XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 52 di Mercoledì 10 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 3 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 5 
Ranucci Raffaele  ... 6 
Margiotta Salvatore  ... 7 
Rossi Maurizio  ... 8 
Anzaldi Michele (PD)  ... 10 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 10 
Bonaiuti Paolo  ... 11 
Gasparri Maurizio  ... 11 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 12 
Nesci Dalila (M5S)  ... 15 
Fico Roberto , Presidente ... 15 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 15 
Bonaiuti Paolo  ... 16 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 16 
Bonaiuti Paolo  ... 22 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 22 
Fico Roberto , Presidente ... 23 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 23 
Fico Roberto , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Il dottor Vianello riferirà alla Commissione sullo schema di regolamento predisposto dall'AGCOM in materia di tutela del pluralismo e di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi non elettorali.
  La Commissione è inoltre interessata a conoscere le valutazioni del direttore sul progetto di riposizionamento dell'offerta informativa della Rai nel nuovo mercato digitale, elaborato dal direttore generale Gubitosi e illustrato alla Commissione nella seduta dello scorso 23 settembre.
  Do, quindi, la parola al dottor Vianello, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Onorevole presidente, onorevoli deputati e senatori, innanzitutto grazie per l'opportunità di esporre davanti a questa Istituzione il lavoro che stiamo svolgendo con la terza rete della Rai e di farvi ascoltare le mie valutazioni sulla missione e l'impegno in termini di offerta e pluralismo di un canale tanto importante del servizio pubblico.
  Permettetemi di raccontarvi innanzitutto cosa facciamo e cosa cerchiamo di fare a Rai 3, seguendo la missione e il mandato che ci arrivano dal Consiglio di amministrazione della Rai.
  Rai 3 nasce nel 1979, ma si sviluppa secondo la sua attuale posizione di rete generalista nel 1987, grazie all'illuminante e ancora attualissima intuizione di Angelo Guglielmi di una TV che raccontasse la realtà attraverso varie declinazioni. Il solco tracciato in quella stagione delinea ancora oggi per la terza rete della Rai una forte identità, che convive felicemente con la sua natura di rete generalista e risponde appieno alla mission che ci viene confermata, quella di una rete che presìdi, in complementarietà con gli altri due canali generalisti, soprattutto il terreno dell'approfondimento giornalistico, dell'inchiesta, del reportage, della cultura, della divulgazione e della TV di servizio per il cittadino. Questo con programmi inseriti in un contesto che privilegia, come sapete, gli spazi dedicati all'informazione regionale, gestiti dalla TGR, oltre che gli appuntamenti del telegiornale nazionale, appannaggio del TG 3.
  Nel corso di questi anni Rai 3 è riuscita a conquistare e a mantenere, grazie alla forza di una programmazione coesa e incisiva, una posizione di privilegio a livello sia qualitativo – i dati del cosiddetto Pag. 4Qualitel vedono molti programmi del nostro canale tra i più apprezzati dal pubblico televisivo – sia quantitativo, con un'Auditel che, seppure con una contrazione dovuta in particolare alla frammentazione del pubblico con il moltiplicarsi dell'offerta digitale e satellitare, ci ha visti chiudere lo scorso anno al terzo posto tra le reti generaliste, sia nel prime time, sia nell'intera giornata. Si tratta di un risultato particolarmente soddisfacente anche in virtù del fatto che Rai 3 è la rete con il budget storicamente meno consistente a causa della riduzione complessiva rispetto a solo pochi anni fa delle risorse del mercato televisivo che privilegia le produzioni interne. Tutti i programmi del daytime di Rai 3 sono programmi creati, gestiti e realizzati da Rai e quasi tutte le prime serate – per esempio, Chi l'ha visto, Ballarò e Ulisse – consistono in prodotti artigianali made in Rai. La dispersione del pubblico verso le variegate offerte tematiche digitali e satellitari, che sta colpendo tutta la TV generalista, è per Rai 3 un problema più insidioso rispetto agli altri canali, in quanto la composizione del nostro pubblico di riferimento, che è largo, ma con una forte presenza di pubblico strutturato e di alta istruzione, molto presente nelle regioni del Nord Italia, lo rende più interessato all'offerta tematica targettizzata che gli viene proposta dai nuovi canali emergenti. Ciononostante, Rai 3 mantiene un ottimo risultato di ascolto, che continua anche in questo autunno a vederci in tutte le ultime settimane terza rete nazionale per performance generali e molto forte sul cosiddetto target value, che sarebbe il pubblico più strutturato ed esigente, peraltro più appetibile anche sul mercato pubblicitario, con l'8,20 per cento sul prime time e l'8,60 per cento sull'intera giornata. Anche in questi numeri Rai 3 è terza dopo le sole due ammiraglie Rai e Mediaset, vale a dire Rai 1 e Canale 5.
  La missione di ogni canale Rai e, in particolare, per quanto ci riguarda, di un canale tanto attinente al concetto fondante di servizio pubblico come Rai 3 è guardare, peraltro, ben oltre gli ascolti, per un'offerta in linea con la diffusione di una TV di qualità e di idee e con la ricerca di nuovi linguaggi televisivi tesi ad accrescere lo sviluppo culturale del Paese. Per questo motivo, accanto a una linea di programmazione consolidata, che ha molte punte di eccellenza sia in prima serata, sia negli altri spazi del palinsesto, noi perseguiamo la difficile, ma necessaria strada dell'innovazione, come è dovuto a una rete della più grande azienda culturale del Paese, all'interno di un'identità, come dicevo, ben definita, seppure inserita in pieno contesto generalista. La particolare programmazione di Rai 3, molto orientata in tanti programmi al racconto della realtà e all'approfondimento giornalistico, ci rende profondamente sensibili al tema dell'equilibrio delle forze, delle posizioni politiche e del pluralismo. Sentiamo questa caratteristica come un nostro punto di forza, anche con un impegno complesso da affrontare quotidianamente attraverso molte declinazioni e rispettando sempre le regole deontologiche del buon giornalismo e della buona comunicazione, oltre che, naturalmente, quelle scritte nelle leggi e nei regolamenti. Queste regole sono tante e riguardano la tutela di molti soggetti, alcuni deboli, verso i quali dobbiamo nutrire particolare rispetto. Riguardano anche, però, nel complesso della comunicazione politica, i temi riassunti sotto l'espressione, spesso riduttiva e un po’ usurata, di par condicio.
  La nostra sensazione è che le iniziative normative regolamentari assunte in questi anni, sicuramente in nome di princìpi e obiettivi di grande valore, abbiano prodotto, però, schemi che cercano di ingabbiare una realtà inesorabilmente troppo complessa, che sfugge a quantificazioni tassative e che si manifesta in forme sempre più diffuse e impalpabili anche attraverso l'espandersi del web. Per questo, pur ponendo una quotidiana e sensibile attenzione ai criteri generali del rispetto del pluralismo e della correttezza dell'informazione, avvertiamo la crescente difficoltà di misurarli con criteri di carattere puramente quantitativo e non, come sarebbe necessario, con criteri anche qualitativi. Riteniamo che una corretta rappresentazione Pag. 5politica sia un nostro dovere, ma anche un precipuo interesse della stessa politica e delle Istituzioni nel loro rapporto con i cittadini e persino un momento importante, se non fondamentale, della dialettica democratica del Paese.
  Abbiamo visto dunque con preoccupazione in questi anni iniziative tendenti a cancellare o ad attenuare la distinzione, peraltro garantita costituzionalmente, tra comunicazione politica e informazione anche fuori del periodo elettorale definito dalla legge, arrivando a voler considerare anche nei programmi di informazione il numero esatto di presenze e addirittura il tempo di parola, quest'ultimo peraltro difficilmente controllabile e computabile in una trasmissione in diretta. Questo senza tenere conto del fatto che il primo dovere di chi fa informazione è quello di dare e offrire al commento, anche nei programmi di approfondimento, le notizie di più largo e generale interesse che egli valuti tale in quella giornata o in quel determinato lasso di tempo. Vorrei citare le parole di un recente pronunciamento giurisdizionale su questa materia viva: «Per chi legittimamente dispone ed è responsabile del medium, la libertà di informare include quella di stabilire, secondo esperienza e a proprio rischio professionale, a quali informazioni politico-sociali l'opinione pubblica sia maggiormente interessata in un determinato momento, scegliendo egli, per conseguenza, quale prodotto informativo offrire secondo il format impiegato». Vorrei aggiungere che per chi lavora nel servizio pubblico radiotelevisivo questa è una precisa responsabilità e che, come tale, la vive Rai 3.
  In merito al Piano di ridisegno dell'impianto news che l'azienda intende avviare e del quale io conosco solo le linee-guida – nel ruolo che attualmente ricopro non sono coinvolto direttamente ma rispetterò, naturalmente, le decisioni che verranno prese – posso solo constatare che l'attuale fotografia delle testate giornalistiche e della strutturazione dell'offerta informativa sul palinsesto è figlia di una riforma datata ormai quasi quarant'anni e che una rivisitazione appare senza dubbio urgente per adeguarsi a una realtà profondamente cambiata, nel rispetto rigoroso e fondamentale, anche in questo caso, del pluralismo e di una, a mio avviso, comunque necessaria identità editoriale e televisiva dei singoli canali.
  Svolgo un'ultima considerazione, infine, sul racconto della Rai 3 di oggi, sul cosiddetto second screen, sul mondo del web, che, soprattutto attraverso i social network, si sta dimostrando strumento e piattaforma complementare, arricchente e non antagonista delle TV generaliste. È un tema cui guardiamo con molta attenzione, favorendo l'interazione del pubblico ai programmi con un nuovo moderno concetto di TV partecipativa, convinti che anche un canale generalista tradizionale come Rai 3 trovi nel web nuova linfa vitale e nuova possibilità di fruizione attiva da parte degli utenti telespettatori.
  Concludo questa, inevitabilmente molto incompleta, analisi del lavoro che stiamo facendo a Rai 3 sotto la mia direzione, iniziata nel gennaio del 2013, ringraziando tutti voi per l'attenzione che mi avete dedicato. Sono ovviamente disponibile per le domande e le richieste di chiarimento che il presidente e gli onorevoli esponenti della Commissione volessero pormi.

