XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 5 di Giovedì 16 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin su attuazione e prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Lorenzin Beatrice (NCD) , Ministro della salute ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Gibiino Vincenzo  ... 10 
Alli Paolo (NCD)  ... 11 
Dirindin Nerina  ... 12 
Lorenzin Beatrice (NCD) , Ministro della Salute ... 12 
Dirindin Nerina  ... 12 
Marantelli Daniele (PD)  ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 
Lorenzin Beatrice (NCD) , Ministro della Salute ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Riparto 2013 disponibilità finanziarie SSN ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 16.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.
  Oltre a salutare il Ministro Lorenzin, le indirizzo un «bentornata» in questa Commissione di cui il Ministro ha fatto parte nella precedente legislatura. Siamo riusciti finalmente a incastonare quest'audizione. Abbiamo tentato la settimana scorsa e c'era il rischio che saltasse. Ce l'abbiamo fatta e di questo sono particolarmente contento.
  Do la parola al Ministro per lo svolgimento della relazione.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Sono particolarmente contenta anch'io di poter essere qui perché, come è stato già stato detto, ho fatto parte di questa Commissione e ho contribuito dall'altro lato del tavolo a costruire i costi standard. Poter affermare che quest'anno abbiamo fatto il primo riparto con i costi standard è sicuramente fonte doppia di soddisfazione.
  Nella relazione, vi presenterò lo stato dell'arte dell'attuazione del federalismo fiscale in campo sanitario, ma anche ulteriori novità. Stiamo concludendo il patto della salute, che sarà quindi un elemento molto importante per la programmazione e la pianificazione della sanità in tutta Italia, e quindi è un momento di confronto estremamente interessante.
  Come è noto, il finanziamento del Servizio sanitario nazionale costituisce un aspetto centrale delle problematiche connesse alle esigenze di tutela della salute. È indubbio che esista un rapporto di interconnessione tra il diritto alla salute, così come garantito dall'articolo 32 della Costituzione, e le risorse disponibili per la tutela dello stesso. A ciò deve essere aggiunto che la spesa sanitaria costituisce la più importante delle voci di spesa regionale. Sappiamo benissimo che in alcuni casi arriva addirittura al 90 per cento.
  Ne consegue la necessità di ottimizzare e razionalizzare il governo della spesa sanitaria incidendo essa, in maniera preponderante, sui bilanci regionali: proprio gestioni inefficienti hanno determinato in alcune realtà regionali un debito complessivo di rilevanti proporzioni. Ecco perché la spesa dovrà essere monitorata attraverso interventi sempre più capillari per comprendere meglio dove si annidano gli sprechi, le inefficienze e le aree di inappropriatezza. Tale percorso è assolutamente necessario per garantire anche in futuro la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e rispondere in modo sempre più efficiente ai bisogni di salute della popolazione.Pag. 3
  In questa logica, il costo standard rappresenta uno strumento fondamentale per regolare la sostenibilità della spesa e garantire la massima equità e omogeneità a livello regionale. A tal fine, nel contesto sopra delineato, l'obiettivo finalmente raggiunto del passaggio della spesa storica ai costi standard rappresenta la necessaria evoluzione e lo strumento appropriato per realizzare una sanità equa e sostenibile.
  Da questo punto di vista, vorrei dirvi anche che con le regioni, come anche stamattina, stiamo discutendo, dopo la realizzazione dei costi standard, anche di ulteriori elementi di standardizzazione nella valutazione, nell'applicazione e anche nella gestione del personale sanitario. Possiamo, quindi, asserire che nel comparto della sanità si stanno applicando non solo i costi standard, ma parametri di standardizzazione degli obiettivi e dei processi che non stanno avvenendo in nessun altro comparto della pubblica amministrazione ed è un dato che dovrebbe farci riflettere.
  Il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante disposizioni in materia di autonomia e di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi dei fabbisogni standard nel settore sanitario, ha introdotto nuovi criteri per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, assicurando un graduale definitivo superamento, a decorrere dall'anno 2013, dei criteri di riparto in precedenza adottati.
  Come è noto, l'articolo 27 del citato decreto prevede che, a decorrere dal 2013, il fabbisogno sanitario nazionale standard sia determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e negli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficienza e appropriatezza d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Ai fini della determinazione dei costi e fabbisogni standard regionali, detto fabbisogno nazionale è determinato applicando a tutte le ragioni i valori di costo rilevati nelle regioni di riferimento.
