dotazione adeguata per poter fare questo. Inoltre, occorre anche una politica che spinga e riaffermi lo Stato in questa situazione, al di là di ogni interesse e complicità.
  Prato non può essere, per certi aspetti, extraterritoriale. I rapporti tra quel distretto e la città più in generale è evidente che ci sono. Secondo i conti fatti, è stato rilevato che in un anno, nel 2009, 500 milioni sono stati trasferiti con le rimesse. Poi ci sono le indagini, che parlano anche di trasferimenti molto più alti. Non c’è dubbio, però, che la tenuta della città di Prato sia legata in parte anche alla presenza di questa economia per tanti tratti illegale, con pagamenti in nero e il sistema dei servizi più in generale, che ovviamente è legato alla presenza di una comunità tanto importante, che ha bisogno di una serie di servizi. Di questo, secondo me, è bene che il Parlamento si occupi. È bene che ci sia un indirizzo politico ed è bene che non si perda né si diminuisca l'attenzione intorno a questi temi.
  Qualcuno si domanda se ci sono anche rapporti con il sistema della moda. Io provo a fornire la mia interpretazione. Soprattutto i sindacati hanno costruito molti accordi di controllo della filiera, che sono senz'altro benemeriti e vanno benissimo. Io non credo, però, che tutto quello che si produce a Prato finisca soltanto nel cosiddetto pronto moda di non si sa quale mercato dell'Est europeo o di non so quale altro Paese in difficoltà. Si può supporre che da questo distretto venga un contributo Pag. 12anche alla moda più etichettata, magari anche del tutto inconsapevolmente da parte dei brand della moda.
  Qualche volta io ho fatto dichiarazioni in questo senso e immediata è stata la reazione. Si capisce che questo non può avvenire e non può essere. Certamente dentro una filiera in cui c’è un imprenditore che, per ragioni economiche o anche di altro tipo, rappresenta un anello finale di questa filiera, la tentazione di utilizzare anche il distretto pratese per le confezioni può esserci. Pertanto, a chi distingue con un eccesso di zelo i due aspetti io dico di fare attenzione, perché probabilmente non è del tutto scontato. Probabilmente ci sono, invece, riscontri che depongono in senso diverso.
  Cosa fare ? Io penso che si debba agire sempre sui due pedali. Da un lato, occorre sicuramente intervenire e colpire. In merito ci sono iniziative, anche queste importanti. La Guardia di finanza ha chiuso laboratori in cui si producevano pezzi di marchi importanti. C’è della cronaca in proposito.
  Nello stesso tempo, forse bisognerebbe studiare qualche strumento che faccia emergere in positivo e che stimoli una parte dell'imprenditoria cinese a mettersi davvero su un piano, anche gradualmente, di legalità. Come dice la lettera del Presidente della Repubblica, o almeno così la interpreto io, si tratta di «far emergere da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porre irrimediabilmente in crisi realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano». Mi pare che qui si esprima – così io l'interpreto – l'idea che questa realtà già contribuisca.
  Ripeto, secondo alcuni conti fatti, noi pensiamo che a Prato, insieme a tutto il contorno, questa diventi una questione seria. Si tratta del 20 per cento del PIL, secondo calcoli fatti da IRPET. Si parla di 700 milioni che restano sul territorio e probabilmente anche qualcosa di più, se si mette tutto insieme e si va oltre Prato.
  È impossibile, dal punto di vista materiale, da un giorno all'altro chiudere un settore. Questo non è pensabile. Tuttavia, ogni intervento che non tenesse conto anche di questo aspetto sarebbe sbagliato, mentre sarebbe assai positivo individuare gli strumenti per sostenere e agevolare gradualmente chi vuole emergere, a partire da quello zoccolo su cui la regione Toscana, con questa iniziativa, è veramente riuscita ad aprire dei varchi. Lo zoccolo è che in fabbrica non si muore, che ci si sta in condizioni di sicurezza e che non ci si dorme.
  Io sono dell'opinione, per esempio, che strumenti che potrebbero consentire premialità a chi emerge, con controlli, però, puntuali – non sta a me dire come, andrebbero studiati attentamente perché non sono cosa di poco conto; occorrerebbe capire anche quale sia il filo più adatto per prendere il sistema – potrebbero incrociarsi con una volontà che soprattutto i più giovani hanno.
  Ormai i giovani sono in gran parte radicati dentro questa realtà, dentro Prato. Ormai al punto nascita di Prato si nasce al 50 per cento «extracomunitari» e indigeni. È difficile anche trovare le parole. Il punto nascita di Prato è il punto nascita più grande della Toscana, in cui si sono adottati sistemi di interpretazione della nascita che tengono conto della storia.
  Io la vedo così. Vedo questa come una grande opportunità, sulla quale lo Stato deve con forza e con determinazione ripristinare la legalità anche in altri aspetti, non solo nella sicurezza sui luoghi di lavoro e, quindi, rafforzarla.
  C’è una debolezza storica anche dal punto di vista della presenza istituzionale su Prato. Prato è stata una città che nel corso degli anni Sessanta e Settanta ha raddoppiato la popolazione. Con i cenci a Prato ci fu un'immigrazione dal Sud strepitosa che portò questa città dai 70.000 abitanti degli anni Cinquanta agli attuali 140.000 e più, 160-170.000. Anche allora ci furono problemi di integrazione, anche se, ovviamente, meno pesanti e meno forti di quelli che abbiamo ora.
  Prato ha fatto fronte al problema con le scuole sicuramente bene. Noi, come regione, siamo stati a fianco del comune. Con l'ospedale, come vi dicevo, si garantisce Pag. 13a tutti assistenza. Ci sono un tavolo nazionale e anche uno locale che si riuniscono.
  Secondo me, bisognerebbe vedere anche un'iniziativa legislativa su questa situazione, che io ritengo abbastanza speciale. Non so se ci siano altre realtà, a Napoli o forse a Milano. Certo non con questa compattezza e soprattutto con questa unitarietà del sistema. Forse un'iniziativa legislativa sarebbe molto interessante.
  A me a volte capita di dire – ma, si sa, come qualcuno sostiene, la politica sempre semplifica – che, se noi riuscissimo a portare su un piano di legalità questo distretto, questa straordinaria potenzialità produttiva, Prato ridiventerebbe il cuore tessile e delle confezioni di tutta l'Europa e che probabilmente non ci si fermerebbe neppure lì. Uno sente che ha una carta importante, che, però, allo stesso tempo, rappresenta in egual misura un grande problema.

