XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 34 di Mercoledì 3 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Gilberto Turati nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n.120); note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n.121) (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Turati Gilberto , Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Zanoni Magda Angela  ... 10 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 11 
Turati Gilberto , Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino ... 11 
Collina Stefano  ... 12 
Guerra Maria Cecilia  ... 12 
D'Incà Federico (M5S)  ... 13 
Molinari Francesco  ... 13 
Turati Gilberto , Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino ... 13 
Molinari Francesco  ... 15 
Turati Gilberto , professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Gilberto Turati nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n. 120); note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n. 121).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Gilberto Turati nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n. 120); note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n. 121).
  Abbiamo chiesto al professor Turati di aiutarci e capire meglio questi complessi provvedimenti e quindi di darci un aiuto concreto per dare un parere motivato il Governo. Abbiamo già visto che la materia è abbastanza complicata, ma anche controversa nella concreta applicazione.
  Do la parola al professor Gilberto Turati, professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino, per lo svolgimento della relazione.

  GILBERTO TURATI, Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino. Grazie, Presidente, ringrazio la Commissione per l'invito. Prima di entrare nel dettaglio dell'analisi delle note metodologiche, consentitemi alcune osservazioni di carattere generale.
  In primo luogo, pur rimanendo questioni a mio avviso ancora aperte in merito al processo di determinazione dei fabbisogni standard, su cui mi concentrerò nel mio intervento, non c’è dubbio che lo sforzo effettuato dai Comuni e dalle Province, da IFEL-ANCI, da UPI, da SOSE e dalla COPAFF di raccolta e di elaborazione dei dati rappresenta una straordinaria operazione di trasparenza per un settore importante della pubblica amministrazione e un apporto notevole in termini di conoscenza che non deve essere abbandonato, ma al contrario esteso anche ad altri ambiti della pubblica amministrazione. Pag. 4Deve essere reso più facilmente fruibile anche ai ricercatori, oltre che ai cittadini, come già si è fatto con OpenCivitas.
  In secondo luogo, per comprendere perché alcune questioni rimangano tuttora irrisolte, è necessario ricordare che il decreto legislativo n. 216 del 2010 si inserisce nello sforzo di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, nella ricerca di strumenti validi per la riduzione degli sprechi, nel tentativo di passare dal criterio di riparto delle risorse basato sulla spesa storica a un qualche criterio più razionale ed efficiente.
  In terzo luogo, è necessario rimarcare come questa attenzione ai costi e ai fabbisogni standard sia il risultato di un decennio di ripensamenti sul fronte del decentramento, decennio che segue in particolare la mancata applicazione del decreto legislativo n. 56 del 2000. Quel decreto però, nel contesto nel quale si sviluppava, riconosceva l'importanza del decentramento fiscale accanto a formule di riparto più razionali, per ottenere miglioramenti dal lato dell'efficienza gestionale degli enti locali.
  Oggi mi pare si discuta di come ripartire le risorse, scordandosi dell'importanza di un sistema chiaro e stabile sul lato delle entrate per il sistema dei comuni, in particolare delle entrate proprie comunali.
  I ripensamenti hanno anche caratterizzato le scelte in merito all'architettura istituzionale del Paese: ho in mente la questione dell'abolizione delle Province. Uno dei provvedimenti in discussione è relativo ai fabbisogni standard di questo livello di governo, che nel frattempo sta per essere cancellato e le cui funzioni potrebbero seguire sorti differenti a seconda delle Regioni, creando problemi ulteriori rispetto a quelli che sollevo nel seguito.
  Mi pare ci sia un contrasto evidente in un DPCM che adotta note metodologiche per determinare i fabbisogni standard di un livello di Governo che ragionevolmente non ci sarà più. La filosofia che guida la determinazione dei fabbisogni standard nelle note metodologiche, di cui al DPCM in discussione, segue chiaramente un approccio microeconomico di tipo produttivista. Si procede cioè a una rappresentazione dell'attività dei comuni e delle province per linee di produzione di servizi, identificate peraltro dallo stesso decreto legislativo n. 216 del 2010 all'articolo 3 (punto sul quale tornerò in seguito), stabilendo che la spesa pubblica sia funzionale all'acquisto di fattori della produzione (gli input nel gergo tecnico-economico) necessari per ottenere i servizi comunali (gli output). Qui ci si ferma, evitando di andare oltre, di arrivare cioè agli outcome del processo di produzione dei servizi.
  Per fare un esempio utile a capire: se prendiamo le funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, che ricomprendono la raccolta dei rifiuti accanto alla protezione civile e alla gestione delle aree verdi, la spesa pubblica finanza i servizi di raccolta (differenziata e non) e di pulizia e manutenzione dei parchi (gli output), però l'obiettivo a cui tendere (l’outcome) dovrebbe essere quello della qualità ambientale del contesto urbano.
  I servizi dovrebbero essere funzionali a quell'obiettivo, rilevante per il benessere dei cittadini, che chiaramente è più difficile da misurare e che però è cruciale, se pensiamo per esempio ai recenti casi di alluvione che hanno colpito i comuni liguri e alle polemiche che ne sono seguite.
  Naturalmente dobbiamo tener conto del fatto che i comuni sono molto diversi tra di loro, ad esempio in termini di zone altimetriche o di vicinanza al mare; un'osservazione che rende evidente come nella rappresentazione dell'attività dei municipi si debba controllare quei fattori che possono influenzare le diverse performances, si debba cioè cercare di ragionare a parità di condizioni.
  A partire dalla presentazione dell'attività comunale appena delineata, si possono allora definire i benchmark, fisico e finanziario, cioè i riferimenti. Il benchmark fisico sarà definito dal comune che, a parità di servizi prodotti, impiega meno input. A parità di utenti da servire e di Pag. 5zona altimetrica, ad esempio, si raccolgono le stesse tonnellate di rifiuti, quindi l’output è il medesimo ma il Comune A impiega meno addetti rispetto al Comune B; quindi il Comune A è più efficiente del Comune B.
