XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Mercoledì 4 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Calendario dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione della RAI:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Tarantola Anna Maria , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 9 
Rossi Maurizio  ... 9 
Buemi Enrico  ... 12 
Gasparri Maurizio  ... 12 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 13 
Airola Alberto  ... 15 
Margiotta Salvatore  ... 16 
Minzolini Augusto  ... 17 
Migliore Gennaro (SEL)  ... 18 
Fornaro Federico  ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 20 
Centinaio Gian Marco  ... 20 
Migliore Gennaro (SEL)  ... 21 
Centinaio Gian Marco  ... 21 
Ranucci Raffaele  ... 21 
Fico Roberto , Presidente ... 22 
Tarantola Anna Maria , presidente della Rai ... 22 
Verro Antonio  ... 25 
Pilati Antonio  ... 26 
Fico Roberto , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  Comunico altresì che dell'audizione odierna sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Calendario dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che il prossimo mercoledì 11 giugno, alle ore 20.30, si terrà l'audizione di rappresentanti dell'USIGRAI.

Audizione del presidente e del consiglio di amministrazione della RAI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione della RAI, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che l'audizione verte sulle misure relative alla RAI contenute nel decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, attualmente all'esame del Senato.
  Do quindi la parola alla presidente Tarantola con riserva per me e per gli altri colleghi di rivolgere al termine del suo intervento domande e richieste di chiarimenti a tutti i componenti il consiglio di amministrazione.

