XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 62 di Mercoledì 1 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Giacomelli Antonello (PD) , sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ... 2 
Rossi Maurizio  ... 5 
Airola Alberto  ... 6 
Verducci Francesco  ... 8 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 9 
Airola Alberto  ... 10 
Giacomelli Antonello (PD) , Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14,00.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che con tale audizione la Commissione è interessata ad acquisire elementi informativi in merito al ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola al Sottosegretario Giacomelli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  ANTONELLO GIACOMELLI, sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Abbiamo imboccato un percorso, composto di tre atti importanti. Il primo, in svolgimento al Senato della Repubblica, è la proposta del Governo per la riforma della governance della Rai.
  Le altre due tappe di questo percorso, di cui parlammo proprio qui in Commissione un po’ di tempo fa – se non sbaglio all'inizio del mandato di questo Governo – sono, da un lato, la modifica del sistema di finanziamento del servizio pubblico e, dall'altro, il rinnovo della concessione.
  Il rinnovo della concessione alla Rai scadrebbe nel prossimo anno, ma confermo l'intenzione del Governo di anticiparlo, anche per metterlo in relazione con il lavoro fatto in questa sede sul contratto di servizio, un tema di cui dovremmo parlare meglio. Infatti, aldilà del momento in cui si trova l'azienda rispetto alla concessione, la parziale applicazione del contratto di servizio può essere il passo per cominciare a delineare meglio il processo di trasformazione che, a nostro avviso, deve riguardare la Rai e che concerne il servizio pubblico. Indubbiamente c’è un cambiamento di contesto, di cui dobbiamo tener conto. Qualche giorno fa su un autorevolissimo quotidiano una personalità che certamente conosce il mondo della comunicazione, il professor Aldo Grasso, si domandava se ha ancora un senso nel mondo di oggi parlare di servizio pubblico o immaginare che il servizio pubblico abbia una funzione. La risposta che do è affermativa, naturalmente a patto che siamo capaci di ridefinire profondamente cosa intendiamo per servizio pubblico e di attualizzare il ruolo che questa funzione deve avere.Pag. 3
  Da un lato, credo che ci sia un tema che riguarda la complessità del mondo in cui siamo immersi. Inevitabilmente sono aumentate la possibilità, la capacità e la velocità con cui riceviamo una quantità enorme di informazioni, di notizie e di dati. Credo che il servizio pubblico, nel rispetto del pluralismo, soprattutto culturale prima che di altro tipo, debba essere in grado di fornire gli strumenti ai cittadini per valutare e interpretare la massa di informazioni che, su piattaforme diverse e con modalità diverse, arrivano a ciascuno.
  Il servizio pubblico dovrebbe evitare di ripetere il modello pedagogico-paternalistico del passato, fornendo laicamente a ogni persona gli strumenti per essere in grado di valutare autonomamente e consapevolmente le notizie, i fatti e le dinamiche, che spesso sembrano lontane e che tuttavia ormai, nella globalizzazione di oggi, toccano da vicino la nostra vita e hanno effetti su di essa. Se questo è il contesto generale, non c’è dubbio che dentro a questa riflessione generale che ho appena accennato, ma che meriterà un approfondimento maggiore e una definizione molto più importante, c’è anche il processo di cambiamento che è avviato.
  Da quando ne abbiamo parlato la prima volta, sono accadute alcune cose, che avevamo evocato e che riguardano la Rai.
  Parlammo proprio qui per la prima volta dell'idea di una valutazione che riguardava la tripartizione dell'informazione come sinonimo di pluralismo. Ricordo di aver definito quello schema come il frutto di accordi politici del 1975, ormai ampiamente superato da molto tempo. Mi pare che il processo avviato, che tende ad arrivare a una soluzione unitaria, sia un processo positivo di cambiamento e di riflessione sui modelli informativi, che supera l'idea di pluralismo come lottizzazione o come affidamento a editori di riferimento di pezzi del servizio pubblico, e che al contrario ritrova il pluralismo e l'attenzione a ogni voce all'interno di un percorso unitario. C’è un lavoro ancora da fare da questo punto di vista riguardo alle modalità. Ci si chiede se le modalità classiche dell'approfondimento televisivo siano oggi le più idonee. Credo che su questo l'azienda debba interrogarsi, perché noi immaginiamo che il servizio pubblico debba essere capace di stare un passo avanti nelle fasi che si determinano e di segnare una strada per altri attori, peraltro protagonisti, del mondo della comunicazione. Nello stesso tempo, Rai ha cominciato a fare i conti – penso che nelle settimane che mancano al rinnovo ci saranno ulteriori elementi di novità – con la necessità di relazionarsi con tutte le piattaforme e di immaginare un modo di fruizione dei prodotti del suo patrimonio che non sia soltanto quello tradizionale, ma che investa anche la rete e le diverse tecnologie che oggi consentono una tale fruizione.
  Ciò investe non solo un tema di tecnologia, ma anche un tema di linguaggi. Penso che Rai debba non solo sperimentare la contaminazione dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità espressive, ma anche essere un riferimento, che aiuti tutti i cittadini a entrare in questa nuova dimensione e ad acquisire questo tipo di conoscenza e di consapevolezza.