  La norma prevede, inoltre, che il Ministero della salute selezioni le cinque migliori regioni che hanno garantito l'erogazione dei LEA in condizione di equilibrio economico e che rispettano criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza, non essendo assoggettate a piani di rientro e risultando adempienti, come verificato dal Tavolo, di cui all'articolo 12 dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005.
  Delle cinque regioni scelte dal Ministero della salute, tre sono le regioni di riferimento sulla base delle scelte operate dalla Conferenza Stato-Regioni, di concerto con il Ministero dell'economia delle finanze e sentito il Ministero per gli affari regionali e le autonomie locali.
  I criteri di qualità dei servizi erogati sono stati definiti con delibera motivata del Consiglio dei ministri l'11 dicembre 2012. La novità introdotta è rappresentata dal fatto che le regioni cosiddette benchmark consentono di identificare l'offerta sanitaria sulla base delle migliori condizioni di efficienza ed efficacia, compatibilmente con il livello di risorse programmate.
  A questo punto, risulta chiara anche la funzione del descritto sistema di governance, e cioè avviare le regioni meno virtuose al rispetto del pareggio di bilancio e alla creazione delle condizioni per recuperare elementi di efficienza ed efficacia nella produzione ed erogazione dei servizi avendo come target i livelli di offerta garantiti dalle regioni benchmark a fronte del solo finanziamento dello Stato.
  Da questo percorso ormai avviato emerge come l'accertamento della qualità dei dati contabili di struttura e attività delle aziende del settore sanitario regionale diventi fondamentale per assicurare una maggiore solidità e credibilità del dato contabile utilizzato, cioè il costo standard, per misurare le aree di inefficienza e di inappropriatezza e per verificare progressivamente Pag. 4gli sviluppi del sistema verso modelli organizzativi e gestionali performanti.
  I costi e fabbisogni standard sono finalizzati proprio a diminuire il divario tra le diverse sanità regionali, dove a situazioni di estrema inefficienza, soprattutto in alcune aree geografiche del Mezzogiorno, si sono contrapposte e a tutt'oggi si contrappongono esempi di assoluta eccellenza riscontrabile in altre aree geografiche, soprattutto del Centro-Nord.
  Vorrei aggiungere che, in realtà, da una mappatura sul territorio, così come dal Programma Nazionale Esiti (PNE), la situazione della sanità italiana risulta molto a macchia di leopardo. Inoltre, è ovvio che esista un divario tra le regioni in piano di rientro e quelle che non ci sono, ma anche all'interno delle regioni in piano di rientro ci sono livelli di eccellenza. Così anche nelle regioni che non lo sono ci sono livelli di inefficienza e di inappropriatezza che possono e devono essere superati.
  I costi e fabbisogni standard in sanità garantiscono il contenimento dei costi di produzione attraverso il miglioramento generale dei processi produttivi. Essi rivestono un ruolo fondamentale di controllo delle performance e possono fornire indirizzi nelle politiche correttive per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.
  Per quanto concerne l'individuazione delle regioni benchmark, si ricorda che le cinque selezionate dal Ministero della salute sono state Umbria, Emilia-Romagna, Marche, Lombardia e Veneto, tra quelle che hanno garantito l'erogazione dei LEA in condizioni di equilibrio economico e che hanno rispettato i criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza.
  Sulla base della predetta individuazione ministeriale, la Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 5 dicembre 2013, ha individuato le regioni Umbria, Emilia-Romagna e Veneto, quali regioni di riferimento per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
  Il quadro di programmazione economico-finanziaria di riferimento per l'anno 2013 prevede che il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre ordinariamente lo Stato, è complessivamente determinato in 107 miliardi di euro sulla base di disposizioni normative vigenti.
  A seguito dell'indicazione delle regioni di riferimento, nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 19 dicembre 2013, è stata raggiunta l'intesa sulla proposta del Ministro della salute di riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2013, in applicazione della normativa sui fabbisogni e costi standard del Servizio sanitario nazionale.
  A tale proposito, lascio agli atti dell'odierna seduta una tabella riassuntiva del riparto delle disponibilità finanziarie del Servizio sanitario nazionale per il 2013, al quale è stata espressa l'intesa in sede Conferenza Stato-Regioni (vedi allegato).
  Siamo riusciti ad attuare il riparto dei costi standard entro il 2013 così come era previsto dalla normativa e non è stato un risultato semplicissimo, soprattutto per il fatto che anche l'impatto sui territori dei parametri è molto «al buio» e adesso andrà compreso come il sistema girerà.
