XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 16 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, nell'ambito dell'esame della Relazione al Parlamento 2015 (ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n.243):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 7 
Comaroli Silvana Andreina  ... 7 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 7 
Misiani Antonio (PD)  ... 8 
Cariello Francesco (M5S)  ... 9 
Fanucci Edoardo (PD)  ... 10 
Marchi Maino (PD)  ... 11 
Tabacci Bruno (PI-CD)  ... 11 
Marcon Giulio (SEL)  ... 12 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione televisiva in diretta sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione, ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, nell'ambito dell'esame della Relazione al Parlamento 2015.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, nell'ambito dell'esame della Relazione al Parlamento 2015.
  Oltre al presidente Pisauro sono presenti anche gli altri due componenti dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Chiara Goretti e Alberto Zanardi, cui porgiamo i nostri saluti.
  Do quindi la parola al presidente Pisauro.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Ringrazio i presidenti. Io seguirei nell'esposizione il documento che è in procinto di essere distribuito, consistente in un focus dell'Ufficio parlamentare di bilancio su questo tema, che sarà pubblicato sul sito Internet del medesimo Ufficio subito dopo l'audizione.
  Considerato che il motivo dell'audizione è la Relazione al Parlamento, forse è il caso di partire da quei temi, ossia dal tema dell'effetto sui conti del decreto-legge n. 65 del 2015 conseguente alla sentenza della Corte costituzionale. Si tratta, in particolare, della parte del focus da pagina 10 in poi. Sono costretto a fare un po’ di storia e a ripetere numeri che trovate nella Relazione al Parlamento.
  In conseguenza degli effetti finanziari derivanti dall'applicazione della sentenza della Corte costituzionale il Governo ha trasmesso alle Camere la Relazione al Parlamento, redatta ai sensi della norma della legge di contabilità che prevede che, in caso di scostamenti rilevanti degli andamenti di finanza pubblica – ossia tali da rendere necessari interventi correttivi – si trasmetta una relazione al Parlamento nella quale sono indicati le ragioni degli scostamenti e gli interventi correttivi che si intendono adottare. In tale quadro, il decreto-legge n. 65 del 2015 rappresenta, appunto, l'intervento correttivo.
  Nella relazione tecnica al citato decreto-legge il Governo misura, in primo luogo, gli effetti di un'applicazione integrale della sentenza, vale a dire di un integrale recupero dell'indicizzazione per il biennio 2012-2013. Al netto degli effetti fiscali, si tratterebbe di 17,6 miliardi di euro nel 2015 – di cui 4,5 strutturali, ossia permanenti, di competenza del 2015 ed il resto come arretrati degli anni precedenti – e di 4,4 miliardi nel 2016. Questo Pag. 4comporterebbe una variazione del saldo del conto delle pubbliche amministrazioni, ossia dell'indebitamento netto, che passerebbe dal 2,5 per cento del PIL previsto nel DEF di quest'anno al 3,6 per cento, ovvero ad un livello superiore alla soglia del 3 per cento.
  Il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 65 del 21 maggio scorso, riducendo gli oneri sul 2015 da 17,6 miliardi a 2,2 miliardi di euro, inclusivi degli arretrati per gli anni precedenti, vale a dire 0,13 punti percentuali di PIL. A regime l'impatto sull'indebitamento netto dovrebbe attestarsi su circa 500 milioni di euro, sempre al netto degli effetti fiscali, vale a dire su 0,03 punti percentuali di PIL.
  Come Ufficio parlamentare di bilancio, abbiamo effettuato una nostra stima dell'onere derivante dalla sentenza e dell'effetto del decreto-legge, sulla base non del conto delle teste, come ha potuto fare l'INPS, ma della distribuzione dei pensionati tra le varie classi di pensione e abbiamo ottenuto risultati molto vicini a quelli ufficiali. Da questo punto di vista, la stima del Governo ci sembra, quindi, affidabile.
  Il problema adesso è valutare gli effetti sulle regole di bilancio del decreto-legge, rinviando per tale specifica questione anche ai dati riportati nella tabella n. 5 del focus. Al riguardo, l'aspetto più importante è quello cui accennavo in precedenza: l'applicazione della sentenza e, quindi, il recupero integrale dell'indicizzazione 2012-13 avrebbe peggiorato il tendenziale di 1,1 punti percentuali di PIL, portando il livello dell'indebitamento netto tendenziale al 3,6 per cento. Questo avrebbe avuto naturalmente, come conseguenza, la redazione da parte della Commissione europea di un rapporto per la verifica dell'esistenza di un disavanzo eccessivo.
  Questo rapporto avrebbe dovuto tener conto anche del carattere di eccezionalità e transitorietà di una parte del peggioramento dei conti. Ricordo che, secondo le regole contabili – per chi fosse interessato ad approfondire tale profilo, nell'ultima pagina del focus c’è un riquadro in cui vengono riassunte le regole di contabilizzazione relative ai vari aspetti del sistema di regole fiscali europee, ossia saldo strutturale, regola del debito, regola della spesa e via elencando –, rispetto al problema del saldo annuale la contabilizzazione è integrale nel 2015, inclusi gli arretrati.
  L'effetto più preoccupante del superamento della soglia del 3 per cento nel 2015 sarebbe forse stato, tuttavia, l'impossibilità di richiedere di applicare la clausola delle riforme strutturali per il 2016. Ciò avrebbe avuto, quindi, una conseguenza anche in termini di intervento sul 2016.
  L'intervento del decreto-legge nell'insieme – come dicevo prima, con lo 0,13 per cento di PIL nel 2015 e lo 0,03 per cento negli anni successivi – consente di ricondurre l'indebitamento tendenziale a valori prossimi a quelli esposti nel DEF 2015. In particolare, il rapporto fra il disavanzo e il PIL, misurato alla precisione di un decimale – se lo prendete in termini nominali, non è esattamente lo stesso –, che è quello che conta rispetto alle regole europee, non varia rispetto al DEF per gli anni dal 2016 al 2019.