  PRESIDENTE. La ringrazio sin da ora per questa relazione ricchissima di elementi di riflessione di livello politico, ma anche tecnico-operativo, se vogliamo, perché c'era un po’ di tutto. Prego la collega Cenni di intervenire sulla tematica.

  SUSANNA CENNI. Rivolgo un sentito ringraziamento al presidente per essere venuto in una fase anche piuttosto impegnativa dell'inizio della nuova legislatura regionale e per l'ampia illustrazione che ci ha reso. Noi siamo nella fase grosso modo conclusiva dell'indagine. È già quasi un anno che lavoriamo sul tema, abbiamo svolto tantissime audizioni e io considero quelle di oggi le audizioni conclusive.
  Noi siamo già intervenuti e giunti sul lavoro che ha fatto la regione Toscana anche attraverso altri passaggi, compresa l'audizione del dottor Biagi, quando abbiamo fatto una giornata di missione a Prato, proprio in quella sede.
  La relazione del presidente oggi ci conferma davvero la preziosità del lavoro che la regione Toscana ha messo in campo e che io credo sia una risposta molto adeguata alla richiesta che il Presidente Napolitano ha fatto all'indomani della tragedia del 2013, con un insieme di interventi locali, nazionali e regionali. Alla fine sappiamo che c’è un coinvolgimento anche del Ministero dell'interno e della Presidenza del Consiglio sul progetto integrato che riguarda Prato.
  Formulo alcune domande per avere qualche ulteriore dettaglio. Poi acquisiremo anche i materiali che lei ha richiamato, che io credo saranno utilissimi per la relazione che trasmetteremo alla Camera, a lavoro concluso, con la quale noi cercheremo di fornire alcune indicazioni al legislatore e, quindi, alla Camera stessa, accompagnate da alcune nostre iniziative.
  A me sembra molto importante quello che lei, presidente, ci ha detto rispetto ai costi, ossia alla copertura dei costi. Io non so se le sanzioni e le multe comminate riescano a coprire interamente i costi, ma ritengo questo un principio importantissimo. Quando si mette in campo un investimento di sicurezza – non lo definisco un costo, ma un investimento – per una regione, come la Toscana, per la quale la moda, il manifatturiero, il settore tessile vuol dire così tanto, ci deve essere anche un ritorno e, quindi, una copertura. Questo mi sembra rilevantissimo.
  La prima domanda che voglio farle è una sua valutazione rispetto all'esportabilità di esperienze di questo tipo in altre aree della Toscana. Noi sappiamo benissimo che, almeno dalle notizie che i magistrati che abbiamo sentito ci hanno riportato, dietro a ogni sequestro, quando si approfondiscono le indagini, emerge una ramificazione che vede il coinvolgimento in qualche caso addirittura della camorra o della mafia cinese o di mille sfaccettature della malavita organizzata, che si organizzano anche per pezzi di lavoro della contraffazione e che poi ritroviamo sulle strade. Un primo ragionamento che noi potremmo fare è proprio questo ed è legato alla possibilità di allargare ed esportare esperienze come queste.
  La seconda domanda, invece, riguarda il lavoro che noi potremmo fare, anche con la relazione, ossia quali aspetti, alla luce dell'esperienza svolta dalla regione Pag. 14Toscana, emergono in termini di insufficienza. C’è un'insufficienza normativa su cui nazionalmente sarebbe utile intervenire ? C’è qualcosa su cui avviare un nuovo ragionamento che riguardi le competenze di Stato, regioni ed enti locali e che possa aiutarci ad accentuare le azioni di contrasto al fenomeno della contraffazione, che sappiamo essere una fetta di autonomia sottratta alla legalità sempre più rilevante, anche con proiezioni di crescita, purtroppo, negli anni a venire ?
  Un altro tema che io trovo interessante e che dovremmo cercare di approfondire bene è un tema che ci è stato riportato qui anche dal sistema camerale e confindustriale della realtà pratese. Riguarda la possibilità di investire sulle filiere etiche, laddove non riusciamo ad arrivare attraverso le norme che riguardano l'etichettatura.
  L'abbiamo detto anche nell'audizione precedente. Sappiamo che c’è ancora qualcosa che non ci aiuta nel raggiungimento dei risultati a livello comunitario. Per esempio, penso alle norme sul made in, che non ci aiutano a costruire queste filiere. Sappiamo, però, per esempio, che c’è un protocollo, di cui la stessa regione Toscana è protagonista, insieme all'associazione di imprese, che sta cercando di produrre queste filiere con forme di autocertificazioni.
  In merito, vorrei chiedere se, a suo parere, anche in virtù di quello che lei si chiedeva con un punto interrogativo, tramite connessioni con le grandi griffe e con un pezzo di economia locale – non solo cinese, ma locale – ci sia la possibilità di costruire fino in fondo. Possiamo procedere su questo terreno ? Sono sufficienti le azioni che vengono fatte localmente ? Si ritiene che, invece, su questo versante si debba agire non solo con il meccanismo delle premialità, che anch'io penso sia uno di quelli che dobbiamo perseguire ? Io non credo che la battaglia alla contraffazione riusciamo a condurla pienamente soltanto con le azioni di contrasto e di repressione. Occorre accompagnarle con azioni di sostegno a chi ha scelto la strada della legalità, della trasparenza e della ricostruzione piena delle filiere.

