XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 51 di Mercoledì 3 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 2 
Airola Alberto  ... 4 
Margiotta Salvatore  ... 4 
Airola Alberto  ... 4 
Fratoianni Nicola (SEL)  ... 5 
Margiotta Salvatore  ... 5 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 6 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 6 
Fico Roberto , Presidente ... 7 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 7 
Ranucci Raffaele  ... 9 
Fico Roberto , Presidente ... 10 
Airola Alberto  ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 10 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 10 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 10 
Ranucci Raffaele  ... 11 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone, che anche a nome dei colleghi ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Il dottor Leone riferirà alla Commissione sullo schema di regolamento predisposto dall'Agcom in materia di tutela del pluralismo e di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi non elettorali.
  La Commissione è inoltre interessata a conoscere le valutazioni del direttore sul progetto di riposizionamento dell'offerta informativa della Rai nel nuovo mercato digitale, elaborato dal direttore generale Gubitosi e illustrato alla Commissione nella seduta dello scorso 23 settembre.
  Do la parola al dottor Leone, con riserva per me e per gli altri colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Sono lieto di essere stato nuovamente convocato: nella mia lunga vita in azienda (32 anni) nei diversi ruoli ricoperti ho avuto molte occasioni di essere convocato in questa Commissione.
  Vado al primo tema che ha posto il presidente, inerente allo schema di regolamento. Dall'idea che mi sono fatto, dividerei la risposta in tre concetti. Il primo è che l'Agcom, di cui Cardani è stato audito qui in luglio, ha approvato uno schema che prevede come dato a mio parere più importante la disciplina del pluralismo nei telegiornali e nei programmi nei periodi non elettorali, oltre ad altre importanti novità. Ritengo che questa sia però la principale.
  La Rai ha avuto modo, quando vi è stata la consultazione pubblica, di esprimere il proprio parere, indicando l'esigenza di un intervento coordinato tra la Commissione di vigilanza e l'Agcom e della sostituzione di criteri puramente quantitativi, privi di riferimento normativo con criteri qualitativi.
  Nel frattempo c’è stata anche una sentenza del TAR, a voi nota per una vicenda che riguardava un programma di Rai 3, che afferma che l'Agcom, che a suo tempo ha sanzionato la Rai, ha applicato a un programma di informazione le regole e i canoni di tipo quantitativo stabiliti dall'ordinamento per i programmi di comunicazione politica nel periodo elettorale, mentre la libertà di informare include anche quella di stabilire, secondo l'esperienza del proprio rischio professionale, a quali informazioni politico-sociali l'opinione pubblica sia maggiormente interessata in un determinato momento. Il TAR aggiunge che occorre verificare le modalità di conduzione del programma con riferimento a Pag. 3criteri qualitativi, verificando quale trattamento sia stato riservato ai politici interessati, e sappiamo tutti che è pendente un ricorso presso il Consiglio di Stato. Se questa sintesi è corretta, il punto di vista che rappresento sulla base della mia esperienza come direttore di Rai 1 (non come Rai perché l'azienda ha già avuto modo di farlo) è il seguente: ritengo che ai fini di garantire un'ampia e corretta programmazione di approfondimento non debbano essere previste fasi preelettorali al di fuori delle elezioni, che in qualche modo si richiamino alle regole della par condicio. La previsione di assicurare in una stagione televisiva l'equilibrio delle presenze tra i diversi soggetti politici nell'arco del ciclo di ciascun programma, così come previsto dallo schema, potrebbe provocare vari effetti non positivi, quali quello di limitare drasticamente da parte dell'emittente la presenza di soggetti politici nell'ambito di quegli spazi, proprio per semplificarne la gestione che non sarebbe ovviamente facile, oppure, cosa ancor più grave, di limitare drasticamente la capacità dei programmi di interpretare la realtà, le pulsioni della società, insomma di raccontare il Paese nella massima libertà editoriale e nel massimo fondamentale rispetto di tutti.
  Tra l'altro, noto nelle disposizioni generali alcune incongruenze, che andrebbero chiarite laddove questo schema dovesse fare breccia. Nel momento in cui lo schema dell'Agcom prevede di regolamentare anche la fase precedente alle elezioni, fornisce indicazioni e definizioni dei programmi, che nei vari articoli saranno oggetto di questa eventuale regolamentazione.
  La cosa che non mi convince è che a un certo punto ci si riferisce alla comunicazione politica, che in fase elettorale ha una sua specificità che voi stessi declinate, ma che qui si intende come «la diffusione di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche, in particolare ogni programma in cui assume carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche». Non è quindi la comunicazione politica quale la intendiamo durante la fase elettorale, quindi Tribuna elettorale o altro, ma sono i programmi. L'incongruenza sta nel fatto che qui, alla lettera p) dell'articolo 1 dello schema, si parla di comunicazione politica e si dà questa indicazione, mentre alla lettera t), laddove si parla di programmi di approfondimento, anch'essi quindi sotto eventuale regolamentazione, si dice: «per programma di approfondimento informativo si intende un programma con una collocazione periodica (giornaliera, settimanale o plurisettimanale), caratterizzato dall'approfondimento di notizie e temi specifici legati all'attualità politico-istituzionale con la presenza di uno o più soggetti politici istituzionali».
