XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Giovedì 7 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizione del Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, Aldo Natalini:
Catania Mario , Presidente ... 3 
Natalini Aldo , Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena ... 3 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Cenni Susanna (PD)  ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 17 
Natalini Aldo , Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena ... 17 
Catania Mario , Presidente ... 20 

ALLEGATI: Documentazione presentata dal Sostituto Procuratore ... 21

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14,15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, Aldo Natalini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, Aldo Natalini. È presente anche il dottor Fabrizio Donzelli, ufficiale di polizia giudiziaria.
  Come ricorderete, abbiamo già ascoltato il dottor Natalini in altro contesto, con un invito finalizzato soprattutto alla possibilità di ascoltare da lui le esperienze maturate in materia di indagini relative alla problematica dell'olio d'oliva e, più in generale, dell'alimentare. C'era stata, infatti, un'inchiesta importante condotta dal dottor Natalini e dalla procura di Siena sulla contraffazione dell'olio d'oliva. Tuttavia, anche alla luce delle considerazioni da lui fatte all'epoca abbiamo ritenuto opportuno convocarlo nuovamente per avere una visione più generale sulla problematica.
  Oltretutto, il dottor Natalini ci parlerà anche del fatto che, tra la convocazione e la riunione dell'audizione di oggi, è stata formalizzata una Commissione istituita dal Ministro della giustizia in materia di reati relativi all'agroalimentare, presieduta dal presidente Caselli che pure abbiamo audito, di cui il dottor Natalini fa parte. La Commissione lavorerà sui reati relativi al settore agroalimentare, che, ovviamente, non sono tutti di contraffazione.
  Do, quindi, la parola al dottor Natalini per lo svolgimento della sua relazione.

  ALDO NATALINI, Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena. Grazie, presidente, vicepresidente, signori commissari. È la seconda occasione di essere audito; ne sono ancora una volta onorato e vi ringrazio.
  È sicuramente un'anomalia che un magistrato debba fare delle proposte di novazione di leggi, perché in genere siamo abituati ad applicarle. Nel mio caso questa anomalia è stata istituzionalizzata perché – come diceva il presidente – con DM del 20 aprile 2015 è stata istituita questa Commissione, che peraltro si è insediata l'altro ieri. Abbiamo, infatti, iniziato i lavori martedì scorso.
  L'idea del presidente Caselli, condivisa da noi tutti, è di un forte raccordo con la vostra Commissione. Difatti, è stata già distribuita dal presidente Caselli la relazione sulla quale oggi riferirò, ovvero le comunicazioni del presidente sulle proposte di modifica della legislazione di settore della contraffazione, allegate allo stenografico che è stato distribuito, perché si conosca qual è la linea di tendenza di questa Commissione.Pag. 4
  Pertanto, l'interlocuzione con questa Commissione – come ha detto chiaramente il presidente Caselli, che immagino avrà ulteriori contatti direttamente con la presidenza di questa Commissione – mira ad arrivare a un lavoro in parallelo perché ci sono dei sicuri punti di contatto. Anche se l'agroalimentare è una piccola porzione rispetto al mandato di questa Commissione parlamentare, sarà sicuramente utile un lavoro congiunto.
  I due obiettivi della Commissione sono, innanzitutto, le frodi che riguardano l'agroalimentare e il made in Italy, con particolare riferimento alla compatibilità della legislazione penale italiana, ma anche amministrativa, con il diritto comunitario. In particolare, è stata costituita una sottocommissione che si occupa di questo, presieduta dal consigliere Di Stefano.
  Una terza sottocommissione, invece, dovrebbe immaginare la redazione di un testo normativo che riguardi figure penalistiche che puniscono la dimensione organizzata e massiva delle frodi. In questo ambito, sono onorato del fatto che il presidente Caselli abbia distribuito la mia audizione, in cui c'era una proposta per quanto attiene alla frode.
  Questa è la prima metà del lavoro della Commissione sull'agroalimentare. L'altra, invece, riguarda i reati di pericolo per la salute, come è scritto espressamente nel decreto istitutivo della Commissione.
  Su questo ho espresso non delle perplessità, ma dei distinguo perché, in ordine al problema della salute, non necessariamente la frode o la contraffazione mettono in pericolo la salute. Questo ci può stare per quanto attiene, in particolare, i medicinali, i giocattoli, l'occhialeria e quant'altro, ma non c’è necessariamente.
  Ad ogni modo, abbiamo anche questo tema nel mandato istitutivo dalla Commissione. Rispetto a questo, anche per accelerare i lavori, il presidente Caselli ha distribuito un testo che è stato redatto qualche anno fa dal professor Donini, pubblicato su «Cassazione penale» – i membri di questa Commissione lo conosceranno sicuramente – e salutato dalla dottrina come molto raffinato. Quindi, quello è il testo base che dovrebbe essere utilizzato per queste prime settimane di vita dalla Commissione.
  Dopodiché, faremo delle sessioni molto frequenti perché – questa è la particolarità di questa Commissione ministeriale – abbiamo una scadenza brevissima, al 31 luglio di quest'anno, quando dovremmo consegnare i lavori al Ministro della giustizia. Devo dire, però, che sin dalla cerimonia di insediamento abbiamo mostrato preoccupazioni rispetto a questa scadenza. L'idea del ministro, come ha detto pubblicamente, è immaginare eventualmente una breve proroga, ma il lavoro della Commissione, con la fine di Expo, dovrebbe essere confezionato, pubblicato e divulgato, il che significa che dovremmo concludere entro l'estate o poco dopo l'estate.
  Questi sono gli impegni che ci occuperanno nelle prossime settimane. Nella sessione plenaria ho informato dell'audizione odierna presso questa Commissione. Mi ero, quindi, riservato, non appena fosse stata depositata la mia relazione, di trasmetterla a tutti i commissari in modo che fosse garantito un raccordo fra i lavori, perché non avrebbe senso che non ci si parlasse rispetto a proposte convergenti. Per quello che ho percepito, credo ci saranno delle interlocuzioni istituzionali tra il presidente Caselli e la presidenza di questa Commissione per delle sessioni congiunte o quantomeno per delle relazioni formalizzate.
  Essendosi svolta un'unica sessione, oltre a questo non sono in grado di dire, ma mi sono impegnato, anche di fronte a tutti i commissari, di arrivare a questo raccordo, in modo che il materiale sia trasfuso reciprocamente.
  Se non ci sono domande su questo, passerei ad alcune mie riflessioni personali, da operatore del diritto, sulle comunicazioni del presidente circa le proposte di modifica alla legislazione penale di settore in tema di contraffazione. È un argomento diverso rispetto alla mia audizione precedente. Faccio, tuttavia, un brevissimo cenno a quello che ho detto la volta scorsa.Pag. 5
  Personalmente ritengo che, nell'assetto penalistico da riformare, la parte più urgente sia intervenire sull'aspetto delle frodi, su cui abbiamo l'articolo 514 che è completamente inapplicabile e gli articoli 515 e 516 che sono anacronistici. Rispetto a questo, però, mi riporto a quello che ho già detto.
  La dimensione unitaria che, invece, questa Commissione vuole dare al fenomeno contraffazione, che può riguardare anche l'agroalimentare, induce a un'esigenza – che personalmente condivido, da operatore del diritto – di armonizzare e razionalizzare le troppe fattispecie. Infatti, tutto ciò che è contraffazione può essere visto in una dimensione unitaria, dopodiché c’è un problema che riguarda anche la frode in commercio, quindi l'inganno nei confronti del consumatore, che concorre, dal punto di vista penalistico, con la contraffazione a monte.
  Pertanto, a quel punto, i due testi dovrebbero essere convergenti. Ad ogni modo, condivido lo spirito che si individua nella relazione del presidente Catania di armonizzare e razionalizzare le troppe fattispecie incriminatrici nel settore della contraffazione propriamente detta.
  L'idea stessa che ci siano due classi sistematiche (i delitti contro la fede pubblica e quelli contro l'industria) e alcune fattispecie sussidiarie rispetto a quelle di cui agli articoli 473 e 474, ma allocate dentro un'altra classe sistematica, è sicuramente una bizzarria da correggere, probabilmente frutto delle troppe stratificazioni che ci sono state negli anni.
  Quindi, personalmente condivido l'esigenza di un restyling di questa parte della normativa perché la contraffazione è stata oggetto di un massiccio e robusto intervento legislativo nel 2009, secondo alcuni frettoloso e probabilmente effettuato nel contesto di molto altro. Vi è, dunque, a 5-6 anni di distanza, l'esigenza di fare un tagliando a quella normativa per vedere dove non ha funzionato. Su qualche aspetto mi soffermerò tra breve, ma in linea di massima le perplessità e le aporie sistematiche sono già ben espresse nella relazione di questa Commissione, che – ripeto – condivido nella quasi totalità nello spirito di razionalizzazione, anche se ho dei distinguo che poi preciserò.
