XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 21 di Giovedì 26 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, su prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Marantelli Daniele (PD)  ... 9 
Fornaro Federico  ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 11 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 11 
Zanoni Magda Angela  ... 11 
Guerra Maria Cecilia  ... 12 
Lai Bachisio Silvio  ... 14 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal sottosegretario Bressa ... 17

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, su prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, su prospettive del federalismo fiscale.
  Vi ringrazio, come al solito, di essere puntuali la mattina presto, ma anche il nostro Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie Gianclaudio Bressa aveva assicurato puntualità, che è stata assolutamente rispettata.
  Più volte, sia formalmente, durante i lavori della Commissione, sia informalmente, è stata sollecitata la prospettiva in cui il nuovo Governo vedeva l'applicazione del legge delega, ma più complessivamente la vicenda del federalismo fiscale, che interessa la nostra Commissione. Il Sottosegretario Bressa ci ha offerto la sua disponibilità. Lo ringrazio per essere qui e gli do subito la parola per lo svolgimento della relazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Come premessa alla relazione ovviamente affronto il tema dalla prospettiva della competenza del mio Ministero per gli affari regionali, che comunque in questa fase particolare riassume alcune partite decisive rispetto all'ipotesi di sviluppi futuri del federalismo fiscale. È in corso la modifica del Titolo V e del Senato, ma soprattutto è in fase di attuazione la legge n. 56 del 2014, la c.d. legge Delrio, istitutiva delle città metropolitane e delle aree vaste, che sicuramente cambia il quadro di riferimento.
  Il processo di riforma delle relazioni finanziarie intergovernative in attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione approvata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 e avviata con legge delega n. 42 del 2009 e i successivi nove decreti delegati, è rimasto in larga misura incompiuto. Il disegno si articolava lungo due principali direttrici: da una parte, con la devoluzione di risorse tributarie ai livelli subcentrali di governo, si mirava a dare piena applicazione alla scelta, per parte mia discutibile, compiuta nel 2011 di porre fine a ogni forma di finanza derivata, vale a dire al finanziamento dei governi locali con trasferimenti a carico del bilancio di un governo e di un livello superiore.
  C’è stata una sorta di quasi preconcetta prevenzione nei confronti dei trasferimenti, che invece io continuo a credere possano essere uno strumento prezioso per raggiungere soprattutto gli obiettivi del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione che, sempre sulla base di una programmazione dello Stato, potrebbero essere la soluzione di problemi specifici, soprattutto per la mobilità di determinate Pag. 4funzioni, che è esattamente la nuova dimensione istituzionale che stiamo vivendo.
  Dicevo che si mirava a dare piena applicazione alla scelta di porre fine a ogni forma di finanza derivata e si prevedeva, quindi, la completa fiscalizzazione dei trasferimenti dello Stato alle regioni e agli enti locali e di quelli delle regioni agli enti locali.
  Dall'altra parte, la riforma si poneva l'obiettivo di portata storica, considerando i numerosi tentativi precedenti in tale direzione non andati a buon fine, di una profonda modifica dei modi di ripartizione delle risorse tra i governi subcentrali, sostituendo al criterio della spesa storica il disegno di un moderno sistema perequativo basato sulla capacità fiscale e i fabbisogni standard.
  A ben vedere, alla luce delle scelte compiute con i decreti delegati, la vera portata innovativa dell'intero disegno di riforma stava su questo secondo versante, della perequazione, perché l'effettiva concessione di nuovi poteri tributari ai governi decentrati appariva alla fine piuttosto debole. I trasferimenti venivano, infatti, in prevalenza sostituiti con diverse forme di coabitazione delle principali imposte statali, IRPEF e IVA, in primis in compartecipazioni, senza un sostanziale incremento della fattiva autonomia tributaria dei governi locali.
  Il nuovo sistema del disegno perequativo era, invece, come meglio specificherò tra poco, congegnato molto bene e offriva, peraltro, l'opportunità di una profonda revisione della spesa pubblica in direzione di risparmi e di una maggiore efficienza. Un disegno di riforma nato con l'intento dichiarato di modificare il sistema delle entrate, spostando risorse e poteri tributari dal centro alla periferia, finiva per porsi, dunque, come un ambizioso tentativo di riforma della spesa pubblica.
  Al di là di queste due principali direttrici, devoluzione delle entrate e istituzione di un nuovo sistema per la distribuzione delle risorse tra i governi subcentrali, la riforma si poneva alcuni altri obiettivi apparentemente minori, ma in realtà molto importanti e fortemente innovativi. Ci si limita a segnalare, in questa sede, la riforma e l'armonizzazione dei princìpi contabili delle redazioni di bilancio (ove le disposizioni della legge 42 e del decreto legislativo 118 del 2011 per le regioni gli enti locali viaggiavano in parallelo a quella della legge 196 del 2009 per le amministrazioni centrali) e il programma, questo forse un po’ ambizioso in un periodo di risorse scarse e declinanti, di un'ampia perequazione infrastrutturale che avrebbe dovuto mettere le diverse aree del Paese in uguali condizioni di partenza.
  L'incompiutezza della riforma va, almeno in qualche misura, imputata all'intrecciarsi del processo attuativo con il succedersi delle misure emergenziali imposte dalla crisi economica e finanziaria. Le necessità di consolidamento della finanza pubblica condizionano e limitano la riforma sin dai suoi primi passi quando, coi provvedimenti dell'estate del 2010, vengono fortemente ridotti i trasferimenti statali ai governi subcentrali. Il processo si acuisce con le manovre del Governo Monti a partire dal decreto-legge Salva Italia ed è poi una sequenza ininterrotta sino a oggi.
  Si deve notare che, per alcuni versi, alcuni provvedimenti emergenziali hanno prodotto modifiche al sistema delle relazioni finanziarie intergovernative anche più marcate di quelle prefigurate del disegno di riforma e talora in direzione di un più ampio e rilevante decentramento. È il caso, per esempio, dell'istituzione dell'IMU sperimentale nel 2012, che non solo anticipava il tributo previsto per il 2014 dal decreto legislativo n. 23 del 2011, ma lo irrobustiva in misura notevole, tanto da rendere necessaria una peculiare forma di compartecipazione statale al gettito dell'imposta comunale.
