XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 15 aprile 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'interno, on.Angelino Alfano, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche in materia di immigrazione (Svolgimento e rinvio).
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Mazzoni Riccardo  ... 14 
Ginetti Nadia  ... 15 
Arrigoni Paolo  ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 17 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 18 
Campana Micaela (PD)  ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 9.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché mediante la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche in materia di immigrazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche in materia di immigrazione.
  Ringrazio in modo particolare il Ministro per avere risposto con sollecitudine al nostro invito; in particolare, rivolgo un ringraziamento per la considerazione che da a questo Comitato bicamerale, considerato che è qui con noi ventiquattro ore prima di presenziare in Aula.
  Signor Ministro, l'inizio dei lavori di questo Comitato è coinciso con una fase storica in cui le tematiche migratorie, con particolare riferimento ai flussi di migranti stranieri che attraversano il nostro Paese anche al fine di raggiungere ulteriori destinazioni in Europa e all'impiego di lavoratori immigrati in attività industriali e costretti a vivere il più delle volte in condizioni ai limiti della legalità, sono tornate a essere di strettissima attualità, anche a seguito di tragici fatti di cronaca.
  Ricordiamo tutti il caso del naufragio di Lampedusa, dove sono deceduti 366 immigrati, oppure il caso del rogo in una fabbrica dormitorio di Prato, dove hanno perso la vita sette operai. Questi fatti hanno suscitato motivi di preoccupazione tra i cittadini e hanno anche richiamato l'attenzione del Legislatore sulla necessità di acquisire elementi conoscitivi utili al fine di intervenire.
  L'occasione di averla qui oggi, quindi, ci consente di conoscere la sua opinione, in particolare sulle due indagini conoscitive che sono state avviate dal Comitato, una sui flussi migratori in genere e l'altra sulla situazione relativa ai fatti di Prato.
  In particolare, vorremmo acquisire le sue considerazioni per ciò che riguarda la materia dei flussi relativamente ai cosiddetti «accordi di riammissione e di cooperazione» tra le forze di polizia e l'attuazione dei trattati in merito.
  Sulla base degli elementi acquisiti dal Comitato, infatti, emerge un crescente consistente flusso di migranti illegali, specialmente dalle coste libiche, in larga parte provenienti dagli Stati dell'Africa sub sahariana. In tal senso, le indicazioni del Governo e in particolare le sue, Ministro, hanno riferito che in Nord Africa ci sarebbero tra i 300 mila e i 600 mila immigrati in attesa di transitare nel Mediterraneo.Pag. 4
  Al di là degli strumenti normativi nazionali, noi riteniamo che sarebbe utile una valutazione sull'applicazione o sulla stipula di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, i cosiddetti «accordi di riammissione», allo scopo di favorire il rimpatrio di tali clandestini una volta identificati. Sappiamo che dal marzo 2009 è in vigore, tra Italia e Libia, il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008.
  In tal senso, Ministro, le saremmo grati se volesse aggiornarci e darci indicazioni sullo stato di applicazione di questo Trattato, tenuto conto che la scorsa settimana abbiamo audito il Ministro Mogherini, la quale ha accennato a delle difficoltà, anche nel senso di trovare degli interlocutori in questi Paesi di provenienza.
  Un'altra tematica su cui ci siamo concentrati, come Comitato, è il Regolamento Dublino III. Emerge dai dati in possesso del Comitato – rapporto Eurostat 2012, relazione per il 2012 dell'Alto Commissariato per i rifugiati e altre audizioni svolte – che negli anni passati l'affluenza di clandestini e le conseguenti richieste di asilo sono state oscillanti: si è passati, per esempio, da circa 35.000 richieste del 2011 a poco meno della metà nel 2012, anche in conseguenza della cosiddetta «primavera araba», con un ritorno, nel 2013, a un dato di richieste di asilo di circa 28.000. Tali dati dimostrano che l'Italia è perlomeno sovraesposta alle situazioni contingenti nordafricane, subendo le oscillazioni delle situazioni politiche dell'euromediterraneo, essendo il Paese di prima accoglienza per l'Unione europea.
  Proprio in quanto tale, va rilevato che il Regolamento Dublino III, del giugno 2013, pone la necessità di valutare se il sistema comune di asilo corrisponda, così come concepito in quest'ultima versione, alle esigenze di accoglienza dell'Italia, posto che rimane sostanzialmente invariato il principio secondo cui il primo Stato di arrivo è quello competente a valutare le richieste.
  In questo senso, signor Ministro, le chiederemmo di valutare anche l'opportunità di affrontare questo tema durante il semestre europeo di presidenza italiana e, comunque, di avere una sua valutazione in merito. Risulta inoltre al Comitato che la maggioranza di ingressi di immigrati ha origine dalla permanenza di stranieri in Italia dopo la scadenza del visto turistico, con accesso dai principali aeroporti nazionali. Si riscontra, in particolare, che da alcune delle frontiere terrestri nazionali, per esempio quella nord-orientale, in particolare dalla Slovenia, entrerebbero in Italia clandestini in numero significativo: si parla anche di cento persone ogni giorno dal confine con la Slovenia, secondo i dati del Segretario della Police Cooperation Convention for Southeast Europe. Si tratta di dati che, se confermati, evidenziano la proporzione significativa di ingressi di clandestini attraverso le frontiere terrestri rispetto a quelli derivanti dagli sbarchi marittimi.
  In particolare, abbiamo audito il Ministro Mogherini, che ha ipotizzato una proposta di riforma sui visti dell'Unione europea, che potrebbe in qualche modo rafforzare l’appeal dell'Europa come destinazione di viaggio. Da questo punto di vista, vorremmo capire esattamente quali sono le valutazioni del Governo su questi profili, se lei, Ministro, ha degli elementi da fornirci.
  Su FRONTEX e «Mare Nostrum» si constata un interesse del Governo, ma anche di partiti di opposizione – penso alla proposta della Lega su una sede decentrata – di trasferire la sede di FRONTEX, attualmente a Varsavia, in Italia. In particolare, abbiamo accolto con grande soddisfazione le sue dichiarazioni di ieri, secondo cui apparirebbe opportuno che una sede di FRONTEX venisse trasferita in Italia e secondo cui sarebbe necessario aumentare la dotazione finanziaria per fronteggiare gli sbarchi.
  Sulla base delle audizioni svolte dal Comitato, sarebbe emersa la sensazione secondo cui i partner europei percepirebbero questa operazione come un fattore suscettibile di attrarre maggiori flussi. Vorremmo conoscere, se è possibile, una sua opinione in merito, anche con particolare riferimento all'eventualità che organizzazioni Pag. 5criminali possano approfittare delle unità navali messe a disposizione e pronte a salvare i trasportati.
  Non possiamo non affrontare anche il tema della recente decisione di depenalizzare il reato di clandestinità. Sappiamo che questo ha suscitato reazioni contrapposte tra le forze politiche e tra i cittadini, anche alla luce dei dati di flusso di immigrati nei primi mesi dell'anno: circa 18.000 sbarchi dal primo gennaio 2014, pari a otto volte più del 2013, di cui 6.000 solo dalla settimana scorsa (mi pare che sia di questa notte la notizia che riporta ulteriori sbarchi, circa 166 migranti nella zona di Pozzallo).
  Vorremmo capire dal Governo se ci siano o meno conseguenze dalla depenalizzazione di questo reato, tenuto conto che esso è previsto in Europa, anche se non sempre come reato ma, in alcuni casi, come illecito amministrativo. Le chiediamo, quindi, se anche questo potrebbe in qualche modo orientare la percezione dei partner europei nei confronti dell'Italia.
  Da ultimo, signor Ministro, il Comitato ha raccolto la denuncia di rappresentanti del comune di Prato, di organizzazioni industriali, sindacati e imprese artigiane della stessa area, nel corso dell'audizione svolta il primo aprile 2014, circa la massiccia presenza dell'imprenditoria straniera che, in quel distretto, ha raggiunto livelli record, con riflessi problematici in tema sia di ordine e sicurezza pubblica, sia di ripercussioni sociali.
