XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Lunedì 11 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 2 

Audizione del Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, Giuseppe Creazzo:
Catania Mario , Presidente ... 2 
Creazzo Giuseppe , Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze ... 2 
Catania Mario , Presidente ... 4 
Creazzo Giuseppe , Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze ... 4 
Catania Mario , Presidente ... 4 
Cenni Susanna (PD)  ... 4 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 5 
Cenni Susanna (PD)  ... 6 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Creazzo Giuseppe , Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze ... 6 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 8 
Creazzo Giuseppe , Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 9 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 10 
Creazzo Giuseppe , Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze ... 10 
Catania Mario , Presidente ... 11 

Audizione del Procuratore capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato, Antonio Sangermano:
Catania Mario , Presidente ... 11 
Sangermano Antonio , Procuratore capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato ... 11 
Catania Mario , Presidente ... 14 
Gestri Lorenzo , Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato ... 14 
Catania Mario , Presidente ... 18 
Gestri Lorenzo , Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato ... 18 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Cenni Susanna (PD)  ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Sangermano Antonio , Procuratore Capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato ... 21 
Gestri Lorenzo , Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato ... 22 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 23 
Sangermano Antonio , Procuratore capo della Repubblica facente funzioni presso il Tribunale di Prato ... 23 
Catania Mario , Presidente ... 23 

ALLEGATO: Documentazione presentata dagli auditi ... 25

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 13.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, Giuseppe Creazzo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, dottor Giuseppe Creazzo, e successivamente del Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Prato, dottore Antonio Sangermano.
  Non tolgo altro tempo alla relazione del dottor Creazzo, che ringrazio sin da ora e che invito a illustrarci nei modi e con i contenuti che riterrà tutta la sua esperienza e le sue valutazioni in merito alla tematica della contraffazione.

  GIUSEPPE CREAZZO, Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze. Innanzitutto, ringrazio per questa convocazione che spero possa essere utile ai lavori di una così importante Commissione d'inchiesta.
  Effettivamente, sono stato nominato procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze nel giugno scorso, quindi da meno di un anno. Il fenomeno della contraffazione in generale, con particolare riguardo al settore della moda tessile e non soltanto, è molto più acuto in Toscana, come notorio, rispetto alle zone di mia provenienza. Ho sempre lavorato soprattutto in Calabria, ma anche in Sicilia.
  La fenomenologia in Toscana riguarda soprattutto la contraffazione delle più importanti griffe, ormai imitate in larga scala non soltanto con merce che proviene dall'estero, ma con artigiani in sede locale. Viene molto spesso curata, come credo sia già emerso, ma lo è sicuramente in molteplici indagini e successivi processi celebrati nel corso degli ultimi anni, da soggetti di nazionalità cinese.
  Negli ultimi anni, l'attività giudiziaria nel settore si è abbastanza incrementata. Ho con me le statistiche degli ultimi tre anni e, con riferimento ai procedimenti che riguardano la Direzione distrettuale antimafia, che cioè comprendono anche l'imputazione di associazione per delinquere finalizzata al commercio di merce contraffatta, sono passati dall'unico procedimento di competenza DDA del 2012 ai quattro del 2013 e ai sei del 2014. Posso dire che già nel primo semestre del 2015 siamo a tre procedimenti, tutti ancora in fase di indagine.
  Per quanto riguarda l'ordinario, nel 2012 vi sono stati 138 procedimenti contro noti, nell'ambito dei quali 103 hanno riguardato anche il sequestro della merce, e 192 contro ignoti, tutti iscritti a seguito del sequestro di merce contraffatta.
  Nel 2013, abbiamo rispettivamente 139 procedimenti contro noti e 225 contro Pag. 3ignoti sempre per reati di competenza della procura ordinaria; nel 2014, 161 contro noti e 242 contro ignoti. Come si vede, c’è un trend di aumento dei casi di procedimenti per reati relativi alla contraffazione.
  Questo significa che, probabilmente, anziché il fenomeno, è aumentata, a mio modesto avviso, la repressione del fenomeno stesso. La quasi totalità di questi procedimenti, specialmente per quelli riguardanti la DDA, la polizia giudiziaria che opera è quella di elezione per questo tipo di settore, cioè la Guardia di finanza. In alcuni casi è stata rilevata anche la presenza di criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore di affari molto redditizio legato alla distribuzione di prodotti contraffatti.
  Uno dei procedimenti riguarda l'infiltrazione di alcuni soggetti legati alla ’ndrangheta, e precisamente la cosca Mancuso di Limbadi, un paese in provincia di Vibo Valentia, una delle cosche mafiose più agguerrite. Si tratta di soggetti ’ndranghetisti che operavano nell'aretino. L'attività illecita è consistita nell'introduzione nel territorio nazionale e nella commercializzazione su vasta scala di capi di abbigliamento e calzature con marchi contraffatti. In questo caso si trattava di merce proveniente da laboratori clandestini turchi e che veniva esportata verso la Germania, da dove entrava nel territorio nazionale.
  Sequestri di merce nell'ambito di queste indagini sono stati effettuati non solo in Toscana, ma anche in Lombardia, Veneto, Sicilia, Calabria ed Emilia-Romagna. Il traffico sicuramente si sviluppava anche all'estero. Sono stati indagati un soggetto toscano, due soggetti di nazionalità turca e, appunto, due calabresi, Comito Gaetano e Fiumara Danilo, entrambi legati direttamente o indirettamente alla cosca dei Mancuso.
  Durante le indagini sono emersi collegamenti con il noto clan campano dei Mazzarella. Una parte degli atti è stata, quindi, inviata all'autorità giudiziaria di Napoli, che ha sviluppato a sua volta le indagini. In primo grado i due calabresi sono stati condannati dal tribunale di Firenze con sentenza recente, di quest'anno. I due soggetti turchi sono irreperibili, mentre il toscano, Billi Giuliano, ha patteggiato la pena.
  Altri procedimenti importanti di competenza della DDA sono stati quelli relativi a un traffico che partiva da Campi Bisenzio, dove è stato scoperto un centro di produzione di borse e pellami pregiati, in particolare di coccodrillo, con il marchio falso Hermès, prodotti che venivano assemblati in un laboratorio e spediti all'estero, anche in Russia. Anche in questo caso sono state applicate misure cautelari personali e reali, sequestrati tutti i beni aziendali e le quote societarie. Il processo si è svolto con giudizio immediato innanzi al tribunale di Firenze e i due principali imputati, tale Covelli e la sua compagna, che gestivano il traffico, sono stati condannati.
  Vi sono poi anche delle altre indagini tuttora in corso, che riguardano in particolare una proiezione internazionale del traffico con collegamenti anche oltre oceano. Quest'indagine sta facendo venire alla luce un collegamento tra momenti di produzione dei prodotti, luoghi di produzione in Italia e in Tunisia, una rete di commercializzazione del prodotto, una logistica dei trasporti della materia prima del prodotto contraffatto finito e i rapporti sia in Italia sia all'estero dei nostri indagati con gli acquirenti esteri. Mi consentirete su questo di non essere più dettagliato perché ci sono indagini in corso, ma siamo ancora agli inizi.
  Ulteriori procedimenti hanno consentito di stroncare altri traffici sempre in ambito DDA condotti negli ultimi anni e nell'ambito dei quali sono state sempre sequestrate decine di migliaia di capi di merce contraffatta.
  Per parlare soltanto di un procedimento, c’è stata un'associazione gestita da soggetti di nazionalità cinese. Le indagini hanno consentito di accertare che erano stati organizzati più laboratori di produzione di merce, che veniva poi commerciata prevalentemente da extracomunitari senegalesi. I cinesi si occupavano, cioè, Pag. 4della produzione, mentre della distribuzione al dettaglio si occupavano soggetti extracomunitari senegalesi.
  In Sesto Fiorentino sono stati colti alcuni cinesi nel possesso di 60 rotoli di pelle, cuoio o stoffa, di 1.232 ritagli di valutazione, di 700 accessori metallici, di 270 borse semilavorate, di 121 borse finite e di 52 etichette metalliche recanti il marchio Louis Vuitton. Successivamente, a distanza di mesi, sono stati sequestrati in Argelato 16.000 portafogli, scarpe e borse recanti marchi contraffatti – stiamo parlando sempre della stessa indagine – Adidas, Nike, Hogan, Gucci, Prada, Fendi, Louis Vuitton, 23.765 borse recanti il marchio contraffatto Louis Vuitton e così via. Vi risparmio la più completa e dettagliata lettura per dirvi che il fenomeno spesso consente di arrivare al momento della produzione e anche della distribuzione.
  Presidente, se potessimo segretare un attimo la seduta, potrei anche fornirvi dei dettagli.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovideo.

  (L'audizione prosegue in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovideo.

  (L'audizione prosegue in seduta pubblica).