  Vorrei vedere bene quale sia la differenza tra la comunicazione politica rivista nello schema dell'Agcom e i programmi di approfondimento informativo, che mi sembrano parenti stretti. Probabilmente anche questo dilemma andrebbe sciolto.
  Resta il fatto che, se si applicasse questo schema, ci sarebbe da discutere quali programmi della Rai e di Rai 1 che io rappresento entrerebbero in questa fattispecie. Non riconosco in nessuno dei programmi Rai la fattispecie né di programmi di comunicazione politica, né di programmi di approfondimento informativo così come descritti nello schema, perché i programmi di informazione della Rai non hanno come esclusivo e principale criterio quello di raccontare la politica e le istituzioni: hanno anche quello, ma non soprattutto quello.
  Mi riferisco ai programmi che vanno dal mattino (chiamiamoli blocco Uno Mattina) al pomeriggio (La vita in diretta, Petrolio, un nuovo programma di informazione di seconda serata). Lo stesso Porta a Porta ha subìto una profonda modifica in quest'ultimo anno e non è più un programma che si occupa soltanto di politica e di istituzioni, ma si occupa di tutto (costume, cronaca, spettacolo, politica, società). Da questo punto di vista sarebbe quindi di difficile interpretazione verificare come i programmi di Rai 1 facciano riferimento a quanto previsto dallo schema dell'Agcom.Pag. 4
  Ciò detto, resta la mia forte perplessità circa il fatto che fuori dal periodo elettorale tutto questo debba essere regolamentato. Credo che questi programmi non possano e non debbano rientrare nello schema di par condicio al di fuori del periodo elettorale.
  Questa mia convinzione, cioè la non applicazione di una normativa di par condicio nei periodi non elettorali, trova anche conforto nelle motivazioni che ho letto nell'audizione di Cardani del luglio scorso: «una delle principali motivazioni per le quali si dovrebbe assumere una normativa in periodi non elettorali risiederebbe nel fatto che non vi è un riferimento certo al periodo preelettorale». Non credo che per questo si debba regolamentare un intero anno, se non si è certi di quale sia il periodo preelettorale, notoriamente la campagna elettorale inizia con la convocazione dei comizi delle elezioni politiche o referendarie, data che coincide con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, e per le elezioni amministrative con il quarantacinquesimo giorno antecedente alla data del voto.
  Non credo che l'indeterminatezza della data preelettorale debba significare che per un intero anno si faccia la par condicio. Se questa è la motivazione principale, francamente non riesco a condividerla.
  Riassumo e cerco di concludere. Ritengo che siano solo due i periodi da prendere in considerazione. Il periodo elettorale è collegato alla convocazione dei comizi e soggiace alla normativa specifica di riferimento per la regolamentazione del pluralismo nei telegiornali e nei programmi di approfondimento sulla base di parametri di tipo quantitativo, ma con l'aggiunta, che Rai chiede, di chiari criteri qualitativi, tali da evitare l'equiparazione dei programmi di informazione e di comunicazione politica, quindi parametri qualitativi che aiutino e spieghino il motivo per cui la Rai ha avuto quelle presenze politiche con quella tipologia di tempo. L'altro è il periodo non elettorale, dove secondo me il pluralismo, l'obiettività, la completezza, la lealtà, l'imparzialità, la parità di trattamento debbono essere linee guida della nostra programmazione, non soggette però a normativa e regolamentazione di tipo quantitativo.

  ALBERTO AIROLA. Credo che il problema fondamentale del discorso che stiamo facendo sia una discrepanza tra la riforma proposta e la struttura della Rai, che finora garantiva un pluralismo che rispecchiava una certa suddivisione politica, mentre oggi si va verso un'altra cosa e noi stessi non abbiamo ancora ben chiaro il punto di arrivo. Qualsiasi riforma si facesse, quindi, avrebbe bisogno come minimo di avere chiaro il punto di arrivo. Nel piano proposto dal direttore leggo che il canale 1 «dovrebbe essere il luogo dell'affidabilità, della tradizione, della perfezione formale (...) il TG 1 è il luogo del mainstream della società italiana» e quindi è il luogo delle grandi firme, dei migliori narratori. Nell'ottica di arrivare a un'unica Newsroom mi domando se ci saranno delle preparazioni ad hoc per ogni rete, se non sarebbe meglio prevedere una riforma delle reti, visto che credo di poter dire senza essere contraddetto che Rai 1 è il canale che più si fa portavoce della politica governativa, come dimostrano anche gli ultimi dati dell'Osservatorio. Questi dati sono contestabili, sono numeri e la qualità dell'informazione dovrebbe essere garantita da altro, siamo d'accordo, però purtroppo questa è l'unica forma che abbiamo. Questa settimana il Governo su Rai 1 ha avuto il 55,4 di tempo, 48,3 di gestione diretta, mentre noi del Movimento 5 Stelle abbiamo avuto 3,5 e il 6,9.

  SALVATORE MARGIOTTA. È un dato comprensivo dei TG ?

  ALBERTO AIROLA. Questo riguarda solo i telegiornali. Se guardiamo le altre rubriche, abbiamo scenari ancora più desolanti, da incubo, senatore Margiotta.
