XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Mercoledì 4 marzo 2015

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Piepoli Gaetano , Presidente ... 4 

Seguito dell'audizione del Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma, Antonio Marini:
Piepoli Gaetano , Presidente ... 4 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 5 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 7 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 8 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 15 
Grassi Gero (PD)  ... 15 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 15 
Grassi Gero (PD)  ... 15 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 15 
Grassi Gero (PD)  ... 15 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 15 
Grassi Gero (PD)  ... 17 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 17 
Grassi Gero (PD)  ... 17 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 18 
Grassi Gero (PD)  ... 18 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 18 
Grassi Gero (PD)  ... 18 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 18 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 18 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 18 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 18 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 18 
Marini Antonio , Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma ... 18 
Piepoli Gaetano , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.15.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che con nota pervenuta il 2 marzo – liberamente consultabile – il senatore Sergio Flamigni ha segnalato che agli atti del processo Moro-quater è stato acquisito un appunto del SISDE del 13 agosto 1979, recante la trascrizione dell'intercettazione di una conversazione svoltasi nel carcere dell'Asinara tra due detenuti e concernente la detenzione, l'interrogatorio e l'uccisione di Aldo Moro. Nel rilevare il carattere frammentario della trascrizione, il senatore Flamigni invita la Commissione a verificare se, con l'ausilio delle strumentazioni tecniche oggi disponibili, sia possibile ricostruire le parti del colloquio che all'epoca non fu possibile decifrare a causa dell'imperfetta qualità dell'intercettazione. Al riguardo, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione odierna ha concordato di affidare tale verifica alla dottoressa Tintisona, con il supporto della polizia scientifica.
  Nel corso dell'audizione del dottor Ionta è emersa l'esigenza di effettuare alcuni ulteriori adempimenti istruttori. Al riguardo, sempre nella riunione odierna, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato in primo luogo di procedere all'acquisizione integrale dei fascicoli processuali dei quali il dottor Ionta ha fornito l'indice; per agevolare, una volta acquisita, la consultazione di tale documentazione – alquanto eterogenea – sarà affidata al dottor Angelo Allegrini la predisposizione di una sorta di «indice ragionato», fermo restando che le attività di archiviazione e gestione dei documenti sono affidate ai sottufficiali della Guardia di finanza addetti all'archivio della Commissione.
  Nella medesima riunione si è, altresì, convenuto di procedere all'audizione del dottor Domenico Spinella in relazione all'appunto originariamente classificato «segretissimo» riguardante la provenienza di alcuni bossoli rinvenuti in via Fani (appunto da lui siglato unitamente all'allora Questore di Roma Emanuele De Francesco, che – da ricerche effettuate – risulta deceduto nel 2011).
  Infine, si è deliberato di procedere alla effettuazione di accertamenti volti a identificare l'estensore del suddetto appunto, anche sulla base di comparazioni tra la copia del documento agli atti della Commissione e quella rinvenibile presso l'Archivio Flamigni, nonché attraverso ogni ulteriore analisi e comparazione grafologica o dattilografica con altri documenti; tali accertamenti saranno, in una prima fase, affidati alla polizia scientifica.
  Comunico, inoltre, che – ad integrazione degli incarichi già conferiti – alla dottoressa Tintisona sarà affidato il compito di effettuare accertamenti sui proprietari e sugli effettivi occupanti degli appartamenti e dei locali siti nello stabile di via Fani 109, nonché sulle procedure che l'ENPAF – l'Ente di previdenza e assistenza dei farmacisti, che risulterebbe intestatario all'epoca della proprietà dello stabile – seguiva per l'affidamento degli immobili di sua proprietà.
  Il dottor Donadio ha presentato due relazioni, rispettivamente in data 2 e 3 marzo 2015. La prima – da ritenersi segreta – reca un'analisi del citato appunto Pag. 4della Questura di Roma del 27 settembre 1978, originariamente classificato «segretissimo», relativo alla provenienza di una parte del munizionamento impiegato nella strage di via Fani. La seconda, di libera consultazione, riguarda invece l'istruttoria condotta in vista dell'audizione di ieri del dottor Ionta.
  Il 3 marzo l'Archivio storico del Senato ha trasmesso copia digitale delle trascrizioni delle intercettazioni effettuate sull'utenza telefonica di Giovanni Senzani tra l'ottobre e il novembre 1978. Il documento – acquisito a suo tempo dalla Commissione stragi – è di libera consultazione.
  La Procura della Repubblica di Firenze, con nota pervenuta il 3 marzo, ha trasmesso copia digitale delle sentenze della Corte di assise di Firenze n. 12/1980 (contro Bombaci ed altri), n. 7/1985 (contro Agusto, Bombaci ed altri) e n. 16/1988 (contro Giorgi ed altri), fornendo ulteriori informazioni di dettaglio. La documentazione è di libera consultazione.
  Il dottor Ionta ha consegnato ieri sera in audizione alcuni documenti che sono già stati digitalizzati e sono liberamente consultabili.
  In data odierna è infine pervenuto un documento predisposto dal colonnello Pinnelli in sede di istruttoria dell'audizione del dottor Marini.
  Ricordo che nel corso della sua audizione il dottor Salvi si è dichiarato disponibile a rispondere ad eventuali ulteriori quesiti trasmessi per iscritto dalla Commissione. Invito, pertanto, chi sia interessato a far pervenire le proprie domande alla segreteria della Commissione entro venerdì 6 marzo, così da procedere al loro invio al dottor Salvi già la prossima settimana.
  Il 26 febbraio scorso il dottor Angelo Allegrini ha prestato il prescritto giuramento e ha quindi formalmente assunto l'incarico di collaboratore della Commissione, che sarà svolto secondo gli indirizzi già comunicati nella riunione dell'Ufficio di presidenza del 24 febbraio scorso.
  Lunedì 9 marzo a partire dalle ore 11 avrà luogo l'audizione di monsignor Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna; martedì 10 marzo, a partire dalle ore 14, quella del Ministro della giustizia Andrea Orlando e mercoledì 11 marzo, a partire dalle ore 14.15, quella del dottor Tindari Baglione, Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze. Sottolineo il rilevante contributo che l'audizione di monsignor Mennini può fornire all'attività della Commissione e quindi auspico una numerosa presenza di componenti alla seduta di lunedì prossimo. Vi invito anche a documentarvi preventivamente e a preparare domande da rivolgere a monsignor Mennini.
  Comunico, infine, che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione odierna, ha convenuto che – alla luce dell'audizione del dottor Salvi e della documentazione acquisita agli atti della Commissione con riferimento all'archivio-deposito del Ministero dell'interno rinvenuto in circonvallazione Appia – si possa soprassedere alla prevista audizione dell'avvocato Ignazio Caramazza.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GAETANO PIEPOLI