  GIUSEPPE CREAZZO, Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze. Un'importante indagine in materia di trasferimento di denaro e di evasione fiscale, legata al mondo degli operatori soprattutto di nazionalità cinese, è stata condotta dalla procura distrettuale antimafia di Firenze tra il 2010 e il 2011 con la Guardia di finanza. L'inchiesta ha consentito di accertare che, attraverso la parcellizzazione delle rimesse col sistema del sotto soglia per evitare accertamenti di carattere fiscale, o comunque segnalazioni di operazioni, era stato trasferito nel complesso in appena tre o quattro anni qualche miliardo di dollari attraverso decine e forse centinaia di aziende cinesi.
  Soprattutto a fini di evasione fiscale, questi soldi venivano fatti confluire verso la Cina con il sistema del money transfer con trasferimenti ordinati da soggetti compiacenti, (parenti, amici o persone fiduciarie) in maniera da evitare la possibilità di essere individuati. Ripeto che è stato accertato un flusso di denaro notevolissimo. Ci sono stati dei sequestri e sono ancora in corso i procedimenti relativi alle misure patrimoniali richieste dai vari tribunali, soprattutto di Firenze e di Prato ma non solo, nei confronti dei soggetti indagati, che era stato dimostrato appunto vivessero con proventi illeciti.
  Anche in questo caso, le fortune sono state alterne. Alcuni di questi procedimenti si sono conclusi con l'accoglimento, ma altri con il rigetto della richiesta di confisca dei beni. Si trattava, ovviamente, di beni da confiscare il cui complessivo valore non era minimamente paragonabile al complesso delle somme illecitamente trasferite. Stiamo parlando, se non ricordo male, di un ammontare di 180 milioni di euro a fronte di miliardi di dollari, e quindi di euro, trasferiti nel corso degli anni. Ripeto che queste misure di prevenzione non hanno in alcuni casi trovato d'accordo i giudici competenti sulle misure da decidere in relazione alla prevenzione. Probabilmente, bisognerà fare di più per portare maggiori indizi all'attenzione dei giudici.
  Sul piano dell'azione giudiziaria, è più o meno questo il panorama che riguarda l'attività della procura distrettuale di Firenze.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Anzitutto, la ringrazio per l'audizione e per il tempo che ci sta dedicando, perché ritengo che il suo sia un contributo prezioso per il lavoro d'indagine che stiamo svolgendo e che parte da Prato.Pag. 5
  Quella di Prato non è solo un'indagine della Commissione sul caso territoriale, ma sul sistema che sappiamo essere rappresentativo di un movimento che riguarda tutto il Paese e buona parte dell'Europa. Da lì si snoda una serie di contatti, partono quantitativi di materiale, di tessuti e così via. Giudico molto utili, quindi, anche le cose che ci sta dicendo questa mattina.
  Le rivolgo qualche domanda che viene in parte dalle cose che ci ha esposto finora, in parte dalle audizioni che abbiamo svolto alcuni mesi fa a Prato, alle quali ha già partecipato anche il suo collega Sangermano. La cosa interessante, almeno a mio parere, di quella giornata di audizioni è stata la rappresentazione che ci hanno fatto le istituzioni locali, il prefetto e il questore anche alla luce di quest'esperienza di coordinamento territoriale che si è costituita sul fenomeno contraffazione.
  Da parte di questi soggetti ci è stata evidenziata in quella sede la difficoltà a procedere in alcuni casi, in parte per l'interpretazione delle norme che esistono. Mi riferisco non soltanto al codice penale, ma anche alla consuetudine dal punto di vista amministrativo. Il presidente della camera di commercio ci diceva, ad esempio, che questa non opera controlli preventivi sull'apertura delle attività commerciali, per cui è accaduto e accade in virtù di questi limiti che possono aprire attività commerciali anche persone che hanno dei procedimenti a carico o che comunque hanno riportato condanne precedentemente.
  Lo dico anche alla luce di quello che ci ha illustrato oggi e delle connessioni che avete rilevato durante alcune vicende tra l'attività di contraffazione e la criminalità organizzata. Ancora, penso a ciò di cui il suo collega Sangermano ci ha parlato a Prato, e cioè dei limiti che esistono nel poter utilizzare alcuni strumenti, come quello delle intercettazioni, quando non è palese l'esistenza di forme di criminalità organizzata, quando si aggredisce il caso che magari riguarda un soggetto, un'impresa e non è immediatamente percepibile tutto il resto. Le chiederei un contributo anche per provare a individuare quali possano essere gli snodi su cui intervenire per superare questi limiti, ripeto anche alla luce di un'esperienza che comunque si sta rivelando positiva, quella di Prato.
  All'altra domanda in parte ha già risposto, rispetto all'evoluzione numerica dei fenomeni, dei provvedimenti e dei processi. Ha detto che, a suo parere, è cresciuta l'attività di repressione: può approfondire ulteriormente ? Anche ascoltando il Ministro Guidi all'inizio delle attività di questa Commissione abbiamo sentito rappresentare, ma non solo dal ministro, bensì anche da chi sta approfondendo il fenomeno a livello scientifico, che comunque c’è una stima di crescita ulteriore del fenomeno stesso a livello globale.
  A suo parere, che cosa dobbiamo fare per attrezzarci ? Ovviamente, ci sarà una dimensione che riguarda il codice, le pene, le sanzioni e così via; se, però, non riusciamo a intervenire in maniera efficace nella prevenzione e nel contrasto in una fase antecedente, probabilmente non svolgeremo nemmeno pienamente, noi come Commissione, il nostro compito di approfondimento e di predisposizione di materiali utili per il legislatore o per il decisore, quindi per il Governo.
  Quanto all'intervento della criminalità organizzata, la ritiene una possibilità ricorrente o un caso ? Molto spesso sentiamo anche autorevoli esperti citare questa presenza nel contesto dell'attività di contraffazione come una sorta di riorganizzazione dell'attività economica della criminalità organizzata, della mafia, della ’ndrangheta e così via. Mi interesserebbe la sua valutazione.
  Infine, nella parte conclusiva del suo contributo ha detto che in alcuni casi occorre uno sforzo per riuscire a portare maggiori indizi, e quindi ad avere una conclusione dei processi di natura diversa: che cosa intende esattamente ? Mi fermo qui e la ringrazio per ora.

  FILIPPO GALLINELLA. Innanzitutto, la ringrazio anche per averci illustrato una Pag. 6battaglia che sicuramente porta via molto tempo.
  Ricollegandomi alla domanda della collega Cenni, dal punto di vista della sua esperienza, che può allargare la sua relazione, nella sua battaglia quali sono gli articoli del codice penale che utilizza frequentemente o quali quelli – ci stiamo già lavorando – che magari necessitano di un aggiornamento ? È chiaro che gli strumenti che ha in mano sono nell'applicazione della normativa.
  Al di là del fatto che sia tutto giusto nell'attività repressiva, forse bisogna lavorare su altri settori e a me interessa proprio individuare gli strumenti normativi che sta adottando e quali sono quelli che necessitano di qualche correzione. Che sia per la prescrizione o per una cattiva interpretazione, alla fine del procedimento sono tutti assolti o appunto prescritti.

  SUSANNA CENNI. Un altro tema ricorrente, che ogni tanto si trova forse più nelle interpretazioni giornalistiche che negli interventi delle persone che si occupano del fenomeno, riguarda le grandi firme. Qualcuno molto spesso tende a rappresentare l'assenza di una battaglia delle grandi firme nei confronti del fenomeno contraffazione.
  Per le esperienze che abbiamo avuto, almeno di alcune imprese di grande qualità di Prato, a me pare che si stiano molto attrezzando o con microchip o con marchi anche molto innovativi. Lei ha parlato di Hermès, di Louis Vuitton, quindi di grandi case di moda famose in tutto il mondo, vorrei conoscere la sua opinione da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Do la parola al procuratore Creazzo per la replica.

  GIUSEPPE CREAZZO, Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze. Cercherò di rispondere in maniera il più possibile mi auguro soddisfacente.
  Pur nella tragicità degli avvenimenti che l'hanno generata, l'esperienza di Prato ha fatto sicuramente crescere in consapevolezza relativamente al fenomeno in generale e anche alle condizioni in cui in alcuni casi sono costretti i singoli lavoratori. Anche la procura di Firenze sotto l'egida della procura generale partecipa a questo progetto. Nel circondario di Firenze, oltre che in quello di Prato, dove pure sono presenti numerosi insediamenti produttivi, sono aumentati di molto i controlli, la procura si è giovata di una serie di elementi mandati dalla regione, come sapete, nell'ambito del patto territoriale. Certamente, è stato fatto parecchio in termini di controllo, di prevenzione e di repressione.
  Si è assistito anche a uno sforzo maggiore di coordinamento tra tutti gli attori istituzionali e grande parte è stata effettuata dalle prefetture e dalle Forze dell'ordine. L'autorità giudiziaria, la procura della Repubblica, è organo esclusivamente repressivo e per suo compito istituzionale, come sappiamo, interviene dopo e non prima. Nondimeno, ritengo che la sinergia che si è instaurata abbia prodotto buoni risultati e altri potrà produrne nel futuro continuando, anzi aumentando l'impegno.
  Per quanto riguarda il mio pensiero – così credo di poter rispondere a entrambi i commissari che mi hanno interrogato – sull'idoneità delle norme del sistema processual-penalistico per il contrasto alla contraffazione, dico che quelle incriminatrici ci sono e a mio avviso sono sufficienti. Probabilmente, vanno coordinate le norme incriminatrici del capo VII con quelle del capo VIII, forse si può ripensare l'intera materia, ma questa è appunto materia del legislatore ed è un campo che non voglio invadere perché implica scelte e valutazioni di tipo politico.
  Dal punto di vista più vicino alla concreta azione giudiziaria, probabilmente se la scelta è quella di allargare la possibilità di applicare la disciplina delle intercettazioni, si può farlo senza aumentare i limiti edittali dei singoli reati. Ricordo a me stesso che per i reati di contraffazione aggravati dall'attività organizzata, 474-ter, le intercettazioni sono possibili perché per Pag. 7questi reati così aggravati abbiamo una pena che va fino a sei anni, e quindi siamo sopra i limiti.
  Per l'associazione per delinquere, quando c’è, si può fare. Se, però, si vuole colpire maggiormente il fenomeno anche con lo strumento delle intercettazioni, partendo dal singolo detentore di pochi articoli di merce contraffatta, per capire a chi si rivolga, dove vada e risalire dal singolo reato spia a reati più importanti, mi permetto di suggerire che basta inserire queste norme di legge nell'ambito della previsione della norma principale in materia di intercettazione telefonica, articolo 266 del codice di procedura penale.
  L'articolo prevede sia i limiti di pena oltre i quali non si possono fare intercettazioni sia le deroghe a questi limiti. Possiamo, per esempio, effettuare le intercettazioni nel caso di minacce o molestie per mezzo del telefono, reati nani. Addirittura, il reato di molestia è punito con una pena molto bassa. Nondimeno, ovviamente per scoprire chi molesta per telefono occorre intercettare. La legge opportunamente prevede da sempre la possibilità di fare le intercettazioni. Senza toccare la pena, quindi, si può inserire.
  L'esperienza dimostra che, per ottenere un effetto processuale, probabilmente non è sempre opportuno aumentare in maniera eccessiva le pene. La tendenza in questi ultimi anni è stata, purtroppo, questa, ma la dosimetria della pena, come si dice con una cacofonia forense, è frutto di scelte politiche in materia criminale, che riguardano cioè quanto sia giusto punire il reato e da quanto a quanto. Certamente, non dovrebbe essere condizionata dalla necessità di avere effetti processuali, che si possono ottenere in maniera diversa. Questo è il mio parere.
  Allo stesso modo, presidente, mi permetto di dire alla Commissione che è mio modesto avviso che il fatto che l'associazione per delinquere finalizzata al commercio o alla contraffazione dei marchi sia stata inserita tra le materie di competenza della Direzione distrettuale antimafia non va considerata come la migliore scelta possibile.
  Fermo restando che tutte le volte che ci sono associazioni mafiose che si occupano di commerciare, importare o distribuire prodotti contraffatti, ovviamente la competenza è e rimane delle Direzioni distrettuali antimafia, l'allargamento delle competenze della DDA a reati sia pure associativi come questi comporta una difficoltà all'interno degli uffici.
  La procura distrettuale di Firenze si compone di soli quattro magistrati addetti alla Direzione distrettuale antimafia. Tutte le volte in cui emerga un'associazione di questo tipo dedita alla contraffazione, ovviamente anche nell'ambito di indagini ordinarie, svolte cioè da altri sostituti procuratori dello stesso ufficio, questo procedimento deve passare a uno dei sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia.
  Per una circolare organizzativa emanata dal Consiglio superiore della Magistratura non è possibile, salvo casi eccezionali, far occupare di indagini DDA un altro sostituto dello stesso ufficio che non appartenga alla DDA. Questo comporta all'interno delle procure distrettuali una certa difficoltà e una certa rigidità, che non ci sarebbe se, pur rimanendo di competenza distrettuale, l'associazione per delinquere finalizzata alle contraffazioni non appartenesse alla competenza della DDA.
  Per intenderci, se questo reato fosse espunto dal 51, comma 3-bis, e trasferito un po’ più in giù nell'ambito dello stesso articolo, dove si parla di pedopornografia, di reati commessi tramite internet, cioè di frode telematica e così via, pure per quelli attribuiti alla competenza distrettuale, ma non della Distrettuale antimafia, la procura di Firenze disporrebbe di 27 sostituti anziché di 4. Si potrebbe contrastare il fenomeno con risorse, magistrati, ma non solo, più ampie.
  Si sgraverebbe la DDA e, probabilmente, il sostituto dell'ordinaria potrebbe profondere un'attenzione maggiore rispetto a quelli della DDA, che contemporaneamente devono occuparsi di reati di mafia, di grandi traffici di stupefacenti, di riduzione in schiavitù e altro. Naturalmente, Pag. 8non c’è una gerarchia di gravità, ma ce n’è una di pericolosità sociale. I reati contro le cosche di mafia devono rimanere al primo posto nell'attenzione degli operatori. Si allargherebbe, quindi, e di molto, modificando la norma processuale, la possibilità di contrastare il fenomeno.
  Con riferimento ai rapporti con le procure circondariali, la cosa è diversa perché, se rimanesse in ambito DDA, quando la procura circondariale di Grosseto o di Prato si accorgono che c’è anche un'associazione per delinquere, è possibile continuare a collaborare e applicare il sostituto di Prato, di Grosseto o di Lucca alla Direzione distrettuale antimafia di Firenze per continuare le indagini anche in ambito DDA. La circolare del Consiglio superiore di cui ho parlato non vale, infatti, per le applicazioni dei sostituti che non appartengono agli uffici. Spero di non essere eccessivamente tecnico, ma non so come esprimermi in maniera più comprensibile.
  Sostanzialmente, forse l'attribuzione alla DDA comporta limiti di rigidità interna e minore possibilità di distribuire le indagini tra un numero maggiore di sostituti e una gerarchizzazione delle priorità – mi si consenta – nella trattazione, che sarebbe diversa se fosse in ambito ordinario. Ovviamente, parlo in termini esclusivamente pratici.