  Il quadro delle relazioni finanziarie intergovernative risulta oggi, peraltro, profondamente modificato anche per una serie di altri fattori rispetto a quei primi mesi del 2009, quando fu concepita la legge delega, che peraltro recepiva molte delle impostazioni del disegno di legge governativo della precedente legislatura.Pag. 5
  Ci si limita a richiamare due principali modifiche di sistema. La prima è costituita dalla riforma dell'ente intermedio di area vasta. Nell'agenda, sin dall'inizio degli anni Novanta, il processo di riforma ha subìto negli ultimi anni un'accelerazione, peraltro molto travagliata – il decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto-legge n. 95 del 2012, la sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013 – ed è, infine, approdato a un esito molto apprezzabile con la legge n. 56 del 2014, cosiddetta legge Delrio, il cui complesso processo attuativo potrà proficuamente innestarsi nei nuovi scenari creati dalle modifiche al Titolo V previste dal disegno di riforma costituzionale attualmente in discussione al Senato.
  La seconda principale modifica di natura istituzionale di sistema è stata la costituzionalizzazione del principio dell'equilibrio dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, attuata con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e con la legge rafforzata n. 243 del 2012. Il principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio porta ora con sé l'esigenza di una nuova declinazione del patto di stabilità interno, un'esigenza peraltro già molto sentita alla luce delle molte criticità dell'attuale sistema.
  Il Ministero per gli affari regionali ritiene che, della complessa riforma disegnata dalla legge delega n. 42 e dai successivi decreti delegati, vadano portati a compimento e pienamente valorizzati quegli aspetti che mantengono la loro attualità anche nel nuovo scenario economico e istituzionale.
  Tra questi, spiccano per l'importanza il completamento della costruzione del sistema perequativo e la riforma e armonizzazione dei princìpi contabili e di bilancio. Si tratta di due interventi ancora più urgenti ed essenziali oggi, nei nuovi assetti del sistema di regole e di vincoli di finanza pubblica, di quanto lo fossero allora, quando fu costruita la riforma del federalismo fiscale.
  Per altri aspetti, invece, la riforma va ripensata e allineata all'evoluzione del quadro istituzionale e finanziario. In particolare, sia le relazioni finanziarie tra lo Stato e i governi decentrati sia quella tra le regioni, i nuovi enti di area vasta e i comuni vanno ridisegnate tenendo conto, da un lato, della riforma della legge 56 e di quella in itinere del Titolo V, dall'altro, degli sviluppi del sistema di vincoli interni ed europei.
  Per quanto riguarda il sistema perequativo, ci si limita ad alcune osservazioni sullo stato di avanzamento dei lavori per quanto riguarda i comuni. Rimangono, tuttavia, sul tappeto gli altri due aspetti: quello della perequazione per le regioni e della connessa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e quello di ridisegnare, sulla nuova articolazione degli enti intermedi prevista dalla riforma, il sistema perequativo pensato per le vecchie province con la legge 42 del 2009 e i decreti legislativi n. 68 e n. 23 del 2011.
  Per i comuni, come è noto, la legge 42, all'articolo 13, distingueva tra le spese fondamentali e non fondamentali. Per le prime, una quota attorno all'80 per cento del totale, si prevedeva un meccanismo di perequazione integrale di natura verticale, basato sulla differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali, anch'esse standardizzate. Per la seconda categoria di spesa, invece, la perequazione era disegnata come orizzontale, di natura parziale, basata solo sulle capacità fiscali.
  Con il decreto legislativo n. 216 del 2010, il compito di stimare i fabbisogni standard fu affidato alla SOSE in collaborazione con l'IFEL. La SOSE ha tenuto fede al suo impegno entro i termini previsti. Si è trattato di un lavoro pregevole, basato su moderne tecniche econometriche e statistiche e sulla costruzione di una ricchissima banca dati che rappresenta ora un prezioso patrimonio di conoscenza sull'economia e la finanza locale.
  Il 23 dicembre 2013, la COPAFF, cui spetta il primo esame sul piano tecnico, ha approvato la stima dei fabbisogni in relazione a tutte le funzioni fondamentali. Al momento, tuttavia, solo la funzione di polizia locale ha compiuto l'intero iter procedurale previsto dalle norme con la definitiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Le funzioni di amministrazione generale Pag. 6hanno ultimato il percorso parlamentare, ma manca l'approvazione definitiva del DPCM. Le rimanenti quattro funzioni sono in attesa del DPCM preliminare (vedi allegato).
  Per la definitiva messa a punto del sistema perequativo e per la sua piena operatività, tuttavia, è necessario non solo portare a compimento l'iter procedurale di approvazione dei fabbisogni, ma porre anche mano alla costruzione dell'altro fondamentale elemento del sistema, quello delle capacità fiscali standard. È al lavoro allo scopo presso il Dipartimento delle finanze un tavolo tecnico bilaterale Dipartimento delle finanze-ANCI. Il Ministero per gli affari regionali è interessato a una rapida conclusione dei lavori, che a quanto ci risulta sarebbe possibile sul piano tecnico.
  Si deve anche prevedere una revisione delle norme di base, in quanto le disposizioni del decreto legislativo n. 23, all'articolo 13, già all'origine piuttosto lacunose e difettose rispetto al disegno della legge delega, sono comunque state travolte dalla rapida e alquanto confusa evoluzione normativa a riguardo del fondo sperimentale di riequilibrio, prima, del fondo di solidarietà, poi.
  Il Ministero per gli affari regionali considera tra le proprie priorità la rapida conclusione della costruzione del sistema perequativo dei comuni, così come un immediato avvio del lavoro necessario per le regioni, per le quali un'istruttoria preliminare è stata affidata con norme di legge alla SOSE, e per gli enti intermedi. Si ritiene che un efficace sistema perequativo, già di per sé necessario per motivi di equità e di efficienza, sia anche in questa fase un tassello indispensabile della riforma del patto di stabilità interno, anch'esso ai primi posti nell'agenda del ministero.
  La scelta che va compiuta è quella di allineare il patto di stabilità interno alle regole costituzionali che impongono alle regioni e agli enti locali un saldo non negativo in termini di competenza di cassa, sia tra entrate e le spese finali, sia tra entrate e spese correnti (legge n. 243 del 2013, articolo 9).
  È evidente che tale duplice vincolo, in un'economia con forti disparità nella distribuzione territoriale della ricchezza, come è la nostra, non è sostenibile senza un adeguato ed efficace meccanismo di perequazione delle risorse tra gli enti. Si deve anche sottolineare che il buon funzionamento del fondo straordinario, introdotto dalla legge n. 243 per il concorso dello Stato al finanziamento dei LEP e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo economico, presuppone il riferimento ai fabbisogni standard di spesa e alle capacità fiscali standard e alla loro elasticità rispetto al PIL.
  L'armonizzazione dei sistemi contabili, dei bilanci degli enti territoriali e dei loro organismi è, come si diceva, uno dei segmenti più importanti delle riforme del federalismo fiscale. Il tema è noto a questa Commissione.