  Oggi, le regioni hanno chiesto di effettuare da subito il riparto per il 2014 per avere anche una certezza di finanziamento, che ritengo anche una proposta piuttosto intelligente visto che stiamo operando, come spiegherò, nel patto della salute un'operazione piuttosto pragmatica anche di razionalizzazione della spesa e di nuovi investimenti. È evidente che, partendo da una certezza sul riparto, anche le regioni possono lavorare in modo più operativo non dovendo rincorrere la distribuzione delle risorse.
  Ha aiutato, ovviamente, anche il fatto di lasciare per il prossimo triennio senza tagli lineari il fondo sanitario nazionale. Questo ci permetterà di lavorare non solo a una spending interna da riutilizzare in risorse nel servizio, per cui ci sarà una sorta di autoinvestimento, ma anche operazioni di pianificazione, che altrimenti Pag. 5sarebbero continuamente messe a dura prova da alterazioni delle indicazioni budget.
  Le best practice individuate nelle varie realtà regionali mediante un set di indicatori tale da coprire il complesso delle attività sanitarie erogate nell'ambito del Servizio sanitario nazionale diventano, quindi, riferimenti per tutte le regioni, in maniera particolare relativamente a quelli che oggi presentano i maggiori problemi di organizzazione e gestione della sanità pubblica e non riescano a garantire ai propri assistiti le dovute e adeguate risposte.
  Gli indicatori considerati per l'anno 2013 individuati dalla delibera del Consiglio dei ministri in data 11 novembre 2012 attengono principalmente all'assistenza ospedaliera e solo in parte all'assistenza legata al territorio e a quella relativa alla prevenzione.
  L'attuazione della procedura individuata dalla predetta delibera ha fatto emergere che l'attuale impianto normativo è orientato a far prevalere sostanzialmente due indicatori. Uno è la valutazione delle regioni che hanno garantito l'equilibrio di bilancio sia attraverso il finanziamento ordinario del Servizio sanitario nazionale sia mediante maggiori entrate proprie con enti del Servizio sanitario, ovvero, laddove questi risultino in numero inferiore a 5, quelle che hanno registrato il minor disavanzo.
  L'altro è la valutazione delle predette regioni basata su indicatori che, da un lato, evidenziano le migliori performance nell'erogare livelli assistenziali quasi esclusivamente nel settore ospedaliero e, dall'altro, evidenziano i livelli di spesa sanitari contenuti.
  Ciò premesso e come prospettiva futura, alla luce del processo evolutivo del patrimonio informativo del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), ritengo che si possa ipotizzare un miglioramento della metodologia riportata nel vigente DPCM utilizzando i dati rilevati dei flussi informativi NSIS di più recente attivazione, come i flussi informativi sull'assistenza domiciliare, assistenziale, residenziale, salute mentale, dipendenza patologica, emergenza-urgenza, peraltro a regime dall’ anno 2012.
  Per quanto riguarda l'applicazione della suddetta metodologia sul riparto del fabbisogno sanitario, facendo riferimento al riparto per il 2013, si può senz'altro affermare che la stessa non ha cambiato in maniera sostanziale i risultati ottenuti con la procedura di definizione dei fabbisogni sanitari regionali vigente in passato. La popolazione pesata per fascia di età di ciascuna regione, infatti, rappresenta il driver principale per la quantificazione dei fabbisogni sanitari regionali e su questo, in questo momento, in Conferenza Stato-Regioni è in corso un dibattito aperto. Le regioni, infatti, chiederebbero di avere una valutazione non soltanto in base alla popolazione pesata, ma al numero di abitanti, elemento di dibattito attualissimo all'interno della Conferenza.
  Appare, comunque, necessaria una revisione dei criteri di pesatura della quota capitaria, attualmente basata sui consumi ospedalieri di specialistica ambulatoriale, per fasce di età della popolazione residente per dare rilievo in futuro anche ai consumi di altri ambiti assistenziali, all'indice di prevalenza delle malattie, agli indicatori socio-economici.
  Anche la revisione potrà essere attuata utilizzando i dati dei flussi informativi dell'NSIS andati a regime dall'anno 2012 e ciò in attuazione dell'articolo 29 del menzionato decreto legislativo n. 68 del 2011, che consente di rivedere dal 2014 i criteri dettati dall'articolo 26 del medesimo decreto legislativo attraverso una revisione con cadenza biennale.