  La massiccia concentrazione nel tessuto produttivo dell'area pratese di extracomunitari irregolari, il 50 per cento circa dei quali cinesi, secondo le stime fornite dagli auditi, favorirebbe un diffuso impiego di manodopera clandestina presso aziende la cui conduzione spesso prescinde totalmente dal rispetto delle normative vigenti.
  Posto che, secondo le previsioni illustrate al Comitato, la presenza di irregolari sarebbe destinata ad aumentare nel prossimo futuro, è ipotizzabile che la situazione economica e sociale, già grave, dell'area geografica di Prato possa aggravarsi, come evidenziato dagli auditi anche nel corso di un recente incontro da loro avuto con il Capo dello Stato il 14 marzo 2014, a seguito del quale il Presidente avrebbe manifestato l'intenzione di indirizzare un messaggio al Governo per sensibilizzarlo al massimo sulla questione descritta.
  Vorremmo chiedere a lei, come abbiamo chiesto ad altri Ministri, se ha delle informazioni da darci sulla possibilità di concludere, definire o perlomeno valutare un accordo bilaterale con la Repubblica popolare cinese per la riammissione degli immigrati clandestini, e comunque quali iniziative si potrebbero assumere per aumentare il livello di sicurezza dei cittadini a Prato.
  La ringrazio ancora, signor Ministro, e le do la parola. Al termine del suo intervento, se lei è d'accordo, consentirei ai colleghi di porre alcune domande.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Sono io che ringrazio questo Comitato per l'invito e per avermi dato l'opportunità di illustrare alcuni scenari in materia di immigrazione e di affrontare le questioni che sono di tipica competenza di questo Comitato, una competenza talmente tipica nella sua dimensione istituzionale bilaterale, che ho preferito non chiedere un posticipo della seduta, nonostante domattina sia chiamato a riferire in Aula, presso la Camera dei deputati, relativamente alle tematiche dell'immigrazione, proprio perché penso che queste tematiche rientrino nella specificità di questo Comitato, come anche la relazione della presidente Ravetto testimonia.
  La materia dell'immigrazione, così come gli scenari ad essa connessi, sono particolarmente complessi e delicati. È evidente che vi è un nesso strutturale tra la questione della migrazione, la questione degli ingressi in Italia e i fatti politici che si determinano oltre i confini europei. Vi è un presupposto indefettibile che è il nesso tra l'instabilità di alcuni regimi, soprattutto nel Nord Africa, e la vicenda migratoria nel nostro Paese. Negare questa premessa significherebbe negare la serie storica degli sbarchi in Italia e della vicenda Pag. 6migratoria in Italia e, al tempo stesso, negare quello che è sotto gli occhi di tutti. Quella dei Paesi del Nord Africa è un'instabilità che alimenta un altro motivo di fuga, legato a una dimensione di libertà, a una dimensione esistenziale, dunque non puramente economica, come ragione di fuga dal Paese di origine.
  Del resto, l'elenco dei Paesi di provenienza – mi riferisco a Eritrea, Mali, Siria, Gambia, Somalia, Senegal, Pakistan, Nigeria ed Egitto – non lascia alcun dubbio circa le motivazioni che spingono migliaia di persone, in fuga da persecuzioni e guerre, a intraprendere il viaggio della speranza. Ribadisco, come concetto principale, quello che nel mio dire precedente era incidentale: ho parlato di persone in fuga da persecuzioni e guerre, perché questo cambia il profilo delle migrazioni. Questa premessa, infatti, cambia il profilo delle migrazioni, da migrazioni economiche a migrazioni che, nascendo come ragione di fuga per la non accettazione e per il desiderio di sottrarsi a persecuzioni e guerre, determinano tutt'altro tipo di diritti da parte dei migranti.
  Ho subito voluto parlare di questa forte motivazione proprio per spiegare che i flussi migratori non si bloccano – sapete che questa è per me e per noi una grande battaglia – esclusivamente con un intervento sulla frontiera. Voglio ribadire – ci tornerò – che la difesa della frontiera è una priorità, ma dobbiamo sapere che essa risolve solo parzialmente la questione che riguarda i migranti per ragioni politiche.
  Dico questo perché una strategia di ampio respiro deve poter agire sulle cause del fenomeno, essendo altrettanto evidente che non può incombere solo sull'Italia il peso dell'urto di questo flusso migratorio verso l'Occidente europeo, un flusso nascente da ragioni di mancanza di democrazia, di libertà e dalla presenza di guerre.
  Solo una risposta coordinata, dunque, può produrre qualche efficacia e occorre che l'Europa ne sia protagonista. L'Europa ha individuato alcune linee di coordinamento per dare a questo tema una risposta che non sia flebile. Mi riferisco al «global approach to migration and mobility» (GAMM), un approccio globale che guarda a tre assi fondamentali: il contrasto all'immigrazione irregolare (come vedete, questo è un elemento anche delle politiche europee), quindi la protezione delle frontiere; la capacità di gestire i processi di migrazione legale e di dare sostegno, in questo quadro, a progetti di mobilità; la necessità di mettere in campo misure che sappiano in qualche forma coniugare migrazione e sviluppo.
  È chiaro, se è ribadita la premessa, che a questi tre assi fondamentali si sposa la necessità di dare protezione e asilo quando questo venga richiesto. Tutto ciò è stato rafforzato dalla cosiddetta «emergenza umanitaria» in Nord Africa. Gli sconvolgimenti politici che interessano le fragili democrazie islamiche dell'area magrebina e la drammaticità della situazione che interessa i Paesi del Corno d'Africa – va detto in questo Comitato senza giri di parole – alimentano le reti dei trafficanti di esseri umani e dei mercanti di morte.
  La necessità di contrastare tutte queste filiere criminali richiede un'azione decisa in tutte le fasi di questo turpe mercato, che vede tribù scambiarsi i migranti, a cominciare dalla zona subsahariana fino ad arrivare alle coste dell'Africa.
  Aggiungo che, nell'ambito della cooperazione bilaterale, di cui parlerò in appresso, vi è un altro aspetto: più funzionano le cooperazioni bilaterali tra alcuni Paesi dell'Europa e alcuni Paesi dell'Africa, e ciò in ragione della stabilità di alcuni Paesi dell'Africa, più i flussi si spostano in un'altra direzione che consente l'accesso dalla costa nord dell'Africa all'Europa.
  Dico questo facendo esplicito riferimento al funzionamento eccellente del Trattato bilaterale tra Spagna e Marocco, che fa sì che tutti i Paesi africani che si trovano sotto il Marocco attraversino verso est il Corno d'Africa e risalgano fino alla Libia per poter accedere a una zona di costa che li proietta verso il Mediterraneo «italiano», chiamiamolo così, piuttosto che verso la frontiera spagnola.Pag. 7
  La decisione che è giunta dal Consiglio GAI (giustizia e affari interni), dopo la tragedia di Lampedusa e dopo il mio intervento in tale sede, è stata quella di costituire una task force. Ho avuto, per pura coincidenza, la possibilità di intervenire nel pieno dell'emotività, essendo quel GAI prefissato, subito dopo la tragedia di Lampedusa, e la nostra richiesta di un interessamento generale è stata accolta positivamente, con la costituzione, anche in termini di partecipazione volontaria di tanti Paesi del nord Europa, che spesso sono un po’ più freddi rispetto a queste nostre istanze e a queste nostre richieste, di una task force. Quella task force ha prodotto dei risultati. Se poi la domanda riguardasse la nostra soddisfazione su quei risultati, dovrei rispondere che le nostre attese erano maggiori, ma che comunque vi è stata una forte attenzione e un riconoscimento del Mediterraneo come frontiera europea (questo è un elemento molto importante) e, aggiungo, un progressivo trasformarsi di quella task force da strumento emergenziale e provvisorio, per rispondere all'emergenza derivante dal dramma di Lampedusa, a una forma di strategia a medio e lungo termine dalla quale si possono attendere risultati, ma non nell'immediato. Questo perché sono ancora tenaci le resistenze degli Stati membri riguardo al loro coinvolgimento in strategie operative e concrete di controllo delle frontiere esterne, come dimostrano anche le reazioni negative venute da varie delegazioni alla proposta della Commissione europea di dar vita nel Mediterraneo ad una vasta operazione di search and rescue.