  FILIPPO GALLINELLA. Se ho capito bene – lei l'ha spiegato, ma spero di averlo recepito in maniera corretta – la lotta alla contraffazione nella sua ottica deve essere divisa tra le direzioni distrettuali e centrali: in caso di associazione a delinquere di stampo criminale, si deve rimanere alla direzione centrale; se la contraffazione interessa pochi soggetti, si deve rimanere alla gestione delle procure distrettuali per non intasare cosa ? Non ho capito bene questo passaggio.

  GIUSEPPE CREAZZO, Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze. Chiedo scusa. Probabilmente, sono stato io a essere poco chiaro perché parlo con linguaggio tecnico. Il mio era un discorso di carattere generale poiché la Commissione mi ha chiesto anche di dare un'opinione sulle possibili modifiche legislative. Personalmente, toglierei dalla competenza delle Direzioni distrettuali antimafia la materia delle associazioni dedite alla contraffazione, come oggi è.
  Parliamoci chiaro. Se in questo momento c’è un'associazione per delinquere alla contraffazione a Grosseto, deve occuparsene la procura distrettuale antimafia di Firenze. Con la modifica che proporrei, ma credo di non essere l'unico, la procura di Firenze accetterebbe ugualmente in sé questa competenza, ma non l'articolazione speciale della Direzione distrettuale antimafia. La procura di Firenze si occuperebbe dell'associazione con tutti i suoi componenti, mentre in questo momento ho solo quattro magistrati da dedicare a tutta la materia antimafia e antiterrorismo.
  Di tutto quello che entra nel comma 3-bis dell'articolo 51 possono occuparsi in Toscana solo quattro magistrati. A Roma saranno dieci, non so quanti a Milano, ma sempre una parte; questo limita la possibilità di risposta e all'interno della sfera d'azione di una Direzione distrettuale antimafia probabilmente può anche essere una risposta che comunque va coordinata con altre che la DDA è chiamata a dare. È un fatto molto tecnico, ma esiste questa differenza tra competenza distrettuale «semplice» e competenza distrettuale DDA, che sul piano pratico comporta molte conseguenze.
  L'onorevole Cenni mi chiedeva se avessi una mia ipotesi relativa al fatto che ho detto che è cresciuta l'attività di repressione e probabilmente non il fenomeno. Ovviamente, parlo del territorio della Toscana, dove credo che questo tipo di attività strutturate e consolidate – è una mia presunzione – risalga già a più di qualche anno fa. Certo, il fatto che adesso siano effettuati più sequestri e celebrati più processi può anche essere frutto di un aumento dei fenomeni di contraffazione, ma è sicuramente frutto – lo dico per i Pag. 9contatti con le forze di polizia giudiziaria, per le informative che arrivano e così via – di una maggiore, accresciuta attenzione verso il fenomeno. Non è un caso che dall'unico procedimento DDA del 2012 siamo passati ai sei del 2014 e ai tre o quattro in questo momento pendenti del 2015, dopo Prato. È una presunzione, una mia valutazione.
  Quanto al discorso che dobbiamo portare maggiori prove o indizio ai giudici, era soltanto una mia considerazione intra moenia. Quando il giudice dà torto, vuol dire che non si è stati abbastanza bravi da convincerlo. Sono stato giudice per dieci anni: se il giudice assolve o rigetta, ha sempre ragione. Questo è sicuro. Se eravamo convinti che la nostra tesi fosse quella giusta, evidentemente non abbiamo fatto abbastanza, ma era solo una considerazione.
  Gli interessi della criminalità organizzata, onorevole Cenni, si concentrano sempre dove ci sono grandi flussi di denaro. Non è un caso che nell'ambito della commercializzazione e nella stessa contraffazione la DDA più impegnata sia quella di Napoli, perché l'attività di contraffazione e commercializzazione di cui sono capaci le cosche mafiose camorristiche non ha eguali.
  La ’ndrangheta, che abbiamo visto sta cominciando a entrare in questo mercato, finora si è occupata prevalentemente dei reati predatori tradizionali, mazzette, appalti, estorsioni, commercio e accaparramenti nel mondo dei lavori pubblici. Si è occupata prevalentemente, come sappiamo, di grande traffico internazionale di stupefacenti, che consente guadagni enormi. Tutte le volte che ci sono flussi di denaro considerevoli, la criminalità organizzata ci si infila. Questo, però, non sposta niente in merito alla competenza DDA, perché ripeto che tutte le vostre che la mafia si occupa di questi commerci, se ne occupa la DDA.
  Per quanto riguarda la collaborazione delle grandi firme, non ho elementi. Posso soltanto testimoniare dalla mia pregressa esperienza di procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palmi, avendo gestito i sequestri di merce contraffatta, oltre che di stupefacenti, che avvenivano a container interi nel porto di Gioia Tauro, che in alcuni casi, quando sono state richieste, le grandi ditte Nike, Adidas, Levi's e altre hanno collaborato nelle operazioni di distruzione della merce contraffatta, che sono un altro bubbone, un altro punto dolente di tutta la materia.
  A Gioia Tauro, per esempio, un piazzale intero è dedicato ai container, contenenti ciascuno tonnellate di merce contraffatta, non soltanto scarpe o abbigliamento, ma anche elettrodomestici provenienti sempre dal territorio cinese, sprovvisti di marchio di omologazione, di qualità, e quindi del tutto incommerciabili. A centinaia e migliaia di tonnellate, le merci sono stoccate lì perché la loro distruzione ordinata dai giudici costa un sacco di soldi. Si stanno effettuando parecchie iniziative e parecchi tentativi, ma questo è un altro campo.
  Ne ho parlato per spiegare che i problemi legati alla contraffazione riguardano anche vari altri aspetti, compreso quello dello smaltimento di queste grandissime quantità di merce captate spesso nei porti di transhipment.

  PRESIDENTE. Prima di dare nuovamente la parola al collega Gallinella, a questo punto le rubo anch'io pochi minuti e aggiungo una mia domanda.
  Ovviamente, sono rimasto colpito da una notazione che ha fatto, che mi pare senz'altro da ben memorizzare, nella quale dice che è cattiva politica legislativa – sono parole mie, lei non lo ha detto, ma il concetto sostanzialmente era quello – alzare le pene edittali per ottenere attività investigative, come in particolare le intercettazioni. A quell'obiettivo si potrebbe arrivare per altre strade molto più coerenti. Ne prendo nota e personalmente, come credo i colleghi, ben memorizzerò il suggerimento.
  Non trova, però, che comunque la normativa penalistica in termini di sanzioni applicabili alla contraffazione sia abbastanza favorevole al reo ? Secondo una scuola di pensiero, che le riporto, sostanzialmente Pag. 10uno dei fattori principali dell'aumento dell'impegno della criminalità organizzata in questo settore è che, rispetto all'utile raggiungibile, i costi in termini di rischio penale sono molto bassi.
  A fronte, cioè, di un utile paragonabile a quello che la criminalità organizzata può realizzare nel traffico di stupefacenti, il rischio in termini di sanzioni (pena detentiva e tutto il resto) è molto basso. Questo diventa un fattore di incentivazione forte dell'attività criminosa: sbaglio in questo ragionamento o no ?
  La prego per ora soltanto di annotare, se ritiene, la domanda, e do nuovamente la parola al collega Gallinella.

  FILIPPO GALLINELLA. Si tratta di una curiosità sul suo ultimo intervento relativamente alla distruzione delle merci contraffatte: esiste un fondo ? Come funziona tecnicamente ? È il tribunale che la ordina che deve pagarla o, se si rintracciano, è a spese dei soggetti ? È previsto qualcosa del genere ?