  All'origine dei lavori, un gruppo costituito nell'ambito della COPAFF ha predisposto i criteri contabili e gli schemi di bilancio che sono stati alla base del decreto legislativo n. 118 del 2011. Con tale decreto si è avviato un processo che consentirà di avere bilanci degli enti territoriali omogenei e confrontabili tra loro, anche ai fini del consolidamento dei conti delle amministrazioni pubbliche.
  L'articolo 36 del decreto legislativo n. 118 del 2011 prevedeva un periodo di sperimentazione della durata di due esercizi finanziari, che è stato poi prolungato di un ulteriore esercizio, per le regioni, gli enti locali e i loro enti e organismi, volto a verificare l'effettiva rispondenza del nuovo assetto contabile alle esigenze conoscitive della finanza pubblica e a individuare eventuali criticità del sistema.
  Con appositi DPCM si è proceduto a disciplinare le modalità della sperimentazione, che è cominciata il 1o gennaio 2012 e avrà termine il 31 dicembre 2014, e individuare gli enti territoriali coinvolti. La gestione della sperimentazione è stata affidata Pag. 7a un'articolazione del gruppo costituito nell'ambito COPAFF, operante presso la Ragioneria generale dello Stato.
  A oggi, la sperimentazione ha consentito di verificare positivamente l'applicazione del principio generale della competenza finanziaria cosiddetta «potenziata», secondo la quale le obbligazioni attive e passive giuridicamente perfezionate sono registrate nelle scritture contabili nel momento in cui l'obbligazione sorge, ma con l'imputazione all'esercizio nel quale vengono a scadenza.
  Nel corso della sperimentazione, si è lavorato alla predisposizione del decreto correttivo e integrativo del decreto legislativo n. 118 del 2011, che è ora all'attenzione di questa Commissione. Le correzioni e integrazioni sono finalizzate all'affinamento dei princìpi contabili in base alle risultanze della sperimentazione.
  Il Ministero per gli affari regionali ritiene essenziale la conclusione dell'intero processo, destinato ad aprire nuovi orizzonti di civiltà contabile, finora sconosciuti al nostro Paese, ma essenziali per una buona applicazione dei vincoli e delle regole di carattere finanziario e per la ripartizione tra livelli di governo, e tra enti di uno stesso livello, degli oneri del percorso di consolidamento della finanza pubblica.
  Nella fase che si sta aprendo di attuazione della legge n. 56, la legge Delrio, il Ministero per gli affari regionali dedicherà la massima attenzione alla costruzione del sistema finanziario delle città metropolitane e del nuovo ente di area vasta e alle relazioni verso l'alto con lo Stato e la regione, e verso il basso con i comuni e le loro forme associative.
  Ci si limita, in quest'occasione, a un primo cenno al tema della finanza della città metropolitana. La legge n. 56, articolo 1, comma 47, stabilisce che spettano alla città metropolitana il patrimonio, il personale e le risorse strumentali della provincia a cui ciascuna città metropolitana succeda a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi, ivi comprese le entrate provinciali all'atto del subentro della provincia. La tabella 2 (vedi allegato) riporta le entrate accertate nell'esercizio 2012, l'ultimo di cui si dispone dei dati di consuntivo, nelle 9 province cui subentrano le città metropolitane di prima istituzione.
  Come si vede dalla tabella, dopo l'abolizione dell'addizionale sul consumo di energia elettrica, i due principali tributi sono l'imposta provinciale di trascrizione e l'imposta RCauto. Una certa importanza nella produzione di gettito ha anche il tributo provinciale ambientale. Rimane, tuttavia, vigente l'articolo 24 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che prevedeva che, oltre ai tributi provinciali, fosse attribuita alla città metropolitana la facoltà di istituire un'addizionale sui diritti d'imbarco portuali e aeroportuali e fosse devoluta da parte della regione l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili.
  La congruenza del complesso di tali entrate tributarie rispetto alle funzioni attribuite e attribuibili alla città metropolitana rimane tutta da valutare. Un proficuo lavoro tecnico istruttorio potrà essere avviato utilizzando la banca dati costruita dalla SOSE in relazione alle attuali province e il lavoro effettuato per la costruzione dei bisogni standard provinciali. A questo fine, abbiamo già attivato una collaborazione con SOSE, di cui dovremmo avere i primi risultati alla fine di questa settimana. Se vorrete, quando avremo maturato un'ulteriore elaborazione, siamo disponibili a tornare per illustrarvi lo stato di avanzamento della realtà dei fatti.
  Come potete immaginare e come sapete, la legge n. 56 era ordinamentale, quindi non aveva affrontato il tema del finanziamento, anche perché eravamo in una fase in cui era sostanzialmente impossibile immaginare che procedessero di pari passo le due dimensioni, quella ordinamentale e quella finanziaria, ma adesso è il momento per porre rimedio a quel tipo di lacuna. Anche per le città metropolitane andrà, peraltro, studiato un adeguato meccanismo perequativo, come peraltro previsto dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 68.Pag. 8
  Va, da ultimo, segnalato che sul piano istituzionale il Ministero per gli affari regionali intende portare a piena operatività la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che l'articolo 5 della legge 42 e il decreto legislativo n. 68 hanno istituito, e che si è insediata con il precedente Governo, e di avvalersi della COPAFF quale organo tecnico di supporto ai lavori della Conferenza.
  Si tratta di due organismi ritenuti essenziali per allineare l'impegno e la volontà dei diversi livelli di governo all'obiettivo comune di prevenire un nuovo assetto istituzionale e finanziario del governo locale nel suo insieme, improntata a criteri di responsabilità, equità ed efficienza e, auspicabilmente, dotato di un maggior grado di stabilità e certezza rispetto a quanto si è vissuto negli ultimi anni. Riteniamo anche che quella sia la sede del confronto più serrato tra Stato, regioni e autonomie locali.
  Vengo a un'ultima osservazione di tipo squisitamente politico. Punto di forza per il rilancio del federalismo fiscale è il finanziamento a costi e fabbisogni standard delle funzioni attribuite agli enti substatali. Il continuo rinvio dell'applicazione di questo criterio è il problema, che non può essere più eluso perché il passaggio il criterio dei costi ai fabbisogni standardizzati è imposto dalla sentenza n. 193 del 2012 della Corte costituzionale.
  In forza di tale sentenza, i tagli che le ultime manovre prevedevano come strutturali e definitivi perderanno efficacia a partire dal 2015. La Corte ha dichiarato incostituzionali per violazione dell'articolo 119 della Costituzione la manovra di agosto 2011 nella parte in cui estendeva tali tagli anche gli anni successivi al 2014 e non solo con riferimento alle regioni speciali – il ricorso era della regione Friuli-Venezia Giulia – ma ha dichiarato l'illegittimità consequenziale anche delle restanti parti della manovra che dispongono ulteriori misure restrittive in riferimento alle regioni ordinarie. Il significato di questa decisione è che il legislatore statale può ristrutturare in via definitiva la spesa solo con una riforma e non con tagli episodici, che possono essere solo a tempo determinato. Si capisce che la strada dell'adozione dei costi e fabbisogni standard costituisce l'unica via d'uscita da situazioni critiche potenzialmente ripetibili.