  Prima di entrare nel merito della relazione del presidente Catania e di questa Commissione, mi permetto di informarvi di due questioni che riguardano la contraffazione, quindi propriamente il tema della relazione odierna, ma più in generale tutto il fenomeno delle frodi in commercio. Si tratta di dati che ricavo dall'esperienza giudiziaria. Sono due argomenti diversi fra loro, di portata generale, che credo questa Commissione possa prendere in considerazione.
  Il primo problema è legato, in particolare, al fenomeno dell’Italian sounding. Siamo, dunque, nell'ambito dalla contraffazione, ovvero dell'imitazione servile di marchi italiani e quant'altro. La prima questione che segnalo e che potrebbe essere recepita da questa Commissione, se la ritiene condivisibile, riguarda i limiti spaziali della legge penale italiana e l'opportunità di introdurre delle deroghe al principio di territorialità.
  Mi spiego. Si può applicare la legge italiana nella misura in cui i fatti – condotta ed evento di reato – avvengano in Italia. Sembra banale, ma è così. Se sono reati comuni, c’è il regime stabilito dall'articolo 6, comma 2 del Codice penale del 1930, che non poteva immaginare una dimensione di mercato globale.
  Il problema è che per fatti che hanno una ricaduta all'estero, ma che sono percepibili anche in Italia (pensiamo a tutto quello che accade nella rete, dai medicinali a qualunque altro fenomeno) bisogna individuare almeno in parte una condotta che avviene in Italia affinché la si possa punire, ma non basta, perché ci sono anche altre altri requisiti.
  L'articolo 7 del Codice penale disciplina i reati commessi all'estero e prevede che possa essere punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero – questa è la prospettazione del Codice del 1930 – che commette il fatto all'estero (quindi interamente all'estero) soltanto in taluni casi. Questi casi, che ho ripercorso nella relazione, fanno riferimento ai classici Pag. 6delitti che attentavano a quelle che una volta si chiamavano le funzioni sovrane dello Stato, ovvero delitti contro la personalità dello Stato, la contraffazione del sigillo dello Stato, la falsità delle monete aventi corso legale in Italia, che ormai non ci sono nemmeno più. Insomma, si trattava di delitti che, in quanto visti come offensivi dallo Stato, potevano determinare una punizione extraterritoriale. Ecco, in quel caso si può procedere.
  In realtà, sarebbe il caso di ragionare su una dimensione di ampliamento di questo catalogo. Infatti, se leggiamo gli attuali articoli 473, 474, 474-ter, 517, 517-ter e 517-quater – non farò tutto l'elenco, ma il pacchetto relativo alla contraffazione è sempre questo, anche se lo stesso discorso si applica agli articoli 515 e 516 – affinché questi reati possano essere perseguiti secondo la legge italiana, quale che sia la prospettiva penalistica che potremo dare, anche irrobustendo le pene e quant'altro, c’è comunque un problema.
  Se il fatto contraffattivo avviene interamente all'estero e non si dimostra che almeno in parte la condotta è avvenuta in Italia, non è punibile, se non a condizione che siano rispettate le previsioni degli articoli 9 e 10 del Codice penale, cioè la presenza dell'autore del fatto nel nostro Paese nel momento in cui si esercita l'azione penale. Questa presenza, però, non può essere provocata: l'autore del reato deve fisicamente essere presente. Tuttavia, se il fatto contraffattivo viaggia in rete, manca questa prima condizione.
  Questo sarebbe, pertanto, ostativo per perseguire tutti i fenomeni di Italian sounding che avvengono all'estero oppure di contraffazione che viaggiano in rete, con portali visibili anche in Italia o con offerta in vendita anche nei siti italiani.
  Il secondo requisito è che se il reato è punito con reclusione inferiore a 3 anni – qui prendiamo praticamente quasi tutti i reati (473, comma 1; 474, comma 2; 515, 516, 517 e così via) – è necessaria anche la richiesta del Ministro della giustizia come condizione di procedibilità, sia che lo commetta il cittadino che lo straniero.
  Faccio un esempio di cui tanto si è discusso, quello dei wine kit, su cui troviamo interi capitoli nel Terzo rapporto sulle agromafie. Ci sono stati interessanti studi su questo. Nella nota ho riportato tutti i wine kit che la mia Polizia giudiziaria mi ha riferito esistere e tutti i siti che li vendono. Peraltro, ci sono imitazioni servili di prodotti italiani anche per le mozzarelle, per i formaggi e così via. Si tratta – come vedete – di siti perlopiù con domini esteri (statunitensi e quant'altro).
  Ora, quand'anche riuscissimo a ottenere rogatorie e risposte, quindi individuassimo l'autore di quei fatti di contraffazione che riguardano il vino piuttosto che altri prodotti che hanno una particolare protezione, non possiamo perseguirli in Italia e non possiamo nemmeno oscurare il sito.
  A parte il fatto che sugli oscuramenti dei siti e sulla facilità con cui vengono cambiati i domini c’è un problema di cui credo questa Commissione sia stata informata da altri colleghi auditi, l'oscuramento del sito potrebbe servire con lo strumento del sequestro preventivo a fini impeditivi. Comunque, al di là di questo, c’è un problema di perseguibilità perché si tratta di un fatto che avviene interamente all'estero, né possiamo dire che l'evento avviene in parte in Italia, stando all'articolo 6, comma 2, per il solo fatto che c’è un sito che è visibile anche in Italia. È chiaro, infatti, che l'articolo 6, comma 2, non faceva riferimento a questo, ma a un evento materiale e non a una cosa immateriale che soltanto perché viaggia in rete avviene in parte in Italia.
  C’è sicuramente un problema di adeguamento degli articoli 6, 7 e seguenti al mercato globale e alla rete, il che non significa che non si possano introdurre delle soluzioni che consentano di intervenire quando l'offerta in vendita avviene anche in Italia. È chiaro, infatti, che non possiamo perseguire quello che avviene in tutto il mondo perché è conforme alle legislazioni di un certo Paese: se la vendita avviene Stati Uniti – Stati Uniti non può entrare il magistrato italiano.Pag. 7
  A ogni modo, se c’è un fenomeno di Italian sounding o di contraffazione in rete che si propaga anche in Italia – pensiamo ai wine kit – possiamo pensare a una soluzione banale, ma che credo possa essere facilmente introdotta, ovvero a delle clausole derogatorie di extraterritorialità sul modello di quelle che sono già presenti nell'attuale Codice penale per certi reati.
  Faccio due esempi per tutti. L'articolo 604 del Codice penale, reati di violenza sessuale avvenuti all'estero, è una deroga che consente la punizione a certe condizioni, derogando, appunto, alle altre discipline generali che ho indicato prima (articolo 7 e seguenti). Ugualmente, l'articolo 642, comma 3, frodi assicurative, stabilisce che sono punibili, se il fatto è all'estero, ma avviene in danno di compagnie di assicurazioni italiane.
  Esistono, quindi, delle deroghe. Credo sia condivisibile, a livello politico-criminale, prevedere una deroga perché oggi l'immagine del nostro Paese viaggia anche per i nostri prodotti. Anzi, probabilmente questa è l'immagine più importante che esportiamo nel mondo, per cui se una volta era la contraffazione del sigillo o il falso nummario che offendeva gli interessi sovrani del Paese, oggi possiamo dire che c’è un'esigenza più moderna per cui bisogna difendere il marchio e il prodotto italiano da quelle imitazioni servili che possono avvenire in territorio estero.
  Pertanto, non vedo perché non possa essere ampliato – questa è la prima proposta – il catalogo dell'articolo 7 attraverso un inedito numero ulteriore (suggerisco un 3-bis) che preveda la possibilità di derogare ai limiti territoriali, quindi punire i fatti di contraffazione, usurpazione, evocazione o imitazione servile di marchi, segni distintivi, denominazioni di origine, indicazione geografica di prodotti fatti in Italia (cosa che non basta perché può darsi che il marchio non sia più italiano a livello di proprietà) o comunque evocanti l'immagine dell'Italia (la bandiera e così via), sempre che l'offerta in vendita, anche per via telematica, avvenga in Italia.
  Questa è la clausola che immaginerei per novellare, ad esempio, l'articolo 7 del Codice penale con un inedito 3-bis. Mi rendo conto che sarebbe una soluzione molto forte anche a livello simbolico, perché si va ad aggredire la parte generale del Codice in quelle che una volta erano le funzioni sovrane. Sarebbe, quindi, come dire che anche la contraffazione è una funzione sovrana.
  Se questa soluzione fosse troppo eclatante a livello politico-criminale, ne proporrei una seconda comunque efficace, cioè prevedere – come per l'articolo 642, comma 3, o il 604 – in coda all'unico capo, in prospettiva, che raccolga tutti i delitti di contraffazione, una norma che dica esattamente la stessa cosa. Quindi, non andrebbe in parte generale – cosa che magari potrebbe essere stonante, visto che quell'elenco riguarda i delicta iuris gentium, quindi i delitti universali, per cui probabilmente è molto forte – ma più modestamente potrebbe immaginarsi una clausola di chiusura che consenta l'extraterritorialità.
