XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 19 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

Audizione del Capo Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Stefano Visonà, e del Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute, Maurizio Borgo, sulla semplificazione normativa (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Visonà Stefano , Capo Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 6 
Borgo Maurizio , Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute ... 6 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Sollo Pasquale  ... 9 
Fucksia Serenella  ... 9 
Borgo Maurizio , Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute ... 9 
Tabacci Bruno , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Capo Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Stefano Visonà, e del Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute, Maurizio Borgo, sulla semplificazione normativa.

  PRESIDENTE. Con la seduta di oggi prosegue il breve ciclo di audizioni dei Capi degli uffici legislativi iniziato la scorsa settimana.
  Sono presenti – e li ringrazio per la disponibilità – il dottor Stefano Visonà, capo dell'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e il consigliere Maurizio Borgo, capo dell'ufficio legislativo del Ministero della salute.
  Dal dottor Visonà sarebbe utile avere un quadro delle prospettive future nel settore lavoristico, con specifico riguardo all'attuazione delle deleghe contenute nella legge n. 183 del 2014, di riforma del mercato del lavoro. La legge delega infatti il Governo anche a qualche operazione di riordino normativo, per esempio in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive.
  Il decreto legislativo n. 22 del 2015, che reca una disciplina per molti versi innovativa, fa riferimento all'attuazione di questa specifica delega, senza però recare clausole di coordinamento con la normativa vigente. La domanda è quindi se non sia opportuno immaginare un percorso di riordino e di abrogazione della normativa previgente nei vari settori toccati dalla delega, una volta data attuazione a quest'ultima.
  Dall'avvocato Borgo sarebbe utile avere una fotografia della normativa di settore, anche con riguardo ai fattori di complicazione derivanti dal riparto di competenze tra Stato e Regioni, con la conseguente fuga dalla legge in favore di intese e di accordi nelle sedi delle Conferenze Stato Regioni e unificata.
  Sia al dottor Visonà sia all'avvocato Borgo possiamo chiedere elementi per verificare la riuscita e la tenuta del testo unico in materia di sicurezza e salute dei lavoratori.
  Ad entrambi sollecito infine una riflessione: sulle potenzialità della banca dati Normattiva e sull'utilità dello strumento del testo unico compilativo ai fini del riordino normativo; su quali altri accorgimenti potrebbero prendersi tra Parlamento e Governo per evitare frammentarietà e volatilità delle decisioni legislative; sull'eventualità di inserire nella Costituzione la categoria delle leggi organiche, attribuendo magari tale rango anche ai codici.
  Do la parola al dottor Visonà.

  STEFANO VISONÀ, Capo Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Credo di interpretare un po’ lo spirito di questa nostra conversazione odierna e vi racconto qual è lo stato dell'attuazione della delega Pag. 4lavoro e quali sono i criteri che abbiamo cercato di seguire.
  Come sapete, la legge delega è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 10 dicembre e già al Consiglio dei ministri del 24 dicembre sono stati approvati due schemi di decreti, uno concernente le tutele crescenti, che disciplina in sostanza il nuovo regime di tutela contro il licenziamento ingiustificato degli assunti dopo l'entrata in vigore del decreto, e il decreto Naspi, che è quello cui fate riferimento nella vostra lettera di convocazione.
  I decreti sono stati trasmessi alle Commissioni parlamentari, uno dei due anche alla Conferenza Unificata e sono finalmente stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 6 marzo con i numeri 22 e 23.
  Sono attualmente «in cucina» altri due decreti: uno riguarda l'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, che dovrebbe riunire in sé le competenze degli ispettori INAIL, INPS e ministeriali, in modo da evitare frammentazioni nell'attività dei controlli, e un altro decreto genericamente chiamato «Semplificazione», che dovrebbe avere ad oggetto una serie di norme di semplificazione procedimentale, probabilmente una revisione della disciplina delle dimissioni, qualche modifica a norme sanzionatorie. Questo probabilmente potrebbe essere portato all'attenzione del Governo attorno a Pasqua.