  In questo quadro di difficoltà che – lo dico in termini molto chiari – spesso sembra negare l'idea solidaristica dell'Europa, l'Italia deve affrontare una pressione migratoria che sta raggiungendo, dal punto di vista delle proiezioni, livelli simili al record italiano che dovette affrontare il collega Maroni: ricordo che durante la sua gestione al Viminale si è raggiunto il record storico, con oltre 62 mila sbarchi nell'anno 2011.
  Dall'inizio dell'anno, infatti, sono arrivate via mare oltre 20.500 persone, a fronte delle sole 2.500 dello stesso periodo dell'anno scorso. In seguito al naufragio di Lampedusa, come tutti sapete, è stata attivata in via d'urgenza dal Governo italiano l'operazione «Mare Nostrum». Da quando è stata avviata, sono state salvate in mare 19 mila persone: nessuno può dirci quante di queste persone tratte in salvo sarebbero morte se non fosse stata avviata l'operazione, ma credo che la ragionevolezza possa suggerirci di dire che è difficile immaginare che tutte sarebbero rimaste vive.
  «Mare Nostrum» rappresenta un'operazione di difficoltà elevata dal punto di vista tecnico. È un'operazione interdisciplinare, che determina la necessità di un concorso di assetti militari e delle forze di polizia, anche in ragione dell'ampiezza dello spettro di territorio marino coinvolto e del carattere continuativo dell'operazione. Questo ha richiesto che venisse assegnato per la prima volta il coordinamento al Dispositivo interministeriale integrato per la sorveglianza marittima (DIISM), posto sotto l'egida della Presidenza del Consiglio dei ministri. L'attuazione di «Mare Nostrum» costa oltre 9 milioni al mese ed è auspicabile che resti possibile uno sforzo ulteriore dell'Europa per incrementare le risorse finanziarie destinate alle attività di sorveglianza marittima ospitate dall'Italia.
  Sotto la regia di FRONTEX si stanno anche svolgendo due importanti operazioni congiunte, «Aeneas» ed «Hermes», coordinate entrambe dall'Agenzia europea, che ci vedono impegnati con mezzi aerei e navali in missioni di pattugliamento congiunto localizzate nel Mediterraneo centrale. Si tratta di operazioni che proseguiremo senza soluzione di continuità, anche se sarebbe stata augurabile una maggiore condivisione da parte degli Stati membri che vi partecipano con propri rappresentanti, con compiti prevalentemente informativi e di intelligence investigativa, ovviamente ai fini anche della prevenzione.Pag. 8
  Altra considerazione, connessa alla premessa, è che più si aggrava l'instabilità politica interna alla Libia, peggio è. Certamente non saranno sfuggite ad alcuno di voi le dimissioni del premier libico avvenute in queste ore. Questa situazione ha finito per determinare l'ammassamento di centinaia di migliaia di persone che vedono nell'Europa il loro naturale approdo. Questa pressione migratoria ci porta a dire che è necessario – lo ribadisco in modo inesausto – rilanciare e rafforzare il ruolo di FRONTEX. Questo sarà uno degli obiettivi principali del nostro semestre di presidenza europea.
  Promuoveremo il monitoraggio e il rafforzamento delle strategie sulle pressioni migratorie, che sono quelle delineate nel documento specifico nel quale l'Unione europea è invitata a concentrarsi sulla necessità che le azioni degli Stati membri siano coordinate da FRONTEX. In altre parole, FRONTEX deve avere una capacità reale di incidere attraverso un ruolo di coordinamento delle azioni dei singoli Stati membri.
  Noi chiederemo non solo che le operazioni di protezione delle frontiere marittime dell'Europa vedano un coinvolgimento maggiore degli Stati membri, ma che venga estesa l'area di azione diretta di FRONTEX, anche interessando i Paesi di partenza dei migranti, per accordi di cooperazione operativa in materia di controllo alle frontiere e di lotta all'immigrazione illegale.
  Pur tenendo conto dell'instabilità della gran parte dei Paesi del Nord Africa, un altro fondamentale pilastro della nostra strategia risiede nella necessità, comunque, di incentivare strategie di partenariato con i Paesi di origine e anche con quelli di transito dei flussi migratori: questo è il vero deterrente all'immigrazione illegale. Parlo dei Paesi di transito perché può risultare molto più efficace una interlocuzione che abbia degli effetti reali con i Paesi dell'Africa subsahariana, del Corno d'Africa, cioè quelli sotto la Libia, che consentirebbero di non fare arrivare in Libia frotte di aspiranti migranti che poi si ammassano su quei confini e che, per arrivare lì, hanno probabilmente pagato non solo il biglietto di partenza dalla Libia su pescherecci e su barconi sgangherati, ma anche più biglietti di passaggio tra varie tribù di trafficanti di morte.
  Anche in questo campo occorrerà che gli sforzi nazionali si sommino con una strategia europea che moltiplichi gli sforzi, ma soprattutto metta in addizione i risultati. Da parte nostra continueremo a fornire non solo tutta la nostra forza, ma anche a tentare di spingere verso un obiettivo che per noi è strategico, cioè lo scambio di informazioni, che è il vero nutrimento, la vera linfa per una cooperazione giudiziaria che possa consentire di bloccare i mercanti di morte e i trafficanti di esseri umani.
  Cito, da questo punto di vista, degli eccellenti risultati che la magistratura catanese e la Guardia di finanza hanno ottenuto nei mesi scorsi, quando sono state sequestrate le cosiddette «navi-madre». Prima dell'operazione «Mare Nostrum» la magistratura ha realizzato alcune importanti azioni giudiziarie che hanno consentito, per la prima volta, di sequestrare direttamente le grandi imbarcazioni – con l'arresto anche degli scafisti – che contenevano all'interno imbarcazioni più piccole, le quali venivano lasciate da sole in mare quando era ritenuto idoneo per il transito che il mezzo sgangherato fosse mollato in mare. Quella stiva, quindi, diventava la pancia dentro la quale stavano uomini e mezzi, che poi venivano abbandonati nel Mediterraneo sulle imbarcazioni «figlie» di queste navi-madre.
  Dal punto di vista della cooperazione noi giocheremo un ruolo importante e spetterà a noi ospitare, nell'ambito del cosiddetto «Processo di Rabat», una grande conferenza tra l'Unione europea e i Paesi del Nord Africa e dell'Africa subsahariana in cui saranno dibattuti anche i temi della cooperazione. Nello sviluppare il lavoro istruttorio per questa nostra azione, credo che un'interlocuzione con questo Comitato possa risultare, anche in Pag. 9fase istruttoria, un utile strumento per rendere più efficace la nostra strategia e la nostra azione.
  Spetterà, inoltre, a noi come presidenti di turno proseguire il negoziato con la Giordania finalizzato al partenariato di mobilità e dare attuazione agli accordi, già firmati dai Ministri GAI, con il Marocco e la Tunisia.
  Spingeremo anche perché FRONTEX ed EUROPOL rafforzino il dialogo proprio con la Tunisia, in considerazione del miglioramento delle condizioni di stabilità di quel Paese. Ciò potrà anche agevolare interventi più efficaci sul fenomeno della fornitura delle imbarcazioni ai passeggeri che dai porti libici fanno rotta verso l'Europa.
  Da questo punto di vista, diventa centrale anche il capitolo che riguarda i rimpatri volontari assistiti. Questo tipo di intervento postula che i Paesi destinatari raggiungano standard adeguati in tema di salvaguardia e tutela dei diritti umani. È una condizione irrinunciabile per poter sviluppare forme di collaborazione operativa ancora più intense, in grado di garantire effetti concreti e duraturi di riduzione della pressione migratoria.