  È evidente che le modalità sono diverse rispetto a ieri. Rai ha sempre svolto una funzione quasi unificante rispetto alla dimensione della lingua italiana, che è certamente positiva rispetto all'idea di acquisizione di riferimenti culturali nazionali nel processo che abbiamo alle nostre spalle e che riguarda la nostra storia. Certamente le modalità con cui questo è avvenuto non sono ripetibili e sarebbe un gravissimo errore immaginare di ripeterle e di affrontare in modo quasi frontale, pedagogico e schematico questa esigenza, che riguarda il digital device come approccio alle nuove tecnologie, ma anche alle modalità espressive nuove, che le nuove generazioni vivono con una familiarità che manca a quelle più anziane. C’è, dunque, questo processo di trasformazione che Rai ha iniziato con passi positivi, ma che deve essere compiuto.
  Allo stesso modo, è iniziato positivamente, nonostante alcuni presagi infausti, Pag. 4il processo di dinamizzazione di Rai Way. Io ricordo le previsioni da dubbiose a catastrofiche che hanno accompagnato la quotazione di Rai Way, ma anche un suo più marcato e attivo ruolo nel mercato. Mi pare, invece, che questo processo sia stato compiuto positivamente e consenta oggi di riflettere sugli ulteriori sviluppi che devono essere compiuti.
  Certamente da questo punto di vista noi facciamo i conti con l'anomalia italiana, ma abbiamo già detto qual è la nostra bussola e qual è il nostro orientamento. Noi non abbiamo alcuna preclusione a valutare l'opportunità di processi di aggregazione. Mi pare che in termini industriali questo sia un punto non banale. Tuttavia, i soggetti che conosciamo nel mondo occidentale e che stanno in questa funzione hanno tutti la caratteristica di non essere verticalmente integrati. Di conseguenza, o autonomamente il mercato del nostro Paese recupera questo aspetto, che è garanzia di imparzialità per tutti, oppure è evidente che, come abbiamo detto in più occasioni, l'aspetto di controllo pubblico che abbiamo indicato come caratteristica di questo processo non può venir meno.
  Se su questi punti registriamo un inizio di cammino, che penso nella definizione della nuova mission per Rai possa trovare un'ulteriore e più significativa espansione, ce ne sono altri sui quali forse il cammino è da imboccare con più decisione. Penso a un processo di relazione più forte e più significativa con una dimensione internazionale. Rai non può non essere una voce che racconta l'Italia, che esprime la cultura italiana, il punto di vista e il modo di stare nella comunità internazionale. Non può non farlo con una maggiore capacità e con un maggior dispiegamento, non solo di forze, ma anche di attenzione nella programmazione.
  Credo che Rai debba parlare, non solo in inglese, ma in molte lingue del mondo. Penso al ruolo importante che la comunicazione e l'informazione possono svolgere dal punto di vista della trasmissione e dell'incontro tra le culture, sia nella dimensione del Mediterraneo sia con i nuovi protagonisti del mondo dell'est, oltre che naturalmente nella dimensione europea. Evidentemente c’è anche il tema del ruolo che Rai, a nostro avviso, deve svolgere, non semplicemente in termini di azienda, ma in termini di soggetto che, in quanto società controllata dal pubblico, ha una corresponsabilità per tutto il comparto del mondo della produzione italiana, dell'audiovisivo, della cinematografia, della produzione di format e di documentari. Credo che Rai debba essere considerata come il perno che ha il compito di promuovere la valorizzazione e il consolidamento delle realtà private che si muovono in questo mondo, affrontando il tema di una maggior capacità del nostro Paese di occupare fette del mercato internazionale. Troppi sono i prodotti il cui interesse oggi non varca le Alpi, il che non è in alcun modo un giudizio sulla qualità dei prodotti stessi. Semplicemente c’è l'esigenza di non considerare il mercato internazionale come un'inutile e un po’ fastidiosa appendice. Quello è il vero terreno su cui si gioca il confronto con altri soggetti. Alla Francia nella cinematografia e alla Spagna nella lunga serialità si aggiungono anche realtà nuove. La cultura anglosassone, quella americana in particolare, che arriva con le nuove piattaforme, è capace di produrre e di generare soggetti che hanno una forza di produzione e, dunque, una rilevanza culturale significative, ma gli stessi Paesi del Nord Europa segnano una crescita della loro presenza con prodotti innovativi. Penso che in questo settore, che è vitale per l'Italia ed è legato al modo del Paese di concepire la propria cultura, le opere d'arte del passato e quelle che segnano la dimensione attuale come un talento e una specificità dell'identità nazionale, Rai non può non essere il perno che fa girare questa macchina, più di quanto oggi accada.