  PRESIDENTE. Presidente Rossi, quello che io pensavo di chiederle l'ha già chiesto, in realtà, la collega Cenni, andando sulla questione che dal nostro punto di vista è centrale, ossia che cosa possiamo fare come sistema Paese e come legislatore per migliorare l'attività che state facendo.
  Lei ha, giustamente, focalizzato uno scenario in cui questa realtà pratese deve diventare da fenomeno di illegalità risorsa per il Paese. In questo senso voi avete messo in piedi, come regione, nell'ultimo anno – glielo dico personalmente, senza alcuna riserva – a mio parere, un'attività straordinariamente positiva. Si tratta di uno sforzo importante. Mi pare che siate stati correttamente affiancati non solo dalla magistratura e dalle forze di polizia – di questo non potevamo dubitare – ma in generale anche da tutto il sistema delle Istituzioni. Noi, da parte nostra – la relatrice farà tesoro sicuramente delle cose dette – cercheremo di lavorare per aiutarvi ulteriormente.
  La domanda più specifica che le faccio, però, all'inizio di una nuova legislatura regionale, è la seguente: questo tipo di approccio, quello nato dall'assunzione delle 70 unità, quel programma di controlli «straordinario» che prevedete vi porterà a fine 2016 (così lei ha detto) a controllare tutte le imprese del distretto pratese, lo immaginate come un livello di pressione che va stabilizzata e proiettata nel lungo periodo – per «lungo periodo» intendo, banalmente, anche soltanto la durata della legislatura – oppure ritenete che a fine 2016, ultimata questa sequenza, ci saranno le condizioni per fare un passo indietro e tornare a ritmi più ordinari ?
  Lei comprende bene che dietro questa domanda c’è una valutazione che immagino voi vi siate posti sull'andamento di questa realtà e su come essa reagisca alla pressione del sistema Paese e vostra in particolare e su come possa evolvere nell'arco del medio o lungo periodo.

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  ENRICO ROSSI, Presidente della Giunta regionale della Toscana. Noi siamo intenzionati a continuare e anche a estendere l'esperienza, perché questa presenza di imprese manifatturiere a prevalente, se non esclusiva, manodopera di immigrati, extracomunitari e non, non è legata solo al distretto cinese di Prato e alle sue articolazioni su tutta l'area, ma si presenta anche da altre parti.
  Io sono arrivato alla seguente conclusione: nell'attuale mondo globalizzato – purtroppo, bisogna partire da questo dato di fatto – è difficile sottrarsi all'idea che non ci siano presenze nel nostro territorio di modi di produrre e di stabilire relazioni sociali che vengono da altri Paesi. Nel nostro quotidiano noi viviamo a tutti gli effetti una sorta di globalizzazione in loco. In questo senso a volte a me capita di dire che Prato è il grande digestore della modernità, della globalizzazione che noi abbiamo.
  Un aspetto della modernità e della globalizzazione, ahimè, fortemente negativo è il fatto che in alcune situazioni arretrano in modo spaventoso i diritti dei lavoratori, tra cui la sicurezza, fino al diritto minimo, che è il diritto alla vita. Poi si sviluppano anche una serie di dibattiti. C’è chi osserva che questi del Wenzhou sono abituati a fare così. Anche i nostri immigrati negli Stati Uniti, che dormivano affastellati, si pensava che fossero abituati a far così. Poi, in realtà, insomma grazie a Dio, al loro lavoro, alla loro fatica e alle Istituzioni, c’è stato un processo di incivilimento e di emancipazione.
  Il Paese, non solo la Toscana, ha di fronte a sé una situazione in cui il rafforzamento – penso di rispondere a questa domanda – degli apparati di controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro, a mio parere legati alla delega che su questo tema hanno le regioni (sento parlare di ipotesi di centralizzazione, che però non condividerei), può rappresentare un indirizzo da adottare.
  Il mio suggerimento è il seguente. Noi in Toscana vogliamo continuare e vogliamo andare avanti, per quel ragionamento che abbiamo fatto prima. A livello nazionale sarebbe interessante individuare quattro, cinque o dieci zone su cui provare a fare una sperimentazione, in cui questa forza straordinaria, come lei giustamente ha detto, faccia capire che per noi c’è uno zoccolo minimo sotto cui non si va indietro. Bisogna dire in modo molto forte a queste persone che, se vogliono lavorare in Italia, o si adattano a mettere a posto le macchine e a garantire condizioni di igiene e di sicurezza minime, oppure devono chiudere. L'estremo diventa anche questo.
  Io rispondo, quindi, che noi siamo partiti da un'esperienza spinti da una situazione veramente drammatica e anche dal sentimento di una responsabilità di non aver fatto abbastanza. Siamo partiti troppo tardi ? Forse sì, è sicuramente tardi. A intervenire tardi non siamo stati i soli, però. Tutti gli apparati dello Stato hanno lasciato crescere questa situazione senza intervenire in maniera efficace. Tuttavia, questa esperienza è risultata più positiva di quanto io stesso potessi aspettarmi e anche di quanto si aspettavano gli stessi organizzatori.
  Secondo me, in Toscana noi continueremo l'esperienza e la estenderemo oltre quell'area, perché ci sono altre aree interessate. Sarebbe bello e interessante che, senza fare un discorso generico a livello di Paese, si individuassero le zone di maggior degrado e su queste si decidesse, sulla base di un accordo tra Stato e regioni, di provare a fare un'esperienza simile a quella che noi abbiamo fatto in Toscana, che non costa, peraltro. Io penso che ci guadagniamo anche qualcosa.
  È fondamentale il rapporto con la procura, perché, se non c’è un efficace intervento da parte della procura, la cosa finisce lì. È essenziale avere un rapporto con le forze dell'ordine e con i vigili urbani, perché in molti casi i vigili urbani sono fondamentali. Le forze dell'ordine in molti casi servono di accompagnamento.
  In generale, noi non abbiamo trovato la situazione che ci si aspettava, cioè di rifiuto o di tensione. Di solito mi veniva riferito – a pensarci bene, torna anche – che questi opifici vivono fuori dal loro Paese e che, quindi, quando arriva qualcuno Pag. 16che ha la titolarità per entrare in fabbrica, gli aprono. Questo è il punto.
  Se io dovessi fornire un suggerimento, si potrebbe fare un bell'accordo tra lo Stato e le regioni maggiormente interessate per individuare sette, otto o dieci punti. Ci vuole un anno per la formazione del personale, che poi va assunto. Tra formazione e assunzione passa circa un anno. Dopo un anno, fatti gli accordi con le procure e con i comuni per i vigili urbani e con le altre forze dell'ordine per quando serve l'accompagnamento, si metterebbe un bel punto di presenza dello Stato.
  Ci sono anche tanti altri problemi. Io lo capisco. C’è il problema di quanto vengono pagati, di quanto lavorano, tutte questioni serie. Qualche volta, però – nessuno me ne voglia – mi capita di pensare che negli anni Cinquanta e negli anni Sessanta a Prato i ritmi di lavoro erano diversi. La questione va vista anche nel suo divenire. C’è questa doppiezza, a volte: da un lato, vorremmo che il mondo fosse come ci piace, la proiezione dei nostri migliori pensieri, e, dall'altro, invece, rifiutiamo di confrontarci con la realtà e allora, o la rimuoviamo, o le diamo addosso senza una strategia razionale. Questo è il primo punto.
  L'altra questione secondo me importantissima, ma non tanto per la contraffazione, sarebbe quella, in alcune situazioni, di conferire poteri di regolazione della presenza dell'immigrazione. Noi non possiamo permetterci che interi quartieri diventino a prevalenza molto forte di immigrazione. Dovremmo conferire poteri per controllare le compravendite e forse, in qualche caso, anche agire in modo che ci sia una diffusione sul territorio. Quando si crea un quartiere che ha una prevalenza etnica, si crea immediatamente una situazione di tensione. È molto difficile, me ne rendo conto, ma il tema, per esempio, a Prato è molto sentito, proprio perché alla fine si creano situazioni contrapposte tra quartiere e quartiere.
  Per quanto riguarda il fenomeno della contraffazione, oltre che rafforzare la presenza dello Stato, che deve essere una presenza costante, secondo me, occorre adottare un metodo per cui altre forze intervengano, con riferimento a quelle che hanno anche maggiori poteri, come la Guardia di finanza o altri, pianificando l'intervento in una determinata situazione per passare al vaglio tutte le unità produttive, dandosi anche un tempo lungo. Io penso che questo possa essere fatto.
  In ultimo, come già provavo a dire, io credo che l'uscita dal fenomeno della contraffazione potrebbe essere favorita anche trovando strumenti di agevolazione. È un tema difficilissimo. Io capisco che qui subito l'imprenditore italiano dirà: «Ma noi, allora, come mai... ?». Questo è verissimo.
  Una volta ricordo che, nel dibattito che abbiamo fatto le poche volte che ci siamo riuniti a livello nazionale su questa situazione, emerse anche l'indicazione di una sorta di fuoriuscita dall'illegalità concordata nel tempo. Sono questioni che io, però, non conosco e sulle quali bisognerebbe sentire evidentemente l'opinione di altri.
  Quello che mi viene in mente rispetto alla situazione di Prato, da presidente di regione, e che mi pare a livello nazionale sia ancora più evidente è che non si possono trattare tutte le situazioni nello stesso modo. Già riuscire a individuare alcune aree su cui provare a concentrare un'attenzione dello Stato – per Stato intendo Governo centrale, Parlamento, Istituzioni locali, regioni e apparati dello Stato presenti sul territorio – sarebbe un bel passo avanti, probabilmente anche perché da altre situazioni – penso a Napoli, ma chissà quante altre ancora ce ne sono – possono emergere indicazioni e proposte diverse da quelle che noi abbiamo fatto.
  Non so se ho fornito tutte le risposte.