  Come vedete, la tabella n. 6 del focus riassume che cosa è successo. Siamo partiti da un tendenziale, indicato nel DEF 2015, pari a 2,5 punti percentuali di PIL. Se aggiungiamo l'impatto della sentenza, questo ci avrebbe portato al 3,6. L'effetto del decreto-legge consiste in un miglioramento rispetto all'impatto della sentenza dello 0,9 per cento, in virtù del quale arriviamo al 2,6 per cento. Quest'ultimo dato è esattamente pari al programmatico che era esposto nel DEF 2015 e che è stato confermato nella Relazione al Parlamento.
  Per gli anni successivi l'impatto del decreto-legge è quel famoso 0,03 per cento, ossia un impatto che lascia esattamente allo stesso livello, in termini di quota rispetto al PIL misurata con un decimale – lo so, il tema non è particolarmente divertente, ma è questo –, i tendenziali e, quindi, conferma il programmatico.Pag. 5
  Questo è, dunque, il quadro di insieme: obiettivi programmatici confermati e tendenziale confermato.
  Naturalmente, al di là della questione se misuriamo un decimale o due decimali, c’è un dato di fatto per gli anni successivi: il decreto-legge comporta un onere annuo di circa 500 milioni di euro. Questi 500 milioni, che non si vedono nei decimali, significano tuttavia una riduzione dei margini di manovra per nuove politiche, margini di manovra che erano costituiti dal miglioramento dei tendenziali, che era stato esposto nel DEF 2015.
  Quel miglioramento dei tendenziali, che si prevedeva di utilizzare per vari scopi, tra cui la disapplicazione delle clausole di salvaguardia, c’è ancora, ma la parte utilizzabile si riduce ovviamente di 500 milioni. Non lo si vede nei decimali, ma quei 500 milioni ci sono. Questo va detto.
  Ci sono poi effetti di contorno, per quanto importanti. Quello forse più rilevante attiene al percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine, rispetto al quale nel DEF si ipotizzava un miglioramento nel 2015 dello 0,2 per cento, dal momento che si prevedeva di passare da un tendenziale di 2,5 a un programmatico di 2,6 e di peggiorare di 0,1 il disavanzo, con il famoso «tesoretto». Si prevedeva, quindi, di utilizzare uno 0,1 per cento di PIL per nuove misure – ne riparleremo un attimo alla fine – da attuare nel corso del 2015. In un certo senso, si può dire che quel margine sia ora interamente utilizzato dal decreto-legge per il 2015. Quel margine, quindi, non c’è più.
  Tuttavia, lì si immaginava di utilizzare quel margine per nuove spese; qui quel margine viene impiegato, invece, in parte per arretrati, ossia per spese di natura una tantum. Morale della favola: alla fine, il risultato è che il miglioramento del saldo strutturale, che era dello 0,2 per cento, diventa di 0,3, ossia un miglioramento superiore allo 0,25 che si doveva realizzare secondo la regola europea, ovvero secondo l'interpretazione che la Commissione europea ne ha dato lo scorso gennaio.
  Non so se il discorso è chiaro. Si prevedeva di spendere in termini di competenza sul 2015. Si è spesa una cifra simile, ma una parte di questa spesa aggiuntiva è una tantum, perché si riferisce agli arretrati. Viene cioè scorporata dal calcolo del saldo che viene poi utilizzato per valutare il saldo strutturale e dunque il saldo strutturale migliora di più di quanto sarebbe avvenuto se si fosse speso interamente quello 0,1 in spese di competenza del 2015.
  Per quanto riguarda la regola della spesa, invece, c’è una spesa maggiore e, quindi, si spende qualcosa in più. Questo ci porta proprio ai limiti. Noi avevamo osservato nel commento al DEF 2015 che la regola della spesa non era rispettata per uno 0,4 per cento. Il limite di tolleranza era di 0,5. Eravamo, quindi, comunque all'interno del limite di tolleranza, del limite di non significatività. Qui non viene rispettata per lo 0,5 per cento. Siamo proprio al limite del limite di non significatività. Questo implica che ci sia un rischio maggiore, naturalmente. Basta poco o nulla per andare oltre quel limite di significatività. Si tratta, pertanto, di un rischio che è peggiorato rispetto al precedente quadro tracciato dal DEF.
  Confermare l'indebitamento netto nominale programmatico, come si fa nella Relazione al Parlamento, implica, invece, che continuerebbe a essere rispettata la regola del debito.
  L'ultimo punto riguardo ai conti, su cui vorrei soffermarmi un momento, è l'effetto sul bilancio dello Stato. Fino adesso abbiamo parlato di conto delle pubbliche amministrazioni e di indebitamento netto; ora parliamo dell'effetto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato.
  Il decreto-legge n. 65 stabilisce esplicitamente che resta invariato il limite massimo del saldo netto da finanziare definito dall'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015. Ricordo che quel limite massimo era fissato nella misura di 54 miliardi di euro. Per il 2015, la previsione di competenza del saldo netto da finanziare di cui alla legge di stabilità era, ovviamente, inferiore a quel limite di 54 miliardi. Per l'esattezza era di 53,6 miliardi. Naturalmente, il decreto-legge Pag. 6peggiora il saldo netto da finanziare, e lo peggiora di circa 2 miliardi, anzi di 2.180 milioni, per l'esattezza.
  Ciò porterebbe di per sé, ossia anche a prescindere da ulteriori valutazioni, il saldo netto da finanziare – partendo dai 53,6 miliardi di euro della legge di stabilità e aggiungendo questa nuova spesa – a 55,8 miliardi di euro, che rappresentano una cifra più elevata rispetto ai 54 miliardi, valutabile in una differenza, precisamente, di 1.827 milioni.
  Di questa differenza il Governo dovrebbe tener conto nell'ambito dell'assestamento, nel quale, a fianco di questa maggiore spesa, dovrebbero essere registrati gli effetti di bilancio dell'eventuale miglioramento degli andamenti tendenziali, soprattutto in relazione alla spesa per interessi – stiamo sempre ragionando rispetto all'ultima legge di stabilità – e ad altre variazioni apportate al bilancio sulla base di atti amministrativi.
  In merito, si può tentare un ragionamento di chiusura. Come si pensava nel DEF 2015 di utilizzare il famoso 0,1 per cento, ossia il «tesoretto», e di garantire contemporaneamente la copertura in termini di rispetto del limite massimo di 54 miliardi di euro del saldo netto da finanziare ? Nel DEF si diceva, cito più o meno testualmente, che «nelle more della emersione in bilancio» – finché i miglioramenti tendenziali non si vedranno, e si vedranno solo con l'assestamento – «il finanziamento di tali misure» – ossia di quelle nuove, quelle che avrebbero utilizzato il «tesoretto» – «potrà avvenire con l'utilizzo delle disponibilità di bilancio», in coerenza con gli obiettivi programmatici.