  Nello stesso tempo, c’è l'esigenza di rivedere il rapporto con la dimensione locale. C’è una riflessione da fare, che riguarda il rapporto di Rai con le diverse comunità locali e con il territorio, non solo in termini di un'esigenza di razionalizzazione di forze, strutture, possibilità logistiche Pag. 5e immobiliari, che fa parte di un corretto amministrare e di una sobrietà che va certamente sempre tenuta come riferimento, ma soprattutto in termini di un ruolo positivo nella comunità locale a cui ci si rivolge. Penso che sia maturo il tempo per una riflessione sul ruolo che svolgono le emittenti locali, così come definite dal testo unico per i servizi media radio-televisivi. Penso che questo ruolo, che assicura pluralismo e informazione ed è spesso il raccordo più profondo con la dimensione locale, debba trovare una più precisa definizione di valore nell'ordinamento. Se il servizio pubblico è definito in modo unitario e autonomo, come ho detto altre volte, credo che il riconoscimento di una funzione di interesse sociale e di preminente interesse pubblico vada riconosciuta a chi svolge questo ruolo da privato dentro alla comunità locale. Dunque, insieme con la discussione che dobbiamo aprire sulla ridefinizione del servizio pubblico, non credo sia improprio che riflettiamo anche sulla definizione di questo aspetto.
  Queste mi sembrano in estrema sintesi le linee-guida di un processo di trasformazione, che non credo il Governo debba immaginare di aver l'onere di ridefinire in modo autonomo e completo. Al contrario, penso che il Governo, che lo ha fatto approvando quel documento allegato alla proposta di riforma della governance, ha il compito di aprire una riflessione che investe tutte le istituzioni e le forze politiche, ma anche il Paese nel suo complesso. Io penso che questa discussione debba vedere le voci della cultura e di una diversa articolazione della comunità confrontarsi sul senso del servizio pubblico oggi e su come quest'ultimo si inserisce in questa dimensione innovativa.
  Con questo stesso spirito, ho voluto semplicemente dare quelli che sono, a mio avviso, gli elementi portanti, rimanendo a disposizione per gli approfondimenti e i chiarimenti che i commissari intenderanno chiedere.

  MAURIZIO ROSSI. Innanzitutto mi fa piacere, presidente Fico, che la Commissione abbia deciso di iniziare questa serie di audizioni, che trovo molto opportuna nei tempi. Infatti, mentre in Commissione 8o stiamo correndo per fare la riforma della governance e del servizio pubblico, qui si può fare un ottimo lavoro, forse con i tempi giusti, che spesso non ci sono stati, visto che andiamo verso la scadenza del 6 maggio 2016. Ieri in Commissione proprio Giacomelli ha detto che, se ci fosse stato il suo predecessore, forse si sarebbe andati a gara, e che invece il Governo vuole portare avanti una posizione per assegnare nuovamente alla Rai il servizio pubblico. Tuttavia, questa è una valutazione che si deve fare per tempo e mi pare di capire che sia al di fuori del disegno di legge del Governo presentato oggi su temi specifici.
  I tempi sono maturi per ascoltare i diversi soggetti. Io ne cito uno, il presidente Pitruzzella, che ho chiesto di audire, perché già in Commissione 8o ha fatto delle osservazioni di grandissimo rilievo, tra cui quella che se un soggetto è concessionario del servizio pubblico, non significa che tutto quello che produce diventi servizio pubblico. La trovo un'affermazione fondamentale, esattamente in linea con quello che dovremmo valutare qui, ovvero cosa è definibile come servizio pubblico. Pitruzzella ha addirittura detto che, per la trasparenza dei conti, bisognerebbe valutare l'opportunità di creare due società diverse, una che gestisce il servizio pubblico ed eventualmente un'altra che gestisce altri canali. La trovo una riflessione estremamente importante, sulla quale dovremmo soffermarci. Sarà opportuno riascoltarlo.
  Mi permetto di aggiungere che mi sembra che ci siano vari soggetti che stanno arrivando sulla linea che ho portato avanti per due anni: il numero dei canali della Rai è eccessivo, tanto più in una situazione economica che – ve lo garantisco – rischia di essere veramente molto grave e drammatica, non solo per il Paese. Ci tengo a comunicare alcuni dati ai colleghi. Domani alla Camera ci sarà un convegno, organizzato dall'intergruppo per l'innovazione tecnologica, sul futuro della pubblicità. Io ho studiato un po’ di dati. Pensate che Rai, Pag. 6ad esempio, nel 2000 raccoglieva 1,5 miliardi di euro di pubblicità e nel 2014 ne raccoglieva 820 milioni di euro. Questi dati sono relativi alla pubblicità lorda. Ciò vuol dire che nel 2000 c'erano 1,2 miliardi di euro netti che finivano nelle casse della Rai e oggi ce ne sono 650 milioni. Quello che si pensa possa accadere nel mondo della pubblicità nei prossimi cinque anni è una gravissima diminuzione, anche di un ulteriore 40 per cento. Tenete conto che il calo della Rai negli anni è stato del 45,66 per cento.
  Perché parlo di questo ? Quale sarebbe il futuro della Rai e del servizio pubblico se si dovesse optare per un sistema misto pubblicità più canone ? Chiedo al sottosegretario se su questo può dirci qualcosa. Oggi il canone potrebbe essere determinato in una certa cifra, pensando che Rai incassa 600 milioni di pubblicità, ma se fra cinque anni ne incassasse 200 o 300 che cosa accadrebbe ?