  È chiaro che questo sistema non può continuare così, e va riformato. La questione fondamentalmente è che senza una governance diversa ci troveremo a un punto finale in cui avremo una macroarea Pag. 5che rappresenta Governo e maggioranza secondo l'attuale governance e una che potrebbe rappresentare l'opposizione. Peraltro, sulla questione del risparmio citata da Gubitosi sono molto dubbioso, perché penso che soprattutto nel suo canale si potrebbero ottenere risparmi adeguati, rivedendo il palinsesto e i rapporti con le esternalizzazioni. Non voglio entrare in questo tema che esula da quello che affrontiamo oggi, però si potrebbe ottenere molto aumentando il lavoro interno in Rai ed evitando esternalizzazioni di ogni tipo. Quasi tutti i programmi attualmente sul suo canale sono prodotti acquistati all'esterno.
  Come si può porre rispetto a questo tema, vede un superamento con una fusione dei canali, ritiene verosimile quello che dico ?

  NICOLA FRATOIANNI. Vorrei porre una domanda al direttore, che ringrazio per la presenza. Siamo tutti convinti che i criteri quantitativi non siano sufficienti, ma, al netto di un giudizio sui dati e sugli effetti prodotti dai criteri qualitativi (il senatore Airola ne ha ricordati alcuni dell'ultima rilevazione dell'Osservatorio, ma basta guardarselo per capire che lo scenario è questo non solo sui telegiornali, ma in generale nel sistema di informazione della Rai), le chiederei di farci un esempio di un criterio qualitativo. Non c’è dubbio infatti che l'ipotesi di normare qualsiasi momento dell'informazione sia persino poco praticabile, oltre che non la migliore tra quelle auspicabili, ma il tema della qualità non è un criterio sul quale sia facile definire un meccanismo di lettura condiviso.
  Su un prodotto alimentare il criterio della qualità è riconoscibile, in quanto deve essere raccolto e arrivare nel corso della filiera entro una determinata data sulle tavole, deve avere un certo criterio di freschezza, una certa composizione organolettica, e questo fa parte dei criteri qualitativi di quell'alimento.
  Sul tema di cui stiamo discutendo, però, mi chiedo come si possa adottare un criterio qualitativo che non sia solo affidato alla buona fede, alla professionalità, perché, pur riconoscendo in tutti la buona fede, affidare tutto a quell'elemento discrezionale, su un tema delicato per la democrazia come l'informazione, rischia di essere troppo forte. Questa è la mia impressione.

  SALVATORE MARGIOTTA. Sarò molto rapido. Innanzitutto ringrazio il direttore per essere qui e per la relazione che ha svolto, che ho trovato molto puntuale e illuminante sotto il profilo strettamente giuridico, aspetto che sin qui non avevamo esaminato.
  Ho interrotto prima il collega Airola che citava i dati sul TG 1, che quindi credo esulino dalle sue dirette responsabilità, ma anche per evidenziare come in queste audizioni spesso ci stia capitando di confondere il tema della riforma dell'informazione con quello dei canali e delle reti, che sono assolutamente distanti, tanto che oggi giustamente non siamo ricevendo grandi arricchimenti sull'informazione, che è ragionamento altro da quello che si deve chiedere a un direttore di rete.
  Ciò detto, mi permetto di ribadire che sono perfettamente d'accordo con le cose dette dal dottor Leone, che stiamo dicendo sempre, anche se questa volta abbiamo un elemento in più, un'analisi tecnico-giuridica di cosa sia una trasmissione, cosa sia comunicazione, cosa sia politica, che forse sin qui era sfuggita alla nostra discussione, ma non c’è dubbio che in periodo non preelettorale la par condicio sia una chimera illusoria e persino sbagliata. Che Cardani dica che non è ben chiaro quale sia il periodo preelettorale fa parte dei paradossi del nostro Paese, perché alcune cose sono chiare e una di quelle è quale sia il periodo preelettorale. Ho dichiarato più volte che insieme al conflitto di interessi riformerei persino la par condicio in periodo elettorale, per cui ritengo che tutte le indicazioni vadano verso una definizione di un tema che considero assolutamente mal posto da parte di Agcom almeno per quanto concerne il periodo non preelettorale.

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  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Due questioni. La prima: rispetto al tema del pluralismo della delibera Agcom il direttore Leone ha sollevato una questione che considero assolutamente centrale, la differenza tra programmi di informazione e programmi di comunicazione politica, che è l'elemento di delicatezza di questa delibera.
  Rispetto a questa (e qui chiedo il conforto degli uffici) c’è il precedente del ricorso del presidente Brunetta in merito alla trasmissione In mezz'ora di Lucia Annunziata, dove la delibera viene interpretata legandola al meccanismo del computo dei tempi in relazione al meccanismo della comunicazione politica. Su questo l'azienda ha fatto ricorso al TAR e Agcom ha fatto ricorso al Consiglio di Stato. Mi sembra di capire che la sentenza del Consiglio di Stato abbia rilievo rispetto alla nostra discussione, ma anche rispetto alla delibera Agcom. Poiché il direttore Leone ha sollevato la questione, si potrebbe fare un approfondimento su questa sentenza e le sue motivazioni, coordinandolo con il nostro lavoro. Poiché le audizioni vertono non solo sulla delibera Agcom, ma anche sul progetto di riorganizzazione dell'informazione, c’è una questione sollevata dal collega Airola che abbiamo posto anche al direttore di Rai 2, ovvero se non ritenga, anche in relazione agli anni di sua permanenza in azienda come ricordava all'inizio, che pensare a una riorganizzazione dei telegiornali con una o due Newsroom metta anche in discussione l'assetto delle tre reti generaliste.