  Ciò vale a dire che vengono congelate e accantonate altre risorse del bilancio e che poi il provvedimento di assestamento potrà provvedere a reintegrare le risorse anticipate. A noi sembra che, anche tenuto conto dell'esigenza di valutare l'effettiva emersione dei miglioramenti dei conti tendenziali, un'impostazione del genere, anche in questo caso, sarebbe condivisibile e opportuna.
  Questo per quanto riguarda i conti. Permettetemi adesso di entrare un po’ nel merito degli effetti del decreto-legge. Come vedete, io ho cominciato a illustrarvi il focus da pagina 10 in poi, ma le prime nove pagine raccontano, per così dire, tutta la vicenda degli effetti della sentenza della Corte costituzionale e degli effetti del decreto-legge. Per chi fosse interessato c’è un dettaglio. Nella prima parte vengono descritti i vari meccanismi e poi c’è un dettaglio per figure tipo.
  Forse le figure tipo, cioè quelle dei pensionati immaginari, ci possono dare un'idea di quale sia il risultato. A pagina 8 trovate un grafico in cui ci sono quattro figure tipo, a partire da un soggetto che ha una pensione pari a 3,5 volte il trattamento minimo, per arrivare ad altri che ne hanno una pari, rispettivamente, a 4,5, a 5,5 e a 9,3 volte il trattamento minimo.
  Le colonnine, senza distinzione di colori, rappresentano, anno per anno, l'effetto che, in termini di importo mensile della pensione, avrebbe avuto la sentenza. La parte in colore più scuro delle colonnine rappresenta il recupero garantito dal decreto-legge. C’è quindi un'evidenza visiva di tutto il percorso che dalla sentenza è arrivato poi al decreto-legge.
  L'aspetto più interessante, tuttavia, sulla base dei dati cui accennavo prima, forniti dall'INPS, ossia delle distribuzioni per trattamenti IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) dei pensionati, concerne una valutazione di insieme degli effetti redistributivi sulle pensioni in conseguenza del decreto-legge. Una visione di insieme può essere quella che trovate nella tabella n. 3, a pagina 9. I dati in essa riportati rappresentano l'incidenza percentuale della mancata indicizzazione sulla pensione media per ciascuna di queste classi. Queste non sono figure tipo, ma sono calcoli effettuati sulla base delle distribuzioni effettive.
  In media, secondo quanto evidenziato nella tabella n. 3, per la classe di importo tra tre e quattro volte il minimo – naturalmente, quelle sotto tre volte il minimo non perdono nulla, perché non sono toccate da tutta questa vicenda – la mancata indicizzazione e, quindi, l'effetto dei decreti del 2011 ha comportato una perdita Pag. 7del 4,8 per cento della pensione. Il decreto-legge ha restituito l'1 per cento. Resta una perdita di 3,8. Per la fascia da quattro a cinque volte il minimo la perdita era del 4,9 per cento e la restituzione è nell'ordine dello 0,5, con una differenza del 4,4. Arrivando all'ultima classe, quella oltre sei volte il minimo, la perdita era di 4,5. Non essendo stato restituito nulla, la perdita rimane di 4,5.
  Come ultima visione d'insieme, interroghiamoci, di nuovo, circa gli effetti distributivi sul complesso delle pensioni. Forse la rappresentazione contenuta nella tabella n. 4 è quella che più rende l'idea di quello che è successo.
  La prima cosa da ricordare è che tutto l'intervento, tutta la questione, non tocca il 70 per cento dei pensionati. Nella prima colonna trovate i pensionati. In totale sono 14,6 milioni. Quelli fino a tre volte il minimo sono il 70 per cento. Questi non sono toccati dalla questione relativa alla deindicizzazione. I soggetti coinvolti sono 4,4 milioni. Qui trovate la distribuzione di questi 4,4 milioni.
  Nelle colonne successive trovate la distribuzione della mancata indicizzazione, i 24 miliardi di euro, la distribuzione della restituzione, i 2,8 miliardi, e naturalmente la distribuzione della perdita residua.
  Qual è il messaggio che se ne ricava con immediatezza ? Con una restituzione integrale dell'indicizzazione la classe che aveva da tre a quattro volte il trattamento minimo, ossia la classe più bassa, la classe inferiore tra quelle interessate, che contava quasi la metà dei soggetti interessati, avrebbe ricevuto il 34 per cento delle risorse complessive. Invece, con il decreto-legge riceve il 67 per cento delle risorse complessive. Naturalmente, parliamo di risorse complessive molto inferiori.
  L'ultima classe, nella quale vi era circa il 15-16 per cento della platea degli interessati, avrebbe ricevuto il 27-28 per cento, mentre con il decreto-legge non riceve nulla. Ricordando sempre che stiamo parlando di una manovra che nella prima versione avrebbe dovuto distribuire 24 miliardi di euro e che nella ipotesi del decreto-legge ne distribuisce meno di 3 – chiaramente, è qualcosa dunque di molto diverso –, notiamo che, pur prevedendo una restituzione assai parziale, nel complesso equivalente a meno del 12 per cento del totale, le risorse limitate sono concentrate sulle classi di pensionati con trattamenti più bassi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pisauro per la sua relazione e per le informazioni in essa contenute.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio il presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio per la sua relazione, ma volevo porre, in particolare, una questione che mi preoccupa moltissimo.
  Quando noi abbiamo approvato il DEF 2015, in cui si evidenziava il 2,5 anziché il 2,6 e si parlava del famoso «tesoretto», tutti coloro che abbiamo audito ci hanno sconsigliato di utilizzare questi fondi per eventuali manovre, proprio perché erano incerti. Tant’è che, infatti, nel momento in cui sono stati definiti i parametri, lo spread era a 108 punti, mentre adesso siamo già a 150. Con ogni probabilità, visto anche come si sta evolvendo, purtroppo, la questione relativa alla Grecia, tutto fa pensare che questo spread possa aumentare ancora di più.