  PRESIDENTE. Senz'altro. Io la ringrazio, presidente. È stata un'audizione molto utile e, a mio parere, di grande interesse. Sono sicuro che la relatrice sarà dello stesso avviso e immagino già, conoscendola, che lavorerà su alcune direttrici da lei indicate.Pag. 17
  La ringrazio nuovamente. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze, Bernardo Marasco; del funzionario della UILTEC-UIL, Gianfranco Salvi; del Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL, Sergio Spiller.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze, Bernardo Marasco; del funzionario della UILTEC-UIL, Gianfranco Salvi; del Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL, Sergio Spiller.
  Diamo inizio a queste ulteriori audizioni. Non so se avete concordato un ordine di intervento tra di voi. Do la parola al Segretario della FILCTEM-CIGL, Bernardo Marasco.

  BERNARDO MARASCO, Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze. Vi ringrazio. Immagino che vi interessi affrontare il tema del modo in cui l'elemento negoziale possa essere un elemento di sostegno ai temi di legalità e anticontraffazione. Partendo da questo, molto sinteticamente, il territorio fiorentino è un territorio particolare, in cui c’è un insediamento di tantissime firme. È un territorio che ha tendenzialmente pelletteria e calzatura. Ha anche un elemento di tessile-abbigliamento, ma il rapporto con le griffe, con moltissime griffe, di solito è su queste filiere della pelletteria e delle scarpe. Le griffe sono moltissime, praticamente quasi tutte le griffe del lusso. È un contesto molto particolare, perché tiene insieme aziende fornitrici e, nello stesso territorio, aziende di marchio che distribuiscono il prodotto.
  Nel corso del tempo noi abbiamo cercato di affrontare come elemento centrale di prevenzione agli elementi di illegalità il tema della tracciabilità e della trasparenza della stessa tracciabilità, per una ragione ovvia. Quando un'azienda mette in trasparenza quali sono i propri fornitori autorizzati, per ovvie ragioni l'elemento deterrenza diventa pressoché totale.
  Nella catena di subappalto in cui si annidano le varie possibilità di rendere grigio ciò che è chiaro, nel momento in cui una griffe titolata rende trasparente la propria filiera produttiva, l'elemento deterrenza è molto elevato. Pertanto, questo da una parte responsabilizza direttamente la griffe stessa rispetto alla propria catena di fornitura, nel senso che, se ha un problema, è la prima interessata a risolverlo. Dall'altra, c’è un elemento di deterrenza della stessa catena di fornitura rispetto al proprio cliente.
  Noi abbiamo cercato di agire in vari modi, cercando di mettere al primo posto il tema della tracciabilità e della trasparenza della stessa. Una cosa è tracciare e un'altra è essere trasparenti sulla tracciabilità stessa.
  Noi abbiamo cominciato una fase di negoziazione molto lunga, che è durata anni ed è cominciata nel 2004 in Gucci, che ha vari accordi, uno del 2004 e uno del 2008 e poi ancora un altro nel 2012. Sostanzialmente il tema era, in prima istanza, la costruzione di una politica di responsabilità sociale che avesse una certificazione con un ente terzo. Questo è l'accordo del 2004. Vado molto veloce e cerco di stringere. In questo accordo c'era una mappatura totale della filiera e una messa a disposizione del sindacato delle intere catene di fornitura.
  Questa iniziativa, che ha funzionato come forte elemento pervasivo di deterrenza, ha avuto poi degli elementi di ulteriore riflessione dovuti al fatto che nei rapporti commerciali non sempre si determinavano o si potevano determinare margini che consentissero a queste stesse aziende di stare dentro la legalità. Di fronte a una situazione in cui si era reso trasparente e tracciabile la filiera, c'era un problema successivo. Bisognava che l'elemento di redistribuzione consentisse effettivamente a queste aziende di stare in una determinata condizione.
  Abbiamo provato a ragionare spesso anche su modalità di mappatura, anche Pag. 18con l'Università di Firenze, delle redditività dei vari livelli delle filiere, in maniera tale da avere un punto di riferimento anche di studio esterno sulla compatibilità e sulla sostenibilità economica della filiera. Abbiamo fatto un ragionamento, nella prima istanza, di sostenibilità sociale, a cui abbiamo provato ad abbinare un difficilissimo elemento di sostenibilità economica.
  Questo, però, non è l'unico esempio. Per esempio, una prassi, più che un accordo, di consegna delle catene di fornitura l'abbiamo anche in Fendi.
  Nell'ultimo anno ci siamo cimentati nel tentativo di rendere questo processo di tracciabilità un elemento che non prevedesse semplicemente la contrattazione nelle singole aziende. Ovviamente, nel contrattare con le singole aziende, si crea una differenza tra politiche aziendali. Abbiamo provato a fare, con la regione Toscana, un percorso che, partendo dall'esperienza pratese, che era una esperienza di controllo di legalità e, quindi, di massiccio di tentativo di affrontare il tema con un elemento di controllo di enti terzi, provasse a ragionare sulla scorta di questo, pur con un aumento di controlli, con un elemento che aveva una novità. Si trattava di ragionare sui temi di tracciabilità assieme all'elemento di controllo maggiore.