  ANNA MARIA TARANTOLA, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Avete recentemente audito il direttore generale della Rai e molte cose vi sono già state riferite sull'impatto del decreto legge n. 66/2014 per Rai e sulle azioni individuate per farvi fronte. Come presidente del consiglio di amministrazione, ho pensato di impostare il mio interventi innanzitutto richiamando alcuni aspetti rilevanti dell'operato di questa consiliatura in modo da meglio comprendere la situazione attuale e prospettica dell'Azienda e poi di svolgere con voi un ragionamento sul futuro del servizio pubblico in Italia.
  Per quanto riguarda l'azione, nel luglio 2012 nell'assumere la carica abbiamo trovato una Rai in sofferenza economica, tecnologicamente ferma da anni, con un'offerta caratterizzata da ampie contaminazioni di tipo commerciale, un'organizzazione non adeguata al nuovo contesto digitale, perdita di competitività. Questo quadro rendeva necessario un robusto piano industriale che affrontasse i problemi e declinasse le azioni risolutive. Lo abbiamo fatto a legislazione e perimetro dati. Il consiglio di amministrazione nella seduta del 9 aprile 2013 ha approvato un piano industriale presentato dal direttore generale, condividendone gli obiettivi fondanti che intendo richiamare: equilibrio economico-finanziario con il necessario corollario della efficienza e della efficacia organizzativa – è infatti assolutamente necessario intervenire sulla organizzazione se si vuole avere un equilibrio economico-Pag. 4finanziario duraturo e stabile; la innovazione tecnologica; la qualità dell'offerta con una più incisiva caratterizzazione di servizio pubblico al fine di incrementare la capacità competitiva di Rai. Il consiglio ha seguito passo passo l'evolversi dei lavori e delle azioni necessarie per la realizzazione e la concretizzazione del piano industriale. I risultati conseguiti, come vi è stato già riferito e quindi andrò rapidamente per questa parte, sono stati incoraggianti, perché il bilancio 2013, dopo un bilancio 2012 si era chiuso con una perdita di 245 milioni ha presentato un risultato positivo seppur modesto a livello consolidato pari a 5.3 milioni di euro. Pensate che nel piano industriale era prevista di 36 milioni: quindi anziché una perdita, un modesto utile. Il risultato riflette l'incisiva azione di ottimizzazione dei costi. I costi operativi nel 2013, senza tener conto dell'impatto dei grandi eventi sportivi, per operare dunque un confronto omogeneo, si sono infatti ridotti di 86 milioni, pari al 4 per cento. Mi piace evidenziare che in sede di assemblea per l'approvazione della proposta di bilancio 2013, l'azionista, cioè il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'esprimere il voto favorevole, ha riconosciuto questa azione, e ha, cito testualmente, «preso atto dell'impegno profuso nel 2013 nell'attività di razionalizzazione gestionale che ha determinato una riduzione dei costi operativi e ha auspicato il proseguimento di tale sforzo di razionalizzazione». Sforzo che è continuato tanto vero che nel I trimestre 2014, come ha evidenziato il direttore generale, ci sono miglioramenti rispetto agli obiettivi del piano. Vi ho detto prima come sia molto importante la questione organizzativa, e sono dunque stati portati avanti interventi anche su questo fronte: in particolare, sono state rese più strutturate e trasparenti le procedure, anche decisionali, rivisti i processi e il sistema dei controlli interni per meglio definire ruoli e responsabilità e la tracciabilità, razionalizzato e migliorato modelli e strutture operative, introdotto un sistema di valutazione delle performance dei dirigenti. Questi interventi sono spesso sottovalutati e a volte non molto ben accettati, ma ritengo che siano invece essenziali all'interno di una azienda perché hanno due effetti molto positivi: da un lato riducono i rischi operativi – che, come avete a volte letto sui giornali, per Rai non erano di poco conto – anche per migliorare in modo strutturale la redditività dell'azienda, dall'altro incidono sulla cultura aziendale, e dunque sulla cultura della indipendenza. Sono strumenti che apparentemente sembrano di scarso effetto, invece hanno una incidenza importante.
   Sono stati effettuati significativi investimenti in tecnologia (pari, nel biennio 2012-2013, a circa 250 milioni). Ricordo che il TG2 e il TG3 sono ormai totalmente digitalizzati; a fine settimana, proprio dopodomani lo sarà il TG1; sono stati avviati i lavori per la digitalizzazione della TGR; anche la radio è oggetto di interventi tecnologici importanti.
  Questi investimenti fanno parte di un ambizioso piano di rinnovo tecnologico, che prevede il completo switch off della Rai, da broadcaster a «Media Company» entro il 2016. Ogni contenuto editoriale sarà disponibile in formato file immediatamente utilizzabile su tutte le diverse piattaforme con conseguente miglioramento della qualità dei prodotti e sia della riduzione dei costi: un investimento importante con effetto duraturo.
  Nel 2014 è iniziata la digitalizzazione ad altissima qualità del patrimonio di immagini di 60 anni di televisione custoditi nelle nostre Teche; si tratta di circa 4 milioni di cassette e 400.000 pellicole. Al termine di questo processo tutto il patrimonio sarà in file, sarà possibile la consultazione interna ed esterna e una fruibilità sul web. Anche i processi gestionali e produttivi saranno tutti informatizzati in modo integrato. Sul fronte editoriale abbiamo assunto una serie di iniziative volte a migliorare la qualità del prodotto.
  Sono passi che vi indico, perché mi sembra importante dialogare con voi con estrema apertura su ciò che è stato fatto: non sto dicendo che tutto è perfetto, ma intendo evidenziare aspetti, a volte totalmente Pag. 5misconosciuti dagli organi di stampa, del lavoro svolto da questa consiliatura.
  Abbiamo riqualificato la programmazione dei canali generalisti, realizzato programmi dedicati ai temi economico-finanziari, alle scienze, alla cultura della legalità, eliminato trasmissioni non in linea con la missione di servizio pubblico, trasformato Rai 5 in un canale tematico interamente dedicato alla cultura, canale più conosciuto più all'estero che in Italia e per il quale ricevo molte valutazioni positive. Abbiamo rilanciato il canale Rai Italia per i nostri connazionali all'estero, rafforzato Rai Storia, Rai Scuola e Rai Ragazzi e rivisto Rai News.
  Sono stati studiati e potenziati programmi nativi web e intensificata la presenza Rai sulla rete, per ampliare l'interlocuzione con i cittadini. La Rai aveva molto trascurato il web: quello che sta accadendo con «The voice of Italy» è molto positivo perché c’è una interlocuzione molto forte tra gli spettatori, specie più giovani, che dialogano durante la stessa trasmissione con la Rai: è una strada che va perseguita, dobbiamo riuscire essere più capaci di attrarre i giovani.
  Abbiamo adottato una policy di genere. A breve sarà avviato anche il riassetto del settore news sempre nell'ottica dell'ottimizzazione del servizio e dei costi; in sede consiliare se ne è già discusso. Il direttore generale ci ha già presentato una proposta in tale ambito.
  Le fiction si sono focalizzate sul racconto della contemporaneità, di figure di rilievo della nostra storia recente che sono il simbolo di impegno civile, di donne forti, coraggiose e reali.
  Non posso sottacere che il processo di cambiamento è faticoso anche a motivo dell'attuale governance; come ho avuto modo di osservare in una mia precedente audizione, la presenza di interessi meta-aziendali non aiuta. Siamo consapevoli che il processo di rinnovamento non è completato e che c’è ancora molto da fare. In questo quadro si inserisce il decreto legge 24 aprile 2014 n. 66 determinando impatti rilevanti per l'azienda. Secondo quanto ci è stato riferito dal direttore generale, il minore introito da canone di 150 milioni previsto dall'articolo 21, si aggiunge a circa 50 milioni di minori ricavi da canone stimati nel 2014 per effetto sia della maggiore morosità sia del mancato adeguamento del canone, a seguito del decreto Zanonato.
  In relazione a ciò – nonostante la costante e incisiva azione di efficientamento, la quale, secondo quanto ci ha detto il direttore generale, continuerà in quanto inserita nel piano ed è qualcosa che non verrà assolutamente meno – si determinerebbe, già a partire dal settembre 2014, una perdita quantificabile in 162 milioni con impatti sul capitale sociale – già esiguo – che a settembre si ridurrebbe di più di un terzo, rendendo necessario adottare provvedimenti di cui all'articolo 2446 del codice civile; a dicembre questa perdita determinerebbe il mancato rispetto dei covenant bancari, con impatto negativo tanto in termini di condizioni applicate dalle banche, quanto di potenziale accelerazione della richiesta di rimborso. Questi due fatti comportano una particolare attenzione: soprattutto il mancato rispetto dei covenant potrebbe innestare un circolo vizioso perché hanno impatti ed effetti sul conto economico e a loro volta aumentano le possibilità di perdita.
  Di tali impatti, con lettera a firma congiunta mia e del direttore generale, su mandato conferito all'unanimità dal consiglio di amministrazione, abbiamo informato l'azionista. La lettera non ha nessun intento polemico; è solo una doverosa informazione all'azionista degli effetti del decreto e delle azioni che si rendono necessarie per il suo rispetto. Il direttore generale ci ha chiaramente informati che essendo ormai a metà anno e considerato che i meccanismi temporali di gestione dell'attività televisiva non consentono margini elevati di recupero di manovra sul piano dei costi nel breve periodo, l'unica soluzione percorribile, per fronteggiare la riduzione di questi 150 milioni di euro degli introiti da canone senza incorrere Pag. 6nelle previsioni dell'articolo 2446 del codice civile, sia quella di cedere una quota di minoranza di Rai Way. Vorrei solo ricordarvi che il consiglio è stato messo a conoscenza della potenziale perdita di 162 milioni in modo ufficiale, nella riunione del consiglio del 28 maggio scorso. Da allora noi consiglieri siamo responsabili, perché sappiamo già oggi per allora che a settembre scatteranno le previsioni dell'articolo 2446 del codice civile, e dobbiamo adottare tutte le azioni necessarie affinché la riduzione non si verifichi. In tal senso, il consiglio ha da subito delegato subito il direttore generale, e successivamente anche la sottoscritta, ad avviare le azioni propedeutiche alla predetta operazione di cessione di Rai Way, riservandosi di decidere in ordine alla stessa quando si conosceranno compiutamente le condizioni di cessione.
  Dalle informazioni rese dal direttore generale al consiglio è anche emerso che si rende necessario rivedere il piano industriale in quanto le disposizioni contenute nell'attuale configurazione del decreto – ho letto che sono stati approvati emendamenti – rendono il piano non più sostenibile; anche in questo caso il consiglio ha dato mandato al direttore generale di provvedere in tal senso. Abbiamo preso atto che è comunque intendimento della dirigenza non intervenire sugli investimenti in tecnologia e sulla cultura.
  Mi sento di dire a nome di tutti i consiglieri che siamo consapevoli delle responsabilità che abbiamo nei confronti dell'azionista, del Parlamento, dell'azienda, dei dipendenti e di tutti gli stakeholder e con tale pieno senso di responsabilità intendiamo operare. Osservo che per una efficace ed efficiente ridefinizione del piano industriale sarebbe molto utile conoscere dal Parlamento e dall'azionista, che sono i nostri referenti diretti, il modello di servizio pubblico cui si vuole tendere e il perimetro dello stesso perché, per quanto ovvio, senza indicazioni, la probabilità di declinare un percorso non coerente con gli orientamenti, di Parlamento e dell'azionista, è elevata, con conseguente perdita di risorse e di tempo. Parlare di modello è cosa molto complicata, ma se mi vorrete dedicare qualche minuto di attenzione, ritengo di svolgere qualche considerazione al riguardo.
  I possibili modelli di servizio pubblico sono numerosi, non esiste un modello unico, perfetto e valido per tutti i Paesi. Nel contesto della multimedialità e multicanalità, alcuni pongono in discussione la necessità stessa del servizio pubblico radiotelevisivo, cioè il modello di «no servizio pubblico», ritenendo che i suoi obiettivi fondanti (pluralismo, correttezza, imparzialità e completezza di informazione; tutela delle varie componenti della società, educazione e intrattenimento) possano essere perseguiti anche dagli operatori radiotelevisivi privati e dal web. Ricordo che un confronto analogo si tenne anche negli anni ’80, quando per la prima volta nel nostro paese si aprì all'operatore privato e si ebbe una prima iniezione di concorrenza nel settore audiovisivo. Già allora ci si chiedeva se avesse ancora senso un servizio pubblico in un contesto in cui l'informazione, l'intrattenimento, e forse la stessa cultura, potevano essere offerti anche dai privati.
  Sono personalmente convinta, dopo due anni di presidenza, che oggi come allora ci sia bisogno di un servizio pubblico radiotelevisivo, anche se è indubbio che deve trattarsi di un servizio pubblico evoluto in senso multimediale e multipiattaforma e, naturalmente, efficiente. Questa mia convinzione si fonda su almeno tre motivi che vorrei condividere con voi. Non è affatto vero, come si sostiene in alcune parti, che la moltiplicazione dell'offerta, resa possibile dalla rivoluzione digitale e dallo sviluppo della rete, sia di per sé una garanzia di libertà, pluralismo, imparzialità, correttezza e completezza. Basti pensare che sul web si trova una massa enorme di informazioni, ma non è alla portata di tutti saperle «leggere», selezionare e processare; il pericolo di non veridicità delle informazioni è piuttosto elevato. Rispetto a questi rischi sono parziali le soluzioni disponibili: pensiamo alle enciclopedie in rete che si fondano prevalentemente sul controllo incrociato da Pag. 7parte degli utenti stessi; corriamo il rischio di prendere decisioni su basi sbagliate, come rischiavano di fare le mie figlie qualche anno fa, limitando la loro ricerca esclusivamente al web; pensiamo alla difficoltà che incontrano i provider nel verificare ed eventualmente rettificare l'informazione scorretta diffusa in rete. La presenza di un servizio pubblico può attenuare questi rischi svolgendo il ruolo di selezionatore e di verificatore della correttezza delle informazioni, non perché si debba imporre agli altri: un po’ come era negli anni 50 in cui i cittadini italiani dicevano di andare sulla Rai perché lì si trovano le informazioni, si dovrebbe arrivare a dire di andare sul web della Rai, perché lì le informazioni sono state verificate; il servizio pubblico dovrebbe al contempo essere propulsore dell'affermazione di una cultura, un ambiente, un mercato favorevoli al consumo di contenuti legali online.
  La teoria economica ci dice che la produzione e la diffusione dell'informazione sono tipicamente soggette a rendimenti crescenti: impongono alti costi fissi significativi per organizzare, raccogliere e distribuire l'informazione, ma hanno bassi costi marginali per rendere poi l'informazione disponibile. Questa caratteristica contribuisce a spiegare la crescente concentrazione del settore, che presenta, in quasi tutti i paesi, la natura di mercato oligopolistico. Non ci deve trarre in inganno il fatto che ci sono molti operatori: è che pochi hanno potere, è un fatto formale, non sostanziale. Il rischio che la concentrazione possa crescere, complici anche le turbolenze indotte dalla lunga e profonda crisi economica, è elevato: e la concentrazione non è sinonimo di imparzialità. Anche questo aspetto depone per un ruolo significativo dei servizi pubblici, che in effetti continuano a caratterizzare gran parte di questo mercato, anche nei paesi sviluppati. I servizi pubblici hanno infatti l'obiettivo di garantire il soddisfacimento dei bisogni informativi e formativi dei cittadini nei casi in cui il mercato da solo non riesca a dare risposte adeguate o riesca a farlo solo parzialmente, senza garanzie di accesso da parte dell'intero corpo sociale. Un sufficiente pluralismo delle fonti, con la presenza di operatori pubblici e privati indipendenti, senza interessi diretti in altri settori, può generare forme di concorrenza virtuosa. Un'ultima considerazione, ce ne tante altre, ma mi sono focalizzata su queste tre: veridicità dell'informazione e capacità di selezionarla, la caratteristica economica del mercato della informazione e, infine, la natura pubblica dell'attività di servizio pubblico. Gli operatori privati sono inevitabilmente orientati al profitto o al perseguimento di obiettivi che possono non essere coincidenti con la necessità di assicurare quei valori generali, oltre all'indipendenza e al pluralismo dell'informazione, che sono i fattori fondanti del servizio pubblico radiotelevisivo e che vorrei qui ricordare: l'arricchimento e lo sviluppo sociale e culturale dei cittadini; l'universalità dell'accesso ai contenuti; la valorizzazione delle identità e della cultura nazionale anche attraverso un consistente investimento nella produzione originale di contenuti e servizi; il finanziamento dell'industria audiovisiva nazionale ed europea. Vorrei ricordare che, anche in base a un obbligo di legge, Rai ha investito circa 700 milioni nel biennio 2012-2013 – ciò è anche una forma di sostegno dell'occupazione, perché investiamo in produzione indipendente. Ricordo inoltre che Rai ha sostenuto per circa il 90 per cento il costo, pari a circa 500 milioni, per il passaggio al digitale terrestre senza chiedere, in aggiunta al canone, ulteriori risorse ai cittadini, come invece avvenuto in tutti gli altri Paesi europei. Ricordo anche che il decreto legislativo 296 del 2066 prevedeva che la copertura del passaggio al digitale terrestre fosse in larga misura data da contributi pubblici ad hoc; in realtà questa forma di contributo pubblico è stata di 60 milioni su 500, quindi in larga percentuale tale costo è stato sostenuto direttamente dalla Rai, cosa che costituisce anche una causa dell'elevato indebitamento, perché Rai, priva di risorse, si è dovuta indebitare.Pag. 8
  Il perseguimento di questi valori è costoso e difficilmente conseguibile senza un intervento pubblico; in un certo senso possono essere considerati come ben pubblici, come li chiamano gli economisti, la cui produzione non è ritenuta economicamente vantaggiosa dai soggetti privati. Non possiamo negare che questi ultimi sono una risorsa preziosa e necessaria per lo sviluppo del sistema audiovisivo – sto dunque dicendo che i soggetti privati sono utili e necessari ma da soli non sono sufficienti, perché non possono essere chiamati a svolgere funzioni incompatibili con la loro natura privatistica che vede nel profitto la loro finalità.
  Queste brevi e sommarie considerazioni mi sembra diano conto che è necessario avere un sistema di emittenti pubbliche e che per poterle sostenere è necessario anche una forma di finanziamento pubblico. Ma è indubbio che i servizi pubblici nell'era del digitale devono cambiare, devono mutare profondamente, e rappresentare non già l'eredità di un passato anche glorioso, ma il nuovo, la capacità di attuare un rinnovato patto con i cittadini e con tutti gli stakeholder, scegliendo la strada di una rinascita, dimostrando di saper creare valore per i cittadini, modificare le modalità di diffusione e quelle di produzione dei contenuti attraverso un'offerta ampia e diversificata.
  Sono temi comuni ai principali servizi pubblici europei, non è solo di Rai e dell'Italia. Tutti hanno il problema di come rinascere, evolvere, di come essere competitivi e di creare valore per i cittadini. In tutti gli incontri a livello sia di associazione di broadcaster europei sia con i singoli grandi broadcaster i temi di trasformarsi da emittenti radiotelevisive a media-company, di essere presenti su tutte le piattaforme, di essere sulla frontiera della tecnologia, di puntare alla qualità e varietà dell'offerta, di essere efficienti, efficaci, solidi e trasparenti sono comuni e tutti ci stanno ragionando e nessuno ha una ricetta universale.
  Il processo di questa evoluzione, in qualche modo, magari modestamente e con lentezza, lo avevamo iniziato nell'ambito del piano industriale 2013-2015 e che ha portato ai risultati che prima vi ho ricordato. È indubbio che Rai deve continuare con determinazione nel percorso di evoluzione iniziato.
  La qualità dell'offerta è la stella polare di questo percorso, è un obiettivo imprescindibile. Investire in qualità e in tecnologia richiede competenza e risorse finanziarie. Il canone serve a questo: a produrre programmi capaci di divertire, educare e informare i cittadini, usando le tecnologie più avanzate. Il recupero dell'evasione che come ben sapete, dato che ne abbiamo parlato in una mia precedente audizione, servirebbe molto ad aiutarci a fare tutti quegli investimenti in tecnologia e prodotto che sono necessari. La certezza delle risorse disponibili, ancora più importante del quantum, è il necessario presupposto dell'autonomia e indipendenza delle emittenti pubbliche. Venendo alle conclusioni, ho parlato delle sfide che Rai deve affrontare in un contesto multimediale per aumentare la sua capacità di generare valore pubblico, cambiare, trasformarsi rapidamente e soddisfare le esigenze dei cittadini espresse e inespresse, cosa questa più difficile ma altrettanto necessaria.
  La Rai, come le altre emittenti pubbliche europee, crea valore. Abbiamo chiesto ai nostri uffici marketing di svolgere una analisi al riguardo, cosa non facile, ma mi farebbe proprio piacere completarla e portarvi i risultati, perché è un discorso che spesso viene lasciato nel vago, ma che è invece importante quantificare. La Rai sostiene la produzione indipendente di film e fiction; finanzia l'industria dei cartoni animati (in Francia ad esempio è sparita, mentre in Italia si dà spazio ai nostri talenti e ai giovani animatori); fornisce servizi di informazione e di intrattenimento rilevanti per la popolazione (tutta la popolazione: universalità e pluralismo, accesso a tutti, dare voce a chiunque); crea contenuti, legati al Paese e alle infrastrutture presenti a livello nazionale; favorisce lo sviluppo del capitale umano e sociale; è una parte importante del Sistema paese.Pag. 9
  Ma per poter fornire un sostegno vitale per la vita economica, culturale e civile deve essere efficiente e indipendente; un'adeguata governance e risorse finanziarie certe e definite per un periodo di tempo sufficiente a consentire la pianificazione della propria attività sono condizioni indispensabili per garantire piena indipendenza. Ovviamente la Rai deve rendere conto del suo operato, ed essere valutata sulla base dei risultati conseguiti. La Rai è, e deve essere questo. Il consiglio ne è consapevole, tanto che, a regole date, ha autonomamente iniziato un processo di cambiamento. Ma per un cambiamento radicale è necessario intervenire sulla missione, sulla governance, sul canone; questo non è alla portata di Rai, che è comunque pronta a collaborare. Il preannunciato anticipo dei lavori per il rinnovo della convenzione è molto positivo in questo senso. Auspico che si possa operare insieme, cooperare per un futuro positivo del servizio pubblico nazionale rispettando gli interessi di tutti gli stakeholder.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi di autoregolarsi sui tempi degli interventi.