  La caratterizzazione precipua dei telegiornali non è intrinsecamente collegata anche all'identità e al profilo della rete ? Mettere in discussione l'elemento di identità dei telegiornali non apre anche una riflessione rispetto all'identità e al profilo delle rete ? Grazie, mi scuso ma leggerò il resoconto perché sono relatore in altra Commissione.

  GIORGIO LAINATI. Volevo fare un discorso più generale, perché i miei colleghi, dottor Leone, le hanno posto domande molto più specifiche sulle vicende che riguardano il pluralismo televisivo assicurato da Rai 1 e in generale dal servizio pubblico.
  Come tanti, anch'io ritengo che Rai 1 sia il più autorevole canale del servizio pubblico, da sempre considerato il canale generalista per eccellenza, dentro al quale ci sono tantissime cose, come a mio avviso è giusto che sia, e debbo darle atto sinceramente che, a differenza di altri stagioni, questa è caratterizzata da un generale rinnovamento nelle varie fasce orarie. In particolare, la mattina c’è stato un rimescolamento delle carte, anche se la corazzata Uno Mattina resiste, perché è un programma che da più di due decenni sveglia molti milioni di italiani e partecipa all'inizio delle loro giornate.
  Per motivi familiari trascorro la serata a casa e non le nascondo che il venerdì e il sabato i prodotti di Rai 1 sono di assoluta eccellenza sul piano dell'intrattenimento (non a caso Tale e quale show ha battuto i record di ascolti degli anni precedenti e un programma tradizionale come Ballando con le stelle sta andando molto bene). Di questo non ho alcuna difficoltà a darle atto perché è esattamente un'interpretazione del prestigioso ruolo di Rai 1 nello scenario televisivo non solo pubblico.
  Anche alla luce di questa tradizione nell'innovazione che viene attuata sul canale che lei dirige, vorrei sapere se abbiate previsto qualcosa di specifico che possa riguardare il mondo dei giovani, delle nuove piattaforme divulgative, problema che affrontiamo in Commissione, in quanto rimane questa necessità di coniugare il pubblico più âgé di Rai 1 con le nuove generazioni che non sono più abituate a usare il telecomando e chiedono prepotentemente al servizio pubblico di modernizzarsi, di essere più competitivo e di guardare al nuovo scenario giovanile. Questo è uno dei punti importanti delle nostre discussioni, che adesso riguardano questa idea delle Newsroom e della sua evoluzione. Il mio collega e amico onorevole Peluffo le ha chiesto come il brand TG 1 possa continuare a camminare insieme a Pag. 7Rai 1. Vorrei ricordare, onorevoli colleghi, che Rai 1 e TG 1 hanno trasmesso eventi storici come la santificazione di due Papi e altri che rimarranno nella storia della televisione.
  La caratterizzazione del brand Tg1 e del brand Rai 1 ha una continuità decennale, quindi anche questo è un punto di grande rilevanza.

  PRESIDENTE. Vorrei chiederle se sia praticabile l'ipotesi di staccare completamente la riforma delle reti da quella dell'informazione, se le due cose non dovrebbero procedere di pari passo.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Vado nell'ordine facendo una breve premessa, visto che viene chiesto il mio parere anche sul progetto news che voi conoscete. Dal lavoro compiuto dal cantiere di sviluppo news del piano industriale 2013-2015 e da successivi atti a voi noti emergono alcuni fattori indiscutibili. Il primo è la necessità di intervenire con una visione unitaria e organica sulla grande e probabilmente dispersiva distribuzione di informazione radiotelevisiva sui nostri canali, che è uno degli elementi base, dal quale poi parte la necessità di questa revisione. A ciò si aggiunga l'esigenza di tendere a un nuovo modello di produzione e di organizzazione del lavoro, reso possibile a seguito della digitalizzazione tardiva delle testate – che inevitabilmente deve avere un suo riferimento – alla razionalizzazione dei fattori produttivi, indispensabili con l'inevitabile ricorso alla centralizzazione organizzativa, dove possibile, alla rimodulazione delle missioni delle testate in linea con quella definita da ciascun canale per rendere più omogenea l'offerta complessiva all'utente.
  Ritornerò sul tema della rimodulazione delle missioni delle testate di ciascun canale perché in questi anni abbiamo avuto una continua riorganizzazione per creare dei canali di cui spiegherò meglio, facendo capire per quale motivo ci siano due tempi ben diversi tra la rilevazione delle news e quella dei canali. Questo contesto organizzativo deve procedere di pari passo con il mantenimento della leadership qualitativa e di ascolto dell'informazione Rai a livello nazionale e territoriale che ci viene riconosciuta. Come sapete, il progetto si muove sulla base di una serie di esperienze europee, a partire da quello delle BBC. In questo progetto vi sono due fasi, una breve e una a medio-lungo termine. Per ora si conosce nel dettaglio la prima fase, quella cioè che ritiene di voler far partire molto presto. Si parla della creazione di due Newsroom, di cui non entro nel dettaglio perché le conoscete benissimo.