  Cerco di semplificare al massimo. Noi avevamo il problema per cui molto spesso l'elemento di controllo produce la cessazione dell'azienda controllata e il mero spostamento geografico dell'illegalità in un'altra azienda che nasce. Come riuscire a trasformare un elemento di repressione in un elemento di attivazione di una politica industriale che, invece, faccia emergere l'illegale è il tema che ci ha spinto a costruire un protocollo in cui mettere insieme l'elemento della tracciabilità trasparente con l'elemento del controllo.
  Ovviamente, costruire un meccanismo in cui, a fronte di una segnalazione di un problema dell'ente preposto al controllo, oltre alla sanzione ci sia una presa in carico dell'azienda capofila, che sposti questi volumi produttivi da una condizione evidentemente critica a una meno critica o non critica, mettendo in salvo i volumi produttivi, significa passare da una condizione di chiaroscuro o scuro-nero a una condizione, invece, in chiaro.
  Riuscire a mettere insieme la tracciabilità delle filiere delle singole griffe con la possibilità di collaborazione con il sistema di controllo produce un elemento che noi speriamo essere molto produttivo, ossia la trasformazione, come dicevo prima, dell'elemento legittimo di repressione in un elemento di attivazione di politica industriale di emersione e qualificazione.
  È un percorso che abbiamo provato a fare. Abbiamo fatto un protocollo di partenza a dicembre. Siamo nella fase terminale di questo ragionamento. Questo è un protocollo che ha visto le firme di tutti i sindacati, Confindustria, CNA e Confartigianato. Abbiamo l'ambizione di provare a chiudere questo percorso, se non prima dell'estate, a settembre, per chiedere l'adesione alle singole aziende.
  Quanto alla loro disponibilità, oggi informalmente sembra che su molte di esse ci sia la possibilità di sviluppare questa operazione. Noi siamo il più possibile fiduciosi che si possa dimostrare che un elemento di tentativo e sforzo di territorio di qualificare le filiere possa essere una scelta che, oltre a un elemento di implementazione di controlli, produca anche un'alleanza tra tutti i soggetti e i player del territorio per fare questa operazione.
  Siamo confidenti, ovviamente. È evidente che questo è un tema che tocca, come sindacati, massimamente – mi taccio poi, per brevità – il tema delle condizioni di lavoro e di sfruttamento. È altresì vero, però, che molto spesso nelle filiere grigie non tracciate il tema del possibile lavoro nero e il tema del possibile parallelo contraffatto molto spesso non vanno a coincidere, perché sono fenomeni diversi, ma si annidano nella stessa opacità delle filiere, almeno per quanto riguarda la parte della moda di alta gamma.
  Pertanto, avere un sistema di tracciabilità trasparente e, ancor più, un sistema concordato con i soggetti pubblici è un elemento di grande garanzia, perché produce Pag. 19un contrasto effettivamente ancora più sostanzioso. Nell'andare a contrastare elementi di nero e di lavoro irregolare, in realtà va a contrastare tutta l'opacità diffusa che su questo elemento opaco costruisce la propria possibilità di allocazione di risorse industriali.
  Questo, quindi, è un tentativo che viene fatto con un appoggio forte anche della Camera di commercio di Firenze, che su questa operazione, ovviamente, intende molto investire, E per quanto ne so anche di Prato, per l'ovvia ragione che la legalità e i diritti si tengono assieme, notoriamente.

  PRESIDENTE. La ringrazio anche per lo sforzo di sintesi.
  Io vi anticipo – non l'ho fatto prima, ma lo faccio ora – che avremo poi sicuramente delle domande, almeno così immagino, da parte della collega Cenni, che, se non lo sapete, è relatrice per la nostra Commissione di un lavoro specifico sulla filiera del tessile e della moda, con focus sul sistema pratese, ma anche toscano in generale (fiorentino e via elencando). Aspettatevi poi di tornare su alcune questioni magari a seguito delle domande della collega.
  Do la parola adesso al signor Salvi della UILTEC.

  GIANFRANCO SALVI, Funzionario della UILTEC-UIL. Innanzitutto devo dire che condivido l'esposizione fatta dal collega. Essendo lui operante sul territorio, è chiaro che è in grado meglio di noi sicuramente di capire e, quindi, di descrivere i fenomeni e le possibilità di intervento.
  Io parto dal presupposto che, se noi riuscissimo a responsabilizzare le aziende sul territorio che hanno i marchi più in vista per quanto concerne la loro filiera, riusciremmo già a coprire grandissima parte della contraffazione o comunque dei fenomeni di illegalità che ci sono su quel territorio.
  È ovvio che si debba evitare che il controllore e il controllato siano lo stesso soggetto. Occorre evitare che questo accada, perché ciò, ovviamente, lascia spazi sempre più ampi a quella che poi diventa la contraffazione, l'aspetto dell'illegalità che noi stiamo affrontando. La costituzione di organismi di controllo, in questo caso rappresentati da tutte le parti sociali, compresa la parte istituzionale del territorio, con un protocollo condiviso da questo punto di vista, a mio avviso, potrebbe portare già un buon risultato.
  Io penso che l'accordo che è stato fatto alla fine dell'anno scorso tra la regione e le parti sociali possa essere una buona premessa per addivenire a questi strumenti, che devono essere ultimati e finalizzati, come dicevo in precedenza. Non condividerei il tornare o ripartire daccapo e fare dei ragionamenti che – ripeto – sono già stati affrontati, secondo me, nella giusta maniera e che devono essere solo finalizzati o perfezionati.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do la parola al signor Spiller della FEMCA-CISL.