  GIUSEPPE CREAZZO, Procuratore capo della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze. Il guaio è che la gran parte dei sequestri – parlo di interi container – riguardano procedimenti che si rivelano essere contro ignoti. È difficile, quasi impossibile risalire allo spedizioniere ed è quasi impossibile incriminare l'eventuale destinatario finale, perché viaggia tutto con documenti che attestano l'esistenza di altro rispetto a quello che c’è nel container. Molti di questi procedimenti, quindi, sono contro ignoti.
  Quando il processo è contro ignoti, a pagare le spese è lo Stato. Quando il processo è contro noti, le paga il condannato in via definitiva se è solvibile. Sono tutte spese che, peraltro, devono essere anticipate, ma anche tutto quello che serve per far funzionare il processo, la giustizia. Tutto deve essere anticipato dallo Stato, salvo recuperarle. Ecco che nella pratica in questo campo sono quasi sempre spese che gravano sul bilancio dello Stato. È un problema molto importante lasciare parcellizzata al singolo operatore di giustizia la liquidazione della distruzione del singolo container, ma questa è una mia opinione.
  Occorrerebbe forse portare un po’ a sistema questo tipo di fatti, fermo restando che le merci contraffatte nella maggior parte dei casi devono essere distrutte, perché quelle da poter devolvere in beneficenza comportano anch'esse spese e spesso il marchio non è asportabile. Le abbiamo provate tutte. Abbiamo fatto tavoli con il ministero, con la prefettura. A Gioia Tauro, quindi col presidente del tribunale di Palmi, abbiamo abbattuto e di molto le spese. Speravamo in un protocollo, che poi non è arrivato, che definisse modalità e, soprattutto, tariffe di custodia. Credo che su questo forse un'attenzione andrebbe rivolta per evitare che si allarghi il fondo di spese, poi difficilmente recuperate.
  Presidente, parliamo di un problema di valutazione degli interessi generali, che compete esclusivamente al legislatore e alla politica. È il legislatore che stabilisce le priorità da dare a quale interesse, e quindi quale gravità attribuire alla violazione della norma che protegge quell'interesse. Se domani l'attività di commercializzazione di prodotti contraffatti sarà equiparata quoad poenam – dico un paradosso – al traffico di stupefacenti, non ci sarebbe nessun problema di applicazione.
  Probabilmente, posto ovviamente che il deterrente della pena, e quindi la minaccia della sanzione preventiva, ha un suo valore, relativamente alla prevenzione del fenomeno in termini di paralizzazione dei canali di commercio, di individuazione e sequestro dei centri di smistamento, va tenuto presente che, mentre un chilo di cocaina si nasconde dappertutto, le tonnellate di merce contraffatta hanno bisogno di capannoni, che adesso cominciamo a sequestrare. Gli extracomunitari conoscono i magazzini di rivendita, che adesso cominciano a sequestrare. Colpire il fenomeno nei suoi aspetti di grande produzione e distribuzione in maniera più efficace è importante.Pag. 11
  Ricordo, inoltre, a me stesso che, al di là del senegalese o del marocchino che stende il lenzuolo sul marciapiede, chi esercita l'attività di commercio e di contraffazione in forma organizzata, senza essere associato per delinquere, rischia da due a sei anni. Se addirittura scatta l'associazione per delinquere, relativamente alle pene che si cumulano a quelle dei reati fine, non siamo nel campo di punizioni blande. Certo, è blanda la punizione del singolo detentore delle dieci borse sul marciapiede. Ovviamente, si può scegliere di colpirlo in maniera più grave. Questa è la mia modestissima opinione.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo il procuratore capo, dottor Creazzo, per questa testimonianza nel contesto del nostro lavoro e con particolare riferimento alla problematica del tessile e dell'abbigliamento, del circuito fiorentino-pratese.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Procuratore capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato, Antonio Sangermano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Prato, dottor Antonio Sangermano, accompagnato da un collega della Procura, il dottor Lorenzo Gestri, che sentiremo unitamente al dottor Sangermano.
  Prego il dottor Sangermano di dare inizio alla sua relazione con le modalità e i contenuti che riterrà.

  ANTONIO SANGERMANO, Procuratore capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato. Per correttezza vorrei dire che da qualche giorno si è insediato presso la Procura della Repubblica di Prato il nuovo Procuratore, dottor Nicolosi, a cui abbiamo scritto e che ci ha autorizzato a venire insieme perché io ero facente funzioni.
  Vorrei premettere che abbiamo letto tutti gli atti ostesi, e quindi consultabili sul vostro sito della Commissione. Li abbiamo studiati, ci siamo documentati, quindi cercheremo di evitare sovrapposizioni e restiamo a disposizione per le domande. Ci saremmo divisi il compito così, se per lei, presidente, va bene: farei una piccola relazione di sintesi con delle prospettazioni della magistratura (non mi permetto di parlare di suggerimenti).
  In seguito il dottor Gestri, che è pratese, vi riferirà sul caso Prato. Il dottor Gestri è il titolare dell'indagine sulla strage di via Toscana e vi può portare il suo contributo tecnico-giuridico e investigativo di conoscenza del territorio sulle emergenze stagliatesi da questa tragica vicenda. Come il collega Gestri vi illustrerà, queste emergenze hanno delle attinenze con la materia di vostro interesse – abbiamo letto la delibera istitutiva – soprattutto per le connessioni con il lavoro nero, l'evasione fiscale e il contesto di illegalità in cui alligna il fenomeno della contraffazione.
  Se lei condivide questo metodo, io mi limiterei a riassumere le nostre riflessioni sulla materia, per poi lasciare la parola al dottor Gestri per un intervento più corposo.
  Noi abbiamo letto gli interventi della dottoressa Siciliano e del dottor Natalini e tutte le altre audizioni. È stato sentito anche il dottor Creazzo, che poc'anzi ho incontrato e salutato.
  In base a quello che noi abbiamo imparato e possiamo conoscere della vicenda pratese, io vi sottolineo l'assoluta e urgente necessità di formalizzare a livello protocollare i rapporti fra procura distrettuale e procure locali.
  Il procuratore Creazzo è più che disponibile. Quando l'ho incontrato e l'ho sentito, ha espresso la disponibilità, che mi era stata già annunciata prima della mia audizione – non a caso l'ho sottolineato – a sedimentare ancora meglio questo tipo di rapporto, che nella materia della contraffazione, secondo noi, conta molto. In seguito parlerò dell'articolo 474-bis e delle implicazioni con l'articolo 416.
  Proprio in relazione alla specificità fenomenologica di Prato, noi riteniamo che sia indispensabile nel settore tessile, che vede anche il fenomeno della contraffazione Pag. 12nell'ambito del cosiddetto «sistema Prato» quale sistema incrociato di illegalità, favorire la massima applicazione dei sostituti di Prato alla Procura distrettuale, in riferimento ai procedimenti di cui all'articolo 416, finalizzati alla contraffazione.
  Infatti, questa applicazione, che è ordinamentalmente prevista, favorirebbe un interscambio prezioso di conoscenze e una focalizzazione dei fenomeni criminosi più precisa, senza nulla togliere alla Direzione distrettuale antimafia. Quest'ultima, infatti, si occupa di macro-fenomeni criminosi e, pur essendo tutt'altro che distratta, può essere lontana dalla specificità territoriale. L'applicazione di un sostituto, sotto l'autorevole coordinamento del dottor Creazzo, può favorire questo virtuoso effetto.
  Abbiamo già parlato della creazione di squadre di polizia giudiziaria dedicate. Le stiamo sperimentando a Prato nell'ambito della sicurezza sul lavoro. Devo dirle, presidente, che, come illustrerà il dottor Gestri, nell'ambito di questa materia gli effetti sono stati assolutamente favorevoli. La creazione di pool specializzati, nella fattispecie di funzionari dell'ASL esperti in sicurezza del lavoro, per le investigazioni in questa materia produce dei risultati straordinari.
  Siccome quella della contraffazione è una materia di fortissimo impatto sociale ed economico, la creazione di squadre di polizia giudiziaria dedicate presso le procure più esposte al fenomeno della contraffazione (Prato, Napoli e Firenze), ovvero in collaborazione sistemica con l'autorità giudiziaria, è molto importante.
  La progressiva professionalizzazione della polizia giudiziaria in questa materia può rendere più agevole la stesura di notizie di reato, che non si limitino a denunziare l'ivoriano o il nigeriano che vende agli angoli delle strade, sul tappeto, le borse griffate. Ciò farà in modo che, negli ambiti dei poteri di iniziativa della polizia giudiziaria, prima ancora della trasmissione della notizia di reato, vi sia uno spazio in cui inserire un approfondimento che consenta all'autorità giudiziaria di impartire delle direttive più ragguagliate e più fondate su una conoscenza specifica dei fatti e non meramente esplorative.