  PINO PISICCHIO. Come lei stesso ha avuto modo di ricordare nella chiusa del suo intervento, una ragione significativa della sua presenza quest'oggi nella Commissione di vigilanza ha a riferimento una nostra indagine, una nostra elaborazione relativa a due aspetti. Uno è quello del riordino dell'informazione secondo il Piano che è stato proposto dal direttore generale, un altro è quello legato alla dimensione della par condicio. Sono entrambi profili che si intersecano con la ragione stessa dell'esistere della Commissione di vigilanza Rai, perché hanno a che fare con l'informazione.
  Devo dire che ho apprezzato la sua sottolineatura relativa al profilo identitario messo in campo dalla rete ed è questa la ragione per cui volevamo ascoltarla. In fondo, il TG, così come tutti i programmi che hanno per contenuto l'informazione, Pag. 6non può stare fuori dal contesto di rete nel quale si va a collocare. Rai 1 ha un profilo che, ben lungi dall'essere inchiodato e cristallizzato nello schema di cinquant'anni fa, è rivolto a un pubblico di ascoltatori tradizionale e largo. Rai 2 si propone con uno schema più innovativo e così, con qualche curiosità, si muove anche il profilo legato all'informazione. Rai 3, come lei ben ricordava, si muove con un'attenzione rivolta alla realtà sociale in movimento e lo fa con apprezzabili risultati.
  Qual è il punto, allora ? Il punto è che, a fronte del disegno di riforma che è stato proposto, questo profilo identitario potrebbe avere momenti di vulnerazione, ossia potrebbe essere rimosso e condizionato o comunque nello schema della riduzione a due newsroom potrebbe avere momenti non coerenti con l'impianto identitario. Potrebbe questo creare un danno all'informazione della rete ?
  Mi consenta una seconda domanda e vado subito alla conclusione. Lei ha fatto riferimento a un'esperienza articolata di programmi di informazione conosciuti dal grosso pubblico come talkshow. Recentemente abbiamo preso atto dell'esperimento non perfettamente riuscito di un programma che credo fosse dedicato a problematiche legate alle famiglie o alla genitorialità, ma ce ne sono altri che arricchiscono il bouquet della rete. Non le pare, direttore, che, in una stagione come questa, in cui il talkshow comincia a mostrare segni di stanchezza un po’ dappertutto e, peraltro, viene riprodotto con uno schema molto simile in più situazioni, sia il caso di disboscare un po’ tutto questo scenario, lasciando i grandi contenitori di inchiesta ? Rai 3 ha programmi di pregio sotto questo profilo.
  In ultimo, non sarebbe anche il caso, visto che in molte circostanze viene adoperata la professionalità di persone esterne, ossia di giornalisti che non sono giornalisti Rai, di attingere un po’ di più dalle risorse interne e un po’ meno da quelle che vengono da fuori e che magari ci costano anche qualcosa di più ?

  RAFFAELE RANUCCI. Mi scuso subito perché dovrò allontanarmi, essendo relatore di un provvedimento in 8a Commissione. Svolgo due ragionamenti. Uno riguarda l'informazione. Riguardo al riordino dell'informazione lei ha parlato dell'identità specifica di informazione di Rai 3. Come si sposa l'identità con l'informazione regionale ? L'identità dell'informazione del TG 3 è un'identità ben specifica: ritiene che per quello che riguarda l'informazione regionale questa identità non possa essere perseguita, in quanto l'informazione regionale diventa quasi generalista della regione e, quindi, la si possa perdere ?
  Volevo fare poi un ragionamento un po’ più ampio che riguarda la sua rete. Sono uno di coloro che apprezzano moltissimo il lavoro che lei e la sua rete state facendo. Come lei ha detto, Rai 3 non solo privilegia la produzione interna, ma guarda anche ben oltre gli ascolti. Credo che questo sia molto importante, se noi vogliamo parlare di un servizio pubblico. Avete la vostra identità culturale, giornalistica e sociale: Ballarò, Chi l'ha visto, Ulisse e altri prodotti vanno esattamente in questa direzione. Vedo anche che, sebbene ci siano programmi che possono avere poco ascolto, voi sperimentate – penso che questo sia molto importante per la Rai – e soprattutto che cercate di fare programmi sociali. A volte gli ascolti non pagano, ma credo che questa sia una strada per poter arrivare anche a prodotti che abbiano un fondamento nella nostra società e che, nello stesso tempo, possano nel futuro produrre ascolti. Volevo sapere se lei proseguirà su questa strada. Mi auguro personalmente di sì.
  Ho una domanda un po’ più specifica. C’è un altro prodotto che voi fate, che è Un posto al sole. Qualcuno può chiedersi perché parli di Un posto al sole. Al di là di esserne uno spettatore, credo che Un posto al sole abbia anche al suo interno una finalità sociale, un'informazione sociale. In ogni puntata riuscite a mettere un tema sociale, che viene svolto, chiaramente, Pag. 7come può essere svolto in una fiction. Penso che questo sia molto importante.
  Corre voce, o correva voce, che a un certo punto, prima di questa nuova stagione, ci fosse una forte pressione affinché un prodotto di informazione prendesse il posto di Un posto al sole nella striscia quotidiana e che lei abbia voluto mantenere questa fiction, al posto di un prodotto di informazione politica. Questo avrebbe causato il fatto che il conduttore sia andato su altre reti. Volevo sapere se questo corrisponde al vero o no. Senza fare giri di parole, parlo di Floris, che è andato dall'altra parte e che le aveva chiesto una striscia quotidiana su Rai 3 nella stessa fascia di Un posto al sole. Lei si è fermamente opposto e ha fatto questa scelta più sociale.

  SALVATORE MARGIOTTA. Innanzitutto ringrazio il direttore per essere qui. Egli sa che gode della mia stima, ma sa anche che gli farò una domanda in merito a una questione sulla quale non siamo molto d'accordo. Parto da una trasmissione che mi piace molto, Gazebo, non solo perché spesso mi citano – lo fanno solo perché uso molto Twitter – ma anche perché mi pare molto in linea con l'impronta culturale e con la cifra della rete. Il collega Ranucci introduceva il tema. Anch'io voglio fare una battuta su Ballarò. Lei ha, molto opportunamente e con orgoglio, rivendicato che, al di là dei numeri e degli ascolti, Rai 3 fa un buon lavoro e lo fa quasi sempre con le risorse interne. Le chiedo, quindi, in maniera molto diretta, se a questo punto, qualora dovesse rifare la scelta di andare all'esterno e di scegliere in particolar modo Giannini, la rifarebbe o meno, oppure se proverebbe a puntare su risorse interne, magari giovani.
  Sulla par condicio non aggiungo altro. Lei è stato assolutamente chiaro ed esplicativo e sono del tutto d'accordo.
  Vengo al Piano dell'informazione. Lei l'ha voluto introdurre con competenza e anche con «grazia», non essendo questo direttamente un argomento da direttore di rete. Io, però, voglio farle delle domande un po’ più dirette. Ritengo essenziale che questo – o un altro – Piano dell'informazione prenda il via al più presto. Anche per questo il presidente sa bene che io insisto affinché la Commissione chiuda in termini strettissimi la mozione che sta preparando l'ottimo relatore Pisicchio, in modo che noi diciamo la nostra e che il Consiglio d'amministrazione e il direttore generale, nella loro autonomia, procedano come debbono procedere. Credo che dobbiamo accelerare. Ho certezza che all'inizio di gennaio riusciremo a esprimere questo parere e che, dunque, poi la palla tornerà nelle mani del Consiglio d'amministrazione.
  Ritengo che la riforma sia necessaria perché alcuni temi di efficienza e di trasparenza, alcune motivazioni tecnologiche, nonché i risparmi che possono venirne fuori sono argomenti che non possono vedere insensibili la politica e la Commissione di vigilanza. Sono esigenze assolutamente sacrosante. Si può dissentire sul modo in cui si risponde a queste esigenze, ma non si può non ritenere che sia giusto tentare di dar loro una risposta. Dicevo l'altro giorno in Ufficio di presidenza, e lo voglio ripetere qui in streaming, che la stessa visita che abbiamo fatto ai comitati di redazione, in una giornata intera trascorsa sentendone tanti, perfino troppi, mi ha convinto che sia necessaria una semplificazione. È stata una giornata, dal mio punto di vista, assolutamente istruttiva sulla necessità di ridurre almeno i mezzi e le tecnologie perché ognuno possa fare bene il proprio lavoro senza sovrapposizioni.
  Detto questo, le domande più dirette sono due.
  La prima è stata posta dal collega Ranucci, ma entro più nel dettaglio. In Commissione molti di noi sono convinti che sarebbe meglio fare un salto addirittura diretto a una sola newsroom, invece che a due, mantenendo comunque i brand, come ci ha spiegato il direttore generale. Il fatto che si crei una newsroom non comporta che spariscano il TG 1 o il TG 3. Questo ci pare chiaro. Dovendo esserci due newsroom, uno degli aspetti su cui non Pag. 8siamo mai stati convinti da nessuna delle persone che abbiamo ascoltato è il motivo per cui stiano bene TGR, TG 3 e Rainews, anche se, a guardar bene, un motivo almeno storico c’è, visto che il TGR è sempre trasmesso su Rai 3 e che la stessa Rainews inizialmente aveva degli spazi su Rai 3, e ancora li ha. Questa è una questione sulla quale il senatore Bonaiuti insiste molto. Da questo punto di vista mi parrebbe di trovare un filo che lega proprio queste tre testate in un'unica newsroom.
  La seconda domanda è ancora più diretta. Purtroppo, la dovrò mettere un po’ in imbarazzo, perché abbiamo ascoltato due tesi differenti da due persone che devo nominare con nome e cognome. Poi le dirò la mia opinione. Il direttore del TG 3 sostiene che sia ingiusto o comunque non funzionale pensare di fare la riforma dell'informazione se non si riformano prima complessivamente le reti. Solo a valle di una riforma delle reti si può ragionare sul riordino dell'informazione. Il direttore Leone, ascoltato invece nell'ultima audizione, su domanda del Presidente Fico, ha detto il contrario. Ha detto, cioè, che l'informazione si può muovere in modo autonomo, considerato che le reti sono state sempre più soggette a una modifica anno dopo anno, mentre l'informazione è ferma al 1975.
  Propendo per questa seconda tesi, non perché sposi un punto di vista, ma perché ritengo in generale, nella mia cultura riformista, che, se si aspetta di cambiare sempre tutto, si rischia di non cambiare mai nulla. Se oggi c’è la possibilità di fare un passetto in avanti sulla vicenda del Piano dell'informazione, che lo si faccia senza dire che, se prima non si cambia l'universo mondo, non si può fare neanche una semplificazione nel mondo dell'informazione. Questa è la mia opinione, ma chiaramente mi interessa molto ascoltare la sua.
  Infine, poiché, molto opportunamente, lei ha toccato anche questo tema, come si fa – questo aspetto anche nel Piano dell'informazione è svolto in maniera, dal mio punto di vista, insufficiente – a potenziare davvero il web ? Perché in Rai non ci si riesce ? Perché ancora lo si considera di serie B, ragion per cui forse non si mettono le migliori energie a lavorarci ? Sempre per tornare all'esempio fatto all'inizio, si è visto come un'interazione web-TV come quella della trasmissione Gazebo, funzioni moltissimo. Sarebbe una via da percorrere fino in fondo e con migliore energia.