  L'interesse dell'Italia in questo campo è soprattutto, ancora una volta, rivolto alla Libia, con la quale già da qualche anno sono stati avviati programmi di cooperazione bilaterale finalizzati sia ad elevarne la capacità di gestione e controllo delle proprie frontiere, sia ad attivare meccanismi più efficaci di rimpatrio volontario assistito.
  Per comprendere l'importanza di tale ultima forma di intervento, cioè il rimpatrio volontario assistito, è sufficiente ricordare che tra il 2012 e il 2013 sono stati eseguiti quasi 6 mila rimpatri volontari. È evidente, dunque, che noi abbiamo tutto l'interesse ad assecondare i processi di stabilizzazione democratica di quel Paese, nonostante le difficoltà di interlocuzione dovute alla frammentazione politica.
  L'Europa, dal canto suo, ha un altro tema che la vede protagonista, se vuole esserlo: il tema dell'immigrazione legale come mezzo per contrastare quella illegale e clandestina. L'approccio originario più ambizioso che aveva inizialmente proposto la Commissione è stato fortissimamente ridimensionato di recente anche a causa della netta propensione espressa dagli Stati membri di privilegiare i tradizionali canali di immigrazione legali offerti dalla normativa vigente. Eppure una più incisiva politica di contenimento della pressione migratoria dovrebbe non trascurare possibili meccanismi di «ingresso protetto», governato con una strategia europea, la cui definizione potrebbe avere importanti e positive ripercussioni, da un lato, scoraggiando i migranti ad affrontare viaggi pericolosissimi in cui rischiano la vita e, dall'altro, incidendo, lo voglio ripetere, sul giro d'affari delle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani.
  Nella stessa ottica e parallelamente, cioè nell'ottica di affrontare il problema migratorio sin dalle sue radici, portando dunque l'azione dell'Unione europea direttamente nelle aree di origine del fenomeno, occorre intervenire sul potenziamento dei programmi di protezione regionale esistenti, condotti in collaborazione e d'intesa con l'UNHCR.
  È necessario, dal nostro punto di vista, che nei Paesi da cui nascono i maggiori movimenti migratori vengano apprestati standard adeguati di assistenza, in linea con quelli europei, che riguardino le persone bisognose di protezione internazionale. Bisogna, quindi, accrescere i mezzi finanziari che alimentano tali programmi, sostenendo le proposte formulate dalla Commissione, che ha già indicato la necessità di estenderli a regioni finora non direttamente coperte, come il Sahel.
  Un maggiore intervento in questa direzione non può prescindere dalla disponibilità degli Stati membri a mettere a disposizione risorse finanziarie più consistenti. Io ho sviluppato un ragionamento, credo, piuttosto articolato, che però è sintetizzabile in una frase: piuttosto che accollare all'Europa l'enormità dei costi economici, sociali, umani di rischio sulla sicurezza, nonché sui diritti umani e sulla vita delle persone, se l'Europa fosse forte e realmente impegnata ad andare sul posto Pag. 10a fare tutto ciò che serve, probabilmente risparmieremmo ansie alle popolazioni europee, vite umane e – lo dico da ultimo – anche un po’ di soldi.
  Le politiche di cooperazione, è chiaro, dovranno mirare non solo all'assistenza in loco, ma anche al rafforzamento delle capacity building dei Paesi terzi. Una visione di ampio respiro deve sapere collegare il governo del fenomeno migratorio a nuove opportunità di sviluppo che aiutino i Paesi destinatari delle forme di assistenza tecnica ad acquisire livelli crescenti di autosufficienza e autonomia.
  Per questo motivo noi consideriamo rilevanti anche le iniziative indirizzate a migliorare le abilità professionali del migrante, con il duplice obiettivo di incrementare le possibilità, oggettivamente vantaggiose anche per l'Europa stessa e per alcuni aspetti della migrazione regolare, di ottenere un'immigrazione qualitativamente più avanzata e di favorire il reinserimento e il reinsediamento di lavoratori stranieri più preparati e competenti e, dunque, come è accaduto in varie parti del mondo, con protagonisti anche italiani e in varie epoche della storia del mondo, anche la possibilità di contribuire al progresso civile dei Paesi interessati.
  In questa logica si muovono gli accordi europei in materia di lavoro, che riguardano ovviamente i Paesi d'origine dei flussi verso l'Italia. Tali accordi sono stati conclusi con l'Egitto, l'Albania, la Moldavia, lo Sri Lanka, ed è in corso un negoziato con la Tunisia e il Marocco. Tutti questi accordi prevedono forme di assistenza tecnica in loco – stiamo parlando di formazione non per coloro che arrivano, bensì di formazione in loco per alcuni potenziali migranti – per creare apposite liste di candidati preselezionati, al fine di ottimizzare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
  È evidente che tutto questo si scontra con il fatto che i livelli di disoccupazione in Italia sono tali per cui la nostra linea, anche in funzione dell'attesa ripresa occupazionale, che siamo certi farà seguito alla ripresa economica, è «prima gli italiani» in materia di occupazione.
  Noi stiamo puntando, nella logica di questi accordi bilaterali, ai cosiddetti patti di «nuova generazione», in modo tale che questo della formazione sia comunque un elemento integrante che possa incidere su questi patti come elemento fondamentale. Tali patti rimandano anche alla filosofia di quella forma di migrazione regolare connessa al lavoro che, durante i precedenti Governi, era stata individuata come strada maestra dell'accesso al nostro Paese.
  Mi resta da considerare di fronte a questo Comitato l'altro aspetto che, sul piano generale, sta diventando quello quantitativamente più rilevante, cioè il sistema delle misure di protezione internazionale e di asilo. Anche da questo punto di vista viene chiamato in causa l'impegno più coordinato da parte dell'Europa a sostegno degli Stati membri che vengono a subire la pressione migratoria in termini più rilevanti.
  In merito voglio fare una considerazione, che non vuole apparire greve nei confronti dei Paesi del Nord Europa: noi non ci accontentiamo di un approccio puramente quantitativo. Quando in sede GAI a me è stato detto, da Paesi del Nord Europa, che da loro ci sono più migranti che da noi, io ho voluto con forza ribadire la specificità del mare. Un conto è arrivare in alcuni Paesi nordeuropei attraverso la terra, un conto è attraversare il Mediterraneo !
  Questa specificità del mare non può essere sottovalutata e non può non essere un elemento fondamentale di valutazione della strategia di approccio globale dell'Unione europea: un conto sono 30.000 migranti che attraversano il Mediterraneo, un altro sono 30.000 migranti che arrivano via terra da altre zone continentali – mi riferisco all'Est europeo – verso alcuni Paesi del Nord Europa. La questione mi sembra determinante e assolutamente importante.
  C’è l'esigenza, dunque, di non lasciare soli i Paesi, come l'Italia, che sono più esposti e che chiedono – l'Italia lo chiede – un più forte controllo delle frontiere e una forma più coordinata a livello europeo dell'accoglienza. Il tema è Dublino, lo Pag. 11avrete studiato numerose volte. Dublino ha un grande limite: si carica pressoché tutto l'onere, tutto il peso di queste forme di immigrazione, anche massive, sui Paesi di primo ingresso.
  Il Paese di primo ingresso, come dice la parola «primo», non è il Paese di ultimo desiderio. È il Paese di primo ingresso, che può non coincidere con l'ultimo desiderio del migrante, che vuole andare da un'altra parte. Le regole di Dublino caricano sull'Italia l'intero peso di questi flussi migratori come Paese di primo ingresso, nel quale, per di più, si arriva via mare.
  In casi come questi, cioè di afflusso massiccio di migranti, occorre, anche dal punto di vista dell'accoglienza, promuovere forme di equa suddivisione degli oneri, non solo perché più favorevoli al nostro Paese, ma anche perché più corrispondenti al senso esistenziale della scelta del richiedente asilo e anche alla base solidaristica della costruzione europea, che senza dubbio si misurerà nei prossimi anni e decenni con la sfida della migrazione.