  SERGIO SPILLER, Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL. Per essere breve, senza ripetere le cose che hanno detto i colleghi, io cercherò di fare alcuni ragionamenti di carattere generale di contesto che ci possono servire per capire dove si collocano gli interventi che possono essere attivati a livello territoriale.
  Io vorrei precisare intanto che, quando noi parliamo del fenomeno della contraffazione e del lavoro illegale, parliamo di due fenomeni distinti, che in molti punti si incontrano. Bisogna, però, tener conto della distinzione che c’è fra contraffazione in quanto tale e lavoro illegale. La contraffazione interviene su alcune tipologie del ciclo del tessile e dell'abbigliamento o dei prodotti, mentre il lavoro illegale può anche essere inserito all'interno di cicli di produzione assolutamente trasparenti e alla luce del sole. Faccio questa premessa perché questo elemento ci serve in seguito.
  Ho detto, quindi, che contraffazione e lavoro illegale si incrociano. Bernardo Marasco ha fornito una descrizione, mi sembra, molto esaustiva delle filiere opache Pag. 20che si verificano nel territorio toscano e anche in altri territori del nostro Paese. Una delle caratteristiche del sistema del tessile e abbigliamento è di essere strutturato in distretti produttivi. Riprenderò poi, però, questa questione.
  La seconda osservazione che io farei, in termini generali, per capire le modalità di intervento, è che, quando noi parliamo di contraffazione, parliamo di tanti fenomeni di tipo diverso. Si tratta di averne quantomeno un'idea di massima per capire le modalità di intervento.
  C’è una contraffazione dei prodotti copiati e imitati, c’è una contraffazione che deriva da un utilizzo improprio del nome di altri, c’è una contraffazione importata di prodotti che non vengono prodotti in Italia, ma che vengono comunque venduti sui nostri mercati locali e c’è una contraffazione di carattere domestico che riguarda la produzione fatta in Italia di prodotti che hanno le caratteristiche di cui sopra e che si avvalgono anche di sistemi di organizzazione di carattere criminoso.
  Ho fatto queste distinzioni perché a ognuna di queste tipologie di contraffazione corrispondono modalità di carattere organizzativo di tipo diverso. Se nella realtà pratese o fiorentina il ragionamento è quello delle filiere opache, e la stessa cosa potrebbe avvenire nella riviera del Brenta, nella zona del napoletano c’è la costruzione assolutamente e totalmente illegale, in alcuni ambiti, dei prodotti più diversi, totalmente al di fuori di una filiera opaca, in cui ci sono elementi alla luce del sole ed elementi, invece, sommersi.
  Abbiamo delle realtà che vivono totalmente sull'opacità e sull'illegalità, che si avvalgono anche da questo punto di vista di percorsi e di rapporti con il mercato che sono di tipo diverso. È chiaro che un prodotto contraffatto e importato o un prodotto contraffatto e realizzato in Italia, che ha un circuito di distribuzione molto collegato con la criminalità organizzata, ha un rapporto diverso rispetto a una filiera di carattere opaco in cui ci sono delle aziende che operano alla luce del sole con marchi propri, dentro le quali, però, si verificano i fenomeni di opacità che descriveva il collega.
  Ho fatto queste due distinzioni per far capire che anche le modalità di intervento sono modalità di tipo diverso. Tra le esperienze che noi abbiamo ci sono le esperienze cosiddette virtuose, nelle quali abbiamo cercato di valorizzare il prodotto anche in funzione dei clienti. Penso alla tracciabilità, ai codici etici, ai marchi di trasparenza che sono stati provati e agli accordi che sono stati trovati anche sulla distribuzione della subfornitura, per garantire che tutte le fasi di produzione siano fatte in modo legale.
  C’è una terza osservazione. Anche il contrasto da un punto di vista coercitivo deve essere fatto. Sui prodotti importati o sui prodotti che sono realizzati esclusivamente in realtà di tutto nero o di tutto illegale è chiaro che c’è anche un fenomeno di contrasto.
  La terza osservazione che farei è la seguente: va quantificato e spiegato il motivo per cui, mentre il fenomeno dell'illegalità e delle filiere opache è diffuso su quasi tutto il settore, il fenomeno della contraffazione è più facile su alcuni segmenti di produzione. Si calcola che nel segmento della pelletteria il 25 per cento della produzione sia costituito da produzioni contraffatte.
  Questo è permesso perché il ciclo produttivo della pelletteria è un ciclo produttivo molto corto, mentre per fare, per esempio, l'abbigliamento, il capospalla, il ciclo è molto più lungo. Anche le scarpe, in quanto tali, hanno bisogno di una serie di passaggi che necessitano di strutture stabili e di strutture organizzate, mentre per fare una borsa bastano tre persone. Metto in risalto questa questione perché, se si vuole fare un intervento di contrasto di questi fenomeni, bisogna tenere conto di cosa c’è dietro.
  Passo all'ultima osservazione. È chiaro, quindi, che ci sono interventi di contrasto anche di tipo coercitivo, interventi di promozione, interventi di sostegno e anche di qualificazione, ma ci sono anche alcuni problemi che restano fuori. Sappiamo, per Pag. 21esempio, che l'attività della Guardia di finanza e delle dogane porta al sequestro di quantità. Una delle domande che noi abbiamo affrontato nel tempo è, per esempio, che cosa si fa della merce sequestrata. Questa era una delle questioni sulle quali noi abbiamo ragionato, che rischia di avere due problemi.
  Poiché in alcuni casi si tratta di volumi ingenti, come si fa a conservarli ? A un certo punto, che cosa ne facciamo ? Il rischio è che si inneschino di nuovo dei mercati paralleli che, pur volendo contrastare la contraffazione, in qualche modo finiscono per facilitarla.
  Noi crediamo, quindi, che ci siano tre tipologie di interventi. Una prima tipologia di intervento è il contrasto, l'azione di carattere coercitivo. La seconda è un intervento di promozione, come quello che si realizza su alcuni territori. Noi ne abbiamo degli esempi, credo, importanti in Toscana e nella Riviera del Brenta. In genere queste possibilità sono collocate quanto più i prodotti sono qualificati e di alto valore aggiunto. È più difficile fare un'operazione di valorizzazione del prodotto se è di basso valore aggiunto.
  La terza questione è una collaborazione fra tutti i soggetti che operano all'interno delle filiere, nell'interesse di tutti i soggetti e, quindi, sia del soggetto impresa, sia del soggetto Istituzione locale, sia del soggetto organizzazione sindacale che rappresenta i lavoratori. I lavoratori che vivono all'interno di queste filiere, infatti, finiscono per pagarne a loro volta le contraddizioni. Basta andare a vedere i contratti che sono applicati o non applicati e le condizioni che sono imposte.
  Chiudo osservando che la distinzione della complessità del fenomeno ci permette anche di illuminare questo fenomeno nella nostra esperienza, anche per i tentativi che abbiamo fatto.
  L'ultima osservazione è che il lavoro fatto su prodotti contraffatti o sul lavoro irregolare è un fenomeno che ha una dinamica di cambiamento molto veloce. Pertanto, bisogna tenerlo sotto controllo continuamente, perché non è detto che le soluzioni adottate oggi fra sei mesi possano andare ancora bene. Ci si affaccia su una realtà molto informale, che assume degli aspetti di cambiamento continuo. Se ci si ferma a una lettura, essa rischia di essere sorpassata in tempi molto rapidi. Questo vale sia per la lettura del fenomeno, sia per gli interventi che si vogliano attuare per tentare di limitarlo o di risolverlo.

