XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 25 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sen.Stefania Giannini, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche di istruzione, università e ricerca connesse all'immigrazione (Svolgimento e conclusione):
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Conti Riccardo  ... 10 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 10 
Mazzoni Riccardo  ... 10 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 11 
Scibona Marco  ... 11 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 12 
Arrigoni Paolo  ... 12 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 12 
Fasiolo Laura  ... 13 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 13 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Giannini Stefania , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi. Rapporto nazionale 2013/2014, a cura della Fondazione ISMU ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sen. Stefania Giannini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, senatrice Stefania Giannini, che ringrazio per la presenza.
  Come lei sa, questo è un Comitato bicamerale che si occupa dei flussi migratori e della vigilanza sull'accordo di Schengen. Abbiamo quindi svolto una serie di audizioni che hanno trattato le tematiche relative all'analisi dei flussi migratori, del sistema di Mare Nostrum e dei fenomeni dell'immigrazione e della migrazione.
  In questo ambito il Comitato ha prestato particolare attenzione al drammatico tema dei minori non accompagnati, in merito al quale ci rivolgiamo a lei e alla sua sensibilità chiedendole ulteriori elementi di conoscenza in merito.
  Prima di lasciarle la parola, mi permetto soltanto di fornire dei piccoli spunti. Le chiederemmo i dati relativi ai flussi di immigrazione e asilo verso l'Italia e alle prospettive future nell'ambito dell'educazione. Abbiamo audito infatti la dottoressa Novelli, che ci ha fornito alcuni dati, e risulterebbe al Comitato che il rapporto degli alunni stranieri sul totale sia in continua crescita per ciascun ordine di studi. In particolare, ci risulta che nell'anno scolastico 2011-2012, ad esempio, su 100 alunni 8,4 fossero stranieri, a fronte dell'1,5 per cento registrato nell'anno scolastico 1999-2000.
  Le chiederemmo quindi, ministro, di fornire al Comitato un aggiornamento di questi dati e di illustrare, ove possibile, le politiche seguite dal suo Dicastero in materia di integrazione, in particolare in relazione all'analisi della distribuzione degli alunni stranieri sul territorio italiano, anche in riferimento a quanto previsto dal nuovo disegno di legge che il Governo sta per sottoporre all'esame del Parlamento.
  Risulta al Comitato che recentemente ci sia stata una particolare affluenza di minori non accompagnati sul nostro territorio e dai dati aggiornati al 31 dicembre 2014, risultano presenti nel territorio dello Stato 10.536 minori stranieri non accompagnati. Nel 2013 il principale Paese di provenienza risulterebbe essere stato l'Egitto con 1.837 i minori segnalati (il 17 per cento del totale), seguito da Afghanistan, Bangladesh, Somalia, Albania ed Eritrea.
  In genere sono minori che intendono raggiungere il nord Europa, dove hanno contatti familiari, avvalendosi dell'aiuto di connazionali per proseguire il viaggio. In merito le chiederemmo se possa riferire al Comitato quali politiche specifiche (naturalmente nei limiti delle sue competenze perché c’è un'incidenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) si intenda adottare in relazione al fenomeno.Pag. 4
  Un argomento strettamente di competenza del suo dicastero è quello relativo alla percentuale di alunni stranieri e docenti di sostegno presenti nelle classi. La dottoressa Novelli ci ha infatti riferito che è previsto che in ogni classe la percentuale degli alunni non italiani si collochi intorno al 30 per cento, evitando così la formazione delle cosiddette «classi ghetto», termine che a me non piace, ma che è stato utilizzato in questi termini, e anzi le sarò grata se vorrà formulare un'altra definizione metodologica.
  Il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione prevede la presenza di docenti per attività di sostegno e di integrazione, per assicurare la formazione scolastica dei figli dei cittadini comunitari residenti in Italia, di quegli extracomunitari, dei figli degli emigrati italiani che tornano in Italia. Le saremmo grati se potesse fornire anche su questo informazioni più dettagliate al Comitato.
  Do la parola al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini.