  Bisognerà capire se la base di costruzione europea, che aveva a suo fondamento la cooperazione e la solidarietà, regga o non regga rispetto a questa sfida. Diversamente, conserveremmo una delle cause prime di squilibri macroscopici, con diseconomie evidenti che scaturiscono da situazioni di sovraccarico, a fronte di disponibilità in altri Paesi forse non pienamente utilizzate.
  In tal senso, non è incoraggiante, lo dico con chiarezza, la circostanza per cui, in occasione del Consiglio GAI del 5 dicembre scorso, molte delegazioni abbiano criticato le proposte della Commissione indirizzate a introdurre meccanismi più stringenti di compartecipazione agli oneri, sia in termini di trasferimento del migrante da uno Stato membro a un altro, sia di insediamento da Paesi terzi.
  In sostanza, anche in questo caso per declinare in un concetto un ragionamento, anche quando la Commissione europea mette buona volontà nella proposta, noi assistiamo a una resistenza da parte degli Stati membri.
  Vi sono state critiche anche riguardo alla possibilità di un'eventuale revisione dei meccanismi del Regolamento di Dublino, su cui l'Italia, a mio avviso, in prospettiva non può rimanere silente. Tuttavia, il principio sul quale l'Europa regola la competenza ad accogliere chi chiede e ottiene protezione internazionale risale ai primi anni Duemila, quando l'opera di riavvicinamento e di armonizzazione delle legislazioni nazionali non era stata nemmeno avviata e si temeva, perciò, che le differenze di regime potessero incentivare il fenomeno dell’asylum shopping. Ormai, però, dopo l'emanazione e il successivo recepimento di numerose direttive sulla materia, tale ostacolo è da ritenersi superato. Fino a quando non si permetterà al richiedente asilo o al rifugiato di spostarsi all'interno dell'Europa secondo la propria volontà e in adesione a un proprio progetto di vita, continueremo a subire una condizione troppo svantaggiosa per l'Italia, una condizione che, peraltro, alimenta flussi che diventano inevitabilmente incontrollati verso altri Stati membri, comportando onerosi ritrasferimenti nel nostro Paese.
  Cosa si è verificato, in sostanza ? All'inizio dello scorso decennio la filosofia di Dublino nasceva dal tentativo di evitare che ciascun migrante chiedesse asilo nel Paese con le regole più vantaggiose, ragion per cui si è fatto carico al Paese di primo ingresso di accollarsi oneri e responsabilità assolutamente prevalenti rispetto a quelli degli altri Paesi, proprio per quel timore. Ora che la legislazione, anche per via di direttive, si è allineata e omogeneizzata si può rivedere, essendo cambiata la premessa, anche la base su cui è nata la filosofia di Dublino.
  La fortissima evoluzione della pressione migratoria mette noi nelle condizioni di dover ripensare e riorganizzare l'intero sistema dell'accoglienza. Dietro ogni acronimo si cela una regola e una necessità organizzativa differente. Se i CIE hanno, come I ed E, «identificazione» ed «espulsione», per i CARA, tale acronimo individua «richiedenti asilo» e rifugiati. La prima A di CARA sta, infatti, per «accoglienza». Pag. 12Se il flusso cambia, perché si spostano tutti nella dimensione della richiesta di asilo e di protezione internazionale, è evidente che il sistema dell'accoglienza deve cambiare profilo, pena il non adempiere ai nostri doveri di Paese civile, cioè di una democrazia occidentale in un contesto europeo. Occorre, dunque, migliorare e velocizzare le procedure di esame delle istanze di protezione internazionale, garantendo tempi rapidi nella definizione delle domande.
  Anche qui, con un flash – e torno all'acronimo «richiedenti asilo», che spiega tanto – il richiedente necessita di una risposta, quindi, se noi rispondiamo subito alla domanda, se forniamo subito tale risposta, diminuiamo il tempo di permanenza in questi centri dell'accoglienza. Chi ha diritto a stare, quindi, rimane, perché gli spetta per un obbligo nostro di protezione internazionale; chi invece riceve la risposta negativa, deve essere rimpatriato. Chi non ha diritto all'asilo ed è entrato, dunque, in modo illegale e irregolare, va rimpatriato. D'altro canto, se il rimpatrio è una via per rimandare indietro chi ha fatto una richiesta di asilo non avendone diritto, la possibilità di andare negli altri Paesi di destinazione desiderata dell'Europa deve essere l'altra via del migrante che ha ottenuto l'asilo, ma che non vuole stare in Italia. Per questa seconda via, però, si ha un problema, cioè la questione che è nata da Dublino.
  Tutto questo, a nostro avviso, rappresenta un'esigenza ineludibile nel senso di ripensare il sistema dell'accoglienza. Basti pensare che nel corso dell'intero 2013 le domande di asilo presentate sono state circa 27.000, mentre nel primo trimestre di quest'anno sono già state avanzate oltre 13.000 istanze, con un incremento di circa il 140 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
  Noi abbiamo il sistema dello SPRAR, che è abbastanza funzionale e del quale parlerò anche in seguito. Voglio, però, comunicarvi prima due o tre cifre sul Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Questo vede protagonisti gli enti locali, le regioni e il sistema territoriale italiano e prefigura una modalità di accoglienza molto compatibile con i territori. Non ci sono, infatti, centri che determinano una reazione da parte della popolazione, bensì pochi migranti inseriti in comunità locali, dove vengono bene accolti in una casa o in centri appositi di natura sociale, con pochissime persone. Da quando sono diventato Ministro ho incrementato questi posti, grazie agli enti territoriali, da 3.000 a 9.000. L'obiettivo, adesso, è di portarli da 9.000 a 20.000.
  È chiaro che, simmetricamente, c’è il problema di fornire una risposta. Quali sono le Istituzioni chiamate a fornire tale risposta ? Le Commissioni territoriali. Noi le abbiamo raddoppiate, ma non siamo ancora al livello da me desiderato. Passare da 10 a 20 è stato un bel risultato, a fronte della triplicazione dei posti SPRAR, ma non è stato il massimo che noi vogliamo ottenere. Vogliamo, infatti, ulteriormente rilanciare questo sistema di efficienza nei termini di cui parlavo poco fa, cioè di accelerazione delle risposte.
  Le 20 Commissioni di cui parlo hanno deciso, nel 2013, l'esito di oltre 24.000 richieste, e nei primi mesi del 2014 quello di circa 9.000 ulteriori istanze. La bassa percentuale dei dinieghi – invito il Comitato, anche per la prospettiva, a soffermarsi su questo elemento, che è strategico per l'organizzazione successiva del sistema dell'accoglienza – una percentuale inferiore a un terzo, conferma il dato che si tratti prevalentemente di migranti non economici. Le risposte sono altissimamente, in via percentuale, positive.
  L'obiettivo di rendere più efficiente ed elastico il sistema di valutazione delle richieste potrà, però, trovare risposta solo in un provvedimento che insedi le Commissioni – questa è una proposta che per la prima volta io formulo e che formulo in questo Comitato – salvaguardandone l'indipendenza di giudizio, ma presso ciascuna prefettura d'Italia. Ciò significa passare non da 10 a 20, come abbiamo già fatto in questo periodo, ma a 100 e oltre.
  Questa misura, oltre a rendere flessibile il numero delle Commissioni in relazione Pag. 13alle effettive e contingenti esigenze, potrà servire anche a superare le attuali difficoltà di funzionamento, perlopiù connesse alla carenza di personale a supporto degli organi esaminatori. In sostanza, ci gioveremmo del personale delle prefetture.