  MAURIZIO ROSSI. Innanzitutto mi permetta di esprimerle un gradimento sincero per la sua rete. A livello nazionale trovo Rai 3 la televisione più di servizio pubblico di tutta la Rai. Poiché credo che, in queste audizioni, ma anche nel lavoro che andremo a fare, dobbiamo porci domande su come sarà il futuro, osservo che il futuro, purtroppo, passa attraverso una definizione di che cosa possa essere il servizio pubblico e che questo continuiamo a non volercelo dire. Continuiamo a parlare di servizio pubblico in un modo enormemente improprio, come avviene, purtroppo, perché è stato codificato all'interno della Rai in un determinato modo. Infatti – poi lo chiederò a lei – una delle domande sarà che cos’è per lei il servizio pubblico. Mi rifiuto di pensare che Ballando con le stelle sia servizio pubblico e non mi si venga a dire che lo è anche per la BBC, perché il programma è contestato anche in Inghilterra come servizio pubblico. Ho una concezione del servizio pubblico che è essere al servizio del pubblico. Porto un esempio, che riguarda non voi, ma le sedi regionali Rai. In qualsiasi momento ci sia veramente bisogno del servizio pubblico, nelle emergenze di tutta Italia, che si tratti di terremoti, alluvioni, nevicate o altro, Rai 3 non è presente. Addirittura nel caso di Genova lei pensi che il sabato mattina dell'alluvione Rai 3 non è stata presente neanche con il programma che trasmette dalle 7.30 alle 8.00, Buongiorno regione, perché non è previsto che vada in onda. Questo, però, non riguarda, chiaramente, la sua direzione.
  Tutte le audizioni che stiamo facendo – mi rivolgo anche ai colleghi – dovremo rivederle fra qualche giorno e forse anche Pag. 9rifarle, per una ragione. Io ho fatto l'imprenditore per anni nel settore televisivo. Non è possibile cercare di capire la visione del futuro se non si sa su quali fonti di reddito si potrà contare. Quello che stiamo facendo è un esercizio, che non corrisponde a quella che sarà la realtà dei prossimi dieci anni. Abbiamo la scadenza della Convenzione nel 2016. Non è una questione trascurabile. Non so come arriverà il Governo e come arriverà il nostro povero Paese al 2016, ma sulla base di questo, quando arriverà in Aula la nuova analisi del servizio pubblico e del modo in cui dovrà essere portato avanti, la situazione economica del Paese sarà di fondamentale importanza per capire ciò che si potrà fare.
  Esisteranno ancora 15 canali della Rai ? Ha un senso avere 15 canali tra i quali i primi tre fanno il 95 per cento di share e gli altri 12 il 5 per cento ? Ci sarà il canone ? Ha senso continuare a tenere in piedi un canale come Rainews ? L'ho detto anche al direttore Monica Maggioni, quando è venuta qui. Lei non era contenta. Se in una squadra normale uno che fa l'allenatore perde tutte le partite, magari lo si cambia. Rainews fa lo 0,3-0,4 per cento e ha 120 giornalisti. Ha senso che un'azienda non si ponga il problema di chiedersi perché buttare via questi soldi, che non rendono pubblicità e non fanno ascolto ?
  Sul discorso dell'ascolto condivido assolutamente quanto lei diceva. Quando abbiamo definito che cos’è il servizio pubblico, e la sua Rai 3 ne fa tanto, non si va a guardare solamente gli ascolti. Se a un certo punto, ci si rende conto che si fa un programma che non guarda nessuno, bisogna però rendersi conto che il programma sarà anche definibile di servizio pubblico, ma che forse lo si sta porgendo in un modo sbagliato. Mi auguro che, se si parla di storia, lo si faccia in modo tanto interessante da coinvolgere almeno un dato numero di ascoltatori. Se non si riesce a farlo, comunque il programma non può costare milioni di euro o centinaia di migliaia di euro, per poi non riuscire a comunicarlo. Occorre rivedere il modo di comunicare. Va benissimo che non contino gli ascolti, ma ho sempre detto una cosa sin dal primo giorno: in qualsiasi azienda televisiva bisogna capire il rapporto tra il costo – e sono convinto che Rai 3 sia vincente quasi ovunque – gli ascolti, i ricavi e quanto fornire di servizio pubblico. Sono convinto che lei vinca la battaglia con tutte le reti Rai su questi dati.
  Ho chiesto stamattina in Commissione 8a – penso e spero che arrivi alle 15.30 il Sottosegretario Giacomelli – di sapere che cosa porta la riforma del canone. Potrebbe arrivare un emendamento che riforma il canone. Ho detto che dobbiamo fornire una risposta, come Commissione, e il relatore Ranucci ha condiviso, come penso anche i colleghi. È stato annunciato un canone di 113 euro, ma ci è stato detto che verrà ridotto a 65-70 euro. Se adesso non viene inserito nella legge di stabilità un elemento che indica che questa riforma partirà dal 2016, ma c’è questo cambiamento, a gennaio l'evasione aumenterà, perché la gente penserà di pagare 70 euro e arriverà un canone da 113. Ci sarà un aumento di evasione, secondo me, del 10-15-20 per cento o non so di quanto. Il problema del canone è fondamentale. Si tratta di capire da qui al 2016 come si vuole pensare a una riforma complessiva della Rai.
  La par condicio era stata risolta in un modo semplicissimo quando non esisteva: Rai 1 alla Democrazia Cristiana, Rai 2 ai Socialisti, Rai 3 al Partito Comunista. Oggi la par condicio, secondo me, dovrebbe essere presente in ogni rete. Quello che a me non piace, però, guardando alla Rai del futuro e pensando ai minori introiti che ci saranno anche per la Rai, è che siamo pieni di doppioni. Il servizio pubblico deve fornire un telegiornale. A me non ne interessano tre. Si potrà poi discutere se ci debbano essere ancora quelli locali o no. Non entro nel merito, perché chiaramente mi verrebbe detto che entro in conflitto di interessi. Parliamo dei nazionali. Sui nazionali, secondo me, basta un telegiornale fatto bene, come lo fa Sky, per esempio, e come lo fanno tante reti al Pag. 10mondo. In quel telegiornale ci deve essere la par condicio per tutti. In questo modo la questione è anche molto più facile da risolvere.
  Dopodiché, vorrei che in una rete pubblica andasse in onda tutto il meglio di ciò che oggi vedo in Rai e che quella diventasse la rete di servizio pubblico. Prenderei molti programmi da Rai 3 che andrebbero sul canale n. 1, per me. Non andrebbero a finire da altre parti, ma sul canale n. 1, con un unico telegiornale. Se poi facciamo sette telegiornali al giorno, mettiamo un canale di repeat su cui ventiquattr'ore su ventiquattro c’è il loop di quel telegiornale, di modo che chiunque si andrebbe a vedere l'ultimo telegiornale che proporremmo una volta ogni due ore, con un'unica redazione. Questo è un vero risparmio che andremmo a creare.
  Quanto al discorso di Internet, è chiaro perché Internet non funzioni. Anche se non ho i dati con me, penso che alcuni programmi di Rai 3 siano quelli che hanno più accessi su Internet, ma è stata tolta la possibilità a voi di fare il vostro canale Internet. Giustamente, si è pensato a un unico canale Internet della Rai, che però viene gestito male. Non si trasforma così il linguaggio televisivo nel linguaggio del web. La stessa notizia non può essere proposta esattamente, compreso il titolo, nel modo in cui è proposta nel telegiornale. Bisogna fare una redazione che sia capace di trasformare quello che viene detto in televisione per un pubblico di una determinata età in un linguaggio diverso, approfittando delle migliaia di informazioni e di notizie. C’è gente che, se venisse gestito da soggetti esterni, sguazzerebbe dentro tutto ciò che viene prodotto dalla Rai. Chiedo anche a lei qual è, a suo avviso, la soluzione per il discorso di Internet.

  MICHELE ANZALDI. Volevo fare una domanda flash. Se possibile, volevo avere un chiarimento su una questione che nelle ultime ore sta creando molte notizie giornalistiche. Mi riferisco alla docu-fiction sul chirurgo Brega Massone che dovrebbe andare in onda nei prossimi giorni. La Rai ha ricevuto una seconda diffida formale a mandarla in onda, poiché si tratta di un processo complicato, che ha visto un ergastolo e successivamente una condanna a 15 anni ed è ancora in corso. Sembrerebbe esserci un'usanza sempre più diffusa di celebrare i processi in televisione e non nelle aule. Se possibile, volevo sapere qualche notizia su questa vicenda.

  GIORGIO LAINATI. Direttore, le hanno già posto tutte le domande che avrei voluto farle io, ma mi ha troppo stimolato il senatore Rossi, perché ha una visione enciclopedica delle nostre riunioni. Sono convintissimo che il 10 dicembre del 2014 non abbiamo la possibilità, né il direttore, né io, né tutti noi, di rispondere a domande tanto complesse, ossia come debba essere il servizio pubblico, se debba essere con o senza pubblicità quindi senza canone e quante reti debba avere. Non mi sembra proprio possibile rispondere a queste domande.
  È vero che, non avendo fornito risposta per una ventina d'anni a questi temi, sarebbe ora di farlo. Ho capito questa impostazione, ma adesso abbiamo sul tappeto alcuni temi, come quello che il collega ha sollevato sul canone, chiedendo se si pagheranno sempre 113 euro o se ne pagheranno di meno attraverso la bolletta elettrica. Sono interrogativi che penso si capiranno nelle prossime ore.
  Abbiamo poi il grosso problema – sono contento che sia arrivato il senatore Gasparri, che ha dato nome alla legge n. 112 di dieci anni fa – della riforma dei criteri di nomina della governance, una questione che si dispiegherà nei prossimi mesi, se non ho capito male.
  Dovendo occuparci di queste cose e dell'altro argomento degli argomenti, ossia delle newsroom, non so se avremo anche il tempo di capire come debba essere il servizio pubblico e di rispondere a tutte le osservazioni, comunque giuste, che il senatore Rossi ha svolto, alcune condivisibili, altre assai meno.
  Non credo che la soluzione sia quella, che magari farebbe contento il direttore, di trasferire tutto il pacchetto di Rai 3 su Rai 1. Se è vero che Ballando con le stellePag. 11non è servizio pubblico, è, però, un intrattenimento che fa molti milioni di ascoltatori. Non possiamo oggi e, credo, anche nei prossimi mesi rispondere alla domanda se la Rai possa e debba fare intrattenimento, perché lo fa da alcuni decenni, da più di cinquant'anni. Non credo che oggi possiamo sciogliere questo nodo, a meno che non mi darete la certezza che nel giro di due mesi sarà approvata una legge del Presidente Fico in cui sarà scritto che viene privatizzata Rai 1 e che Rai 2 e Rai 3 restano servizio pubblico senza pubblicità, come in Francia avviene per la rete 3 e con la rete regionale. Poiché escludo che questo accada, rimaniamo alle domande che hanno posto i miei colleghi.
  Le vorrei chiedere invece un'altra cosa. Ci sono sempre tante polemiche sul programma Report, che forse è il programma che più interpreta il servizio pubblico, nel senso anche del coraggio con il quale si affrontano tematiche di un'enorme delicatezza, come lei ben sa. È un programma che, affrontando queste tematiche, scatena anche molte polemiche, come quella che stiamo seguendo in queste ore tra la curatrice del programma e il presidente della regione Lazio in merito a quanto è accaduto. Ricordo benissimo che, affrontando temi che riguardano la tutela dei cittadini-consumatori, cioè di tutti noi, c’è anche poi una rivalsa da parte delle aziende. Ricordo, quindi, che ci sono citazioni in giudizio per la Rai di una determinata consistenza. Vorrei solo capire se è ancora così o se i contenziosi tra aziende private, anche multinazionali, e Report, quindi la Rai, sono scemati.