  Sul discorso di Rai Way io ho la mia posizione, che ho espresso più di una volta. È chiaro che la quotazione è andata bene. Vorrei vedere se una quotazione di una società che ha un contratto per 180 milioni per 21 anni, pari a 3,7 miliardi, non andasse bene. È evidente che sarebbe andata bene. Il problema si pone adesso. Questo è un altro tema di cui, secondo me, sarebbe opportuno parlare quanto prima con il sottosegretario, perché a novembre abbiamo la convenzione a Ginevra. C’è una cosa di cui voglio informare i colleghi che riguarda il problema della cosiddetta «banda 700», cioè del numero di frequenze che verranno assegnate al Paese. Si dice che ciò avverrà nel 2020, ma non è vero, perché, da quanto mi risulta, la Francia ha già aperto i bandi per l'assegnazione con partenza nel 2017. Ciò significa che nel 2017 avremo regioni, come Liguria, Toscana e Lazio, che impatteranno sotto il profilo tecnologico su Costa Azzurra e Corsica, e tutte quelle bande dovranno essere spente. La Francia, secondo me, a novembre chiederà questo passaggio. Pertanto, ci troveremo già dal 2017 – e ovviamente dobbiamo parlarne da oggi – con un numero di frequenze enormemente minore. Bisogna capire come questo impatterà sul servizio pubblico, sul numero di frequenze di cui avrà bisogno per fare i canali di servizio pubblico e sul resto del mercato, quindi anche su Mediaset. Le soluzioni ci sono. Come sapete, sono favorevole da sempre alla chiusura totale delle frequenze alle emittenti locali, che dovrebbero fare solamente i fornitori di contenuti. Quella è la soluzione per pulire l'etere e anche il logical channel numbering (LCN).
  Le mie domande, sottosegretario, sono le seguenti. In primo luogo, come la pubblicità, secondo lei, potrebbe impattare sul servizio pubblico ?
  La seconda riguarda il numero dei canali che sarebbe giusto che la Rai, o chi lo farà, utilizzasse per il servizio pubblico. Come lei ha detto ieri, oggi non possiamo dire che verrà assegnata a una S.p.A. e poi ce ne sarà una che avrà più caratteristiche di altre.
  L'altra osservazione che le chiedo è sul discorso delle frequenze.

  ALBERTO AIROLA. Grazie, sottosegretario. Ci troviamo in mezzo a un guado in questo momento. Sicuramente è opportuno cominciare a concentrarsi su quello che deve diventare il servizio pubblico rispetto ai problemi che tutti conosciamo già adesso.
  Noi possiamo fare tutte le ipotesi che vogliamo per un servizio pubblico efficiente e sognare il servizio pubblico che vorremmo, salvo il fatto che ci troviamo con una struttura che risponde da oltre venti o trent'anni a un'altra idea di servizio pubblico e anche di governance.
  Innanzitutto, bisogna capire come riuscire a far muovere questo elefante che è la Rai verso uno snellimento e un adeguamento alle esigenze del mercato attuale e al bisogno di informazione. Sicuramente la legge proposta dal Governo non ci soddisfa, come abbiamo già detto, perché non garantisce l'indipendenza e neanche la competenza. Nel disegno di legge ho visto indicazioni molto generiche sulla competenza che dovrebbero avere dirigenti e personale del consiglio di amministrazione Pag. 7e della governance, ma anche i dirigenti apicali rispetto alla Rai. Premesso che molto probabilmente ci ritroveremo con una Rai che vedrà ancora la politica a decidere su queste figure apicali, per non riaprire un dibattito che abbiamo già avuto altrove, quello che mi preme è garantire la massima competenza. Gubitosi, così come altri prima di lui, non ha nessuna competenza in merito a quello che fa la Rai e l'ha dimostrato in questi mesi. Dirigenti di questo tipo non potranno mai svecchiare la Rai. Dovremmo trovare persone che abbiano veramente la competenza per andare in una certa direzione.
  Ad esempio, si parla molto di linguaggi. L'ho sentito dire anche da lei, e a lei lo passo perché non è una persona del settore. Si usa spesso questo termine, ma i linguaggi ci entrano poco. Quello che ci interessa sono i tipi di format. Se noi intendiamo in senso ampio e generico il termine «linguaggio», la Rai fondamentalmente ha un sistema all news che è estremamente perdente, che peraltro è previsto da molti altri, e su cui Gubitosi ha investito tantissimo. Rai News è una tv che fa pochissimo share rispetto all'investimento (sempre che lo share sia un indicatore importante) ed è il passaggio tra il modo di dare le notizie della televisione e quello di internet. Forse questo è uno dei pochi casi in cui si parla di trasformazione dei linguaggi, però di fatto si genera superficialità nell'informazione. Quello che vorremmo – penso che dovremmo tutti tendere a questo – è invece una gestione dell'informazione che sia «sul pezzo», come si dice in gergo, ma abbia anche il giusto grado di approfondimento, cosa che la Rai più volte, soprattutto viste le decisioni strategiche di Gubitosi, ha ignorato, investendo di più su questo all news.
  Sempre a proposito di una Rai vecchia, ricordo a tutti che oltre il 55 per cento degli spettatori Rai ha più di 60 anni. Ci leghiamo a prodotti poco vendibili e a personaggi che lavorano investendo sempre con le stesse società, creando, come abbiamo fatto notare più volte, gli stessi tipi di prodotti.