  Il benchmark finanziario sarà invece identificato da quel comune che, a parità di servizi prodotti, spende di meno. Nell'esempio precedente il Comune A potrebbe anche spendere meno rispetto al B, se entrambi remunerano con lo stesso stipendio il lavoro degli addetti, visto che A ne impiega di meno.
  A rigore, è questo secondo benchmark finanziario il costo standard del servizio, la pietra filosofale che si va cercando per rendere più efficiente l'attività degli enti locali. Si noti che il decreto legislativo n. 216 del 2010 parla di costi e di fabbisogni standard come se fossero la stessa cosa. Nelle note metodologiche oggetto di discussione se ne possono però trovare – e questo è un punto chiave – due concetti diversi: un fabbisogno standard determinato a partire da costi medi standard (poi tornerò sui medi) e un fabbisogno finanziario standard determinato a partire da bisogni standard.
  Si noti che entrambe queste definizioni nulla hanno a che vedere con la famosa siringa che ha prezzi diversi in diversi contesti territoriali. Quello eventualmente ha a che vedere con il costo standard degli input del processo di produzione e potrebbe essere un'idea da recuperare per l'applicazione concreta della mole di informazioni raccolte con i questionari da parte di SOSE e IFEL.
  Per tornare all'esempio della raccolta rifiuti, il costo standard dell’input lavoro è lo stipendio più basso pagato agli addetti alla raccolta rifiuti, quindi è solo un pezzo – seppur importante – del costo standard della raccolta dei rifiuti, per definire il quale bisogna considerare per esempio anche il costo standard della benzina e dell'assicurazione dei camion e dei furgoni.
  Bisogna farlo a parità di qualità del servizio, tenendo conto del fatto che un comune non spenda di più perché effettua la raccolta della frazione umida tre volte la settimana invece di due.
  Dal punto di vista tecnico la letteratura economica riconosce nella «frontiera di costo» lo strumento utile per definire il costo standard del servizio. Al di là della metodologia di stima che si può adottare, questo strumento consente di ragionare a parità di condizioni di contesto e di confrontare comuni che producono livelli di output diversi, remunerando in modo differente gli input.
  Cruciale per poter stimare una funzione di costo è la possibilità di identificare e misurare uno o più output, uno o più servizi prodotti dai comuni. È quanto viene spiegato in tutte le note metodologiche oggetto di discussione: quando la quantità del servizio offerto è misurabile in modo soddisfacente e le variabili di output, che permettono di cogliere tutti gli aspetti fondamentali dell'attività svolta, sono esogene rispetto all'autonomia decisionale di ciascun ente, si potrà procedere alla stima dei fabbisogni standard considerando una funzione di costo.
  In questo caso la nozione di fabbisogno – finanziario, aggiungo io – standard è chiaramente basata su costi medi standard, e il perché è presto detto. In tutte le note metodologiche il modello di regressione è caratterizzato da un errore stocastico di media zero, quindi non è stata stimata una frontiera di costo, ma una funzione media di costo. Vi potrà sembrare un sofisma tecnico, ma in realtà è cruciale per capire cosa si stia davvero facendo.
  Con le stime attuali non andiamo a individuare i benchmark descritti prima, ma le performances medie. Come ho avuto modo di argomentare in un report per IFEL, la stima di una funzione media di costo comporta l'identificazione di un gruppo di comuni inefficienti, che spendono di più rispetto al benchmark medio stimato, e di comuni efficienti, che spendono di meno sempre rispetto al benchmark medio.
  L'osservazione è meno innocua di quel che sembra, soprattutto in termini di riparto Pag. 6per quanto riguarda i comuni efficienti. È chiaro, infatti, che fra questi municipi ci sono anche situazioni inefficienti se il benchmark fosse la frontiera; quindi per i comuni che spendono meno rispetto alla media il benchmark di riferimento dovrebbe essere la loro spesa storica, già più bassa rispetto allo standard medio.
  La ragione evidente per procedere con una funzione di costo invece che con una frontiera è che in questo modo si attenuano gli scostamenti, soprattutto quelli negativi, dalla performance di riferimento; è insomma un modo per procedere con gradualità.
  Chiarito il punto sulla performance media, torno alla questione della misurabilità. Lo iato tra la teoria e l'applicazione empirica è reso evidente dall'impiego della funzione media di costo in due sole istanze, in particolare nella nota FC03UU, Funzioni di istruzione pubblica, e nella nota FC06B, Servizio di asilo nido.
  Nel primo caso ci si riferisce a una pluralità di servizi comunali, che però sono prevalentemente integrativi e di supporto al percorso scolastico, quali ad esempio il trasporto degli alunni e il servizio di refezione. Nel secondo, invece, al servizio specifico di asilo nido all'interno dei servizi sociali.
  Nel primo caso gli output sono classificati in macrocategorie, che comprendono fra le altre il numero di utenti trasportati, il numero di disabili, il numero di pasti fornito con servizio di refezione; nel secondo caso l’output è definito dal numero di bambini frequentanti a tempo pieno e parziale.
  Per ragionare a parità di condizioni si è correttamente tenuto conto per esempio della zona climatica con riferimento alle scuole, in quanto costa ragionevolmente di più scaldare le scuole in un comune alpino piuttosto che in un comune che si affaccia sul Mar Ionio, e del tempo medio di percorrenza dei pendolari interni, con riferimento ai servizi di trasporto, laddove costa ragionevolmente di più trasportare gli alunni nei comuni dove le condizioni del traffico sono più problematiche.
  In questo quadro le questioni aperte sulle due funzioni di costo sono almeno tre. La prima è quella della qualità del servizio. Si possono contare gli studenti che usufruiscono del servizio di refezione scolastica, ma è più complesso arrivare ad una misura della qualità della refezione.
  È chiaro, tuttavia, che il problema è importante perché a una qualità più elevata si accompagna anche un costo di produzione maggiore, e non tenerne conto potrebbe portare a confondere l'efficienza con la più bassa qualità del servizio. Nel caso dell'asilo nido, della qualità si prova a tener conto, considerando gli orari e le giornate di apertura anche durante l'estate, un parametro importante, ma certamente non l'unico.