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Seguito dell'audizione del Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma, Antonio Marini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del dottor Antonio Marini, Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, che ringrazio ancora per la cortese disponibilità con cui ha ritenuto di poter contribuire, con l'autorevolezza della sua esperienza, ai lavori di questa Commissione.Pag. 5
  Lo scorso 18 febbraio il dottor Marini ha svolto una relazione nella quale ha affrontato alcuni temi di interesse per il nostro lavoro. Ricordo che al dottor Marini sono stati rivolti per iscritto alcuni quesiti, che prendono spunto dai temi trattati nella seduta della Commissione stragi del 9 marzo 1995.
  Ringraziandolo ancora, pregherei il dottor Marini di soffermarsi specificamente in questa seduta sulle risposte ai suddetti quesiti, in particolare con riferimento al quesito numero 8, riguardante il ruolo che, secondo Saverio Morabito, Antonio Nirta avrebbe svolto in via Fani.
  Proprio nella seduta di ieri sera il dottor Ionta, nel corso della sua audizione, ha ripetuto che a sua memoria le indagini concernenti Nirta furono oggetto di stralcio e di esse probabilmente si occupò anche il dottor Marini, al quale pertanto ci permettiamo di chiedere se il ricordo del dottor Ionta sia corretto e, in caso affermativo, quali accertamenti furono condotti.
  Faccio infine presente che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Do pertanto la parola al dottor Marini per il seguito della sua relazione, al termine della quale potranno essere posti quesiti e formulate domande da parte dei colleghi.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Grazie, signor presidente. Io ho preparato un appunto perché intendo fare una dichiarazione preliminare prima di affrontare il problema relativo a Morabito, che lei mi ha sollecitato ad affrontare.
  Come avevo già accennato al presidente Fioroni, sto per terminare la mia esperienza giudiziaria, ma sto per terminare – come del resto lei sa e come sa anche il presidente Fioroni – anche la mia esperienza di vita, essendo stato colpito da un cancro alla prostata che mi sta divorando giorno dopo giorno. Ma io non mi fermo. Sono sereno e con animo sereno sto svolgendo i compiti di ufficio.
  Sto per terminare questa mia esperienza giudiziaria iniziata nel lontano 1969, anno in cui approdai alla Procura della Repubblica di Milano. Sono passati più di quarantacinque anni, dedicati costantemente e permanentemente alla ricerca della verità e all'affermazione della giustizia, che sono i due fondamentali obiettivi, secondo me, di ogni processo penale.
  È un fine che ho sempre perseguito anche nella lotta contro il terrorismo, che per me ha inizio proprio dopo la strage di via Fani. Io ero stato trasferito da Milano, dove ero rimasto per sette anni e dove mi ero interessato di violenza politica più che di terrorismo, avendo fatto arrestare Capanna con tutti i capi del movimento studentesco; erano episodi riguardanti la violenza usata per scopi o fini politici. De Matteo, allora Procuratore della Repubblica di Roma, appena scoppiato il caso Moro mi affidò l'incarico di monitorare tutti i procedimenti in materia di terrorismo pendenti presso le altre Procure d'Italia, al fine di un coordinamento spontaneo delle indagini fra i diversi uffici requirenti e investigativi.
  Già allora si parlava della necessità di una Procura nazionale antiterrorismo, vista la crescita esponenziale del fenomeno terroristico che, diffuso ormai su tutto il territorio nazionale, ha raggiunto il suo culmine nell'attacco «al cuore dello Stato», come si disse allora, proprio con il sequestro e l'omicidio dell'onorevole Moro.
  Fatto salvo, quindi, il processo per l'attentato al Papa, che è stato certamente quello più importante a cui ho partecipato, l'altro processo che mi ha segnato profondamente è stato quello relativo alla tragica vicenda Moro, avendo partecipato ai cosiddetti Moro-quater e Moro-quinquies. Come vedremo, nell'ambito del Moro-quater si affrontano la questione Morabito e la dinamica dell'agguato; il Moro-quinquies, invece, come ho già anticipato, riguarda Germano Maccari, il famoso quarto uomo di via Montalcini, identificato dopo quindici anni e condannato successivamente per tutti i reati relativi alla vicenda Moro.Pag. 6
  Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda della motocicletta Honda, ancora avvolta nel mistero, il fatto di non essere riuscito a individuare i due che erano a bordo di quella moto mi ha tormentato – lasciatemi passare questa parola, senza enfasi e senza iattanza – per anni. Lo dico perché devo rispondere all'onorevole Gero Grassi. Infatti ho letto che, in occasione dell'audizione in questa Commissione dell'ex Procuratore generale Ciampoli e del dottor Lupacchini, l'onorevole Grassi ha riferito che io avrei pronunciato la frase seguente: «Per motivi inconfessabili non siamo riusciti a individuare i due della moto Honda». Parlo al plurale, non pluralis maiestatis ma plurale, perché dell'episodio della moto Honda, come del processo Moro, si sono interessati numerosi magistrati e anche due precedenti Commissioni parlamentari.
  Ebbene, che cosa significa «motivi inconfessabili» ? Io non ricordo esattamente (e magari potreste farmelo vedere) dove, quando e in che occasione ho pronunciato tale frase e se effettivamente ho parlato di motivi inconfessabili. Tuttavia, se proprio ho usato il termine «inconfessabili», evidentemente alludevo a motivi – come del resto recita il dizionario della lingua italiana – «che non si possono dire senza provare vergogna o correre il rischio di essere tacciati o peggio accusati di assoluta incapacità». Ebbene, io mi assumo questa responsabilità. Devo provare vergogna perché non siamo riusciti a individuarli. Mi è rimasto un senso di colpa immane. Ho corso il rischio di essere tacciato e accusato di incapacità assoluta ad accertare i fatti, io che ho fissato quei due primi obiettivi di cui vi ho parlato: ricerca della verità e affermazione della giustizia sono stati sempre il mio faro nella conduzione delle indagini e naturalmente nello svolgimento dei processi. Tengo a dire davanti a voi, che il fatto che i due a bordo della moto Honda restino ancora impuniti, e quindi che dobbiamo ancora accusarci di questo fatto, mi fa sentire ancora di più in colpa per quanto non è stato possibile fare.
  Allora bisogna reagire, una volta affermato e confessato questo, con umiltà, naturalmente. Noi siamo magistrati. Ho ricordato poco fa il processo per l'attentato al Papa. Quello che è successo nell'ambito di quel processo lo sappiamo tutti. Mi sono trovato un giorno nell'aula bunker del Foro italico, che era stata addirittura presa al CONI perché non si aveva un'aula di giustizia dove fare un processo simile – come del resto anche quello Moro – con tanti detenuti, un'aula piena di televisioni di tutto il mondo, di giornalisti, in cui si respirava una tensione incredibile. Ebbene, in quel momento si è sentita una voce, quella del Presidente, dire: «Agca, venga qua». Mehmet Ali Agca, accusato di essere stato l'attentatore del Papa e già condannato all'ergastolo, che poi aveva chiamato in correità i tre cittadini bulgari appartenenti ai servizi segreti bulgari e in più altri connazionali, si mette davanti alla Corte e il Presidente spontaneamente dice: «Agca, allora, ci racconti come sono andati i fatti». E Agca comincia: «Io sono Gesù Cristo, venuto sulla terra...». Quindi, che cosa deve fare un pubblico ministero che si trova quello che viene chiamato il «teste della corona» o il testimone d'accusa che simula la follia ? Tutti siamo stati d'accordo, quel giorno, che Agca stava simulando la follia, però era un teste che, attraverso quella simulazione, stava demolendo artatamente l'impianto accusatorio che era fondato sulle sue dichiarazioni e quindi su sue chiamate in correità.
  Lo ricordo perché nella vicenda della moto Honda ci siamo trovati di fronte a un ostacolo, non nel senso che hanno simulato, per carità, ma nel senso che i brigatisti hanno sempre raccontato la verità a rate e, secondo me, non hanno mai raccontato la verità. Parlo dei brigatisti che si dicevano dissociati o addirittura pentiti; non parliamo dei brigatisti come Moretti o Gallinari, che non hanno mai voluto rendere dichiarazioni. No, stiamo parlando di tutti quei brigatisti che si sono dissociati, come Valerio Morucci, Adriana Faranda e tanti altri, attraverso le cui dichiarazioni abbiamo tentato di ricostruire Pag. 7la dinamica, in questo caso specifico, dell'agguato mortale in via Fani, quindi anche la presenza della moto Honda durante l'agguato e il compito che la stessa doveva svolgere.
  Non ci siamo riusciti, non noi pubblici ministeri, ma nemmeno le Corti che si sono interessate. Devo precisare anche un'altra cosa: i due processi di cui parlo, il processo Moro-quater e il processo Moro-quinquies si sono svolti in dibattimento, davanti a una Corte d'assise, nel contraddittorio delle parti. Quindi, l'accertamento delle responsabilità, per esempio, di Lojacono, di Casimirri e degli altri che avevano partecipato all'agguato – che è stato fatto successivamente al famoso primo processo, Moro uno, e Moro-bis, in cui il presidente era Severino Santiapichi, e si occupavano esattamente di questa cosa – è avvenuto in dibattimento. Quindi, in dibattimento abbiamo fatto di tutto per accertare non soltanto la responsabilità dei singoli imputati, come Lojacono, Casimirri e così via, ma anche chi fossero i due a bordo della moto Honda, cosa che abbiamo proseguito successivamente nelle indagini che poi sono state concluse in un certo modo, come vi ha detto forse ieri Ionta.
  Qui apro una parentesi: sono andato via, alla Procura generale, e ho lasciato aperto il processo Moro-sexies, che riguardava proprio l'identificazione dei due a bordo della moto Honda; un'identificazione che si pensava riguardasse due irregolari, Peppo e Peppa, a cui poi sono stati dati dei nomi, ma non è stato possibile attribuire alcuna responsabilità. Dunque, come sappiamo, Ionta chiese il decreto di archiviazione.
  Per ritornare, invece, al nostro decreto di archiviazione, devo dire una cosa, e vi chiedo il permesso di lasciarmela dire. Ho messo da parte l'orgoglio ferito e l'umiliazione subita a seguito della nominata estromissione dalle indagini, dopo l'avocazione, avvenuta a mia insaputa, dell'inchiesta pendente presso la Procura della Repubblica di Roma, che mi ha indotto successivamente a limitarmi a trasmettere al giudice per le indagini preliminari gli atti del procedimento avocato, insieme alla richiesta di archiviazione già predisposta dall'ex Procuratore generale e alle opposizioni formulate dai difensori delle parti offese. Successivamente però, anche attraverso la lettura delle dichiarazioni che sono state rese alla Commissione e dopo una rilettura delle opposizioni presentate dalle persone offese, naturalmente tramite i propri difensori, sono emersi approfondimenti investigativi proposti dagli stessi opponenti. In particolare, le ulteriori emergenze rappresentate dal difensore di Maria Fida Moro impongono lo svolgimento di nuove e specifiche attività di indagine per un più completo accertamento dei fatti e dell'eventuale responsabilità penale.
  Allora, nonostante tutto quello che successe e nonostante le mie attuali condizioni, ho sentito il dovere di ritornare a occuparmi di questo caso al fine di contribuire, con le mie possibilità e con tutte le mie forze, fino a quando mi sarà possibile, all'accertamento dei fatti e alla ricerca della verità. Una volta maturato questo proposito, sento il dovere di comunicare alla Commissione che oggi stesso ho depositato presso la cancelleria del Giudice per le indagini preliminari di Roma il provvedimento di revoca della richiesta di archiviazione, richiedendo la restituzione degli atti per la prosecuzione delle indagini. I giuristi vi spiegheranno che il provvedimento di revoca può essere fatto in qualsiasi momento. Se non è stato fatto prima, se non è stato fatto per alcune ragioni, sono emersi nuovi elementi che impongono una prosecuzione delle indagini.
  Quindi, per quanto riguarda la presenza della moto Honda in via Fani e l'identificazione dei due a bordo della stessa, tutto è aperto alle nuove indagini che la Procura generale si appresta a svolgere.