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Grazie, presidente, grazie ai colleghi senatori e deputati qui presenti. Cercherò di fornire un quadro esauriente, forse non esaustivo, su tutti i punti che la presidente ha richiamato e cercherò soprattutto di concentrare l'attenzione in questa relazione di presentazione del tema «integrazione educativa per il modello italiano», soprattutto concentrandomi sulle politiche che, alla luce di un disegno di legge che entrerà nel percorso parlamentare tra pochi giorni, sono state immaginate.
  Il tema dell'integrazione degli alunni stranieri coinvolge direttamente le politiche scolastiche ed educative di tutti i Paesi europei, è un tema che ha una storia ormai all'interno della riflessione politica, educativa e culturale degli Stati dell'Unione e si tratta per alcuni Stati di un'esperienza pluridecennale. Penso ai cosiddetti Paesi del cluster A, che hanno avuto un flusso migratorio ormai remoto come la Germania, il Belgio, l'Olanda e tutta la parte mitteleuropea e l'Inghilterra.
  Il caso italiano si inserisce nei cosiddetti Paesi del cluster C, cioè la fascia euromediterranea con Portogallo, Spagna, Grecia, che hanno avuto flussi migratori molto più recenti, rapidi e intensi e quindi anche più traumatici dal punto di vista delle politiche di controllo e di gestione dei flussi, con particolare attenzione al tema dei minori e dell'integrazione educativa.
  Si può partire rapidamente, per avere un quadro forse a loro noto, ma che richiamo per puntualità di memoria storica, dal 1989, quando il Ministero che mi onoro di dirigere, il Ministero della pubblica istruzione, ha per la prima volta costituito con un decreto ministeriale un gruppo di lavoro che si occupasse direttamente dell'inserimento degli alunni stranieri, perché erano i primi anni in cui questo tema diventava un tema necessariamente inseribile nell'agenda delle politiche educative.
  Si tratta di un decreto della fine dell'anno, in cui si parla per la prima volta di inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell'obbligo e della promozione e del coordinamento di iniziative per l'esercizio del diritto allo studio. Questo è il primo atto formale.
  Come ricordava la Presidente Ravetto, da allora le situazioni sono notevolmente mutate sia in quantità che in qualità, la presenza dei minori stranieri nella scuola italiana oggi si inserisce come un fenomeno dinamico, in costante evoluzione, in una situazione di per sé dinamica a livello sociale, culturale e, nel caso della scuola, di organizzazione del processo educativo.
  Condividiamo questa dimensione, sia pur in maniera differenziata, con gli altri Paesi europei, tuttavia non dico ogni Paese, ma ogni fascia dei Paesi europei, a seconda della profondità storica del fenomeno migratorio e del quadro politico in cui si è inserita la riflessione educativa, ha scelto una propria strada.
  Sintetizzando, quindi, abbiamo il modello francese che è ispirato a princìpi assimilazionisti, quelle classi (anch'io non amo le definizione) che sono diventate in Italia le cosiddette «classi ghetto» i francesi Pag. 5le hanno sperimentate molti anni fa, chiamandole classes d'accueil, classi di accoglienza, quindi il concetto è ribaltato per segno ma la sostanza è quella. Il principio metodologico è mettere i bambini non allofoni della lingua del Paese ospitante, in questo caso non francofoni, in una classe, concentrando le metodologie di integrazione linguistica in una prima fase. Non ha dato eccellenti risultati, ma il dibattito è ancora in corso.
  Il modello italiano, la via italiana per la scuola interculturale e l'integrazione degli alunni stranieri è quello che cercherò di presentare, mettendo in evidenza le nostre caratteristiche distintive fattuali e le politiche che stiamo cercando di organizzare. Intanto è bene ricordare, onorevoli colleghi, che il «paesaggio» multietnico e multiculturale della scuola italiana è caratterizzato da alcuni tratti non condivisi da altri Paesi europei.
  È un modello che definirei policentrico e diffuso, nel senso che la presenza degli alunni stranieri, con i numeri che sono stati citati (cercherò di fornire qualche aggiornamento dell'ultimo anno) è significativa nelle grandi città, ma ci sono casi di piccole o medie città che hanno comunque una presenza rilevante. Penso al distretto di Brescia, penso all'Umbria come piccola regione che ha tassi di presenza degli alunni stranieri molto più alti della media.
  È un modello caratterizzato da una grande frammentazione di provenienze. Ci sono etnie che in alcuni momenti hanno avuto numeri statisticamente più rilevanti, però ricordo a memoria un dato dell'anno scolastico 2008-2009: erano state registrate 97 lingue madre nel panorama nazionale, con presenze ovviamente differenziate e aggregazioni quantitative differenti.
  Questo non avviene né in Francia, che ha un sistema ex coloniale che vede la presenza soprattutto di alunni non francesi ma francofoni, né in Germania, che ha storici flussi migratori da alcune aree come la Turchia, né in Inghilterra, Paese che ha dato al mondo il cosiddetto «modello multiculturale», che si distingue sia dall'assimilazionista francese, sia dal nostro integrativo.
  Cosa è stato fatto in Italia e cosa cercheremo di fare. La caratteristica fondamentale sotto il profilo metodologico delle politiche educative è quella che ormai si definisce, con un termine più apprezzabile rispetto a integrazione, inclusione scolastica. L'Italia cerca quindi di portare gli alunni stranieri spesso non italofoni a un'inclusione linguistica, culturale e comportamentale all'interno della classe.