  Nella successiva sentenza n. 273 del 2013, la Corte costituzionale ha ulteriormente sottolineato che i richiamati procedimenti – faceva riferimento alla ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni – costituiscono condizione necessaria ai fini della compiuta attuazione del sistema di finanziamento delle funzioni degli enti territoriali previsto dall'articolo 119 della Costituzione. Ciò determina la perdurante inattuazione di quanto previsto in materia dalla legge n. 42 del 2009, che non può non riflettersi sull'attuazione dell'articolo 119, la quale, quantomeno sotto questo profilo, può dirsi ancora incompiuta.
  Concludendo, se la crisi ha rallentato fortemente la realizzazione del federalismo fiscale, questo non deve significare che tale processo di riforma debba considerarsi superato. Occorre una decisione politica forte e consapevole anche in termini di strategia complessiva, che può risultare anche più importante della stessa modifica della Costituzione.
  Occorre pensare di semplificare l'intero processo attuativo, anche immaginando di puntare a effetti diretti delle norme legislative anche attraverso l'adozione di una legge che riarticoli quelli della legge 42 come princìpi diretti, prevedendo una normativa tendenzialmente immediatamente esecutiva. Così forse si può immaginare di recuperare il tempo perso. Ovviamente, il luogo deputato a questo confronto e a questa discussione è questa Commissione bicamerale e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

  PRESIDENTE. La ringraziamo perché ha presentato a questa Commissione, devo dire in modo sintetico ma esaustivo, il quadro delle problematiche. Tra l'altro, mi permetto di aggiungere che, per quanto riguarda gli ultimi aspetti richiamati, cioè il fatto che la Corte costituzionale abbia Pag. 9evidenziato la necessità di ottemperare alla ricognizione dei fabbisogni e costi standard, se il processo di revisione costituzionale procederà secondo quanto indicato negli emendamenti depositati al Senato, questo principio dovrebbe entrare a far parte pure dalla Costituzione, quindi a maggior ragione si renderà necessario comunque adeguarsi.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELE MARANTELLI. Intervengo solo per ringraziare il sottosegretario Bressa per la relazione puntuale. Devo dire che la velocità e la preparazione di Bressa mi paiono inversamente proporzionali alla capacità e alla preparazione con cui si è dato vita all'attuazione del federalismo fiscale.
  Naturalmente, come già registrato in precedenti audizioni, è emerso il dato di fondo, e cioè che questo ritardo è stato fortemente condizionato anche dalla crisi economica, che ha pesato, come Bressa ricordava nella parte finale del suo intervento. Questo, però, di per sé non ha reso più giusto nel Paese il rapporto tra cittadini e istituzioni a partire dal comune. Logicamente, vi sono altre novità. Nel frattempo, è intervenuta la legge Delrio, la riforma del Titolo V in costruzione, che a loro volta influiranno sul processo, come pure è stato detto.
  Siccome, però, mi sembra che il tema di fondo, soprattutto di questi ultimi anni, sia appunto il rapporto tra cittadini e istituzioni e se il tema costi standard e fabbisogni standard non è uno slogan, ma una linea, vorrei chiedere a Bressa, che so essere sensibile sul tema e che, soprattutto, lo conosce, cosa intenda fare il Governo per far conoscere i dati, per farli emergere in maniera chiara, evidente.
  Diversamente, siamo adagiati su una sorta di rinvio permanente, alle prese sempre con emergenze o novità, che danno alla fine l'unico risultato dell'immobilismo, di non attuare quel principio previsto. Siamo in un tempo nel quale le parole enfatiche sono suggestive, quindi parlare di nuovi orizzonti di civiltà fiscale è bellissimo, mi riempie l'anima oltre che il cuore.
  Siccome, però, sono un pragmatico uomo del Nord, vado al nocciolo e chiedo cosa si intenda fare per affermare questo principio semplicissimo. Il comune eroga meno servizi e in cambio chiede meno ? Ne eroga di più e in cambio chiede di più ?
  Questo mi sembra l'approdo a cui bisogna giungere il più rapidamente possibile, anche per porre fine a una miriade di modifiche, cambi di impostazione, di imposte e tasse, che addirittura inducono lo stesso Presidente del Consiglio a ritenersi impotente di fronte a queste modifiche. Ha, infatti, affermato pubblicamente che neanche lui sa cosa stia accadendo.
  Per questa ragione, penso che, sempre grazie alla competenza e alla conoscenza, oltre che alla convinzione, di Bressa, si debba giustamente chiedere al Governo nel suo insieme un colpo di reni su questo tema, a partire dal rendere espliciti, chiari e pubblici i dati che, grazie al lavoro che è stato fatto dalle realtà preposte, credo ormai abbiamo a disposizione. Credo che questa sia la condizione per riuscire a compiere ulteriori passi avanti. Non sta né in cielo né in terra che l'unica partita sulla quale abbiamo il dato chiaro sia quello della polizia locale.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio anch'io il sottosegretario Bressa per la puntualità e la chiarezza del suo intervento, che credo consenta di provare a fare anche qualche riflessione, un po’ la ragione della richiesta che il presidente aveva fatto e su cui avevamo concordato di avere questo momento con il Governo.
  Brevemente, innanzitutto c’è uno iato molto forte tra il disegno di riforma descritto nella relazione del sottosegretario, il tema del federalismo e la realtà. Se oggi potessimo fare un referendum tra gli amministratori locali, ho paura che non vincerebbe un'accelerazione sul processo di federalismo fiscale e, probabilmente, vincerebbe il ritorno al vecchio sistema dei trasferimenti, più ordinato e più certo.Pag. 10
  Questi sono i due elementi che in questo momento rappresentano, infatti, la realtà. Non c’è certezza ed è, quindi, praticamente impossibile fare programmazione adeguata. C’è, inoltre, un sostanziale stravolgimento di alcuni princìpi fondamentali, per cui i comuni dopo il 2011 sono diventati di fatto degli esattori per conto dello Stato, un principio che stravolge completamente tutto l'impianto.
  Credo, quindi, che debba esserci questa consapevolezza. Non vorrei che, da un lato, andasse avanti il processo delineato con la legge 42 e, parallelamente, le esigenze di finanza pubblica portino avanti le situazioni che sono state descritte, che possono essere sintetizzate con il caos per il pagamento della prima rata della TASI. Di questo bisogna essere consapevoli.