  Un altro elemento importante è la creazione di dipartimenti specializzati in questa materia, sul modello del Servizio di definizione affari semplici (SDAS). Io ho lavorato sette anni presso la procura di Milano e ho personalmente sperimentato il modello milanese, di cui vi ha parlato l'autorevole dottoressa Siciliano.
  Personalmente, ho già proposto al nuovo Procuratore di Prato, il consigliere Giuseppe Nicolosi, di potenziare il dipartimento preposto a questi reati.
  Pertanto, la Commissione da lei presieduta e da voi composta ha già prodotto indirettamente un effetto positivo. Lo avevamo già all'ordine del giorno, ma lo abbiamo ulteriormente implementato.
  Ho proposto di implementare questo dipartimento equipollente allo SDAS, sia aumentando la pletora dei reati rimessi alla sua competenza (profilo che non vi riguarda direttamente), sia potenziandone l'organico di polizia giudiziaria assegnato, sia affidandone il diretto coordinamento a un magistrato.
  In definitiva, stante la peculiarità dell'esperienza e della realtà pratesi, deve crearsi una vera specializzazione investigativa in materia di contraffazione, affidata al coordinamento di magistrati, naturalmente a essa non esclusivamente dedicati (altrimenti, si pretenderebbe troppo).
  C’è stato un proficuo confronto sull'aumento dei limiti edittali delle pene per i reati di cui agli articoli 473-474.
  Al riguardo, condivido appieno la proposta che lei ha dialetticamente illustrato, dialogando con la dottoressa Siciliano. Se ho ben capito, lei ha proposto una maggiore raffinazione delle condotte e uno sdoppiamento delle fattispecie, tra una contraffazione minimale – non ho detto «particolarmente tenue» – per cui possono rimanere eventualmente immutate le pene e una contraffazione rilevante, da connotare in termini descrittivo-precettivi in maniera molto attenta, con conseguente Pag. 13innalzamento dei limiti edittali sopra i cinque anni di reclusione. So bene che c’è l'aggravante a effetto speciale.
  Ci sarebbe, dunque, la possibilità di fare l'intercettazione sulla fattispecie-base e non sulla scorta dell'aggravante a effetto speciale. Conseguentemente, nei rigorosi limiti della legge e avendo riguardo all'entrata in vigore della recente riforma sulle misure cautelari, ci sarebbe la possibilità di applicare per i casi gravi, naturalmente ben dimostrati sul piano probatorio, le misure cautelari.
  La ridefinizione delle fattispecie potrebbe essere un'occasione per ripensare l'offensività del fatto, valutandone l'anticipazione a livello di pericolo concreto, nonché la ricollocazione sistematica all'interno del Codice penale.
  Infatti, è pur vero che esiste l'aggravante a effetto speciale di cui all'articolo 474-ter, ma questa, avendo dei connotati precisi e affidandosi sostanzialmente alla sistematicità e alla sussistenza di un apparato organizzativo, finisce fatalmente per sovrapporsi alla fattispecie di cui all'articolo 416. Quando c’è il 474-ter, di fatto esiste l'associazione per delinquere, quindi a quel punto la fattispecie trasla all'autorità giudiziaria del capoluogo.
  Tuttavia, per avere una notizia di reato che consenta di ritenere l'attività sistemica o sistematica e incardinata nell'ambito di un apparato organizzativo, occorre aver fatto preliminarmente le investigazioni. Le investigazioni, ahimè, piaccia o non piaccia, si fanno soprattutto sulla base di una notizia di reato, ma anche mediante attività di intercettazione. È un cane che si morde la coda.
  Di fatto, quindi, è invalsa una interpretatio abrogans della suddetta aggravante a effetto speciale, norma desueta o di scarsa applicazione almeno per quanto riguarda la specificità pratese, in quanto per la sua ricorrenza è richiesto lo stesso compendio strutturale previsto per la sussistenza del delitto di cui all'articolo 416.
  Se, invece, le due fattispecie base, di cui agli articoli 473 e 474, suddivise per step di progressiva gravità e dettagliate nel precetto descrittivo, prevedessero limiti edittali più ampi, potremmo svolgere un'investigazione di partenza, per poi proiettarla a visualizzare l'eventuale sussistenza di delitti associativi.
  Sempre sul piano repressivo e preventivo, atteso che i terminali della filiera contraffattiva sono in genere cittadini extracomunitari, spesso in condizioni di illegalità e irregolarità sul territorio nazionale – parlo proprio dell'esperienza pratese – sarebbe opportuno estendere al massimo l'istituto premiale del permesso di soggiorno per motivi di giustizia.
  Su questo forse il dottor Gestri potrà dire qualcosa. Noi lo sperimentiamo quotidianamente con i cittadini extracomunitari che, impiegati in attività criminali anche minimali, decidono di parlare opportunisticamente, ma comunque in maniera auspicabilmente positiva e veritiera. A quel punto, lo scambio legale corretto può essere sul piano del permesso di soggiorno.
  Si potrebbe verificare l'applicazione di misure interdittive, come la sospensione della revoca delle licenze commerciali.
  L'altro giorno ho fatto un giro indiretto nella Chinatown pratese, perché c’è stato un omicidio che nulla ha a che vedere con le vicende che vi occupano. Ascoltando molti cittadini cinesi, ho potuto constatare che nessuno di loro dice una parola di italiano, che quasi tutti hanno la patente, che per trovare un interprete ci vuole molto impegno e che questi negozi – io non sono entrato, ma me l'ha detto la polizia giudiziaria – sono letteralmente pieni di merce contraffatta, però evidentemente hanno una possibilità di commercializzare sul territorio. Quando si tocca il portafoglio naturalmente si ha una forte differenza.
  Questo può essere un profilo che, in maniera assolutamente rispettosa, come tutta la mia allocuzione, rimetto alla vostra attenzione.
  Spesso queste sono fattispecie transnazionali. Sappiamo il ruolo che svolgono la Tunisia, il Marocco e in particolare la Turchia nella contraffazione.
  La dottoressa Siciliano ha parlato dell'ottimo impiego delle dogane. Questo è Pag. 14vero. Tuttavia, un potenziamento del coordinamento internazionale, attraverso una più incisiva sensibilizzazione di Eurojust, che, come lei sa, signor presidente, è una struttura esistente e operativa, dove c’è un membro italiano, come per tutti i Paesi comunitari, con l'eventuale stesura di convenzioni e protocolli d'accordo con gli Stati produttori del falso (Cina, Turchia, Tunisia e Marocco), sarebbe prezioso. È vero che Eurojust si occupa del coordinamento intraeuropeo, ma nulla vieta – lo fanno già in tanti casi – che si presti a facilitare i contatti con Stati esteri.
  La mia esperienza mi porta a ritenere importante l'esistenza di un’authority indipendente in queste materie specialistiche di forte emergenza criminale, sulla falsariga dell'anticorruzione.
  Queste materie non sono percepite come un disvalore estremamente pregnante. Come diceva la dottoressa Siciliano, questo è un reato in cui la persona offesa è molto sfumata (Prada, Giorgio Armani e le grandi griffe) e a cui sono connesse delle evasioni fiscali. Si ha una percezione del disvalore diluita, per cui la signora che compra sulla spiaggia non avverte il danno che arreca, non tanto alla fede pubblica, quanto all'economia reale del Paese e, quindi, all'occupazione e a tutti quei valori in cui noi tutti, persone civili e avvedute, crediamo.
  Io non vorrei dare l'impressione di volermi surrogare a determinazioni che spettano soltanto a voi. Tuttavia, ritengo che un’authority indipendente in questa materia, adiuvata da squadre di polizia amministrativa, vista la lentezza con cui si sviluppano le attività repressive, preventive e amministrative sul territorio (non penali), potrebbe essere sicuramente una soluzione importante.
  Sarebbe auspicabile la creazione di protocolli locali strutturati a livello di Prefettura, coinvolgendo gli enti locali, le regioni, i comuni e le associazioni di categoria.
  Su questo la Toscana – lo dico con orgoglio da toscano – è molto avanti. Il presidente della regione, secondo me con un valido approccio, ha proposto la sottoscrizione di un patto di lealtà tra enti locali e comunità straniere, in particolare cinesi, con riferimento ai parametri di legalità minimi da rispettare nell'esercizio del commercio e dell'industria.
  Questo modello, inaugurato dal presidente della regione Toscana, secondo me è estremamente virtuoso. Cerchiamo di sperimentarlo nel caso Prato. Io credo che sia un po’ il futuro. Noi viviamo in una comunità che è fortemente condizionata, in senso positivo e in senso negativo nelle sue devianze, dalla presenza cinese. Trovo che questo coinvolgimento nei doveri della cittadinanza – non parlo di concedere il diritto, perché questo spetta al Parlamento – sia un approccio assolutamente costruttivo.
  Concludo con un'osservazione. Quello dei permessi di soggiorno falsi e dei rinnovi sulla base di documentazione inveritiera è un fenomeno che a Prato abbiamo già attentamente focalizzato, attraverso indagini con atti depositati. È questo il contesto in cui va calato questo tipo di lavoro. Credo che la vicenda dei sette morti del primo dicembre 2013 possa essere paradigmatica della situazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Sangermano.
  Do la parola al dottor Gestri per la materia a lui facente capo.