  Ritengo che qualsiasi passaggio verso il superamento dell'attuale organizzazione dell'informazione, allineata alle politiche dei canali, sia il modo necessario per guardare avanti e non avere paura del cambiamento. Ritengo anche che scommettere sul futuro di una nuova organizzazione dell'informazione possa procedere di pari passo con la discussione sul modello dei canali, che però avviene di anno in anno, cosa che invece non avviene per le testate.
  Lo dimostra il fatto che ogni anno in consiglio di amministrazione si approvano piani annuali, pluriennali, stagionali dei palinsesti televisivi, da cui discendono profonde riforme anche editoriali dei canali, che contengono al loro interno anche gli spazi per i telegiornali, ma di cui si discute soprattutto a livello editoriale dei programmi.
  La programmazione dei canali sta subendo da anni una profonda trasformazione e modifica, questo piano delle news non fa altro che legarsi a quello che succede e in qualche modo collegarvisi. Spiego meglio: Rai 1 è il canale più visto dagli italiani, ha il 20 per cento di share nel prime time e il 18 nell'intera giornata, è l'unico canale generalista a non aver subito l'onda lunga e alta dell'offerta specializzata, onda che comporta un'erosione di 2-3 punti percentuali l'anno sui canali generalisti a favore dei canali tematici. In questa stagione televisiva autunnale Rai 1 cresce di un punto e mezzo, in controtendenza rispetto a tutto. Il TG 1 a sua volta si sta consolidando al punto tale da crescere ancora più di quanto cresca il canale, dimostrando quindi una grande forza. Ha 12 edizioni quotidiane e speciali.Pag. 8
  Potremmo dire quindi hic manebimus optime o sic manebimus optime, ma il piano progettato si articola in due fasi, di cui mi interessa anche quella conclusiva – adesso c’è la fase transitoria. Queste due fasi si possono allineare benissimo con l'attuale assetto dei canali, perché la forte connotazione editoriale e la diversità dei canali (pensate soltanto a Rai 1, Rai 2 e Rai 3, alla differenza di target, familiari Rai 1, giovani Rai 2, società territorio politica Rai 3) possono trovare risposta nel nuovo piano organizzativo.
  Poiché non si è parlato di cancellare le testate TG 1, TG 2, TG 3, ma di creare delle Newsroom, almeno in questa prima fase su ogni canale andrebbero in onda il marchio TG 1, il marchio TG 2 e il marchio TG 3, e non è in contraddizione il fatto che canali che vanno sempre più verso linee editoriali molto specifiche abbiano telegiornali che, ancorché magari diretti da due Newsroom anziché tre telegiornali, possono avere quelle nette differenziazioni o personalizzazioni, che rendano coerente il piano di riorganizzazione delle news con quello editoriale. Con questo ho cercato di rispondere alla sua domanda principale: devono andare di pari passo ? In verità no, almeno dal mio punto di vista, semplicemente perché i canali stanno evolvendo continuamente il loro linguaggio editoriale, mentre le news devono assolvere alla loro funzione di dare notizie, il che è ben diverso. L'onorevole Lainati diceva che Tale e quale show è un programma che piace, che funziona: questo avviene perché abbiamo rinnovato il modo di fare intrattenimento. Sulle notizie si può innovare quanto si vuole, ma alla fine non si possono inventare, mentre i programmi sì. Ecco perché il canale televisivo necessariamente ha subìto e gode in questi anni di una maggiore attenzione al cambiamento editoriale, dunque una riprogettazione delle news della Rai, che sia nella fase 1, nella fase 2 o nella fase 3, ha facilità di rendersi omogenea rispetto all'organizzazione dei canali.
  Per quanto riguarda i programmi prodotti fuori o acquistati cui accennava il senatore Airola, devo però ricordare che gli unici prodotti acquistati da Rai 1 sono film e serie televisive, perché gran parte del palinsesto di Rai 1 è prodotta all'interno o coprodotta. La terminologia «produzione esterna» andrebbe declinata e spiegata con molta precisione. Faccio un esempio. Tale e quale show è un format internazionale, rappresentato dalla società Endemol. Non è che la Rai dice: «mi piace Tale e quale show, sta funzionando in Spagna, lo voglio fare in Italia, vado da Endemol e negozio l'acquisto di quel programma». Poiché Endemol ha i diritti su quel programma, che si vuole produrre in Italia e personalizzare, si propone alla società di comprare i diritti sul format, coprodurre il programma con la medesima, la quale mette alcuni elementi essenziali, alcuni autori e brand, mentre Rai mette il resto, tanto è vero che Tale e quale show come tutti i programmi di prima serata è una coproduzione dove la quota della Rai è maggiore del 50 per cento.
  A differenza della fiction che avete trattato, dove la quota di partecipazione della Rai è minima, in quanto queste produzioni sono sostanzialmente degli acquisti, nel caso invece delle produzioni delle Reti o sono produzioni in casa (tutti contenitori del day time fino a Porta a Porta) o, laddove siano format internazionali, sono coproduzioni dove la quota Rai nel programma è superiore a quella del produttore indipendente.
  Su questo sarebbe interessante un giorno, se lo riterrete, fare un approfondimento, perché effettivamente avete avuto poco tempo di trattare il tema dei programmi di intrattenimento rispetto a quelli di fiction, sui quali avete avuto più occasioni di entrare nel merito. Questo potrebbe servire anche per sfatare alcune leggende, secondo le quali i produttori indipendenti avrebbero uno strapotere sulle Reti perché hanno programmi di cui dispongono e noi li appaltiamo. Non è così nel caso della produzione di programmi.