  Per quel che mi riguarda, non è sufficiente che il Presidente del Consiglio dica che neanche lui sapeva o capiva esattamente. Questo fa arrabbiare i cittadini, non li fa tranquillizzare. Credo che occorra mettere un punto fermo e anche provare a ripristinare un filo di dialogo vero col Ministero dell'economia e con chi ha il compito di portare avanti il disegno di riforma complessivo.
  Passo a tre temi per essere anche più chiaro. La relazione del sottosegretario pone l'accento sulle questioni delle città metropolitane e sui suoi problemi di attuazione: segnalo che le province esistono ancora come enti e in questi giorni avviene il primo atto concreto del Delrio, cioè la scomparsa dei consigli provinciali.
  Ciò premesso, gli enti rimangono, i dipendenti rimangono, le funzioni sono le stesse e i trasferimenti sono stati ulteriormente tagliati col decreto-legge n. 66. Segnalo in questa Commissione, come ho già fatto nelle sedi delle Commissioni del Senato, che se i dati dell'UPI non sono completamente sbagliati, circa metà delle province italiane va in default nel 2014. Questo, al di là di tutti i ragionamenti e le riflessioni possibili, pone una questione vera, rende difficile e problematico il passaggio di consegne verso il modello istituzionale di governance definito dalla legge Delrio, che, a quanto risulterebbe, ma chiederei una conferma, nel decreto-legge sulla pubblica amministrazione sarebbe anticipato al 30 settembre.
  Credo, allora, che questa sia questione su cui non si può girarsi dall'altra parte. Non lo fa assolutamente il sottosegretario Bressa, ma ho l'impressione che qualcuno al Ministero dell'economia lo faccia. Le province hanno avuto, come tutti sanno, un taglio dei trasferimenti ben più che proporzionale alla loro incidenza sulla spesa pubblica. Credo che su questa questione ci sia uno strano silenzio e, invece, rischia di esplodere con tutti gli effetti negativi.
  Inoltre, tutto il disegno che ha descritto si scontra, pensando ai comuni, con l'impostazione dei decreti del 2011 del Governo Monti, e oggi ci ritroviamo, secondo i dati ufficiali, con l'anno scorso 300 comuni – quest'anno probabilmente molti di più – in una situazione ai limiti del paradosso, cioè con un fondo di solidarietà comunale negativo, nel senso che danno soldi allo Stato.
  Credo che questo sia in via transitoria anche un doveroso contributo al risanamento della finanza pubblica, ma che non possa essere un dato strutturale. Deve esserci un fondo, un «pavimento». Si arriva a zero, ma assicuro che l'idea che si possa e si debba andare sotto zero è estremamente difficile da spiegare ai cittadini. Siccome stiamo parlando fino adesso ancora di comuni di piccole e medie dimensioni, è affrontabile probabilmente con un fondo che consenta di gestire. Credo, infatti, che questo principio rischi, se non applicato, di mettere una mina sotto l'intero sistema.
  Un'ultimissima osservazione, che è anche l'oggetto del lavoro che si sta svolgendo in queste settimane in Commissione, riguarda il tema della tempistica dell'armonizzazione dei bilanci comunali, su cui stiamo arrivando al rush finale per il parere, su cui vorrei cogliere l'occasione anche per sentire l'opinione del sottosegretario.
  Se, da un lato, credo che tutti conveniamo sull'utilità e sulla bontà del lavoro, anche qui vedo un rischio. Il disegno Pag. 11complessivo armonizza, riordina tutta quella materia complessa, pone dei problemi di riemersione di un debito nascosto, e questa è una questione, ma soprattutto, si innesta all'interno di quel quadro di incertezze e di forte conflittualità – questo è il termine giusto – che c’è in questo momento tra gli enti locali e il Governo centrale. Su questo inviterei alla prudenza nella tempistica dell'applicazione.
  Questo non è il momento, a mio giudizio, per inserire un ulteriore elemento che determina stress su un sistema già fortemente stressato. Credo che su questo i relatori potranno aiutarci a trovare anche formule che non siano il semplice e italico rinvio. Possono esserci tutte le soluzioni per chi ha già fatto la sperimentazione, a chi vuole farla, a chi è nelle condizioni di farlo. Se, però, innestiamo questo, rischiamo effetti a quel punto estremamente distruttivi.
  Chiedo scusa se sono stato un po’ lungo, ma credo che questa sia un'occasione, spero non unica, ma sicuramente unica in questa fase, per un confronto credo anche nella schiettezza e nella fotografia della realtà. Diversamente, come dicevo, lo iato tra un disegno di riforma che ha tutti gli aspetti positivi che conosciamo e la realtà concreta rischia di essere troppo grande.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Anch'io voglio ringraziare il sottosegretario Bressa, anche se ero colpita, esattamente come Fornaro, dalla relazione un po’ ottimista del sottosegretario.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie È nella mia natura essere ottimista.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Anch'io sono ottimista, ma credo sia necessario avere una visione anche corretta della realtà. Mi consenta, pertanto, l'osservazione, proprio perché credo che sia questa la sede buona per scambi positivi per creare i presupposti per l'applicazione del tutto nei prossimi mesi.
  Sicuramente, continuare a parlare di fabbisogni e costi standard mi sembra esagerato. Le elaborazioni della SOSE fanno riferimento, sostanzialmente, ai costi e lavorano, almeno per quel che ho potuto vedere – può darsi che ci siano delle elaborazioni che non conosco – essenzialmente sui costi, e quindi sull'efficientamento, non si sa neanche bene su quale base.
  Va bene se cominciamo ad applicarle per il 10 per cento. Credo che su questo si debba insistere assolutamente. Mi pare che alla SOSE siano stati dati sufficienti denari per produrre un lavoro utile. Non si chiede di produrre vagonate di dati, ma i dati utili per prendere delle decisioni. Credo che questo passaggio sia assolutamente necessario.
  Le vagonate di dati servono molto ai ricercatori per avere un supporto, mi sembrano indispensabili anche solo dieci indicatori per i trasferimenti sulla base di qualcosa di diverso che non siano i tagli lineari, come abbiamo fatto fino adesso. Siccome dieci indicatori sulla situazione finanziaria degli enti si tirano fuori con i dati disponibili da trent'anni, facciamo questo sforzo. È l'elaborazione teorica che lo richiede.
  Non è possibile pensare di continuare a proseguire sui tagli lineari. Bisogna accelerare assolutamente questo processo, altrimenti si creerà un ulteriore conflitto tra enti. Non facciamo le differenze solo tra Nord e Sud, ma anche tra gli enti più piccoli e gli enti più grandi, quelli virtuosi e ulteriormente penalizzati proprio perché virtuosi e che hanno già svolto da anni un lavoro di correzione. Non è più sopportabile.