  Questo significa evitare la costruzione di luoghi di apprendimento separati, quindi evitare classes d'accueil o se preferite «classi ghetto», avere una cultura dell'accoglienza della diversità, perché il bambino straniero è a pieno titolo inseribile in una comunità altra rispetto a quella dei bambini italiani e italofoni, cultura che abbiamo sviluppato anche in altri settori. Pensiamo a tutto il settore delle disabilità che non ha nulla a che fare con questo, ma ha avuto nella tradizione scolastica italiana esempi di eccellenza (penso alle disposizioni della senatrice Falcucci, poi Ministro dell'istruzione).
  Questo si ispira al principio dell'universalismo (Convenzione internazionale dei diritti dell'infanzia, ONU 1989, poi ratificata italiana del 1991), ma anche al riconoscimento concreto di una valenza positiva della socializzazione tra pari e di una cultura del dialogo e del confronto.
  Questo diventa culturalmente e politicamente il modello dominante nel nostro Paese nei confronti di tutte le forme di diversità, ivi inclusa quella per lingua, per etnia e per cultura (la religione può appartenere o non appartenere a questo insieme di tratti).
  Questa scelta non è messa in discussione da pratiche concrete di divisione degli studenti in gruppi, in genere per brevi periodi e per specifici apprendimenti, perché per imparare la lingua italiana (cito dalle linee guida date dal mio Ministero alla fine del 2014) talvolta si possono e si debbono immaginare anche contesti speciali di intensificazione dell'insegnamento, e questo può e talvolta deve portare (lo dirò anche parlando delle misure Pag. 6previste nel disegno di legge La buona scuola) a modellizzare un insegnamento e quindi un apprendimento specifico.
  Il modello inclusivo all'italiana ci sta portando a delle responsabilità anche politiche sul piano scolastico-educativo molto chiare e molto importanti. Nel disegno di legge che presenteremo tra pochi giorni alla Camera dei deputati le scuole, nel redigere il piano triennale dell'offerta formativa, dovranno inserire tra le priorità specifiche misure che riguardino l'alfabetizzazione e/o il perfezionamento della lingua italiana per studenti e alunni alloglotti, quindi stranieri in quanto non in possesso non solo della cittadinanza, ma della lingua madre, anche attraverso l'attivazione di corsi opzionali di lingua e la dotazione di laboratori linguistici in rete.
  C’è quindi un percorso educativo indicato e ci sono anche misure strutturali, la creazione di questi laboratori, per cui sono previste anche risorse ad hoc. Sulla base delle proposte che le singole scuole e le reti di scuole presenteranno al Ministero, questo provvederà a distribuire risorse umane, quindi insegnanti specializzati e strumenti necessari.
  Questo mi sembra il primo passo e la prima dimostrazione di una sensibilità politica molto precisa e puntuale su questi temi, non necessariamente analoga a quella che altri Paesi hanno adottato. Questo ovviamente anche sulla scorta di sperimentazioni che, in quanto precedenti alle nostre, hanno già dimostrato risultati se non fallimentari quantomeno fragili. Penso alla Francia e alle vicende non necessariamente legate ai drammatici eventi degli ultimi mesi, ma comunque a banlleue che non hanno saputo o potuto trovare un'adeguata via integrativa, pur avendo una popolazione sostanzialmente di origine anche francofona.
  Si tratta ora di dare visibilità alle buone pratiche e alle prove di modelli futuri, in cui le scuole italiane anche in questi anni si sono già cimentate con sperimentazioni e attività autonome. Il convegno organizzato a Udine tra un mese potrà essere una buona occasione per fare il punto su queste buone pratiche.
  Mi è stato chiesto un aggiornamento sui dati ed è mio dovere darlo. I bambini e i ragazzi stranieri che frequentano le nostre scuole sono numerosi e sono percentualmente più di quanto vi ha riferito la dottoressa Novelli, in quanto siamo al 9,7 per cento come dato medio e il dato assoluto indica circa 800.000 alunni stranieri nell'ultimo anno scolastico.
  Una distinzione non di specie ma di merito, fondamentale anche ai fini delle misure metodologiche successive, è quella tra i bambini nati in Italia e quelli arrivati nel corso dell'anno scolastico che con un acronimo oggi si definiscono NAI, cioè i neoarrivati in Italia. Tale distinzione appare importante perché i primi rappresentano ormai il 51,7 per cento, e questa percentuale raggiunge la punta dell'85 per cento nelle scuole dell'infanzia, mentre i neoarrivati nell'ultimo anno scolastico sono poco più di 30.000, cioè meno del 5 per cento della popolazione scolastica.
  Il trattamento didattico dei neoarrivati rispetto a quello dei nati in Italia deve essere differenziato, perché una cosa è un bambino che nasce in un Paese e cresce in una totale immersione linguistica e culturale, anche se ha alle spalle una famiglia spesso non assolutamente o completamente italofona, altra cosa è un bambino straniero, magari adolescente (questo è il caso dei minori non accompagnati), con percentuali ancora piccole ma in crescita.
  Queste due tipologie, gli stranieri nati in Italia e i neoarrivati, hanno caratteristiche proprie e devono essere oggetto e soggetto di processi di apprendimento e di alfabetizzazione linguistica specifica. Di questo teniamo conto nelle misure previste nel disegno di legge, anche pensando a una classe di insegnanti finalmente specializzata in questi temi.
  Tra i neoarrivati si registra nel 2014 un significativo aumento dei minori stranieri non accompagnati. Si tratta di 10.000 sui 30.000 che ho citato prima, il più alto numero di presenze che sia stato mai registrato nel nostro Paese, e più del 90 per cento appartiene alla fascia d'età adolescenziale tra i 15 e i 17 anni maschile, forse per i motivi prima citati dalla presidente, Pag. 7laddove si tratta di bambini e di ragazzini che spesso devono raggiungere le famiglie o i nuclei di riferimento in altri Paesi.
  Negli ultimi anni l'aumento più significativo della presenza di alunni stranieri è stato registrato nelle scuole secondarie di secondo grado, prevalentemente negli istituti tecnici, che rappresentano la prima scelta degli studenti stranieri, con una percentuale del quasi 40 per cento, nei professionali poco meno (37,9), mentre nei licei sono una percentuale minoritaria che si attesta intorno al 23 per cento.