  PRESIDENTE. Tenuto conto che la riunione termina alle 15.30, pregherei il dottor Marini, se è d'accordo, di terminare Pag. 8per le 15 la sua esposizione, in modo che gli ultimi trenta minuti possiamo riservarli per eventuali quesiti.
  Se ci fossero ulteriori quesiti, glieli potremmo trasmettere – sempre ringraziandolo della sua disponibilità – in modo che ci possa rispondere per iscritto e le relative risposte saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Per quanto riguarda Morabito, è uno di quegli aspetti particolari che si sono inseriti nella vicenda Moro. Noi dobbiamo distinguere, secondo me, per l'esperienza che ho avuto, due momenti: la prima fase, che riguarda l'ideazione, l'organizzazione e quindi lo svolgimento del rapimento di Moro attraverso l'agguato di via Fani, nel quale hanno perso la vita i cinque uomini della scorta; e una fase successiva, quella del sequestro, dei cinquantacinque giorni. Ebbene, mentre nella prima fase non si era mai sentito parlare di mafia e di ’ndrangheta, a un certo momento arriva da Milano un verbale con dichiarazioni di un certo Morabito, il quale attribuisce a un tale Antonio Nirta, elemento della ’ndrangheta, un ruolo attivo in via Fani.
  Naturalmente, da come era stata descritta la situazione, sembrava che fossero cose infondate, ma trattandosi di un processo come quello di Moro certamente non potevamo tralasciare. Abbiamo dunque svolto indagini, che si sono concluse con un nulla di fatto, perché erano del tutto infondate le dichiarazioni sulla presenza di Antonio Nirta.
  Questo mi ha fatto perdere la faccia davanti ai brigatisti, perché io sono stato costretto ad andare in tutte le carceri dove erano reclusi – soprattutto ricordo Moretti, che mi ha trattato a pesci in faccia, nel carcere di Opera a Milano – per chiedere loro se volessero fare dichiarazioni. Naturalmente sulla stampa queste cose avevano avuto una risonanza eccezionale. Noi abbiamo sentito il dovere di andare a interrogare uno per uno non solo, come dicevo prima, i brigatisti dissociati come Morucci e Faranda, o i brigatisti pentiti come Raimondo Etro e gli altri, ma anche quelli che non avevano mai parlato, come per esempio Moretti e Gallinari. Ricordo che Moretti, se avesse potuto, mi avrebbe cacciato dalla stanza dove l'ho interrogato. Moretti sosteneva che ero andato a provocare dicendo che avrebbero addirittura avuto un elemento della ’ndrangheta nel gruppo di fuoco di via Fani.
  Però, non tutte le cose finiscono male, perché la vicenda di Morabito mi ha dato anche la possibilità di convincere la Balzerani e la Braghetti a venire in aula, addirittura, per la prima volta, a rendere dichiarazioni, cosa che non avevano mai fatto. Quando mi sono presentato da loro e ho detto che ero lì per chiedere se per caso, anche se loro non lo sapevano, fosse stato presente un elemento della ’ndrangheta, mi hanno trattato come mi aveva trattato Moretti, però Moretti non è venuto mai in aula mentre la Balzerani e la Braghetti sono venute, perché io le ho incalzate dicendo loro: «Voi che dite che le Brigate Rosse non possono essere state inquinate né dalla mafia né dalla ’ndrangheta, venite a dichiararlo in aula, assumetevi almeno questa responsabilità; potete anche non fare i nomi delle persone che con voi stavano in via Fani o con te, Braghetti, stavano in via Montalcini (perché all'epoca Maccari ancora non era stato scoperto), ma venite in aula». Parliamo già del Moro-quater, perché poi Maccari riguarda il Moro-quinquies. E sono venute al processo.
  Noi per la prima volta abbiamo appreso in diretta, dalla voce della carceriera per eccellenza di Moro, Anna Laura Braghetti, quello che era successo in via Montalcini. Vero o non vero – ma fino a prova contraria quello che ha detto la Braghetti è vero – abbiamo appreso sostanzialmente che Moro è stato tenuto per tutti i cinquantacinque giorni in via Montalcini e che è stato ucciso nel garage, dopo essere stato trasportato in una cassa o in una cesta (ci sono delle diversità di ricostruzione che però non cambiano la Pag. 9sostanza), mentre la Braghetti era lì, davanti alla bascula. Abbiamo appreso che una signora, un'insegnante, è passata proprio in quel momento, cioè mentre Moro, insieme a Moretti e Maccari (che doveva sostituire Morucci, il quale si era rifiutato di sparare contro Moro, «delegando» la funzione a Maccari), si trovavano lì. In quel momento, la Braghetti inizia una conversazione con quella donna – l'abbiamo sentita, Graziana Ciccotti, potete anche ascoltarla – la quale però sbircia dentro e vede la Renault rossa. La sera, quando vede alla tv la Renault rossa, la signora si ricorda dell'episodio e ne parla con il marito, il quale naturalmente le sconsiglia di andare dalla Polizia o dai Carabinieri; poi ne parla con l'avvocato. Insomma, si scopre via Montalcini quando ormai la stessa Braghetti si era resa conto di essere pedinata dalla Polizia. La Braghetti mi ha detto: «Subito dopo abbiamo sbaraccato baracca e burattini da via Montalcini».
  Questo lo abbiamo appreso proprio a causa di Morabito. Se non fosse accaduta la vicenda di Morabito – non tutti i mali vengono per nuocere – molto probabilmente non l'avremmo appreso.
  Altro fatto importante, per ritornare a via Fani, è che la Balzerani – lo vedrete negli atti, nel Moro-quater, negli interrogatori – è venuta in aula e ha affrontato l'interrogatorio sulle persone che partecipavano all'agguato: chi erano quelle persone, se c'erano persone estranee, se c'era la moto Honda o no. Anche lei, però, come Morucci e Faranda, ha sempre negato la presenza della moto Honda.
  Noi però non mollavamo, perché c'era una sentenza passata in giudicato che aveva accertato non solo la presenza della moto Honda in via Fani, ma addirittura che uno dei due che erano a bordo della moto Honda aveva esploso dei colpi contro Alessandro Marini e che uno di questi colpi aveva infranto il parabrezza, quel parabrezza che poi non sono andati mai a cercare e che l'ingegner Marini ha detto di aver tenuto per tanto tempo. Ma noi non c'eravamo, a quell'epoca, perché stiamo parlando del 1978.
  Affrontiamo l'altro problema. Casimirri si era rifugiato in Nicaragua e non ha fatto nemmeno un giorno di carcere, diversamente tutti gli altri brigatisti di cui stiamo parlando, tra cui anche Rita Algranati, che prima era stata addirittura assolta perché Morucci l'aveva scagionata davanti al Moro-quater.