  MAURIZIO ROSSI. Chiedo agli uffici se può essere distribuito il mio intervento al presidente e ai consiglieri di amministrazione.
  Gentile presidente, cercherò di porre domande molto precise e fare alcune considerazioni su punti che mi pare non siano chiari neanche in Rai. Quando si parla di Rai Way e della sua vendita (anche di azioni minoritarie), ritengo sia bene capire innanzitutto cosa ci sia dentro a Rai Way e come essa si qualifichi giuridicamente. Rai Way è l'operatore di rete e Rai è il fornitore di contenuti ? Se Rai Way è l'operatore di rete, dovrebbe essere il proprietario non solo delle circa 2.500 postazioni, o torri, come le chiama Gubitosi, ma anche di tutti i trasmettitori, antenne, transiti e altro materiale tecnico necessario per trasmettere il segnale. Se Rai Way è l'operatore di rete è, quindi, anche il titolare della concessione delle cinque frequenze di trasmissione assegnate alla Rai come gruppo ? L'operatore di rete, per legge, dovrebbe affittare una parte della sua capacita trasmissiva a terzi, se non ricordo male almeno il 30 per cento. Mi sa dire chi sono i fornitori di contenuti esterni alla Rai che affittano banda dall'operatore Rai o Rai Way e a quali prezzi ? Oggi la Rai o Rai Way hanno a disposizione 5 frequenze; ciò vuol dire che, se le postazioni in Italia sono 2.500, per ogni frequenza ci sono 2.500 trasmettitori.
  Quindi Rai o Rai Way, avendo 5 frequenze, hanno acquistato 12.500 trasmettitori che consumano energia elettrica, devono essere gestiti, mantenuti, riparati e che comportano anche un costo di ammortamento molto alto per il proprietario. Diventa quindi molto importante capire se Rai Way sia solo proprietaria delle postazioni o anche di tutti gli impianti, delle antenne, dei transiti e se il personale tecnico è dipendente di Rai Way o di Rai. Quando avremo queste risposte, potremo, con cognizione di causa, capire cosa significa la vendita di Rai Way; se si tratta di vendita delle sole postazioni, come ha detto il direttore generale Gubitosi, o di vendita dell'operatore di rete di Rai e quindi anche di colui che ha le concessioni delle frequenze, il proprietario degli impianti di trasmissione composti da trasmettitori, antenne, transiti, personale tecnico di gestione, e del soggetto che paga anche la manutenzione, le bollette elettriche e tutto quanto serve per trasmettere.
  In ogni caso, per andare avanti nel ragionamento, occorre svolgere un'analisi del numero di palinsesti prodotto dalla Rai, che ha uno strettissimo legame con il numero di frequenze necessarie per espletare il proprio compito di fornitore di contenuti. Oggi Rai ha circa 15 canali con idea di aprirne qualcun altro come Rai Expo. Inoltre, mi pare, ad oggi solo Rai 1 è in HD. L'attuale numero di canali/programmi potrebbe essere trasmesso su 3 frequenze anziché su 5, ma dico di più: il numero di canali è assolutamente eccessivo per un servizio pubblico. Vengono sempre citato EBU o altri Pag. 10servizi pubblici europei. Nessuna nazione ha più di 3/5 programmi di servizio pubblico e allora perché Rai ne deve avere 15/17 ? A cosa servono così tanti canali ?
  Le leggo i dati di ascolto del gruppo Rai di lunedì. Le tre generaliste insieme hanno fatto il 29 per cento circa. Le 10 tematiche il 6.9 per cento, vuol dire una media dello 0.69 per cento di share per canale con il minimo di Rai 5 0,21 per cento e il massimo di Rai Yoyo con 1.43 per cento. La costosissima Rai News ha fatto ben lo 0.67 per cento e visto che non passano quasi mai lo 0.5 per cento magari lo considerano un grande risultato ! Il dato di Rai Storia, anche se basso non lo dico perché quello può essere davvero considerato un canale di servizio pubblico, tanto per confermare che, a mio avviso, non bisogna guardare esclusivamente agli ascolti ma principalmente se ciò che viene trasmesso sia davvero qualificabile come servizio pubblico.
  Ma è indispensabile avere una relazione precisa su ogni singolo canale che fornisca il rapporto tra costi del canale, ascolti, ricavi. Ogni canale deve essere un centro di costo.
  Le chiedo questa relazione per entrare nel vivo del discorso e per poter parlare con cognizione di causa su cosa vada tenuto in vita e cosa debba, invece, essere chiuso o in qualche caso, visti i risultati pessimi, cambiato al vertice dell'organizzazione (ad esempio qualche direttore o direttrice che ormai ha avuto anche troppa fiducia e budget, ma non ha corrisposto alcun risultato all'azienda). Meritocrazia e non raccomandazioni, coperture e spartizioni politiche, questa è la prima ricetta fondamentale per la Rai. Chiarito che, se vogliamo adeguarci al resto d'Europa, non bisogna e non serve a nulla avere più di 3 canali/programmi, bisogna comprendere che sarebbe sufficiente una sola frequenza di trasmissione, al massimo 2 se si volessero trasmettere fino a 5 canali, anche tutti in HD. Cosa significa questo in termini di risparmi tecnici ? che anziché 12.500 impianti, ne sarebbero sufficienti 5.000; che, con la riduzione del costo di manutenzione, gestione, energia elettrica, assicurazioni, si risparmierebbero decine di milioni di euro senza considerare l'incidenza degli ammortamenti che incidono pesantemente sui bilanci. Se gli impianti sono di Rai il risparmio si concretizzerebbe in Rai. Se gli impianti sono, invece, di Rai Way, vuol dire che Rai potrà stipulare un contratto d'affitto di impianti per sole due frequenze risparmiando, in confronto all'affitto di 5 frequenze, il 60 per cento all'anno. La Rai oggi non può sapere prima della scadenza della convenzione se sarà ancora il fornitore del servizio pubblico, né quanti canali verranno chiesti di servizio pubblico e quindi non può essere in grado di stipulare oggi un contratto di affitto che vada oltre il 2016. Pertanto oggi, se non esiste tale contratto di affitto, l’advisor non può valutare Rai Way perché non conosce dati certi sulla redditività della società. E Rai non può, ribadisco, stipulare un contratto per l'affitto di 5 frequenze, quando potrebbe averne bisogno di una o due. Chi firmasse questo contratto rischierebbe in proprio perché creerebbe, nel bilancio, un debito per affitti all'azienda di durata pluriennale, un gravissimo danno per la Rai. Aggiungo che nel 2015 ci sarà la nuova convenzione di Ginevra che toglierà frequenze a tutti gli Stati europei per darle alle telecomunicazioni. In Italia, quindi, si dovrà rivedere anche il piano frequenze a partire da Rai per arrivare a Mediaset, Timb e a tutti gli altri operatori di rete e sottolineo che per prime andranno tolte alle tv locali che ne hanno in eccesso e mal utilizzate. Peccato però che quelle delle tv locali sono tutte frequenze non coordinate con gli altri stati e che, anzi, sono frequenze che sono state date dal Governo Berlusconi alle tv locali come la storia di Toto che vendeva il Colosseo: Berlusconi ha rifilato alle locali frequenze di competenza di altri Paesi, Malta, Francia, Croazia, Albania, Principato di Monaco, frequenze che ora vanno spente entro il dicembre 2014, pena pesanti sanzioni comunitarie.Pag. 11
  Direi che lo scontro tra partito della Rai e partito del Governo è finito in parità, ma siamo solo alla fine del primo tempo e possiamo dirci soddisfatti di questo risultato. È certamente ancora possibile, per il periodo che ci separa dalla scadenza della convenzione, dire (come si dice nel decreto legge n. 66) «che in ogni regione ci debba essere una redazione e strutture adeguate alle specifiche produzioni». Ma è indispensabile che, con trasparenza, riusciate a farvi fornire da Rai i costi di ogni singola sede, il numero dei dipendenti, dirigenti, costo degli appalti esterni di ogni sede e ogni altro costo di gestione. Sì, quindi, a una redazione per regione, ma va definito: quanti dipendenti, dirigenti, giornalisti ci dovranno essere in ogni sede; di quanti metri quadrati dovrà essere ogni sede; cosa dovrà produrre ogni sede. Le chiedo pertanto di rispondere alla mia interrogazione di luglio alla quale non avete mai risposto e che oggi diventa così attuale non perché lo chieda io, ma perché la risposta a quei quesiti costituisce oggi necessità pregiudiziale per addivenire a decisioni consapevoli e delicatissime. Io ho solo precorso i tempi ! Non è possibile che la Rai possa negare la trasparenza dei conti. Non lo può fare a questa Commissione, ma vieppiù non può farlo davanti ai cittadini ai quali chiede di pagare il canone.
  Passiamo alla scadenza del contratto, allo sciopero della Rai, a come e dove risparmiare. Il vantaggio del nuovo contratto dovrà ricadere sui cittadini, non sulla Rai. La normativa comunitaria sul punto è chiara: non si può pensare di mettere sulle spalle dei cittadini il costo di un'azienda con una tassa dedicata solo a quella azienda. Il Governo non può proporre di aggirare la scadenza con un disegno di legge che sarebbe illegittimo sotto il profilo comunitario. L'iter è molto complesso e deve prevedere una gara ad evidenza pubblica europea. Occorre definire esattamente i requisiti di partecipazione, quali servizi pubblici saranno messi a bando. L'obiettivo deve essere quello di individuare il soggetto o i soggetti che meglio sappiano offrire il miglior servizio al costo inferiore, nell'esclusivo interesse dei cittadini. Ai fini della gara per l'individuazione del soggetto cui affidare il servizio pubblico occorrerà definire anche: il numero dei bandi sulla base della seguente possibile ripartizione per categorie omogenee (servizio nazionale, servizio regionale, Radio, Tv, Web); il possibile inserimento della pubblicità nella programmazione di servizio pubblico; la possibilità di ammettere alla gara solo i soggetti che siano già dotati di una rete di trasmissione propria, ovvero consentire a tutti i fornitori di contenuti di concorrere per l'affidamento del servizio pubblico. Se la gara è lo strumento imposto dal diritto UE per l'affidamento del servizio pubblico ci si chiede come pensa di essere competitiva la Rai per partecipare ad una gara per l'assegnazione del servizio pubblico nazionale, regionale, tv, radio, web.
  Senza una visione si rischia di considerare la Rai come un ammortizzatore sociale, nella prospettiva (illegittima per il diritto UE) che la stessa debba essere comunque l'affidataria del servizio pubblico senza gara e continuare a pesare sui cittadini per produrre il 70 per cento e oltre di canali, colmi di programmazione che nulla ha a che fare con il servizio pubblico. Ebbene, questo non è né legittimo, né giusto. I cittadini hanno il diritto di scegliere in un regime di concorrenza se e da chi acquistare tutti i prodotti che non siano strettamente identificabili come servizio pubblico (film, fiction, programmi di giochi). Sulla scorta delle citate premesse, ribadisco la mia ricetta per la Rai e per il servizio pubblico nel nostro Paese: massimo 3 canali di servizio pubblico senza pubblicità; massimo 2 frequenze per Rai o Rai news; un'unica redazione con tre sottoredazioni, internazionale, nazionale e regionale. Tale proposta mira ad arrivare, considerando anche l'utilizzo degli ammortizzatori sociali e la fondamentale tutela dei diritti di tutti i dipendenti Rai, a un'azienda competitiva con gli altri soggetti sul mercato che hanno circa 4.500 Pag. 12dipendenti e circa 300 giornalisti, massimo 200 dirigenti. La RAI potrebbe anche avere eventuali canali in più, con pubblicità, che competano sul mercato.

  ENRICO BUEMI. Intervengo per condividere nella sostanza le preoccupazioni del collega: qui non si tratta di svolgere un'azione di censura nei confronti dell'azienda ma di avere a disposizione informazioni precise per potere esprimere un giudizio compiuto.
  Allo stato dell'arte non sono in condizione di poter esprimere un giudizio puntuale sulle partite che il collega ha evidenziato nel suo intervento. Pertanto, pur condividendo le preoccupazioni che alla principale istituzione culturale del nostro paese si debbano garantire le risorse necessarie per potere svolgere con maggiore presenza ed efficienza il suo fondamentale compito, noi dobbiamo sottolineare che in un momento difficile in cui la collettività italiana viene chiamata importanti sacrifici non ci possono essere aree di protezione. Chiedo alla presidenza della Rai di mettere a disposizione quelle informazioni che, ribadisco, sono state richieste dal collega e che costituiscono tuttora aree grigie che non possono essere non fornite con la scusa che ci sono questioni di concorrenza e che pertanto non si possono mettere a disposizione dell'opinione pubblica.