  Sempre nell'accezione di Rai da snellire e da rilanciare, pochi giorni fa abbiamo avuto un'audizione con Del Brocco su Rai Cinema. Quest'ultima è una società di distribuzione cinematografica, che è un indubbio appesantimento e rischia di generare dei circuiti di habitué nella produzione e nella distribuzione nella Rai. Anche questa è una cosa che forse andrebbe completamente rivista.
  Tuttavia, per fare questo ci vogliono due cose. La prima è la competenza. Noi vogliamo vedere dirigenti, scelti anche dalla politica a questo punto, visto che andremo in quella direzione, ma competenti. Vogliamo gente del mestiere, che si intende del prodotto che la Rai deve creare per fare servizio pubblico.
  La seconda cosa è un organismo di vigilanza, che presumibilmente sarà questo, che abbia potere. Noi abbiamo espresso il parere su un contratto di servizio pubblico mai entrato in funzione. All'interno di quel parere, trasversalmente votato da tutti, c'erano concetti di servizio pubblico che forse non dovremmo neanche ripetere, perché sono già formalizzati, ma giacciono in un cassetto. Lei, sottosegretario, ha già dato le motivazioni di questo ritardo, affermando che si doveva rilanciare la Rai. Tuttavia, se questa Commissione non ha potere e viene costantemente sbeffeggiata dalla dirigenza Rai – questo è stato fatto notare da tutte le forze politiche presenti in questa Commissione – non si va da nessuna parte e non avremo mai una Rai che corrisponde alla necessità di servizio pubblico che intendiamo tutti.
  Che fine ha fatto Rai International ? Doveva essere la vetrina dell'Italia all'estero, ma è sparita.
  Per quanto riguarda i canali digitali, abbiamo detto che non vogliamo un canale istituzionale, per varie ragioni, tra cui il fatto che si rischia di mandare in soffitta altre forme di informazione sulle attività parlamentari e istituzionali. Dove sono i canali di Camera e Senato sul digitale terrestre, per cui il Senato paga ? Mi sembra che paghi 0,5 milioni di euro all'anno. Va solo sul satellite.Pag. 8
  Queste sono piccole cose, che però per anni abbiamo segnalato e non sono mai andate in porto. Pensare a un servizio pubblico nuovo significa pensare a competenza e indipendenza, ma anche alla possibilità di controllo. Visto che la Rai non sarà completamente indipendente, poiché che sarà dipendente da Governo, politica, partiti, almeno ci deve essere una forma di rispetto per chi – oggi è la Commissione vigilanza, domani non lo so – dovrà dare le giuste indicazioni di indirizzo e vigilare sull'attività del servizio pubblico.
  Questo attualmente non funziona. Se noi non ripartiamo da qui, dubito che riusciremo a proiettare e a concretizzare le nostre condivisibili esigenze – presumo siano quasi di tutti – di un servizio pubblico nazionale.

  FRANCESCO VERDUCCI. Condivido che questo percorso che oggi iniziamo sia molto utile a sostenere il lavoro del Governo, in modo da focalizzare l'esigenza fondamentale di questa Commissione: arrivare a un rafforzamento e a un rilancio del servizio pubblico. Del resto, questa intenzione è molto forte nelle dichiarazioni del Governo, che qui sono state richiamate dall'intervento dell'onorevole Giacomelli. Penso che questo sia un primo punto politico importante da riaffermare. Dopo molto tempo, abbiamo un Governo che ha deciso di mettere la riforma della Rai al centro dell'agenda del Paese e di farne un pezzo fondamentale del suo rilancio. Nella condizione difficilissima che stiamo vivendo, questa riforma sarà decisiva per fare in modo di agganciare la ripresa e la crescita, evitando di essere risucchiati nel gorgo delle tante difficoltà, soprattutto economiche e sociali, che abbiamo di fronte.
  Il tema del rilancio della Rai e, quindi, del servizio pubblico, a mio avviso, si lega a tre aspetti fondamentali: l'indipendenza e l'autonomia dell'azienda; la certezza e la stabilità delle risorse; la missione e, quindi, l'identità forte e riconoscibile dell'azienda e del servizio pubblico. Questi tre aspetti tornano anche nel calendario di iniziative che qui è stato richiamato dal Sottosegretario Giacomelli, che prevede la riforma della governance, che, come sappiamo, è attualmente in discussione in Senato, la riforma del canone e la nuova concessione del servizio pubblico. Penso che, per quanto riguarda il servizio pubblico, bene abbia fatto l'onorevole Giacomelli a cominciare il suo intervento nel riaffermare la sua centralità dentro a un mondo, quello delle comunicazioni, che è soggetto a una continua rivoluzione.
  A maggior ragione in un contesto di moltiplicazione delle piattaforme e dei mezzi di condivisione, dobbiamo riaffermare la centralità del servizio pubblico, a fronte di tanti strumenti, che rischiano di essere parziali e inefficaci. Occorre riaffermare un servizio pubblico che possa centrare innanzitutto l'obiettivo della sua credibilità, della sua forza e della sua autorevolezza. Penso che, per fare questo, serva mettere a tema anche una fortissima discontinuità rispetto alle modalità con cui il servizio pubblico ha saputo mostrarsi in questi anni, per avere una nuova legittimazione. Molto spesso in questi anni il servizio pubblico ha perso presa nei confronti dell'opinione pubblica e dei cittadini. Non ci deve trarre in inganno un’audience molto alta che la Rai continua a portare a casa. Penso che ci sia un problema serio di legittimazione e che, da questo punto di vista, questo salto di qualità serva anche a riscrivere una nuova riconoscibilità sociale molto forte del servizio pubblico.