  Restano poi da effettuare due interventi molto importanti, che sono anche questi il cuore della delega, uno dei quali è la riforma degli ammortizzatori sociali (parliamo di cassa integrazione e fondi di solidarietà) e l'altro, per certi aspetti ancora più complicato e strategico, che è la riforma delle politiche attive, quindi i servizi per il collocamento.
  Credo che questi due decreti vedranno la luce probabilmente verso la fine di maggio o i primi di giugno, saranno gli ultimi che verranno portati all'attenzione del Governo, dal momento che la delega scade a metà giugno.
  Possiamo, quindi, parlare di quello che è stato fatto fino ad oggi in modo da fornirvi elementi utili per la valutazione delle problematiche che avete affrontato con la vostra indagine. Credo che non siamo stati originali nell'avere di mira, quando ci siamo messi al lavoro, l'obiettivo di costruire norme semplici e di evitare complicazioni all'ordinamento, e devo dire che tutto sommato, data anche la particolare condizione politica, probabilmente il risultato non è poi così negativo. Non sta a me dirlo perché ho partecipato, quindi non è elegante, però mi sembra che almeno il decreto sulle tutele crescenti sia abbastanza comprensibile, o almeno questo è quello che si legge e si sente dire in giro.
  Non è solo un problema di capacità di scrivere norme, che è senz'altro importante, ma è anche un problema di omogeneità dell'indicazione politica, nel senso che questo decreto non ha sofferto, come era stato per la legge Fornero, di una serie di scontri ideali e di vedute che avevano portato a un livello di compromesso tale per cui, se voi andate a leggere l'articolo 18 come riformato dopo la cosiddetta legge Fornero, sembra in sostanza una sorta di battaglia navale, ma non perché chi l'ha scritto – non ero io ovviamente – non sapesse scrivere le regole, ma perché si è dovuto tenere conto di una serie di compromessi.
  In questa seconda tornata le cose sono state diverse, cioè l'input era più chiaro, più semplice, le condizioni erano diverse e quindi si è potuto scrivere un decreto facilmente comprensibile, il quale tra l'altro si affianca alla normativa esistente non creando neanche problemi particolari di coordinamento, anzi direi quasi nessuno.
  È un po’ lungo, perché un'indicazione che è venuta è stata quella di non citare quasi mai o il meno possibile l'articolo 18, per cui alcune norme che si potevano scrivere semplicemente rinviando al suddetto articolo – come l'articolo 2, che riguarda i licenziamenti nulli, discriminatori o inefficaci – e che si sarebbero potute formulare nel seguente modo: «si applica anche ai nuovi assunti l'articolo 18», sono state scritte diversamente proprio per allontanarsi, anche dal punto di Pag. 5vista delle parole, dal regime previgente. Credo che l'operazione non sia poi così malvagia.
  Con riferimento al decreto Naspi, alla cui redazione ho partecipato meno dal momento che ero impegnato sulla materia lavoristica, mi sembra non possano farsi critiche in merito alla qualità della sua formulazione e che grossi problemi di coordinamento non ve ne siano.
  Probabilmente sarebbe stato meglio assumere all'interno di questo testo un po’ tutte le disposizioni cui il testo rinvia, però, come sapete meglio di me, purtroppo spesso – questo vale per questo caso, ma vale anche per tutte le ipotesi in cui si demanda a successivi decreti l'attuazione – tutto questo dipende spesso dai tempi della politica, cioè viene chiesto un risultato molto a breve, non c’è il tempo di definire tutti gli aspetti perché, come sapete, è abbastanza complicato dettare regimi normativi, e quindi si arriva fino a dove si riesce ad arrivare e poi si dice si farà con un provvedimento successivo.
  In questo caso non sono tantissimi i rinvii ai decreti, ci sono dei rinvii alla legislazione primaria che con un po’ di tempo avrebbero potuto essere composti in una sorta di testo unico, ma questo non è stato possibile per le ragioni che ho spiegato.
  Se ho ancora un minuto, vorrei dire due parole su un testo che è stato varato dal Consiglio dei ministri il 20 febbraio e che per problemi ancorché risolubili con la Ragioneria dello Stato non è ancora arrivato alle Commissioni parlamentari, che è quello che si chiama in gergo giornalistico il nuovo codice delle tipologie contrattuali.