  LORENZO GESTRI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato. Ringrazio il presidente e tutti i commissari per l'occasione e l'attenzione che viene rivolta a questa vicenda.
  Come ha spiegato il mio collega, questa vicenda ha avuto un impatto mediatico abbastanza importante per la tragedia umana che si è consumata il primo dicembre 2013, con la morte di sette operai cinesi, cinque dei quali clandestini, che lavoravano all'interno di un magazzino della zona industriale di Prato.
  La zona industriale di Prato negli anni ’80 ha conosciuto forse il massimo della sua importanza, anche economica, e in quel momento era, anche da un punto di vista strutturale, il distretto tessile più importante d'Italia.Pag. 15
  La vicenda di via Toscana non solo è paradigmatica di quello che il dottor Sangermano ha definito «il sistema Prato», ma forse è anche un laboratorio dal quale poter trarre spunti e riflessioni che possono essere di competenza della vostra Commissione.
  In questo senso, il mio intervento, per non essere autoreferenziale su quella che è stata l'attività investigativa, vorrebbe avere a oggetto soprattutto alcuni passaggi, che penso possano essere rilevanti, in base a quello che nella sua comunicazione del 24 luglio il presidente individua come i filoni di interesse.
  Mi colpito molto che il primo filone di interesse per la Commissione sia quello di individuare i legami tra la contraffazione e le fenomenologie criminali, in particolare attenzionando determinati settori, tra cui il distretto di Prato.
  Mi ha colpito ancor di più che lei individua, come terzo filone d'interesse e di approfondimento per lo studio della Commissione, l'analisi degli effetti della contraffazione per l'economia e per il lavoro e ancor più l'incidenza che il fenomeno contraffattivo può avere sui mancati introiti fiscali.
  La vicenda di via Toscana è estremamente complessa da un punto di vista giudiziario. Per non entrare nel dettaglio e per evidenziare solo gli aspetti che possono creare un legame con questi obiettivi della Commissione, oggi noi abbiamo portato alcuni atti, per farne deposito spontaneo per i vostri lavori.
  Richiamo la vostra attenzione soprattutto sulla memoria del pubblico ministero, con cui per iscritto è stato sviluppato tutto il materiale probatorio raccolto nel corso delle indagini, nella data in cui si è discusso questo processo. Vi ricordo la coincidenza: casualmente la data in cui si è discusso il processo è la stessa in cui lei e altri componenti della Commissione siete venuti a Prato in prefettura. La discussione del processo ha avuto luogo il 24 novembre scorso, e il 12 gennaio di quest'anno siamo arrivati alla sentenza di primo grado.
  Dunque, richiamo quella memoria per il dettaglio. Innanzitutto, penso che sia di interesse sapere che quello del primo dicembre del 2013 è stato un evento straordinario nelle sue dimensioni. Pensate che l'incendio ha necessitato di due giorni per essere spento.
  All'interno di questo capannone industriale erano stati realizzati dei manufatti abusivi, che purtroppo non sono una particolarità del caso di via Toscana, ma sono un esempio di come viene gestita l'attività da gran parte dell'imprenditoria cinese all'interno delle sedi industriali, ovvero con abusi edilizi che sono funzionali a far dormire gli operai all'interno della struttura.
  Gli operai sono prevalentemente clandestini. In quel caso, cinque degli operai morti erano clandestini. Su altri due clandestini siamo dovuti intervenire, attraverso gli strumenti che oggi il nostro ordinamento ci offre, per cercare di cautelare la fonte di prova dichiarativa.
  La rapidità delle investigazioni è stata un dato di fatto. Dico questo per darle un elemento. Il 18 aprile 2014, neppure cinque mesi dopo, siamo riusciti a chiudere l'investigazione, esercitando l'azione penale. È stato emesso un decreto di giudizio immediato, che ha portato i cinque imputati, tre imprenditori cinesi e due italiani titolari di una società che è proprietaria del capannone, a fare una scelta processuale diversa.
  Potrò parlare solo dei primi. Gli imprenditori cinesi hanno scelto di definire il procedimento con il rito abbreviato, condizionandolo a una serie di prove. Ciò ha portato la procura della Repubblica alla necessità di chiedere delle controprove. Il processo con rito abbreviato si è sviluppato per cinque mesi.
  Gli imputati italiani, invece, hanno scelto il rito ordinario. Per questi attualmente pende un procedimento a dibattimento, nel merito del quale non vorrei entrare, come lei immagina, anche per assoluta garanzia della parte.
  Penso che quello che interessa ai nostri fini è proprio valorizzare questa vicenda. Emerge un primo dato: le indagini così Pag. 16«rapide» e con un esito positivo – tenete presente che sono state richieste, emesse e confermate fino in cassazione delle misure cautelari personali per gli imputati in questa vicenda – sono state realizzate anche per l'approccio interdisciplinare dell'investigazione. In questa vicenda hanno lavorato, non solo l'ufficio di polizia investigativo in senso tecnico e la squadra mobile della questura di Prato, ma anche corpi specializzati, come i vigili del fuoco, i tecnici della prevenzione dell'ASL e la polizia municipale. Ognuno ha affrontato il suo campo di stretta competenza.
  Quali sono i reati che sono stati contestati in questa vicenda ? Questo è un dato che recupererò nel mio passaggio finale. È stato contestato l'articolo 437, primo e secondo comma, norma che anche fra gli addetti ai lavori è poco conosciuta: l'omissione dolosa dell'adozione di cautele antinfortunistiche e antincendio, che debbono essere in realtà il presidio primo per garantire la sicurezza di un luogo di lavoro.
  Questo reato ha una pena base che arriva fino a cinque anni, che non consentirebbe, come ha riferito il mio collega, di fare intercettazioni. Tuttavia, nella forma aggravata, cioè quando da questa situazione si verifica un infortunio sul lavoro o un disastro, si possono attivare anche intercettazioni.
  In questo caso, l'infortunio per la giurisprudenza può essere semplicemente una lesione. Il caso di una persona che riporta l'amputazione di un dito è un infortunio sul lavoro e, quindi, fa scattare l'aggravante. Si figuri se cinque morti non fossero sufficienti per integrare questa aggravante.
  Voglio sottolineare che questa norma è stata fin dall'inizio un punto di riferimento investigativo per fare un'indagine penetrante, che è stata decisiva per disvelare questo sistema di illegalità che sta dietro alla gestione delle imprese di questo tipo.
  Per quale motivo dico questo ? Innanzitutto questa indagine ha messo in evidenza una divergenza assoluta fra il dato formale e il dato sostanziale: l'imprenditore che gestiva formalmente questa azienda, che era una ditta individuale e che, quindi, doveva essere naturalmente individuata in una persona fisica, in realtà non è mai stato trovato.
  Si trattava di una donna cinese, che le investigazioni hanno dimostrato aver fatto tutt'altro nella vita e aver vissuto a Roma nello stesso periodo in cui avrebbe dovuto essere l'imprenditrice di quell'azienda, occupata addirittura in attività di meretricio. Questa donna è stata controllata ed è stata vittima di procedimenti di altra natura. Non è mai stata trovata in Italia in tutto il periodo dell'indagine. Nessuno si è mai rivolto a lei, e lei non ha mai avuto un ruolo attivo in questa vicenda. Questa donna avrebbe dovuto essere il nostro riferente soggettivo dell'investigazione.
  Tutto ciò ha portato a disvelare una realtà ben diversa. Chi era dietro a questa impresa ? Una sentenza di primo grado, pur con una piena presunzione di innocenza, ha individuato tre cinesi, due sorelle e il marito di una delle due, che per anni hanno condotto la gestione come datori di lavoro di fatto di questa impresa (soprattutto una delle donne).
  Questa divergenza, presidente, è ancor più grave per gli investigatori se la si collega al dato di gestione dell'impresa. Infatti, come ho detto, non era una società, ma era una ditta individuale. La divergenza fra dato formale e sostanziale assume il massimo della sua patologia.
  L'effetto pratico di questo dato non irrilevante, ma anzi decisivo è stato che l'investigazione ha dovuto concentrare i suoi sforzi per almeno due mesi nel cercare chi fosse l'autore di questo reato.
  Le riporto un esempio che forse può essere esemplificativo in questo senso. Nella vicenda Thyssen, nota a tutti, i reati contestati sono gli stessi di via Toscana: l'articolo 437, l'omicidio plurimo, aggravato dalla violazione delle normative antinfortunistiche, e l'incendio colposo. Nella nostra vicenda abbiamo contestato e abbiamo ottenuto sentenza di condanna anche per il favoreggiamento della condizione di clandestinità a fini di profitto, Pag. 17perché evidentemente questi operai lavoravano all'interno dell'azienda massimizzando il profitto degli imprenditori.
  Nel caso Thyssen le norme sono speculari, però i valorosi colleghi torinesi, che sono dei maestri nella materia della sicurezza sul lavoro, non hanno avuto il problema che abbiamo avuto noi. Hanno bussato alla ThyssenKrupp, hanno acquisito i dati dell'organigramma aziendale, hanno chiesto se c'erano deleghe e hanno verificato se, in quella che le Sezione unite ora definiscono «la mappa dei poteri», ovvero nel documento di valutazione dei rischi, c'era un'adeguata valutazione del rischio. Hanno riferito soggettivamente tutto questo a degli indagati, che poi sono divenuti imputati.
  Noi non siamo arrivati direttamente a questa fase, ma l'abbiamo dovuta cercare. Questo è stato certamente un limite investigativo, che soltanto la fortuna e l'abilità di alcuni degli investigatori con cui ho avuto la fortuna di lavorare sono riusciti a superare.
  Questo dimostra che la vicenda di via Toscana è sicuramente peculiare, perché esprime il territorio di Prato e il modo di fare impresa cinese, ma non è così singolare. Forse da questa vicenda si può ragionevolmente prendere spunto, per una riflessione più generale a livello nazionale e come strumento di riforma di alcune delle questioni che noi abbiamo toccato.
  Le riferisco solo un dato: quella ditta cinese era stata costituita nel febbraio 2012, quindi non aveva neppure due anni quando si è verificato l'evento. Le investigazioni hanno dimostrato che le tre ditte precedenti erano comunque riferibili agli stessi datori di lavoro. L'inizio di queste quattro ditte si colloca nel primo gennaio 2008.
  Questo significa che in meno di cinque anni in quello stesso magazzino si erano succedute quattro ditte. Tutte quelle ditte sono state gestite da prestanome ed erano riferibili alla stessa mente come datore di lavoro.
  Di questo noi abbiamo una prova processuale assoluta. Non vi ho portato le stenotipie dell'interrogatorio di questa imputata principale, la quale ha ammesso tutte le sue responsabilità, volendo assumere anche quelle dei suoi coimputati.
  Per quanto ci interessa, l'imputata ha fotografato questo sistema, ha spiegato il meccanismo dei prestanome e il problema della costituzione di queste ditte.
  Da queste investigazioni è emerso – questo è un dato su cui la procura di Prato, con le sue investigazioni, sta cercando di trovare dei motivi di approfondimento – che quell'attività aveva necessariamente bisogno di un supporto professionale.
  Infatti, i cinesi che noi conosciamo a Prato provengono prevalentemente dallo Zhejiang, che è una regione di 57 milioni di abitanti, la cui principale città, Wenzhou, è grande quanto Roma. Questa provincia cinese è una realtà prevalentemente contadina.
  Lei si immagini quando queste persone arrivano e, dopo quattro, cinque o sei anni, diventano imprenditori di se stessi e non solo, se non necessitano di un apporto e di una competenza professionale. Spesso questo supporto arriva da professionisti italiani.
  Che questa sia una vicenda straordinariamente attuale per il nostro territorio lo dimostra un dato statistico. Vi ho lasciato documentazione anche di questo. Ho cercato di verificare qual è lo stato dell'arte della camera di commercio di Prato. Ho i dati aggiornati al 25 marzo 2015, quasi due mesi fa. Ho fatto uno studio su dieci anni, presidente.
  In nove anni e sei mesi sono state costituite a Prato addirittura 11.291 imprese. Di queste, 11.235 sono cinesi, praticamente il 100 per cento. Di queste 11.235, 10.100 sono gestite in forma individuale. Pertanto, il fenomeno di via Toscana è generalizzato: le imprese cinesi non vengono gestite in forma societaria.
  Questo dato si unisce all'estrema vitalità di queste imprese, che potrebbe essere sintomo anche di grande produttività del territorio. L'impressione mia e dei miei colleghi è che non sia solo questo. Infatti, di queste 11.000 ditte, ben 5.620, oltre il 50 per cento, in nove anni e mezzo sono Pag. 18già cessate. Di queste, 3.000 hanno superato i tre anni di vita di poco, mentre le altre 3.000 non li hanno superati.
  È evidente che la struttura, la funzione e la costituzione della ditta, che passa attraverso forme semplificate, che prescindono ad esempio da un atto pubblico e dalla necessità di passare da un notaio e da un ufficio pubblico (possono passare attraverso un professionista), pongono le condizioni per creare soggetti che sono contenitori soltanto formali. Ciò allontana le istituzioni e chi deve fare prevenzione e repressione dal vero referente soggettivo.
  Questo filtro a Prato è ormai affidato a pochi professionisti, che lavorano con imprenditori cinesi e che non sempre ci danno garanzie di trasparenza e di correttezza.
  Se vuole, le riferisco un dato che secondo me è estremamente significativo, ma sul quale c’è un'attività investigativa in corso. Le chiederei, soltanto su questo, un piccolo break.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovideo.