  PAOLO BONAIUTI. Innanzitutto faccio i complimenti all'amico Vianello. Quando siamo venuti, la scorsa settimana, in Rai e abbiamo fatto un giro, come Commissione di vigilanza, il dato giornalistico principale qual è stato ? Di tutti i comitati di redazione che abbiamo sentito, dall'1 al 2 al 3, al regionale, a tutto il Giornale Radio Rai, le critiche e i commenti poco positivi sul Piano erano assolutamente prevalenti. Si teme molto per l'indipendenza dei direttori e per la professionalità dei giornalisti. L'unico dei comitati di redazione che si è mostrato, francamente, molto favorevole è stato quello di Rainews.
  Dall'altra parte – sarà un puro caso, come dice l'amico Lainati – ci sono tesori di professionalità giornalistica, che ho potuto riscontrare in tanti anni, anche tra contrasti. Lei sa benissimo, al tempo in cui ero in Forza Italia, quanti contrasti abbiamo avuto, prima con Curzi e poi con Bianca, ma sempre in un quadro politico e sempre riconoscendo la loro grande bravura professionale.
  Lei, che è a capo di tutta questa Rai 3, come intende bilanciare esattamente questa difficile alternativa tra, da un lato, TG 3 e TG regionale, che è un'altra realtà fondamentale, e la realtà emergente e quasi scoppiettante di Rainews, che però non riesce a sfondare nella maniera più assoluta ?
  Non pensate che sia una mania mia, ma non mi risulta che in tutte le altre televisioni internazionali ci sia un avanzamento delle all news, perché le all news oggi devono pagare lo scotto del blog e della velocità del web. Quando facciamo tutti questi discorsi e diciamo che la Rai deve assolutamente contemperare le proprie esigenze con Internet, è vero, ma è altrettanto vero che, se si va in direzione di una all news, dobbiamo chiederci se siamo sicuri di andare in accordo con la tendenza dominante nella televisione degli anni futuri. Mi sono sentito dire, quando ero al comitato di redazione di Rainews24, che il TG 1 è un telegiornale che tra dieci o quindici anni non ci sarà più. Innanzitutto non sappiamo se questo sia vero o no, ma noi per dieci o quindici anni abbiamo ancora diritto ad avere un'informazione. I telegiornali cosiddetti generalisti sono i telegiornali che ci offrono l'informazione maggiore in Italia. Come bilanciare TG 3, TG regionale e Rainews ?

  MAURIZIO GASPARRI. Questa considerazione del senatore Bonaiuti mi priva di una domanda che volevo fare. Pertanto, mi unisco alla sua domanda su questa armonizzazione di testate che Rai 3 ospita, Pag. 12anche se hanno una loro vita autonoma, nell'ambito del rimescolamento che attendiamo di conoscere meglio dalla relazione attesissima dell'onorevole Pisicchio nei prossimi giorni. La Rai voleva scavalcare la Commissione di vigilanza invece solidarizzo con il relatore, di cui bisogna rispettare il lavoro.
  Passo a una questione diversa, direttore, oltre che rivolgerle gli apprezzamenti, i saluti e gli auguri. Mi scuso di essere arrivato tardi per altri impegni parlamentari.
  Si è discusso molto recentemente del problema interni-esterni o addirittura giornalisti-non giornalisti. L'ordine dei giornalisti ha aperto una polemica recentemente perché Canale 5 utilizza Barbara D'Urso. A parte il fatto che si potrebbero fare molti esempi di non giornalisti che conducono con successo, quali Giletti e altri, personalmente, pur essendo appartenente da lungo tempo all'Ordine dei giornalisti, sono più sostanzialista e, quindi, non mi scandalizzo. Ormai intrattenimento e informazione si mischiano. Tuttavia, ci sono casi particolari, come un programma che poi è stato soppresso per i bassi ascolti. Lei pensa che la scelta di ingaggiare la Cucchi sia stata fatta per motivi professionali o perché si chiamava così ? In questo caso, quest'uso di persone vicine a grandi tragedie che coinvolgono tutti a me pare un po’ discutibile. Il programma non è stato chiuso perché c'era la Cucchi, ovviamente, anzi, era condotto da una giornalista molto nota, ma ha fatto, purtroppo, bassi ascolti. Questa ricerca di sensazionalismo mi rende perplesso. Anche la Cucchi non è giornalista, ma fa l'amministratrice di condominio e ha meno successo della D'Urso.
  L'altra questione, invece, riguarda un giornalista. C’è stata una discussione su interni, esterni e costi. A me pare che Ballarò stenti un po’ quest'anno. È vero che c’è l'inflazione di talkshow e che, quindi, nessuno svetta. I numeri li vediamo di tutti. È stato scelto, però, un giornalista esterno di grande professionalità, come Giannini. Alla fine sono passati vari mesi. Il rapporto costi-risultati come si comincia a valutare in azienda, posto che un conduttore di un programma così non deve essere scelto a caso ? Dire che la Rai ha migliaia di giornalisti non significa che si debba cercare tra di loro, ma può darsi che ci siano altre soluzioni. Vi state facendo delle domande ? È vero che la stagione è ancora lunga ed è solo all'inizio, ma a me pare che i responsi siano bassi. Forse la tradizione sarebbe stata premiata di più.
  Poiché non possiamo fare discorsi sull'universo, non sono affatto d'accordo col senatore Rossi, che vorrebbe una Rai che faccia solo L'approdo e il telegiornale con le pecore, in modo che la concorrenza la saccheggi. La Rai deve fare anche Ballando con le stelle e altri programmi, con i quali si pagano gli stipendi e la sperimentazione e anche esperienze diverse, che possono anche fare un flop, come quello della Lombardo Pijola. Se non ci fosse Ballando con le stelle, questo non sarebbe possibile. Non ho la stessa visione del servizio pubblico del senatore Rossi, che peraltro conosco e stimo. Il servizio pubblico deve fornire un'offerta globale, dal telegiornale, all'approfondimento, ai film sottotitolati o in lingua, ma deve anche fare intrattenimento. C’è la parola «pubblico» nel servizio. La Rai fa un servizio per il pubblico, che, quando torna a casa da una giornata di lavoro nelle metropolitane e nelle periferie, vuole anche essere intrattenuto. Non è detto che questo lo debbano fare solo dei privati. Anche la Rai eroica, che si cita sempre, dei tempi de Il mulino del Po trasmetteva le gemelle Kessler, una sera un programma e una sera l'altro. Lasciamo la scelta al telecomando.
  Io non lo guardo, ma sono contento che ci sia quel tipo di programma. Non ho mai visto Ballando con le stelle. Non so neanche come funzioni il gioco dei pacchi. Apprezzo solo La ghigliottina, ma è bene che questi programmi ci siano.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Visto che nel corso della discussione sono emerse, come abbastanza ovvio e naturale, riflessioni più ampie, che vanno oltre i motivi per cui ascoltiamo oggi il direttore Pag. 13Vianello, ossia il riferimento alla riforma del canone e alla più complessiva riforma dalla Rai, in questa occasione mi permetto di non ritornare sulle questioni sollevate dai colleghi.
  Peraltro la settimana scorsa alla Camera abbiamo avuto l'occasione di svolgere un dibattito in Aula, innescato dalla mozione Caparini, rispetto all'esenzione del canone. Tutti i gruppi parlamentari hanno presentato proprie mozioni e la discussione generale e le dichiarazioni di voto sono state occasione, in realtà, per affrontare questi temi. Io e il collega Lainati siamo intervenuti in dichiarazione di voto riprendendo questi temi, ragion per cui mi permetto in questa circostanza di non ritornarci, rimanendo invece agli atti della discussione alla Camera la settimana prossima, convinto che avremo anche altre occasioni per parlarne.
  Mi concentro, invece, sui motivi dell'audizione. In riferimento a questa delibera dell'AGCOM, come dicevamo nell'ultima audizione, credo sia importante, e so che su questo fronte si sono attivati gli uffici, comprendere tempi e motivazioni della decisione del Consiglio di Stato sull'appello presentato da AGCOM alla sentenza del TAR. La relativa discussione al termine del ciclo auditivo potrà così svolgersi con maggiori elementi.
  Alcune considerazioni del direttore Vianello si ricollegano ad analoghe fatte anche da suoi colleghi nelle precedenti audizioni. Un dato che mi sembra assodato per tutti gli auditi è la difficoltà di applicare fuori dalla campagna elettorale criteri meramente quantitativi, con il rischio, che è peraltro oggetto del ricorso dell'azienda al TAR e poi dell'appello dell'AGCOM – ed è uno dei motivi di maggiore difficoltà – di sovrapporre comunicazione politica e informazione. Quando questo avviene, risulta tutto più complicato.
  Il secondo elemento è ritornato in più audizioni ed è stato sollevato anche da me e da diversi altri colleghi: cercare di comprendere come si possa fare un passo in avanti nella definizione di pluralismo, facendo sì che non sia soltanto la quantificazione del tempo concesso a ogni singolo partito, ma abbia un'accezione più ampia. Penso a un pluralismo inteso non solo come pluralismo politico-culturale, ma anche come pluralismo culturale in senso ampio, dei diversi aspetti della società italiana.
  Credo che su questo aspetto, anche per le osservazioni che hanno fatto i colleghi e per le cose che raccontava il direttore Vianello, il campo di ricerca scelto nel corso degli anni da Rai 3 offra alcune indicazioni di come si possa ricomprendere in un'accezione più ampia il concetto di pluralismo.
  C’è poi una questione che è stata sollevata in altre audizioni, su cui, secondo me, è utile soffermarci, ossia quanto sia importante quello che in un convegno verrebbe definito l’agenda setting. È più importante che ogni singola forza politica abbia il tempo previsto dalla par condicio o è altrettanto importante – mettiamo le due cose sullo stesso piano – che l'elenco delle priorità e dei temi sollevati corrisponda all'elenco dei temi che vengono sollevati dalle diverse forze ?
  Se a me è attribuito un tempo su temi sollevati dall'altra parte politica o su cui c’è un'attenzione da parte dei media, questo è un elemento di sbilanciamento. Credo che il tentativo che dovremmo fare nella complessità di questa natura sia quello descritto.
  Infine, affronto un tema che ha sollevato il direttore Vianello, anche perché lo pratica sui social. Sono un follower del direttore Vianello, che, da questo punto di vista, è un fiume in piena di tweet, ma dimostra particolare attenzione e sensibilità a come si intreccia il web con la programmazione delle TV generaliste e come i programmi possono utilizzarlo. È evidente che, quando parliamo di pluralismo, prima o poi dobbiamo fare i conti col fatto che tanti italiani, non solo i più giovani, si formano un'opinione attingendo alle informazioni non direttamente dalla televisione, ma dal web, dai siti, dai social. Ci sono argomenti e questioni che diventano realtà consolidata nei social, che poi diventano opinione pubblica diffusa e magari Pag. 14alcune volte non sono neanche fondati e altre volte sì. Al di là di questo, se garantisco il pluralismo in termini quantitativi anche fuori dalla campagna elettorale, ma poi c’è un mondo in cui si formano le opinioni e transitano le informazioni in cui questo concetto del pluralismo è totalmente inesistente, non credo di aver risolto il problema sollevato dall'AGCOM. Credo che questo sia il complesso delle questioni da considerare.
  Sulla seconda questione, che riguarda le audizioni e il Piano dell'informazione, in realtà si sono soffermati i colleghi, facendo domande e considerazioni. A questo punto abbiamo l'ultima audizione la settimana prossima e calendarizzato per l'8 gennaio la presentazione e l'inizio della discussione sulla risoluzione. Abbiamo così tempi certi di confronto, di definizione e voto del parere dell'opinione della Commissione vigilanza. Esprimerò la mia opinione, avendo ascoltato quasi tutte le audizioni, in quel momento.
  C’è un'ultima questione sollevata da diversi colleghi, con cui interloquisco, e riguarda il palinsesto e i programmi di Rai 3. Da ultimo il senatore Gasparri sollevava la questione dei costi e dei risultati in riferimento alla programmazione: un criterio che indubbiamente vale per tutti e anche per Rai 3. Credo, come dicevano altri colleghi, che anche su questo, però, dobbiamo cercare anche noi di essere coerenti con le cose che diciamo. Se affermiamo che fare servizio pubblico consiste anche nel cercare di esplorare terreni esplorati da altri e nel porre con sintonia attenzione a quanto si muove nel profondo della società italiana, che forse oggi non offre un responso in termini di costi e di risultati di audience corrispondenti all'attualità, ciò non vuol dire che forse dopodomani o addirittura domani questa scelta non possa pagare.
  Lo dico perché i colleghi hanno rappresentato alcuni esempi. A me è capitato, facendo zapping, di vedere, per esempio, un'esperienza, nata soprattutto sul web, La scelta di Catia. L'avevo già vista sul web. Su Mare Nostrum e sulla Marina militare ognuno ha l'opinione che ritiene. Ognuno ha l'opinione che ha, questo è oggetto di dibattito pubblico. È utile, però, almeno far capire cos’è Mare Nostrum. Credo che a chi abbia avuto l'occasione di vederlo quel programma abbia almeno spiegato e mostrato di che cosa si tratti. Ognuno poi ha l'opinione che ha. Questo dovrebbe essere, peraltro, il ruolo dell'informazione e del dibattito politico. Credo sia uno spaccato che ha fornito un aspetto del tema. Non ho idea di quale sia lo share che ha fatto La scelta di Catia in quell'occasione.
  Hotel 6 stelle è arrivato alla seconda edizione. Credo che diversi colleghi l'abbiano visto. Non ho presente esattamente l’audience che ha fatto.
  Ne ho citati due, ma ci sono tanti altri programmi che hanno messo insieme un mix di innovazione e di coraggio. Alcuni hanno i risultati richiamati, altri hanno risultati maggiori. Dobbiamo capire se il servizio pubblico debba avere questa dimensione di innovazione e di coraggio delle scelte oppure no. Se sì, bisogna prendersi alcuni rischi, ma sempre all'interno di questo alveo.
  Infine, c’è una parte della programmazione che riguarda alcuni asset, come li ha definiti anche il direttore. Per quanto riguarda Rai 3, si tratta di Chi l'ha visto, Ulisse e Ballarò. Le domande si sono concentrate su Ballarò. Non aggiungo una domanda a quella che le è stata rivolta. Chiedo solo se questi tre programmi, che sono asset di Rai 3, sono asset anche di Rai nel suo complesso. Quando leggo la dichiarazione del direttore generale, il quale dice che su Ballarò la scelta di Giannini è una scelta del direttore Vianello, non capisco se Ballarò, come gli altri programmi, è un asset di Rai o meno. Se è un asset di Rai nel complesso, è evidente che la responsabilità sia in carico al direttore Vianello, ma la questione dovrebbe, da questo punto di vista, così come per i risultati e i successi, coinvolgere anche i vertici Rai. Altrimenti quella dichiarazione del direttore generale significa che Ballarò non è un asset Rai, ma è soltanto un asset di Rai Pag. 153. Io, invece, avevo capito che quelli, come altri programmi, fossero patrimonio aziendale complessivo e condiviso.