  Prima vi ho citato il comportamento di Agca, ma non è che il comportamento di questi brigatisti fosse molto ortodosso ! Morucci era capace di fare le rivelazioni attraverso memoriali che inviava tramite una suora al Presidente della Repubblica oppure attraverso interviste. Il fatto che Rita Algranati fosse presente in via Fani noi l'abbiamo appreso da un'intervista di Morucci, il quale però, quando fu sentito come testimone o come persona informata dei fatti, come si dice adesso, andò a dire che l'Algranati non c'era in via Fani, quindi la fece assolvere nel Moro-ter. Poi contro l'Algranati non si è potuto più procedere per il principio del ne bis in idem. Se l'Algranati avesse commesso soltanto quel fatto, cioè l'agguato di via Fani, sarebbe rimasta impunita. Per fortuna, sono intervenute le successive condanne, perché purtroppo lei si è resa responsabile di altri delitti, per i quali è scattata la pena dell'ergastolo.
  Vedete la gravità della situazione e vedete anche di fronte a quali personaggi e a quali difficoltà noi ci trovavamo. Quando si parla di dissociati e di pentiti, con tutte le agevolazioni che la legge concede, uno crede di ricostruire la verità. Ecco perché io mi sono permesso di iniziare con questi due fari fondamentali: ricostruire la verità per affermare la giustizia, che poi è il giuramento che fanno i giudici popolari davanti alla Corte d'assise, quando alzano la mano e dicono di assolvere il compito emettendo una sentenza che sia affermazione di verità e di giustizia, come la società la richiede. Questo è il fine del processo penale.
  Ebbene, pensate a uno che ha a che fare continuamente con persone che si dicono dissociate o pentite ma poi non dicono mai la verità. Per quindici anni abbiamo creduto che Moro fosse stato Pag. 10ucciso da Gallinari, il quale, «poveretto», non ha mai ottenuto un beneficio penitenziario proprio perché si è ritenuto che fosse l'esecutore materiale dell'uccisione di Moro. E invece veniamo a scoprire, dopo quindici anni, che Gallinari addirittura piangeva quando Moro fu trasportato dentro quella cassa o dentro quella cesta per essere ucciso nel garage.
  Per anni noi abbiamo visto non le dichiarazioni, ma le sentenze che riportavano il fatto – accertato, si diceva – che Gallinari era stato uno dei carcerieri di Moro, insieme con la Braghetti (perché di Maccari ancora non si sapeva niente), poiché il quarto uomo di via Montalcini, il signor Altobelli, quello che doveva apparire come il marito della Braghetti, fu identificato in Gallinari. Ma come si poteva ? Quando siamo arrivati, successivamente, a leggere le carte e quindi a valutare, ci siamo resi conto: come si poteva pensare che Gallinari potesse farsi vedere a zappettare l'orticello di casa, dopo che era noto ed era fuggito dal carcere ? Vuol dire che ci doveva essere un'altra persona, che però non si riusciva a identificare. E lì si è scatenato un inferno di ipotesi: i servizi segreti, addirittura si è parlato del Mossad, si è parlato di tutto. E chi era, invece, il quarto uomo ? Addirittura un irregolare delle Brigate Rosse, come irregolari erano Casimirri e Lojacono, che abbiamo giudicato e condannato nel Moro-quater, come irregolare era Rita Algranati e come irregolari potevano essere i due a bordo della moto Honda, di cui però non era prevista la partecipazione e che erano lì per caso o per vedere o per stendere la manina dicendo «ciao, ciao». Ma come possiamo credere a questa cosa, quando hanno sparato ? Eppure sono state dette tutte queste cose e abbiamo dovuto sopportare tutto ciò da parte dei cosiddetti «dissociati» e dei pentiti.
  Per ritornare a Casimirri, io ricordo benissimo il Moro-quater. A un certo momento è arrivata una lettera alla Corte che diceva che Casimirri, che in Nicaragua aveva aperto un ristorante che si chiamava «Magica Roma», era disposto a venire in aula a rendere dichiarazioni oppure era disposto a rendere dichiarazioni in una rogatoria internazionale. Allora, subito mi sono alzato e ho chiesto alla Corte di fare una rogatoria internazionale, perché è chiaro che non potevamo permettere a Casimirri di venire qui, a meno che non gli avessimo dato un salvacondotto per poi tornare in Nicaragua, dopo aver reso dichiarazioni davanti alla Corte, cosa che naturalmente non si poteva fare. Ma pur di accertare la verità si è detto di tutto, si è detto anche questo, dal momento che proprio non potevamo andare perché il governo del Nicaragua si opponeva alla rogatoria internazionale.
  Ho letto nelle carte, nelle dichiarazioni: ma la rogatoria poi è stata fatta o non è stata fatta ? Non è stata fatta, perché si è opposto il Governo, si sono opposte le autorità. Casimirri si diceva disposto a rendere dichiarazioni, non si sa quali dichiarazioni, e allora che hanno fatto ? Sono andati i nostri due dei servizi di sicurezza a sentirlo. Ho letto le dichiarazioni: si è parlato addirittura di quanto è costata quella settimana in Nicaragua. Io non lo so, perché non c'ero, però ho i verbali. Abbiamo i verbali del dottor Carlo Parolisi e del dottor Mario Fabbri, allora funzionari del SISDE, che si sono recati in Nicaragua a sentire Casimirri.
  Che cosa ha detto Casimirri ? Ha fatto un nome che non c'entrava niente con il quarto uomo di via Montalcini. Lo leggerete qua, se volete vi lascio il documento. Fabbri dice davanti a noi, a me e a Ionta: «Per quanto riguarda la presunta identificazione di tale Morbioli Giovanni come la quarta persona di via Montalcini, il cosiddetto ingegner Altobelli, devo dire che tale identificazione è frutto di nostra ipotesi, tanto è vero che essa è stata posta al condizionale». Condizionale vuol dire che Casimirri poteva aver dato un'indicazione. Prosegue Fabbri: «Il Casimirri si limitò a dare il profilo dell'ingegnere Altobelli, così come riassunto dalla nota, ma non indicò mai in Morbioli Giovanni la persona del presunto Altobelli».
  Che significa questo ? Che Casimirri, che sapeva benissimo chi era il quarto Pag. 11uomo di via Montalcini, cioè Germano Maccari, cerca di menare il can per l'aia e di metterci sulla cattiva strada; cerca di far identificare dalla Polizia, come sapevano fare loro, una persona sbagliata. Quando uno ha di fronte questi personaggi...