  Per quanto riguarda il criterio qualitativo, effettivamente il tema è notevole. Nel 1993-1994, quindi oltre vent'anni fa, quando ero direttore del coordinamento palinsesti e Franco Iseppi era direttore Pag. 9generale, lanciammo il cosiddetto Osservatorio di Pavia, che era una realtà sconosciuta all'epoca ma è diventata una realtà molto importante. Quando la lanciammo (come direttore del coordinamento palinsesti ero anche a capo dell'Ufficio studi), ritenemmo fondamentale accompagnare sempre i dati quantitativi (il tempo gestito direttamente, il tempo di parola, il tempo dedicato) con note di contesto, dirette cioè a contestualizzare il dato quantitativo sia nelle fasi elettorali, come è fondamentale, sia in fasi non elettorali. Aggiungere un dato qualitativo non significa poter interpretare un numero (l'unico dato che si può considerare valido è se il tempo sia gestito direttamente o indirettamente, cioè se sia un tempo di parola o un tempo di attenzione): il vero tema è accompagnare sempre al dato quantitativo una contestualizzazione, che spieghi il motivo della presenza più o meno importante di una forza politica in un dato periodo. Il dato di contesto consente di spiegare perché qualche volta vi siano apparenti diversità o eccessi di diversità. Questo è quindi ciò che intendo per criterio qualitativo.
  L'onorevole Peluffo chiedeva se il piano news non metta in discussione l'assetto delle reti generaliste. Io credo di no, qualunque sia il piano, che si tratti della prima, della seconda o terza fase, perché l'offerta televisiva generalista e anche non generalista della Rai è in estrema mobilità, molto più di quanto vi rendiate conto. Oggi la Rai ha 3 canali generalisti e 11 canali tematici specializzati. I 3 canali generalisti stanno subendo al loro interno profonde modifiche. L'onorevole Lainati parlava di trasformazione, ma in verità anche i contenitori più tradizionali come Uno Mattina e La vita in diretta quest'anno hanno cambiato conduttori e anche modo di presentare i temi. Questo vale anche per nuovi programmi come Petrolio e tanti altri che stiamo lanciando.
  Io non credo che qualsiasi piano di riforma metta in crisi l'assetto delle reti generaliste, ma la cosa importante è che chi lo fa, avendo sotto controllo le reti generaliste, le faccia procedere di pari passo. Ci sono momenti in cui il piano delle news si avvicina ai bisogni editoriali delle reti generaliste, ci sono momenti in cui le reti generaliste si avvicinano ai bisogni delle news. Spesso programmi non riferiti sotto la testata di Rai 1 sono programmi che si occupano anche di informazione (lo stesso Porta a Porta sebbene collabori spesso con il TG1, lo stesso La vita in diretta). In questo caso starà al programma del canale rivolgere maggiore attenzione alla politica che la testata farà e alla specializzazione che avrà la testata, e viceversa. Da questo punto di vista non mette in discussione l'assetto, ma bisogna vedere cosa faranno le reti generaliste in futuro, cioè se Rai 1, Rai 2 e Rai 3 continueranno ad avere queste tre missioni di massima. Al momento è così.
  Sul mondo dei giovani, le nuove piattaforme divulgative e le iniziative, a differenza di altri reti che sono sicuramente più avanti perché hanno tipologie di programmi dedicate a questo genere, noi abbiamo un pubblico molto ampio, quindi stiamo facendo sì che all'interno dei programmi anche di massimo consumo di Rai 1 vi sia una forte attenzione verso le nuove piattaforme e al modo con cui i giovani possono fruire di questa comunicazione televisiva, facendolo attraverso i canali più tradizionali. Il nostro approccio è favorire questo tipo di impianto nei programmi tradizionali, altre reti dedicano programmi specifici. Spero di non aver tralasciato alcuna domanda, ma ovviamente sono a vostra disposizione.

  RAFFAELE RANUCCI. Mi scusi, non ero presente perché presiedevo un'altra Commissione. Molto brevemente, più share a Rai 1 corrisponde anche a più pubblicità ? Come si muove la pubblicità all'interno del TG 1 e i successi corrispondono anche a un successo di pubblicità ?
  Si possono innovare i programmi ma non le notizie: forse si possono innovare i modi di dare le notizie, quindi possiamo forse avere format diversi per i telegiornali. È vero che ogni telegiornale può Pag. 10avere una vocazione, ma le immagini possono essere anche correlate alla vocazione del telegiornale stesso.
  Diritti sportivi. Lo sport sembra un po’ abbandonato dalla Rai, relegato a Rai sport, ai canali digitali. È una politica voluta o una politica solo economica ?
  Lei ha detto che non c’è uno strapotere dei coproduttori, quindi delle società che producono insieme a voi, ma, siccome è una polemica che ho sollevato in passato, c’è uno strapotere dei manager ? I manager degli attori, di coloro che fanno televisione possono avere un potere di condizionamento rispetto a un programma piuttosto che un altro, a una partecipazione piuttosto che un'altra ?