  DALILA NESCI. Buonasera, direttore. Dico subito che, purtroppo, ho potuto ascoltare solo la parte finale della sua relazione. Ascolterò, però, con molta attenzione le domande o le sollecitazioni che sono arrivate dagli altri commissari, che sono particolarmente interessanti.
  Invito anch'io da parte sua a una riflessione, qui in Commissione vigilanza Rai, più aderente alla realtà sulla sostenibilità di un talkshow come Ballarò. Abbiamo avuto modo più volte di parlarne, anche un po’ al di là del tema che trattava la dottoressa Berlinguer. Vorrei capire quanto sia sostenibile un programma che riesce ad avere uno share più alto solo quando arriva un grillino in televisione, così come è accaduto ieri. Sarebbe molto interessante sentire che cosa ne pensa lei.

  PRESIDENTE. Ripeto alcune domande che ho fatto agli altri direttori e che sono già state affrontate. Secondo lei, la riforma delle testate giornalistiche dovrebbe andare o meno di pari passo con la riforma delle reti, ovvero con il ridisegno generale delle reti, come più volte è stato detto ?
  Un'altra domanda che ho ascoltato come puntualizzazione o come idea nel comitato di redazione del TG1 è se, come direttore di rete, lei pensa che sia giusto, utile, economico e vantaggioso trasferire i cosiddetti programmi di comunicazione o infotainment sotto le testate giornalistiche. Ballarò, per esempio, passerebbe sotto la testata giornalistica, in questo caso, del TG 3 o della newsroom 2.

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Intanto ringrazio tutti i presenti per l'attenzione e per le domande che mi hanno voluto rivolgere. C’è tanta carne al fuoco. Ho preso un po’ di appunti e provo ad andare in ordine, sperando di non dimenticarmi nulla. Naturalmente, se dovessi farlo, avvisatemi, perché non voglio eludere alcuna delle richieste che mi sono state poste. Vado in ordine cronologico e parto dall'onorevole Pisicchio.
  Ho parlato di identità di canale. Ho spiegato che cos’è, secondo me, in questo momento Rai 3 e quanto sia importante che una rete sia generalista e identitaria. Anche se sembrerebbe un po’ un ossimoro, in realtà non lo è, se c’è una giusta armonia. Ritengo che il panorama attuale delle reti Rai abbia questa armonia e che, quindi, ogni nostra rete abbia una sua identità. Sicuramente Rai 3 ha un'identità spiccata, dovuta anche al tracciato che vi ho ricordato, vale a dire alla sua fondazione, che ha un solco molto profondo, ancora oggi attuale. Questo significa che si può essere generalisti e si può essere identitari e non ha nulla a che vedere con un problema organizzativo delle stesse testate del telegiornale.
  Qualcuno ha citato il fatto che lo stesso direttore generale abbia parlato dell'importanza che il brand rimanga. Il brand non è soltanto un marchio, ma è anche uno stile, una linea. Quando parlo della necessità e di un'urgenza di una riforma, prendo atto del fatto che sono passati quarant'anni e che un determinato modello, costruito per un architrave che all'epoca rappresentava, come qualcuno ha ricordato, una data situazione politica, inevitabilmente non è più attuale nell'attuale mercato televisivo, nonché con le risorse del mercato televisivo e con la rappresentazione della realtà che un'azienda di servizio pubblico deve fornire. Questo non significa che non si possa convivere con una riorganizzazione, mantenendo anche le identità separate dei singoli telegiornali. Per identità intendo la linea editoriale, il che non vuol dire la linea politica. Si tratta di avere un identikit, una rappresentazione di quel determinato telegiornale nei tre canali che si sposi con il complesso dell'offerta che viene fornita. Rispetto alla domanda se questo crei un danno o meno che mi faceva l'onorevole Pisicchio, ritengo che possa non essere un danno, ma addirittura una risorsa, se viene fatto armonicamente. Siamo molto soddisfatti, ma non siamo noi che dobbiamo giudicarlo, del lavoro dell'attuale TG 3. Nella chiave di questa riforma, di cui – ripeto – conosco solo le Pag. 16linee-guida e su cui non mi sento di dover esprimere, come dirigente di una rete, un parere troppo incisivo, penso che siamo di fronte a un momento in cui c’è bisogno di una forte riorganizzazione, che mantenga, però, quello che ho detto, ossia il pluralismo, che è l'elemento più importante di tutti, ma anche una connotazione identitaria.
  L'onorevole Pisicchio mi chiedeva anche dei talkshow. È un tema di cui si discute tanto e ci si chiede se sia un genere usurato o meno. Innanzitutto vorrei fare una premessa, anche se in televisione, quando conducevo, dicevo sempre agli ospiti che non dovevano fare premesse. Stavolta non siamo in televisione e me la permetto. Ricordiamoci che nella declinazione televisiva di un genere come l'approfondimento giornalistico ci sono solo tre possibilità per farlo. Ci sono le inchieste, i reportage chiusi, un genere su cui Rai 3 molto si cimenta. Siamo l'unico canale generalista in tutta Italia a mandare inchieste in prima serata. Non produciamo soltanto marchi storici, come Report e Presa Diretta, ma ogni tanto scendiamo in campo anche con iniziative singole. Poi ci sono le interviste a faccia a faccia, anche queste presenti sul palinsesto di Rai 3. Ricordiamoci In 1/2 ora di Lucia Annunziata, uno degli esempi più chiari, con mezz'ora di incalzante intervista e domande e risposte con un interlocutore. Infine, c’è il cosiddetto talkshow. A me non piace molto usare il termine show. Uso il termine talk, che vuol dire parlare, ossia avere un confronto di opinioni. Oltre questi tre generi non si può andare. È vero che c’è stato un moltiplicarsi di questo genere su altri canali televisivi. Per quanto riguarda Rai 3, però, fondamentalmente abbiamo due talk che si occupano di politica, di economia e di attualità: il talk del mattino, Agorà, che ci dà ottimi risultati e che rappresenta la striscia mattutina che apre la giornata, cercando di raccontare quelli che saranno i temi del giorno passato e del giorno che verrà, e Ballarò. Non pensiamo di avere un abuso di questo genere. Pensiamo che all'interno del panorama di un'offerta di una TV generalista come Rai 3, tanto votata all'informazione, i tre generi debbano convivere, ossia l'inchiesta, il faccia a faccia e il talk. Per questo motivo, senza abusarne, li portiamo avanti pensando di fare bene.
  Mi chiedeva l'onorevole Pisicchio in merito agli interni e agli esterni. È una questione su cui torneremo, perché sono diverse le domande che sono state poste. Ne approfitto intanto per dire che, per esempio, il daytime di Rai 3, che è un fiore all'occhiello particolarmente pregiato della nostra programmazione, ha al mattino due interni: Gerardo Greco, che conduce Agorà e che prese il mio posto quando venni nominato direttore, ed Elsa Di Gati, che conduce Mi manda Rai 3. Solo al mattino ne abbiamo due. Stasera va in onda poi uno dei programmi più forti del servizio pubblico, Chi l'ha visto, condotto da Federica Sciarelli, che è un'interna. La valorizzazione delle risorse interne dal nostro punto di vista è, dunque, un chiaro punto identitario che c’è stato, c’è attualmente e continuerà a esserci.