  Con questo, mi permetto di suggerire una soluzione pratica, che consentirebbe finalmente di arrivare a individuare degli autori di reato e di oscurare, ove possibile, i siti che reclamizzano prodotti italiani sicuramente in spregio alle nostre normative, sempre che la vendita avvenga anche in Italia, altrimenti è un fatto estero su estero rispetto al quale non possiamo immaginare una giurisdizione universale.
  In ogni caso, con questa precisazione, questo è un primo suggerimento che credo possa essere condiviso per tutti i reati di contraffazione. È l'aspetto tecnico più semplice che mi permetto di suggerire.
  Un altro più complicato, che riguarda un fenomeno più generale che attiene al cosiddetto ne bis in idem convenzionale, è il problema del doppio binario, che si sta ponendo all'attualità in altri settori, in particolare sul diritto tributario. Ho, però, immaginato che anche nel settore della contraffazione – quale che sarà la risposta penale che questa Commissione o la nostra darà ai reati di contraffazione – si pone un problema.
  Questa materia è connotata da illeciti amministrativi che si sovrappongono sullo Pag. 8stesso tema decidendum del penale, quindi amministrativo e penale costituiscono un doppio binario, come avviene nel settore del tributario. Si pone, pertanto, un problema circa l'intreccio del diritto penale interno con il diritto sovranazionale, questione che già si conosce in Italia perché attiene al principio di specialità (articolo 9 della legge n. 689 del 1981): quando tra la norma penale e la norma amministrativa c’è un conflitto apparente si applica quella speciale, che è dotata di elementi specializzanti.
  Questa è la soluzione che si è sempre data quando c’è un conflitto fra norma penale e norma amministrativa. A questo problema, che è stato oggetto di molte sentenze della Corte di Cassazione (le troverete nel contributo in nota, se volete approfondire questo aspetto; adesso mi interessa che passi il messaggio e la nuova problematica), si è aggiunto un secondo problema con la famosa sentenza Grande Stevens, che si è pronunciata sul tema del market abuse, ovvero degli illeciti finanziari. Anche in quel caso, infatti, c’è un problema di compresenza tra illecito amministrativo e illecito penale.
  Vi chiederete perché si fa tutto questo ragionamento rispetto alla contraffazione. Provo a spiegarlo. Devo fare una premessa tecnica, ma spero di essere chiaro, perché la problematica è molto complessa anche a livello di studi e di approfondimenti, visto che attiene a un approccio del diritto nazionale a geometria variabile, al problema della comunitarizzazione della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell'uomo), con le questioni di costituzionalità che pendono, il dialogo fra Corte nazionale e corte CEDU e quant'altro.
  Insomma, la questione – ripeto – è molto complessa. Provo a sintetizzarla. La Corte sovranazionale, nella nota sentenza Grande Stevens, ha invocato il divieto di un secondo giudizio per il semplice fatto che nel nostro Codice di procedura penale c’è una norma, l'articolo 649, il cosiddetto principio del ne bis in idem, che vieta che nessuno possa essere punito due volte per lo stesso fatto.
  Ora, il problema è intendersi sul concetto di punizione. Tradizionalmente, per la punizione a livello penale, non si può essere processati due volte per lo stesso fatto. Tuttavia, la declinazione convenzionale, cioè verso i principi CEDU, è più ampia rispetto a quello che tradizionalmente intendiamo, per cui con la sentenza Grande Stevens si è intaccato questo principio. Anche una punizione amministrativa, che per i principi della CEDU sia intesa come sostanzialmente penale perché comunque afflittiva al pari del penale, può precludere un secondo giudizio, pertanto è stato invocato il ne bis in idem rispetto a una sanzione amministrativa che riguardava in quel caso il market abuse. In questa prospettiva il processo penale doveva essere neutralizzato perché scatta, appunto, il ne bis in idem per come convenzionalmente interpretato.
  Abbiamo, quindi, il problema del doppio binario: la sanzione amministrativa, che a livello convenzionale può essere intesa afflittiva al pari del penale, rischia di neutralizzare il penale, se viene applicata prima del penale stesso. Del resto, i tempi sono diversi, per cui c’è un rischio che la Commissione deve conoscere.
  Da operatori del diritto, vediamo le eccezioni difensive prima rispetto a quando il Parlamento possa conoscere la questione. Infatti, la Grande Stevens ha avuto un grandissimo impatto, perciò adesso ogni volta che c’è la possibilità di una sovrapposizione tra la sanzione amministrativa applicata per un fatto in qualche modo connesso o parzialmente sovrapponibile al fatto di reato, c’è il rischio che possa essere eccepito il ne bis in idem a livello difensivo in sede penale, che interviene molto tempo dopo rispetto all'amministrativo.
  Questo è tecnicamente possibile, in prospettiva, anche per quanto riguarda la contraffazione. Pensiamo, infatti, a tutte le sanzioni amministrative in tema di etichettatura o di diritto d'autore. Non ho affrontato il diritto d'autore, ma alla nota n. 12 del mio contributo trovate una giurisprudenza che ha sempre ritenuto speciale la sanzione amministrativa rispetto al Pag. 9penale, quindi ha sempre applicato la sanzione amministrativa. La Cassazione ha sempre detto questo rispetto al banale problema dell'articolo 9 della legge n. 689.
  Ora, il problema non è più tanto banale, ma diventa di ben più ampio respiro perché attiene a limiti sovranazionali e quant'altro. Il diritto d'autore è connotato anche di illeciti amministrativi che si sovrappongono. Questa materia (pirateria digitale o contraffazione in genere) è intessuta di violazioni amministrative.
  Di conseguenza, se è chiaro il problema che credo di aver esposto un po’ rozzamente (nel contributo è più chiaro, ma volevo che fosse più semplice nell'esposizione verbale), ritengo vi sia una possibile strada per risolvere questo nodo molto rilevante per tutto l'assetto penale ogni qual volta c’è un doppio binario. È ovvio che si tratta soltanto di una sentenza, ma già ci sono varie remissioni alla Corte costituzionale che riguardano l'articolo 10-ter del fiscale. Credo, quindi, che nei prossimi mesi la dottrina e la giurisprudenza anche costituzionale sarà chiamata su questo problema, pertanto è opportuno che il Parlamento avverta sin d'ora questa esigenza.
  Da operatore del diritto, suggerisco una possibile soluzione che potrebbe evitare rischi di ne bis in idem invocato in sede penale a fronte di illeciti amministrativi contestati in fase di indagine – forse è opportuno fare questo passaggio – dalla stessa polizia amministrativa che è anche polizia giudiziaria.
  Se il Corpo forestale, per conto del pubblico ministero, è delegato alle indagini penali, si tratta sempre di polizia giudiziaria che risponde al pubblico ministero.
  Apro una parentesi per dire che non si sa ancora se il Corpo forestale rimarrà, ma credo che nella prospettiva della lotta alla contraffazione e all'agropirateria dovrebbe essere un presidio irrinunciabile. Una qualunque altra polizia amministrativa (ICQ, Guardia di finanza e così via), che è anche polizia giudiziaria, contesta anche le sanzioni amministrative che nel corso dell'indagine verifica; queste poi seguono la loro strada e saranno irrogate, nel caso della Guardia di Finanza, dall'Agenzia delle Entrate. Questo è il canale.
  Se vogliamo disinnescare il «rischio Grande Stevens», dobbiamo fare in modo che non ci sia questo doppio binario e che sia sempre e solo il giudice penale, quando c’è una sanzione amministrativa riveniente dalle indagini penali, ad applicare la stessa sanzione amministrativa.
  L'idea che propongo è introdurre, anche qui in prospettiva, in coda all'unico capo che dovrebbe raccogliere tutti i reati di contraffazione, una norma analoga alla vigente già contenuta nella legge n. 689, all'articolo 24. Riproporrei, dunque, di ritrascrivere l'articolo 24 (che è del 1981, quindi va aggiornato) in coda al capo dedicato ai reati di contraffazione, in modo che venga attribuita in via esclusiva al giudice penale, che procede per il reato di contraffazione latamente intesa, la cognizione anche delle violazioni amministrative connesse obiettivamente al reato per cui si procede, ovvero – qui estenderei – a tutte quelle concorrenti comunque accertate nel corso del procedimento penale dalla medesima polizia amministrativa o basate sulle medesime risultanze investigative. Questo disinnesca il rischio che in sede penale possa essere detto che per questi fatti si è stati già sanzionati.