  La seconda questione, invero un po’ tecnica e me ne scuso, è quella della separabilità dei diversi servizi, in qualche modo imposta dal decreto legislativo n. 216 del 2010 con l'identificazione per legge di specifiche linee di produzione di servizi comunali.
  Ricordo, infatti, che l'articolo 3 del decreto stabiliva di determinare i costi e i fabbisogni standards per sei macrofunzioni specifiche: 1) funzioni generali di amministrazione e gestione di controllo, 2) funzioni di polizia locale, 3) funzione di istruzione pubblica, 4) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti, 5) funzioni riguardanti la gestione del territorio e l'ambiente, 6) funzione del settore sociale.
  La questione qui è quella dei costi comuni tra diversi servizi. Che un addetto alla raccolta dei rifiuti difficilmente sia anche impiegato per il trasporto dei disabili sembra ragionevole. È probabile però, soprattutto nei comuni più piccoli, che gli addetti al trasporto degli alunni e i relativi veicoli siano impiegati anche per il trasporto degli anziani.
  Ci sono pertanto potenziali economie di diversificazione nella produzione del servizio, che necessitano per essere colte di una specificazione del modello di determinazione degli standard di tipo multi-output, a rigore per tutte le linee di produzione di servizi comunali.Pag. 7
  Riprendendo l'esempio precedente, però, il trasporto degli alunni è un servizio che il decreto impone di considerare in modo separato dal trasporto degli anziani: una funzione ricade nell'istruzione, l'altra nel settore sociale.
  In ogni caso, anche all'interno di ciascun servizio individuato dal decreto si riscontra una certa incoerenza nelle note in discussione. Le funzioni di istruzione pubblica riflettono infatti l'intera macrofunzione definita dal 216 del 2010; l'asilo nido è invece solo una parte nelle funzioni del settore sociale, modellata separatamente rispetto agli altri servizi. Questo aspetto è tanto più importante quanto più si riconosce la possibilità per i comuni di attivare o meno i servizi, la terza delle questioni rilevanti.
  In assenza dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), infatti, non tutti i comuni forniscono l'intera gamma di servizi. Nel caso dell'istruzione, ad esempio, si osservano alcuni comuni che offrono congiuntamente il servizio di scuola materna, il trasporto degli alunni, il servizio di mensa, l'assistenza agli alunni disabili e i servizi integrativi di custodia pre e post-scolastica, mentre altri comuni sono attivi solo in alcune particolari complicazioni di questi cinque servizi.
  Gli input necessari sono però potenzialmente distinti a seconda del particolare mix di servizi erogati nell'ambito della gamma, e questo si riflette in differenti funzioni di costo. La rappresentazione distorta del processo produttivo dei servizi comporta naturalmente una distorsione dei fabbisogni stimati.
  Come abbiamo osservato, però, la funzione di costo è stata utilizzata solo per due servizi specifici: le diverse combinazioni di servizi complementari nel settore dell'istruzione e il peculiare servizio di asilo nido nell'ambito dei servizi sociali, che coprono la percentuale relativamente limitata dell'intera spesa comunale, circa un terzo nel 2010, considerando il 13 per cento per il macroservizio istruzione pubblica e il 20 per cento per l'asilo nido.
  Per tutte le rimanenti funzioni si è scelto di adottare la funzione di spesa per la determinazione dei fabbisogni. Se gli output del servizio non sono facilmente identificabili e misurabili, è necessario infatti ricorrere a una rappresentazione più complessa del processo produttivo dei servizi comunali, prendendo in considerazione anche il lato della domanda di servizi da parte dei cittadini.
  La scelta effettuata nelle note metodologiche in discussione, ben rappresentata nel modello teorico di riferimento, è quella di immaginare una domanda dei cittadini che sia funzione, oltre che del loro reddito e del costo di fornitura del servizio, degli aspetti demografici e socio-economici che caratterizzano le loro preferenze e necessità.
  A partire da qui e immaginando che la quantità domandata sia uguale alla quantità offerta di servizi, si arriva appunto a definire la funzione di spesa, che identifica un fabbisogno finanziario standard, basato però su bisogni standard valorizzati a costi standard degli input, certamente differente rispetto al fabbisogno finanziario determinato a partire dai costi medi standard.
  Se dovessi semplificare al massimo quel che si ottiene con una funzione di spesa, direi che si definisce la necessità di risorse, a partire da alcune variabili che misurano i bisogni, e due comuni che hanno gli stessi bisogni, a parità di contesto, devono ricevere le stesse risorse indipendentemente dal fatto che siano meno efficienti e che poi decidano di soddisfare la domanda in assenza di un vincolo di destinazione delle risorse.
  Un po’ come nel caso della sanità, settore nel quale le Regioni si accordano da tempo, utilizzando come indicatore di bisogno la composizione per età della popolazione, in modo che maggiori risorse vadano nei territori dove ci sono più anziani in percentuale della popolazione, indipendentemente dalle performances regionali in termini di erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e dall'impiego dei fondi nei tre macrolivelli identificati dal riparto.
  Qui sta il punto sul fronte dei possibili risparmi: non c’è alcuna ragione per Pag. 8pensare che si riesca davvero a rendere più efficiente la spesa tenendo conto dei bisogni della popolazione, semmai si realizza una gigantesca operazione di redistribuzione tra chi fa di più e chi fa di meno. Un paio di esempi a partire da quel che un cittadino può leggere dalla banca dati OpenCivitas, suggerito da una figura illustrativa che si trova nel lavoro di SOSE.
  Nel settore sociale al netto degli asili nido Parma spende il 27 per cento in più dello standard, che vuol dire quasi 10 milioni di euro in meno in bilancio se queste stime fossero applicate pedissequamente. All'estremo opposto, Napoli dovrebbe avere 71 milioni di euro in più, il 125 per cento in più rispetto alla spesa storica.
  Notate che non ci sono livelli essenziali delle prestazioni e non ci sono vincoli di destinazione delle risorse. Non è chiaro, quindi, chi possa assicurare che l'Amministrazione partenopea spenda davvero quei milioni di euro in più nel settore dei servizi sociali e non per qualche altra funzione. È invece certo che il Comune di Parma avrà qualche milione di euro in meno per servizi sociali che pure forniva.