  PAOLO BONAIUTI. Ho una curiosità: Agorà ha registrato un calo rispetto alle stagioni precedenti ?

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Agorà attualmente ha un piccolo calo rispetto allo scorso anno, di meno di un punto percentuale. È inevitabile che programmi di questo genere risentano del moltiplicarsi del genere. Questo è un tema, obiettivamente. Spesso la televisione ci porta a questo tipo di errori: magari scopre un genere e lo utilizza molto spesso. C’è un'altra valutazione da fare, però: i programmi informativi che seguono l'attività politico-parlamentare ed economica del Paese possono anche dipendere dalle vicende dell'attualità. Possono esistere momenti in cui il dibattito è particolarmente vivace perché accadono fatti che lo rendono più divisivo o avvincente e ci sono altri momenti in cui gli accadimenti sono politicamente meno avvincenti. È probabile che in questo momento stiamo vivendo un calo, al di là degli ultimi giorni, in cui il bruttissimo episodio di Mafia Pag. 17Capitale sta trasformando i programmi di informazione e li sta molto concentrando su questo tema. È inevitabile che negli ultimi tempi ci sia stata meno vivacità rispetto a quello che poteva essere il racconto. In questo caso si pongono entrambe le questioni. Si tratta, però, di un piccolo calo fisiologico di un programma che è in grande salute e soprattutto che per il confronto con la concorrenza per noi è particolarmente importante.
  Vado all'informazione generale, di cui mi parlava il senatore Ranucci, che ringrazio anche per le parole dette sulla sperimentazione e su un programma di cui parlerò, Questioni di famiglia, che ha citato anche l'onorevole Gasparri. Penso che attualmente la presenza del regionale sia molto ben radicata su Rai 3. Abbiamo degli appuntamenti fortissimi, che sono Buongiorno regione, la mattina, un traino molto forte per tutta la mattinata della rete, e gli spazi informativi tradizionali della TGR, che soprattutto nel daytime sono particolarmente importanti. Questo mi sembra pienamente in linea con il racconto della realtà. Quando vi dico che Rai 3 viene disegnata e si consolida negli anni come la rete che declina la realtà in tante sue forme, il matrimonio con l'informazione regionale mi sembra un matrimonio ben riuscito e armonico.
  Su Un posto al sole e tutto ciò che è frutto di trattativa non confermo e non smentisco rispetto alla ricostruzione che ha fatto il senatore Ranucci. Dico soltanto che lo ringrazio per il suo apprezzamento e che penso davvero che la soap opera – è un termine forse fin troppo volgare per definire Un posto al sole, ma è un termine tecnico, che il senatore Rossi conosce – sia effettivamente anche un modo per raccontare la realtà. Un posto al sole riesce ogni sera a essere non solo un ottimo traino per l’access time e una controprogrammazione rispetto ad alcuni programmi giornalistici e di telegiornali che sono in onda in quel momento, ma anche, raccontando giorno per giorno le vicende che accadono in un condominio come se fosse il vero giorno che stiamo vivendo, a raccontare la realtà italiana. Anche la fiction può essere uno straordinario veicolo per raccontare la realtà. Credo che con Un posto al sole noi lo facciamo. Naturalmente, l'addio di Floris non è dovuto a Un posto al sole, ma a una sua scelta legittima e indipendente da quanto è accaduto.
  Senatore Margiotta, Gazebo – grazie intanto di essere un fan – è un programma che, secondo me, sotto questo aspetto sposa il tentativo di innovare il linguaggio e lo fa anche dal punto di vista dell'interazione con il web. Noterete, però, che gioca con il web. Il problema del web nella televisione è che non bisogna pensare di conquistarlo, bisogna trattarlo anche un po’ con ironia. Sto parlando dei social network e quell'uso scherzoso che il programma fa di Internet. Si tratta di un programma realizzato anche attraverso la crescita di un personaggio come Diego Bianchi, che nasce dal mondo web. Vedete che bella fucina di talenti può diventare il web anche per la televisione generalista.
  Ballarò lo rifarei pienamente. La scelta di Massimo Giannini per me è una scelta di cui sono molto contento. Lo dico senza assoluta ritrosia e con grande convincimento. Le spiego anche perché. In questo momento il risultato di Ballarò per me è un risultato molto soddisfacente. Ciò che è avvenuto era un evento inedito anche nella storia della televisione. Mi riferisco alla perdita improvvisa del conduttore, che era molto rappresentativo di quella fascia, in quell'orario, e che aveva sempre fatto quel programma, per andare – legittimamente, lo ribadisco – alla concorrenza a fare un programma della stessa natura. Non era mai successa una cosa del genere all'interno del panorama televisivo. Bisognava fronteggiare una situazione molto delicata. Credo che l'idea che aveva la rete concorrente, legittimamente, fosse quella di vincere questa partita, togliendo il capitano. Noi abbiamo messo dentro un altro capitano e la partita la stiamo vincendo noi, e la stiamo vincendo anche piuttosto nettamente. Su 13 puntate che sono andate in onda le abbiamo vinte tutte e 13. Attualmente abbiamo una media del 7 per cento di share. Che significa questo ? Significa che quel bacino d'ascolto che c'era nelle Pag. 18ultime puntate dello scorso anno di Ballarò, fermo restando il calo complessivo dei talk, che è stato un po’ generalizzato in tutti i canali e in tutti i generi, è rimasto. Si tratta di un calo che già l'anno scorso aveva portato Ballarò, al termine di una bellissima stagione, nelle ultime puntate a una media intorno al 10-11 per cento. Il bacino d'ascolto è quello. Chiaramente abbiamo un brand importante, abbiamo Ballarò e abbiamo messo alla conduzione un giornalista di grande peso e di grande visibilità come Massimo Giannini. La partita, però, era una partita da vincere, considerando anche che il programma concorrente ha un'aggiunta non indifferente, che è la comicità in partenza di Maurizio Crozza, che non abbiamo più e che l'anno scorso avevamo. Questo è davvero per me un risultato molto soddisfacente, di cui sono ampiamente soddisfatto.
  Non so se mi avesse chiesto lei direttamente, o se me l'abbia chiesto il senatore Gasparri, in merito alla scelta dell'esterno. Rispondo subito su questo tema ricordando che Giovanni Floris era un esterno, nel senso che, pur nascendo in Rai, da diversi anni non era più un dipendente Rai. Da un punto di vista strettamente tecnico, quindi, mi sono dovuto trovare a sostituire un esterno e l'ho fatto con un altro esterno. Le motivazioni che mi hanno portato a fare questo sono assolutamente lontane da una scarsa stima nei confronti delle risorse interne. Sono anch'io una risorsa interna e sarei autolesionista a pensare che in Rai non ci siano grandi risorse professionali. Ho pensato, però, che fosse opportuno, proprio perché questa era una battaglia che la Rai, Rai 3 e il servizio pubblico dovevano vincere, rispondere in poco tempo con una personalità di peso. Per questo motivo ho scelto di mettere in campo un volto e una firma riconosciuta del giornalismo come Massimo Giannini.
  Approfitto per ribadire una considerazione che ho già avuto modo di fare, ma non in questa Istituzione. Credo che si debba convivere all'interno del servizio pubblico con una seria valorizzazione delle risorse interne, essendoci tanti giornalisti bravi, che fanno tutti un ottimo lavoro. La Rai però come servizio pubblico, deve essere anche la culla che accoglie le migliori professionalità del Paese.
  Una Rai che si chiude, endogena, in un uso meramente autarchico delle proprie risorse non può fare il suo ruolo di missione di servizio pubblico, che è quella di prendere il meglio, le migliori professionalità. L'ha fatto sempre in passato. Credo che questo sia non solo un suo diritto, ma addirittura un suo dovere e penso che anch'io, nel ruolo attuale che rivesto, debba riuscirvi. Non soltanto si tratta di andare a scoprire e valorizzare le grandi professionalità interne, cosa che stiamo provando a fare, ma anche di ampliare il bacino delle professionalità del mondo della televisione, della diffusione della cultura e del giornalismo. Rivendico la natura di questo compito della Rai e lo faccio con grandissimo rispetto per chi ha avuto da ridire sulla scelta di un esterno. Ripeto, sono molto felice e approfitto dell'occasione per dire all'onorevole Peluffo che la scelta di Massimo Giannini è mia. Il direttore generale in questo senso è estremamente rispettoso delle autonomie editoriali dei singoli direttori, ragion per cui è chiaro che questa fosse una scelta che spettava a me, nel momento in cui abbiamo perduto la risorsa Floris. Naturalmente, però, si tratta di una scelta che ho fatto e che poi il direttore generale ha avallato e condiviso, al di là di quello che si può leggere. Faccio il giornalista e so che a volte nelle interviste le frasi possono essere riportate in maniera meno completa rispetto all'espressione originale. Chiaramente questa è una scelta di Rai 3, ma è anche un asset aziendale. Non abbiamo alcun dubbio che il direttore generale ci consideri come tale.
  Veniamo alle newsroom. Ho già detto, in realtà, che sono in una posizione nella quale faccio un po’ fatica a porgervi una mia espressione chiara su questo, che è uno dei temi che, se ho capito bene, state affrontando con forte definizione. Lei, però, mi fa una domanda molto netta e mi chiede quale condivida delle due versioni Pag. 19tra la posizione della direttrice Berlinguer e la posizione del direttore Leone, se cioè debbano cambiare prima le reti o i telegiornali. Avrei anch'io un conflitto di interesse, essendo un direttore di rete, ma cerco di fornirle una risposta da uomo che lavora in quest'azienda da tanti anni e che ha fatto tanti anni in testata. Penso che in questo momento all'ordine del giorno l'azienda abbia deciso di mettere le news e che su questo argomento, come vi ho detto, inevitabilmente si avverte un'urgenza dovuta al segno dei tempi. Come vi ho spiegato le reti hanno già delle missioni ben definite, che sono poi rinnovate di volta in volta dal Consiglio di amministrazione dell'azienda. Rai 3 ha una sua missione. In questo momento, penso che Rai 1, Rai 2 e Rai 3 abbiano una strada definita che devono percorrere. Se lo fanno bene o male sarà compito del Consiglio d'amministrazione giudicarlo, ma abbiamo questa strada da percorrere. In questo momento trovo le due problematiche slegate, fermo restando, ripeto, che ci sia una convivenza felice di un telegiornale all'interno di un canale che abbia il più possibile una scelta editoriale, che non vuol dire politica, ma definizione di che cosa andare a fare: si può fare ad esempio un giornale più dedicato agli esteri o alla cronaca, ma le scelte editoriali sono scevre dall'avere un'appartenenza o un orientamento politico. Sono scelte di gerarchia della propria identità. Credo che questo si possa fare.
  Quanto al potenziare il web, sono molto sensibile al tema. Stiamo lavorando molto, come ho provato a dirvi in quelle poche parole su Rai 3, ma sono anche fiducioso che l'azienda abbia ben chiaro questo obiettivo. È di pochi mesi fa la nomina di un nuovo responsabile di tutta l'area tecnologica. Su questo fronte stiamo facendo anche importanti riunioni, perché c’è molta attenzione sull'idea di avere una disponibilità. In sostanza, la Rai ha ben presente che il futuro è quello di essere media company e che sotto questo aspetto occorre lavorare molto sul web, anche con prodotti specifici. È un'attività che, per esempio, Rai Fiction sta svolgendo brillantemente. Noi stessi stiamo mandando in onda, all'interno di Ballarò, una cosiddetta web fiction, una di quelle fiction corte che nascono proprio per il web, ma che poi possono sposarsi con la TV generalista. Su questo tema c’è grande attenzione. Dal nostro punto di vista, dal punto di vista della nostra rete, c’è attenzione particolare anche sui social network, che rappresentano linfa vitale per quanto riguarda la TV generalista e non un'insidia.
  Il senatore Rossi, che adesso non c’è, mi faceva una domandina da poco: che cos’è il servizio pubblico ? Vorrei evitare di tediarvi. Ci sono persone molto più adatte di me a dirlo, ma mi attacco a una considerazione che mi sembra abbia fatto l'onorevole Lainati, che ha citato Report e ha citato anche il servizio per il cittadino. Questo mi ricorda un programma a me molto caro per affezione personale, che ancora oggi è in onda, Mi manda Rai 3, un programma in difesa dei cittadini. Mi sembrano due begli esempi di cosa può fare solo il servizio pubblico e non può fare un servizio che non è pubblico, vale a dire un programma tutto dalla parte dei cittadini, senza alcun tipo di condizionamento dovuto al fatto di ricevere, per esempio, la pubblicità. Rai convive, nella sua natura di servizio pubblico, anche con la pubblicità. Ciononostante, le spalle larghe del servizio pubblico permettono ai programmi di non guardare in faccia a nessuno, se non la verità e il rispetto dei propri abbonati e dei cittadini.