  Inoltre, in questi anni mi sentirei proprio di dire che si è assistito a un processo assolutamente inverso non solo a quello della legge 42, ma all'approccio filosofico di quegli anni che tagliavano in modo anche un po’ trasversale tutte le forze politiche. Abbiate pazienza, ma il passaggio dall'IMU ai trasferimenti è stato una botta al federalismo. Se c’è un'imposta di tipo federale, è proprio l'imposta sugli immobili e siamo riusciti a trasformarla, Pag. 12per cui da una soglia del 90-95 per cento di autosufficienza finanziaria degli enti locali si è ridiscesi al 60-70, quando è andata bene, al Nord. In tante situazioni nel Sud è andata anche peggio.
  In questi anni, riferendomi anche a quanto osservato dal senatore Fornaro, c’è un eccesso di normazione centrale, alla faccia del federalismo, che genera confusione e grande ritardo negli enti. In un processo di federalismo, avremmo dovuto consentire agli enti locali di fare il bilancio entro il 31 dicembre dell'anno precedente.
  Adesso, c’è la consuetudine di arrivare a febbraio. Mi scuso, l'ho già ripetuto parecchie volte ai commissari presenti, ma a ogni interlocutore nuovo proviamo a ridirlo, così alla fine qualcosa succede: non si può pensare che si facciano i bilanci a maggio, giugno, luglio e, come l'anno scorso, annus horribilis, addirittura a novembre, sostanzialmente approvando l'assestamento di bilancio. Credo che si debba chiudere con quest'anno una sperimentazione delle nuove modalità di tassazione locale, dopodiché consentire davvero agli enti locali di esercitare il loro diritto/dovere di fare i bilanci in tempi ragionevoli.
  Ho ancora un accenno sull'eliminazione delle province, che è solo teorica. Eliminare, infatti, i rappresentanti politici eletti per le province non cambia di una virgola i servizi che erogano e le funzioni delle province. Purtroppo, a settembre la situazione sarà drammatica. Delle province non saranno in grado di erogare il riscaldamento alle scuole superiori: alcune non saranno in grado di gestire una nevicata. Al Sud, il problema delle nevicate non c’è, ma al Nord esiste.
  Non viene fatta ormai manutenzione sulle strade provinciali. Mi pongo, quindi, il problema non tanto dell'assetto istituzionale, sul quale va bene anche politicamente ci si spenda, ma delle funzioni. Veramente, a settembre ci saranno situazioni drammatiche, scuole superiori che non saranno in grado di riaprire.
  Infine, la ringrazio molto di questa sua disponibilità a fornirci i dati che state elaborando. Credo che sia molto importante offrire a tutti noi gli strumenti per analizzare meglio la situazione. Oltretutto, in previsione della definizione delle città metropolitane, sarà indispensabile capire da che punto partono, soprattutto tenendo conto che le province e gli enti che transiteranno nella città metropolitana rischiano di arrivare con un bagaglio di eredità non proprio dei migliori.

  MARIA CECILIA GUERRA. Ringrazio anch'io il sottosegretario per la sua illustrazione che fa il punto in modo molto preciso della situazione in cui ci troviamo. Aggiungo alcune considerazioni al quadro purtroppo piuttosto preoccupante già tracciato dagli interventi di chi mi ha preceduto, ma che pone una riflessione complessiva a noi tutti.
  È ovvio che il quadro richiamato nei vari interventi viene da lontano. L'impianto della legge 42, che aveva nel bene e male, di cui cioè non condividevo tutto, una sua compiutezza e ragionevolezza, a un certo punto è saltato, ovviamente in relazione alla crisi dei conti pubblici. Non possiamo, però, prescindere da tutto quanto è successo, soprattutto una legislazione che si è contraddetta continuamente, senza cioè più un quadro di riferimento, e che ha creato i corto circuiti richiamati.
  Venendo ad alcune osservazioni puntuali, mi ha molto stupito il riferimento alla costituzione adesso della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, laddove quello era, ovviamente, il passaggio da fare anni fa, prima che tutto questo succedesse. C’è stata la violazione compiuta del tema della visione coordinata tra enti del coordinamento, appunto, della finanza pubblica. È stato assolutamente negato nei fatti questo principio costituzionale.
  Inoltre, stiamo andando a una riforma costituzionale in cui il coordinamento della finanza pubblica e il coordinamento del sistema tributario è riportato come materia esclusiva dello Stato. Bisognerà che prendiamo una decisione almeno di orientamento politico su quest'aspetto, che peraltro non condivido e per cui ho anche presentato emendamenti.Pag. 13
  Sottolineo che non solo è materia esclusiva statale, ma è anche esclusa dalle materie di cosiddetto bicameralismo paritario, che restano ancora bicamerali, e anche tra quelle su cui comunque il Senato, che per quella via potrebbe rappresentare gli enti decentrati, si pronuncia con la procedura cosiddetta rafforzata. Si tratta, quindi, proprio di una dimensione completamente diversa a cui la costituzione di questa Conferenza mi sembra, se non erro, pienamente estranea. Questo riguarda sia il coordinamento della finanza pubblica sia il coordinamento tributario, altro aspetto ovviamente delicato quando si volesse recuperare una qualche forma di autonomia.
  Ricordo che nella progettata riforma costituzionale l'autonomia si manifesta solo all'interno delle regole stabilite dalla legge statale, quindi quelle parti dell'autonomia tributaria comunque previste dal precedente e vigente assetto costituzionale scompaiono. Questo è un primo problema. L'altro aspetto, ovviamente, riguarda i costi e i fabbisogni standard. La SOSE ha svolto il suo lavoro, producendo un insieme di dati, molti non ancora arrivati in DPCM, ma non è colpa della SOSE, che ha finito il lavoro, alla presentazione del quale ho avuto l'occasione di andare due settimane fa. È un lavoro preziosissimo in termini di informazioni, di cui ancora non disponevamo, ma bisogna fare attenzione, perché sono dati che vanno maneggiati con cura.
  Quello che manca in quel disegno è una cosa che non può fare la SOSE: la definizione dei fabbisogni standard, infatti, richiede anche un aspetto normativo. Secondo la pronuncia della Corte costituzionale, che il sottosegretario ci ha giustamente richiamato, se non sono definiti non i fabbisogni, ma i livelli essenziali delle prestazioni, il quadro della legge 42 salta. La SOSE può dirci, ad esempio, che dobbiamo spendere zero se non abbiamo asili nido; se ne abbiamo molti dobbiamo verificare l'entità e la qualità della spesa.