  PRESIDENTE. Come lei sa, infatti, nel nuovo Contratto di servizio di cui aspettiamo ancora la discussione e la firma da parte di Rai e Ministero, c’è proprio una parte che cerca di impedire che il produttore di un programma che coproduce con la RAI sia anche il manager della star che va a condurre quel programma, perché la Commissione lo considera un palese conflitto di interessi, che non esiste in una televisione come la BBC né in altre televisioni ad esempio negli Stati Uniti. Abbiamo infatti verificato che tali comportamenti non vengono contemplati.
  Chiudo con un'altra domanda proprio perché lei ha aperto questo filone. Alcuni conduttori di trasmissioni che prima lavoravano in Rai e poi se ne sono allontanati ottengono contratti di consulenza della durata di uno o due anni per una trasmissione, quindi vengono pagati più di quando erano dipendenti Rai. Cito ad esempio Floris con Ballarò o Bruno Vespa.
  Vorrei chiederle perché questa pratica venga usata, perché non puntare sui giornalisti interni alla Rai, che possono anche far risparmiare l'azienda, senza siglare contratti esterni con persone che prima erano dipendenti Rai. Questo mi è sempre sembrato un assurdo e non ne ho mai compreso la ratio. Le chiederei un chiarimento, visto che questa pratica viene adottata con Vespa, anche se è un caso diverso da quello di Floris perché se non sbaglio Vespa è andato in pensione.

  ALBERTO AIROLA. Velocissimo, per integrare la sua domanda, presidente, dicendo che sono consapevole che molti dei programmi sono prodotti dalla Rai, ma è proprio questo il discorso delle esternalizzazioni, cioè perché non provare a fare tutto o la stragrande maggioranza dei compiti internamente.
  Mi farà molto piacere confrontarmi nel dettaglio su tutta una serie di questioni anche sul palinsesto Rai, lei ha parlato di rinnovamento del linguaggio ma io su Rai 1 lo vedo molto indietro, ho visto iniziative interessanti, però la Rai è legata ad alcuni autori e ad alcuni format che sono gli stessi da decenni.

  PRESIDENTE. Uno di questi esempi potrebbe essere rappresentato dall'ultima interrogazione che ho presentato alla Rai e a cui abbiamo avuto risposta in merito ai compensi di Benigni e Presta.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Questa sul compenso di Benigni era una domanda ?

  PRESIDENTE. Sì.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Cercherò di restare nell'ambito del ruolo di direttore di Rai 1 ovviamente, perché non vorrei essere poi redarguito a livello aziendale.
  Vorrei chiarire al senatore Ranucci che le news si stanno rinnovando e lo fanno pur nella consapevolezza che devono interpretare quello che succede, quindi questo era il pensiero che prima volevo esprimere.
  Le news si stanno talmente rinnovando – penso al TG 1, la testata cui sono più affezionato perché sul canale che dirigo, ma guardo con interesse anche gli altri – stanno crescendo gli ascolti, cioè sta addirittura maturando la consapevolezza di andare sul TG 1. Per quale motivo cresce l'ascolto del TG 1 addirittura più di quanto cresca l'ascolto del canale, due cose che vanno contro le regole della natura del sistema televisivo attuale, dove invece un canale e un TG generalista dovrebbero calare di ascolti ? Perché riesce Pag. 11a rinnovarsi nella forma, nella sostanza, nella grafica, nella capacità di conduzione, negli approfondimenti, in tutto quello che si crea intorno alle news.
  Questo sta avvenendo, lo voglio chiarire perché non vorrei che si immaginasse che non vi sia stato un rinnovamento delle news. Dico però, che mentre questo avviene comunque, nel caso delle reti avviene formalmente attraverso una serie di passaggi consiliari, approvazioni di piani annuali, palinsesti, quindi è più palese il lavoro che fanno le reti rispetto a quello che fanno le news.
  Se l'incremento di ascolto di Rai 1 comporta un incremento di ricavi pubblicitari, è una domanda complessa, ma spiego perché. Rai 1 rappresenta quasi il 60 per cento dei ricavi pubblicitari dei canali televisivi Rai, quindi ha decisamente la quota maggioritaria, con una grande responsabilità da questo punto di vista, mentre gli altri canali più o meno rappresentano il 18-19 per cento dei ricavi pubblicitari. Siamo molto interessati, io siedo anche nel consiglio di amministrazione di Rai pubblicità in quanto direttore di Rai 1. Non c’è però una risposta diretta alla sua domanda perché nel frattempo la pubblicità sta ancora calando, il mercato pubblicitario è ancora in fase recessiva, dunque posso dirle che grazie a questi ascolti Rai pubblicità, ex Sipra, oggi riesce a combattere meglio la sua battaglia di posizionamento sul mercato. Non a caso i dati di Rai pubblicità in termini di crescita o di mantenimento di quote di ascolto sono migliori dei dati di Publitalia per quanto riguarda Mediaset. Questo vuol dire che la crescita degli ascolti di Rai 1 sicuramente aiuta la pubblicità a non perdere troppa posizione sul mercato, in un contesto in cui invece perdono tutti.
  In questo senso posso dire sì, ne ha un beneficio, ma non glielo posso quantificare perché, se il livello di capitali fosse simile, potrei dire che Rai 1 ha portato «x» in più, mentre quello che posso dire è che, in una fase in cui la pubblicità oggettivamente sta calando, Rai pubblicità riesce a tenere meglio rispetto ad altre concessionarie pubblicitarie, grazie soprattutto anche agli ascolti elevati che fa Rai 1.