  Credo che questi siano esempi molto chiari, non perché siano di Rai 3 – li possiamo trovare anche in altri canali – di quello che forse solo il servizio pubblico può fare in totale purezza, scevro da ogni condizionamento. Avendo condotto Mi manda Rai 3 per tanti anni, è qualcosa che mi sento di dire anche proprio come esperienza personale. A volte si facevano trasmissioni che mettevano in evidenza errori commessi da grandi aziende che investivano anche molti denari per la pubblicità su Rai. Ciononostante, la Rai – stiamo parlando, peraltro, di una Rai di diversi anni fa – mi ha sempre permesso di fare questi programmi in totale libertà Pag. 20e autonomia, perché il mio mandato era di mettermi al servizio dei cittadini. Credo che questo sia un esempio molto forte per capire cosa sia il servizio pubblico. Non condivido, come diceva anche un altro parlamentare presente, il senatore Gasparri, il fatto che non si possa fare intrattenimento nel servizio pubblico. Secondo me, si può fare intrattenimento nel servizio pubblico. Ritengo personalmente che Ballando con le stelle sia un super-elegante programma da servizio pubblico. Probabilmente ne è più difficile la definizione. Ricordiamo tutti con grande nostalgia Studio Uno e pensiamo a che bel programma fosse. Studio Uno era uno straordinario programma di servizio pubblico e di intrattenimento. Quanto al capire quando si è servizio pubblico o no, dipende da quanto abbiamo dentro di noi, nella nostra spina dorsale e nel nostro midollo, il concetto di servizio pubblico. Per questo motivo vi dico che molto dipende non soltanto dalle regole e dalle norme di cui oggi abbiamo parlato, ma anche da come si interpreta lo spirito del servizio pubblico, da come lo si sente quando si sta travalicando, quando si va sul facile ascolto e quando si va su qualcosa di meno elegante. Questo non significa fare programmi bacchettoni. Anch'io sono per un servizio pubblico che faccia ascolto, altrimenti non sarebbe pubblico, ma sarebbe un piccolo servizio. Per essere servizio pubblico e per avere una sua efficacia deve fare tanti numeri. Più numeri si fanno, meglio è. Sono molto laico su questo punto e penso si debbano raccogliere gli ascoltatori. Proteggere i programmi di nicchia va bene fino a un dato punto, perché significa che non li abbiamo fatti bene. Dobbiamo farli in modo che siano più accattivanti per il pubblico. Nello stesso tempo, però, penso che l'intrattenimento e lo show siano importanti. Ne abbiamo uno in casa. Mi riferisco a quello di Fabio Fazio. Non l'abbiamo citato prima mentre citavamo i programmi interni, ma Che tempo che fa è un programma che fa cultura, diffusione di cultura e intrattenimento e riesce a fare tutto questo con leggerezza, ma, nello stesso tempo, anche con un approfondimento molto serio.
  Questa è la risposta per quanto riguarda il senatore Rossi.
  I timori sul canone li faccio miei. Anch'io spero che si trovi una definizione, perché non vorrei che ci fosse un rischio di confusione da parte dei cittadini. Per noi il canone è una risorsa molto significativa.
  Rispondo all'onorevole Anzaldi, il quale mi faceva una domanda specifica su un caso che riguarda la nostra iniziativa che sarà in onda il prossimo sabato. In realtà, non è esattamente una fiction. I termini televisivi sono sempre molto immaginifici: questa si chiama faction, ossia una fiction basata su fatti reali. Stiamo parlando del caso di Brega Massone e della clinica Santa Rita, nota nel linguaggio giornalistico come la «clinica degli orrori» per quello che vi accadde e che venne scoperto anni fa. Oggi l'onorevole Anzaldi citava un'agenzia dei legali del dottor Brega Massone che diceva che la Rai ignora le diffide: in realtà, non è così. I legali del dottor Brega Massone hanno fatto un'istanza per bloccare la messa in onda di questa iniziativa editoriale qualche settimana fa, ex articolo 700 e, quindi, col provvedimento d'urgenza, ma questa loro istanza è stata respinta dal giudice. Non è vero che la Rai non sta rispettando una diffida. Al contrario, la Rai sta rispettando un pronunciamento del giudice, il quale ha deciso che si tratta di corretta informazione. Peraltro, è vero che il dottor Brega Massone sta aspettando la sentenza definitiva per quanto riguarda uno dei capi di imputazione, ma è già stato condannato con sentenza definitiva per lesioni plurime aggravate. Si basa tutto sugli atti di un'inchiesta chiusa, presupponendo soprattutto il fatto che non si possa bloccare preliminarmente una messa in onda. Esistono gli strumenti per intervenire successivamente, ma non si può bloccare alcuna messa in onda. Comunque, questo non lo dice la Rai, ma lo dice un giudice. In realtà, non esiste alcuna diffida che venga disdetta. Al contrario, esiste forse una non Pag. 21lettura della sentenza da parte dei legali di quel medico, che naturalmente ci auguriamo possa poi dimostrare la sua innocenza. Nella docu-fiction che riportiamo vengono espresse anche tutte le sue dichiarazioni, ivi compreso il fatto che non si sia mai dichiarato colpevole.
  L'onorevole Lainati mi chiede del contenzioso di Report. È inevitabile che programmi che fanno informazione in questo modo abbiano spesso delle reazioni quasi spontanee da parte delle aziende. I contenziosi esistono ancora, ma vorrei ribadire che in tanti anni di programmazione Report non ha mai perso una causa in assoluto. Chiaramente, fa parte del diritto il fatto che chi si è sentito leso possa poi chiedere conto. La storia al momento racconta, però, che tutte le persone che hanno chiesto conto non hanno poi avuto la giustizia dalla loro parte, nel senso che le informazioni che forniva Report sono state ufficialmente dichiarate corrette.
  Senatore Bonaiuti, le ho già spiegato che cerco di restare sulla posizione relativa alle linee dell'organizzazione delle tre testate senza esprimere giudizi sulle tre testate che attualmente già sono tutte e tre su Rai 3. Mi riferisco a Rainews24, di cui sento comunque un'esigenza importante come canale – penso che la Rai debba avere un canale all news nell'attuale panorama e che, quindi, ci sia veramente bisogno di una testata come Rainews24TG 3 e TGR. Per me sono tre testate parimenti importanti e sono contento di averle al momento tutte e tre. Attendiamo di capire quali saranno gli sviluppi della riforma da un punto di vista di architrave complessivo.
  Il senatore Gasparri mi parla di Questioni di famiglia. Sono contento di chiarire questo tema. È vero, si tratta di un programma che non è stato fortunato. È stato citato e ho visto che qualcuno ha avuto anche parole positive. Pensiamo che fosse un programma che aveva un'idea forte. Le idee, però, non sempre portano un risultato soddisfacente. Rivendichiamo fino in fondo, comunque, e in questo senso ringrazio anche l'onorevole Peluffo per quanto dichiarato, il bisogno e la necessità della sperimentazione. Se noi, che facciamo televisione con un canale di servizio pubblico, non sperimentassimo, faremmo malissimo il nostro mestiere. Vi assicuro che sarebbe anche un po’ più comodo non farlo, perché sapete bene che si prendono molti più rischi sperimentando e andando in onda. Ho la fortuna e il privilegio di dirigere una rete con degli asset, come dicevamo prima, così forti che già da soli fanno una bella sostanza di palinsesto. Ciononostante, preferisco espormi anche al rischio di un risultato negativo perché considero il fatto che dobbiamo farlo. Il servizio pubblico deve essere contemporaneo, scoprire nuovi linguaggi e cercare di trovare nuove strade. Non solo c’è un importantissimo lavoro di mantenimento, di accudimento e di innovazione all'interno dei programmi già esistenti, ma c’è il bisogno di fare anche questo. Ripeto, ciò rende la vita un po’ più difficile anche a noi direttori. Sarebbe più facile non rischiare di avere brutti articoli sui giornali perché un programma ha fatto un flop. Penso che siano «musate» che è bene prendersi. È giusto, fa parte del mestiere. Se non lo si fa, secondo me, non si sta facendo fino in fondo il proprio mestiere. Questo, naturalmente, non vuol dire essere incoscienti, ma cercare delle strade, provare a farlo. Solo così si possono trovare nuove vie. In merito a Ilaria Cucchi, di cui mi parlava il senatore Gasparri, quello è un programma che abbiamo deciso di chiudere perché, quando si vede che non incontra il favore del pubblico, è inevitabile. Rivendico che fosse una tematica molto importante che mancava nel panorama televisivo sebbene gli ingredienti non siano stati cucinati bene. Può darsi che fosse la scelta di programmazione. Noi cercavamo un prime time, perché pensavamo che su questo tema ci fosse la possibilità di averlo. Lei mi citava Ilaria Cucchi rispetto alla scelta tra giornalisti o meno: spiego qual è stato il criterio con cui è stata scelta Ilaria. Si trattava di un programma realizzato da una società esterna in collaborazione con Rai. I partecipanti non erano contrattualizzati con Rai, ma con la società esterna Magnolia, Pag. 22che a noi aveva portato il format del programma. Nel caso specifico, l'idea, poi da noi condivisa, era quella di avere quattro raccontatori, non degli inviati giornalistici, come siamo abituati a considerarli, che non dovessero avere il patentino, il che sappiamo, come diceva prima qualcuno, non essere nemmeno decisivo, ma un'attitudine professionale. Certo, abbiamo tante risorse anche per trovare gli inviati, ma anche tante persone già contrattualizzate. L'idea era di trovare quattro narratori che avessero un'empatia particolare nel raccoglimento di storie molto delicate di famiglia e una capacità di ascolto che arrivasse loro anche da esperienze personali. Per questo motivo abbiamo preso i quattro inviati che erano stati scelti su proposta della Magnolia, e che avevano trovato la nostra condivisione. Alcuni era già professionisti, come, per esempio, Angela Rafanelli, che ha lavorato nelle Iene, pur non essendo neanche lei giornalista professionista. Un altro era Alessandro Sampaoli, che faceva l'attore. Un altro era addirittura un rapper, Amir Issaa. L'altra era Ilaria. Tutte e quattro queste persone avevano alle spalle una storia personale particolarmente intensa e dolorosa, che aveva reso la loro sensibilità all'ascolto di chi potesse andare a raccontare la propria storia, più adatta a consentire a queste persone di confidarsi con loro. Chiaramente in questo senso Ilaria Cucchi aveva avuto un'esposizione mediatica dovuta al caso in questione, che non doveva e non voleva essere da noi assolutamente strumentalizzato. Preciso soltanto che la scelta della Cucchi era precedente all'ultima sentenza che ha rimesso così drammaticamente in circolo la sua presenza in tante trasmissioni per portare la propria battaglia personale. Non c'era quindi alcuna voglia di strumentalizzare. Certo, la riconoscibilità di una persona che aveva vissuto il dramma anche di avere un fratello accanto tanto complesso permetteva, secondo noi, alla Cucchi stessa di avere quella sensibilità che per il pubblico che doveva raccontare le proprie storie poteva essere un valore aggiunto. Non è una scelta da giornalisti, ma una scelta di questo genere.
  Su Giannini ribadisco il giudizio positivo. Non c’è assolutamente un risultato negativo. Lo dico anche all'onorevole Nesci, che mi chiedeva addirittura della sostenibilità del programma. Devo dire che, al di là del fatto che ieri effettivamente c'era un esponente del suo movimento, che lei ha definito grillino – questa, da giornalista, mi sembra una notizia, perché di solito non vi definite in questo modo – il programma ha un risultato positivo. Siamo contenti che ci siano esponenti del Movimento 5 Stelle, perché fatichiamo a rappresentare il pluralismo che ci viene chiesto nei programmi se non abbiamo la presenza di un movimento tanto significativo al momento nel consenso del Paese. Ieri abbiamo fatto un discreto risultato, ma abbiamo fatto risultati migliori. Questo non per dire che Di Battista non abbia fatto ascolto. Ha fatto ascolto come l'hanno fatto tutti gli altri. Non abbiamo bisogno, però, del grillino, come dice lei, per fare ascolto. In questo momento Ballarò è, di tutti i talk un po’ in crisi, quello con maggior ascolto in media di tutta la televisione italiana. Vorrei che ristabilissimo un po’ la realtà, perché altrimenti si rischia di fuorviare.