  Un altro punto cardine da cui dipende il buon funzionamento del sistema di accoglienza è quello dell'integrazione di cui parlavo poco fa, ossia quello dell'integrazione dei centri governativi e del circuito dell'assistenza diffusa da parte degli enti locali. Vogliamo arrivare a 19.000 posti, dopo esser passati da 3.000 a 9.000. In attesa di raggiungere la piena capacità ricettiva, ho mobilitato tutti i prefetti d'Italia, incaricandoli di reperire strutture idonee alla temporanea accoglienza dei richiedenti asilo. In questo modo si sta dando sistemazione sull'intero territorio nazionale a circa 8.000 persone.
  Ripensare il sistema dell'accoglienza in una chiave non emergenziale richiede anche il ricorso a forme organizzative più razionali e meno dispersive. Noi siamo attenti anche alla qualità della spesa erogata per il funzionamento dei centri governativi.
  In questa logica stiamo sperimentando un'inedita tipologia di struttura, una sorta di hub, concepita come una base logistica ampia di primo ingresso, nella quale effettuare, tra le altre attività, l'identificazione, il fotosegnalamento, il triage sanitario e l'informazione legale del migrante, in modo tale che, individuata la qualifica di accesso nel nostro Paese del migrante – a suo dire – lo potremo indirizzare subito dopo presso i centri che lo potranno ricevere in modo pertinente.
  Queste nuove strutture, che noi immaginiamo come hub, potranno progressivamente sostituire i centri di accoglienza, in sostanza i CARA, favorendo sin dal momento della prima accoglienza l'individuazione del profilo migratorio del cittadino straniero, ai fini della sua successiva collocazione nelle strutture dello SPRAR, a vantaggio della qualità complessiva del sistema di accoglienza.
  Sempre nella direzione di un miglioramento dei servizi, si sta ridefinendo il capitolato generale d'appalto relativo alle prestazioni da erogare nei centri governativi. L'attenzione alle condizioni di vulnerabilità del migrante resta un nostro punto di costante attenzione del sistema, unitamente alla certezza di un controllo sanitario, non solo delle strutture, ma anche della situazione del singolo migrante. In questo senso, verranno messe a punto ulteriori iniziative per migliorare le condizioni di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e il loro accesso alle procedure di asilo.
  Inoltre, proseguirà l'attività di monitoraggio sul rispetto degli standard di accoglienza in tutti i centri per immigrati, ivi compresi quelli che si è reso necessario istituire in via temporanea grazie al rinnovo per l'anno in corso della convenzione con le organizzazioni umanitarie aderenti al Progetto «Praesidium» (UNHCR, OIM, Croce Rossa Italiana e Save the Children).
  Vado a concludere, presidente, scusandomi se non sono stato breve. Spero di aver fornito un panorama utile a illustrare la posizione dell'Italia rispetto al fenomeno migratorio. La nostra è una posizione che vuole rappresentare un moderno punto di equilibrio. Noi puntiamo alla sicurezza delle nostre città. Non arretreremo di un millimetro sulla sicurezza delle nostre città e delle nostre aree urbane, contrasteremo i trafficanti di morte, i trafficanti di esseri umani, rispetteremo i diritti internazionali, il diritto umanitario e l'obbligo di soccorso in mare. Questo è il punto di equilibrio di una democrazia avanzata che tutela le libertà fondamentali dei cittadini e i diritti umani dei migranti.
  Il semestre di presidenza italiana guarderà, dunque, anche alla repressione del sistema criminale che c’è dietro questa tragedia epocale e che rappresenta un network globale con interessi ramificati e metodi industriali.
  È stato detto che non è arrestando qualche giovane scafista che il problema dell'immigrazione irregolare si risolve. Dietro ogni migrante che arriva in Italia o in Europa, dietro quelle facce spesso sofferenti, Pag. 14si nasconde quella che è stata definita la più grande e la più spietata «agenzia di viaggi» del mondo.
  La presidenza italiana considererà, perciò, essenziale che i diversi organismi e le piattaforme informatiche che si occupano a vario titolo di immigrazione – mi riferisco a FRONTEX, ma anche a EUROSUR e al SIS II – abbiano un rapporto di scambio più intenso e proficuo con le Agenzie EUROPOL ed EUROJUST, attive nella prevenzione e nella repressione della criminalità transnazionale e, quindi, anche nel contrasto al traffico di immigrati e alla tratta di esseri umani.
  In questa direzione sarà dedicata particolare attenzione a tutte quelle forme organizzate di ingresso illegale che rappresentino, come, per esempio, i trasferimenti irregolari di migranti lungo la «rotta balcanica», una minaccia costante per il territorio Schengen.
  È anche per questo che guardiamo con interesse a quelle iniziative, alcune ancora in via di definizione, che, proponendosi di rafforzare il controllo dei flussi di attraversamento delle frontiere esterne, mirano a istituire un sistema di efficace registrazione degli ingressi e delle uscite dall'Unione europea.
  Io credo che l'Italia possa rivendicare il riconoscimento del suo forte impegno e del suo ruolo nevralgico nella strategia globale dell'immigrazione sui temi dell'immigrazione in generale. È per questa ragione che ritengo sia venuto il tempo di chiedere che l'Agenzia FRONTEX abbia la sua sede in Italia, augurandomi di raccogliere intorno a questa proposta una larga convergenza di consensi da parte degli Stati membri.
  Per quanto riguarda i temi che lei mi ha sottoposto sul reato di immigrazione clandestina e sulla questione di Prato, su cui l'interesse del Governo è già stato concentrato nei mesi passati, sono pronto a ricevere domande più specifiche che possano venire dal Comitato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per il preziosissimo contributo. Ministro, se lei è d'accordo, procederei raccogliendo prime tutte le domande da parte dei colleghi, riservando alla fine il tempo per la sua replica. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Ringrazio molto il Ministro Alfano per tutti gli spunti che ci ha fornito. Svolgo alcune brevissime considerazioni.
  È giustissimo portare la sede di FRONTEX in Italia, questo mi sembra opportuno, ma bisogna anche che FRONTEX diventi un argine all'immigrazione irregolare, il che finora non è stato. I 110 milioni di dollari che i contribuenti europei pagano, probabilmente sono spesi male e sono pochi, visto che si è speso, per rimpatriare 50 nigeriani, addirittura mezzo milione di euro con un charter. Bisogna anche capire a che cosa debba servire FRONTEX.
  «Mare Nostrum» è essenziale che vada avanti, perché le vite umane salvate sono il valore essenziale. È anche vero che il «Mare Nostrum», per l'Europa è il «mare vostrum». Bisogna far capire, però, che è anche il «mare lorum» (mi scuso con i Latini e con Cicerone).
  È cruciale, in questo senso, rivedere nel semestre di presidenza italiana il Regolamento di Dublino. Se è vero, come è vero, che, da quando ci sono state le primavere arabe, c’è stato un aumento di richieste di asilo del 60 per cento, e che quindi chiunque abbia diritto di asilo deve essere accolto, ricordo, però, che abbiamo un sistema, tra CARA e SPRAR, che è al collasso. Il solo CARA di Mineo accoglie 4.000 richiedenti asilo a fronte dei 2.000 che dovrebbe accogliere e ci costa 50 milioni di euro all'anno, con 4.000 profughi dentro.
  Ricordo anche, con riferimento ai cittadini siriani ed eritrei che arrivano e che hanno diritto a essere accolti, che i primi non vogliono stare in Italia e fuggono verso il Nord Europa, mentre gli altri rischiano di creare delle aree di disagio e di marginalità che vanno ad aumentare il disagio e l'allarme sociale in alcuni centri. Mi riferisco, per esempio, a Prato, dove Pag. 15sono appena arrivati 50 profughi da diversi Paesi dell'Africa, che l'amministrazione comunale non sa più dove mettere. Lei, Ministro, sa bene quale sia la situazione di Prato. Pongo, quindi, una domanda sul primo punto. In una situazione come quella libica, in cui il Governo non c’è più e il contrasto alla criminalità, che poi organizza i viaggi della morte, non esiste, non sarebbe possibile ipotizzare la creazione di centri di identificazione laggiù, che non siano i lager che c'erano ai tempi dei respingimenti ?