  Notate inoltre che non c’è alcuna nozione di efficienza insita nella riallocazione: i risultati sono guidati da indicatori di bisogno, quali il tasso di occupazione femminile, il numero di alunni con handicap, il numero di reati, il numero di prestazioni per invalidi civili o di pensioni per i superstiti, oltre che da fattori di contesto.
  L'eventuale sforzo fiscale per fornire servizi in più non viene preso in considerazione, anzi con questo approccio si penalizza chi ha deciso legittimamente di tassare di più i propri cittadini per offrire servizi in più.
  Queste ultime riflessioni introducono il tema chiave: cosa ne facciamo dei fabbisogni standard così calcolati. Nelle note in discussione si evidenzia che i fabbisogni standard stimati non hanno diretta valenza dal punto di vista finanziario, rappresentando piuttosto un ausilio per il calcolo dei coefficienti di riparto relativamente alle funzioni specifiche dei comuni oggetto di analisi, che a loro volta concorreranno a determinare un coefficiente di riparto complessivo.
  Lo leggo come una cautela degli estensori delle note. Se interpreto correttamente l'affermazione, la soluzione suggerita sembra essere quella di dividere la spesa standard aggregata per ciascuna funzione sul finanziamento complessivo, al fine di arrivare a determinare dei «pesi» da applicare alle quote per ciascuna delle sei macrofunzioni. La quota di accesso al fondo risulterebbe così dalla media ponderata per i «pesi» delle quote per ciascuna macrofunzione.
  In questo modo, però, si mischiano fabbisogni finanziari determinati in modo completamente diverso, si mischiano spesa efficiente e inefficiente, visto che si impiegano funzioni e non frontiere di costo almeno in un paio di casi si mischiano lo sforzo diretto a ridurre gli sprechi con un tentativo di dare di più a chi ha più bisogno.
  Un'altra questione importante è che in tutte le note metodologiche in discussione c’è un'unica specificazione della funzione di costo o della funzione di spesa. Questo comporta che i coefficienti di riparto siano determinati come stime puntuali. Se si vogliono utilizzare a fini di politica economica, sarebbe però necessario capire il grado di robustezza di queste stime, anche perché, come risultava dall'esempio precedente, gli scostamenti per il singolo municipio possono essere rilevanti.
  Come cambia per esempio la performance del Comune di Parma nel caso dei servizi sociali se dovessimo togliere dalle variabili di bisogno il numero di prestazioni per invalidi civili, variabile che però potrebbe essere distorta per il problema dei falsi invalidi e quindi ci sarebbero buoni argomenti per toglierla ? A me sembra una domanda importante, per la quale non abbiamo una risposta nelle note. L'analisi di robustezza potrebbe aiutare a costruire degli intervalli nei quali allocare Pag. 9i diversi comuni, e a stabilire delle fasce di scostamento tra spesa storica e fabbisogno finanziario.
  Questo modo di procedere renderebbe peraltro evidente la necessità di una certa gradualità nei percorsi di aggiustamento sia per chi si troverà con risorse in meno, perché tagliare i servizi implica sempre una rimodulazione dei costi del lavoro, sia per chi si troverà con risorse in più, perché occorre progettualità per impiegare le risorse.
  Al di là di queste problematiche generali, nascono poi problemi più specifici a seconda che si parta da un modello di funzione di costo o da un modello di funzione di spesa. Nel primo caso, come già osservato, è importante precisare che non si è stimata una frontiera, ma una funzione di costo. A rigore, non si dovrebbe parlare di costi standard, ma di costi medi standardizzati.
  Se dovessi semplificare, direi che si tratta di un benchmark non troppo impegnativo. L'impiego di una funzione media attenua quindi il problema precedente degli scostamenti, perché alcuni comuni inefficienti si troveranno a produrre a costi comunque inferiori rispetto allo standard medio.
  Ammesso di aver risolto i problemi di cui ho discusso in precedenza soprattutto per quanto riguarda la qualità, in sede di riparto non si dovrebbero premiare con finanziamenti aggiuntivi municipi che spendono meno di questo benchmark medio. Questi Comuni dovrebbero al più ricevere la loro spesa storica, se si vuole provare a ridurre la spesa tagliando i finanziamenti a chi spende di più dello standard. Ovviamente non dovrebbero partecipare al riparto quei comuni che non forniscono un servizio.
  Questo è quel che si dice nella nota relativa agli asili nido, una delle due funzioni per le quali si è impiegata la specificazione della funzione di costo. L'applicazione della metodologia per il calcolo dei fabbisogni standard ha riguardato solo i comuni che alla data di compilazione del questionario FC06U offrono il servizio di asilo nido, includendo anche quelli esclusi dalla costruzione del campione di riferimento utilizzato per la stima dei fabbisogni standard.
  L'ultima affermazione si riferisce presumibilmente ai comuni che hanno indicato un valore zero della spesa corrente, ma un numero di utenti positivo. Sarebbe utile saperne qualcosa di più: quanti altri comuni rispetto ai 1.133 utilizzati per le stime hanno un coefficiente di riparto positivo ? Che caratteristiche hanno i servizi di asilo nido in questi contesti ?
  Nel caso della funzione di spesa, il problema di quali comuni offrano il servizio al fine del riparto non si pone. Nelle note in discussione si legge infatti che l'applicazione della metodologia per il calcolo dei fabbisogni standard ha riguardato tutti i comuni, anche quelli esclusi dalla costruzione del campione di riferimento utilizzato per la stima dei fabbisogni standard.
  Se il fabbisogno standard di risorse è determinato sulla base di variabili di domanda, è chiaro infatti che anche i municipi che non forniscono servizio possono essere caratterizzati da un livello di bisogno positivo. Gli anziani e i disabili ci sono anche in quei comuni che non offrono loro servizi, anzi il fabbisogno finanziario in questi comuni che non offrono servizi sarà addirittura maggiore rispetto a quello dei comuni che hanno finora fornito il servizio, perché si assume un'eguaglianza puramente teorica tra quantità domandata e quantità offerta.