  MAURIZIO GASPARRI. Volevo sapere se vertici della Rai fossero a conoscenza dell'EBU, notificati ieri ai componenti della Commissione, dove si sostiene l'illegittimità del provvedimento che è stato assunto. L'idea è che il canone costituisca una tassa di scopo, come autorevolissimi pareri giuridici provenienti da varie fonti hanno dimostrato, e che pertanto non possa essere distratto per altri scopi, come illegittimamente si fa, esponendo a una sconfitta certa il Governo nei ricorsi e nei successivi contenziosi che qualsiasi cittadino potrà promuovere; mi chiedo se il consiglio di amministrazione intenda tutelare l'azienda rispetto a questo provvedimento che peraltro non apporta nessun beneficio ai cittadini. Avrei compreso una riduzione del canone a beneficio dei cittadini, cosa che ho ipotizzato oggi stesso in Aula quando si discuteva sul decreto in questione. Il Governo potrebbe togliere soldi alla Rai, ma restituirli ai cittadini riducendo per cifra analoga il canone, cosa che non avviene e non è stata sufficientemente spiegata. Ho sentito anche esponenti del Governo sostenere che la Rai non va bene perché non fa modernizzazione: lo ha detto a un convegno di una importante istituzione internazionale in mia presenza il sottosegretario Giacomelli. La presidente ci ha detto che sono stati investiti 250 milioni di euro in tecnologia a proposito della digitalizzazione del Tg 2 e del Tg 3. Mi chiedo che cosa pensi di questa valutazione del Governo e peraltro che cosa pensi il consiglio di amministrazione del fatto che, se il Governo sostiene che non modernizzate abbastanza, modernizzerete di più con centocinquanta milioni di euro in meno. Non si potrebbe vincolare parte delle risorse del canone a un maggiore impegno sulla modernizzazione ? Anche il più scarso degli economisti capirebbe che con centocinquanta milioni in meno si modernista di meno. Per quanto riguarda l'errore strategico su cui invito non solo il consiglio di amministrazione ma anche la Commissione a riflettere, abbiamo avuto con legge vigente un'evidente crescita dell'offerta radiotelevisiva, a perché oggi la Rai ha 15 canali, dato che, come detto nella relazione, il digitale terrestre ha comportato una moltiplicazione dell'offerta. Nel frattempo è nato un operatore satellitare di prima grandezza, che peraltro come fatturato credo che sia la prima televisione italiana, gli operatori privati, Mediaset e La 7 sono sul mercato. È innegabile ed evidente che la legge vigente ha consentito la moltiplicazione dell'offerta, il che significa occupazione, investimenti, fiction, film, cultura, giornalisti ed elettricisti, lavoratori di ogni genere che operano nel sistema radiotelevisivo pubblico e privato, grazie alla normativa vigente. Chiedo pertanto una riflessione del consiglio su questo aspetto, cioè se sia saggia la scelta di levare soldi Pag. 13in un momento in cui il mercato soffre, perché l'andamento dell'economia negativo fa sì che le risorse pubblicitarie, cui anche Rai attinge sebbene con i tetti che conosciamo, languono. Infine, ieri ho letto l'intervista a un ex consigliere di amministrazione della Rai, Vittorio Emiliani, che ha definito infame la legge vigente: evidentemente Emiliani ha vigilato sulla Rai così come la Banca d'Italia ha vigilato sui Monte dei Paschi di Siena e sulla Cassa di risparmio di Genova, in anni recenti, cioè con una vigilanza insufficiente. Emiliani si sarebbe dovuto accorgere che quando si tentò – e qui è un invito che faccio al consiglio di amministrazione – di cedere Rai Way, è vero che si predispose un contratto per cedere il 49 per 100, ma evidentemente a Vittorio Emiliani e ad altri – ma non al ministro delle comunicazioni dell'epoca – era sfuggito che c'erano delle clausole e dei patti parasociali che vincolavano una serie di decisioni non alla maggioranza, come sarebbe stato normale, ma ad un quorum del 60-70 per 100 degli azionisti, così la Crown Castle comprando il 49 per 100, avrebbe avuto il controllo della società, tant’è vero che poi la decisione presa dal ministro e dal Governo dell'epoca fu confermata da una sentenza del TAR che respinse il ricorso di Emiliani ed altri, che non avevano vigilato compiendo a mio avviso anche atti illeciti su cui non so perché la magistratura non abbia indagato perché c'era stato un chiaro danno all'azienda, e non so se erano in buona o mala fede. Come sarà la procedura di cessione di quote di Rai Way ? Sarà una quota di minoranza, sarà il controllo ? Il consiglio d'amministrazione sa bene quanto sia strategica la rete di trasmissione, quale sia il suo valore, anche in sinergia con la telefonia e con le moderne telecomunicazioni. I quesiti sono dunque questi: con questo intervento c’è un impoverimento del settore radiotelevisivo ? c’è il rispetto della tassa di scopo ? c’è da parte vostra una attenzione, non come quella di Vittorio Emiliani e non come quella della Banca d'Italia per il Monte dei Paschi di Siena e Carige, su quelle che saranno le decisioni sul Rai Way ? una quota di minoranza si può anche cedere.
  Per quanto riguarda gli sprechi, essi vanno combattuti: sul mercato le star e gli artisti hanno le loro quotazione, e non possono rientrare nei famosi 240 mila euro, sempre che giustifichino gli ingaggi. Per quanto concerne le sedi regionali, non c’è dubbio che per le sedi di palazzo Labia a Venezia, di Firenze e di Cosenza, con molti meno metri quadrati si possa rispettare il dovere che ritengo vada confermato dell'informazione locale. Ci sono dei piani ? Sull'immobiliare non si può dalla sera alla mattina apporre un cartello «vendesi» perché poi si finisce per svendere: non so se il Governo sia informato dell'esistenza di una crisi del settore immobiliare. La necessaria revisione delle presenze non vuol dire che se uno deve stare Firenze ci deve stare in un palazzo gigantesco... avete un piano, avete delle idee riguardo a una diversa dislocazione sul territorio della Rai compatibile con un programma di dismissioni, di riallocazione e di risparmi ?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio ringraziare innanzitutto la presidente Tarantola per la relazione odierna e anche per una dichiarazione che ho ascoltato per radio qualche giorno fa e pronunciata credo al festival dell'economia di Trento, nella quale, sollecitata su un giudizio rispetto al decreto n. 66, ha rimandato all'audizione odierna non per reticenza, ma per sensibilità istituzionale rispetto lavoro di questa Commissione. La ringrazio per questa sensibilità anche perché credo che anche l'audizione di oggi, confermi l'utilità di questo ciclo auditivo, dato che nel corso delle audizioni che abbiamo svolto fino ad oggi, inclusa evidentemente anche questa – per le comunicazioni del presidente e per le considerazioni svolte finora dai colleghi – penso si siano fatti passi avanti. Voglio ricordare che il primo passo avanti è stato compiuto sin dalla prima audizione, quella del vice ministro Morando, in cui lo stesso aveva assunto un impegno, ossia quello di esentare Pag. 14la Rai dall'applicazione dell'articolo 20 del decreto-legge, quello concernente il concorso delle società partecipate in ragione del 2,5 o del 4 per 100 sul 2015 e di un intervento anche rispetto alle sedi regionali, dove nel testo uscito dalla Commissione competente, è garantita l'informazione regionale e locale, consentendo all'azienda l'autonomia sulle scelte di gestione amministrativa. Un impegno quindi assunto proprio in questa Commissione e mantenuto nel corso del processo di conversione finora realizzato; i senatori Margiotta e Fornaro potranno poi ritornare su questi aspetti, visto che hanno seguito il percorso da vicino.
  Nella seconda audizione, quella del direttore generale, dove è stato richiamato il quadro complessivo della situazione che ha ricordato anche la presidente Tarantola, mi sembra che, tra le tante cose dette e le cose che sono state trasferite all'esterno di quella audizione – comprensibile la preoccupazione in un momento delicato come questo – la notizia emersa sia stata quando il direttore generale, parlando dell'operazione Rai Way affermò, e cito le parole testuali, «essere una operazione fattibile entro fine anno». A me sembrava che quella fosse la notizia dell'audizione del direttore Gubitosi: quindi l'operazione su Rai Way, è giusto ricordarlo, riguarda la cessione di quote di minoranza, il che significa mantenimento del controllo pubblico su Rai Way. Nell'audizione credo ci fosse anche la suggestione su una operazione che può diventare di sistema, perché il riferimento fatto dal direttore generale per similitudine al ruolo di Terna evoca la possibilità di fare appunto un'operazione di sistema più complessiva come è successo in altri paesi europei. Soprattutto quella dichiarazione secondo cui l'operazione di Rai Way sarebbe fattibile entro fine anno, mi sembra significhi che probabilmente questa operazione riassorba nella sua quasi totalità la questione dei centocinquanta milioni di euro e consenta quindi all'azienda di procedere in maniera ordinata sulla strada richiamata anche qui dal presidente Tarantola di revisione della spesa, che riguarda tutta la pubblica amministrazione e a cui è chiamata anche la Rai a concorrere come le altre strutture della pubblica amministrazione. Revisione della spesa facendo efficienza e risparmi, salvaguardando gli investimenti e il capitale umano. Allora il decreto-legge in questione può davvero diventare l'occasione per parlare della vera urgenza della Rai, che era anche nelle parole della presidente Tarantola, ossia la necessità di un cambiamento profondo della Rai. Credo che dunque l'anticipo della concessione da questo punto di vista sia la questione su cui concentrarsi: già in questa Commissione nel confronto con l'allora vice ministro Catricalà chiedevamo di far partire subito la consultazione. Oggi, a fronte delle dichiarazioni del sottosegretario Giacomelli, che ritiene essere possibile anticipare la concessione, rispondiamo che siamo pronti e che ci stiamo: questa la strada da percorrere. Credo che sia l'occasione per affrontare una discussione sul futuro non solo della Rai, sul futuro del servizio pubblico: questo significa, oltre l'anticipo della concessione, una necessaria riforma della governance. L'abbiamo sempre detto in questa Commissione, e noi del Partito Democratico siamo stati quelli che hanno presentato una proposta di legge nella scorsa legislatura in termini di riforma della governance. Di più: deve essere l'occasione per una riforma di sistema, superando la legge Gasparri. Non me ne voglia il senatore Gasparri il quale negli interventi prende sempre di punta chiunque la critichi: essendo però quella una fotografia statica del duopolio, con tutte le storture che lo caratterizzavano, è evidente che nel momento in cui si anticipa la concessione e si guarda a una riforma della governance, è necessario una riforma di sistema, quindi anche della legge Gasparri. Sinceramente credo che il passo avanti di questo audizione possa essere nelle suggestioni del presidente Tarantola, di aver messo al centro il concetto di cosa sia servizio pubblico, l'ultima parte della sua relazione con lo Pag. 15stimolo in questa direzione. Lo dico anche rispetto a tutte le legittime preoccupazioni, da ultima anche quelle richiamate dal senatore Gasparri, in merito alla lettera che abbiamo ricevuto ieri per conoscenza e che l'EBU ha mandato al Presidente della Repubblica e anche al presidente Fico. Presidente, come lei sa, da parte nostra c’è il massimo rispetto nei confronti dell'EBU: credo che ci sia stata una collaborazione molto utile tra questa Commissione e l'EBU con l'audizione che allora facemmo in merito al contratto di servizio, per cui piena disponibilità – ho visto che nella lettera l'EBU fa riferimento alla possibilità di una audizione – ad audire l'EBU. C’è un punto nella lettera che secondo me c'entra con le considerazioni che finora ho svolto e vede utile richiamare in questa discussione, rimandando poi alla discussione più complessiva, quando il direttore Deltenre scrive in un passaggio, che non si può ridurre il finanziamento se prima non si è rivista la missione e/o l'organizzazione, cosa che non è avvenuta precisamente con il decreto legge n. 66. Credo che il punto sia questo: è centrale l'anticipo della concessione. Questo è il passo in avanti che possiamo fare ed è utile fare, complessivamente. Legata a questo argomento è la riflessione sul canone: più volte è stato sollevato in questa Commissione, anche dal commissario Marazziti, che è intervenuto in maniera puntuale anche avanzando proposte. Credo che le dichiarazioni del sottosegretario Giacomelli su questa materia siano assolutamente utili e penso che quando potremmo svolgere la sua audizione, essa ci consentirà di fare un passo in avanti comprendendo quali siano le proposte. Sono convinto che in materia di canone l'urgenza sia quella del recupero dell'evasione, perché l'obiettivo deve essere quello della sua riduzione. Credo altresì che debba essere modulato per fasce di reddito però è evidente che l'obiettivo sia il recupero dell'evasione e una sua parziale riduzione. Su questo e sulle suggestioni del presidente Tarantola, siamo pronti anzi prontissimi a utilizzare l'occasione offerta dal decreto legge n. 66 e dalla discussione che stiamo svolgendo in questa Commissione affinché tutti quanti possiamo compiere un passo innanzi.