  Quanto a Casimirri, non capisco dopo che cosa è successo: sembra che si sia sposato con una cittadina del Nicaragua, per cui non è stato più possibile richiedere successivamente l'estradizione. Io sto parlando del processo Moro-quater, che è del 1993, se non sbaglio, ma poi ci sono stati gli anni successivi in cui si è cercato di avere finalmente Casimirri, ma non si è mai riusciti ad ottenerlo.
  Come si sa e come ha detto Morucci – questo corrisponde a tutte le altre dichiarazioni – Casimirri e Lojacono erano nel cosiddetto «cancelletto superiore», mentre al «cancelletto inferiore», in fondo, c'era la Balzerani. Lojacono e Casimirri sono stati scelti da Morucci, che rappresentava l'ala movimentista all'interno delle Brigate Rosse, mentre Moretti e Gallinari erano l'ala militarista. Da lì, nonostante Casimirri non ne abbia mai fatto il nome, anzi abbia tentato di depistare i servizi, noi siamo arrivati a Germano Maccari, attraverso le dichiarazioni di Savasta e di altri.
  E quando abbiamo fatto arrestare Germano Maccari, apriti cielo ! Sembrava che avessimo fatto arrestare il più innocente degli innocenti. Si è scatenata una campagna di stampa incredibile contro di noi: si sosteneva che noi avessimo fatto arrestare un innocente, dopo quindici anni, addebitandogli addirittura l'omicidio di Moro. Ma noi avevamo le dichiarazioni di Savasta e – finalmente – della Faranda, che aveva fatto il suo nome in quella famosa notte a piazzale Clodio, in cui finalmente, piangente, riuscì a fare il nome di Germano Maccari. Ma se noi non avessimo trovato quella bolletta della luce e del gas che era stata inviata, che non si riusciva a trovare – adesso non ricordo in quale Commissione d'inchiesta era andata a finire – e che poi siamo riusciti a recuperare durante il processo e su cui fu eseguita la perizia grafica, rilevando che colui che aveva messo quella firma era proprio Germano Maccari... Il quale, poi, vistosi ormai scoperto, decise di rendere dichiarazioni, confessando addirittura il fatto.
  Devo anche ammettere che, insieme con l'avvocato Mancini, in aula l'abbiamo convinto a fare una confessione – che doveva accadere, perché ormai il fatto era stato accertato – che gli poteva essere utile ai fini dell'irrogazione della pena, che poteva essere inferiore a quella dell'ergastolo. Io mi sono assunto anche questa responsabilità, perché il pubblico ministero si assume anche questa responsabilità. Ho chiesto trent'anni di reclusione, ma è stato condannato all'ergastolo (in appello è stato condannato a ventisette anni) perché la Corte ha ritenuto strumentale la sua confessione. Ma noi andavamo alla ricerca forsennata della verità, quindi eravamo pronti a trovare tutte le parole adatte per convincere non solo i brigatisti che si erano dissociati, ma anche tipi come Maccari a confessare, oppure tipi come la Balzerani e come la Braghetti addirittura a venire in aula di giustizia, dopo averlo negato per anni. E noi non sapevamo niente di via Montalcini; non sapevamo che cosa era successo lì. Tutto quello che è stato ricostruito ancora oggi resiste, perché non c’è una prova contraria alla prigione di via Montalcini. Sottolineo la parola «prova», perché quella che viene dalle dichiarazioni della Braghetti e poi dai riscontri effettuati è una prova: c’è il riscontro del tramezzo, c’è il riscontro dell'affitto, c’è il riscontro dei testimoni, c’è il riscontro di Graziana Ciccotti che esce per andare a scuola e vede la Renault rossa con la Braghetti. Quindi, esiste una serie di riscontri in cui c’è la prova del fatto che Moro è stato portato in via Montalcini e da lì è uscito morto, dal garage dove lo hanno ammazzato in quel modo barbaro. Partecipò anche Maccari, che fino all'ultimo ha tentato di accreditare un'altra ipotesi dei brigatisti. C'era il brigatista che sparava e il brigatista di copertura, come ci ha spiegato Raimondo Etro, raccontando che quando egli non riuscì a sparare sul magistrato Palma, Pag. 12Gallinari lo scansò con una mano e scaricò la mitraglietta addosso a Palma. Maccari voleva accreditare la tesi del portatore d'arma: Moretti mi ha costretto ad andare giù con lui, quando ha sparato e l'arma gli si è inceppata io gli ho ceduto la mia e Moretti ha sparato. Ciò per togliersi la responsabilità grandissima di aver ucciso un uomo in quel modo, in quel bagagliaio.
  Ecco perché la Corte poi arrivò alla condanna dell'ergastolo.
  Che cos'altro devo dire ? Ecco, io non mi sono interessato di Perrelli. Ho letto le dichiarazioni di Ionta, ma Perrelli riguarda tutta un'altra storia, riguarda via Monte Nevoso. Ionta vi avrà raccontato come sono arrivati a Roma gli atti di via Monte Nevoso, e come un carabiniere, Demetrio Perrelli, abbia deciso di dire che alcuni atti erano stati sottratti da via Monte Nevoso e portati al comando dell'Arma dei carabinieri (qui si apre quella storia vasta dei documenti di Moro, il generale Dalla Chiesa, l'onorevole Andreotti). Io non me ne sono interessato se non marginalmente, però se ci sono domande specifiche risponderò.
  Quello che posso dire, visto che è indicato fra i quesiti, è che Perrelli fu condannato per calunnia. Ho chiesto al mio segretario di farmi avere gli estremi di quella sentenza. La Sezione II del Tribunale di Roma nel 1991 ha condannato Perrelli a due anni e mesi nove di reclusione. La sentenza diventa definitiva il 2 ottobre del 1998. Questo è il contributo che io posso dare su Perrelli.
  Di Casimirri abbiamo parlato. Di Raimondo Etro credo vi abbiano già parlato: era l'altra persona che non era stata mai individuata; l'abbiamo individuata con il Moro-quater. Etro ha partecipato fin dall'inizio, ha fatto le ricognizioni e i pedinamenti di Moro nella chiesa di Santa Chiara. Poi è stato estromesso perché non ritenuto capace, in quanto precedentemente, durante l'omicidio Palma – ve l'ho ricordato – non era stato capace di sparare sul magistrato, tant’è vero che Gallinari, che in quell'occasione era il brigatista di copertura, l'aveva scostato bruscamente e aveva sparato. Quindi, fu estromesso, però gli conservarono l'incarico di andare a raccogliere le armi dopo l'agguato, dopo che Moro era stato rapito.
  Raimondo Etro si è dissociato prima, ha tentato di cavarsela dissociandosi per avere una pena per un altro fatto, poi si è scoperto che addirittura aveva partecipato al sequestro Moro e allora ha fatto il pentito e ha raccontato le cose che a noi sono servite per condannare anche Lojacono. Lojacono stava in Svizzera, ma noi non abbiamo mai potuto sentirlo; però in Svizzera ha subito un processo, per il quale è stato condannato.