  Immaginiamo la questione dell'etichettatura o della tracciabilità dell'origine. Se c’è una violazione amministrativa già applicata, potrebbe essere la componente di una frode in commercio o di un articolo 517, per cui potrebbe intaccare in parte quel problema ed essere invocata. Pensiamo a quello che accade oggi nei processi per omicidio colposo da incidente stradale o per lesioni, là dove c’è una connessione obiettiva della violazione al Codice della strada, che è contestata dal pubblico ministero già con la richiesta di rinvio a giudizio, per cui il giudice penale, se condanna, condanna anche all'articolo 142 del Codice della strada. Credo che sia chiaro.
  Insomma, bisogna evitare il doppio binario. C’è poi una soluzione alternativa, sulla quale sono più perplesso, che vi sottopongo ugualmente, ovvero prevedere Pag. 10una presunzione legislativa che individui sempre la norma penale come assorbente rispetto all'illecito punitivo amministrativo, quando quegli elementi sono sovrapponibili.
  Tuttavia, sono più perplesso. Una presunzione legislativa che, per legge, dica che prevale sempre l'illecito penale in deroga al principio di specialità è possibile perché questa ipotesi già esiste all'articolo 9, comma 3, in tema di alimenti. Tuttavia, sarei – ripeto – più perplesso su questo perché le sanzioni amministrative interdittive e pecuniarie devono restare, non essere assorbite dal penale. Semmai, il problema è che sia il giudice penale che le applica una volta per tutte e che nel frattempo l'autorità amministrativa non le irroghi, altrimenti si pone il problema.
  A corredo di questa soluzione, dunque, immagino delle norme di raccordo che blocchino e informino l'autorità amministrativa che procede il giudice penale e che quindi ci sia un transito di informazioni fra l'autorità di polizia, che è anche polizia giudiziaria, pubblico ministero e giudice in modo da blindare questa possibilità.
  Queste sono le due soluzioni originali che mi permetto di avanzare rispetto alla relazione, che tengono conto una di una problematica futuribile (immagino che già domani in un primo processo di contraffazione utile possa essere sollevata una cosa di questo tipo); l'altra riguarda, invece, l’Italian sounding di cui credo questa Commissione abbia sentito parlare tante volte.
  Non so se su questo ci sono quesiti oppure posso andare avanti. In ogni caso, nella relazione troverete dettagli tecnici più approfonditi rispetto all'esposizione orale.
  Per il resto, condivido totalmente lo spirito della relazione del presidente Catania circa l'esigenza di una nuova collocazione e di un'unica classe sistematica dei reati di contraffazione latamente intesi entro un unico titolo.
  La prospettiva di questa Commissione sembrerebbe essere quella di portare tutto all'interno del Titolo VIII, «Delitti contro l'industria e contro il commercio». Effettivamente, pensare che ancora oggi dobbiamo affidarci all'evanescente categoria della fede pubblica (articoli 473 e 474, ma anche 474-ter, che pure è una norma importante a livello repressivo, infatti l'altra volta l'ho utilizzata come modello per arrivare a un reato organizzato, che però è ancora radicato dentro il concetto della fede pubblica) è una questione che può essere superata.
  Peraltro, in questi anni fenomeni usurpativi o contraffattivi hanno subito un progressivo processo di trasformazione qualitativa e quantitativa sotto il profilo criminologico. Forse bisogna considerare nuovi beni giuridici, come l'interesse dei singoli consumatori, anche se in realtà molti guardavano alla fede pubblica, quindi al consumatore, ma era un passaggio più indiretto, oppure al titolare del diritto di esclusiva, tuttavia c’è anche il problema della sicurezza, se abbiamo a che fare con alcuni prodotti (per esempio, medicinali e quant'altro) o quello dell'economia pubblica.
  Esistono anche altri beni-interesse che forse potrebbero essere presi in considerazione in questa nuova sedes materiae, come la competitività, che credo sia un interesse nuovo che può assurgere a bene giuridico – delitti contro l'industria, il commercio e la competitività – perché è chiaro che una contraffazione massiva intacca anche il mercato parallelo lecito. Dopodiché, c’è anche la concorrenza sleale, quindi competitività e concorrenza sono concetti che potrebbero comparire in un capo unitario che possa raccogliere tutto.
  Su questo, però, sono necessarie due premesse. Innanzitutto, il bene giuridico è sensibilissimo, per cui non mi permetto di dare suggerimenti. Mi fermo di fronte al Parlamento, nel senso che è tipica materia di politica penale. La scelta di quale dovrà essere il bene giuridico è prerogativa parlamentare prettamente intesa, quindi la rispetto e non mi sbilancio più di tanto.
  Segnalo soltanto che è sicuramente opportuno semplificare il più possibile le fattispecie penali, ma prima ancora la sistematica penale, quindi le classi di Pag. 11reato. La fede pubblica è il concetto che tanti, anche in dottrina, dicevano superato. Anche i pochi che hanno affrontato la contraffazione in dottrina avevano detto a un certo punto che bisognava emancipare i reati di contraffazione dall'orpello della fede pubblica, che ormai è superato.
  In ogni caso, credo che dobbiate essere consapevoli che toccare il bene giuridico è qualcosa di molto delicato, quindi bisogna farlo in maniera accorta perché ha un chiaro scopo orientativo per l'interprete. Quando, a livello pratico, non sappiamo come interpretare una norma perché c’è poca o nessuna giurisprudenza o perché è nuova o vaga (tante delle norme attuali in questo settore sono vaghe) ci si affida al bene giuridico, che ha un chiaro ruolo orientativo.
  Quindi, in un'unica sistematica, il bene giuridico deve essere chiaro e ben definito. Affinché sia chiaro qual è lo scopo e la funzione del bene giuridico e perché è importante che riscrivere il bene giuridico debba andare di pari passo con la drastica riduzione delle fattispecie, vorrei fare un esempio che deriva anch'esso dalla pratica giudiziaria.
  Mi riferisco all'articolo 517-ter, norma introdotta nel 2009 insieme all'articolo 517-quater, che recepisce quasi testualmente il vecchio articolo 127 del Codice della proprietà industriale.
  Ora, premetto che dell'articolo 517-ter e 517-quater, a oggi, a 6 anni dall'applicazione non si conosce giurisprudenza di Cassazione, ma nemmeno di merito. Sono davvero rarissime le sentenze sul punto. Di edita non ne ho trovata nessuna, il che significa che forse qualcosa va rivisto.
  A ogni modo, il problema dell'articolo 517-ter è che aveva una funzione, secondo quello che si intuisce dai lavori parlamentari, di colmare un vuoto di tutela lasciato scoperto dagli articoli 473 e 474. In sostanza, doveva coprire, per come è stato concepito nel 2009, lo spazio applicativo che riguarda l'imitazione servile del prodotto, come l’Italian sounding, ovvero la riproduzione abusiva del marchio ma non confusoria, a differenza degli articoli 473 e 474, cioè non ricollocarlo o ricondurlo nelle altre due fattispecie, che però sono procedibili d'ufficio, mentre questa è procedibile a querela.
  Ebbene, a livello pratico, in un processo può accadere che si contesti l'articolo 473 o 474, ma non si capisce bene se è veramente quello oppure il meno grave articolo 517-ter, a querela. La sottile linea di distinzione probabilmente è affidata al grado di contraffazione. Se il grado è infimo dovremmo andare verso l'articolo 517-ter, se, invece, abbiamo a che fare con un'altra contraffazione più elevata dovremmo andare nell'altro fronte.
  Tuttavia, spesso e volentieri, nella pratica, il grado di contraffazione è affidato a delle testimonianze di persone preposte all'ufficio contraffazione dallo stesso soggetto danneggiato, per cui potrebbe essere una testimonianza non perfettamente imparziale ma interessata, dal momento che quella stessa azienda si è, magari, costituita parte civile.
  Allora, per stabilire se veramente abbiamo a che fare con un articolo 473 o 474 contestato piuttosto che con un meno grave articolo 517-ter, il giudice dovrebbe fare affidamento alla categoria del bene giuridico. Abbiamo, però, categorie del bene giuridico un po’ strabiche, perché se è intaccata la fede pubblica vuol dire che dovrebbe essere ingannato il consumatore; se, invece, è violato soltanto il diritto all'uso esclusivo del marchio astrattamente concretizzabile attraverso la perdita del prestigio del marchio stesso, dovremmo andare verso il 517-ter.
  Tuttavia, questa è un'altra fattispecie che sta in un'altra classe sistematica, per cui si potrebbe arrivare a un esito che è una non giustizia, ovvero che alla fine del processo per 473 il giudice non ravvisa questo bensì il 517-ter non contestato, per il quale, nella migliore delle ipotesi, non c’è la querela e, nella peggiore, un'immutazione del fatto, per cui restituisce gli atti ai PM, ai sensi dell'articolo 521, che deve ricominciare da capo, ma nel frattempo la prescrizione è decorsa.