  La suddivisione di scelta e iscrizione ai diversi tipi di scuole conferma una maggiore difficoltà dei ragazzi stranieri a completare gli studi, soprattutto a completare studi di carattere teorico e ad avere brillanti risultati nella carriera scolastica. A 15 anni (prendendo un numero fisso per un calcolo comparativo) 7 studenti stranieri su 10 sono in ritardo rispetto al percorso scolastico. Questo è un dato molto importante dal punto di vista quantitativo e va valutato anche nello studio delle misure per il recupero.
  Ci sono tassi di ripetizione dell'anno scolastico molto elevati soprattutto nel primo anno delle scuole secondarie, anno in cui è molto intenso il fenomeno del drop out, della dispersione scolastica, un anno cruciale in cui si addensano le complessità legate all'evoluzione psicoattitudinale dei ragazzi.
  Un leggero miglioramento della regolarità dei processi scolastici ed esiti più positivi si ritrovano nella seconda generazione degli studenti stranieri. Questo fa pendant con i dati di Paesi con un'immigrazione più remota, e le recenti valutazioni (internazionali OCSE e nazionali INVALSI) ci segnalano un positivo avvicinamento progressivo degli studenti di seconda generazione al livello dei bambini italiani e italofoni, per esempio nei test e nelle prove di italiano e matematica sia della scuola primaria che nel test INVALSI che si accompagna agli esami finali di terza media.
  Per quanto riguarda gli studi universitari, bisogna stare molto attenti perché il dato va scorporato dalle immatricolazioni degli studenti stranieri che quasi mai sono di seconda generazione o stranieri residenti in Italia. Il dato che riguarda stranieri con cittadinanza non comunitaria immatricolati nel corso dello scorso anno accademico è molto basso, 1,8 per cento, e tra questi i diplomati in Italia sono la maggioranza. Questo è il segno di un aumento degli studenti universitari di seconda generazione, seppur molto lento e progressivo.
  Vi ricordo che oggi il numero degli studenti stranieri immatricolati nelle università italiane supera di poco il 3 per cento, quindi si parla di 50-52.000 studenti sul numero degli studenti del mondo universitario. Questo perché la nostra attrattività è cresciuta negli anni, ma è ancora bassa rispetto a quella di altri Paesi europei.
  È molto interessante osservare che, se è vero che gli alunni con cittadinanza non italiana sono schiacciati su scelte di tipo tecnico-professionale nella secondaria, questo non impedisce a questo segmento di accedere all'università, e il ritardo che si osserva fin dai primi gradi scolastici non sembra impedire l'avanzamento nel corso di studi. Questo significa che siamo riusciti a ottenere un modello di inclusione.
  Ci sono esempi di buone pratiche sparsi in tutto il Paese, tra i quali 510 scuole che hanno percentuali di studenti stranieri superiori al 50 per cento. Si tratta in massima parte di scuole dell'infanzia e in qualche caso questa alta incidenza ha stimolato il sistema a produrre buone pratiche (farò qualche esempio più tardi).
  Il 27 marzo a Udine ci sarà quindi questo grande seminario nazionale dedicato all'intercultura e alle esperienze a confronto in contesti a fortissimo processo migratorio. Sarà un'ottima occasione di confronto tra insegnanti, dirigenti e territorio, amministrazioni che possono immaginare i modelli più efficaci in una rete di alleanze territoriali ai fini della creazione di una scuola aperta come vorremmo che fosse la buona scuola.Pag. 8
  Un tema che non mi è stato chiesto espressamente dalla presidente ma terrei a sottolineare ugualmente perché ha una sua specificità è quello dell'accentuazione di un approccio medicalizzante al tema dell'accoglienza degli studenti stranieri, ossia dell'aumento delle certificazioni per disabilità. Tale certificazione, a partire dagli anni in cui la migrazione è stata più evidente anche a livello di minori, è esplosa, è in crescita.
  Nell'anno scolastico 2007-2008 erano 11.000 i ragazzi stranieri con disabilità, mentre l'anno scorso erano 26.626, e le percentuali di presenza non sono raddoppiate, anzi si sono consolidate sui numeri che vi ho indicato.
  Sia per una non perfetta costruzione dei questionari diagnostici per le varie forme di disabilità, sia per mancanza di approfondimento (non definiamola superficialità, mettiamola in positivo fino in fondo) degli stessi strumenti di diagnosi si tende infatti a confondere la scarsa abilità linguistica, quindi l'isolamento di cui i bambini soffrono nelle classi, la difficoltà a seguire un percorso di apprendimento regolare se non sufficientemente preparato prima con le misure che noi stiamo indicando, con patologie che hanno tutt'altra motivazione. Questo è un tema molto delicato a cui si deve dedicare un'attenzione crescente. Quali sono le azioni ? Vengo alla parte propositiva, cercando di elencare ciò che è in corso e ciò che sarà in corso di realizzazione a partire dal prossimo anno scolastico, considerando anche l'imponente (ci auguriamo) cambiamento dei processi organizzativi ed educativi della nostra scuola.
  Le azioni recenti sono per esempio la creazione di un osservatorio nazionale, che era stato costituito diversi anni fa ma poi era rimasto silente su questi temi per diversi anni. Nel settembre 2014 l'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri all'educazione interculturale, costituito da rappresentanti del mondo della ricerca in questo settore, delle associazioni, di altri Ministeri, dei dirigenti scolastici, ha ripreso le proprie attività e si è anche immediatamente collegato alla fondazione che da anni si occupa di iniziative e studi sulla multietnicità, la ISMU, che ha prodotto anche quest'anno un eccellente e utilissimo rapporto, Alunni con cittadinanza non italiana. Difficoltà e successi del sistema.