  Penso che il servizio pubblico debba servire fondamentalmente a una crescita civile e culturale. Se abbiamo detto che dobbiamo mettere da parte gli intenti pedagogici, penso però che non dobbiamo abdicare al tentativo di fare in modo che il servizio pubblico serva a una crescita civile e culturale, perché informare e intrattenere si devono legare a questo obiettivo.
  Del resto, il cuore del servizio pubblico è sicuramente l'informazione. Da questo punto di vista, la riforma dell'informazione dentro al servizio pubblico e dentro alla Rai è un tassello fondamentale, così Pag. 9come è fondamentale, ed è uno degli obiettivi della riforma in discussione in Parlamento, il passaggio dell'azienda, che più volte abbiamo richiamato, da broadcaster a media company. Vorrei sentire nel merito l'opinione dell'onorevole Giacomelli. Io penso che in questi anni ci sia stata in azienda una sottovalutazione eccessiva della centralità del prodotto, che oggi rischia quasi di essere marginale, quando invece sappiamo che un rilancio dell'azienda passa attraverso un rilancio della capacità di fare un prodotto di qualità che, come è stato detto, abbia una vocazione internazionale. In conclusione, questa discontinuità e questo salto di qualità chiamano in causa anche un maggiore legame tra la programmazione generalista che oggi abbiamo e la vita delle reti tematiche specializzate, che troppo spesso navigano su percorsi che non si intersecano. Un rilancio del servizio pubblico passa anche attraverso una nuova condivisione tra la programmazione generalista e le tante reti tematiche che sono state lanciate in questi anni e sulle quali naturalmente andrà fatta una riflessione, dentro a un rilancio strategico complessivo.

  MARIO MARAZZITI. Ringrazio il Sottosegretario Giacomelli, perché l'impostazione che ci ha descritto è del tutto condivisibile e si basa su un punto fermo: l'Italia ha bisogno di più servizio pubblico e non di meno servizio pubblico.
  Per servizio pubblico si intende quello che lei ha appena accennato e che condivido. Il pluralismo non è semplicemente il pluralismo partitico, ma è quello che abbiamo provato a descrivere nella bozza di contratto di servizio pubblico non ancora firmata: il pluralismo sociale, culturale e generazionale. Se questo pluralismo rappresentasse l'Italia, probabilmente rilegittimerebbe in maniera forte, come auspicava il senatore Verducci, il lavoro della Rai.
  In questo quadro, tipicamente italiano ed europeo, in cui il servizio pubblico è la chiave, anche dentro al mondo del mercato che caratterizza l'offerta polivalente su tutte le piattaforme di tipo audiovisivo, diverso dal modello americano e da modelli di altri continenti, credo che il tema centrale della Rai come bene comune rimanga il centro dello sforzo che ci sta davanti.
  A questo scopo, è necessario fare quanto abbiamo indicato, ad esempio la smilitarizzazione dai partiti, ma soprattutto quello che lei ha detto. C’è un problema di tempi. Dobbiamo arrivare alla riforma della governance Rai, alla modifica del canone e al rinnovo della concessione, in un quadro dove credo che sia giusto pensare alla nuova Rai del prossimo decennio.
  Forse la nuova concessione di servizio pubblico non potrà essere ventennale, perché le trasformazioni sono troppo ampie e troppo veloci, quindi potremmo ragionare su una base più breve della concessione. Tuttavia, ritengo che sia giusto investire nella Rai, che è un bene comune, cioè un asset nazionale, ed è una società di natura pubblico-privata, la quale, non a caso, ha vincoli particolari che non la metterebbero in condizioni di poter competere alla pari qualora ci fosse una gara del tutto aperta. Infatti, le altre società che concorrono non hanno quei vincoli che la Rai ha, essendo una società nata per la concessione di servizio pubblico e strutturata in tal modo.
  La mia domanda concerne i tempi. Dobbiamo evitare in tutti i modi di arrivare semplicemente a un rinnovo della governance con le vecchie regole, con le quali è molto difficile difendere i partiti da sé stessi e dal desiderio di militarizzare la Rai. Sono totalmente contrario e farò tutto ciò che posso in tal senso. Penso di avere anche degli alleati, perché ho trovato tante energie positive in Parlamento in questa direzione.