  Dico questo per due ragioni. La prima è che il bene giuridico deve essere chiaro; occorre, quindi, un unico bene giuridico in Pag. 12tutti e due gli ambiti e poche fattispecie, per evitare che si arrivi alla fine di un giudizio con una fattispecie leggermente diversa, per cui ci si deve affidare a un'altra fattispecie che ha un altro bene giuridico e che non può essere riqualificata direttamente dal giudice, cosa che determina problemi processuali pratici.
  Vi rimando a quello che prevede il Codice sul principio della perfetta corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, cioè la sentenza deve essere aderente alla qualificazione giuridica che dà il PM. Il giudice la può cambiare, ma non ne può immutare strutturalmente i connotati, altrimenti deve restituire gli atti. In questo caso, c’è questo rischio.
  Per questo, occorre un unico bene giuridico e poche fattispecie. Quello che oggi è un articolo 517-ter può diventare semplicemente un inciso, un comma degli articoli 473 e 474, il tutto in una classe unitaria. Questo era un esempio per capire come le due cose vanno insieme: bene giuridico, materia sensibile, e scopo orientativo, quindi diamo un bene giuridico unitario, ma allo stesso tempo armonizziamo le fattispecie.
  Per il resto, condivido perfettamente la direttrice che trapela in queste linee che sono state condivise, cioè, appunto, armonizzare le fattispecie.
  Ho fatto l'esempio dell'articolo 517-ter. L'articolo 517 è un altro caso su cui c’è un mare magnum applicativo, con tutto il problema della legge finanziaria e la tutela del made in Italy, del contrasto fra il diritto nazionale punitivo e quello comunitario, il concetto di ultima trasformazione e così via.
  Anche su questo, l'articolo 517 potrebbe essere più chiaramente distinto dal 473 e dal 474 perché, per come sono confezionate, sono tutte norme specializzanti l'una dell'altra. L'una ha elementi specializzanti che non sono nella norma generale, però questo interscambio non funziona. Quindi ritengo che bastino 2-3 fattispecie di contraffazione, prevedendo delle aggravanti specifiche per alcune categorie di prodotti, come l'agroalimentare.
  L'articolo 517-quater è probabilmente una specificazione del 473 e del 474, di cui non si conosce applicazione pratica. Del 517-quater può essere colta l'esigenza politico-criminale di dare una dimensione punitiva più forte, simbolicamente marcata rispetto all'agroalimentare. Basta, però, introdurre un'aggravante nell'ipotetico 473 e 474 riscritto. Peraltro, gli stessi 473 e 474 hanno dei commi che sono sistematicamente sconnessi; addirittura ci sono delle condotte punite più gravemente rispetto a un disvalore offensivo che è poco coglibile. Di questo, troverete delle specifiche nella relazione, quindi non vado nel dettaglio.
  Si tratta di riassorbire commi e di rivalutare anche la gravità dei fatti. Alcune volte le sanzioni attuali non corrispondono all'effettivo disvalore del fatto.
  Come potrebbe essere individuato l'oggetto materiale di questi reati di contraffazione ?
  L'idea che possa farsi riferimento per rinvio al Codice della proprietà industriale mi rende molto perplesso, per una ragione anche simbolica. Il Codice penale è autosufficiente; non ci sono precedenti in cui, per definire l'ambito di applicazione di un reato, si debba fare rinvio a un altro codice.
  Per la definizione si fa rinvio all'articolo 1 del Codice della proprietà industriale. Ecco, questo mi rende molto perplesso perché il Codice penale deve essere autosufficiente e dobbiamo evitare la possibilità che l'interprete del penale, per capire l'ambito di applicazione del penale stesso, debba fare rinvio a un altro codice. Più semplicemente, per definire l'oggetto materiale dei nuovi reati, condivido l'idea che possa essere adottata una definizione giuridica prescindendo dai settori merceologici, perché questo ha creato una grande confusione e una stratificazione, ma è necessario che richiami testualmente la definizione del Codice della proprietà industriale, in modo da rendere autosufficiente il Codice penale a livello definitorio.
  Dopodiché, si tratta di guardare ad alcuni oggetti materiali nel novellato articolo 473. Per esempio, con la riforma del Pag. 132009 è scomparso un qualcosa, perché nella nuova disposizione la falsificazione dei segni distintivi delle opere dell'ingegno non assume più rilevanza, per cui – questo è un altro suggerimento – se abbiamo il titolo e il nome di un'opera dell'ingegno (pensiamo a un format televisivo, a un giornale, un libro o un software), se sono registrati come marchio e non come segno distintivo, il loro sfruttamento abusivo, per come è scritto attualmente nell'articolo 473, non assume rilevanza. Ecco, anche in questo caso una riscrittura più corretta e coordinata del 473, che tenga conto anche di questo, potrebbe colmare questa possibilità.
  Un altro aspetto che potrebbe essere colto, nell'ipotetica riscrittura degli articoli 473 e 474, attiene a questo inciso: questi reati sono punibili a condizione che siano osservate le norme delle leggi interne sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. Questo porta a interpretare queste clausole come ritenere non sufficiente il deposito dalla domanda di registrazione, ma necessaria l'effettiva registrazione. Ecco, in una prospettiva di maggior irrigidimento repressivo, si potrebbe anticipare questa condizione – quindi non già l'effettivo deposito, ma semplicemente la domanda di registrazione, che è comunque pubblica – il che anticiperebbe la punibilità. Sono piccoli suggerimenti.
  Il reato di attività organizzata (articolo 473-ter) è importante. L'altra volta dicevo che lo potremmo utilizzare come modello, ma, sempre partendo dall'esperienza pratica di operatore del diritto, penso debba essere trasformato da circostanza aggravante, sia pure a effetto speciale, a reato autonomo, perché bisogna evitare la possibilità che una circostanza attenuante generica, piuttosto che una qualunque altra attenuante, sia prevalente o quantomeno equivalente alla contestata aggravante del 473-ter, quindi torna a essere applicata la sanzione base, visto che a quel punto è nullificato l'inasprimento.
  Per questo, dovrebbe essere trasformato in reato autonomo ed eventualmente unico reato autonomo organizzativo che racchiuderebbe tutte le ipotesi. Altrimenti, un'altra soluzione per evitare quello che accade con il giudizio di bilanciamento che il giudice penale fa con l'articolo 69 sarebbe creare una blindatura dell'aggravante, sul modello di quello che è stato fatto per le nuove aggravanti della rapina.
  Prendete come esempio l'articolo 628 ultimo comma, che rende impossibile il giudizio di prevalenza o di equivalenza delle attenuanti da parte del giudice, a fronte di un'aggravante blindata, quindi la diminuzione si fa soltanto dopo che si sono applicati gli aumenti di pena. Questa è, appunto, una deroga all'articolo 69. Tuttavia, anche simbolicamente, credo sia più opportuno elevare a fattispecie autonoma di reato.
  L'idea potrebbe essere anche che, nel riscrivere come fattispecie autonoma di reato il 473-ter (quale che sarà la sua futura numerazione), si introducano delle aggravanti specifiche, cosa che nel lodevole intervento del 2009 su questa parte era stato effettuato, nel caso in cui l'attività organizzata contraffattiva nuoccia alla salute delle persone o le metta in pericolo di vita.
  Questa è un'ipotesi che ci può stare nella dimensione massiva organizzata, quindi potrebbe essere immaginata come un'aggravante, ma della fattispecie autonoma organizzata. Tra l'altro, c'era anche una risoluzione del Parlamento europeo del 2007, come indicato nel contributo, che imponeva di prevedere, quando la contraffazione riguarda prodotti che possono comportare il rischio per la salute e la sicurezza delle persone, una punizione di reato non inferiore a 4 anni. Quindi, ci sarebbe anche un appiglio sovranazionale per giustificare questa aggravante.
  Concludo molto rapidamente. Sulle attribuzioni alla procura distrettuale, sono in conflitto d'interesse perché, da pubblico ministero di una procura circondariale, vedo con poco entusiasmo l'attribuzione alla procura distrettuale.
  A parte la battuta ironica, alla procura distrettuale vanno date poche competenze. Credo che non occorra esagerare ad attribuire tutto alla procura distrettuale. Per esempio, lo si è fatto con l'articolo 260 del Pag. 14Testo unico dell'ambiente e con i reati informatici dopo la Convenzione di Budapest (oggi, per una banale frode informatica passa tutto per la procura distrettuale), ma non sempre questa gestione distrettualizzata funziona.
  Se c’è un'effettiva esigenza di coordinamento e di specializzazione, ha senso. Tuttavia, sull'affidare tutta la materia della contraffazione sarei molto perplesso. Non sarei entusiasta di pensare che la fattispecie organizzata possa essere affidata alla distrettuale perché oggi questa ha già la competenza per l'articolo 416 quando è finalizzato all'articolo 473 e al 474, sulla base della novella del 2009.