  Ne approfitto per informarvi che il livello di implementazione dei dati ci ha già permesso e ci permetterà nei prossimi sei mesi di raggiungere un dato di conoscenza della spesa e dei fabbisogni sanitari che non abbiamo mai avuto fino adesso, grazie al NSIS incrociato con l'Anagrafe nazionale degli assistiti che, come sapete, è stata introdotta nella legge di stabilità 2014, con il Programma Nazionale Esiti, con le norme open data, fermo restando che chiediamo una maggiore collaborazione Pag. 6da parte di tutte le regioni nel fornirci e nel caricare i dati. Abbiamo per alcune realtà territoriali un flusso costante di aggiornamento e per altre no. Quando quest'operazione sarà andata a regime, oggettivamente potremo intervenire e conoscere in ogni azienda ospedaliera italiana o in ogni azienda territoriale in tempo reale il dato di prestazioni effettuate, su quale caratura di popolazione, con quale tipo di risultato e, soprattutto, con quale costo – badate bene – non soltanto per quanto riguarda la realtà ospedaliera, ma anche per quanto riguarda la medicina di territorio.
  Quello è l'altro aspetto che ritengo assolutamente fondamentale, perché i dati incrociati ci permetteranno di ottenere un risparmio fortissimo, oltre che anche operazioni a tutela della salute dei cittadini sulle prestazioni, sulla diagnostica e sulle prescrizioni mediche, con un riscontro immediatamente operabile in ogni singola azienda.
  È, quindi, una vera e propria rivoluzione quella che si sta attuando attraverso la digitalizzazione e l'approvazione dell'Anagrafe nazioni degli assistiti, di cui ringrazio anche i parlamentari, perché essa è fondamentale, in quanto si tratta dell'infrastruttura base su cui si muoveranno tutti i dati: non si sfugge dai dati, che sono obiettivi per loro stessa natura.
  Al fine di proseguire nel percorso di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, utili per provvedere al riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, e sulla scorta delle risultanze del lavoro già svolto nel corso del 2013, le azioni da implementare nel 2014 dovranno essere finalizzate, nel rispetto delle disposizioni vigenti, a una rideterminazione dei criteri utili per individuare le regioni di riferimento sulla base del livello di qualità dei servizi erogati, di appropriatezza ed efficienza, comunque del rispetto del livello di fabbisogni standard nazionali, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria.
  Ritengo, pertanto, che l'individuazione degli indicatori che consentiranno di giungere alla rideterminazione dei criteri di riparto dovranno tener conto delle seguenti condizioni: individuazione di criteri più oggettivi in base alla popolazione residente ai fini della determinazione del fabbisogno regionale standard, strutturati anche sull'indice di prevalenza delle malattie – ci sta arrivando una serie di input su questo e sarà sicuramente molto interessante questa fase di analisti dei dati; individuazione di indicatori di outcome, cioè degli esiti di cura delle malattie, al fine di effettuare confronti tra le diverse regioni e all'interno di una stessa regione; individuazione di un ulteriore macrolivello di assistenza nella ripartizione del fabbisogno sanitario strettamente legato all'emergenza-urgenza, da inserire tra le offerte di assistenza distrettuale e di assistenza ospedaliera.
  Affinché il nuovo percorso sopra sintetizzato possa efficacemente essere implementato, il Ministero dovrà disporre dei dati necessari per la costruzione degli strumenti di monitoraggio sistematico dei livelli essenziali di assistenza attraverso una lettura integrata delle prestazioni erogate ai cittadini nell'ambito dei diversi livelli assistenziali, a partire da quello ospedaliero e territoriale, con particolare riferimento all'assistenza residenziale, semiresidenziale e domiciliare, con l'aggiunta di quelle prestazioni erogate in ambiti assistenziali che riguardano il contesto ospedaliero e territoriale quali l'emergenza-urgenza.
  Questo patrimonio informativo consentirà l'applicazione di adeguati modelli di analisi dei costi e fabbisogni standard, così come previsto nel decreto sul federalismo fiscale, e permetterà di costruire adeguati e dinamici indicatori dell'effettivo bisogno di salute della popolazione da utilizzare nella definizione di criteri di riparto delle disponibilità finanziarie del Servizio sanitario nazionale.
  È di tutta evidenza che l'applicazione della nuova metodologia comporta, conseguentemente, la definitiva implementazione nelle singole regioni e nelle singole aziende sanitarie di sistemi di controllo, di gestione e di contabilità analitica, l'eliminazione Pag. 7di ogni carenza della gestione dei flussi di produzione nei sistemi gestionali, portando a termine il processo di certificazione.