  Questo è quindi uno strumento che intenderemmo attivare quanto più possibile nella sua forza sia scientifica che propositiva sul piano educativo. La seconda iniziativa è la redazione e la presentazione di questo rapporto, che è avvenuta pochi giorni fa al Ministero dell'istruzione e di cui ho inviato copia, presidente, alla sua attenzione, perché ci sono dati anche disaggregati che consentono di avere una fotografia più dettagliata dei micro processi di quanto non sia possibile fare in questa sede.
  Il terzo è il Piano nazionale per l'insegnamento e l'apprendimento dell'italiano come lingua seconda, cosa molto importante. Questo piano ha carattere pluriennale e tiene conto di tutte quelle caratteristiche che ho cercato di riassumere, quindi la distinzione tra non italofoni neoarrivati e bambini di seconda generazione che hanno un'italofonia derivata dal contesto ma non un contesto familiare in grado di supportarla.
  È quindi un lavoro che avrà una base scientifica molto solida e che dovrà essere declinato in collaborazione con gli enti locali e le associazioni territoriali, perché è un bellissimo schema teorico ma, se non trova applicazione nelle scuole e nei centri per l'istruzione degli adulti rimane uno strumento potente ma non effettivo.
  A questo si correla l'istituzione di una classe di concorso specifica per l'insegnamento dell'italiano lingua seconda, perché non è detto che chi è italofono sappia insegnare l'italiano a chi non lo è, e questa è una confusione che è stata fatta anche in altri Paesi.
  Abbiamo eccellenti realtà accademiche sparse nel Paese che possono fornire già una classe di insegnanti molto qualificata, abbiamo un contatto internazionale su questi temi, laddove la mancata conoscenza della lingua come strumento determinante per fenomeni di emarginazione Pag. 9e discriminazione sociale è il nostro nemico, e noi dobbiamo agire con professionalità su questo tema.
  Il quinto punto importante è la valorizzazione del ruolo dei Centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPA). Da anni il sistema dell'istruzione assicura sia ai giovani che agli adulti un'offerta formativa ampia e articolata attraverso questi centri, che danno tre diverse tipologie di attività. La prima è la possibilità di attività didattiche finalizzate al conseguimento del titolo di studio che conclude il primo ciclo dell'istruzione e la certificazione delle competenze ad esso collegate.
  Il secondo è il conseguimento del diploma di istruzione tecnica o professionale o artistica, che per molti giovani adulti stranieri diventa uno strumento molto importante per un corretto inserimento nel mondo del lavoro, politica che dovremo intensificare, come accennava la presidente, in collaborazione con il Ministero del lavoro, e poi i percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento dell'italiano, a supporto dell'attività delle scuole.
  Tutto ciò rientra nelle attività previste dal quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza e la diffusione delle lingue, elaborato dal Consiglio d'Europa fino dagli anni ’70. I dati dei CPA sono molto confortanti, perché c’è un'adesione in crescita da parte dei giovani e degli adulti stranieri e c’è una volontà di intensificare questa attività di collegamento.
  Il sesto punto riguarda l'integrazione scolastica dei migranti (chiamerei così questa tipologia composta da rom, sinti e camminanti). Il MIUR collabora con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'inserimento di questa tipologia di bambini stranieri nelle scuole primarie e secondarie di primo grado di una serie di città individuate da questo progetto.
  Sono 13: Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Bari, Palermo, Catania e Cagliari, laddove sono le grandi città che hanno questa presenza più significativa. Questo progetto ha l'obiettivo di coinvolgere in questa logica inclusiva e non separatista interi gruppi di classi con le stesse metodologie di tipo integrativo che ho cercato di descrivere.
  La settima misura è la formazione dei dirigenti, perché quanto stiamo dicendo funziona se c’è un dirigente consapevole dell'investimento che la sua scuola, in relazione ai numeri che ha e agli obiettivi che si prefigge, deve fare su questo capitolo. A questo fine, oltre a un seminario tenuto a Roma presso il nostro Ministero lo scorso febbraio, si faranno delle specifiche iniziative di formazione dei dirigenti a partire dal prossimo anno scolastico.
  Vorrei citare un'iniziativa particolare, che ha un valore simbolico per il nostro Paese, promossa dalle scuole di Prato, città che ha un contesto multiculturale, ma con una presenza etnica specifica, quella dei cinesi, dei sinofoni, ormai di antica memoria, che ha avuto anche momenti di grande difficoltà nel processo di integrazione.
  Lì la scuola ha fatto e sta facendo uno straordinario lavoro, io ho avuto modo di visitare personalmente l'Istituto tecnico Datini di Prato che adotta questo modello che potremmo definire «l'educazione tra pari nei contesti multiculturali», in cui i ragazzi sinofoni già completamente integrati diventano tutor dei bambini più piccoli e questo diventa un contesto molto efficace.
  Mi pare che queste siano le iniziative più importanti. L'ultima che cito concludendo è l'indagine nazionale tuttora in corso sugli studenti stranieri di seconda generazione che stiamo facendo in collaborazione con Istat.
  Come altri Paesi che hanno avuto una migrazione più antica e hanno già sviluppato metodologie in questo settore dovremo immaginare (e lo stiamo facendo almeno nel campo della scuola) di uscire da una logica emergenziale per entrare in una logica strutturale, creando una scuola che non sia assimilazionista perché non è questo il nostro modello, non sia nemmeno multiculturale (uso questi termini in senso molto tecnico), ma sia una scuola inclusiva e integrativa con le misure che ho cercato sommariamente di descrivere.