  La perequazione che, però, emerge da un sistema di questo tipo coglie solo il problema dell'efficienza, che non è poco. Ci viene detto, cioè, che spendiamo troppo o troppo poco per quello che stiamo facendo, quindi se siamo efficienti o meno, ma non può dirci che non va bene che uno abbia zero e un altro il 24 per cento di copertura. Questo è un problema politico drammatico, che però è diretto alla definizione dei livelli essenziali.
  Si può affrontare in termini redistributivi, ma sappiamo che far tornare indietro chi è andato avanti non è neanche consigliabile. Si può porre, invece, un percorso in cui poco alla volta – cito sempre l'esempio degli asili nido – quelli che hanno zero prima o poi diano una copertura più alta: poi si verifica se quei soldi sono stati spesi bene.
  Se prendessimo adesso i costi e i fabbisogni standard e pretendessimo di attaccarci il finanziamento, faremmo un'operazione che può essere pericolosa: spariamo nel buio, non crediamo di fare una cosa scientifica, tant’è che un Paese più avanti di noi come l'Inghilterra ha realizzato questo studio meraviglioso dei costi di produzione dei servizi locali e da anni usa un insieme di indicatori strutturati come benchmark.
  La mia proposta, sottosegretario, è di prendere quei dati, che ci offrono una mole di informazioni che non abbiamo mai visto, e di testarli. Non pretendiamo di inserirli adesso in un contesto istituzionale in movimento. Combineremmo solo guai, oltre che per i motivi che ho detto prima, anche perché non sappiamo ancora cosa siano le funzioni, non sappiamo ancora cosa saranno gli enti di area vasta, come saranno diversi da regione a regione. Quello sembra uscire da un quadro comune sarà disciplinato regione per regione, con funzioni diverse. Come applichiamo alle province i costi standard ? Non lo sappiamo, ognuno avrà le sue funzioni. È proprio un quadro in assestamento.
  Prendiamo quei dati, rendiamoli pubblici anche nella linearità del modo in cui sono stati costruiti, che possano essere resi comprensibili, e cominciamo a far sì che il comune di Modena possa confrontarsi col vicino comune di Reggio per giustificare ai Pag. 14suoi cittadini perché spende di più pur erogando lo stesso tipo di servizio. Questo ruolo fondamentale di conoscenza potrebbe essere esercitato in tempi brevi.
  Ovviamente, all'utilizzo dei costi e dei fabbisogni standard manca anche la stabilizzazione del quadro delle entrate. La drammaticità della questione, in parte dovuta all'ideologico necessario superamento della tassazione sulla prima casa, incomprensibile ovviamente, dal mio punto di vista, in un disegno ordinato di prelievo affidato agli enti decentrati, ha comportato questo susseguirsi, non l'unico fattore – i «casini» c'erano già – di normazione che, oltre a essere incomprensibile, manca anche di stabilità in tutti i sensi, per la comprensione dei cittadini, ma soprattutto per la gestione degli enti.
  È apprezzabile lo sforzo di valutare le capacità fiscali, ma queste non possono costruirsi non dico solo perché il quadro non è assestato, ma anche perché è disegnato male. Se lasciamo, con un errore che viene molto da lontano, margini infiniti di libertà ai comuni sui tributi che devono servire per definire le capacità standard, e quindi uno può metterci le detrazioni per i figli, quell'altro altro, un altro altre deduzioni, gli elementi che caratterizzano il sistema, non solo le aliquote, come sarebbe per la funzionalità del gettito, ma anche il disegno tributario, in larga parte demandato, cosa vogliamo costruire delle capacità standard ? Non esiste.
  Sfido chiunque a immaginare anche teoricamente la capacità standard riferita alla TASI, che qualcuno applica a tutti gli immobili, qualcuno soltanto alle case di prima abitazione perché non ci applica l'IMU, per cui qualcuno ammette deduzioni e qualcuno no, qualcuno articola le aliquote su più livelli.
  Ovviamente, posso definire anche un modello di riferimento standard, ma non ha senso in un quadro così differenziato. Credo che adesso si debba prima di tutto fare quanto richiamato dai colleghi, ovvero fare il punto e chiedersi se il finanziamento che stiamo riconoscendo agli enti sia vagamente adeguato a quello che devono fare. Per alcuni enti non lo è assolutamente. Stiamo andando verso la legge di stabilità, in cui ci sarà ancora sangue e dolore. Questa, onestamente, è la prima verifica da fare.
  Bisogna, inoltre, prendersi il tempo per capire cosa fare nel medio periodo, usare i costi e i fabbisogni standard, soprattutto i fabbisogni, per dare queste informazioni.

  BACHISIO SILVIO LAI. Mi sembra che i colleghi le abbiano dato un benvenuto abbastanza evidente. Le hanno detto che lei è una luce di speranza nel Governo per la realizzazione del federalismo fiscale, quindi su di lei contiamo molto.
  Le rivolgerò solo una domanda. Nella sua relazione ha affermato qualcosa che mi incuriosisce molto. «La seconda principale modifica di natura istituzionale è stata la costituzionalizzazione del principio dell'equilibrio dei bilanci delle amministrazioni pubbliche [...]. Il principio costituzionale dell'equilibrio del bilancio porta ora con sé l'esigenza di una nuova declinazione del patto di stabilità interno, un'esigenza che era peraltro già molto sentita alla luce delle molte criticità dell'attuale sistema».
  Qualche giorno fa un comunicato della Presidenza del Consiglio annunciava che dal 1o gennaio 2015 la Sardegna passerà dal meccanismo del patto di stabilità al principio dell'equilibrio di bilancio. Vorrei capire, se non in questa occasione, in un'altra, cosa significhi tra sei mesi passare dal patto di stabilità interno all'equilibrio di bilancio. Significa concretamente un aumento delle disponibilità, ovviamente se il patto di stabilità tiene più in basso la spesa possibile autorizzata ed eurocompatibile rispetto alla quantità delle entrate.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Direi che, semplicemente, non si fa più riferimento ai saldi annuali. La conseguenza è quella di un aumento della capacità finanziaria di spesa. Questo vale per tutti. L'anticipo avviene per la Sardegna e adesso siamo in fase di discussione per vedere quanto di questa anticipazione, Pag. 15che comunque per tutti sarà dal 2016, possa essere gestita in parte piccola nel 2014 e in parte maggiore nel 2015.
  Vorrei dire che la mia natura non cambia, nonostante l'acutezza delle vostre riflessioni, tutte assolutamente molto puntuali e realistiche. Perché dico che non desisto ?
  Siamo arrivati a un punto di passaggio in cui la confusione normativa, la confusione delle aspettative e anche la confusione delle amministrazioni o porta al disastro, e quindi siamo a Weimar (ma non ci credo), o non può che portare a un tentativo il più ragionato possibile di messa in asse del sistema.