  PRESIDENTE. Ringrazio a nome dell'intera Commissione il dottor Marini. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, salvo raccogliere ed inviare per iscritto eventuali ulteriori interrogativi al dottor Marini, che gentilmente, se ritiene, potrà consegnarci le sue riflessioni.

  GERO GRASSI. Presidente Marini, io mi auguro che lei abbia un proseguimento di vita superiore a quello effettuato da magistrato. Credo di interpretare i sentimenti di tutta la Commissione facendole i migliori auguri di superamento di questa prova di difficoltà.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Grazie, lei è molto gentile. Aspettiamo con serenità.

  GERO GRASSI. Devo dire che il fatto che lei ne abbia parlato con tanta serenità ci fa ben sperare che riesca ad aggredire questa malattia con grande successo.
  Detto questo, non per dovere, la ringrazio pubblicamente perché – non so se lei lo ricorda – io le ho chiesto in tempi lontani, quando non c'era la Commissione e non c'era la legge, di venire a trovarla...

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Certo che lo ricordo.

Pag. 13

  GERO GRASSI. ... perché nei due milioni di pagine del caso Moro, che io avevo già letto, seguivo degli elementi di indagine e mi sembrava che le sue dichiarazioni, nei processi e nelle diverse Commissioni, come lei stesso ha detto quando ha parlato di «incaponimento» suo sul caso della moto, li richiamassero.
  Allora io venni a trovarla come semplice deputato e lei fu gentilissimo, alcuni anni fa. Mi spiegò una serie di cose, seppur succintamente, e mi diede anche degli spunti che il tempo sta dimostrando non dico veri, perché sarei presuntuoso, ma perlomeno elementi veritieri da approfondire, cosa che peraltro la Commissione sta facendo.
  Il riferimento agli elementi «inconfessabili» – probabilmente mi sarò espresso male io con il Procuratore Ciampoli nel corso dell'audizione – proviene dalla Relazione sugli ultimi sviluppi del caso Moro approvata nel 1994 dalla Commissione stragi dell'XI legislatura; il relatore, senatore Luigi Granelli, dice: «Il dottor Antonio Marini è certo che la moto c’è». E poi lei dirà: «Tanto sono certo che i due della moto sono stati condannati per tentato omicidio pur non avendoli rintracciati». Granelli sostanzialmente dice: «Per inconfessabili motivi il magistrato non è riuscito a individuare...».

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Ah, lo dice lui.

  GERO GRASSI. Lo dice Granelli, è scritto nella relazione. Ovviamente, per come è scritto, devo dire che si può attribuire a lei. Glielo leggo: «Se nessuno è disposto a parlarne – è la convinzione del magistrato – l'unica spiegazione possibile è che si tratti di un argomento inconfessabile». Ma lo dice lui. «Ciò autorizza obiettivamente a nutrire sospetti circa un intervento nell'azione di via Fani di presenze esterne alle Brigate Rosse».
  Al di là del termine «inconfessabile», che ovviamente, essendo largo, lascia intendere quello che lei ha detto...

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Io ho trovato quella definizione.

  GERO GRASSI. Lei ha spiegato il lato emotivo.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Perché è la verità, io ho questa sensazione.

  GERO GRASSI. Il problema, però, non è il termine «inconfessabile». Il problema è che noi stiamo ancora a discutere se c'era o non c'era la moto e se qualcuno ha sparato o non ha sparato. E non ne stiamo discutendo in piazza, ma ne abbiamo discusso qui ieri sera. Questo è il dramma.
  Una sentenza, passata in giudicato, nel 1991 ha accertato che la moto Honda c'era e che uno dei due occupanti ha sparato. Io la condivido, ma questo non c'entra. Quindi, torno a ripetere, lei, dal punto di vista giudiziario, ha dimostrato – esattamente ventiquattro anni fa – che la moto Honda c'era e che uno degli occupanti ha sparato. Lei ha detto allora, e con maggiore risvolto umano ha ribadito pochi minuti fa, che non è riuscito a individuare i due della moto. È così o no ?

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. È così.

  GERO GRASSI. Quindi io non sono un visionario.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. L'ha accertato una Corte d'assise, non io.

  GERO GRASSI. Dopodiché lei, qualche minuto fa, ci ha anche detto di aver richiesto la revoca dell'archiviazione. Io presumo (se sbaglio l'interpretazione, mi corregga) che se lei fa questo gesto dopo la premessa iniziale duplice – quarant'anni di magistratura e percorso sanitario Pag. 14– abbia elementi di certezza, e su che cosa ? Non sull'individuazione delle persone, ma sul fatto che qualche spiraglio di possibilità ci possa ancora essere e che quindi ci sia stata eccessiva fretta nell'archiviazione che, peraltro, non pone in dubbio la presenza della moto, ma dice che non è possibile a trentasette anni di distanza individuare le due persone.
  La scorsa notte qui abbiamo sentito rimettere in discussione, a una domanda precisa del senatore Gotor, la certezza della partecipazione della moto Honda al rapimento di Moro e all'eccidio di via Fani. Non sto dicendo illazioni, ma sto riportando quello che il dottor Ionta ha risposto al senatore Gotor e a me, che su questo fatto lo abbiamo interrogato.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Ha dimostrato incertezza ?

  GERO GRASSI. Totale incertezza. Ha detto che, secondo lui, non è certo che la moto abbia partecipato all'evento Moro. Poteva esserci, ma stava lì perché passava; non c'entrava niente. Poi ha parlato della possibilità che sulla moto ci fossero persone che, avendo sentito al bar che le Brigate Rosse andavano a rapire Moro, hanno pensato di fare una passeggiata lì. Non le sembri che io stia banalizzando: l'hanno sentito al bar, mentre i brigatisti concepivano il caso Moro, e hanno deciso di fare una passeggiata e di assistere all'evento.
  Se questo è il contesto nel quale noi ci stiamo muovendo, a me sembra che lei oggi abbia fatto una dichiarazione importantissima, ribadendo che la moto c’è.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. La sentenza della prima Corte d'assise.