  L'altro fattore era il prezzo del greggio. Anche a tale proposito, vedendo che cosa sta succedendo nei Paesi arabi, con il fattore ISIS, la questione è incerta.
  Alla luce di ciò, visto che quel dato era già incerto, come si può ora utilizzarlo, inserirlo e considerarlo come certo ?

  ROCCO PALESE. Faccio una domanda veramente flash, perché il professore ci ha già illustrato i dati, che sono noti. Vorrei solo segnalare una grande preoccupazione.
  Noi avevamo sollecitato da subito, anche attraverso una presa di posizione ufficiale all'interno della Commissione, la necessità che ci fosse questa nota di aggiornamento. Che sia una relazione o una nota di aggiornamento, si tratta di un Pag. 8aggiustamento che passa attraverso il Parlamento, perché così stabilisce la legge n. 196 del 2009, e non solo. Lo stabiliscono ormai tutte le procedure rispetto alla situazione dell'Unione europea.
  Al di là della quantizzazione dello strumento utilizzato dal Governo e anche delle modalità con cui il Governo ha deciso di inviare questo segnale, in maniera molto contenuta ed influenzata dalla situazione generale della finanza pubblica e del bilancio dello Stato, temo che si possa innestare una reazione a catena di ricorrenti e di aventi diritto. Alla fine si rischia, con ulteriori ricorsi, che questi 24 miliardi di euro debbano poi uscire fuori.
  L'Ufficio parlamentare di bilancio non è – me ne rendo conto – deputato a rispondere a un'eventualità del genere, ma nel contesto della finanza pubblica noi attendiamo che si faccia realmente qualche cosa in relazione alla spending review. Noi siamo in un contesto in cui, tra soggetti incaricati e commissari, ne parliamo da anni.
  Con riferimento alla spesa pubblica, per carità, i dati lei ce li ha illustrati anche nelle audizioni, insieme al Ministro, ma alla fine il debito pubblico aumenta. Ieri abbiamo avuto gli ultimi dati record. Collezioniamo record continui.
  Ora c’è questa fase congiunturale – a cui faceva riferimento prima anche la collega – del petrolio e della situazione dei tassi di interesse. Speriamo che duri, ma immagino che non sarà eterna. Si sta perdendo un'ulteriore occasione. Mi domando, quindi, se non sia il caso che, davanti a una situazione di inerzia totale del Governo nel produrre provvedimenti di contenimento reale della spesa pubblica, anche l'Ufficio parlamentare di bilancio, per le sue competenze, assuma una posizione, necessaria, dal mio punto di vista, su questo aspetto.
  L'altro elemento è se non ritiene che sulla situazione previdenziale sia il caso di fare veramente il punto e di effettuare una ricognizione complessiva. Su spesa sanitaria e previdenza non esiste decreto di finanza pubblica o legge di stabilità che continuamente non intervengano, volta per volta, a foglia di carciofo. Immagino che forse sia necessario, al di là delle valutazioni sulla riforma Fornero e di tutte le considerazioni che si ascoltano riguardo a quella riforma, con il rispetto di tutte le opinioni, concentrare l'attenzione sui vari squilibri esistenti tra contributivo e retributivo, in relazione anche alla sostenibilità del sistema.
  Oltre la metà del bilancio dello Stato va a finire in previdenza. Io mi chiedo se sia il caso che questo Paese continui a caricare sulla previdenza oltre 40 miliardi di euro di assistenza. Penso alle pensioni di invalidità civile e a tutto ciò che riguarda l'assistenza, incluso tutto ciò che concerne la legge n. 104 del 1992.
  Cerchiamo di fare chiarezza, altrimenti in Europa finiremo veramente male. Sarà difficile spiegare all'Europa e ai nuovi Paesi che sono entrati che tutta quella spesa non è per la previdenza e le pensioni, ma che il 15-16 per cento circa del PIL – non mi ricordo adesso con esattezza la cifra – riguarda 40 miliardi di euro di spesa di altra natura, sostanzialmente assistenziale.

  ANTONIO MISIANI. Volevo innanzitutto ringraziare l'Ufficio parlamentare di bilancio per aver contribuito a fare definitivamente chiarezza sull'impatto complessivo in termini di finanza pubblica della sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale.
  Noi abbiamo avuto un imbarazzante balletto di cifre nei giorni immediatamente successivi alla citata sentenza. I numeri finali, ossia quelli contenuti nella relazione tecnica al decreto-legge del Governo, così come, mi pare di capire, confermati dalla nota dell'Ufficio parlamentare di bilancio, sono pari a circa 24 miliardi di euro lordi e a 17,6 miliardi di euro al netto degli effetti fiscali, in conseguenza del recupero della mancata rivalutazione delle pensioni fino al 2015.
  Si tratta di numeri impressionanti, in termini di impatto complessivo. Forse sarebbe stato meglio che l'Avvocatura dello Stato, nel momento in cui ha difeso le ragioni dello Stato di fronte alla Corte Pag. 9costituzionale, evidenziasse da subito l'enormità dell'impatto di questa sentenza, invece di ragionare su cifre enormemente inferiori. Noi abbiamo letto di 5 miliardi di euro di impatto potenziale della sentenza.
  Mi permetto di dirlo con il massimo rispetto per l'autonomia di una delle massime istituzioni dello Stato, ma un conto è ragionare su un potenziale impatto di 5 miliardi e un altro, invece, è ragionare su un potenziale impatto di 18 miliardi, come quello che alla fine è derivato, almeno in linea teorica, dalla mera applicazione letterale della cancellazione della parte in oggetto del decreto-legge n. 201 del 2011.
  Passo al secondo elemento di valutazione. Io credo che il Governo, con l'emanazione del decreto-legge, abbia fatto l'unica scelta possibile per non compromettere il faticoso percorso di risanamento dei conti pubblici avviato dal 2010 in avanti. Noi siamo faticosamente rientrati all'interno dei parametri europei, sia in termini strutturali, sia in termini di indebitamento netto nominale.