  (L'audizione prosegue in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovideo.

  (L'audizione prosegue in seduta pubblica).

  LORENZO GESTRI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato. Abbiamo un dato di straordinaria attualità, che un po’ ci allarma nella realtà pratese. Il primo dicembre 2013 qualcuno aveva detto: «Oggi abbiamo toccato il punto più basso».
  In questo anno e mezzo sono stati fatti degli sforzi, anche grazie agli investimenti del piano straordinario della regione Toscana, che ha assunto 50 ispettori dell'ASL impiegati soltanto nel dipartimento di Prato, dove ne erano impiegati in precedenza 27. È iniziato un piano di controllo del territorio.
  C’è un protocollo a cui hanno collaborato la Procura generale di Firenze, la Procura di Prato nella persona del dottor Sangermano e la Procura di Pistoia.
  Quel piano, iniziato il primo settembre 2014, in quattro mesi – le ho allegato, anche in questo caso, i dati – ha portato al controllo di 1.030 ditte individuali. Di queste, 1.029 sono cinesi. Venendo al tema di interesse della Commissione, di queste 1.029 ditte cinesi, 308 operano nel pronto moda, 642 sono laboratori di confezioni e le altre sono pelletterie, stirerie, tessiture e sartorie. Come vedete, è interessato tutto il comparto tessile.
  Di queste, 373 ditte sono nate dopo il primo dicembre 2013. Pertanto, anche dopo il primo dicembre 2013, i cinesi continuano a costituire ditte con la stessa frequenza.
  Di quelle 1.030, ben 860 hanno portato ad accertare delle situazioni di illecito penale. Ciò vuol dire che ci sono state 860 notizie di reato, che hanno interessato l'85 per cento delle ditte visitate. Dopo quel momento drammatico, che è stato un momento drammatico anche per la comunità cinese, evidentemente si è continuato e si continua a fare impresa nello stesso modo.
  Le riferisco semplicemente un dato, che a mio parere è dirimente. È stato dimostrato che quell'incendio è avvenuto a causa di un malfunzionamento elettrico. In un sistema in cui si operano abusi edilizi e si creano le condizioni per allacciare computer, stufe elettriche, fornetti elettrici e quant'altro, in un impianto che non è assolutamente a norma, si generano situazioni di pericolo assolute. Come le ho detto, c'erano i dormitori in cui venivano alloggiati gli operai.
  In queste imprese che sono state controllate e che hanno portato a notizie di reato, in 166 casi si sono trovati ancora dormitori e in 384 casi l'impianto elettrico è risultato fatiscente.
  Questo vuol dire che l'evento, non solo è paradigmatico di un sistema, ma purtroppo presenta ancora condizioni di grande rischio e attualità.Pag. 19
  Io non posso che condividere appieno la lettura di sistema del collega Sangermano. È grazie alla sua disponibilità professionale, nonché umana, che in questi mesi in cui lui è stato facente funzione, ho potuto approfondire questa materia, in una realtà che è effettivamente molto gravata dai numeri e da tante altre emergenze.
  Presidente, io penso che la Commissione possa fare una riflessione che tenga conto anche del luogo di lavoro. Forse le potrà sembrare un po’ fuori tema, ma io ritengo che nessuna attività illecita, qual è l'attività della contraffazione, soprattutto nel settore tessile, nasca in un contesto di contorno legale.
  I nostri accessi dimostrano che il luogo di lavoro è la prima condizione di violazione di regole per chi fa contraffazione. C’è sostanzialmente un'identità tra colui che fa l'imprenditore contraffacendo il marchio e colui che gestisce l'ambiente di lavoro.
  A questo riguardo, la mia sommessa proposta è di cercare di attenzionare anche norme che potrebbero sembrare non strettamente collegate al mondo della contraffazione, ma che costituiscono il presupposto perché la contraffazione abbia una lotta e un contrasto adeguati.
  Mi riferisco all'articolo 437, di cui ho parlato poc'anzi, e all'articolo 451, che è il reato speculare: omissione colposa di cautele antinfortunistiche e antincendio.
  A parere di un pratico, leggere la normativa sulla responsabilità degli enti (il decreto n. 231), che alcuni colleghi che sono stati auditi dalla Commissione hanno citato, e vedere in quel catalogo norme come gli articoli 473 e 474, ma non gli articoli 437 e 451 fa un po’ effetto.
  È un dato storico e forse ci sono state delle scelte politiche. Non lo so e non mi interessa, però forse questa è un'occasione. L'impegno di questa Commissione e i lavori che lei sta conducendo potrebbero portare a questa modifica. Infatti, non esiste un luogo di lavoro sicuro in cui si faccia contraffazione. Se si fa contraffazione, il luogo di lavoro è anche insicuro.
  L'articolo 437 non è stato utilizzato neppure dalla procura di Torino per effettuare i sequestri alla Thyssen. È stato utilizzato il 589.
  Paradossalmente, oggi abbiamo un sistema normativo che prevede che, se si verifica un infortunio in un luogo di lavoro, si può chiedere il sequestro preventivo, laddove ci siano tutti gli altri requisiti stabiliti dalla legge, e non lo si può fare se quell'infortunio mortale o fisico non si verifica, ma non si trovano le condizioni minimali di sicurezza sotto il profilo antinfortunistico e antincendio.
  Eppure, questo è un dato che, anche da un punto di vista economico, cambierebbe molto le cose. Lei capisce che è risparmiando sulla sicurezza che l'imprenditore fa il primo passo per poi cercare evidentemente di massimizzare, anche in modo illegale, il proprio profitto.
  Qualcuno potrebbe obiettare che quello di cui all'articolo 451 è un reato colposo. Non entro in dati tecnici. Le ho già detto che c’è l'articolo 589 e ci sono delle riflessioni che portano ormai la giurisprudenza a ritenere anche questi reati assolutamente compatibili.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, personalmente mi viene da dire che abbiamo sentito puntuale e autorevole conferma di alcune cose a cui eravamo arrivati da tempo.
  La prima è che tutta la filiera della contraffazione è interamente illecita. In secondo luogo, tutto il distretto pratese – la collega Cenni mi correggerà se sbaglio – non solo in termini di contraffazione, vive e prospera perché è interamente illecito.
  Abbiamo preso nota delle altre considerazioni. Se ci lascerà il testo, dottor Gestri, sarà ancora meglio.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Ringrazio davvero di cuore sia il procuratore Sangermano che il dottor Gestri per l'audizione di questa mattina. Lo dico anche in veste di relatore su questa indagine. Noi ci stiamo Pag. 20avviando alla conclusione del lavoro di redazione. Magari ci permetteremo, se il presidente è d'accordo, di ridisturbarvi informalmente prima di chiudere il testo definitivo.
  Credo davvero che il lavoro che abbiamo scelto di fare su questa indagine non voglia avere soltanto il marchio dell'indagine territoriale. Noi siamo andati in uno dei tanti distretti dove si fa contraffazione. Tuttavia, come voi ci state confermando, la peculiarità di Prato, come snodo di circuiti che riguardano mezza Europa, almeno da quanto tutti ci stanno dicendo, potrebbe significare molto in termini di modello.
  Credo che sia utile non sbagliare nel tentare di dare alcune indicazioni al Parlamento, come la relazione dovrebbe fare, e anche al Governo per il ruolo che l'esecutivo potrebbe svolgere.
  Io ho trovato molto chiare alcune indicazioni che sono venute dal dottor Sangermano e che ci erano già arrivate nelle audizioni precedenti. Mi riferisco al tema concernente la Direzione distrettuale antimafia e la Procura ordinaria e alla necessità di rivedere dal punto di vista organizzativo il funzionamento e l'assegnazione delle indagini, così come la specializzazione.
  Mi pare evidente quello che ci avete rappresentato questa mattina: dove c’è un lavoro di specializzazione attento, i risultati sono assolutamente altri rispetto al resto.
  Credo che questo ci sarà utile per questa indagine, ma anche per il ragionamento più complessivo che, su iniziativa del presidente, stiamo tentando di fare sulle competenze, sul Codice penale e così via.
  Nella replica, vorrei invece capire un po’ meglio la riflessione per giungere magari a un’authority indipendente. Vorrei capirlo meglio, perché il tema è interessante e forse possono essere utili un approfondimento e una segnalazione della questione da parte nostra.
  Sul merito della vicenda Prato e di quello che da Prato si dirama, io sono assolutamente in sintonia con quanto lei diceva concludendo il suo intervento: non esiste luogo di lavoro sicuro in cui si fa contraffazione. Questo sta emergendo in maniera assolutamente evidente da tutte le persone che abbiamo sentito in questa indagine, ma in parte era emerso anche dal lavoro che aveva svolto la precedente Commissione d'indagine nella scorsa legislatura.
  È abbastanza chiaro il fenomeno per quanto riguarda l'impresa cinese: la forma individuale; un livello molto basso di preparazione e di approccio imprenditoriale delle persone che aprono queste attività; una modalità molto standardizzata; padiglioni dove si fa produzione, si dorme e si mangia e dove ci sono bambini e adulti.
  Credo che sarebbe utile far emergere bene anche il rapporto con i professionisti e le imprese locali, quindi la connivenza, la copertura e probabilmente anche l'utile che si ricava dalla presenza cinese nel distretto. Forse bisogna trovare i modi per snidare e per rendere assolutamente non conveniente questo tipo di attività.
  Voi oggi ci avete riportato alcuni dati, ma già era noto che presso alcuni professionisti della città erano state sequestrate molte buste paga false e così via. C’è un sistema che si è strutturato su questa presenza, che va assolutamente snidato.
  Io vorrei capire se la vostra sensazione è che questo rapporto sta crescendo oppure si sta riducendo.
  Anche in virtù del protocollo e di alcune azioni che sono state messe in campo, di carattere formativo e altre, ci veniva riferito già nell'audizione che abbiamo svolto a Prato che alcuni imprenditori cinesi si stanno approcciando positivamente, perché non vogliono assolutamente essere accomunati a tutto il resto dell'attività criminale, di contraffazione eccetera.
  Anche su questo, vorrei capire qual è la vostra sensazione. Sta funzionando anche questo pezzo del protocollo oppure è uno dei punti su cui si fa fatica e va meglio messo a fuoco ?
  Durante altre audizioni che noi abbiamo svolto, soprattutto quando abbiamo parlato del commercio on line, è emerso Pag. 21che buona parte dei siti che commercializzano prodotti griffati falsi sono riconducibili a soggetti cinesi.
  La vostra sensazione è che c’è una connessione anche con questo tipo di attività oppure è proprio un'altra partita ?
  Non posso che constatare positivamente che voi stessi confermate la validità dell'iniziativa assunta dalla regione Toscana, che potrebbe diventare un modello interessante da proporre anche per altre tipologie di realtà territoriali.
  Ovviamente noi stiamo analizzando. Questo contesto nel manifatturiero e nella moda ha una sua peculiarità. È evidente che quando ci occupiamo di agroalimentare, la partita è un'altra. Probabilmente sono altri anche i soggetti interessati, più facilmente nazionali.
  Tuttavia, ritengo che il modello che tiene assieme controlli di natura sanitaria, controlli legati alla sicurezza sul lavoro e azioni virtuose che vari livelli istituzionali, pubblici e privati, provano ad attivare, sia uno dei modelli da consolidare e da far diventare strumento di supporto, anche attraverso normative.
  Faccio un ultimo accenno a un tema che non ho sentito nelle vostre relazioni. Il sindaco di Prato quando ci siamo incontrati ha teso a porre molto alla nostra attenzione il fenomeno dell'arrivo dei tessuti. Ci sono grossi quantitativi di tessuti che arrivano a Prato, presumibilmente dal Pakistan, e che le dogane non riescono a intercettare a sufficienza, perché fanno dei giri che probabilmente non sono ottimali dal punto di vista dei tempi di arrivo e riescono a eludere vari controlli.
  Questa è una delle ragioni per le quali si riescono a immettere sul mercato pratese tessuti, camicie o altri pezzi d'abbigliamento a prezzi assolutamente concorrenziali, non misurabili con il mercato regolare.
  Vorrei capire se nelle vostre indagini avete approfondito anche questo aspetto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ANTONIO SANGERMANO, Procuratore Capo della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Prato. L'attività è ben congegnata, perché nasce dalla conoscenza del territorio. Inizio io e poi magari proseguirà il dottor Gestri. Noi abbiamo la percezione investigativa che l'ipotesi di contiguità tra professionisti, immigrazione clandestina e fenomeni di malaffare, naturalmente da corredare a livello provato in maniera estremamente approfondita e seria, non sia assolutamente finita, ma tutt'altro. Da qua a descrivere una collusione indiscriminata ce ne corre. Il sistema Prato non è questo.
  Recentemente, in un processo a carico di una funzionaria comunale, imputata per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, presunta non colpevole, l'ufficio nella mia persona ha concluso richiedendo la condanna anche di una commercialista. L'ipotesi era la compravendita corruttiva di iscrizioni anagrafiche a Prato per centinaia di cinesi.
  Come ho già detto l'altra volta, il meccanismo consiste nell'iscrivere all'anagrafe una persona che non risiede a Prato. Questa persona si iscriverà alla camera di commercio, aprirà una partita IVA e diventerà titolare fantasma di una ditta, che metterà a lavorare dieci o più disgraziati in condizioni quasi di schiavitù. Qui si apre il capitolo dei maltrattamenti e della riduzione in schiavitù, che è un capitolo penale, che poi vedremo con l'ottimo dottor Creazzo.
  Dunque, la risposta al suo primo quesito è che, senza gettare indiscriminate ombre, ma tutt'altro – lo sottolineo – siamo critici, attenti e naturalmente puntati sulla prova. Questo deve essere chiaro. Le emergenze non mi sembrano positive.
  Per rispondere complessivamente alla sua domanda, onorevole Cenni, riporto l'esempio della Versilia. Chi di noi non va a fare un fine settimana in Versilia ? Io ci sono stato questa settimana. La Versilia è letteralmente invasa dalle griffe false. Basta stare due ore su una spiaggia della Versilia, a Viareggio o a Forte dei Marmi, per essere – non dico «tempestati» e neanche «disturbati» perché mi sembrano accezioni negative – chiamati continuamente all'acquisto.Pag. 22
  Dove vengono stoccati questi materiali ? Su quali mezzi di trasporto transitano ? Come arrivano in Versilia ? Dove vengono allocati ? Dobbiamo veramente ritenere che questi poveri sventurati, nigeriani, ivoriani o altri, viaggino con la loro sgangherata macchinetta portandosi le borse e i vestiti falsi, oppure dobbiamo sospettare che vi siano dietro organizzazioni che fomentano, alimentano, gestiscono e realizzano ?
  Io, francamente, non ho memoria di investigazioni particolarmente approfondite che focalizzino il fenomeno nella sua portata generale, aldilà del sequestro delle borse dell'ambulante.
  Questo non avviene certamente per demerito dei magistrati. Non voglio apparire corporativo o autoreferenziale più di quanto lo sia, però effettivamente non c’è cattiva volontà. C’è un problema strutturale. Da qui nasce il riferimento alle polizie giudiziarie specializzate e all’authority, su cui mi permetto sommessamente di insistere. Non è ancora nella cultura investigativa e nel patrimonio etico degli operatori focalizzare come grave questa fenomenologia criminale. A mio parere, siamo un po’ indietro per le ragioni che abbiamo ampiamente esposto.
  Questi sono i due profili su cui volevo intervenire. Non so se il dottor Gestri vuole integrare.