Pag. 10

  PRESIDENTE. Grazie, ministro, per la sua relazione dettagliata che ci conferma la sua padronanza del Dicastero su queste tematiche. Dispongo che la documentazione prodotta, che fornisce i dati fondamentali anche sulla presenza territoriale, che per il Comitato sono determinanti, sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna. Lei ha anche sfiorato il tema di Prato, su cui abbiamo anche un'indagine conoscitiva aperta e eventualmente le chiederemo la cortesia di tornare tra qualche mese, se potrà, disponibilità di cui la ringrazio sin da ora.
  Con l'occasione saluto chi l'accompagna, cioè la dottoressa Alessandra Belloni, dirigente dell'ufficio legislativo, e il dottor Angelo Di Silvio, portavoce.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni, ricordando loro che alle 15.00 il ministro ha altri impegni e noi abbiamo in audizione il Prefetto Morcone.

  RICCARDO CONTI. Grazie, presidente. Faccio solo due brevissime domande e poi il collega Mazzone interverrà più compiutamente. Mi sembra di aver capito che gli studenti stranieri siano 800.000, ma c’è un dato che indichi a quanti nuclei familiari appartengano questi 800.000 ragazzi, e, se c’è, diviso per etnie ?
  Mi pare di capire che circa 50.000 siano iscritti all'università. Vanno tutti a università statali o anche in altre università, ed eventualmente quali ? Grazie.

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Rapidissimamente questo, quanto ai dati disaggregati per appartenenza etnica esistono, io le ho dato un dato non aggiornatissimo perché non avevo questo appunto con me, ma posso fornirlo. Quando si parla della relazione alle lingue di appartenenza, non è coincidente (faccio un esempio per tutti: i peruviani sono ispanofoni, ma non sono assimilabili agli argentini, ammesso che ci sia una comunità argentina significativa in Italia), però possediamo questi dati che sono frutto di questa collaborazione tra Istat e il nostro Ministero.
  Per quanto riguarda le università bisogna distinguere: io ho parlato sia del numero specifico della seconda generazione che si iscrive, che è un numero molto basso che non arriva al 2 per cento della totalità dei ragazzi stranieri di quella fascia d'età, e dei 50.000 studenti stranieri iscritti nelle università italiane.
  Questo secondo numero è un numero che privilegia le università statali, ma non esclude le altre. La Bocconi, ad esempio, ha un tasso di internazionalizzazione molto più elevato, mi sembra che anche la LUISS sia sullo stesso livello, sicuramente la Cattolica, quindi non frequentano solo le università statali. La scelta degli studenti stranieri segue altri criteri che in un'altra occasione potrei volentieri descrivere, che riguarda la tipologia di ateneo e la scelta tematica di alcune discipline.
  Le dico anche questo per completezza informativa: due università italiane che hanno un alto tasso di presenza di studenti stranieri sono i due Politecnici, quello di Torino in particolare e a ruota Milano, che sono statali e hanno un forte potere attrattivo per determinati settori di studio.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, ministro. Essendo pratese (lei conosce molto bene la situazione, c’è stata più volte) vorrei soffermarmi sulle classi d'accoglienza, le «classi ghetto», che il modello italiano ha escluso a priori, perché quando la Lega le propose ci fu una rivolta ideologica della sinistra, mentre, se si andava a parlare con le maestre e con le insegnanti, tutti dicevano che si trattava di un provvedimento sacrosanto, e spiego perché.
  Prato ha il 20 per cento di alunni stranieri contro la media nazionale di meno della metà, all'istituto Marco Polo di Prato per esempio su 850 studenti il 70 per cento sono stranieri, da dieci anni ormai in prima elementare vi sono classi di soli bambini cinesi, ma il problema vero è che, anche rispetto ai parametri fissati precedentemente, la maggior parte dei bambini cinesi che nascono a Prato vengono svezzati e poi mandati in Cina dai Pag. 11nonni o nei collegi, perché qui i genitori devono lavorare per 18-20 ore al giorno.
  Questi bambini tornano quindi a Prato in età scolare, senza sapere una sola parola di italiano. Sono quindi nati in Italia, a Prato, in famiglia non parlano mai l'italiano e quindi ci si trova in classi in cui ci sono bambini formalmente nati in Italia ma che non conoscono una parola di italiano.
  In questi casi, che in altre realtà sono casi limite, ma credo che le comunità cinesi siano sparse in molte città d'Italia, non sarebbe il caso di fare delle classi apposite, perché è meglio fare delle classi di accoglienza o creare dei ghetti dentro le classi normali ? Questo succede, perché bambini che non parlano una parola italiano si auto-ghettizzano, con tutta una serie di problemi connessi, nel senso che i genitori spesso si dimenticano, dovendo lavorare come lavorano, di andare a riprenderli e le scuole devono restare aperte fino alle 20.00. Quindi se nel nuovo disegno di legge si prendono perlomeno in considerazione le classi di accoglienza...
  A Prato c’è una carenza enorme sia di mediatori culturali, sia di laboratori linguistici, e l'investimento va fatto su quello, perché se non si riparte da una base del genere il problema non si risolve. Grazie.