  A oggi, l'articolo 473-ter non è della distrettuale perché non è un reato associativo. Potrebbe esserci un 473-ter che impone forme di coordinamento anche sovranazionale e nazionale, per cui in quel caso c’è l'esigenza di una distrettuale. Tuttavia, se scatta l'associativo, abbiamo già una competenza distrettualizzata, ma non è detto che tutte le attività organizzate abbiano una vocazione transnazionale piuttosto che una dimensione nazionale, che impone l'attribuzione alla DDA, quindi sarei molto più cauto su questo.
  Semmai, sarebbe molto più interessante, al fine di contrastare la contraffazione sistematica, recepire il modello delle operazioni sotto copertura, e quindi la figura dell'agente provocatore, con la possibilità di fare, per esempio, degli acquisti simulati su internet, attraverso il modello dell'articolo 9 della legge n. 146 sul crimine transnazionale, applicando questa possibilità ai comparti della contraffazione in particolare organizzata. Quindi, non è tanto un problema di attribuzione di competenze, ma di strumenti tipici di DDA, che però in questo caso potrebbero essere gestiti con facilità anche dalle singole procure circondariali.
  Infatti, per esempio, il caso di un acquisto simulato è una prova molto forte. Nel 2009 sono state introdotte delle attenuanti speciali per chi collabora. Non credo, però, che vi sia stata una grande applicazione. Mi riferisco all'attenuante speciale per chi collabora e dice come funziona l'organizzazione. Ecco, siccome il 473-quater, quinquies e così via non ha avuto una grossa fortuna, forse prevedere altri strumenti quali le operazioni sotto copertura o richiamare l'articolo 9 della legge n. 146 potrebbe essere uno strumento importante. L'idea dell'acquisto sotto copertura o di infiltrare degli agenti di PG dentro le aziende che fanno questo per professione diventa una prova inoppugnabile. Quindi, credo che sia molto più efficace rispetto a una generica attribuzione di una funzione alla distrettuale.
  Inoltre, c’è un'altra difficoltà che la polizia giudiziaria mi riferisce, ovvero di gestire un'indagine di un qualunque ufficio periferico con la distrettuale che è allocata nel capoluogo della Corte d'appello, dunque è meglio avere strumenti e poi relegare la competenza della DDA all'agromafia. Quando c’è la criminalità organizzata che interviene nell'agroalimentare – ci sono dei casi noti alla cronaca – allora c’è la competenza della DDA. Su questo, però, c’è già l'articolo 7 della contestazione dell'aggravante mafiosa che già può giustificare la competenza della DDA.
  In merito alla speciale tenuità del fatto (articolo 131-bis), è stata attribuita al giudice una grande discrezionalità nel valutare che cos’è il fatto specialmente tenue. Bisognerà vedere in seguito, perché è in vigore dal 2 aprile e non abbiamo casistica. Per cornice edittale, tutti i reati di cui stiamo parlando ricadrebbero, in astratto, in questa clausola, salvo il 473, i cui limiti edittali sono superiori perché sono di 5 anni. Tuttavia, se abbiamo a che fare con i fenomeni di contraffazione, purtroppo, anche i casi di marginalità sociale che coinvolgono la contraffazione sono sistematici e abituali. Anche il «vu cumprà» che vende per la strada merci notoriamente contraffatte, ha alla base un'organizzazione che lo dota di quegli strumenti, lo mette in quella piazza, lo accompagna con il furgone, lo va a riprendere, gli fornisce il mezzo. Quella è attività organizzata, ovvero un 473-ter.
  Anche quel caso, che è un tipico fenomeno di ambulantato, quindi si percepisce meno un'esigenza politico-criminale di Pag. 15tipo repressivo, è sistematico e abituale. Ora, l'articolo 131-bis nella versione definitiva approvata esclude espressamente dalla previsione della tenuità del fatto le condotte abituali (leggo il passo: «Chiunque abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità»), ma i contraffattori non lo fanno una volta soltanto, salvo casi isolati.
  La lettera b) che è prevista in questo articolo 131 fa riferimento sicuramente ai reati strutturalmente abituali come il 473-ter, che per definizione, però, non rientrano nel 131, ma anche a condotte che di per sé potrebbero essere tenui, ma che non rientrano nella fattispecie organizzata, come il «vu cumprà» che commette il reato per sopravvivere. Ecco, quella è una reiterazione di più reati della stessa fattispecie, per cui già giustificherebbe che non possa essere invocata la speciale tenuità del fatto.
  È chiaro che è importante – come procura di Siena lo abbiamo fatto – che la polizia giudiziaria segnali al pubblico ministero sin da subito la reiterazione di condotte della stessa specie per evitare che si chieda l'archiviazione. Il PM deve essere sempre informato che quel soggetto è stato già fermato altre volte a fare la stessa attività.
  C’è, ovviamente, un problema per l'identità soggettiva degli extracomunitari. Tuttavia, con il CUI, sistema univoco di identificazione, quindi con il codice alfanumerico, ci si arriva. La polizia giudiziaria è in grado di farlo. Anche se il soggetto declina 20 identità diverse, con il fotosegnalamento si riesce a stabilire in tempo reale che è sempre lui.
  La Polizia giudiziaria deve, però, essere brava – noi come direttiva lo abbiamo chiesto – a segnalare tutti i precedenti anche di polizia di quella persona o sullo stesso fatto, in modo che l'autorità giudiziaria sa che ricade in un'ipotesi in cui nessuno potrà mai chiedere fondatamente l'applicazione della speciale tenuità del fatto.
  Da ultimo, sulle misure ablatorie e sulle pene accessorie mi riporto a quello che ho detto la volta scorsa circa l'opportunità che possano essere individuate delle pene accessorie, come la pubblicazione della sentenza di condanna, ma anche molte altre, comuni per tutte le fattispecie di contraffazione, prendendo – mi dispiace che non ci sia l'onorevole Mongiello – tutte le sanzioni accessorie individuate nella salva-olio, che però riguardano soltanto quella filiera. Occorre, perciò, estrapolarle, generalizzarle e introdurle in coda a questo unico ipotetico capo che racchiuda tutte le ipotesi di contraffazione e verosimilmente anche di frode in commercio, con particolare riferimento anche allo strumento dello speciale divieto, fino a 5 anni, di porre in essere qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria, che è una sanzione molto interessante della salva-olio, che andrebbe, appunto, generalizzata.
  Mi permetto di segnalare anche l'opportunità di valorizzare al massimo uno strumento che già esiste nell'attuale Codice di procedura penale, che nella pratica dei reati di contraffazione, di falsificazione o di frode in commercio ho utilizzato molto spesso e che ha un'efficacia molto forte anche a livello preventivo.
  Mi riferisco alla possibilità di generalizzare e valorizzare al massimo lo strumento contenuto nell'articolo 85 delle disposizioni di attuazione al Codice di procedura penale, cioè il dissequestro condizionato. Occorre fare in modo di prevedere delle norme che per l'ipotesi di contraffazione sono importanti, perché tutto ciò che è contraffatto viene chiaramente sequestrato probatoriamente o preventivamente, quindi l'indagato, che poi diventerà eventualmente imputato nel dibattimento, viene privato del prodotto che è corpo del reato.
  Per quando riguarda gli alimenti, quindi la materia deperibile, spesso nella pratica si utilizza lo strumento del dissequestro condizionato con prescrizione, cioè si impone alla parte, se vuole riottenere il prodotto, di renderlo conforme, a proprie spese, all'effettiva classificazione merceologica che individua la PG, il che ha tre effetti.Pag. 16
  Il primo è che si induce il reo che abbia subito un sequestro preventivo probatorio a farsi carico delle operazioni necessarie a rendere il prodotto contraffatto nuovamente commerciabile.
  Per esempio, il reo richiama in azienda tutte le bottiglie di vino contraffatte e le etichettata a una classe merceologica conforme alla reale qualità analitica; quindi, è indotto a una politica virtuosa. Lo deve fare per forza se vuole riprendersi il prodotto. Pertanto, l'autorità giudiziaria lo sta inducendo verso una prassi virtuosa conforme alla legge: è instradato dal PM verso i canoni della legalità, il che è importante anche a fini specialmente preventivi. In questo modo, il reo sconta subito una prima pena, quale che sarà il processo, perché il declassamento è una perdita economica.
  Abbiamo, quindi, tre effetti in uno. Innanzitutto, possiamo valorizzare il più possibile l'articolo 85 attraverso una clausola che ho immaginato in questi termini. Si tratta di prevedere sempre una norma di chiusura che preveda la confisca del corpo del reato, quando non si può procedere al declassamento. Pertanto, occorre prevedere che quando c’è un prodotto contraffatto, debba essere confiscato. Dopodiché, in fase di indagine, bisogna rendere salve e valorizzare più possibile queste opportunità: salva l'applicazione dell'articolo 85 delle disposizioni di attuazione, che è uno stimolo per il reo a riottenere prodotto, ma conformandosi alle risultanze investigative. Altrimenti, il prodotto del reato è soggetto a confisca obbligatoria.