  Solo con la periodica trasmissione da parte della regione di dati attendibili, con riferimento a tali indicatori, potrà essere perfezionata la costruzione del fabbisogno sanitario regionale standard nel rispetto dei livelli di fabbisogno standard nazionale. Ecco perché il Ministero della salute ha previsto un monitoraggio di questi dati attraverso un rafforzamento del ruolo del Comitato LEA, tenuto conto che è questo ad avvalersi degli strumenti finalizzati al monitoraggio e alla verifica delle relazioni dei livelli essenziali di assistenza.
  Ritengo, inoltre, opportuno ricordare che la legge 13 novembre 2009, n. 172, di istituzione del Ministero della salute, ha previsto, tra le funzioni istituzionali del Ministero, quella del monitoraggio della qualità delle attività sanitarie regionali, con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni erogate, sulla quale il Ministro riferisce annualmente al Parlamento.
  Il Comitato paritetico permanente per la verifica e l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di appropriatezza ed efficienza, istituito con l'Intesa in Conferenza Stato-Regioni il 23 marzo 2005, opera sulla base dei flussi informativi afferenti al nuovo sistema informativo sanitario e si avvale dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
  Il Comitato è parte del sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria, cioè il SiVeAS, previsto dall'articolo 1, comma 288, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, realizzato dal Ministero della salute al fine di provvedere: alla verifica che ai finanziamenti erogati corrispondano servizi ai cittadini; alla verifica che nell'erogazione dei servizi siano rispettati i criteri di efficienza e appropriatezza.
  Il Comitato, dunque, quale momento centrale di coordinamento della programmazione sanitaria, in relazione ai compiti a esso affidati, effettua una valutazione degli esiti del monitoraggio della qualità delle attività sanitarie regionali con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni erogate.
  In questo contesto, si richiama l'attenzione proprio sulle disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 68 sul federalismo fiscale e su quelle che disciplinano la determinazione dei costi e fabbisogni regionali a partire dall'effettiva determinazione del contributo finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni mediante un processo di convergenza della spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni.
  In questa fase di prima applicazione dei costi e fabbisogni standard del settore sanitario, il medesimo decreto legislativo dispone, all'articolo 30, che il Ministro della salute implementi un sistema adeguato di valutazione della qualità delle cure e dell'uniformità dell'assistenza in tutte le regioni ed effettua un monitoraggio costante dell'efficacia e dell'efficacia dei servizi.
  Inoltre, il decreto legislativo n. 68 ha previsto l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che prende parte alla definizione del patto di convergenza, ossia lo strumento attraverso il quale il Governo propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio e livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.
  Ecco perché il Ministro della salute, nell'ambito della suddetta Conferenza, di cui è componente, assicura l'indirizzo e il coordinamento delle attività di monitoraggio dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi sanitari regionali avvalendosi del supporto del Comitato per la verifica dei livelli essenziali di assistenza. Il Comitato, pertanto, potrà assicurare il supporto di attività di coordinamento del monitoraggio Pag. 8dei livelli essenziali al fine della valutazione dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi sanitari.
  Nel contesto sopra delineato, a decorrere dal 2015, si potrebbe ipotizzare l'introduzione di un meccanismo che attribuisca alle regioni, comprese quelle in piano di rientro, elementi di premialità in funzione della graduale convergenza verso gli indicatori standard delle regioni di riferimento, le cui modalità di attribuzione potrebbero essere indicate con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Ribadisco che, per poter rafforzare il concetto di costo standard, il processo di certificazione dei dati contabili deve essere imprescindibile. Solo partendo da costi certi è possibile, infatti, individuare costi standard attendibili, qualunque sia la metodologia adottata per calcolarli. Ecco perché nelle singole regioni e nelle singole aziende sanitarie devono essere garantiti sistemi di controllo, di gestione e di contabilità analitica. È altrettanto ovvio che, per garantire la sostenibilità del sistema, occorrerà accompagnare le misure di determinazione del costo con manovre strutturali di recupero dell'efficienza, soprattutto nelle realtà dove si registrano cospicui disavanzi.
  Solo in questo modo si potrà ottenere che le risorse messe a disposizione dallo Stato restino vincolate ai fondamentali obiettivi di miglioramento del servizio sanitario nazionale individuati congiuntamente dallo Stato e dalle regioni. A questo tengo in modo particolare perché dobbiamo trovare anche un meccanismo per cui ciò che è del fondo sanitario resti finalizzato alla sanità. Dobbiamo risolvere il problema della socio-assistenza. È questo uno dei temi di cui stiamo dibattendo molto in Conferenza, ma credo che anche questa Commissione possa offrire un contributo molto importante.