  In questo testo, che raccoglie la disciplina di tutti i contratti di lavoro cosiddetti atipici (mi riferisco al part-time, al tempo determinato, alla somministrazione di lavoro, al lavoro intermittente), si è cercato di fare un'opera di raccolta e semplificazione, in modo da rendere più agevole agli operatori l'accesso e la gestione dei rapporti di lavoro. Verrà giudicata la qualità del prodotto, sperando che nel frattempo non venga troppo modificata.
  In questo codice si è cercato di fare quello che bisognerebbe fare quando si semplifica, cioè innanzitutto raccogliere le varie norme sparse in giro, poi riscriverle in modo più semplice, sfrondando quelle manifesto, dove sono dichiarate le finalità o tutte quelle parti di norme inutili che vanno molto di moda in Italia, come «resta fermo quanto disposto», laddove ovviamente, se non lo modifico né esplicitamente né implicitamente, è pacifico che resta fermo, non c’è bisogno di scriverlo.
  Si è quindi cercato un po’ di lavorare ai fianchi del complesso normativo per renderlo più digeribile, cogliendo l'occasione anche per risolvere normativamente dei contrasti interpretativi, il più delle volte prendendo atto degli approdi giurisprudenziali e traducendoli positivizzando gli orientamenti della giurisprudenza, un po’ come succede in ambito europeo, dove ogni tanto esce la direttiva che raccoglie le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia.
  Spero, quindi, che questo testo non subisca troppe modificazioni e che possa essere un passo significativo verso la semplificazione.
  Come sapete, semplificare è una cosa complicatissima, ossimoro che rende molto bene l'idea, perché, come dite anche voi, c’è un problema generale di fiducia in chi interpreta, nei giudici, nell'amministrazione, e tutti pretendono anche di fronte a testi obiettivamente chiari di introdurre ulteriori precisazioni, perché si sostiene che, se non cambia nulla, tanto vale aggiungere. Bisognerebbe uscire invece da queste logica: se non serve, non si aggiunge.
  Una norma deve essere il più asciutta possibile, non bisognerebbe indulgere in proclamazioni di principio, dichiarazioni di finalità, un'eccessiva elencazione casistica, anche se purtroppo da questo punto di vista non è che la normativa europea ci insegni molto, perché è una normativa costruita proprio sulla casistica, che complica tantissimo le cose anziché semplificarle.Pag. 6
  Io dico sempre che nel 1942, anche se la società era molto meno complessa, con 2.969 articoli abbiamo regolato l'intero complesso dei rapporti privatistici. Erano altri tempi, però c'era forse anche un'altra attenzione alla legislazione, ci sono norme che a tutt'oggi governano interi settori come le norme sulla proprietà.
  Quello della semplificazione è un obiettivo presente a tutti. Per quanto mi riguarda per vent'anni ho lavorato con le norme, tornerò a farlo direttamente, proprio adoperandole, quindi credo di avere una sensibilità verso il problema della semplificazione. Mi rendo conto che anche gli operatori si arrabbiano, ma poi quando è ora di fare norme semplici la questione diviene complicata.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Visonà. Diamo la parola all'avvocato Borgo.

  MAURIZIO BORGO, Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute. Grazie, presidente, saluto i componenti della Commissione che ringrazio per l'invito.
  Parto da una premessa di carattere generale: le competenze del Ministero della salute si caratterizzano, come ho potuto provare con mano quando sono stato chiamato ad occuparmi dell'ufficio legislativo, per un elevato livello di complessità, che è dovuta a diversi fattori.
  Il principale è la molteplicità dei settori di intervento e la correlazione tra gli stessi. Quando si pensa al Ministero della salute si è portati a limitare il riferimento alla salute delle persone, mentre in realtà così non è, perché le competenze del Ministero della salute vanno dalla tutela della salute delle persone fino al settore della sanità veterinaria, passando per il settore della salute alimentare, per tutta la materia molto complessa dei farmaci, quella della prevenzione e financo quella delle professioni sanitarie.
  Un'altra causa di questa complessità normativa è costituita dalla natura estremamente tecnica delle materie trattate. Ciascuno degli ambiti che ho prima menzionato si caratterizza, infatti, proprio per questo estremo tecnicismo e per questo intreccio fra settori di competenza.