  Una clausola di questo tipo renderebbe molto efficace lo strumento del declassamento merceologico o della regolarizzazione amministrativa del corpo del reato.
  Ecco, con questo ho detto quali sono gli aspetti principali delle suggestioni che ho ritenuto di poter riferire dalla relazione del presidente Catania. Sono, comunque, a disposizione. Spero di essere stato chiaro e soprattutto utile per questo consesso.

  PRESIDENTE. Rivolgo un ringraziamento al dottor Natalini. Abbiamo avuto una relazione di una ricchezza di contenuti non usuale, anche molto tecnica, ma non poteva essere diversamente. Ci sono stati anche dei suggerimenti specifici, nella parte iniziale, relativi alla territorialità e al nel bis in idem.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Rivolgo anch'io un ringraziamento al procuratore Natalini per il lavoro prezioso che fa sul territorio e sui nostri prodotti. Devo dire che le indagini che sono state svolte sull'olio, sul vino e anche su altre partite dell'agroalimentare sono state efficaci e credo che rappresentino anche un modello, vedendo anche altre situazioni.
  La ringrazio anche per l'approccio che ha avuto con noi, a partire dalla premessa correttissima che ha fatto, cioè che è originale che il legislatore chieda a lei alcune indicazioni. Fra l'altro, noi non siamo una Commissione ordinaria, ma di indagine su un fenomeno, quindi non saremmo nemmeno noi a scrivere le norme. C’è una relazione che il presidente ci ha sottoposto; la Commissione la sta esaminando. Devo dire che, su alcune parti, non ho nemmeno seguito più di tanto, anche perché occorrerebbero le competenze dei nostri colleghi della Commissione giustizia per poter entrare nel dettaglio.
  Rispetto ad altri aspetti, l'ho ascoltata con interesse e sarà interessante leggere con attenzione il contributo che ci ha portato, come quello che ho già visto della sua audizione svolta in relazione all'indagine proprio sull'olio d'oliva.
  Visto che lei è qui, mi permetto di farle qualche altra domanda perché il suo punto di vista è interessante per questa Commissione anche in termini più generali. Per esempio, da quando ho appreso dell'intenzione assunta dal Ministro Orlando di dar vita alla Commissione, di cui le fa parte personalmente mi sto interrogando se ci fa fare complessivamente un passo in avanti come sistema Paese fare un lavoro ad hoc soltanto sull'agroalimentare. Pag. 17Perché una Commissione che si dà l'obiettivo di aggiornare il quadro normativo, lo fa solo sulla contraffazione di natura agroalimentare e non sul resto ?
  Lei stesso ha fatto riferimento alla necessità di fare il punto su norme abbastanza recenti come quelle del 2009. Mi verrebbe da chiedere se non è il caso di fare un ragionamento complessivo sul sistema che ci siamo dati, perché la scelta di dar vita al CNAC (Consiglio Nazionale Anticontraffazione) o ad altri strumenti di questo tipo aveva, nell'allora legislatore, una visione complessiva, quindi non più i singoli ministeri che intervengono sulla contraffazione nel loro campo, ma una visione di sistema.
  Invece, vedo il dar vita a una Commissione che opera solo su un argomento come un discostarsi da questo modello, a meno che nella mente del ministro non ci sia l'idea di iniziare dall'agroalimentare per poi procedere su altri campi. Quindi, mi interesserebbe capire il suo punto di vista su questo.
  Un'altra cosa, sempre in relazione a un passaggio che ha fatto, citando il Corpo forestale dello Stato, è che anch'io sono abbastanza preoccupata del percorso che è stato intrapreso con le norme, pur comprendendo la necessità di un riordino, una semplificazione e così via. Mi preoccupa l'idea che si parta solo dal Corpo forestale, considerato il ruolo che svolge proprio sulla contraffazione, perché non siamo dentro il disegno complessivo di riordino di tutti i corpi di polizia a fini anche di razionalizzazione.
  Allora, visto che in più passaggi ha fatto riferimento alla polizia giudiziaria o comunque ai soggetti che intervengono nelle indagini sulla contraffazione, le chiedo se attualmente, anche nel funzionamento e nel coordinamento fra i tanti soggetti di polizia che intervengono in materia, c’è da intervenire per ottimizzare o per fare qualche ulteriore passo in avanti.
  Anche dalle audizioni che stiamo svolgendo come Commissione, non sempre abbiamo questa sensazione, a partire dagli stessi dati a disposizione, ovvero dallo scambio dei dati fra le stesse forze di polizia coinvolte nelle indagini.
  L'ultimissima considerazione è questa. Sul tema dell'Italian sounding, ma anche su altri punti che ha toccato nella sua relazione, ha fatto riferimento alla questione dei limiti spaziali della norma, quindi alla possibilità che possano essere applicate norme che ipoteticamente si vanno a rivedere e che guardano, appunto, all’Italian sounding o ad altri fenomeni di contraffazione che intervengono anche all'estero.
  Come lei sa molto meglio di me, su questa partita resta aperto un tema, ovvero quello delle norme comunitarie, dall'etichettatura, al made in e quant'altro. Temo, dunque, che il nostro ragionamento sulla necessità di rivedere alcune di queste norme dovrà necessariamente misurarsi anche con l'evoluzione a livello europeo e forse tradursi in un salto di qualità e di coordinamento delle stesse forze di polizia di carattere internazionale, altrimenti vedo uno sforzo che a un certo punto non riuscirà ad andare oltre i nostri confini.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro audito per una breve replica.

  ALDO NATALINI, Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena. Si parte dall'agroalimentare. Non so quali sono le intenzioni ministeriali. Posso riferire quello che è stato segnalato dal ministro in sede di insediamento circa l'urgenza di intervenire con norme organiche e innovative nel settore dell'agroalimentare.
  Personalmente condivido l'esigenza che si parta dall'agroalimentare, ma non lo si veda come un comparto distinto rispetto a tutto il resto del fenomeno contraffattivo. L'agroalimentare rientra sicuramente nell'ambito di una definizione generale che sul prodotto DOP o altro sta già nel Codice della proprietà industriale. Immaginiamo, però, che per la vicenda Expo sia urgente una soluzione normativa nuova sull'alimentare, quindi suppongo che si parta da questo settore.Pag. 18
  Per quanto riguarda il CNAC posso dirle, onorevole, che in sede di insediamento ci è stato distribuito – credo che sarà molto utile per noi; ne ho dato una copia anche al presidente che credo lo distribuirà – il prospetto sinottico delle varie posizioni, ministero per ministero, amministrazione per amministrazione, rispetto a tutto il tema della contraffazione. Pertanto, reato per reato, abbiamo l'attuale sistema vigente, le proposte del rappresentante dello sviluppo economico, del ministero dalla giustizia, del MIPAF, dei Carabinieri, delle dogane, del rappresentante di Altagamma e la posizione di questa Commissione parlamentare.
  Credo che valorizzeremo molto questo prospetto perché ci potrà servire anche per arrivare – se ce la facciamo, nei tempi strettissimi che si sono stati dati – a una soluzione che possa essere il tassello che si innesta il più possibile, in maniera compatibile, con un fenomeno contraffattivo più ampio. Certo, è difficile partire dalla fine, quindi non so se materialmente riusciremo in questa operazione chirurgica di individuare l'agroalimentare per poi fare in modo che quello che si scrive su questo possa essere compatibile, un domani, con quello che si dirà sulla contraffazione più in generale.
  Su questo, presidente, pensiamo a dei raccordi anche nei lavori, in modo che quello che man mano scriveremo sull'agroalimentare possa essere compatibile con la linea di tendenza che questa Commissione sulla contraffazione in genere individuerà a livello politico-criminale forte. Questa è l'unica strada per fare un lavoro che sia comunicato passo passo, con una sorta di camera di compensazione.
  Insomma, l'agroalimentare è sicuramente un tassello di un qualcosa di più ampio. Certo, è un comparto il cui fenomeno contraffattivo ha assunto una tale importanza a livello macroeconomico che forse impone una risposta urgente.
  La risposta che è stata data nel 2009, con l'articolo 517-quater, che doveva essere la norma sull'agroalimentare, non è sicuramente idonea. In questo senso, è una sconfitta perché quel tipo di soluzione specializzante non è servita. Credo che si possa dire che una norma che doveva essere dedicata solo a quello non ha prodotto alcunché, dunque dobbiamo immaginare soluzioni di tipo diverso. Non so se saranno originali; cercheremo di lavorare con questa preoccupazione, cioè di vederla come un tassello in un discorso più ampio.