  GERO GRASSI. Esatto. La moto ha partecipato all'evento non perché lo dice il dottor Antonio Marini, ma perché lo affermano Pistolesi, Alessandro Marini e quelle persone che addirittura hanno riferito all'autorità giudiziaria di aver visto il posto nel quale la moto era posizionata e dal quale è sbucata, e che lei probabilmente ricorderà essere dietro l'Austin Morris che stava al posto del furgone di Spiriticchio. Così come ci sono alcuni – Pistolesi, che lavorava al distributore di benzina, e altri – che dicono di aver visto la motocicletta passare e seguire le automobili di Moro; così come ci sono altri che dicono alla magistratura che la moto poi è andata nella stessa direzione delle due auto dei brigatisti quando hanno portato via Moro.
  Io la ringrazio perché almeno una certezza ce l'abbiamo: la moto c'era, ha partecipato, uno dei suo occupanti ha sparato. Ci sono le testimonianze. Andiamo avanti. Lo dico a futura memoria.
  Lei a un certo punto ha parlato del caso Braghetti. Ovviamente non mi rivolgo a lei, ma chiedo che venga registrato, mi serve per gli atti: il contratto di vendita dell'appartamento di via Montalcini, stipulato dalla Braghetti dopo che i suoi complici avevano scoperto che l'automobile che la seguiva era della Polizia, fu rogato dal notaio Nicasio Ciaccio. Non era un notaio qualsiasi, ma era componente della segreteria particolare del Ministro della difesa Attilio Ruffini. Il contratto di vendita fu concluso per procura: non andò la Braghetti, ma la zia. Tenga presente che fino al 12-13 aprile del 2007, la Braghetti risultava ancora proprietaria di quel locale, perché il Catasto non aveva effettuato la voltura.
  Che cosa voglio dirle ? Che cosa c'entra il notaio ? Nicasio Ciaccio è della segreteria del Ministro della difesa Ruffini. Ruffini è la stessa persona – quindi potrebbe essere una combinazione – dalla cui cassaforte, durante i cinquantacinque giorni del caso Moro, scompaiono tutti gli atti di Gladio, per i quali il vicecapo del SISDE ammiraglio Martini si dimette, dopo aver litigato con lui. La cosa strana non è soltanto che avvenga un furto nella cassaforte del Ministro della difesa. Questo è Pag. 15già stranissimo, ma c’è di peggio: gli atti scomparsi, ricompaiono nella stessa cassaforte del Ministro della difesa.
  Si chiederà cosa c'entri lei. Assolutamente nulla, però siccome lei ha citato bene il caso Braghetti... Sul quel caso c’è da dire un'altra cosa: nessuno ha avvisato la magistratura della posizione della Braghetti, mentre era pedinata e seguita, e voi siete stati avvisati quando la Braghetti non solo aveva fatto l'atto per procura, ma addirittura se n'era completamente andata.
  Io voglio farle una sola domanda. Lei ha dimostrato assoluta certezza affermando un dato che, secondo me, è ancora in discussione: l'unica prigione di Moro è stata via Montalcini.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Fino a prova contraria.

  GERO GRASSI. Perfetto. Questa è un'affermazione che alcuni brigatisti fanno, ma che non riescono a dimostrare e che, tra i brigatisti, Moretti non ha mai fatto, come io e lei sappiamo. La prova contraria, dottore, è auspicabile. Però io e lei sappiamo che molte delle affermazioni dei brigatisti non sono vere. Lei lo ha scritto. Addirittura, lei ha scritto benissimo che Morucci, quando non vuole negare, lascia in sospeso la cosa. Le sto citando cose che lei ha scritto.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Infatti si è rifiutato di venire al processo Moro-quinquies, per non accusare Maccari.

  GERO GRASSI. Perfetto. Allora, sulla base di tutto questo presupposto, credo che la certezza giudiziaria della unicità della prigione di Moro in via Montalcini sia messa in dubbio da elementi oggettivi, seppur non giudiziariamente assunti nella vicenda della prigione.
  Quali sono questi elementi ? Punto primo: la perizia ossea di un uomo di 61 anni, che nel 1978 è anagraficamente anziano, dice che le ossa di Moro sono in perfetta condizione e incompatibili con la condizione di detenzione nello spazio ristretto e angusto di via Montalcini, che era di due metri e dieci centimetri per un metro. Punto secondo: la perizia sul corpo di Moro ci parla di un capello di donna lungo 20 centimetri di colore rosso, incompatibile con il caschetto nero e corto della Braghetti, che lei ha detto essere stata l'unica carceriera. Punto terzo: sul corpo di Moro vengono trovati undici peli di cane di grossa taglia, incompatibili con la detenzione in quello spazio ristretto.
  Questi ed altri elementi mi inducono a ritenere che ci possa essere stato oltre alla prigione di via Montalcini un altro luogo, che non sono in grado di determinare quale e dove fosse. Lei sa, invece, che agli atti della magistratura ci sono anche alcune ipotesi.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Certo.