  Passo a una domanda specifica su Prato: lei l'ha chiesta, Ministro, e io gliela faccio. Nella sua visita a dicembre e nella riunione del tavolo nazionale per Prato, quattro mesi fa, lei assicurò che ci sarebbe stato uno studio di normative specifiche per risolvere il problema e la situazione di Prato. Vorrei sapere se gli uffici legislativi del Ministero siano già al lavoro, se abbiano già elaborato qualcosa e se sarà possibile – era ciò che si era ipotizzato – riportare sul territorio pratese il denaro confiscato alla criminalità organizzata cinese, la quale ogni anno fa partire da Prato, attraverso il money transfer, 450 milioni di euro.

  NADIA GINETTI. Grazie, Ministro, per l'audizione molto dettagliata e anche per aver reso il senso del cambiamento di questo fenomeno delle migrazioni che stiamo vivendo.
  Ricordo, oltre vent'anni fa, le prime imbarcazioni, quelle imbarcazioni enormi che partivano dall'ex Jugoslavia e portavano in Italia i primi immigrati. Da allora si è costituito il mercato interno, vent'anni di mercato interno, con frontiere abolite all'interno ma, come abbiamo detto anche nelle scorse occasioni, è mancata una politica che riconoscesse, invece, la frontiera esterna come frontiera unica, base per poi elaborare una politica estera comune e una politica comune per le immigrazioni.
  Schengen ha la stessa età, così come il primo accordo di Dublino, che è del 1990, e se in queste materie un'evoluzione c’è stata, non si è ancora arrivati, come lei ha sottolineato, ad elaborare non tanto politiche di armonizzazione, quanto piuttosto un'unica politica, con strumenti unici in tutti i Paesi europei.
  Tale fenomeno si è trasformato, perché se quegli immigrati, oggi prevalentemente albanesi, si annoverano tra i cittadini che contribuiscono anche alla ricchezza del nostro Paese (si stima che circa il 10 per cento del PIL nazionale sia prodotto dalla popolazione immigrata), oggi le migrazioni sono legate molto di più – come lei sottolineava – alla ricerca di protezione internazionale per le persecuzioni e le guerre civili nei Paesi di origine, piuttosto che – e non soltanto – nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita, cioè con riferimento alle condizioni socioeconomiche. Si tratta, quindi, di un fenomeno in profonda trasformazione, che richiede strumenti diversi.
  Come lei sottolineava, in questo campo è necessario garantire due valori parimenti significativi: da un lato la sicurezza, dall'altro la tutela dei diritti umani. La sicurezza non è più legata all'ingresso del singolo immigrato clandestino o che si sia macchiato di gravi reati nel proprio Paese di origine, ovvero che intenda entrare nelle nostre frontiere per commetterli, bensì ad un fenomeno molto più grave, che è la criminalità organizzata dei trafficanti di esseri umani, i quali gestiscono un'area vasta, che va dal Corno d'Africa all'Africa subsahariana, questi traffici umani. Costoro sono anche passatori e fornitori di mezzi che, come è emerso anche nel convegno svolto a Palermo, violano anche fisicamente le donne, che spesso pagano un ulteriore prezzo personale.
  Le politiche da mettere in campo sono sicuramente quelle dell'accoglienza, ma anche della lotta organizzata a livello europeo, con il rafforzamento di EUROPOL, di EUROJUST, quindi dell’intelligence e dello scambio di informazioni, con la task force del Mediterraneo, da rafforzare, per il controllo delle frontiere ma anche, come evidenziato in questo Comitato, mediante la modifica del sistema di accoglienza.Pag. 16
  I centri SPRAR sono certamente fondamentali, però, ricordiamoci che in questo momento di crisi anche gli Enti locali spesso si trovano a non poter dare risposte a cittadini immigrati o con difficoltà maggiori. Spesso i CARA sono sovraffollati, sottodimensionati e quindi è difficile dare quelle risposte non solo di prima accoglienza, ma anche di inserimento.
  Riteniamo fondamentali le due priorità da lei sottolineate, da proporre durante la presidenza italiana del semestre europeo. La prima è quella di proporre che proprio nei Paesi di origine e di transito vengano realizzati, attraverso accordi di partenariato locali, presìdi in loco con il marchio dell'Unione europea, in grado di avviare l'istruttoria delle domande d'asilo, per evitare quei viaggi che lei chiama della speranza ma che sono spesso viaggi della morte. Tali uffici dell'Unione europea potrebbero anche garantire un sostegno economico alle aree interessate, favorendo quella mobilità di talenti che significa formazione in Europa di cervelli i quali, al ritorno in patria, possano contribuire alla crescita.
  La seconda priorità consiste nel rivedere l'Accordo di Dublino, superando l'attuale sistema per cui la competenza dell'esame delle richieste d'asilo spetta al Paese di primo ingresso, perché per i Paesi di transito – e prevalentemente per l'Italia – è un problema significativo.
  Come lei ha sottolineato, i migranti arrivano in Italia e purtroppo, anche per la difficoltà di esaminare un numero importante di domande, permangono a lungo in questi centri, mentre vorrebbero raggiungere prevalentemente Paesi del Nord Europa, dove hanno famiglie o persone che li stanno aspettando e sono in grado di garantire loro maggiori possibilità di inserimento.
  Durante la nostra presidenza sarà quindi opportuno sottolineare la necessità di rivedere questa materia, per far sì che vengano istruite le domande secondo una competenza europea, cioè mediante sedi e uffici di competenza europea, indipendentemente dall'ingresso, se – e torno all'inizio del mio discorso – la frontiera esterna è unica, quindi una frontiera dell'Unione europea.

  PAOLO ARRIGONI. Grazie, onorevole Ministro. Innanzitutto, devo rilevare delle sfumature diverse tra le sue dichiarazioni e quelle del suo collega Mogherini, che il Comitato Schengen ha ascoltato in audizione la scorsa settimana. Lei ha parlato di immigrazione come di un problema, ma anche di attenzione prima verso gli italiani, nonché di una particolare attenzione nei confronti della manodopera qualificata, mentre il suo collega Mogherini, invece, parlava di migrazione come risorsa per il nostro Paese. A questo proposito, devo ricordare l'intervento di un dirigente del Ministero del lavoro, il dottor Natale Forlani, dirigente dell'immigrazione e delle politiche dell'integrazione, il quale affermava come, stante l'elevato tasso di disoccupazione in Italia, anche poiché le comunità locali di extracomunitari crescono naturalmente sia per l'alta natalità, sia per via dei ricongiungimenti familiari, non possiamo permetterci la migrazione di flussi generici, ma semmai solo di migranti qualificati, come ha detto lei. Egli ha anche rilevato come le prime vittime di questi flussi incontrollati siano proprio gli immigrati da lungo tempo soggiornanti in Italia; ha inoltre parlato di bilancio assolutamente negativo degli stranieri in Italia, per cui essi non sarebbero una ricchezza: ha parlato di 13,3 miliardi di euro di tasse pagate a fronte di 11,3 miliardi di servizi ricevuti e di 6,8 miliardi di rimesse all'estero.
  Lei ha elencato una serie di buoni propositi da attuare, in particolare in occasione della presidenza del semestre europeo, con i partner europei, i quali però dimostrano indifferenza – lo dicono diversi esponenti del Governo – nei confronti del nostro Paese. Di più, l'Unione europea definisce «Mare Nostrum» un polo di attrazione. Quando l'operazione «Mare Nostrum» venne presentata ufficialmente, lei disse che la somma del pattugliamento, dell'azione della polizia giudiziaria e della magistratura avrebbe Pag. 17avuto un significativo effetto deterrente nei confronti di chi pensa di potersi dedicare impunemente al traffico di esseri umani. Il suo collega di allora, il Ministro della difesa Mauro, parlò di una spesa di circa 1,5 milioni.