  La seconda questione concerne il problema dei tempi per la modifica del canone. È giusta l'osservazione in tal senso del senatore Rossi sullo scenario in cui la pubblicità, come fonte di finanziamento, può andare verso ulteriori contrazioni. Tuttavia, credo che nei modelli di modifica del canone che sono sul tavolo e su cui il Governo ha lavorato, così come nel mio disegno di legge che prefigurava un tipo di Pag. 10raccolta, possa esserci un margine significativo ulteriore rispetto all'attuale raccolta (1,7-1,75 miliardi di euro), attraverso una riduzione del contributo da parte delle famiglie italiane in chiave generalizzata. Questa quota aggiuntiva di raccolta può servire anche, anno dopo anno, come volano della modernizzazione del sistema al di fuori della Rai. Ho apprezzato il discorso che faceva sull'informazione locale, sul valore pubblico del lavoro delle emittenti locali private e sul ruolo della Rai come perno del sistema cinematografico, del sistema audiovisivo e dell'emittenza privata. Si tratta del superamento di un modello di competizione, a mio parere datato, dentro a una chiave: l'Italia ha bisogno di strumenti seri per garantire un servizio soprattutto a coloro che hanno poco accesso all'informazione di qualità e ad audiovisivi di qualità. Infatti, il servizio pubblico serve soprattutto a quelli che non si possono permettere tante altre cose. C’è sempre chi si può permettere di più. Per questo, dobbiamo alzare la qualità del servizio pubblico.
  Sull'Italia all'estero, penso che bisognerebbe fare uno sforzo anche da parte del Governo, perché, per internazionalizzare i programmi, vanno internazionalizzati i format, ma la Rai all'estero deve essere almeno sottotitolata nelle lingue dei Paesi fruitori, per evitare che sia semplicemente utilizzata dagli italo-parlanti affezionati a quel tipo di programma. Occorre renderla un veicolo generalizzato dell'Italia all'estero, per tutti coloro che amano l'Italia, che sono decine di volte più numerosi di quelli che effettivamente parlano l'italiano.
  Infine, le chiedo se all'interno della governance sia possibile – credo che sia possibile, visto lo sforzo che stanno facendo in Senato – arrivare a una forma più snella, anche senza l'indicazione del direttore generale da parte del Governo. Questo è stato un punto sensibile, su cui si è diviso lo schieramento politico. Nessuno vuole una Rai che non sia schiava dei partiti, ma diventi schiava del Governo. Immagino che non sia di nessun interesse nemmeno per il Governo avere una Rai così individuata. Credo che sia tecnicamente possibile trovare meccanismi di riforma della governance, in un sistema duale o non duale, per i quali la figura del direttore generale possa nascere direttamente dal consiglio d'amministrazione e possa essere poi ratificata dalla Commissione di vigilanza, in modo che non sia espressione diretta dell'esecutivo.

  ALBERTO AIROLA. Il sottosegretario ha detto una cosa importante: bisogna ampliare il dibattito. Io invito tutti (il presidente, il Governo e i colleghi), a favorire questo dibattito anche nel servizio pubblico, perché se ne sta parlando poco al di fuori.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Chiedo scusa per la brevità delle risposte, ma tra pochi minuti inizia la Commissione in Senato. Chiedo scusa anche perché gli spunti sollevati sono interessanti e necessiterebbero ciascuno un maggior confronto tra noi. Il presidente sa che su questo, ove ritenuto necessario, c’è tutta la disponibilità.
  Rossi ha richiamato la specificità del servizio pubblico italiano, che ha una doppia alimentazione dal punto di vista del finanziamento. La relazione tra il canone e la pubblicità è un elemento su cui riflettere, perché uno dei presupposti che mi pare tutti condividiamo è un'autonomia finanziaria come garanzia di un'indipendenza effettiva dal potere politico. Questo richiama la necessita di determinare la certezza di risorse: un elemento su cui riflettere anche da altri punti di vista. Abbiamo alle spalle un periodo di difficoltà economiche fortissime per il Paese, in cui nuovi soggetti sono intervenuti nel mercato pubblicitario – penso ai soggetti della rete – determinando un'erosione rispetto a quelli tradizionali.
  In periodi come questi, inevitabilmente c’è la tendenza a occupare spazi che nel sistema sono tipicamente di altri. Progressivamente l'emittenza nazionale e forse in modo particolare la Rai hanno concorso a occupare spazi e a restringerli. Quando c’è una contrazione, ovviamente il più forte Pag. 11tende a occupare gli spazi di quello più debole. Penso che l'emittenza locale e la carta stampata in questi anni abbiano fatto le spese più di altri di questo tipo di contrazione del mercato. Lo spostamento delle risorse verso nuove piattaforme e nuovi soggetti non mi pare un fenomeno in diminuzione. Questo ci interroga sia sul meccanismo di garanzia dell'indipendenza del soggetto che assicura la funzione del servizio pubblico sia sulla possibilità di mantenere un mercato capace di alimentare le voci diverse del pluralismo. È evidente che anche su questo dobbiamo fare una sorta di bilancio sociale.
  Sul tema delle frequenze relative alla banda 700, sollevato sempre dal senatore Rossi, condivido che questo argomento vada affrontato, con due consapevolezze. La prima è che non abbiamo i soggetti telefonici che premono per affrontare questo tema. Penso che il motivo sia intuibile a tutti. In questa fase di modifica e di incertezze, non sono molto interessati a nuove aste. Non c’è questa pressione del mercato. Certamente le decisioni di altri Paesi possono interferire con noi. Rispetto a ciò che diceva il senatore Rossi, condivido che c’è la possibilità di dare risposte. Per ciò che concerne la razionalizzazione dello spettro, c’è una risposta che può essere di medio termine, ma che può avere una sua indubbia efficacia nel prevenire un impatto. Naturalmente mi riferisco alla possibilità di mettere in sincrono il tempo per affrontare le conseguenze di una revisione della banda 700 con l'introduzione del T2. Invece, in termini di medio-lungo periodo, c’è la possibilità che auspichiamo, ovvero un avvento complessivo della banda ultralarga nelle sue forme più ampie, che favorisce, in tempi che colmano un ritardo storico, una comunicazione diversa da quella tradizionale.