  Io credo che la scelta di destinare 2,8 miliardi lordi – ossia 2,2 miliardi netti – al decreto-legge n. 65 del 2015, confermando i numeri del Documento di economia e finanza che abbiamo discusso poche settimane fa, sia stata una scelta corretta e condivisibile dal punto di vista politico generale, a maggior ragione in un Paese che impiega già il 16 per cento del PIL nella spesa pensionistica. Si tratta di un'entità superiore di circa tre punti alla media degli altri Paesi europei, facendo confronti omogenei. Sono confronti omogenei, infatti, quelli che emergono dai dati Eurostat, OCSE e delle altre istituzioni internazionali.
  Destinare 18 miliardi di euro per il pregresso e 4,5 miliardi permanenti a regime, rispettando letteralmente il dettato della sentenza, sarebbe stata, a mio modo di vedere, una scelta non condivisibile, tenendo conto dell'ordine di priorità che oggi nel 2015 hanno le pubbliche amministrazioni dal punto di vista dell'allocazione delle risorse pubbliche.
  Io credo, inoltre, che la tabella n. 4 del focus dell'Ufficio parlamentare di bilancio, quella che esplicita gli effetti redistributivi che sarebbero derivati dall'applicazione letterale della sentenza versus gli effetti di ordine distributivo generati dal decreto-legge n. 65 del 2015, confermi l'idea che, nella limitatezza delle risorse disponibili e data la conferma dei numeri del DEF, sia stato giusto concentrare le poche risorse disponibili sulla platea di pensioni di valore più basso tra quelle interessate dalla sentenza della Corte costituzionale.
  Come emerge dalla citata tabella, infatti, quasi il 70 per cento delle risorse disponibili è, correttamente, destinato a un parziale recupero della mancata rivalutazione delle pensioni tra tre e quattro volte il trattamento minimo. Il resto, con un ammontare molto più limitato, è destinato alle pensioni di valore più alto. Quella di privilegiare, nella platea interessata, le pensioni di valore più basso è una scelta chiara dal punto di vista politico, che io mi sento di condividere.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il presidente Pisauro per la sua relazione. Volevo argomentare in maniera tecnica, rispetto a taluni aspetti di merito di questa relazione. Il provvedimento che ha emanato il Governo ci riporta sostanzialmente al programmatico del DEF 2015. Praticamente ci riporta a un indebitamento netto del 2,6. Dalla relazione si evince qual è il nostro limite.
  Ripeto, io non sono un cultore delle regole. Per noi queste regole, peraltro, vanno un po’ riviste. Tuttavia, mi chiedo: se una regola ci permette di arrivare al 3 per cento, perché, secondo voi, il Governo non ha sfruttato tutto il plafond a disposizione per l'indebitamento netto per rispettare una sentenza dalla Corte costituzionale ? Fino a prova contraria noi dobbiamo rispettare la norma primaria del nostro Stato, che è la Costituzione. Per rispettare la sentenza, perché si è andati addirittura sotto quella soglia ? Perché non utilizzare tutto il 3 per cento, almeno per coprire gli effetti di questa sentenza ? C’è sempre quel margine che ogni anno il Pag. 10Governo mantiene fino al completamento della legge di stabilità, ma non si capisce per quale motivo.
  Soprattutto vorrei sapere quale sia e se sia stato considerato l'effetto di questo pagamento sulla domanda interna del nostro Paese, in termini di effetto positivo anche sul PIL. Vorrei sapere se sia stato valutato.
  Magari, agendo anche sullo sviluppo e sul rilancio della domanda interna, attraverso questi soldi restituiti una tantum si potrebbero rilevare anche degli effetti positivi. Vorrei sapere se tali effetti sono stati valutati, se non sono stati considerati o se si è fatto soltanto un ragionamento di tipo ragionieristico, cercando di capire se l'azione del Governo rientrasse nell'ambito delle regole europee.
  Questa è la domanda. Grazie.

  EDOARDO FANUCCI. Nell'associarmi agli apprezzamenti per la relazione e anche per l'intervento del presidente Pisauro, ritengo di dover fare una valutazione che, al tempo stesso, è anche una domanda.
  La valutazione è questa: grazie anche all'autorevolezza e alla credibilità dell'organo che voi avete l'onore e l'onere di rappresentare in questa sede, noi abbiamo una certificazione che l'operato del Governo non si discosta rispetto alla realtà. Voi ci mettete la faccia, firmate la relazione e confermate, infatti, le previsioni del Governo poste alla base del decreto-legge n. 65, che sana una decisione indipendente dal volere del Governo e va a dar forza anche ai conti dell'Italia, la quale ha sempre più bisogno di conferme e supporti, anche alla luce di quello che sta accadendo in Europa.
  Mi conforta – ritengo, anzi, che si possa dire «ci conforta» – anche la valutazione espressa nelle tabelle, documentata e spiegata con esempi chiari e semplici, devo dire anche, con tutta onestà, diversamente da quello che accade spesso in queste aule e con questo tipo di relazioni. Nella relazione vediamo, infatti, l'esempio del pensionato medio e quanto effettivamente percepirà dopo la sentenza e dopo l'intervento del decreto-legge. Sono elementi veramente concreti, che apprezziamo particolarmente.
  Alla luce di questi dati, osserviamo che si prende atto delle difficoltà del bilancio in relazione a una sentenza che ha, chiaramente, una portata retroattiva, nonché del fatto che il Governo ha destinato ai ceti meno abbienti le poche risorse che aveva a disposizione. Questa è un'ulteriore conferma e certificazione del fatto che non solo, come diceva Misiani, il decreto-legge n. 65 va nella giusta direzione, ma anche che questo è un elemento oggettivo difficilmente contestabile. Si possono fare ragionamenti di politica alta, ma qui almeno si parla di numeri, che confermano l'azione del Governo in questo senso.
  La domanda, strettamente legata all'azione di emergenza che ha esercitato il Governo col decreto-legge n. 65, però, è la seguente: non rischiamo, anche alla luce delle difficoltà che abbiamo di fare stare in piedi tutti i numeri, ulteriori e pericolosi attacchi al bilancio da parte di sentenze potenzialmente successive a quella di oggi, che hanno e avranno effetti retroattivi ? In tal caso, si creerebbe un precedente pericoloso per la tenuta dei conti pubblici.