  Gli sbarchi di questi mesi dimostrano che, rispetto agli annunci, si è verificato il contrario, quindi noi definiamo l'operazione un fallimento: l'operazione non è un deterrente ed è molto più costosa. Lei ha parlato di 9 milioni di euro al mese, ma noi abbiamo presentato in tal senso due interrogazioni parlamentari di cui attendiamo risposta.
  Su «Mare Nostrum» le chiedo se consideri l'operazione ancora un deterrente, se il Governo intenda ancora sostenerla, per quanto tempo e con quali risorse, considerata la grave crisi economica in atto nel nostro Paese, ovvero se non ritenga opportuno modificarla in modo da impiegare prioritariamente i mezzi navali sulle coste dei Paesi di origine, per contrastare la partenza dei natanti, come fatto, peraltro, dall'allora Ministro dell'interno.
  Per quanto riguarda l'accoglienza dei migranti, su cui lei si è soffermato, ricordo che in gennaio il suo Ministero ha diramato una circolare, chiedendo ai prefetti di individuare strutture per l'accoglienza. A questo proposito, le pongo una serie di domande. Vorrei sapere se, per rispetto istituzionale, signor Ministro, non consideri doveroso concordare preventivamente con i rappresentanti delle regioni e degli enti locali la distribuzione di questi migranti, se trovi normale che i sindaci apprendano, solo a cose fatte, dell'avvenuta collocazione dei migranti sul proprio territorio.
  Vorrei chiederle, inoltre, se non ritenga opportuno operare, come fatto nel 2011 dal Ministro Maroni in occasione dei forti sbarchi in seguito alla «primavera araba», Ministro che, proprio durante il picco degli sbarchi, convocò i rappresentanti degli enti territoriali e concordò con loro la distribuzione dei migranti.
  Sui costi in dettaglio dei servizi dell'accoglienza, di cui attendiamo risposta, vorrei porle una domanda specifica, per sapere se corrisponda al vero che, a seguito dell'uso della tessera telefonica di 15 euro data a ciascun migrante, attraverso un codice loro attribuito i migranti possano chiamare senza limiti anche nel loro Paese di origine.
  Le cronache di questi giorni parlano di molti migranti che fuggono dalle strutture di accoglienza. Queste fughe, unitamente alla messa in libertà di molti delinquenti per i provvedimenti svuota carceri, non fanno che aumentare l'insicurezza dei cittadini, ormai esasperati. Vorrei chiederle, quindi, se non ritenga doveroso assicurare maggiori controlli di queste persone.
  I dati dicono che nel 2012 il volume di rimesse all'estero ammonterebbe a 6,8 miliardi di euro. Queste vengono prevalentemente effettuate attraverso money transfer, dei mezzi al di fuori dei canali bancari e postali, dunque, tramite agenzie private che spesso sfuggono alle normative. Vorrei sapere se lei e il Governo non riteniate ormai indifferibile garantire la piena tracciabilità dei flussi finanziari di queste provviste di denaro trasferite, nonché assoggettare tali rimesse effettuate verso i Paesi non membri dell'Unione europea a una congrua imposta, destinando i proventi a sostegno degli interventi dei servizi sociali promossi dalle organizzazioni di volontariato.
  Vorrei, infine, avere da lei rassicurazione in ordine al rischio del virus Ebola. So che il Ministero della salute ha diramato, senza molta pubblicità, una circolare in tal senso. Siccome il tam-tam, anche attraverso Facebook e Internet si sta diffondendo nella cittadinanza, vorrei chiederle se possa riportare questa preoccupazione al collega del Ministero della salute per tranquillizzare i cittadini.

  PRESIDENTE. Vorrei fare una proposta al Ministro Alfano e ai colleghi. Ringrazio il Ministro perché è stato con noi Pag. 18più di qualunque altro audito, però, da un lato, i colleghi si stanno assentando perché iniziano i lavori presso altre Commissioni, dall'altro, ritengo che le domande poste, di grande interesse, necessitino di una risposta articolata, per cui, se il Ministro è d'accordo, raccolte le domande potremmo prevedere di rinviare ad altra seduta la fase di replica. Dopo i due interventi successivi, quindi, sospenderemo i nostri lavori.

  GIORGIO BRANDOLIN. Faccio delle brevi domande. Lei ha detto, come riferito dai giornali, che le proiezioni degli sbarchi, se portate a dodici mesi rispetto ai tre mesi già passati, ci portano a un numero di sbarchi dieci volte superiore a quello del 2013, quindi, da 40.000 andiamo a 400.000. Vorrei sapere se questa sia una banale proiezione mia o qualcosa di concreto.
  Vorrei sapere quale tempistica prevedano questi patti di nuova generazione con i Paesi disgraziati dell'Africa e non solo, patti che ovviamente condivido. Vorrei capire se si tratti di qualcosa che è già in essere e con chi verranno realizzati, se con i Governi o con le associazioni.
  Con la terza domanda rispondo anche al collega della Lega. Nella mia regione sabato scorso sono arrivati 110 migranti ed era tutto concordato tra prefettura, enti locali e regione. Questa è la mia esperienza in Friuli Venezia Giulia. Vorrei sapere, quindi, che tempistica abbia questo sistema dello SPRAR, che lei giustamente ha individuato come assoluta possibilità per affrontare il problema, per arrivare a 20.000 e per realizzare una Commissione in ogni prefettura, perché anche lì è questione di tempi rispetto ai numeri citati.
  Infine, nel mio territorio c’è un CARA e c'era un CIE, poi distrutto, a Gradisca. Ho avuto comunicazione che verrà riaperto. Le chiederei se possa confermarlo, ovviamente, senza alcuna polemica, ma solo per capire.

  MICAELA CAMPANA. Ringrazio il Ministro anche per un'audizione così lunga, essendo prevista domani la sua presenza in Aula. Non entro nella discussione politica. Mi verrebbe da rispondere al collega della Lega su diverse cose ma penso che non sia utile in questa sede.
  Condivido quello che lei ha detto in un'intervista rispetto allo spostamento della sede FRONTEX in Italia, ma mi chiedo come pensi di attuare questo spostamento, quali siano i tempi e le modalità.
  Rispetto alla nuova ondata di sbarchi, ho letto dalle agenzie di una consistente presenza di donne e di minori nei due interventi di ieri sera da parte di mezzi aeronavali impegnati nel dispositivo «Mare Nostrum» a sud di Lampedusa. Vorrei capire anche rispetto all'ondata che lei ha previsto nei prossimi mesi se siano previsti un rafforzamento dei pattugliamenti in mare, ma anche maggiori dotazioni presso i centri di accoglienza.
  Qualche mese fa ho avuto l'opportunità di visitare il CIE di Ponte Galeria in occasione della protesta delle «bocche cucite». Le condizioni igienico-sanitarie di quella struttura, pur non essendo sovraffollata, sono precarie, così anche come le condizioni di vita di queste persone.
  Poiché nei mesi scorsi si sono già verificati episodi di protesta e anche un tentato suicidio all'interno di quella struttura, mi chiedo come il Viminale intenda rivedere anche l'organizzazione dei CIE, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento dei fondi dell'Unione europea, che si aggirano attorno ai 70 euro a persona al giorno, pur essendo evidente che in tante di queste strutture c’è una corsa dal ribasso, che porta inevitabilmente ad abbassare il livello di sussistenza di queste persone.
  L'ultima questione, che lei ha già posto nella sua relazione, riguarda il tema della comunità cinese, di cui Prato è il caso più noto, ma esistono casi anche altrove, soprattutto nella città di Roma. Pag. 19
  Oltre alle note condizioni lavorative che lei stesso ha citato nella sua relazione, le vorrei sottolineare come qualche mese fa una parte consistente della comunità cinese in questa città sia stata protagonista di vicende che riguardavano la falsificazione di certificati di cittadinanza grazie anche a funzionari pubblici compiacenti. Mi chiedevo come il suo Ministero stia intervenendo rispetto a questo.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo il Ministro sia per lo speech di oggi, sia per la disponibilità a tornare da noi per la replica. Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 11.00.