  ALBERTO AIROLA. Agli stakeholder, cioè i soggetti interessati, in primis i cittadini, farebbe molto piacere partecipare per definire quello che sarà la Rai, visto che soldi sono prevalentemente dei cittadini, visto che né a noi come Movimento Cinque Stelle né ai cittadini sicuramente piace la Rai così come è adesso. Il problema che ci troviamo ad affrontare sia politicamente sia nell'azienda Rai è che questa possibilità di pensare insieme un punto di arrivo con un programma organico e strategico, è preclusa ai cittadini, è preclusa agli stakeholder. Stamattina abbiamo saputo che sul decreto legge n. 66 si porrà la fiducia: quindi sono vanificati i nostri emendamenti presentati per discutere la questione dei centocinquanta milioni di euro che – ripeto a lei, presidente, quello che ho già detto al direttore Gubitosi – costituisce indubbiamente una chiave per andarsi a prendere le antenne della Rai, e non andare a fare risparmi altrove – centocinquanta milioni di euro sono una cifra esigua a fronte comunque, riconosco, e a maggior ragione, delle spese sostenute dalla Rai, quelle che citavamo prima, ovvero relative all'ammodernamento tecnologico. Ammodernamento tecnologico che comporta una ricchezza di base che adesso viene in parte venduta, sebbene in quota minoritaria. Noi questo non lo gradiremmo se prima non c’è nemmeno un'idea di cosa la Rai debba diventare in futuro, visto che il sottosegretario Giacomelli ha detto al Tg che si deve anticipare la concessione. Abbiamo impiegato più di un anno a predisporre un parere sul contratto di servizio: immagino che il dibattito su quello che deve diventare la Rai richieda molto tempo, anticiparlo ci fa prevedere uno scenario molto drammatico e inquietante alla luce delle numerose eccezioni di costituzionalità sollevate da questa deviazione dei soldi del canone. La domanda clou di questo mio Pag. 16intervento consiste proprio nel sapere come si voglia comportare il consiglio di amministrazione nei confronti di queste eventuali impugnazioni. Ci troviamo con una concessione che può essere rinnovata domani, senza nessuna discussione pubblica, importantissima su cosa deve essere la Rai con un bisogno immediato di fare cassa con una cifra che si potrebbe recuperare tranquillamente mediante una spending review fatte con intelligenza. Purtroppo anche la Rai in questi mesi ci ha impedito – e mi rivolgo a voi – di fare trasparenza, compito che spettava a voi insieme al direttore generale, e questo purtroppo non è mai avvenuto, almeno non nei termini in cui il Movimento Cinque Stelle ha richiesto fin dal nostro primo incontro: ricordo il consigliere di amministrazione Pilati che accennò alle cosiddette happy five in materia di fiction su cui poi chiedemmo un po’ di trasparenza alla dottoressa Andreatta. Si tratta di un esempio per dire che avremmo voluto più trasparenza per permettere più partecipazione in questo processo che adesso ci troviamo di colpo di fronte: non sappiamo, a detta del direttore generale, come il nuovo piano industriale andrà a configurare per esempio l'informazione. Non sappiamo nulla di Rai Parlamento. Abbiamo ricevuto numerose segnalazioni secondo cui le antenne potranno essere utilizzate per produrre ricchezza, perché possano essere utilizzate per molti altri scopi e servizi. Ci domandiamo se non sia venuto ormai momento di far partecipare i soggetti interessati: sono già state fatte proposte su cosa dovrà essere la Rai. Possiamo andare a rivedere le sedi regionali, ma nell'ambito di un quadro, nella cui assenza si tratta solo di un saccheggio.

  SALVATORE MARGIOTTA. Sarò brevissimo, aiutato in questo dall'intervento di sistema del capogruppo, per cui andrò per flash ponendo cioè domande, come è giusto che si faccia durante una audizione. Intanto – lo richiamava l'onorevole Peluffo – penso che il lavoro fatto in Parlamento di concerto con il Governo migliori fortemente il testo del decreto. In particolare, vi sono due conquiste importanti: la prima consiste nella esenzione dall'articolo 20, per quanto riguarda la Rai, la seconda concerne le sedi regionali, e per una volta concordo con il senatore Rossi, essendo stato io il primo firmatario insieme al collega Fornaro dell'emendamento recepito dal Governo. In ogni regione, intendiamo dire, ci deve essere una redazione giornalistica, quindi la presenza di giornalisti, lasciando alla azienda totale libertà di comprendere se vi siano inefficienze e sprechi da colpire: dunque non una conservazione sic et simpliciter ma soltanto la garanzia che l'informazione locale si faccia mediante giornalisti che siano presenti in loco. Sotto questo profilo ritengo, anche in vista dei miglioramenti prima citati, che sia sbagliato lo sciopero indetto dalle sigle sindacali: immagino, e scommetterei, sul fatto che molte delle sigle non vorranno partecipare allo sciopero e forse rimarranno solo quelle più intransigenti, secondo me commettendo un grave errore. Per quanto riguarda l'anticipo della concessione, lo diceva poc'anzi l'onorevole Peluffo, voglio solo sottolineare una grande novità: è vero che se ne era più volte parlato, ma è anche vero che Catricalà qui ci disse che il Governo non intendeva assumere iniziativa, lasciandola alle sedi parlamentari. Questa volta il Governo ci dice invece che sta lavorando a un disegno di legge, ed è evidente che il rinnovo della concessione non può essere una legge composta di un solo articolo che preveda appunto il rinnovo: deve essere quella la sede nella quale si riorganizza l'intero sistema Rai.
  Ciò detto, vengo alle domande flash. Alla presidente: abbiamo molto apprezzato la lettera con la quale la presidente, apprezzando a sua volta il nostro lungo lavoro sul contratto di servizio, diceva che la Rai ne avrebbe ovviamente tenuto conto. In essa diceva altresì, credo legittimamente, che il nuovo contratto di servizio andasse visto ed esaminato alla luce delle previsioni dei tagli apportati dal decreto legge n. 66: la domanda è in quali tempi la Rai ritiene di potere arrivare insieme al Governo alla sigla Pag. 17definitiva di questo nuovo contratto di servizio, anche per dare la giusta importanza al lavoro che per mesi abbiamo svolto in questa Commissione.
  Al consigliere Pilati, di cui ho molto apprezzato due articoli usciti rispettivamente sul «Foglio», e, questa mattina, su «Repubblica», sebbene capisco bene che il titolo sia sbagliato, non illudendomi che egli sia passato dall'altra parte, chiederei tre questioni: la prima concerne Rai Way. Il capogruppo Peluffo ha svolto considerazioni molto sistematiche su cosa significhi vendere o, come ha detto con maggiore precisione il direttore generale in questa sede, collocare quote di minoranza di una azienda come Rai Way. Chiedo al consigliere Pilati che cosa si aspetta da questa vendita, non solo in termini di cifre – anch'io scommetto con il direttore che avremmo cifre ben superiori a quelle che circolano sui giornali – ma soprattutto gli chiedo cosa si aspetta come nuovo assetto, su chi potrebbe essere interessato a tale acquisto, per cosa e che cosa ne può venire fuori, e come si possa utilizzare questa occasione. Per quanto riguarda la fiction, lo stesso consigliere Pilati è stato già citato dal senatore Airola: a me ovviamente interessa molto il ragionamento sulla trasparenza, ma interessa anche che due punti di eccellenza dell'azienda, la fiction e Rai Cinema – il Grand prix di Cannes è stato l'ultimo esempio, il penultimo la Biennale di Venezia – non siano costrette a soffrire, o almeno non soffrano troppo, per queste contrazioni dei finanziamenti. Credo che la Rai, e in questo si giustifica ancora di più l'idea del servizio pubblico, debba continuare a produrre cultura e lo faccia attraverso queste due strutture principalmente, oltre che con tutto il resto. Mi piacerebbe chiedere anche qualche informazione sugli appalti e le esternalizzazioni, ma dire troppe cose. Alla consigliera Todini, manager anche molto attenta alle tematiche dell'informazione, chiedo se a suo parere non sia giusto rivedere, come abbiamo detto, il sistema dell'informazione quale oggi vige in Rai: troppe testate giornalistiche, qualche spreco, il ruolo di Rainews in questo sistema. Una delle prime sfide che già questo consiglio di amministrazione potrebbe cogliere è esattamente quello di capire se si possa fare un'informazione migliore risparmiando.

  AUGUSTO MINZOLINI. Sarò brevissimo, anche perché non mi sarei mai aspettato di stare qui a difendere la Rai, visto che in passato abbiamo avuto dei diverbi: fa sorridere perché immagino, anche rispetto al discorso del senatore Margiotta rivolto al consigliere, che evidentemente il mondo cambia, perché se le iniziative assunte da questo Governo ne avesse assunte un altro, a quest'ora non so dove staremmo, avremmo qui sotto cartelloni, megafoni e chi sa che altro. Dico subito che l'approccio sbagliato per affrontare una questione come quella della Rai, cioè di una azienda che sta sul mercato, è la demagogia, e per me ce n’è stata molta in tutta questa vicenda, nel senso che parlare male della Rai, nell'opinione pubblica e nell'immaginario collettivo, fa bene a chi ne parla male, almeno dal punto di vista elettorale. Aver affrontato la questione in una fase elettorale, secondo me è già un modo per partire con il piede sbagliato perché è stato un assurdo. La presidente, che ha svolto un'ottima relazione, ne sa più di me: immaginare di togliere centocinquanta milioni di euro a una azienda nella seconda metà dell'anno, significa toglierne 300, cioè esattamente la metà del canone. In una fase in cui sussiste la questione dei diritti sportivi, che si pone alla Rai ogni anno pari, con il problema del canone che non viene di fatto riscosso come si dovrebbe, credo che ci sia un rischio enorme che questa azienda, con i 160 milioni di euro di rosso che dovrebbe avere in autunno, potrebbe andare nei guai. Pertanto o c’è un minimo di riflessione su questo, passata la campagna elettorale, e si ragiona, altrimenti continueremo soltanto a parlare, creando grossi problemi in futuro. Toglierei tutte le questioni che concernono il partito Rai e il partito non Rai: la Rai è un bene per questo paese, non si può immaginare di Pag. 18poter farne a meno. Si può risparmiare, ma a quello è un altro discorso, come può risparmiare tutta la pubblica amministrazione, anche in modo pesante, però non si può immaginare di farlo dall'oggi al domani, dopo aver criticato non si sa per quanto tempo i tagli lineari di Tremonti, perché di fatto oggi stiamo applicando solo sulla Rai i tagli lineari di Tremonti. Quando l'onorevole Peluffo si riferisce al fatto che non lo stia facendo il resto della pubblica amministrazione, si tratta di un'altra cosa, in quanto la pubblica amministrazione non è sul mercato. Quando si fa il discorso sugli ascolti, andiamoci cauti, siamo in piena rivoluzione digitale: stiamo preparando i contenitori del domani, per cui probabilmente Rai 1 piano piano scenderà e aumenteranno gli altri. Non avere tutti questi contenitori intorno significa perdere quote di mercato. Occorre che ci si debba riflettere un attimo, perché le campagne elettorali passano ma nel frattempo le aziende le uccidi e non si riesce più a tirarle fuori. Ci deve dunque essere una maggiore responsabilità dell'azienda perché ci sono sacche di risparmio, senza però avere questa specie di fiato sul collo che rischia di portare a fare degli errori, e quando parlo di errori parlo di Rai Way. Vorrei sapere qual è quella azienda che viene spinta a vendere il proprio patrimonio, suggestivo e interessante, avendo fretta, perché una cosa del genere già interviene sul mercato, perché se si sapesse che il direttore generale deve risolvere questo problema entro il 31 dicembre, il potenziale acquirente si giocherebbe la partita in modo diverso da quella che si avrebbe in altre circostanze. Stiamo tutti ritornando sul passato, ma io eviterei: io direi che o stiamo attenti oppure tutto quello che sta avvenendo – mi rivolgo anche ad altri consiglieri che non mi sono vicini – porterebbero al rischio che facendo una operazione di questo tipo, si silura il servizio pubblico e poi, visto che c’è una nuova dislocazione dei grandi gruppi editoriali, si creano le premesse per cui pezzi di Rai, ora Rai Way e domani qualche altra cosa, vadano da una altra parte. Attenzione perché questa è una partita importante.
  Una piccola curiosità, perché all'epoca non c'ero. Ho letto che Gubitosi ha detto che la precedente consiliatura approvò un piano industriale che prevedeva, con modalità diverse, la vendita di Rai Way: vorrei sapere se questo corrisponda al vero, lo chiedo a Verro o a chi c'era. Mi interessa perché vorrei sapere perché in questa circostanza non si è venduto, partendo dal presupposto che allora in ogni caso ci fu una lunga riflessione che portò alla non vendita: vorrei che la stessa riflessione che portò alla non vendita, ci sia anche adesso e ci sia una riflessione che punti a evitare un taglio oggi che potrebbe provocare un domani ben altre spese per le finanze pubbliche visto che un servizio pubblico dovremmo comunque averlo.