  PRESIDENTE. Ringrazio anche il signor Spiller e chiedo alla relatrice, collega Cenni, se desidera intervenire.

  SUSANNA CENNI. Ringrazio anche i rappresentanti delle organizzazioni sindacali per il loro contributo. Siamo nella fase conclusiva del lavoro avviato con l'indagine sul caso di Prato. Si parte da Prato perché Prato è una realtà rappresentativa per il pronto moda italiano ed europeo e anche perché da ciò che si è sviluppato attorno a questa casistica – prima di voi abbiamo sentito il Presidente Rossi e abbiamo fatto il punto con lui su questa esperienza – potremmo ricavare indicazioni utili sul piano legislativo e normativo.
  Pertanto, io ho raccolto molto volentieri le vostre opinioni, che certamente riporteremo anche nella relazione che trasmetteremo nelle prossime settimane al Parlamento. È stato interessante ascoltare il riferimento ad accordi concreti stipulati con alcune grandi griffe molto rappresentative dell'economia del nostro Paese e della Toscana. Anche di questo tema avevamo avuto una prima notizia nell'inizio di questa indagine, con le componenti delle rappresentative sindacali e delle rappresentanze di impresa di quel settore.
  È chiaro che l'azione di contrasto si compone di vari aspetti, dall'azione vera e propria repressiva al sostegno virtuoso, a una serie di iniziative positive. Non riprendo tutta una serie di considerazioni che voi avete fatto e che io condivido. Mi soffermo su una domanda soltanto, che è utile anche alla formalizzazione e alla conclusione di questo lavoro.
  A vostro parere, oltre al sostegno da fornire alle iniziative virtuose che sono Pag. 22state attivate – mi riferisco alle filiere etiche, alla tracciabilità e alla trasparenza non solo del trasformatore finale, ma anche di tutto quello che c’è nella filiera della moda e del tessile – voi rilevate alcuni punti che sarebbe necessario aggredire dal punto di vista normativo ? Mi riferisco sia alla parte che riguarda i lavoratori in particolare, sia ad altri aspetti che voi avete incontrato e che riguardano le imprese.
  Un pezzo del nostro lavoro dovrà concentrarsi anche su indicazioni da fornire alla Camera su tutto quanto di positivo possiamo attivare per rendere più efficace quest'azione di contrasto alla contraffazione. Pertanto, vi chiedo se nella vostra azione sindacale voi vi siete scontrati con alcune esigenze di adeguamento delle norme.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  SERGIO SPILLER, Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL. Io direi che la domanda è molto appropriata e metterei in risalto le questioni che abbiamo. Da un punto di vista del contrasto esiste il problema fra gli strumenti che vengono messi in campo e la dimensione del problema. Prato è un caso emblematico, perché ha delle dimensioni enormi e alla luce del sole. In altre zone d'Italia il caso rischia di essere molto meno visibile, perché non è alla luce del sole, ma è altrettanto vero. Il primo problema vero è il rapporto tra la necessità di fare un'azione di contrasto e le risorse e le forze che sono messe in campo.
  I colleghi di Prato mi dicono che negli anni scorsi denunce e interventi sono stati fatti, ma che erano assolutamente superiori alle capacità delle Istituzioni di intervenire. Il primo problema, quindi, è il rapporto fra la necessità e gli strumenti che abbiamo.
  Un secondo problema che esiste oggi è anche gestire le azioni di carattere virtuoso. Un problema che vediamo noi è che agiamo troppo su marchi di riconoscimento della qualità e dell'eticità che rischiano di essere soltanto volontari. Se il problema della marchiatura d'origine non trova una normativa che sia vincolante e non soltanto volontaria, rischia di essere un'indicazione di buona volontà, ma di non riuscire a «quagliare».
  La terza questione riguarda una visione nazionale e non una visione locale, perché di sicuro, laddove ci sono i distretti, è più facile che ci siano certi comportamenti. Non sempre l'azione delle forze politiche sociali o istituzionali è omogenea in giro per l'Italia. In alcuni casi ci sono dei particolarismi che rischiano di essere importanti da un punto di vista della sensibilità, ma assolutamente inefficaci dal punto di vista dell'intervento.
  Promuovere i pizzi della Sicilia, dove il settore è minimale, rischia di essere inutile. Fanno dei pizzi bellissimi, ma l'idea del pizzo della Sicilia, se non c’è nessuno che affronta i problemi veri e nessuno mette in contatto queste professionalità che ci sono in Sicilia con i grandi produttori che adoperano nei loro prodotti un pezzo dei pizzi, rischia di essere inutile.
  A volte c’è una frattura molto forte fra la sensibilità a intervenire e le modalità. In questo senso, per esempio, se mi posso permettere, il ruolo di alcuni istituti, come le Camere di commercio, potrebbe essere un po’ più unificante, piuttosto che affidarsi a cogliere delle intuizioni che, per carità, possono essere anche giuste, ma anche molto limitate.
  Queste tre indicazioni mi sembra siano utili.