  Se si segue questa strada, non c’è alcuno spazio per il risparmio, e a mio parere si tradisce lo spirito originario della legge delega n. 42 del 2009.
  Ultima due osservazioni a carattere generale. Le note metodologiche in discussione sono basate su dati ormai vecchi, che risalgono all'anno 2010 e non riflettono la situazione attuale dei comuni. Mi pare una ragione in più per sconsigliarne l'impiego per la determinazione dei coefficienti di riparto.
  Il suggerimento è quello di raccogliere ogni anno i dati che servono per il calcolo degli standard, eventualmente raffinando Pag. 10la metodologia con le informazioni che si sono rese disponibili lungo il percorso fatto fin qui.
  Per fini applicativi si dovrebbero utilizzare dati triennali o quinquennali. Il vantaggio è quello di evitare oscillazioni anomale del dato annuale e di poter determinare gli standard su un maggior numero di informazioni. Le stime sarebbero più robuste, così come la giustificazione per il loro impiego a fini di riparto.
  Ultima ma non meno importante è la questione dei comuni che non hanno fornito i dati necessari per la determinazione dei fabbisogni, cioè non hanno risposto o hanno risposto in maniera parziale ai questionari SOSE e IFEL. Questi municipi dovrebbero essere penalizzati in sede di riparto, attribuendo loro la performance peggiore, e dovrebbero essere strettamente monitorati.
  In conclusione, pur riconoscendo la qualità del lavoro svolto, per tutte le ragioni discusse in precedenza continuo a ritenere che i fabbisogni standard così determinati non rispondano alla domanda originaria della legge delega n. 42 del 2009.
L'occasione si è già persa con la sanità, sarebbe diabolico perderla anche nel caso dei comuni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie di questa analisi puntuale. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Chiedo scusa, ma ho sempre il solito problema che alle 9.00 ho la Commissione bilancio e quindi mi devo trasferire e pertanto chiedo scusa ai colleghi e intervengo subito con un paio di osservazioni.
Ringrazio il professor Turati per questa relazione molto chiara, nella quale ho ritrovato molti dei dubbi che ho espresso negli incontri precedenti e in parte anche alla relatrice Guerra, avendo letto la scorsa settimana in modo più approfondito le modalità con cui sono stati calcolati.
  Mi ritrovo molto nella relazione e infatti i miei appunti partivano dall'utilità di questo lavoro, perché sovente calcolare tutte le misure al centimetro per confezionare un abito di cui non sappiamo più quale sia la foggia e non abbiamo la stoffa è un lavoro inutile.
  Raccogliere tante informazioni ci fa entrare in un interessantissimo lavoro di tipo teorico, da studioso, lavori che a me piacciono molto – tanto che mi sono anche divertita nel leggerli e ho trovato spunti molto interessanti – ma di quanto la nostra capacità decisionale è aumentata ? Questo è infatti ciò che noi dobbiamo fare qui, non trovandoci in un'aula universitaria, e mi risulta difficile valutare la nostra capacità decisionale con questa mole di informazioni non chiaramente utilizzabili.
  Come avevo già detto in un altro incontro, trovo tutto questo un po’ avvilente sul tema dell'autonomia finanziaria dei comuni e in generale degli enti locali, esattamente lo stesso discorso che faccio sulle regole del Patto di stabilità e su altri fronti. Si individuino i tetti e poi gli enti locali rispondano davvero alle loro comunità, e le loro comunità saranno in grado di decidere come preferiscono spendere i soldi.
  Questo lavoro ha una grande utilità per la funzione di confronto, quindi il comune che è interessato a valutare un suo singolo servizio ha una base dati di riferimento, all'interno della quale attingere senza costi aggiuntivi una serie di informazioni utili a fare i confronti.
  Non c’è però quasi più niente da distribuire, perché sappiamo bene che non sarà un fondo definito a livello nazionale da distribuire, ma saranno compensazioni tra i comuni, quindi credo che sostenere che un comune che ha aumentato la tassazione o eroga servizi debba trasferire risorse su un altro comune non solo sia perverso e diabolico, come concludeva il professor Turati, ma porti a perdere tutta la speranza della legge n. 42, ponendoci in grande difficoltà su come procedere.Pag. 11
  Credo che un momento di riflessione su come utilizzare questi dati sia davvero necessario.

  GIOVANNI PAGLIA. Che sia necessario mi pare evidente ma (la prendo da lontano), se dovessi dirlo con parole mie, direi che un processo come quello che stiamo approcciando avrebbe bisogno almeno di alcune condizioni di base, cioè delle funzioni chiaramente attribuite agli enti locali (ne discutevamo prima e non è nemmeno detto che siamo in questa condizione), dei servizi che devono essere prestati da ciascun ente locale e della possibilità di destinare eventuali efficientamenti a fare altro.
  Se quindi devi fare questo con il calcolo delle attribuzioni di risorse necessarie, se li spendi meglio puoi attivare servizi che non sarebbero altrimenti contemplati.
  L'altro elemento che a me sembrerebbe una precondizione assoluta è una pubblica amministrazione che funzioni in modo analogo sull'intero territorio nazionale in termini di attribuzione di personale e di funzionamento della macchina, perché quello altrimenti è il vero dato che sballa completamente qualsiasi altra considerazione. Se infatti in un comune che dovrebbe essere paragonato a un altro lavorano 100 persone contro 50, questo rende inutile qualsiasi parametro di costo.
  Chiederei solo se se queste mie considerazioni abbiano un qualche fondamento, perché, se ce l'hanno, presupporrebbero uno sforzo riformatore a monte di qualsiasi ragionamento di questo tipo, altrimenti, se non ce l'hanno, forse non cambio idea però comincio a discuterne.

  GILBERTO TURATI, Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino. Mi paiono condivisibili le affermazioni della senatrice Zanoni. Vengo all'onorevole Paglia. Chiaramente c’è un problema di chiarezza delle funzioni attribuite, e la discussione sull'abolizione delle province sta lì a dimostrarlo.
  Siamo in una situazione nella quale è possibile che alcune Regioni attribuiscano alcune funzioni ai comuni e altre che se le tengano, quindi ci potrebbero essere 21 situazioni diverse sul territorio, e questo complica ulteriormente la possibilità di confronto.