  GENNARO MIGLIORE. In primo luogo considero questa discussione necessaria e per certi versi tardiva perché da troppo tempo dobbiamo affrontare il tema del rinnovamento complessivo della Rai, intesa come garanzia di efficace strumento per la produzione del servizio pubblico radiotelevisivo soprattutto in un quadro innovato e devoluto di media broadcaster. In questo senso intendo porre delle domande piuttosto precise, e ringrazio la presidente per la sua introduzione, relativamente ad alcune questioni che si sono affacciate nel dibattito. La prima è se il consiglio di amministrazione sta valutando l'ipotesi, sollevata in particolare dal costituzionalista Pace, ma non solo, di una responsabilità diretta in termini patrimoniali in relazione al taglio previsto e alla destinazione differente di una quota del canone, sebbene una tantum, rispetto a quelle che sono le finalità direttamente concepite dalla tassa di scopo medesimo. La questione successiva, e qui mi rivolgo al presidente, è se non sia il caso, come richiamato da altri colleghi, di audire ancora una volta l'EBU e quindi la direttrice Deltenre. La terza questione riguarda il fatto che probabilmente dovremo chiedere Pag. 19al Governo di avviare subito un disegno di legge per la riforma complessiva della Rai che preveda anche la riforma della governance: mi sembra evidente che questa richiesta avanzata, che, ripeto, ha il pregio di aprire una discussione sulle effettiva organizzazione e funzione del servizio pubblico, riguardi anche il fatto che vengono fatte richieste con una modalità tipica di taglio lineare che però vanno nella direzione di intervenire sull'alienazione di una parte patrimoniale, in particolare in questo caso di Rai Way, sebbene di una quota di minoranza. Probabilmente va dunque modificato il sistema complessivo della governance, e anche l'assetto proprietario relativo alla Rai per quanto riguarda la disponibilità delle strutture anche rispetto a quello che deve essere dal punto di vista dello Stato e del Governo che in questo caso amministra, anche la funzione di servizio rispetto a tutti gli operatori radiotelevisivi. In questo senso considero che ci sia stata una forte strumentalizzazione e anche un allarme ingiustificato rispetto ad alcune vicende che riguardavano il taglio dei centocinquanta milioni perché per lungo tempo, e qui mi rivolgo anche al consiglio di amministrazione che dal mio punto di vista non ha fugato per tempo questa apertura di discussione, è stato individuato in pratica uno spettro amplissimo di tagli possibili mettendo in fibrillazione tutti i settori della Rai: si diceva che si sarebbero presi dalla fiction, da Rai Cinema, delle sedi regionali, da Rai Way. Ciò probabilmente dipende anche da una carenza di comunicazione da parte con l'azionista, e che dal mio punto di vista deve essere sanata: per questo motivo ritengo che sia importante avviare una celere ridiscussione nonché una abolizione, cosa che io richiedo da molto tempo, della legge Gasparri che ha determinato una serie di problemi che sono sotto gli occhi di tutti, per cercare di comprendere come questo risparmio, che pure è una tantum, possa essere ottenuto attraverso una diversa organizzazione della società. Per quanto riguarda il passaggio del decreto, considero anch'io fondamentale che il Governo intervenga con un altro atto che determini questo passaggio non attraverso semplicemente un taglio lineare, ma con una discussione più generale sul destino della azienda.

  FEDERICO FORNARO. Inizio con un ringraziamento non formale alla presidente Tarantola per la relazione. Credo che in questa sede debba essere dato un giudizio assolutamente positivo sul comportamento del consiglio di amministrazione sulle azioni intraprese, ineccepibili dal punto di vista del diritto societario, rispetto allo scenario che potrebbe essere generato dal decreto n. 66. Avendo seguito il provvedimento in Commissione finanze, mi limito a segnalare, lo hanno già fatto i colleghi, alcune modificazioni significative rispetto alla stesura originaria. Non si tratta soltanto dell'articolo 20, ovvero l'esclusione della Rai dai tagli previsti per le società partecipate. Credo anche che sia stato importante avere avuto un ulteriore chiarimento sia in questa sede ma anche in sede di Commissione finanze da parte del Governo, che il taglio di centocinquanta milioni riguardi solo il 2014. Cosa diversa sarebbe stato ovviamente un taglio strutturale, ripetuto negli anni successivi. Un ulteriore elemento: nell'emendamento approvato dalle Commissioni riunite, che farà parte del maxiemendamento che verrà presentato dal Governo e che ovviamente non ripropone il vecchio testo ma ripropone il testo alla luce del lavoro fatto in Commissione, quindi tutto il lavoro svolto in Commissione sugli emendamenti non è stato buttato via, viene espressamente stabilito, tra le possibilità date alla Rai, cito testualmente, che «la società può procedere alla cessione sul mercato con modalità trasparenti e non discriminatorie di quote di Rai Way». Viene cioè individuata la vendita di una quota di minoranza di Rai Way come uno degli asset vendibili per rispettare il taglio dei centocinquanta milioni. Arrivo alla domanda. Chiedo se, rispetto alle questioni poste e alle preoccupazioni legate al bilancio e al capitale sociale, a questo punto potenzialmente insufficiente, il consiglio di amministrazione Pag. 20ritiene che la vendita di quote di minoranza di Rai Way possano essere effettuate nella dimensione dei centocinquanta milioni entro il 31 dicembre 2014 oppure no. Quindi la domanda è: quale mandato sia stato dato all’advisor individuato e quindi, se la soluzione sia quella della quotazione in borsa per la vendita di una quota di minoranza, oppure se sia stato dato un mandato più ampio all’advisor che preveda l'eventuale ricerca di un socio istituzionale, tanto per fare un esempio, la Cassa depositi e prestiti, sulla falsariga di altre società che gestiscono reti, perché ovviamente, anche rispetto ai tempi, questo potrebbe essere importante. Chiudo invitando il presidente ad approfondire la questione delle dichiarazioni fatte da esponenti del Governo, in particolare la richiesta di sollecitare nuovamente l'audizione del sottosegretario Giacomelli, rispetto al tema del recupero dell'evasione. Sono state infatti preannunciate iniziative importanti, in qualche modo anche innovative per il 2015: crede che questo possa essere un terreno importante per avere risorse anche sulla base del principio dell'equità con l'obiettivo finale di pagare meno il canone, ma pagato da tutti.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda la sua richiesta, senatore Fornaro, i contatti sono stati avviati da tempo, ma non si riesce ancora a trovare una data in cui il sottosegretario sia disponibile.

  GIAN MARCO CENTINAIO. Anzitutto ringrazio la presidente e il consiglio di amministrazione per questo momento di confronto, anche perché comprendo cosa significhi lavorare per una azienda in una circostanza del genere dove già, a causa del canone, la Rai non è che sia vista benissimo dall'opinione pubblica, in secondo luogo se l'azionista di maggioranza ci mette del suo, sia piuttosto stressante. Faccio una breve cronistoria anche per far comprendere che messaggio arrivi al cittadino normale e non a chi si occupa di politica e a chi segue la Rai. Un giorno propongono di inserire il canone nella bolletta elettrica, con conseguente rivoluzione da parte dell'associazione di consumatori; qualche giorno dopo il Presidente del Consiglio, preso da euforia preelettorale, in un'intervista dichiara che si potrebbe togliere il canone, tra gli evviva della Lega che riteneva che il Presidente Renzi fosse diventato leghista, ma qualche giorno dopo il suo ministro Del Rio afferma trattarsi di boutade elettorale, ritenendo che si dovesse ritornare al discorso della bolletta. A metà anno, cioè adesso, decidono di fare un taglio di centocinquanta milioni di euro su quanto arriverà alla Rai in termini di canone. Oggi parliamo di anticipare la convenzione: comprendete che agli occhi del senatore Centinaio, poco esperto, ma anche della casalinga di Voghera, c’è tutto, tranne che programmazione: già questo mostra un'azienda in cui c’è certamente qualcosa che non va, sebbene capisca la difficoltà, presidente, detto molto onestamente. Partiamo dal taglio: da direttore commerciale della mia azienda, se il mio proprietario avesse effettuato a metà anno un taglio così importante, mantenendo quasi intatti gli obiettivi, gli avrei detto se stessimo scherzando, pretendendo l'apertura di un dibattito, cercando di farlo recedere e di fargli cambiare idea. Il direttore Gubitosi ha affermato, anche in una intervista, che lui il presidente Renzi non lo ho mai visto: quello che vi chiedo è se avete cercato in tutti i modi di far sì che questo taglio non venisse praticato ?
  Il collega Peluffo ci dice che questa potrebbe essere una occasione per aprire un dibattito: ha ragione Airola. Noi il dibattito lo volevamo fare, ma in Senato – anche se, ahimè, il nostro Presidente del Consiglio ne ha già cantato il de profundis, ma fino a prova contraria siamo in una Repubblica bicamerale – pare, lo sapremo tra qualche ora, che tornerà ancora la Boschi, perché ormai lei è la «valletta» della fiducia, che chiederanno la fiducia, quindi dibattito annullato, quindi mi chiedo su cosa discutiamo, quale dibattito apriamo. Arriveranno, Pag. 21metteranno la fiducia, si vota e andiamo a casa: anche in questo caso ne parleremo forse più avanti.
  Per quanto riguarda il discorso delle sedi decentrate, siamo d'accordo sulla razionalizzazione e sul taglio degli sprechi, ma non siamo d'accordo sui tagli delle sedi decentrate: a questo punto la domanda che ci si pone è: non si potevano fare prima ? Abbiamo dovuto attendere questo taglio di centocinquanta milioni di euro per razionalizzare le sedi decentrate ? Se nelle sedi decentrate ci sono degli sprechi, perché non si è fatto prima, abbiamo dovuto aspettare che Presidente Renzi tagliasse centocinquanta milioni di euro ? Mi sembra allora che quando qualcuno dice che in Rai ci sono delle ampie aree di miglioramento, allora forse ha ragione.
  Per quanto riguarda il discorso su Rai Way, si cerca di vendere una parte dell'azienda senza compiere tagli gestionali. La domanda che ci si pone è: se l'anno prossimo il Presidente Renzi tornasse alla carica con gli 80 euro al mese ai cittadini italiani, visto che si tratta di soldi spalmati su tutto l'anno e avrà bisogno di più risorse rispetto ad esso – non prendiamoci in giro – quali altri soldi si andranno prendere, dove si andrà a raschiare il barile ? La domanda è fondamentale, dobbiamo capirlo: se c’è un progetto a medio-lungo termine, che almeno ragioni su due anni, non solamente sul maggio 2014, per vincere le elezioni.
  Per quanto riguarda il discorso sul canone e la tassa di scopo, ne ha parlato benissimo e meglio di me il collega Gasparri, appongo anch'io la stessa domanda. Se io, cittadino italiano, pago il canone perché voglio vedere determinate trasmissioni e voglio che la Rai sia efficiente, non deve servire per pagare gli 80 euro, deve andare in quella direzione, a pagare la Rai e non le promesse elettorali del Presidente Renzi. Le promesse elettorali del Presidente Renzi devono essere pagate con altro, tagliando altrove perché se no si va a tagliare la programmazione culturale: il direttore Gubitosi è venuto da noi affermando che si toglieranno le fiction, non me lo sono inventato io, quindi chiederemo al Presidente Renzi di andare lui a fare l'attore delle fiction, visto che ormai fa tutto.
  Concludendo, chiediamo al presidente di trovare altri modi per recuperare questi fondi: capisco la sua difficoltà, la capisco benissimo, e forse il mio intervento non dovrebbe essere rivolto a lei ma a quella parte di colleghi che oggi voteranno la fiducia al decreto elettorale Renzi. La capisco e, come vede, una volta tanto non sto attaccando l'azienda, mi metto nei suoi panni e capisco la sua difficoltà, quella dei suoi collaboratori e di tutto il consiglio di amministrazione.