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il tema è molto importante e anche delicato culturalmente e politicamente. Cerco di darle, senatore, una visione che è in prima base tecnica, perché c’è bisogno di affrontarlo sotto il profilo tecnico, altrimenti si scivola in un ideologismo che in questi casi non aiuta, però poi naturalmente ne derivò anche un'azione politica e culturale che il nostro disegno di legge metterà in atto.
  Un principio nell'apprendimento e nell'insegnamento delle lingue straniere che è comprovato nel mondo (la dico con semplicità) è che il plurilinguismo aiuta l'apprendimento di una lingua straniera, quindi in altre parole, se tu metti una classe di italofoni in un paese anglofono che deve imparare l'inglese, ci metteranno di più e faranno peggio, per motivi ovvi o meno ovvi, non starò a tediarvi con cose che possono anche apparire evidenti.
  Questo è il dato tecnico alla base. Come fare però soprattutto per la comunità dei sinofoni, che notoriamente non solo in Italia ha un'attitudine alla costituzione di una enclave culturale, sociale e linguistica, quindi è meno permeabile alla contaminazione, a rendere questo processo efficace per chi deve imparare la lingua e non ostativo per il resto della classe ?
  Il modello che noi immaginiamo (non dettagliatamente perché non è quella la sede, ci saranno poi regolamenti nelle singole scuole a seconda dei diversi bisogni) è proprio questo, cioè laddove hai un contesto che richiede un'attività più intensa e più mirata a un singolo gruppo, non c’è niente di scandaloso nel fare un'attività di insegnamento mirato, che si intensifica in certi momenti e che è finalizzato a degli obiettivi molto specifici.
  Altra cosa è costruire la classe con un perimetro etnico e linguistico, in quanto posso garantire che sia chiamandola d'accueil come hanno fatto i francesi, sia – molto più negativamente a mio parere – classe ghetto, non si è rivelato un modello efficace.
  L'autonomia scolastica, con insegnanti preparati e con la possibilità di mettere a frutto i diversi strumenti e modelli a seconda dei bisogni, potrà venire incontro a questi bisogni laicamente (mi permetto di dire), senza alcun elemento pregiudiziale.

  MARCO SCIBONA. Molto brevemente, la ringrazio per i dati molto interessanti, però ho sentito parlare di ricerche statistiche, di progettualità per proseguire verso un'integrazione totale, ma per quanto riguarda il sistemico, la normalità, ad esclusione dell'ambito particolare degli studenti stranieri, il maestro unico come si inquadra ?
  Per me non è sufficiente neanche per gli studenti italiani, però nel momento in cui ci sono problematiche maggiori, soprattutto linguistiche, come si inquadra un maestro unico alle elementari, che sono il Pag. 12basamento su cui costruire l'apprendimento culturale ?

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. In questo caso direi che tutto il modello educativo proposto nel disegno di legge, che entrerà in discussione parlamentare alla Camera tra pochi giorni, va nella direzione (non solo per l'insegnamento agli alunni stranieri) di massima autonomia, massima possibilità di utilizzare gli specialisti non solo per questa disciplina particolare, ma anche per l'insegnamento della lingua straniera agli alunni italofoni, laddove immaginiamo una specializzazione fatta con gli insegnanti che hanno una certificazione.
  La figura del maestro unico risponde quindi a un modello che in questo momento non è esattamente il modello de «La buona scuola», che, più che parlare di maestro unico o più maestri, intende enfatizzare la necessità di più competenze e di maggiore approfondimento di specializzazioni.
  Questa è quindi la risposta che mi sento di dare, che è una risposta di metodo più che di merito.

  PAOLO ARRIGONI. Tre domande. Fino a poco tempo fa sono stato un amministratore locale, sono stato sindaco, quindi ho avuto modo di frequentare diversi ambienti scolastici e le posso dire che sta aumentando la preoccupazione di molti genitori per l'incremento della percentuale di alunni stranieri che condividono questa esperienza con i propri figli.
  Non è un'intolleranza nei confronti dell'extracomunitario o dello straniero in genere, ma il fatto che questi bambini abbiano difficoltà a partire dalla lingua comporta inevitabilmente un rallentamento dell'attività scolastica, con nocumento della formazione dei propri figli.
  Questo fa sì che un numero crescente di genitori, ancorché con difficoltà economiche, cercano di iscrivere il proprio figlio alle scuole paritarie, e questo acuisce il problema, che si sta già avvertendo soprattutto nelle periferie delle città, della presenza di classi a maggioranza straniera.
  Di fronte a questi scenari che si amplificheranno sempre di più, di fronte al modello del Ministero che ha deciso di abbandonare le classi che noi avevamo definito «classi ponte», qui chiamate «classi di accoglienza», cosa a cui poniamo un vivo interesse, cosa pensa di fare il Ministero di fronte a classi dove la percentuale di alunni stranieri supera il 50, 60, 70 o 80 per cento ?
  Seconda domanda. Posto che la maggior parte degli 800.000 studenti stranieri punta a diventare cittadino italiano, il Ministero intende, posta l'autonomia scolastica nella formazione del Piano dell'offerta formativa, dare degli indirizzi affinché questi futuri cittadini italiani possano essere messi nella condizione di conoscere meglio le nostre tradizioni, la nostra cultura e la nostra storia, a partire anche dalla presenza del crocifisso nelle classi, che è considerato arredo urbano ma comunque rappresenta una nostra tradizione ?
  Ultima domanda. Lei ha rappresentato una serie di azioni che il Governo con il suo Ministero intende attuare e che inevitabilmente comportano dei costi. Posto che le scuole vivono da diversi anni una situazione drammatica, ancorché scandalosa, in quanto i genitori sono costretti a portare anche la carta igienica, queste azioni saranno supportate da ulteriori fondi stanziati dal Governo o si attingerà da un fondo ormai sempre più esiguo ?