  Sui livelli essenziali delle prestazioni sinceramente non sono convinto – per l'esperienza che c’è stata in sanità – che questo sia risolutivo, perché in sanità almeno finora abbiamo semplicemente detto se un servizio ci debba essere o meno. Non abbiamo stabilito (e questo è un tema di cui si è discusso spesso negli incontri con SOSE e con IFEL) una quantità standard, che invece sarebbe cruciale perché, una volta determinata la quantità standard, consentirebbe di appiccicarci un qualche costo standard dell’input e di determinare davvero lo standard complessivo.
  Dire che un comune deve fare un servizio probabilmente non è sufficiente, ma bisogna caricarlo di un significato maggiore, e non è un'operazione banale soprattutto per i servizi sociali.
  Terza cosa: l'amministrazione che funziona dovunque nello stesso modo. Credo che qualche risposta in questa direzione ci sia dall'esercizio fatto per la prima delle funzioni, quella di amministrazione generale, e, se si guardano i numeri in OpenCivitas, emerge qualche indicazione, perché quella mappava proprio l'amministrazione generale dei comuni, quindi andava esattamente nella direzione che diceva lei.
  Su quest'ultimo aspetto la banca dati (qui torna un'osservazione che aveva fatto la senatrice Zanoni) potrebbe essere importante per determinare i costi standard degli input. In quella banca dati ci sono informazioni che riguardano per esempio il modo con cui i diversi municipi hanno remunerato il lavoro nelle diverse funzioni.
  Quello è un pezzo importante di informazione che non deve essere sottovalutato, anzi deve essere sfruttato per capire se ci siano differenziali di efficienza nel funzionamento della macchina amministrativa. Pag. 12Sappiamo quanti sono stati impiegati nell'amministrazione, sappiamo come li abbiamo remunerati. Non è poco.

  STEFANO COLLINA. Le sue risposte mi hanno aiutato rispetto alla domanda che volevo fare per approfondire il tema delle funzioni attribuite a cui si riferiva l'onorevole Paglia, avendo personalmente esperienza dei comuni dell'Emilia Romagna, dove mediamente il livello dei servizi forniti è elevato.
  C’è il tema che lei diceva della quantità standard, perché tanti comuni hanno liste d'attesa per gli asili, a cui non si dà risposta, e le risorse aggiuntive per dare piena risposta a tale richiesta di servizi ovviamente mancano. Il tema è quindi anche quello del livello di risposta che occorre dare. Questo è decisivo, perché tutti i cittadini sono uguali e i comuni devono dare risposte a tutti quelli che hanno bisogno.
  I comuni hanno le risorse anche per fare tante altre cose, la definizione delle funzioni non è solo relativamente alla spesa storica, ma è anche relativa alla priorità di alcune funzioni. Prima utilizzi le risorse a disposizione per fare quello.
  In questo senso anche il Comune di Napoli che lei citava fa dei servizi o non li fa, rispetto alle valutazioni ha necessità di ulteriori risorse, ma prima si valuta se all'interno del bilancio comunale esistano altre risorse. I temi dei vincoli che lei citava sono poi fondamentali, perché diamo dei soldi ma non possono usarli a loro piacimento, però credo che questo sia un ulteriore tema da legare alle funzioni dei comuni.

  MARIA CECILIA GUERRA. Pongo delle domande puntuali per approfittare ancora della gentilezza e disponibilità del nostro audito, che ringrazio molto perché effettivamente avevamo bisogno di entrare su aspetti più tecnici di costruzione di questi fabbisogni che non sempre emergono dalle note metodologiche, quindi vorrei fare alcune domande anche per capire meglio alcune osservazioni.
  Le note citano il ricorso, a integrazione dei dati raccolti, a dati già esistenti, e in particolare si fa più volte riferimento all'utilizzo dei conti consuntivi. Vorrei capire se questo utilizzo sia stato solo di cornice, di confronto, o quale altro utilizzo ne sia stato fatto, perché l'utilizzo dei conti consuntivi per quanto riguarda la ricostruzione di fabbisogni e di costi ha delle difficoltà enormi che sono state rilevate da studi in passato, ad esempio per incapacità di cogliere in modo proprio tutti gli aspetti di esternalizzazione dei servizi.
  In particolare, vorrei sapere se tra le fonti esterne sia stato utilizzata e in quale modo anche la rilevazione sui servizi sociali fatta dall'Istat, che ovviamente per quel campo è particolarmente rilevante.
  La seconda cosa che non ho capito riguarda la questione dell'utilizzo dei comuni per effettuare le stime. Questo è dovuto a una sorta di campionamento interno ai comuni, al fatto che erano attendibili solo quelli, cioè in che misura il campione utilizzato non è un campione che distorce l'analisi, cioè che problemi possono venire da questo ?
  Il problema dei servizi mancanti e dei servizi presenti mi sembra enorme, cioè che possa dare veramente dei risultati che vanno considerati con molta cura, perché uno dei problemi che avevamo all'inizio era che, dovendo ad esempio affrontare il tema degli asili nido, ci sono dei comuni che non ce l'hanno e la paura di chi invece li possiede era che la redistribuzione portasse soldi a chi li avrebbe fatti e magari li togliesse ad altri.
  Se si dice che il servizio manca ma comunque non ti do niente, è un conto, però non è una scelta corretta in termini di livelli essenziali delle prestazioni, quindi c’è una contraddizione che mi sembra irrisolta, perché per alcuni servizi, in particolare gli asili nido, quelli sulla domanda individuale, per questa ragione si tirano fuori con un'operazione più discrezionale, che forse non sarebbe spettata a SOSE, come mi permetto di dire, perché non si vede perché quelli siano discrezionali e non sia discrezionale il servizio per l'anziano.Pag. 13
  D'altra parte c’è un problema molto serio per i servizi presenti. Veniva citata la questione delle scuole materne, che per i comuni delle mie zone fanno la differenza, cioè la spesa per istruzione salta moltissimo perché molte scuole materne a Bologna e a Modena sono ancora comunali, e, avendo guardato i dati di OpenCivitas, su queste funzioni risulta una netta distanza tra il fabbisogno standard e la spesa effettiva, che quindi penalizzerebbe chi si è tenuto in capo queste funzioni. C’è un rischio di questo tipo ?