  GENNARO MIGLIORE. Intendo intervenire sull'ordine dei lavori: proprio perché non è del mio partito, sono anche all'opposizione, pertanto la prego di intervenire quando ci sono commenti sessisti, perché, dal mio punto di vista, se non fosse stata una donna ma un uomo, questo commento il senatore Centinaio non l'avrebbe mai fatto.

  GIAN MARCO CENTINAIO. Avrei parlato di maggiordomo, comunque mi scuso con il ministro Boschi.

  RAFFAELE RANUCCI. Al di là del comizio svolto e delle battute sessiste fuori luogo del senatore Centinaio, intendo anzitutto ringraziare veramente la presidente, in primo luogo perché ci ha messo sotto il naso la realtà istituzionale, perché lei ha parlato dell'articolo 2446 del codice civile che scatta a settembre con una perdita, dicendoci dunque quello che potrebbe accadere. In secondo luogo intendo plaudire al suo attaccamento all'azienda, perché penso che sia sempre giusto che il capo di una azienda abbia l'attaccamento che lei oggi ha dimostrato.
  Formulo tre domande molto secche. Per quanto concerne la vendita di Rai Way, se ci rivolgiamo a investitori istituzionali sul mercato, questi ci chiedono un rendimento, se c’è: quindi le quote che saranno messe sul mercato saranno legate al rendimento, e quale è in questo Pag. 22momento il rendimento previsto o attuale di Rai Way ? Altrimenti si dovranno vendere le quote a investitori non istituzionali ma del comparto, e avrebbero pertanto dei ritorni indiretti. La seconda domanda: penso che sia assolutamente giusto un ridimensionamento delle sedi regionali, soprattutto nei costi, ma non la loro abolizione: si è parlato degli immobili. Avete pensato – visto che il collega Gasparri ha detto una cosa giustissima e cioè che è difficile in questo momento andare sul mercato e vendere degli immobili – a un fondo a cui conferire gli immobili delle sedi regionali o altri immobili non più strumentali alla Rai per poterli mettere sul mercato e poterne meglio gestire la redditività ? La terza domanda è molto semplice. Mi sembra che la Rai abbia speso 80 milioni di euro per i diritti dei Mondiali: in questo momento si sono i tagli relativamente alle missioni dei giornalisti per seguire l'evento. Questo, come in altre occasioni, non vi preoccupa che non faccia ritornare l'investimento ? ovvero se si taglia anche la qualità di trasmissioni importanti o di investimenti fatti – possono essere i Mondiali o tantissime altre trasmissioni – sarebbe come vendere una macchina senza le ruote: come vi comporterete pertanto rispetto a investimenti importanti fatti a fronte dei quali ritenete di dovere ridimensionare i costi ?

  PRESIDENTE. Abbiamo dunque chiuso gli interventi dei colleghi. Intendo ribadire il mio pensiero su Rai Way: credo che sia sbagliato vendere quote minoritarie di Rai Way da tutti i punti di vista, anche dal punto di vista delle modalità con cui viene attuata la vendita. Quando si va a questa velocità, credo che alla fine si tratti di una svendita: non parlerei più di quote minoritarie, visto che abbiamo del 49 per 100, ma parlerei di quote di quasi maggioranza, secondo quanto si legge un po’ ovunque. Personalmente la ritengo un'operazione che va in un senso sbagliato e che svende un asset strategico per il nostro paese, da tutti i punti di vista. Secondo me, quando si ha il fiato sul collo i compratori ne beneficiano a danno del venditore. Vedremo i risultati: personalmente è probabile che diventerà una svendita. Presidente Tarantola, siccome nella sua relazione ha parlato anche molto di completezza e correttezza della informazione, le chiedo se secondo lei in Rai abbiamo realizzato tutti i canoni dell'informazione che lei ha letto nella sua relazione, quindi di completezza, di correttezza, di imparzialità e di pluralismo.

  ANNA MARIA TARANTOLA, presidente della Rai. Molte domande sono particolarmente complesse: il senatore Rossi ha presentato ben 7 pagine di domande e gli chiedo cortesemente se sia possibile fornire una risposta scritta, dato che tengo molto alla correttezza e alla precisione. Posso semplicemente ribadire che Rai Way è totalmente controllata dalla Rai, è consolidata nel bilancio Rai e quindi, ancorché sia di fatto formalmente la società che possiede le torri e, se non vado errata, anche le antenne e i trasmettitori, è però di Rai e quindi il compito di coordinamento e di controllo nonché di indirizzo fa capo alla capogruppo e siccome l'informazione che abbiamo avuto dal nostro direttore generale è che si provvederà probabilmente a una quotazione di una quota minoritaria dell'azienda, il consolidamento continuerà a essere effettuato e quindi i compiti di indirizzo, controllo e coordinamento in capo alla capogruppo continueranno anche dopo la quotazione di una quota di minoranza. Sono pienamente d'accordo con lei sulla meritocrazia e credo di poter parlare a nome di tutta la dirigenza e di tutto il consiglio: ed è per questo che è stato avviato un sistema di valutazione delle performance, a cominciare dai dirigenti. Senza un sistema di valutazione è difficile fare una gestione meritocratica: se lei sa che cosa fanno e come la fanno, lei può stabilire una graduazione e prendere delle decisioni meritocratiche. Per il resto mi riservo quindi di fornire una risposta scritta, se lei è d'accordo. Anche il senatore Buemi aveva rafforzato e condiviso Pag. 23le sue richieste e quindi, tramite il presidente, daremo loro adeguate risposte su questi aspetti.
  Per quanto riguarda il senatore Gasparri: abbiamo ricevuto la lettera dell'EBU ieri pomeriggio per conoscenza e l'ho distribuita questa mattina a tutti i consiglieri. Sarà sicuramente oggetto di una analisi in sede consiliare, tra l'altro proprio domani il consiglio è convocato. Per quanto riguarda la modernizzazione, penso di avervi detto che abbiamo iniziato questo percorso di modernizzazione: certamente si può ritenere che non sia sufficientemente veloce o ampio, su questo possiamo parlare. Abbiamo provato a farlo, partendo da una seria analisi, perché ogni iniziativa va fatta partendo da una analisi. Per esempio il processo di digitalizzazione: la cosa strana in Rai è che il digitale terrestre è stato fatto – non sono un'esperta, perdonerete le inesattezze – la trasmissione dei segnali avviene attraverso il digitale terrestre, in seguito al passaggio dall'analogico al digitale. Quando siamo andati in visita a Saxa Rubra nel settembre del 2012 insieme al direttore generale, abbiamo visto che in particolare il Tg2, che ci veniva raccontato come già digitalizzati, vedemmo una enorme quantità di videocassette: alla mia domanda su cosa fossero, mi venne spiegato che il segnale arrivava in digitale, ma la trasmissione in video, cioè quello che vede il cittadino, era ancora in analogico, quindi il segnale digitale veniva rimesso in analogico nella cassetta, e questa negli strumenti necessari affinché in analogico arrivasse a tutti i cittadini che guardavano la programmazione Rai. La scelta che venne subito adottata dal direttore generale e pienamente condivisa da me, fu che da settembre a dicembre avremmo dovuto mettere in digitale la trasmissione del Tg 2: investimmo una bella cifra, risparmiando in altri settori. Le assicuro senatore, stiamo risparmiando, magari non quanto lei pretenderebbe ! Siamo riusciti dunque a far sì che il 31 dicembre i cittadini potessero vedere il Tg2 digitalizzato, risparmiando dunque in altri settori, perché da settembre in poi non avevamo fonti alternative, tra l'altro in un anno in cui la pubblicità scendeva del 16 per cento. Adesso, come vi ho detto, abbiamo digitalizzato anche il Tg3 e il Tg1. Stiamo facendo la digitalizzazione anche sulle Teche, sui processi interni: pensate che non dialogavano ! se lei si trova a gestire un'azienda in cui i processi non dialogano tra loro e quindi le informazioni non sono condivise da tutti, non sono costruiti nello stesso modo, con gli stessi principi, con gli stessi sistemi, è difficilissimo avere un quadro dell'azienda ! È un investimento fondamentale per potere gestire correttamente un'azienda, ed è quello che abbiamo fatto.
  Sono pienamente d'accordo sul fatto che gli sprechi vadano combattuti: c’è una grossa diatriba su cosa si intenda per spreco. Per inclinazione personale, devo capire bene prima di affrontare qualsiasi problema, come si declina e da dove nasce. Soltanto in quel modo si riesce poi a intervenire. Si parla tantissimo, e non voglio adesso entrare in polemica, dei compensi: è vero. Come posso intervenire su un compenso ? A contratto scaduto: moltissimi contratti all'interno di Rai sono a media-lunga durata. Pensate se si dovesse intervenire su contratti che non sono in scadenza, quanti ricorsi e azioni si dovrebbero affrontare ! La linea è stata che via via che vengono a scadenza, i contratti si rinnovano con una riduzione che va dal 10 al 20 per cento, commisurata anche al rendimento. Altrimenti 85 milioni di risparmi in un anno non li avremmo fatti. Quando parlo con i miei alter ego delle altre grandi emittenti pubbliche, compreso BBC, e dico che abbiamo risparmiato 85 milioni di euro, rimangono veramente impressionati, non è poco ! Ho studiato la BBC a lungo, è un mito per noi, sono meglio di noi, ma non sono perfetti neppure loro, i problemi dei compensi ce li hanno anche loro, sono sottoposti a una grossa pressione, a critiche molto aspre. Quando si parlò dei compensi di certi conduttori, mi sono informato: anche loro hanno pochi conduttori, Pag. 24che chiamano persone che «illuminano il palinsesto» e che apparentemente hanno compensi molto elevati ma anche la forza di attrarre l'audience su quel programma e quindi su tutto il contorno, e sono pagati molto di più che da noi. Quando parlo di problemi comuni significa che tutti ci stiamo lavorando. Credo che nessun componente di questo consiglio venga a dire che non ci sono possibilità di razionalizzazione e di miglioramento, ma nello stesso tempo stiamo dicendo che vogliamo affrontare questi problemi: questo messaggio vorremmo dare.
  Per quanto riguarda le sedi regionali, c’è un cantiere nel piano strategico 2013-2015 che riguarda proprio i due temi che il senatore Gasparri e altri commissari hanno sollevato: sedi regionali e immobili. Sono due cantieri che dovrebbero darci delle indicazioni su cosa si possa fare per razionalizzare, mantenendo l'informazione territoriale – che credo che sia veramente, come avete detto voi, un fatto distintivo del servizio pubblico rispetto agli emittenti privati – senza che ciò tuttavia significhi che debbano continuare a fare le stesse cose che fanno oggi. Questo specifico cantiere dunque serve per stabilire cosa si debba fare per fare in modo che la presenza sul territorio sia efficace sul fronte dell'informazione locale ma nello stesso tempo venga svolta al minor costo possibile. Analogamente c’è un cantiere trasversale, che riguarda dunque anche le sedi regionali ma non solo, e tocca proprio l'aspetto degli immobili: nel piano strategico e nello stesso budget di quest'anno 2014 erano previsti 30 milioni di introiti per effetto della vendita di questi immobili. Il consiglio dunque approvò un budget annuale che prevedeva 30 milioni rivenienti da queste vendite: non riusciamo ad attuarlo. Nella ri-previsione del budget ci è stato detto che non si riesce a trovare un acquirente: abbiamo fatto dei bandi pubblici, rimasti praticamente senza risposta, tanto che i 30 milioni di introiti per la vendita si sono ridotti a dieci. I tentativi si stanno facendo, si tratta di un dossier aperto.
  Per quanto riguarda la dichiarata esiguità dei centocinquanta milioni, affermo che si tratta della metà del patrimonio netto della Rai che consiste di 298 milioni, quindi sono una enormità.
  Mi è stato altresì chiesto se il consiglio di amministrazione farà ricorso: non lo so. Il tema del ricorso verrà esaminato non appena avremo il parere pro veritate chiesto a un costituzionalista di fama, il professor Enzo Cheli.
  Per quanto riguarda la domanda del senatore Margiotta circa i tempi di approvazione del contratto di servizio, non glieli so dire: abbiamo senz'altro già aperto il dialogo con il Ministero per lo sviluppo economico, avendo fatto presente di avere ricevuto entrambi il vostro parere però non possiedo ancora una tempistica su cui dare indicazioni.
  Al senatore Minzolini, penso di avere risposto dicendo che stiamo lavorando con cautela e con determinazione.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Migliore, tutto è stato rinviato al parere del professor Cheli, che dovrà esaminare, secondo il mandato ricevuto, la sussistenza o meno degli elementi di incostituzionalità del decreto e la responsabilità degli amministratori.
  Altre domande hanno un riflesso di tipo politico e non ritengo di dovere rispondere.
  Il fatto che i giornali hanno parlato di tante possibili strade, quella che lei ha definito fibrillazione, e come reagiamo noi: personalmente cerco di stare più in silenzio possibile, perché ogni volta che si parla si finisce sempre per alimentare interpretazioni strane. Certo, quando è stato emanato il decreto, così come era declinato all'inizio, esso dava luogo a diverse letture, quindi ognuno si è un po’ sbizzarrito su cosa vederci dietro. Come vi ho detto ritengo che sia importante per noi avere una indicazione del modello di perimetro: quello che vedo come iter logico è di chiarire quale sia il modello, il tipo di servizio pubblico, quali Pag. 25sono le risorse e il piano strategico si fa, non è un problema. Diventa difficile quando occorre fare il piano strategico non avendo le risorse e non conoscendo il modello. L'ho scritto nella mia relazione: si tratta di un modo al contrario che ci dà qualche problema. Siamo degli amministratori, vogliamo essere osservanti: gli amministratori devono realizzare le indicazioni dell'azionista, su questo non c’è dubbio. Però se avessimo qualche indicazione in più, ciò agevolerebbe il nostro lavoro.
  Non so dire quale sia esattamente il rendimento che si immagina un eventuale acquirente: ci siamo affidati a legal advisor e a un global coordinator che ci daranno tutte le indicazioni e le analisi. Stiamo cercando di avere anche due referenti diversi, uno per il mercato interno, uno per il mercato internazionale perché probabilmente le esigenze sono diverse: questo ci è stato detto dal direttore generale. Sono tutte attività propedeutiche: come dicevo la decisione finale sarà presa da parte del consiglio quando ci saranno elementi molto più chiari e definitivi. In questo momento mi pare veramente difficile sia pensare a un importo, sia pensare a quale sia il rendimento che da questo tipo di attività gli investitori istituzionali si possono aspettare. Per quanto riguarda la velocità della vendita, speriamo di fare le cose fatte bene, di non svendere, questo è l'obiettivo. Abbiamo questo vincolo dell'articolo 2446, perché avendo saputo come consiglieri il 28 maggio che questa è la situazione nella quale ci troveremmo a settembre, siamo tenuti sin d'ora ad avviare tutte le azioni necessarie per evitare di trovarci in quella condizione, perché questo è l'obbligo che hanno i consiglieri.
  Non credo che i canoni dell'informazione Rai siano veramente del tutto in linea con quello che ho detto: quello è ciò che vorrei che la Rai sia, e quello per cui stiamo lavorando che possa raggiungere.