  Sui diritti sportivi è chiaro che per il canale che aveva a tempo pieno la Formula 1 e la Champions league come direttore non potrei che dire che sarei felice di avere il più possibile Sport premium su Rai 1, ma non sfugge a nessuno che nel frattempo il mercato ha prodotto due grandi player a pagamento che si possono permettere per il business che hanno di presentarsi sul mercato con proposte che Rai non potrebbe comunque permettersi, e inevitabilmente ecco che una parte della Formula 1, tutta la Champions league e altri prodotti premium non sono più della Rai. Questo è inevitabile e succede in tutto il mondo: dove ci sono realtà industrializzate a pagamento finisce così purtroppo, anzi ritengo che Rai sia riuscita nonostante tutto a mantenere una parte importante della Formula 1, a mantenere la nazionale di calcio, a mantenere la Tim Cup, entrambe cose non scontate e che danno ottimi risultati, e molti altri sport che vanno soprattutto sui canali di Rai sport. Non c’è dubbio però che siamo in un contesto di mercato in cui chi ha il business a pagamento si può permettere di fare proposte che un servizio pubblico non potrebbe mai fare.

  RAFFAELE RANUCCI. Quindi la scelta è economica.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Non è una scelta: si è di fronte a una situazione inevitabile.
  Lo strapotere degli agenti. Vi dico l'atteggiamento che come direttore di rete adotto rispetto agli artisti e agli agenti. Agli artisti nuovi l'ultima cosa che chiediamo è se abbiano un agente; se non ce l'hanno, siamo anche contenti, perché significa che sono alle prime armi e hanno scelto una certa strada, e siamo ben felici di seguirli.
  Se gli artisti più affermati hanno degli agenti e se gli agenti bravi e importanti si contano sulle dita di una mano, due sono le cose: o questi agenti hanno uno strapotere, per cui dicono: «ti do questa artista se però tu mi prendi quest'altro, fai un contratto a quest'altra», come magari si può pensare, dimostrando di avere uno strapotere nei nostri confronti, e sappiamo che sono pochi quelli che hanno un portafoglio clienti molto importante, oppure si Pag. 12trovano di fronte un'azienda, la Rai, una direzione risorse televisive che fa i contratti e una rete, in questo caso Rai 1, alle quali di quello che dicono non importa nulla ! Questo è quello che succede in Rai, nel senso che anche l'agente più potente di questo mondo che può avere i migliori artisti non si permette di venire nel mio ufficio a proporre di prendere quell'artista a patto di prenderne anche altri. A me non è mai successo, e due sono le cose: o non lo fanno o sanno chi sono gli interlocutori. Vi posso dire come direttore di Rai 1 che nella fase che ho vissuto di inserimento non mi è mai successo di avere a che fare con questo tipo di problema, mai, così come so che la direzione risorse televisive si trova in questa identica situazione.
  Se in passato è successo non lo so, perché i ruoli che ho ricoperto in azienda non mi hanno portato a negoziare (cosa che non fa neanche direttamente il direttore di un canale di intrattenimento); gli incarichi che ho avuto precedentemente non mi facevano avere questo tipo di relazioni, ma conosco le relazioni che oggi loro hanno con noi e sono di estrema correttezza: non si permettono mai di porre questo tipo di problema. Sarà un fatto degli editori che hanno, sarà perché non lo fanno ? Non lo so: voglio dirvi soltanto che questo non avviene.
  Sui conduttori, l'unico caso che mi ricordi è Vespa, però è un caso molto lontano, datato oltre dieci anni fa. Nel caso di Floris ho seguito con attenzione questa vicenda, ma ovviamente non ne conosco i dettagli. Quello che posso dire è che può succedere che, se un personaggio televisivo ha successo e ritiene di perseguire una sua strada che non è più quella di essere un dipendente della Rai, non trovo uno scandalo che ritenga di abbandonare l'azienda per mettersi sul mercato, ed eventualmente se in questo mercato c’è anche la Rai, ritenendo che quel soggetto sia interessante, partecipi a tutto questo. Non dimentichiamoci che fino al 1993 i soggetti televisivi di cui si parlava erano solo due, Rai e Mediaset, poi è arrivato il gruppo satellitare Telepiù, poi Stream, poi nei primi anni 2000 si sono fusi e sono diventati Sky, ed è arrivato un terzo soggetto, il mondo Sky, poi un quarto soggetto si è fortemente potenziato, La7, si sono affacciate altre realtà, la pay sul digitale terrestre, Mediaset Premium, altri gruppi televisivi importanti, il discovery, i cento canali digitali terrestri. Oggi, quindi, un conduttore o un artista ha davanti a sé un mercato decisamente maggiore di prima. Nonostante questo, i casi di artisti o di personaggi che erano in Rai, ne sono usciti e sono rientrati in Rai si contano sul palmo di una mano. Se in tutti questi anni, con tutto quello che è successo al mondo televisivo, si è trattato di pochi casi, non credo sia sintomo di un malessere, ma semplicemente di alcune eccezioni che hanno ognuna la loro storia.
  Sul costo di Benigni dico una cosa che ben immaginate, nel senso che Rai per sua policy non comunica informazioni sensibili sul costo delle produzioni e degli artisti, e non sarò certamente io a infrangere questa regola.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Leone e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.