  LORENZO GESTRI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato. Mi riaggancio a quello che diceva il collega e cerco di spostare la risposta sul rapporto con i cinesi che si regolarizzano e sul punto in cui siamo.
  Come immagina, i miei non sono dati investigativi sotto questo profilo. Penso che i dati a cui si può fare riferimento siano quelli della CNA. A Prato esiste una presenza istituzionale importante in CNA. Il vicepresidente è di nazionalità cinese. Si dice che chi ha aderito al patto lo abbia fatto per il legame, diretto o indiretto, che ha con questa persona, che certamente è ormai pienamente inserita nella nostra comunità.
  Io penso di dover essere portatore di ciò che emerge dalle investigazioni e non di dover contrabbandare come un'esperienza investigativa quella che in realtà è una convinzione personale. Io penso che per quanto attiene al resto della comunità ci sia ancora tanto da fare.
  Ancora una volta, l'esperienza di via Toscana sotto questo profilo è emblematica. Pensate che il giorno in cui siamo intervenuti sul posto, avevamo già la presenza di tantissimi cittadini cinesi che si erano accalcati lì. Molti di loro piangevano, giustamente, perché probabilmente sapevano chi c'era dentro.
  Riporto questo esempio perché, può sembrare stupido, ma un investigatore in un momento iniziale deve pensare a tutto. Si è cercato di portare in Questura, per sentirle, le persone che paradossalmente avevano manifestato visivamente il loro dolore, piangendo. Queste persone, pur vedendo le istituzioni italiane sul posto, non hanno bussato alla porta per dire che dentro c'era un loro parente.
  Abbiamo messo a verbale le dichiarazioni di quelle persone e abbiamo preso i loro numeri di telefono. È stato attraverso il monitoraggio dei cinesi che si è capito chi era il datore di lavoro, perché loro hanno chiesto il risarcimento del danno al datore di lavoro. Hanno giocato su un livello che è diverso da quello istituzionale italiano, ovvero il risarcimento, e hanno battuto alla porta dei datori di lavoro reali.
  Questo evidentemente è un segnale di scarsa fiducia da parte di questa comunità, per cultura o altro, nelle nostre istituzioni.
  Soltanto in questo modo abbiamo trovato una delle vittime, per fortuna scampate per caso al rogo, che non si era minimamente palesata.
  Vi do un altro dato investigativo, che si può condividere. Il giorno stesso rappresentanti, anche importanti, della comunità cinese a Prato sapevano tranquillamente chi era il datore di lavoro e avevano rapporti con livelli istituzionali cinesi per dare informazioni su questa vicenda.Pag. 23
  Il problema che noi dobbiamo risolvere forse è anche un problema di relazioni vere con queste istituzioni. Questa vicenda investigativa lo dimostra palesemente.
  In quella ditta c'erano, come ho detto, cinque clandestini. Presidente, a Prato arrivano clandestini che vanno a lavorare nei pronto moda, attraverso un sistema che ormai è abbastanza noto a livello nazionale, che è il sistema dell'ingresso con i visti turistici.
  Noi a Prato non abbiamo il problema dell'immigrazione clandestina cinese che arriva con i barconi sulle coste della Sicilia. Nessun cinese arriva con i barconi, ma arriva con l'aereo e con un visto turistico in Germania, in Polonia, in Francia, se non in Italia, per avere la possibilità di stare tre mesi con una copertura legale, che è chiaramente funzionale a divenire copertura di un qualcosa che diventerà illegale il primo giorno del quarto mese. Sono destinati a fare i clandestini dal quarto mese.
  Quando arriva, il cinese arriva con l'accordo di trovare un posto di lavoro, magari nei pronto moda cinesi o negli opifici cinesi di Prato.
  Questa è una riflessione che forse è diventata ormai imprescindibile, così come si riflette su altre forme di immigrazione, per dare un minimo di contrasto alla forza lavoro, che è quella che, come dicevamo poc'anzi, fa il costo del lavoro.
  Queste persone lavorano sedici ore al giorno all'interno di queste aziende, ma non hanno neanche la sensazione di essere vittime. Sono ben consapevoli di venire in queste condizioni. Quando si lavora in China, a Wenzhou, alle stesse identiche condizioni, venire a lavorare e a dormire in un capannone di questo tipo per loro non è un problema.
  Per quanto riguarda l'arrivo dei tessuti, c’è stata un'indagine a Prato, che mi sembra risalga al 2012, quando io non ero ancora alla Procura di questa città. Forse vi ha fatto cenno il colonnello Reolon nella relazione che vi consegnò quando siete venuti a Prato. Era un'indagine in cui si investigava sul contrabbando. In realtà, i tessuti arrivavano su porti che non erano chiaramente l'arrivo doganale di Prato, ma poi venivano utilizzati a Prato.
  Tenga presente, onorevole, che, in base alla mia esperienza, questo fenomeno può riguardare due o tre casi, ma il cinese non ha bisogno di abbattere il costo di produzione sulla materia prima. Possono esserci situazioni di questo tipo, ma il costo di produzione viene abbattuto in altro modo, ovvero facendo impresa come abbiamo illustrato poc'anzi, senza la minima tutela.
  Peraltro, questa assenza di tutele non è percepita come tale dai cinesi, perché evidentemente neppure i lavoratori hanno la sensazione di essere sfruttati. Questa, almeno, è la percezione che emerge dalle nostre investigazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Ho una curiosità tecnica. Vorrei sapere da voi se qualcuno è mai stato punito in base all'articolo 712 del Codice penale, che avete citato velocemente, per l'acquisto di merce di sospetta provenienza. Il consumatore è mai stato colpito ?

  ANTONIO SANGERMANO, Procuratore capo della Repubblica facente funzioni presso il Tribunale di Prato. Penso di sì. Francamente, non ci siamo portati il dato sull'argomento, però, a memoria di procuratore, nel fare le notizie di reato, nel rubricarle e via dicendo, mi sembra che qualche denuncia ci sia stata. Non è certamente un fenomeno massiccio.
  Se ho ben colto il senso «politico» della sua domanda, vuole sapere se c’è un'attenzione repressiva sull'acquirente oltre che sul venditore. Le rispondo che non c’è. Non mi pare che fiocchino denunce da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Per quello che vale, aggiungo che anche a me risulta che, nell'ambito della fenomenologia generale della contraffazione in Italia, il ricorso a incauto acquisto per sanzionare gli acquirenti è praticamente irrilevante. Questo apre un altro discorso, che è inutile fare qui.Pag. 24
  Ringrazio gli auditi. L'audizione di oggi è stata molto importante, specificatamente per la relazione della collega Cenni, ma anche più in generale per tutto quello che riguarda l'attività di questa Commissione.
  Come preannunciava la collega Cenni – è un'idea sua, ma la condivido appieno – forse avremo modo, senza che ritorniate qui, di riscontrare con voi la bozza della relazione su Prato, in modo che possiate ulteriormente aiutarci. Naturalmente quello sarà il lavoro-focus su Prato. Ne stiamo preparando un altro più di carattere generale sulla tematica della contraffazione, per cui magari ci potremo risentire al momento appropriato.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la documentazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 15.30.

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