  Al senatore Airola rispondo che su Rai News24 io sono d'accordo. Naturalmente questo meriterebbe una discussione. Penso che Rai News 24 sia un servizio che non può puntare a picchi di audience. Qualunque soggetto, anche chi nel nostro sistema lo ha sperimentato prima di Rai o ne ha fatto una cifra del suo modo di essere, sa che quel tipo di servizio in termini complessivi interessa una fascia molto ridotta, salvo i momenti drammatici o di grande impatto emozionale, in cui si desidera seguire una vicenda particolare. Tuttavia, credo che con le news room, che auspico arrivino nelle fasi successive all'unicità, il rapporto tra le risorse, gli investimenti e gli effetti complessivi che lei auspicava in quella dimensione possa trovare una maggiore risposta.
  Raccolgo, invece, la sollecitazione sul contratto di servizio del senatore Airola, non solo perché non ho alcun problema nel merito, avendo dichiarato più volte di aver apprezzato il lavoro fatto da questa Commissione, che ha consentito a noi di accedere tranquillamente a un contratto di servizio avviato da un altro Governo e con un'altra impostazione, ma anche perché in qualche modo anticipa, come lei ricordava, alcune parti significative di una trasformazione che noi giudichiamo positiva. Su questo magari rifletteremo con il Presidente Fico. Ripeto che il tema non è nel merito, ma sta esattamente in un percorso di bilanciamento tra i nuovi impegni e i nuovi oneri rispetto alla questione delle risorse in questa fase. Sulla sollecitazione sono d'accordo.
  Allo stesso modo, condivido la necessità, espressa da Verducci, di recuperare una centralità del prodotto, nel senso di dedicare un'attenzione complessiva a un nuovo piano editoriale, che è centrale nell'attività rispetto ad altre funzioni. Naturalmente oggi possiamo fare questo con più serenità, perché la gestione di Luigi Gubitosi, che è ormai alle nostre spalle, ha affrontato in modo efficace altri aspetti: penso alle questioni di inquadramento di bilancio, alla razionalizzazione della gestione e a un investimento tecnologico che non è stato banale. Come più volte abbiamo detto, pubblicamente e privatamente nei colloqui, penso che il tema, per una società come la Rai, sia l'aspetto editoriale. Non si tratta di una qualunque società che produce un qualunque prodotto. Per Rai, prima di ogni altro aspetto, c’è questa attenzione. Le cose che dicevo vanno esattamente in questa direzione. Pag. 12Trovo che sia giusto – ma ne discuteremo – che, per un'azienda che svolge la funzione di servizio pubblico, il Parlamento dia gli indirizzi a cui ispirarsi, ma dobbiamo trovare un limite. Temo molto la discussione da parte del Governo e della politica nel merito di questioni su cui, invece, occorrono le competenze che lo stesso senatore Airola richiamava.
  Sono d'accordo con Marazziti, che pone i tempi come questione cruciale. Per la riforma della governance, iniziamo a votare tra qualche minuto nella Commissione del Senato. Nei prossimi giorni, la discussione sarà in Aula e saremo in grado di valutare insieme la fase successiva. Per il canone, c’è una delega nella nostra proposta al Governo, esattamente perché la questione è piuttosto nota. Vanno valutate le diverse formule. La mia opinione è che si sarebbe potuto provare a farlo già dall'anno scorso. Credo che sia necessario agire, non solo per quella certezza di risorse di cui si parlava, ma anche perché penso che uno Stato non debba in alcun modo far mostra di tollerare un'evasione così diffusa, che fa sì che chi adempie puntualmente ai propri oneri si senta sempre un po’ sciocco rispetto a un mondo dove vengono tutelate le furbizie. Immagino che dall'autunno debba partire il dibattito oggetto della nostra riflessione odierna, cioè quello sull'attualizzazione del servizio pubblico, sul suo ruolo nella società di oggi e sulla trasformazione di Rai.
  Ripeto ancora una volta che non credo che questo dibattito debba restare dentro agli ambiti istituzionali. Naturalmente questo non presuppone che ci attiviamo per promuovere altre forme, perché le forme della comunità civile promosse dai soggetti della politica hanno sempre qualcosa di equivoco. Credo che il mondo della cultura, delle università e di quanti si sentano interessati a vario titolo, anche semplicemente in quanto cittadini (per me è un titolo sufficiente), debba promuovere tutte le forme affinché questo dibattito sia centrale nella dinamica del Paese, sfuggendo all'attenzione mediatica sulla ricerca dei nomi che andranno a occupare alcuni ruoli. Penso che la Commissione di vigilanza e le Commissioni parlamentari, nonché naturalmente, nella loro libertà, le forze politiche, possano svolgere un ruolo. Credo che più saremo capaci di svolgere tutti questo confronto in modo ampio, vero e approfondito, più ci avvicineremo alle risposte di cui c’è bisogno.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Giacomelli e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.