  Riguardo al Corpo forestale dello Stato e ai corpi di polizia specializzati, per esperienza ho lavorato sempre con corpi di polizia specializzati in questo tipo di indagine, qualche volta con il Corpo forestale dello Stato, molte volte con l'Ispettorato centrale per la repressione frodi (credo ci sia stata anche un'audizione del dottor Vaccari), spesso anche con la Guardia di finanza in parallelo. Infatti, quando si entra nel mondo aziendale del mercato contraffattivo c’è il problema della legge n. 231, del fiscale e della ricostruzione del vantaggio economico, cosa che la polizia ambientale o agroalimentare non ha gli strumenti per fare, quindi vi si affianca. In questi casi, sono due forze di polizia specializzate che ritengo irrinunciabili.
  Da pubblico ministero mi preoccupa molto immaginare che quello che è stato fatto in questi anni nell'ambito dell'agroalimentare da forze specializzate di polizia, come il Corpo forestale o da soggetti non di polizia come l'Ispettorato centrale per la repressione frodi, che ha in carico le più importanti indagini in Italia in questo momento (pensiamo al biologico) possa essere disperso in un altro mondo, abituato per ovvie specializzazioni e settori di appartenenza che negli anni si sono sviluppati, a occuparsi di ordine pubblico, di immigrazione o altro.
  Non ho mai delegato un'indagine di questo tipo alla Polizia di Stato perché fa altro. Può fare, quindi, un altro tipo di indagine. Qualche volta ho lavorato con i Carabinieri, ma ci sono comunque dei reparti speciali. Avete anche audito alcuni generali dei Carabinieri.
  Insomma, la specialità, per questo tipo di reati, è una risorsa indiscutibile. Come pubblici ministeri, essendo noi che deleghiamo Pag. 19le indagini, potremmo anche prescindere – cosa che facciamo quando ravvisiamo un'esigenza di specializzazione – da chi ci trasmette la notizia di reato, che poi possiamo delegare al Corpo di polizia che meglio riteniamo. La competizione tra forze di polizia su chi arriva prima sulla scena del delitto è banalizzante perché può arrivare primo chiunque, ma è il pubblico ministero che, quando deve decidere a chi attribuire un'indagine tecnica, l'attribuisce a un Corpo di polizia specializzato, finché questo rimane, altrimenti si deve affidare a dei Corpi di polizia generici, ma questo significa, però, disperdere tutto.
  Peraltro, questo vale anche per altre specializzazioni. Per esempio – non c'entra con la contraffazione, ma è un problema trasversale – sono stati ridotti sensibilmente, sulla base degli ultimi provvedimenti amministrativi, i presidi della Polizia postale in Italia, che oggi è una risorsa indispensabile per qualunque tipo di indagini perché ormai la perquisizione è quella informatica, delle e-mail; non possiamo più pensare solo alla perquisizione fisica tradizionale.
  A ogni modo, se debbo nominare ogni volta un consulente tecnico informatico che deve estrapolare il computer e fare l'attività che una volta faceva la Polizia postale, credo che i risparmi che sono stati enunciati nella riduzione dei presìdi della Polizia postale si siano nullificati nel giro di pochissimi mesi. Infatti, mentre la Polizia postale lo fa per delega del PM, quindi a costo zero, un consulente informatico deve essere pagato.
  Lo stesso vale per il settore agroalimentare. Se non abbiamo più la forza speciale e dobbiamo affidarci a dei consulenti merceologici o a dei laboratori chimici che paghiamo, quando abbiamo i laboratori dell'ICQRF o quelli delle dogane che lo fanno a costo zero per lo Stato, è un problema. Da pubblico ministero, non avere più una forza di polizia specializzata per certi tipi di indagine è un dramma.
  Possiamo indubbiamente superare le competizioni. Ora, quando c’è un fatto di reato, il primo che arriva fa la comunicazione della notizia di reato e si garantisce, sulla base delle competenze interne fra forze di polizia, l'esclusività. Poi, però, è il PM che decide. È chiaro che se è un'attività di indagine specializzata, la delega a chi è specializzato. Questo è sicuramente un problema preoccupante.
  Riguardo alle norme comunitarie e ai conflitti, l'articolo 517 rappresenta la norma più problematica di tutte. Dovrebbe essere la norma sul made in Italy, ma ha creato tanto di quel contenzioso comunitario, con il concetto di ultima trasformazione, etichettatura, codice doganale. Insomma, dobbiamo ragionare su questo. Dovremmo farlo anche noi come Commissione ministeriale. Infatti, anche se la problematica è talmente ampia che credo ci vorrebbero sessioni molto più lunghe, c’è una sottocommissione che dovrebbe occuparsi della compatibilità del diritto comunitario rispetto a certe tematiche.
  In sostanza, bisogna ragionare sulla possibilità che si possa creare una fattispecie penale che presìdi il made in Italy senza per questo violare i principi del diritto comunitario. È un'operazione molto delicata e molto difficile perché possiamo scrivere la norma migliore, ma in realtà nel conflitto con il diritto comunitario – vale quello che dicevo sul problema del ne bis in idem convenzionale – si rischia che si infranga, e quindi venga disapplicata dal giudice penale, la norma incriminatrice punitiva proprio in quanto contrastante con il diritto comunitario.
  Per esempio, questo è accaduto in tema di scommesse on line con bookmakers esteri, con l'articolo 4, legge n. 481 del 1989, là dove negli anni si è assistito a un contenzioso enorme fra quello che scriveva il legislatore, dicendo che dobbiamo garantire il gioco secondo i nostri canoni, e quello che dicevano le norme comunitarie e la Corte e la Corte di giustizia (sentenza Gambelli, Placanica e altri), che invece affermavano la valenza dei principi comunitari.
  Ecco, dobbiamo evitare tutto questo. È un conflitto permanente che oggi l'interprete e anche il legislatore hanno quando bisogna confrontare il nostro ordinamento Pag. 20penale, che vuol proteggere le proprie specificità anche con norme penali (che credo abbiano una logica e debbano restare perché il presidio penale deve essere presente per certi fatti gravi), con le libertà comunitarie, là dove valgono altri principi. Bisogna, pertanto, trovare un punto di equilibrio che credo ci impegnerà tutti.
  L'attuale assetto dell'articolo 517 e le norme della legge finanziaria hanno creato questa alluvionale produzione legislativa, per cui il 517 si applica anche a questi casi. Avete visto quante altre volte si è intervenuti e si è detto che prima c’è la sanzione amministrativa e poi quella penale e così via. Ecco, non è possibile immaginare che il made in Italy si tuteli con una lenzuolata di norme scritte. Chi legge l'articolo 49 di quella legge finanziaria che dovrebbe rendere applicabile il 517 si accorge che è una lenzuolata. Una norma di quel tipo è completamente incomprensibile.
  Occorre, peraltro, considerare un altro aspetto che deriva sempre dall'esperienza giudiziaria. Nel conflitto fra norma penale interna e norma comunitaria, il cittadino che colpa ha se c’è addirittura un conflitto tra quello che scrive il legislatore penale e la norma comunitaria ?
  Il dolo di una fattispecie penale potrà essere escluso dal giudice. Ricordiamo quello che ha detto la Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988, con il problema dell'ignoranza inevitabile. Ci sono, dunque, delle situazioni di conflitto in cui c’è una buona fede, per cui ci si affida a quello che prevede una normativa, magari anche comunitaria, che fanno venire meno il reato.
  Insomma, dobbiamo evitare il più possibile un contenzioso di questo tipo perché renderebbe tutto inutile. Con un'indagine fatta nel migliore dei modi per un 517 sul made in Italy, con sequestri e quant'altro, a fronte di un conflitto comunitario, il futuro imputato invocherà chiaramente un problema di ignoranza inevitabile, ovvero un articolo 5, come è stato novellato dalla Corte costituzionale, quindi sarà scusato con una sentenza del giudice che lo assolverà quantomeno in punto di dolo.
  Tutto questo si riflette nell'ambito processuale con dei mancati rimproveri in capo agli imputati. Il problema, dunque, è molto forte, come tutte le volte in cui c’è una tensione fra il diritto interno e il diritto sovranazionale o una contraddizione fra atti della pubblica amministrazione che autorizzano e la norma penale che, invece, vieta. Anche in quel caso, c’è questo problema. Dobbiamo, perciò, semplificare il più possibile e trovare un punto di equilibrio.
  Mi rendo conto, però, che la materia non è assolutamente facile. Sicuramente va superato l'assetto del 517, magari assorbendolo, come si suggeriva, nel 373-374, ovvero prevedendo delle formule più chiare. Ciò che non è chiaro e non è immediatamente coglibile come elemento di reato certo va, invece, relegato al diritto amministrativo (il consumatore che acquista il prodotto e così via). In sostanza è necessario concentrarsi su fatti contraffattivi di violazione del made in Italy che, però, colgano la precipuità della specie particolarmente protetta, compatibilmente con il diritto comunitario e il Codice doganale. Tuttavia, è – ripeto – un'operazione non particolarmente facile.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il dottor Natalini. È una materia complessa, sulla quale ci dobbiamo, però, misurare.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la documentazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 15,45.

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