  Altra causa di questa complessità è anche l'origine comunitaria di molte delle disposizioni che riguardano il settore della salute, alcune introdotte con regolamenti, quindi direttamente applicabili nell'ordinamento italiano, altre (e sono la maggior parte) introdotte con direttive, il che rende necessario procedere a una specifica attuazione.
  Il fattore di maggiore complicazione è dato dal fatto che, almeno alla luce dell'attuale assetto costituzionale, molte delle materie che riguardano l'ambito della salute sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle regioni.
  Voi sapete meglio di me che è stato ed è ancora estremamente difficile nell'ambito di questa forma di potestà legislativa distinguere ciò che attiene ai princìpi fondamentali della materia e che, quindi, è riservato alla potestà del legislatore statale e ciò che invece attiene alle norme di dettaglio, che sono riservate alla potestà legislativa delle regioni.
  Sapete infatti che la riforma ormai datata del Titolo V (si parla sempre di «nuovo» Titolo V, ma ormai è passato un po’ di tempo dal 2001, quando fu fatta la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione) ha ingenerato un notevole contenzioso costituzionale. Io sono un avvocato dello Stato e sono stato impegnato in molte occasioni davanti alla Corte costituzionale o per impugnative di leggi regionali da parte dello Stato oppure per difendere norme statali impugnate appunto dalle regioni.
  Tra l'altro, la riforma del Titolo V ha comportato un'altra difficoltà, che rende ancora più complesso il settore della salute. Abbiamo detto che gli ambiti riconducibili alla salute sono estremamente tecnici, e questo necessita di intervenire non solo con norme di rango primario, ma anche con norme sublegislative, cioè norme di carattere regolamentare.
  Con la riforma del Titolo V è, però, stato inibito allo Stato di intervenire con norme regolamentari sulle materie che sono attribuite alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle regioni, così Pag. 7come ovviamente con riferimento alle materie attribuite alla potestà legislativa residuale delle regioni.
  L'impossibilità di dettare norme regolamentari da parte dello Stato ha causato quella che voi nella presentazione avete chiamato la «fuga dalla normazione», perché si è dovuto ricorrere a tutte quelle forme di accordi e intese che devono essere conclusi in sede di Conferenza Stato-Regioni.
  Il legislatore statale, proprio per la preoccupazione di non invadere le competenze delle regioni, è spesso stato indotto a soluzioni di eccessiva cautela, addirittura ha rinviato, con riferimento alla disciplina di alcune materie, direttamente ad accordi da stipularsi in Conferenza Stato-Regioni, anziché ad intese.
  Questo aggrava ulteriormente la situazione perché, mentre nell'intesa rimane sempre una funzione predominante da parte dello Stato, che continua ad essere capofila nella disciplina di quella materia, quando il legislatore ha rimesso la disciplina di dettaglio ad accordi, è stato (ed è attualmente) molto faticoso riuscire in Conferenza Stato-Regioni a stipulare questi accordi, anche perché quasi mai vengono introdotte norme che dicano come superare l'eventuale mancanza di consenso da parte delle regioni a stipulare l'accordo.
  Ecco perché, proprio alla luce di queste difficoltà, si può guardare con favore alla riforma costituzionale che è attualmente all'esame del Parlamento, perché nella materia della salute in particolare questa riforma potrebbe consentire di risolvere alcune delle criticità che ho prima illustrato.
  Come sapete, una delle maggiori novità della riforma costituzionale in cantiere è costituita dal fatto che viene eliminata la figura della potestà legislativa concorrente dello Stato e delle regioni, proprio per le criticità che prima ho evidenziato. La riforma prevede che ci siano materie attribuite alla potestà legislativa dello Stato e materie riservate invece alla potestà legislativa delle regioni.
  Questo potrebbe aiutare, perché a questo punto non sarebbe più necessario individuare quelli che sono i princìpi fondamentali riservati allo Stato e quelle che sono le norme di dettaglio riservate alle regioni.