  ANTONIO VERRO. Prima di rispondere alla domanda del senatore Minzolini, volevo fare solamente una piccolissima chiosa alle considerazioni che faceva la presidente Tarantola sulla BBC. Io applico a me stesso e conseguentemente anche alla Rai il motto «poco se mi considero, tanto se mi confronto». Con questo voglio dire che, e la presidente lo sa, non ho mai risparmiato critiche alla Rai, perché sono convinto che ci sono enormi margini di miglioramento e il nostro sforzo deve essere quello di proseguire in questa direzione. Detto questo però, credo che non possiamo prendere lezioni da nessuno: non so voi, ma tutte le volte che vado dall'estero e guardo la televisione inglese, francese e tedesca, credo che siamo una spanna sopra. Questo non è un giudizio personale, ma lo dicono anche i numeri, guardando alla quantità del canone, alla quantità delle ore trasmesse e alla quantità degli ascolti. Non abbiamo dunque niente da imparare da nessuno.
  Senatore Minzolini, ho letto anch'io, francamente con un po’ di stupore, quella parte dell'intervista al direttore generale e ho colto non solo una contrapposizione tra vecchio e nuovo consiglio, ma anche una sorta di maliziosa allusione tra tecnico e politico. Nel 2010, all'unanimità il consiglio di amministrazione dell'epoca approvò un piano industriale in cui nelle sue azioni strategiche prevedeva la possibilità, leggo testualmente, «di procedere alla valorizzazione degli asset non legati al core business televisivo, al fine di liberare risorse per gli investimenti». Si trattava quindi di un processo eventuale di valorizzazione non di Rai Way, senatore Rossi, ma delle strutture passive, cioè di tralicci e terreni: questa era l'ipotesi di cui si era parlato nel 2010, ipotesi sulla quale il direttore generale dell'epoca scrisse all'azionista per chiedere conforto e un parere. Da quello che risulta al consiglio di allora e al consiglio di adesso, l'azionista non ha mai risposto. Oggi la situazione è diversa, nel senso che si tratta di procedere a una vendita, se pure con quotazione in borsa, che la legge non ci impone, perché dice che la Rai «può» e non «deve» procedere alla vendita, ma che francamente Pag. 26non lascia alternative e in cui tra l'altro ci impone i tempi, perché o lo si fa entro l'anno, o ci saranno quelle conseguenze cui prima molto diplomaticamente il presidente faceva cenno. Credo che dunque la differenza fondamentale tra le due situazioni sia talmente chiara e che siano fattispecie talmente diverse che anche un tecnico se ne possa rendere conto. Ciò detto che, non c’è ombra di dubbio che ove si procedesse, come immagino si procederà, alla cessione di Rai Way, noi arriveremo, sia nel caso in cui sia anticipata, sia nel caso in cui non venga anticipata, più deboli al rinnovo della concessione, una volta scaduta.
  Un'ultima battuta all'onorevole Migliore, che parlava della presunta illegittimità di questo decreto: ho letto i pareri del professor Pace e del professor Ainis, due autorevoli professionisti, e personalmente li condivido. Farò di tutto perché il consiglio di amministrazione si posso esprimere il 12 giugno, quando arriverà il parere del professor Cheli, nel senso se adire o meno la via giurisdizionale. Mi limito soltanto a dire in conclusione che al di là degli aspetti giuridici, che non c’è ombra di dubbio che un intervento così a gamba tesa abbia un impatto sulla libertà e sulla indipendenza del servizio pubblico: questo credo che sia fuori discussione.

  ANTONIO PILATI. Prima di rispondere alle domande che mi sono state poste direttamente, vorrei fare un brevissimo commento a una delle affermazioni fatte dal senatore Rossi, quando ci invitava a ridurre il numero delle reti, sostenendo che tre, o al massimo cinque, potessero bastare. Si tratta di un punto importante su cui non sono d'accordo perché credo che la varietà dell'offerta e dell'assortimento sia molto importante per il servizio pubblico. L'audience ha dimostrato di apprezzare molto la varietà dell'offerta: se ricordiamo il trend degli ascolti degli ultimi sette, otto anni, vediamo che le reti generaliste, quelle che prima stavano in analogico, sono passate dal 90 per cento a meno del 60 per cento. Questo 30 per cento transitato nelle nuove reti digitali, significa che il pubblico vuole vedere i tipi di canali nuovi, offerte nuove. Il caso del successo di Discovery channel è molto indicativo sotto questo aspetto. Credo che al pubblico che paga il canone non sia giusto ridurre l'offerta: credo che occorra dare un'offerta ampia, ricca e variegata e che sia sbagliato perseguire la strada della riduzione dell'offerta da parte del servizio pubblico. Aggiungo che proprio l'andamento dell'audience dimostra che uno sviluppo importante del sistema televisivo sia quello di avere allargato il numero degli operatori: credo che questo vada considerato uno degli effetti positivi più importanti della legge Gasparri che, lungi dal fotografare l'esistente, ha messo in moto una dinamica che ha permesso l'ingresso di nuovi operatori come Discovery channel e il canale terrestre di Sky e ha consentito al pubblico di fare scelte più ampie e di avere una maggiore soddisfazione del prodotto. Aggiungo un'ultima cosa: abbiamo un numero di dipendenti molto elevato. Il nostro problema non è quello di ridurre il numero dei programmi, il numero dell'offerta produttiva, il nostro problema è quello di aumentarla, perché se la riduciamo mantenendo intatto il numero dei dipendenti abbiamo un netto calo di produttività e questo scompagina i conti dell'azienda. Bisogna invece aumentare l'offerta e aumentare la produttività. Questo mi porta a un altro punto, e tocca anche una questione cui accennava l'onorevole Migliore: la Rai ha un forte problema di allocazione delle sue risorse. Spendiamo un sacco di soldi in appalti esterni, spendiamo un sacco di soldi in stipendi: dobbiamo fare dei tagli in alcuni settori. Se li facciamo, troviamo risorse per fare le cose fondamentali che sono necessarie, ovvero più investimenti in tecnologia: l'attuale tendenza del settore, è quella di richiedere maggiori investimenti tecnologici, come sulla compressione dei segnali o sui congegni che permettono la mobilità su altri device diversi dal televisore. Dobbiamo investire dunque in tecnologia Pag. 27e dobbiamo investire fortemente nell'industria audiovisiva, invertendo una tendenza alla riduzione degli investimenti. L'industria della fiction, l'industria della produzione audiovisiva è fondamentale, e ha a che fare con l'identità collettiva ed è responsabilità della Rai tenerla in vita e far sviluppare. Se la Rai riduce gli investimenti rischia di giocarsi un settore fondamentale nel panorama industriale: è un settore a rischio, perché gli altri broadcaster non investono. Personalmente credo che dobbiamo farlo allargando la platea degli operatori a cui vengono dati i finanziamenti, mentre c’è stata una tendenza, secondo me non positiva, a concentrarsi soltanto su pochi sigle. La responsabilità della Rai in questo senso è molto grande: se non aumentiamo gli investimenti in tecnologia e in produzione, si rischia di rimanere ai margini dello sviluppo del settore e di creare asfissia in un'industria importante, che è quello che non si dovrebbe fare.

  PRESIDENTE. Ci aggiorneremo mercoledì prossimo alle 14. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.