  PAOLO BONAIUTI. Avevate contro la partita.

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Ieri avevamo contro la partita. Avevamo contro anche un interessante programma concorrente, che si chiama Quarto grado, che ieri non avrebbe dovuto andare in onda, che si occupava di un caso di cronaca molto stringente, come il caso del piccolo Loris. Era dunque una giornata un po’ particolare. Al di là di questo, però, vorrei ribadire una volta per tutte in sede istituzionale, altrimenti sembra che ne abbiamo una percezione sbagliata, che la partita di Ballarò è una partita che Rai e Rai 3 stanno vincendo. Non era una partita facile, anzi nient'affatto: era una partita complessa. Il nostro bilancio al momento Pag. 23è che Ballarò è rimasto, pur con un'inevitabile perdita del bacino di ascolto dovuta alla presenza di un concorrente diretto, il principale talkshow politico di tutto il panorama televisivo italiano. Questo con un nuovo conduttore che, secondo noi, è un valore aggiunto per il programma e anche per il panorama dei conduttori televisivi italiani.
  L'onorevole Peluffo ribadiva alcune considerazioni sul concetto quantitativo e qualitativo. Sono molto d'accordo, l'ho detto nella mia relazione. Il concetto solamente quantitativo è, secondo noi, proprio inapplicabile. Mi rendo conto della difficoltà di individuare quale sia il criterio qualitativo, ma invito questa Commissione a occuparsene davvero, perché è un problema che aiuta anche noi. È chiaro che, se contiamo solo come quantitativo lo spazio di parola, non riusciamo. Se dovessi far fare all'interno di un programma un'intervista a un uomo politico accusato di qualche cosa di negativo e questa fosse un'intervista come dev'essere, ossia un'intervista ficcante, in cui le domande sono scomode, se considerassimo quello spazio uguale a uno spazio di comunicazione politica, sbaglieremmo completamente la visione. Se tutto quello che è ricondotto a testata durante il periodo elettorale fuori dal periodo elettorale segue le regole del giornalismo e, quindi, la priorità delle notizie e l'interesse generale, come ho cercato di spiegarvi prima, il criterio quantitativo è un criterio neanche miope, ma purtroppo cieco. Mi rendo conto della difficoltà di andare a regolare tutto questo, come vi ho provato a dire. Capisco che non ci si può affidare solamente alla nostra, pur molto importante, deontologia. La serietà di chi fa il mestiere dell'informatore ha come propria regola l'equilibrio. Se dovete approfondire questo tema, il mio piccolo – anche se, me ne rendo conto, difficile da applicare – consiglio è quello di studiare delle formule qualitative. Non si può lavorare sulle formule quantitative. È proprio contro la natura stessa della televisione, non solo perché il web, come dicevamo, ha ormai superato a sinistra diventando problema attuale, ma anche perché stiamo parlando di una materia non controllabile. Non si deve pensare che andare in televisione sia fare comunicazione politica. Andare in televisione può anche essere molto scomodo, se si è in una situazione molto scomoda. Può essere molto vantaggioso se si è bravi, ma ciò non significa che chi ha più spazio abbia più vantaggi o che questo aspetto possa essere pesato sul bilancino, soprattutto in programmi in diretta. Ribadisco che esiste una deontologia professionale che, per quanto ci riguarda, per noi è molto forte e presente.
  Ringrazio l'onorevole Peluffo anche per le sue parole sulla sperimentazione, che sono proprio in linea con quello che pensiamo noi. La scelta di Catia è stato davvero un bel prodotto. Purtroppo, non ha fatto un buon ascolto, pur essendo un prodotto di grande qualità. Con Hotel 6 Stelle, invece, siamo alla seconda edizione, dopo una prima edizione che ha avuto eccellenti ascolti, su un tema molto delicato, ma molto importante. Si tratta di due temi importanti. Hotel 6 Stelle adesso è un marchio di cui andiamo molto orgogliosi, anche perché abbiamo fatto servizio pubblico e molti ragazzi down hanno trovato lavoro grazie alla sensibilizzazione che ha aperto questo programma.
  Mi resta l'ultima domanda del Presidente Fico. Mi aiuti a ricordarla.

  PRESIDENTE. Sulle reti ho già ascoltato la risposta. Resta la domanda se passare nell'ambito delle testate giornalistiche programmi come Ballarò.

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Su questo rispondo in maniera determinata: ritengo assolutamente di no. C’è una differenza molto importante tra fare televisione e fare telegiornale. Si tratta di due linguaggi completamente diversi ed esiste anche un artigianato televisivo – scusate se uso il termine «artigianato», ma penso che sia un bel termine – di come si fa questa televisione. È chiaro che si tratta di Pag. 24due linguaggi e di due generi molto nobili e ugualmente importanti, che però hanno professionalità diverse. Fare telegiornali – la Rai lo sa fare benissimo – richiede un dato stile, una determinata professionalità e con una determinata abitudine. Fare programmi in rete è un altro mestiere. Rivendico il fatto che siano i canali e le reti a declinare, anche in sinergia, laddove è possibile, con le testate, il linguaggio televisivo. Vedete anche voi che c’è sempre una forte differenza di linguaggio tra quelle che possono essere delle meravigliose rubriche di telegiornale, che fanno anche molto ascolto, e quelli che, invece, sono dei programmi di canale che vanno in onda in prima o in seconda serata. Si tratta, secondo me, di due linguaggi diversi e armonici in una grande azienda come la Rai, che devono essere utilizzati da due strutture diverse.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Vianello e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.