  GERO GRASSI. Un'ipotesi potrebbe essere una villa in provincia di Viterbo, un'altra sul litorale, con la sabbia, un'altra ancora un palazzo dello IOR in via Massimi, infine un'altra – dice la magistratura – l'ambasciata cecoslovacca a Roma.
  Allora le chiedo se, alla luce di tutto quello che è stato detto e scritto in questi anni, possiamo almeno dire che molto probabilmente via Montalcini è stata l'unica prigione, ma ci sono elementi che ci inducono a ritenere che ce ne possano essere altre, non ancora identificate.
  Non so se sono stato sufficientemente chiaro.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Sì, ma lei stesso usa un'espressione diversa dalla mia. Io, da magistrato, uso un'espressione che mi è più consona e dico: «Fino a prova contraria». Che significa ? Io parlo di prove. Gli elementi che lei ha indicato sono tutti indiziari, che servono per l'ulteriore indagine. Tutti elementi che, coordinati logicamente Pag. 16fra di loro, con eventuali riscontri, ci farebbero raggiungere la prova certa, sicura che oltre a via Montalcini c’è un'altra prigione di Moro. Questo volevo intendere, quindi io non lo escludo. Quando dico «fino a prova contraria», significa che non posso escluderlo. Allo stato degli atti non posso ritenere che ci sia stata, ma nello stesso tempo non lo posso escludere. Dunque, se tutti quei preziosi elementi che lei ha indicato saranno sottoposti nuovamente a un vaglio più attento, più critico, eventualmente con il riscontro di altri elementi che poi emergeranno nel corso delle indagini...
  Ormai credo che lo abbia imparato, da un momento all'altro emerge un elemento che non era mai emerso e che riesce a fungere da faro per illuminare quella zona grigia, quella zona d'ombra o quella zona buia che non si era riusciti a decifrare. Così pian piano si raggiunge, attraverso elementi indizianti o indiziari, quella prova che invece serve a un giudice per affermare in una sentenza definitiva – perché quella è una sentenza passata in giudicato – che la motocicletta Honda era in via Fani, che a bordo c'erano due persone che hanno sparato e che i giudici hanno condannato anche per il tentato omicidio nei confronti di Alessandro Marini.
  Il pubblico ministero umile dovrebbe dire: «Il fatto è stato accertato. Io ho il compito esclusivamente di individuare o identificare i due a bordo della moto Honda». È quello che io ho cercato di fare in questi anni e non ci sono riuscito, nonostante gli sforzi compiuti, nonostante l'impegno profuso, nonostante tutto. Ecco quella sgradevole sensazione: proprio i due a bordo della moto Honda devono rimanere impuniti per un fatto così grave come la strage di via Fani ?
  Una cosa che lei non ha citato, tra gli elementi che ha indicato relativamente a via Fani – lasciamo stare per un momento via Montalcini – è che la moto Honda è stata vista da un medico prima dell'agguato. È stata vista, guarda caso, proprio accanto a due persone vestite da avieri. Quindi, la moto Honda, secondo gli elementi e le testimonianze, ha partecipato, eccome ! Le persone sulla motocicletta non sono andate dopo a vedere, bensì hanno partecipato fin dall'inizio, con un compito ben specifico, quello che era stato assegnato a Rita Algranati, che non era sufficiente. Prima Morucci aveva detto che Rita Algranati doveva andare con un motorino; poi invece disse che Rita Algranati doveva, con un mazzo di fiori in mano, attraversare la strada per dare la possibilità di rallentare, in modo che Moretti si potesse mettere davanti alla macchina. Questo ha fatto Rita Algranati.
  La moto Honda, invece, è un elemento che è intervenuto dall'inizio, quando Moro è uscito dalla casa, per fare da battistrada e avvertire. Sentite Raimondo Etro, che ha parlato del fatto che nel periodo antecedente al 16 marzo gli era stato affidato l'incarico – che poi non svolse – di dare con una ricetrasmittente, da un ciclomotore, il segnale del passaggio dell'auto di Moro. La moto Honda serviva ad avvisare: «Sta arrivando, è uscito, adesso sta facendo la curva, fra poco arriviamo». Questo doveva fare la moto Honda, secondo quello che è stato ricostruito. Poi ci possiamo tutti sbagliare, per carità.
  Parlo anche perché ho parlato con due giudici di un certo livello, Severino Santiapichi e il povero Nino Abbate, rispettivamente presidente e giudice a latere nel processo di primo grado. Onorevole, lei lo sa, quando noi ci interessiamo in ribattuta di un fatto, è chiaro che l'umiltà impone di chiedere: «Cosa hai accertato ? Ne sei sicuro ? È vero ? Avete sentito bene questo Alessandro Marini ? Avete scritto una sentenza che è passata in giudicato. Ma questo benedetto parabrezza dove sta ? Perché noi non lo troviamo ?». Perché l'hanno fatto restare lì per anni e Marini, come ha dichiarato, se n’è liberato. Alessandro Marini, nell'inchiesta fatta a seguito dell'avocazione, ha detto che c'era un «baracchino» anche nella sua abitazione. Nessuno ha pensato di andarlo a ritirare.
  Ma insomma, Infelisi vi ha detto o no che, a volte, non c'era nemmeno un telefono alla Procura della Repubblica ?Pag. 17
  Ho letto le dichiarazioni dell'amico Violante che dice che dobbiamo tener conto di come operavano i magistrati nel 1978.
  Ricordate che cosa vi ho detto poco fa ? De Matteo mi incaricò di fare una sorta di coordinamento «casereccio» tra le varie Procure della Repubblica, perché non ce n'era nessuno; nessuno sapeva quello che facevano i colleghi di Torino o Milano; a Milano non si sapeva quello che si faceva a Torino e così a Roma. A Milano ci sono stato sette anni; abbiamo fatto tanti processi di violenza politica, ma mai di terrorismo. A Genova però avevano ammazzato Coco con tutta la scorta, quindi già c'era stato il primo atto veramente di terrorismo. De Matteo mi disse che non sapevamo cosa succedeva nelle altre Procure, ad esempio cosa facesse Caselli a Torino e via dicendo, e così mi delegò: «Delego il sostituto procuratore» – se ritrovo il documento ve lo porto – «ad andare alla Procura di Torino, a quella di Milano, a vedere quanti processi hanno contro il terrorismo, di che tipo sono, chi sono gli imputati». A Roma era scoppiato qualcosa che forse noi non ci saremmo mai aspettati, anche se io ho sempre detto che i brigatisti poi hanno fatto tutto quello che hanno detto. Perciò, quando parlavano, nei famosi documenti, di attacco al cuore dello Stato – parole che venivano definite «deliri» – dopo averlo scritto, riscritto e riscritto ancora, l'attacco al cuore dello Stato l'hanno eseguito, in via Fani, con le modalità che abbiamo indicato.
  È chiaro che – poi abbiamo accertato anche questo – non era necessario per rapire Moro quell'attacco. Ma questo ce l'hanno detto tutti e l'abbiamo capito tutti. Si è voluto fare quell'attacco, uccidere cinque poliziotti e rapire con quelle modalità Moro: quella era la carta che volevano giocare, ma poi si è ritorta loro contro, perché fu proprio quell'attacco che indusse tutti alla fermezza, perché non bisognava cedere.
  All'epoca girava questa frase, che veramente fa male: «Sconfiggere le Brigate Rosse o salvare la vita di Moro ?». Quello era il problema. È il grande dilemma che ha attraversato Cossiga, che poi è diventano mio amico. Io l'ho sentito quando era Presidente della Repubblica, proprio per i piani Victor e Mike. Ricordo benissimo che mi ha telefonato alle cinque e mezza del mattino (mi dissero che era abituato a telefonare al mattino presto). Io ero tutto eccitato e imbarazzato, perché a casa mi dissero che mi chiamavano al telefono dal Quirinale. Alle cinque e mezza ? E dall'altra parte: «Procuratore, le passo il Presidente Cossiga». «Devo fare delle dichiarazioni, Marini». «Presidente, dove devo venire ?». «No, vengo io da lei». Allora ho capito subito che le dichiarazioni non le doveva fare a me, ma alla stampa, a tutti, tanto è vero che gli ho detto: «Presidente, non venga però a piazzale Clodio, venga al bunker di piazza Adriana, dove noi lavoriamo all'antiterrorismo, perché lì è più protetto». Sono arrivato dopo di lui, era già pieno di giornalisti. Non so se Ionta ve l'ha raccontato, ma Cossiga tenne me e Ionta per sette ore a fare dichiarazioni sui piani citati. E poi ho avuto l'onore di diventare suo amico. Quando mi incontrava, a volte mi metteva anche in imbarazzo, perché si scostava magari dal corteo, si avvicinava e diceva: «Questo è Marini. Lo sa che mi ha tenuto sette ore sotto interrogatorio ?». Io ? Era lui che aveva tenuto noi, me e Ionta, per sette ore a fare dichiarazioni.
  Della moto Honda si parlò anche con lui. Se ne parlò sia in riferimento a quella notata sotto lo studio di Moro, sia a quella in via Gradoli.

  GERO GRASSI. Quindi Morucci dice il falso nel memoriale, almeno sulla moto Honda.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Ma certo.

  GERO GRASSI. Siccome ieri sera abbiamo sentito il contrario...
  Credo che la maieutica possa servire ad esplicitare pensieri succinti, poco comprensibili per chi non conosce tutti i fatti. Il senso della mia domanda era farle aggiungere qualche cosa di più esplicativo, Pag. 18non per noi, ma per quelli che leggono o che ci seguono da casa.
  Non volevo mettere in dubbio la bontà della sua affermazione, tutt'altro.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Io dico quello che ricordo. Ancora vivo questa storia. Lei dice che mi sono incaponito...

  GERO GRASSI. No, l'ha detto lei.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Sì, mi è rimasto il rammarico per la mancata identificazione dei due a bordo della moto Honda. Veramente ritengo un atto di ingiustizia non averli identificati. Mi devo assumere la responsabilità soltanto io ? Me l'assumo.

  GERO GRASSI. Non è questo il senso.
  Cossiga, anche questo per la storia, in quelle sette ore, fa una rivelazione della quale, se potesse, si pentirebbe, perché a lei e al dottor Ionta parla di una lettera di Moro nella quale si evocano i villaggi irlandesi. Quella lettera di Moro non l'ha mai ricevuta nessuno e non l'ha mai vista nessuno. Purtroppo, Cossiga si è portato nella tomba il segreto di quella lettera, che incautamente probabilmente a voi trasferì, ma che nessuno ha mai letto, nessuno ha mai ricevuto, nessuno ha mai visto, e che Cossiga misteriosamente conosceva: i villaggi irlandesi.

  PRESIDENTE. Sono quasi le 15.30. Vorrei innanzitutto ringraziare il Procuratore Marini. Lo faccio – se mi consentite – con un senso di simpatia in senso letterale, per la sua disponibilità, per l'accuratezza della sua ricostruzione e quindi anche per lo sforzo dei ricordi, oltre che per la documentazione apportata.
  Ringrazio anche i colleghi per la presenza e i contributi.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Vuole il provvedimento che abbiamo adottato ?

  PRESIDENTE. Sì, tutto quello che lei ritiene possa essere utile alla Commissione.

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Se lei me lo richiede, io le fornisco il provvedimento.

  PRESIDENTE. Sì, grazie. Ci permetteremo di inviarle ulteriori domande scritte. (*)

  ANTONIO MARINI, Procuratore generale facente funzioni presso la Corte di appello di Roma. Se volete posso tornare. Sono a completa disposizione per qualsiasi chiarimento, nei limiti naturalmente dei miei ricordi e delle mie possibilità. Preferisco tornare che rispondere per iscritto. Mi piace il dialogo.

  PRESIDENTE. Grazie di tutto. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.

  (*) Non sono pervenute risposte del dottor Antonio Marini ai quesiti trasmessigli per iscritto.