  C’è però anche un'altra novità nella riforma costituzionale in cantiere che potrebbe essere di grande aiuto, perché il riformatore costituzionale si è reso conto che anche nelle materie che sono riservate alla potestà legislativa delle regioni è necessario assicurare un tratto unitario, cioè assicurare sull'intero territorio nazionale una disciplina comune. In materia di salute questo è particolarmente importante, perché voi sapete che ormai abbiamo tanti sistemi sanitari regionali molto diversificati tra loro, quindi è opportuno assicurare in tutte le regioni un minimo comune denominatore di tutela di un diritto così importante come il diritto della salute.
  Ecco perché il riformatore costituzionale ha previsto la possibilità per lo Stato – anche nelle materie riservate alle regioni – di dettare disposizioni generali e comuni. Per quanto riguarda il nostro settore, si prevede espressamente che questo possa avere ad oggetto la tutela della salute, le politiche sociali (e qui andiamo anche nell'ambito di competenza del collega Visonà) e la sicurezza alimentare. Anche il settore della sicurezza alimentare è uno dei settori in cui il legislatore statale potrà dettare queste disposizioni generali e comuni.
  Questo significa che il legislatore, attraverso queste disposizioni ma anche attraverso la possibilità di dettare norme quando viene in rilievo la necessità di assicurare l'unità giuridica ed economica della Repubblica, potrà forse recuperare (uso il condizionale perché se la riforma andrà in porto sarà la Corte costituzionale a dircelo) quel concetto di interesse nazionale che, come voi sapete, era insito nella disciplina costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione; interesse generale che consentiva allo Stato di dettare quelle norme di Pag. 8indirizzo e di coordinamento che erano importanti per mantenere l'unità della disciplina.
  Questo è particolarmente importante nel settore della salute, perché una delle funzioni istituzionali del Ministero della salute sarebbe proprio quella di assicurare il coordinamento del sistema sanitario nazionale.
  Detto questo, passo invece ad affrontare il tema della semplificazione normativa, che è il core business di questa Commissione bicamerale.
  Ho detto in apertura che le materie di competenza del Ministero della salute si caratterizzano appunto per una notevole complessità, che è data anche dallo stratificarsi di disposizioni normative le une sulle altre. Vi sono settori dell'ambito salute che hanno registrato negli ultimi anni un susseguirsi di disposizioni, molto spesso non ben coordinate le une con le altre.
  Faccio soltanto due esempi: pensate all'istituto del cosiddetto payback in materia di spesa farmaceutica. Tale istituto è uno strumento abbastanza complicato e ho dovuto faticare per comprenderlo, ma sostanzialmente ogni anno viene fissato un tetto per la spesa farmaceutica sia territoriale che ospedaliera, al superamento del quale scatta un sistema di payback, cioè di ripiano, che incombe sulle aziende farmaceutiche secondo criteri particolarmente complessi.
  Su questo sistema, che è stato introdotto nel 2007, il legislatore è tornato ad intervenire altre quattro volte, da ultimo anche con la legge di stabilità per il 2015 (la legge n. 190 del 2014).
  Pensate ancora a un altro settore di viva attualità nell'ambito sanitario, che è quello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario, con la conseguente nomina di Commissari ad acta da parte dello Stato per «costringere» le regioni che si trovino in una situazione di disavanzo economico nel settore sanitario o che non assicurino i livelli essenziali di assistenza a ritornare nei ranghi. Anche qui abbiamo avuto interventi a partire dal 2004 fino al 2014.
  Ecco perché io ritengo che nel settore della salute sarebbe molto importante procedere con dei testi unici compilativi, anzi addirittura mi spingo oltre e dico che forse sarebbe necessario prevedere che il Governo procedesse anche con testi unici innovativi in materia, ma soprattutto sarebbe oltremodo opportuno almeno sistemare quelli che sono i pilastri della materia sanitaria.
  Pensate che noi abbiamo ancora vigenti delle disposizioni della legge n. 833 del 1978, quando in realtà il sistema sanitario nazionale è stato riformato in maniera particolarmente organica con il decreto legislativo n. 502 del 1992. Sarebbe, quindi, oltremodo opportuno procedere a una risistemazione.