  Se posso permettermi di rispondere in termini di valutazione al collega Cariello, che chiedeva come mai non abbiamo utilizzato tutto il margine dal 2,6 al 3 per cento, forse si è tenuto conto anche di quello che è accaduto con questa sentenza. Oggi questo accade con questa sentenza, che non era certamente prevedibile, ma un domani cosa può accadere se le sentenze per la prima volta pongono il precedente della retroattività degli effetti finanziari sulla tenuta del bilancio pubblico ? Noi non ci dobbiamo preoccupare soltanto dei fattori esterni, del costo del petrolio, del cambio euro-dollaro e dello spread; ormai dobbiamo anche guardarci in casa da quello che può accadere per effetto di sentenze della Corte.
  In altre occasioni invece – e concludo davvero, per completare la valutazione –, come nel caso della Robin Tax, c'era stata una maggiore accortezza nei confronti dei bilanci dello Stato, sancendo la non retroattività Pag. 11di quelle disposizioni. In questo caso non abbiamo registrato una simile accortezza e il Governo si è trovato a dover affrontare una situazione di emergenza. A mio avviso, l'ha fatto nel modo giusto e con il giusto piglio, riscontrato oggettivamente da questa valutazione.

  MAINO MARCHI. Anch'io esprimo l'apprezzamento per gli elementi di valutazione che ci sono stati portati dall'Ufficio parlamentare di bilancio. Riprendo alcune considerazioni di questa mattina, cercando anche di farle diventare delle domande.
  Non mi pare che il Governo abbia posto l'accento solo su un dato, cioè che con l'applicazione piena al 100 per cento della sentenza si supererebbe la soglia del 3 per cento. C’è questo elemento, ma si dice anche che non sarebbe possibile conseguire la riduzione richiesta dall'ordinamento comunitario per quanto riguarda il criterio del debito e si fa riferimento all'indebitamento netto strutturale e al fatto che non sarebbe, conseguentemente, possibile usufruire della clausola delle riforme.
  Io immagino che, anche se noi portassimo – questa era la domanda – la soglia al 3 per cento e l'utilizzassimo pienamente, staremmo dentro a uno dei criteri, ma probabilmente sforeremmo per quanto riguarda tutti gli altri, perché c’è un rapporto tra le diverse questioni.
  Aggiungo anche che non ci si può meravigliare tutti i giorni, quando c’è un aumento del debito pubblico. Il Ministro dell'economia e delle finanze ha in proposito detto una cosa molto sensata: è evidente che, poiché un po’ di deficit lo produciamo tutti gli anni, dal punto di vista complessivo il debito pubblico aumenta. Il vero problema è in che rapporto questo aumento sta con l'aumento o, in taluni casi, come già avvenuto, con la diminuzione del PIL reale, in riferimento soprattutto al PIL nominale.
  Anche per quanto riguarda gli effetti che potrebbero esserci sul PIL, credo che dovremmo valutare bene gli effetti rispetto alle tendenze al consumo delle varie categorie. In questo decreto-legge i beneficiari di questa sentenza non sono i pensionati al minimo, i quali, se si dà loro qualche euro in più, lo spendono tutto. La propensione marginale al consumo delle parti che ricevono meno dal decreto-legge e dalle decisioni del Governo è una propensione marginale e, io penso, piuttosto ridotta. Noi, invece, concentriamo le risorse su coloro che possono avere una propensione marginale superiore, ossia su quel 70 per cento che va fino a tre volte il minimo. Io credo che anche da questo punto di vista, l'orientamento del Governo abbia un senso.
  Aggiungo anche che certamente questa sentenza ci pone di fronte a una questione per quanto riguarda la spending review. Non vorrei che ci dimenticassimo che questa sulle pensioni è stata la più grande operazione di spending review che abbiamo fatto in questi anni. Siamo andati a rivedere i meccanismi che determinavano la spesa e, tra questi, anche quelli dell'indicizzazione.
  Ovviamente, se queste decisioni successivamente possono essere messe completamente in discussione, questo non è un problema da poco. Può riguardare la sanità, ma può riguardare anche altri comparti della pubblica amministrazione. Pertanto, la spending review non è la soluzione a tutto, se non avviene entro determinati crismi. Io credo che anche questo dovrà essere un elemento da valutare.
  Comunque, anche per quanto riguarda l'Europa, a me pare che, sul versante della previdenza, in ogni caso, sia per quello che abbiamo fatto, sia per l'attuazione della sentenza che ha previsto il Governo, ci presentiamo come il Paese che ha le carte maggiormente in regola e che è intervenuto maggiormente sul proprio sistema previdenziale. Non rientriamo certamente tra i Paesi che devono ancora cominciare a fare qualcosa.

  BRUNO TABACCI. Vorrei dare atto all'Ufficio parlamentare di bilancio di aver fornito una ricostruzione molto precisa, che toglie anche gran parte delle polemiche strumentali che avevamo sentito nei mesi scorsi.Pag. 12
  È un fatto che il tema della spesa previdenziale e le sue contraddizioni abbiano avuto delle risposte nel corso degli anni, a loro volta, molto contraddittorie e che questa sia una materia sulla quale siamo andati avanti per spinte, con riferimento più all'emergenza che a una visione di carattere complessivo. È evidente che bisognerebbe porvi mano, ma non nel senso di andare nella direzione opposta, perché il rischio poi è di ritornare a discutere dal giorno dopo, quando, superato il pericolo, pensiamo di esserne totalmente fuori.
  In più, il tema della collaborazione istituzionale ci fa riflettere sulle questioni legate anche alla sentenza della Corte. Penso a quella, su cui bisogna porre l'attenzione, del punto di equilibrio tra diritti, doveri e responsabilità. Essere dalla parte dei diritti è come chiedere agli italiani se si vuol bene alla mamma. Tutti vogliono bene alla mamma. Tuttavia, una volta che abbiamo detto che vogliamo bene alla mamma, non abbiamo risolto il problema.
  L'atteggiamento della Corte è diffuso. Non c’è solo dentro la Corte, ma anche nel resto del Paese e nel dibattito politico. Se noi perdiamo il punto di equilibrio – per ragioni magari elettorali ovvero per le ragioni più diverse, perché siamo pigri e non abbiamo voglia di andare in profondità nelle cose, come dimostra la vicenda greca –, allora ci facciamo del male. Se questo punto di equilibrio non si trova, ripeto, ci si fa del male.