  Abbiamo alcuni punti fermi. Non so se avete notato che a un certo punto della relazione dico che i princìpi della legge 42, che era una legge delega, dovrebbero poter attualmente essere applicati da una legge che interviene con delle normative subito autoapplicative. Lo sostengo non solo e non tanto per le sentenze della Corte costituzionale, ma perché dobbiamo stabilire quale sia la strada e avere delle norme che facciano partire subito. Nel momento in cui si parte subito, bisogna immaginare delle norme di accompagnamento.
  Quanto osservava la senatrice Guerra è giustissimo. Abbiano dei termini di paragone importanti, ma questi devono cominciare a essere la prima fase di un'azione che poi può essere progressivamente aggiustata.
  Viviamo in una situazione in cui il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni e ai costi standard – lascio un attimo da parte la questione delle entrate – fa sì che una rivoluzione premierà alcune realtà e ne penalizzerà altre. Il fondo di accompagnamento, che deve inevitabilmente esserci fintanto che il sistema non va a regime, deve essere pensato, probabilmente in maniera meno approssimativa di quanto è stato fatto per evitare le cose che ha ricordato il senatore Fornaro, ma dobbiamo partire. Non possiamo più immaginare di avere tutto perfetto, tutto pronto, altrimenti questa è la paralisi.
  Siccome, invece, abbiamo la mannaia della sentenza della Corte che gli interventi episodici valgono per l'anno dell'episodio, per cui non si possono immaginare manovre di finanza pubblica con interventi spot, dobbiamo obbligarci a questo.
  Oggi ci sarà una delle molte riunioni che ci sono al Ministero dell'economia nel tentativo di portare ordine alle cose che avete detto. Il problema è quello della carenza di risorse, che è stato ricordato, e rischia di essere drammatico, soprattutto per le province, che hanno avuto un taglio assolutamente sproporzionato rispetto a comuni e regioni. Sostanzialmente, si è tagliato per i comuni quello che si è tagliato per le province dopo le manovre degli anni passati; quindi è un problema che deve essere affrontato, come lo è quello della redistribuzione del gettito, che non è ancora stata fatta da parte delle finanze nelle singole province, per cui possiamo avere anche dei dati disomogenei per un errore di valutazione in partenza.
  Ciò detto, la forza della legge Delrio non è quella di avere eliminato i 100 milioni di risorse per pagare le indennità agli amministratori, ma è quella di tentare di rimodulare tutto il sistema delle funzioni, superando anche il vecchio concetto (che la dottrina ha cercato a più riprese di assestare, senza riuscirci) che le funzioni fondamentali hanno una declinazione territoriale che non è uguale per tutti.
  Da qui nasce il tentativo, a mio modo di vedere molto forte, ma molto complicato, di ridescrivere il terreno delle funzioni di area vasta, che di fatto significa ridisegnare le competenze dei comuni e quelle delle regioni.
  Ha ragione la senatrice Guerra quando dice che questa partita vedrà 15 protagonismi regionali. Questo è il vero problema. Mentre, infatti, nella parte statale stiamo ultimando l'operazione – entro il mese di luglio saremo in grado di stabilire quali funzioni saranno da parte dello Stato assegnate in maniera precisa e puntuale ai nuovi enti di area vasta e alle città metropolitane – il percorso con le regioni sarà un po’ più lungo.Pag. 16
  Sono, però, tutte cose che si tengono insieme, che consentono di superare la logica dei tagli lineari. Fare un taglio lineare alla provincia di Belluno, che conta 200.000 abitanti, o alla provincia di Treviso, che ne conta 850.000, che sono confinanti e quindi hanno entrate diverse, è di una brutalità assoluta. Questo vale per tutti i confronti che possiamo fare in Italia.
  Abbiamo, quindi, la necessità di riuscire a partire. È del tutto evidente che per partire devono esserci delle norme. I dati della SOSE devono essere tradotti in norme e percorsi. Non immaginiamoci che la norma che facciamo possa essere la soluzione. La norma che facciamo è quella che innesta un processo, ma dobbiamo innestarlo, anche magari incorrendo in errori, che però possono essere modificati. Se continuiamo in questa situazione un po’ empirica, in cui chi tira la giacca più forte ottiene qualche cosa, non funziona più. Non andiamo da nessuna parte.
  L'ultima questione, che mi preoccupa di più, è quella relativa alle entrate. Su questo dobbiamo avere le idee molto più chiare. Mi rendo conto di richieste che vengono da parte dei comuni di maggior autonomia, maggiore elasticità: questa non è maggiore autonomia, ma impossibilità di partire. Dobbiamo avere la certezza di cosa significhi definire la capacità fiscale con numeri certi ed equi, ma dobbiamo avere elementi di certezza. Se lasciamo che ciascuno definisca la natura del tributo, facendo quello che ricordava la senatrice Guerra, non ne usciremo vivi. Serve anche un po’ di autorevolezza.
  Per quanto riguarda la riforma costituzionale, ho visto gli emendamenti e ho parlato con i relatori ed è possibile che il testo sia ulteriormente migliorato, e che quindi la parte delle competenze bicamerali, soprattutto là dove si deve arrivare alla definizione di cosa si intenda con «norme generali», affidi al Senato un ruolo legislativo vero: in qualunque modo vada la riforma costituzionale, la Conferenza di coordinamento della finanza pubblica è uno strumento di coordinamento politico. È stato il Ministro Delrio a insediarla per la prima volta nel novembre dell'anno scorso, poi c’è stata un'altra riunione, poi la crisi di Governo, l'altra riunione è di ieri l'altro: questo è lo strumento di confronto vero, non di confronto nel grande calderone della Conferenza Stato-Regioni, dove tutto c’è e niente si discute, ma il luogo in cui la discussione può incidere profondamente.
  Abbiamo intenzione di traslare anche a voi quanto abbiamo intenzione di fare con la Conferenza, proprio perché siamo convinti che c’è una parte di confronto di politiche di Governo tra comuni, regioni e Governo centrale, ma c’è un punto di confronto legislativo che in questo momento vedo con voi. Quando sarà il momento, saranno le Commissioni ordinarie a intervenire, ma nella fase del confronto e della discussione, non vedo altra sede se non questa per cercare di affrontare questo complicatissimo disegno, rispetto al quale comunque nutro, soprattutto anche grazie ai vostri contributi, fiducia che possa portare a dei risultati.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il sottosegretario Bressa perché ha portato un contributo competente. Tutti abbiamo potuto apprezzare e cogliere quest'elemento, convinti che il suo ottimismo si fondi anche sulla competenza necessaria per cercare di sbrogliare questa matassa così complicata. La nostra collaborazione, evidentemente, c’è fin da questo momento.
  Ringrazio nuovamente il sottosegretario Bressa anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.10.

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