  Nel fare queste stime alla fine si spiega la spesa storica, cioè la si riconduce in termini di fabbisogni, spesa che immagino determinata per cluster di comuni, che però è condizionata non solo da elementi di bisogno e di costo, ma anche dallo sforzo fiscale.
  Questo tema dello sforzo fiscale, che significa che chi ha chiesto di più ai suoi cittadini ha fatto servizi più alti, non arriva a penalizzare proprio quei soggetti ? Quando nella relazione si dice che ci sarà una gigantesca redistribuzione, significa che ci sarà anche da chi ha fatto uno sforzo fiscale a chi non l'ha fatto ?
  L'ultima questione è quella della robustezza delle stime, aspetto che mi sembra fondamentale. Se ho capito bene, sono state fatte delle regressioni, sicuramente i coefficienti sono stati considerati significativi in base a test statistici quanto più sofisticati e attendibili, però non si è fatta questa analisi. In questi casi immagino che ci saranno forti problemi, per cui credo che questo possa dare per il singolo comune risultati molto diversi. Grazie.

  FEDERICO D'INCÀ. La ringrazio per la relazione, perché le sue osservazioni sono veramente interessanti e cercherò di inserirle anche all'interno del mio parere di minoranza sulla parte comuni.
  Credo che non vi sia stato interesse da parte del Governo per quanto riguarda un'applicazione della legge n. 42 attraverso questa visione sui comuni e sulle province, perché di fatto è una visione centralista che c'entra poco con la parte federalista, una raccolta dati e una visione più corretta di quello che è l'insieme dei comuni e delle ex province.
  Avrei una domanda per quanto riguarda il discorso sugli outcome, che lei ha posto nella parte iniziale della sua relazione, dicendo che in questo momento stiamo facendo una verifica sugli input e sull’output. Vorrei quindi domandarle come inseriamo gli outcome all'interno della gestione. Vorrei capire infatti come possiamo portarci verso un miglioramento del lavoro fatto da SOSE e IFEL.

  FRANCESCO MOLINARI. Abbiamo la possibilità di salvare tutto il lavoro che è stato fatto fino adesso, magari trasformando questa massa di dati in un benchmark, come ci suggeriva il professor Turati, piuttosto che in un parametro così stringente come invece apparirebbe ?

  GILBERTO TURATI, Professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino. Sul salvare il lavoro io spero e conto di sì, l'ho detto all'inizio, credo che l'operazione sia straordinaria, perché ci sono alcune aree della pubblica amministrazione delle quali non si sa nulla e la trasparenza è cruciale.
  Da questo punto di vista, quindi, continuo a pensare che sia un lavoro che non solo va continuato, ma addirittura va raffinato: adesso che abbiamo capito quali sono gli snodi problematici dovremmo intervenire per capire come correggerli o migliorarli.
  Qui mi aggancio alla questione dell’outcome. Un esempio banale è l'istruzione, che non è direttamente connessa con le funzioni dei comuni, perché è una funzione riferita allo Stato centrale. Lì bisogna prendere i dati PISA (Programme for International Student Assessment – Programma per la valutazione internazionale dell'allievo) e cercare di capirne di più. Quello è l’outcome, non ci interessa capire quanti alunni abbiamo iscritto alle scuole della Repubblica: ci interessa capire cosa hanno imparato quegli alunni, e sempre più in quella direzione.Pag. 14
  Sulla sanità dovremmo andare a vedere gli outcome di salute, perché spendiamo 110 miliardi di euro in questo Paese perché vogliamo curare la gente, non perché vogliamo pagare gli stipendi agli infermieri o ai medici. Credo che questo sia cruciale.
  Da questo punto di vista la riorganizzazione del bilancio dello Stato per missioni va nella direzione giusta, perché ti impone di pensare per cosa spendi i soldi pubblici, quello è l'obiettivo a cui dovremmo tendere. Naturalmente è complicato perché, se uno comincia a pensare alle scuole, comincia a dire che c’è una serie di intersezioni fra le funzioni di enti diversi, per cui c'entrano le province, i comuni, le regioni ed eventualmente anche lo Stato, quindi quel guazzabuglio di cose probabilmente va risolto in qualche modo, facendo chiarezza su chi fa cosa nell'attribuzione dei compiti.
  Passiamo ora alle domande poste dalla senatrice Guerra, – spero di ricordarmele tutte. Per quanto riguarda i certificati di conto consuntivo, faccio un solo esempio: si è utilizzato la quota di copertura con la TARSU del costo del servizio per la funzione di raccolta rifiuti, e, se non ricordo male, il coefficiente di quella regressione veniva negativo, per cui a una maggior copertura corrispondeva una spesa più bassa.
  Quello è un dato che viene dal certificato di conto consuntivo, che si rifà sulle entrate e che peraltro pone un altro problema, nel senso che è interessante per gli studiosi perché va nella direzione di tutti gli studi sul federalismo, perché ti dice che all'aumentare della quota di copertura della spesa dei cittadini corrisponde una maggior «efficienza» intesa come spesa più bassa.
  Tenete conto che la TARI/TARSU è finita nella questione del calcolo della capacità fiscale ed è la perequazione su quel versante. Bisognerebbe capire quali siano le intersezioni fra questa scelta di metterne un pezzo nella funzione di spesa e un pezzo invece nella funzione di determinazione dei fabbisogni, e poi riprendere quella stessa cosa nel calcolo della capacità fiscale.
  Sulle fonti esterne non ricordo se sia stata utilizzata l'indagine sui servizi sociali, però al tavolo di SOSE e IFEL c'erano l'Istat, la Banca d'Italia, il Ministero dell'economia e delle finanze, quindi si è fatto ogni sforzo per capire quali fossero le fonti informative migliori a per poter definire per bene i servizi, quindi posso solo lodare il lavoro svolto all'inizio anche di costruzione delle banche dati, di collaborazione tra enti diversi.