  È evidente che il sistema previdenziale greco è molto più sperequato del nostro, così come è oggi, e su questo si appuntano, infatti, le attenzioni. Per queste ragioni non sta avvenendo in questo momento, anche di fronte alla Grexit, quello che, invece, è avvenuto a cavallo tra il 2010 e il 2011. Vedo, però, che noi siamo continuamente tormentati e torturati dall'idea di tornare indietro, come se davvero fosse possibile fare il gioco delle tre tavolette.
  Per quanto mi riguarda, lei ha fornito un contributo importante, quantomeno in termini di numeri. Si capisce che l'intervento che il Governo ha adottato era quello di ridurre il danno. Non si poteva fare diversamente. La decisione della Corte prescindeva totalmente dal quadro generale, tant’è che vi sono state addirittura delle interviste del presidente il quale ha detto che loro non sono tenuti a considerarlo e che è stato peraltro smantellato un ufficio specifico che controllava gli effetti delle loro sentenze. Mi pare che questa sia una situazione che lascia senza parole. Se il Paese è gestito così, non vedo dove possiamo andare.
  Comunque, per quel che mi riguarda, manifesto apprezzamento per la relazione svolta.

  GIULIO MARCON. Ringrazio il presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio per la sua relazione. Io vorrei ricordare che una volta il politologo Giovanni Sartori ha detto che i diritti economici e sociali non sono altro che un fondo di capitolo di bilancio. Ritengo che questa sia un'affermazione che guida anche le considerazioni legate agli effetti connessi all'applicazione della sentenza e al rispetto dei diritti dei cittadini di fronte a lesioni che hanno subìto e di cui la Corte costituzionale riconosce la gravità e l'entità. I diritti sono tali se costano poco; se sono un po’ più costosi, diventano problemi.
  Io penso che il compito del legislatore sia quello di far fronte al problema del rispetto dei diritti, anche di quelli economici e sociali, e, quindi, di contemperare i problemi legati a quanto previsto dall'articolo 81 della Costituzione con il rispetto dei diritti che vengono ripristinati attraverso le azioni legittime della Corte costituzionale.
  Mettere sotto tutela la Corte costituzionale, come qualcuno vorrebbe fare, rispetto alle scelte che la Corte fa e che sono legate al rispetto dei diritti, a me sembra un obbrobrio, dal punto di vista della filosofia istituzionale e costituzionale del nostro Paese.
  Detto questo, vorrei sottolineare che potevano esserci anche altre scelte. Io non so se voi le abbiate prese in considerazione, ma il rispetto di questa sentenza poteva essere realizzato in deficit, ossia incrementando la quota di debito del nostro Pag. 13Paese, oppure, per esempio, con altre misure, proposte non specificatamente dalle forze di opposizione, ma anche da economisti che fanno riferimento alla maggioranza di governo e che hanno un'impostazione diversa dalla nostra. Penso alla riduzione delle agevolazioni fiscali alle imprese, dalla quale si potrebbero forse recuperare un po’ di risorse per la copertura finanziaria e per la realizzazione di interventi su aspetti e problemi specifici come quelli di cui stiamo parlando.
  Io volevo rivolgere due domande specifiche al presidente Pisauro. La prima forse l'ha già fatta il collega Cariello. Vorrei sapere se avete valutato o se si può valutare l'effetto sulla crescita, sulla domanda e sui consumi della restituzione di quanto prevede la Corte costituzionale a chi è stato lesionato dalla mancata indicizzazione dei trattamenti pensionistici. Noi abbiamo fatto un sacco di romanzi sull'effetto degli 80 euro. Si potrebbe fare anche qualche romanzo sugli effetti di questa enorme somma che andrebbe restituita ai cittadini e che potrebbe essere spesa per stimolare i consumi e per alimentare nuova domanda interna. Valutiamo anche questo effetto.
  L'altra domanda è se avete preso in considerazione la sostenibilità di misure legate a una maggiore rateizzazione rispetto alla restituzione, come è stato fatto – credo – nel 1985 per un problema non analogo, ma sempre relativo agli aspetti previdenziali. Vorrei sapere se avete preso in considerazione l'ipotesi di una rateizzazione su più anni, in modo tale da non pesare sul rapporto deficit-PIL completamente nell'anno in corso, spalmando il problema su dieci o quindici anni, a seconda della scelta che si sarebbe potuta fare.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pisauro per la replica.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Molti commenti si sono concentrati sul ruolo della Corte costituzionale, aspetto sul quale non intendo replicare. Ciascuno di noi ha le sue idee personali; le mie non hanno a che fare con le funzioni dell'Ufficio parlamentare di bilancio, ragion per cui non vi annoierò condividendole.
  Forse partirei mettendo insieme le domande del deputato Cariello, della senatrice Comaroli, dello stesso onorevole Marcon e di qualcun altro che ha parlato di questo tema, tra cui anche l'onorevole Marchi.
  Partiamo dalla questione più facile. Ci sono due temi. Uno è: perché non siamo arrivati proprio fino al 3 per cento e dobbiamo mantenerci più al di sotto di tale limite ? L'altro è: perché il «tesoretto» prima era incerto e adesso è diventato utilizzabile ? Sono domande legittime.
  Con riferimento alla prima domanda, qualcuno negli interventi successivi in qualche misura la risposta l'ha già fornita. Se il mondo fosse semplice e ci fosse solo la regola del 3 per cento, lei avrebbe ragione, ma non c’è solo la regola del 3 per cento. Ormai il 3 per cento è diventato – volgarizzando un po’ – una specie di clausola di salvaguardia delle regole, ossia l'ultima regola oltre la quale non si può andare, ma il perno intorno al quale ruota il sistema di regole oggi è quello del percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine.
  Per rispettare tale percorso occorre, nella fase di ciclo in cui si trova l'Italia nel 2015, un miglioramento del saldo strutturale dello 0,25 per cento. Da ciò consegue che, per ottenere quel risultato, occorre stare sul 2,6 per cento di nominale. Questo è. Arrivare al 3 per cento ci avrebbe comunque esposto, quindi, a una violazione del percorso di avvicinamento.
  Tenete conto, inoltre, che realizzare il percorso di avvicinamento nella misura richiesta per il 2015 consente di ottenere la clausola delle riforme strutturali nel 2016 e, quindi, di non realizzare nel 2016 alcun miglioramento del saldo strutturale. Da questo punto di vista, i vari pezzi si devono tenere insieme.