  Da ultimo, mi sono chiesto se sia opportuno nel settore della salute procedere all'introduzione della figura delle cosiddette «leggi organiche», di cui voi parlate nella vostra indagine conoscitiva, leggi che dovrebbero avere un rango superiore alla legge ordinaria e quindi dovrebbero trovare una propria legittimazione nella Carta costituzionale.
  Indubbiamente ritengo importante che possano essere introdotte delle leggi organiche anche nell'ambito della salute, soprattutto con riferimento ai pilastri del sistema sanitario; però la legge organica nel nostro settore potrebbe avere anche delle controindicazioni, perché, come ho detto prima, si tratta di una materia eminentemente tecnica, di un settore legato al progresso medico-scientifico e a un'organizzazione spesso rimessa a metodi sperimentali: queste caratteristiche mal si attagliano a una legge organica, che rischia di irrigidire troppo il sistema normativo, che necessita invece, in materia di sanità, di rimanere flessibile.
  Ben venga quindi una legge organica con riferimento ai pilastri del settore, ma lasciamo gli altri aspetti a strumenti più agili e più flessibili. Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  PASQUALE SOLLO. Grazie, presidente. Avevo intenzione di fare una domanda ma il dottore ha già risposto. Accolgo anch'io con piacere il giudizio positivo sulla nuova riforma e sul problema della legislazione concorrente, che è uno dei principali problemi che lei ha messo in risalto, accanto all'impatto finanziario del settore della salute. A tale proposito, ricordo che il 60-70 per cento del bilancio della Regione Campania è di pertinenza del settore della salute.
  Per anni c’è stato questo problema della legislazione concorrente, perché non si capiva chi dovesse intervenire, ma questa modifica del Titolo V in cui si dividono i poteri e si stabilisce ciò che è di competenza dello Stato e ciò che è di competenza legislativa delle regioni dovrebbe chiarire.
  Ho letto che l'accogliete con piacere, quindi probabilmente non stiamo facendo tanto male dal lato delle riforme !

  SERENELLA FUCKSIA. Grazie, volevo sollevare una problematica. Lei ha sottolineato come il recepimento delle direttive europee spesso sia un fattore di complicazione, però sta di fatto che la nostra normativa rispetto all'applicazione delle direttive europee negli altri Stati è in genere molto più complicata e articolata, proprio quindi il contrario di quello che potrebbe essere un atto semplificato e agile di applicazione.
  Dovendo noi comunque rispettare queste direttive, mi chiedo se non sia il caso di impostare il discorso dei testi unici che lei ha sottolineato e che io condivido in pieno (sono fortemente sostenitrice di questo) mantenendo delle normative molto snelle, molto agili, e lasciando la normativa di rango secondario a degli organi più tecnici, magari definendoli anche con dei tavoli permanenti, i cui attori siano però tecnici, a differenza di quello che succede spesso anche nella Conferenza Stato-Regioni, dove abbiamo molte voci, ma spesso non con la competenza tecnica adeguata.
  Questo fa sì che spesso si impieghino decenni per arrivare a delle conclusioni, e potrei citare esempi di cose che non si arriva mai a definire, quindi il tavolo diventa permanente ma non conclude mai.
  Assicurare il rispetto della normativa con norme di rango primario, lasciando a degli organi tecnici individuati in modo preciso e circoscritto tutto il resto della normativa, potrebbe essere una soluzione valida da prendere in considerazione, tanto più che è vero che la normativa in tema di salute è complessa, ma lo è molto di più nel momento in cui interagisce con aspetti del Ministero del lavoro o dell'ambiente. Grazie.

  MAURIZIO BORGO, Capo Ufficio legislativo del Ministero della salute. Devo dire, per quanto riguarda le direttive comunitarie, che recentemente come Governo abbiamo fatto un ottimo lavoro recuperando quel gap di ritardo che avevamo grazie agli strumenti della legge europea e soprattutto della legge di delegazione europea.