  GIANFRANCO SALVI, Funzionario della UILTEC-UIL. Aggiungo quella che, secondo me, è una buona pratica. È stato fatto anni fa nel Brenta – forse Spiller sulla data potrebbe essere più preciso – un accordo che riguarda il distretto delle calzature. Sono stati individuati dei costi minimi del prodotto, o di una fase di lavorazione, o di una lavorazione intera, rispetto ai quali, se alcune aziende applicano costi minori, è tangibile ed evidente che ci sia qualcosa che non funziona. Questo è un elemento che può permettere un intervento.Pag. 23
  Da questo punto di vista abbiamo un solo esempio. È difficile attuarne altri. A nostro avviso, la valorizzazione della contrattazione territoriale, di distretto o di filiera, può molto aiutare in questo senso, perché, fatta sul territorio, non nella singola azienda, ma su una parte di territorio importante, che fa esclusivamente determinate cose, può aiutare a individuare meglio sacche di contraffazione o comunque di illegalità.

  SERGIO SPILLER, Segretario generale aggiunto della FEMCA-CISL. L'accordo è del 2013, anche piuttosto nuovo. Tiene conto delle differenze territoriali, di quello che si sta facendo nel territorio fiorentino e della tipologia di prodotti.

  PRESIDENTE. Do la parola al signor Marasco, per chiudere.

  BERNARDO MARASCO, Segretario generale della FILCTEM-CGIL del territorio di Firenze. Velocissimamente, concordo e sarò molto sintetico. C’è un primo tema, secondo me, in cui l'elemento di controllo, gli enti pubblici di controllo, quali che siano, hanno un tema di maggiore incidenza, ossia di prevedere una possibile implementazione, ma anche un tema di sistema. Avere la visione di quale sia, nell'elemento del controllo, l'elemento di emersione che bisogna cercare prevede anche – mi esprimo in maniera un po’ impropria – che l'ente pubblico di controllo sia uno stakeholder di un processo industriale. Finalizzare l'obiettivo di qualificazione in un territorio significa, ovviamente, fare sistema e probabilmente trovare anche con il sistema sociale e con il sistema industriale le reciproche convenienze per implementare i processi. C’è, quindi, un tema di controllo, ma anche di governo dell'elemento di controllo, nell'ottica di una qualificazione industriale del sistema.
  Certo, c’è un tema anche normativo. Quando si fanno gli accordi, di solito si costruiscono delle condizioni. Per esempio, il passaggio dalla contrattazione aziendale, di cui parlavo prima, alla regione ha un elemento di vantaggio: si tratta di rafforzare il fatto che il controllato non è il controllore e che è anche un soggetto pubblico – c’è un processo che mette in capo al soggetto pubblico questa operazione – il che significa, ovviamente, che l'elemento volontaristico delle adesioni delle aziende è mantenuto, ma che, se ci sono un avanzamento e un'adesione delle aziende a questo processo, risulta essere anche un tema normativo. C’è qualcuno che ha fatto una scelta di esporsi all'elemento della illegalità e c’è qualcun altro che non l'ha fatto.
  C’è un tema da recepire in termini normativi. Bisogna capire se quello sia un elemento di trasformazione su cui ragionare davvero. Secondo me, come sempre accade, gli elementi negoziali poi danno spunto alla possibilità di vedere che cosa sia da normare in termini di trasparenza e tracciabilità. Chiaramente, se ci fosse un elemento di sviluppo legislativo, sarebbe tutto parecchio più semplice che provare a negoziare posto di lavoro per posto di lavoro le condizioni di qualificazione di quel marchio.
  L'ultima considerazione è sul tema della tariffazione. È un tema immenso. Il tema della tariffazione è complessissimo. L'operazione che è stata fatta nella Riviera del Brenta è un'operazione difficile perché, ovviamente, affrontare in termini negoziali le tariffazioni significa entrare in maniera – noi abbiamo provato a farlo – un po’ impropria nel rapporto commerciale tra due soggetti.
  Qui la contrattazione è molto debole. Può fornire delle indicazioni, può provare a spingere le imprese ad avere un comportamento, ma difficilmente noi abbiamo la forza di stabilire, tranne che in rarissimi casi, quale sia la tariffazione di un rapporto commerciale tra terzi attraverso la dinamica sindacale. Ci si prova a farlo, ma non è proprio alla nostra portata.
  Comunque è un tema molto complesso, perché anche la tariffa minima rischia, paradossalmente, in alcuni casi, di schiacciare la tariffazione in basso. Dà una garanzia, ma definisce un minimo. È un tema molto complesso, ma una riflessione Pag. 24attenta su come poter costruire le condizioni di una sostenibilità economica e sociale all'interno del subappalto rappresenta un tema centrale.
  Secondo me, chi sceglie una trasparenza chiaramente è in una condizione e, quindi, probabilmente ha un processo industriale a cui ha dato una disponibilità. Chi non l'ha scelta non ha necessariamente qualcosa da nascondere, ma questo può preludere al fatto che abbia qualcosa da nascondere. Se si agisse su questa dimensione della necessità di tener conto degli elementi di sostenibilità economica all'interno della tariffazione, questa effettivamente sarebbe una grande mano. Come sempre, però, questi sono processi che vanno costruiti d'accordo con i soggetti economici. Non si fanno forzature legislative. Si costruiscono i processi e si prova a costruire gli avanzamenti. Noi siamo ben contenti di continuare il dialogo su questo tema, perché questa è una costruzione che si fa passo per passo.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente i rappresentanti dei sindacati confederali, anche a nome della relatrice, la collega Cenni, che aveva richiesto specificamente quest'audizione e che sicuramente ne avrà tratto elementi utili. Aspettiamo il materiale che ci avete proposto. Con ciò chiudo i lavori di oggi.
  Dichiaro conclusa l'audizione. Grazie.

  La seduta termina alle 16.05.