  L'altra questione riguarda l'effetto sulla domanda. Devo dire che noi non l'abbiamo Pag. 14valutato, ma che è valutabile. Se la questione interessa in modo particolare, possiamo farlo.
  La prima reazione davanti a questa osservazione è che, naturalmente, ci sarebbe un effetto positivo sulla domanda aggregata. Il problema è un altro. Mettiamoci nel caso ipotetico in cui io potessi spendere questo 0,4 in più. Se io potessi spendere lo 0,4 in più, l'avrei distribuito nel modo che vi ho raccontato prima, se dovessi massimizzare l'effetto sulla domanda aggregata ? Probabilmente no, avrei dovuto fare qualcos'altro.
  È chiaro che un intervento che trasferisce denaro a una parte della popolazione si tradurrà in parte in consumi e nella situazione attuale avrà un effetto positivo sulla domanda, ma questo andrebbe poi messo a confronto con interventi alternativi, che probabilmente avrebbero un potere di impatto sulla domanda aggregata maggiore.
  Comunque, come dicevo prima, siamo in un mondo ipotetico, perché, se scegliamo di rispettare quelle regole, tale spazio non c’è.
  L'ultima parte è proprio un dettaglio su questo tema, poi vado alla domanda più interessante. Aggiungo un'ultima considerazione in risposta alle osservazioni del deputato Marcon.
  La rateizzazione non avrebbe avuto alcun effetto da questo punto di vista, perché, secondo le regole, la contabilizzazione deve avvenire in termini di competenza nell'anno in cui sorge il diritto. Anche se il Governo avesse quindi deciso di rateizzare, la rateizzazione sarebbe andata sulla competenza 2015. L'unica regola per la quale la rateizzazione sarebbe stata rilevante è quella del debito, secondo cui la contabilizzazione avviene per cassa, ma per tutto il discorso che abbiamo fatto fino adesso, ossia sul 3 per cento e sul saldo netto strutturale, la rateizzazione sarebbe stata irrilevante.
  Quanto alla questione del «tesoretto», l'Ufficio parlamentare di bilancio, quando è intervenuto in audizione sul DEF 2015, è stato – penso di poterlo dire – tra i più netti nel valutare l'eventuale utilizzo del «tesoretto» e nel consigliare una riconsiderazione del tutto in un momento in cui i conti fossero stati più stabili. Abbiamo proposto esplicitamente, perlomeno, di attendere i risultati della liquidazione delle imposte in luglio, giacché avvertivamo che c'era un'incertezza macro, che c’è sempre, nonché un'incertezza rispetto al fatto che alcuni provvedimenti avrebbero potuto non realizzarsi o che sarebbe potuto intervenire qualche fattore esogeno a vanificare e, quindi, a far svanire il «tesoretto». In un certo senso, questo è uno di quei fattori esogeni, che ha fatto svanire quell'ammontare di margine, motivo per cui quel margine viene ora utilizzato per tale finalità.
  Allora noi suggerimmo di prestare attenzione, non solo perché si doveva verificare che l'effetto sui conti si stabilizzasse e che questo margine di miglioramento effettivamente ci fosse, ma anche perché sarebbe del tutto improprio inseguire mese per mese il miglioramento o il peggioramento di un decimale di PIL del saldo.
  In questo momento, davanti a un fattore esogeno che porta a un peggioramento – abbiamo visto infatti che, per quanto lieve, un peggioramento comunque c’è – io non direi di inseguire quel fattore esogeno, ma direi, a bocce ferme, e fermo restando quello che ho detto per il bilancio dello Stato, di rivalutare in sede di assestamento, di rifare il punto sui conti e di vedere.
  Non voglio essere una Cassandra, ma potrebbero insorgere altri fattori esogeni a peggiorare ulteriormente la situazione. Questo, onestamente, non lo sappiamo. Io eviterei di rincorrere la questione episodio per episodio ed in relazione ad importi comunque relativamente modesti, sia con il segno più, sia con il segno meno.
  Questa è la risposta che mi sento di fornire, come Ufficio parlamentare di bilancio, che mi sembra coerente con la posizione che avevamo assunto in sede di audizione sul DEF.
  Sulla questione del debito, come diceva qualcuno, finché non abbiamo un surplus di bilancio né nominale, né strutturale, finché non abbiamo un surplus di bilancio Pag. 15complessivo, inclusi gli interessi, il debito aumenta. Non c’è dubbio. È una non notizia quella che ogni tanto, ogni mese, appare sui giornali in merito al nuovo record del debito pubblico in termini di miliardi di euro. Quello è. Non c’è niente da fare. Bisogna arrivare a un avanzo di bilancio.
  Se prendiamo i dati del DEF, dovreste tuttavia aver notato che si prevede, alla fine del periodo, un avanzo di bilancio nominale. Se le previsioni del DEF si realizzeranno, vedremo diminuire il debito pubblico in termini nominali. Questo, però, lo vedremo.
  Quanto alla spending review, richiamata in particolare dal deputato Palese, essa rappresenta sicuramente un tema su cui, come Ufficio parlamentare di bilancio, intendiamo lavorare, ma forse non è questa la sede per dilungarsi sulla spending review.
  Sulla previdenza devo dire – e qualcuno l'ha già evidenziato – che la riforma del 1995 è già una riforma che ha messo su un sentiero diverso la dinamica della spesa pensionistica italiana. Gli interventi successivi hanno lavorato all'interno di quel quadro. L'intervento più importante, che forse si sarebbe potuto anche anticipare, è stato quello, a un certo punto, di ridurre la durata del periodo di transizione dal vecchio al nuovo sistema.
  Da questo punto di vista, direi che c’è un riconoscimento unanime, anche a livello internazionale, circa il fatto che l'Italia, come dinamica attesa delle pensioni, rappresenti una tra le migliori pratiche, avendo realizzato interventi importanti. Tutti i discorsi di separazione tra previdenza e assistenza e tutte le questioni che abbiamo detto sono sempre nell'agenda, ma lo sono da molto tempo. Spero di non aver dimenticato nulla e di aver risposto a tutte le domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pisauro e l'intero Ufficio parlamentare di bilancio per l'audizione testé svolta, che dichiaro conclusa.

  La seduta termina alle 11.45.