  Questione della scelta dei comuni che vengono inclusi nelle stime. Lì banalmente ci sono delle regole per stabilire se i dati forniti siano coerenti oppure no, per cui, se un comune mi dice di avere degli alunni iscritti alla scuola materna e poi che il costo della scuola materna è zero, lo devo escludere.
  C’è una serie di regole per l'inclusione, che vengono stabilite in ciascuna nota metodologica, molto precise, quindi la discussione mi pare chiara e condivisibile. Semmai si può discutere sul fatto che un comune che abbia un certo numero di alunni iscritti alla scuola materna ma nessuna spesa, debba poi finire dentro nel calcolo della quota di riparto.
  Su questo possiamo discutere, sarebbe più utile capirne di più, e tra l'altro questo mi consente di approfondire la risposta a proposito di salvare il lavoro. La cosa sorprendente è che non si siano andate a vedere queste situazioni, cioè una volta scoperto che c’è una situazione particolare in cui un comune dice di avere degli alunni iscritti alla scuola e nessuna spesa, si dovrà almeno verificare.
  Sono state fatte un sacco di telefonate: chi non aveva compilato il questionario è stato tempestato di richieste, però dal punto di vista della gestione dell'intero pacchetto di informazioni, se scopro che qualcuno si distanzia molto dal benchmark, voglio andare a capire perché. Se infatti raccolgo quell'informazione, ragionevolmente ho in mano una chiave per poter interpretare anche gli scostamenti, quindi so se quegli scostamenti sono davvero Pag. 15in efficienza o si tratta di una variabile che ci siamo scordati di misurare. Per il disegno della successiva tornata di raccolta riusciamo a includere anche questa variabile, quindi a migliorare il pacchetto di stime.
  Servizi presenti e assenti. Il problema si rifà anche alla questione dei livelli essenziali delle prestazioni, delle funzioni assegnate ai comuni. Fintanto che c’è discrezione per il singolo municipio di decidere se attivare o non attivare il servizio, è inevitabile che sia così, e peraltro questo si ricollega alle sue domande.
  Sempre su questo punto, se uno dice di voler fare un investimento sulla funzione che riguarda gli asili nido, non lo si può fare a parità di risorse. Uno arriva, investe dei denari e poi cerca di capire come redistribuirli, perché l'alternativa è quella di riconoscere che le risorse sono date.
  A questo punto continuo a pensare come per la sanità che non abbia senso parlare di livelli essenziali delle prestazioni: tu stai dicendo che quella è la cifra che questo Paese si può permettere su quella funzione, devi solo decidere come ripartirla tra i diversi municipi e le diverse Regioni. Questo è l'approccio di Piero Giarda, c’è un vincolo di risorse e devi capire come ripartirle.
  Credo che questo lavoro sia estremamente utile per individuare i driver, le variabili di bisogno che hanno influenzato davvero la spesa. Se fate una sorta di tavola sinottica, che non è stata fatta, per capire quali sono le variabili che ricorrono spesso, ce ne sono alcune che sono più o meno in tutte le funzioni, e la popolazione è una di queste, quindi non sto sbagliando molto se comincio da pro capite. Poi però devo aggiustare il pro capite, quindi la zona altimetrica conta perché i servizi costano di più in alcune zone, quindi ci mettiamo dentro quella cosa lì, e via di seguito.
  Credo che questo sia un processo che si può provare a mettere in piedi con un caveat iniziale molto forte, cioè non sto più facendo un'operazione di efficientamento (questo deve essere chiaro): sto facendo un'operazione che mi dice come attribuire al meglio, sulla base dei bisogni, le risorse a disposizione. È assolutamente legittimo, però deve essere chiaro per i cittadini.
  Se vogliamo trovare un modo per efficientare la spesa, dobbiamo individuare un altro meccanismo, perché questo vuol dire come distribuiamo le carte, poi ciascuno le può giocare come vuole e a questo punto bisogna capire se, qualora le giochi male, abbiamo un meccanismo correttivo per intervenire e per dirgli che ha speso troppo e male quelle risorse.
  Lo sforzo fiscale in parte si ricollega a quanto ho detto prima a proposito della funzione raccolta rifiuti.
  Robustezza: in tutti i tavoli ho sempre chiesto che fossero fatte verifiche da questo punto di vista, perché, come qualsiasi analista empirico sa, i modelli non sono sempre robusti e quindi si deve valutare cosa accada ai coefficienti di riparto, se si cambia la specificazione, se si tolgono alcune variabili che, come diceva prima la senatrice Guerra, potrebbero essere collineari, cioè portare la stessa informazione dal punto di vista della stima.
  Questo non è stato fatto e continuo a pensare che sia un errore non farlo, soprattutto se si vuole impiegare il meccanismo per il riparto.

  FRANCESCO MOLINARI. Quindi secondo lei conviene andare con i piedi di piombo, perché a questo punto il federalismo fiscale fatto su queste basi diventa un boomerang a tutti gli effetti.

  GILBERTO TURATI, professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell'Università degli studi di Torino. Sanità: abbiamo detto che ci sono i costi standard, io credo che quella sia un'operazione di mistificazione nei confronti dei cittadini.
  Noi in sanità, con il decreto legislativo n. 68 del 2011, non abbiamo fatto i costi standard, glielo abbiamo detto in tutti i modi che il costo standard non poteva essere calcolato così; che soprattutto calcolato così non aveva alcun effetto ai fini del riparto, tanto che ai fini del riparto Pag. 16nelle ultime cose che si sono fatte quello che veramente ha contato è stato il cambio da una popolazione calcolata dall'Istat prima in un modo e poi in un altro.
  Le variazioni sono state quindi determinate dal cambio nella popolazione. Le pare che questo vada nella direzione del federalismo ? A me pare di no.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Turati per il suo intervento perché su questi temi, sui quali avevamo alcuni dubbi che vagavano in modo non compiuto, ci ha dato una rappresentazione quanto meno ordinata e scientifica. Domani avremo in audizione la COPAFF e acquisiremo ulteriori informazioni che ci saranno utili – anche se siamo un po’ frastornati – per l'espressione del parere nei prossimi giorni.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.