  Concordo sul fatto che a volte il recepimento in Italia delle direttive comunitarie è particolarmente complesso, e questo (mi permetta di dirlo) delle volte deriva anche dalla necessità di compromessi di carattere politico. Ricordo a tutti, per esempio, l'esperienza dell'anno scorso sulla sperimentazione animale, in cui le norme di recepimento della direttiva comunitaria sono state frutto di un faticosissimo compromesso politico, che tra l'altro adesso ci espone molto probabilmente a qualche censura da parte dell'Unione europea, perché è già arrivato un EU Pilot, quindi una procedura di primo monitoraggio sull'applicazione che è stata data in Italia.
  Per quanto riguarda la possibilità di rimettere la normativa di dettaglio a degli organi tecnici, ricordavo prima che il grosso problema che la riforma costituzionale non risolve è che non abbiamo la possibilità di dettare norme regolamentari nelle materie che non sono di nostra competenza esclusiva (parlo ovviamente come Stato), quindi, laddove la competenza, anche a seguito della riforma, sia Pag. 10delle regioni, per il principio di parallelismo i regolamenti non possono essere adottati.
  Si deve quindi ricadere e si ricadrà sempre negli strumenti dell'intesa e dell'accordo, dove obiettivamente (lo condivido) è particolarmente faticoso riuscire ad arrivare a un risultato.
  Il 25 marzo va in Conferenza Stato-Regioni un testo importantissimo, in un settore in cui abbiamo una procedura di infrazione aperta già arrivata allo stadio del parere motivato, che è quello della farmacovigilanza, che è un settore di grande rilevanza. Siamo riusciti dopo quattro anni forse a condurre in porto questo decreto interministeriale, che dovrebbe consentire di sanare un deficit che ci ha esposto anche a una procedura di infrazione.

  PRESIDENTE. In conclusione, vorrei osservare che la Commissione per la semplificazione sui temi del Titolo V ha svolto un ruolo importante nella costruzione di quel documento. È un'analisi che viene da lontano e sui temi della salute non posso non tornare alle modalità con cui si è arrivati tra il 1968 e il 1970 alla costituzione delle regioni e alla definizione di una competenza che è diventata via via esclusiva, andando in controtendenza rispetto al tema dell'universalità.
  Oggi, quindi, anche per le questioni che lei ha sollevato sul tema della farmaceutica, abbiamo una struttura a macchia di leopardo, che mal si concilia con la difesa degli interessi generali e soprattutto dell'universalità e dell'uguaglianza dei cittadini rispetto al tema della salute.
  Poiché questo è avvenuto per ragioni esclusivamente di natura politica o politico-territoriale, a distanza di qualche decennio avrei immaginato che l'occasione della ricostruzione costituzionale potesse essere interessante non solo per andare oltre il Titolo V, ma anche per risistemare questa vicenda complessiva.
  Le conseguenze che infatti si determinano sulla struttura dei bilanci delle regioni sono emblematiche: sembra che le regioni abbiano il solo scopo di gestire in maniera diretta le strutture sanitarie del Paese, che hanno poi dimensioni così diverse da realtà a realtà, perché un conto è la medicina di base e un altro conto i centri specialistici. Questo crea disuguaglianze che determinano conseguenze sui cittadini, perché un cittadino calabrese probabilmente non è assistito come un cittadino lombardo o emiliano, anche se pure nelle regioni meglio amministrate non mancano problematiche legate alla corruzione o alla gestione delle politiche sanitarie nei rapporti tra pubblico e privato, che hanno inciso molto sul tema specifico del governo delle cose sanitarie.
  Consideriamo come ha detto lei che questo sia un passo avanti e come tale lo accogliamo, noi siamo sostenitori di questa riforma, probabilmente avremmo sperato che fosse anche più coraggiosa, però credo che sia già un grosso passo avanti rispetto alle scelte fatte nel 2001. A tale proposito, lei stesso ci ha ricordato che come avvocato dello Stato si è recato spesso davanti alla Corte costituzionale, che mi pare sia stata prevalentemente impegnata a dirimere i contrasti tra le regioni e lo Stato.
  Ringrazio il dottor Visonà e l'avvocato Borgo. Rammento che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì prossimo, sempre alle 8.15, per l'audizione dei capi degli uffici legislativi dei Ministeri dell'ambiente e dei beni culturali, e poi il 2 aprile per l'audizione dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della difesa.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 9.