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Domande puntuali e sintetiche, risposte sicuramente sintetiche e spero anche puntuali.
  Il rallentamento dell'attività scolastica appartiene a una scuola – mi lasci dire impietosamente – impreparata, priva di mezzi e talvolta anche di competenze specialistiche, non per difendere gli insegnanti ma perché, se non c’è un piano e un'attività specifica, una cosa è insegnare a bambini che hanno la stessa lingua madre e una cosa è insegnare e gestire una classe con 3-4 presenze etnico-linguistiche differenti.Pag. 13
  La mia risposta è quindi più insegnanti preparati e più attività specifiche che, come ho detto, possono anche recuperare nel contesto specifico l'idea del seminario speciale destinato e mirato a una certa comunità linguistica ed etnica.
  Cittadini italiani: prego i commissari di integrare tutto quello che ho detto oggi con una parola che ho forse pronunciato poche volte in abbinamento alla lingua: cultura. Quando si parla di attività di insegnamento, di processi integrativi e inclusivi, il piano che stiamo cercando di portare ad attuazione prevede l'insegnamento e l'integrazione culturale, e nel termine cultura nel senso più ampio e nobile del termine rientrano tutte le dimensioni che lei ha citato.
  Non c’è apprendimento linguistico senza apprendimento culturale: questo è un principio basilare, che non va dato per scontato, è bene esplicitarlo, ma soggiace a tutte le cose che ci siamo detti.
  Venendo dalla poesia alla prosa, costi e fondi disponibili. Come è possibile già adesso leggere sul DDL, essendo il testo in corso di pubblicazione e di trasferimento alla VII Commissione della Camera, tutte le attività che abbiamo immaginato, da quelle per l'alternanza scuola/lavoro a queste per l'attività laboratoriale linguistica e di potenziamento delle iniziative didattico-educative delle scuole hanno una copertura finanziaria molto precisa.
  Non le cito il numero perché in questo momento non ricordo quanto sia stato stanziato per i laboratori linguistici, ma c’è una cifra precisa, e questo significa – mi permetto – invertire una tendenza in cui un unico contenitore, il fatidico M.O.F., il Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (la senatrice Fasiolo mi aiuterà se dico cose inesatte), che viene amplificato da una serie di iniziative precise, che hanno l'allocazione di fondi perché possano essere realizzate.

  LAURA FASIOLO. La ringrazio, ministro, anche perché apprendo con molta soddisfazione il fatto che, attraverso l'istituzione di una classe di concorso, di insegnamento L2 e l'accelerazione dei concorsi, sarà sicuramente preparata la classe insegnante che si accingerà a lavorare per l'integrazione, non solo per l'alfabetizzazione ma per l'acculturazione in generale dei bambini stranieri.
  Certamente quanto contenuto ne «La buona scuola», l'organico funzionale presente nel disegno di legge darà delle risposte importanti alla soluzione di questi problemi. Mi ha però lasciato sorpresa il numero dei disabili, perché dagli 11.000 studenti stranieri disabili del 2007-2008 si è passati oggi a 26.626, quantità che può essere legata ai nuovi flussi migratori esponenziali ma impone una riflessione sulle certificazioni di quelle che vengono considerate disabilità.
  Non vorrei (parlo per dato esperienziale) che la mancanza di competenze linguistiche si accavallasse ad altri aspetti, a disabilità funzionali. Grazie.

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ho detto esattamente le stesse cose. Questo dato mi ha colpito, credo che una ragionevole spiegazione sia ipotizzabile in quello che anche lei ha citato, l'approfondimento è in corso, sicuramente non è difficile a una lettura più superficiale, o comunque non ineccepibile sul piano diagnostico, confondere la marginalità che deriva dalla non conoscenza della lingua con patologie di vario tipo, quindi è un tema che è molto presente.

  GIORGIO BRANDOLIN. Molto velocemente, anche se ci sarebbero tante cose da chiedere. Mi ha colpito una cosa e le chiedo come si risolva questo: lei diceva che le scuole dovranno attrezzarsi all'interno del POF, che poi dovrà essere trasmesso al Ministero, che distribuirà le risorse.
  Poiché questo processo è dinamico e il numero di alunni stranieri sale in maniera notevole anche in questi ultimi anni, come pensa di affrontare il problema con puntualità (sul territorio i problemi ci sono immediatamente, non quando sarà approvata «La buona scuola»), perché il fatto che le scuole devono trasmettere al Ministero, Pag. 14che controllerà e distribuirà i soldi, mi fa pensare che ci possano essere delle discrepanze (venerdì parteciperò a Udine a quel convegno) tra le necessità e le risposte che il Ministero può dare (non è ovviamente un'osservazione che faccio a lei).
  Qui c’è l'urgenza, quindi vorrei capire come si possa superare questa fase.

  STEFANIA GIANNINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Molto sinteticamente, forse ho specificato male questo punto, non mi sono particolarmente soffermata. Se, come ci auguriamo, il percorso parlamentare sarà rapido, il 1o settembre quell'organico in autonomia funzionale di cui parlava la senatrice Fasiolo sarà il primo strumento in termini di risorse. Questo è il primo obiettivo.
  In secondo luogo la programmazione che noi immaginiamo per tutte le attività, quindi sia queste che riguardano l'integrazione sia quelle che riguardano l'alternanza scuola/lavoro, tutto il processo educativo è di tipo triennale, ed è vero che il processo è dinamico, però dobbiamo pure assumere una misura corretta di possibile programmazione. Quando dico triennale, significa che anche l'assegnazione degli insegnanti e delle risorse e la progettazione prevedono una durata di tre anni, quindi mi pare che ci siamo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.

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