  Come è ben noto a questa Commissione, in materia di politica sanitaria, la riforma del Titolo V della Costituzione ha comportato un forte processo di devoluzione di funzioni dallo Stato alle regioni. Non vi è dubbio che il sistema federalista consenta una politica sanitaria più vicina alle esigenze dei cittadini appartenenti alle singole regioni poiché dovrebbe interpretare direttamente e in modo appropriato la domanda sanitaria regionale e fornire tempestivamente ed efficacemente una risposta ai bisogni assistenziali.
  Va, però, anche evidenziato che l'autonomia delle regioni ha avuto effetti positivi in alcune aree geografiche, ma ha accentuato ancora di più il divario tra nord e sud del nostro Paese, alimentando il fenomeno della mobilità interregionale.
  Se, quindi, è chiaro che nel percorso da seguire per giungere al federalismo fiscale, il nucleo centrale è come garantire che questo percorso rappresenti anche un'occasione imperdibile di consolidamento del Servizio sanitario nazionale e di riqualificazione dell'offerta sanitaria, in particolare nelle regioni, vi sono ancora gravi carenze in termini di efficacia, appropriatezza e qualità.
  Come risposta, ribadisco che è mia ferma intenzione adottare tutte le possibili iniziative per garantire progressivi miglioramenti nei processi informativi, di programmazione e di controllo rispetto all'attuale quadro normativo. In tale contesto, si deve quindi porre grande attenzione alla fase di rendicontazione e di confronto delle performance conseguite da diversi istituti che lo compongono. La sfida è, appunto, quella di iniziare un cammino di revisione dell'attuale organizzazione dell'offerta sanitaria, superando l'autoreferenzialità e valorizzando le best practice e le esperienze di maggiore successo. Il mio compito è di ridisegnare, in accordo con le regioni, il nuovo modello di governance dei territori, importando e divulgando al contempo le migliori pratiche sperimentate a livello nazionale.
  Un buon risultato potrebbe derivare dell'attuazione di un federalismo che sappia stimolare la responsabilità, soprattutto delle aree maggiormente critiche, che non sia rigidamente ancorato a logiche economicistiche e a mere classifiche, ma che sappia promuovere atteggiamenti solidaristici nei confronti delle regioni meno virtuose, accompagnandole però verso un Pag. 9definitivo equilibrio sia economico-finanziario sia di appropriata erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
  È ovvio che, quando parlo di logica solidaristica, non la intendo in termini assistenzialistici né tale logica deve condurre al risultato di scaricare sulle regioni virtuose le inefficienze e le inappropriatezze delle regioni in difficoltà. Ogni regione deve poter usufruire di una quantità adeguata di risorse, porre in essere tutte le condizioni affinché tali risorse siano utilizzate in modo efficiente ed efficace. Questa è la ragione per cui si rende necessario riformare il modello.
  Le risorse, dopo l'ultima legge di stabilità, esistono, il riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale può garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e, per la prima volta dopo molti anni, il finanziamento dello Stato non ha subìto riduzioni.
  Tenuto conto del fatto che ogni regione italiana può documentare punti di forza e punti di debolezza del sistema, sarà opportuno concordare proprio con le regioni una modalità di risparmio che tenga conto delle differenti capacità organizzative e culturali del territorio, premiando gli sforzi e i successi già ottenuti negli anni dalle singole realtà regionali. Tali obiettivi, a mio avviso, dovranno essere nel prossimo patto della salute, il cui iter di perfezionamento è ormai in uno stato avanzato.
  A questo proposito, ho avuto stamattina una riunione molto importante con le otto regioni che costituiscono una sorta di comitato ristretto operativo e ci siamo trovati d'accordo su moltissimi punti. Abbiamo deciso di imprimere un'impostazione non contrattualistica al patto, da una parte lo Stato dall'altra le regioni, ma di cercare di avere un obiettivo comune e una visione un po’ più ampia.
  La visione più ampia è quella di pensare a misure concrete che ci permettano di mettere in sicurezza il Servizio sanitario nazionale nei prossimi anni. Sono tante le sfide che dobbiamo cogliere e una è quella della transfrontaliera. Avete letto tutti oggi il rapporto sullo SDO (scheda di dimissione ospedaliera): ci scandalizziamo della mobilità interna, ma abbiamo una sfida oggi della mobilità esterna, quella tra vari Stati, che dobbiamo essere in grado di cogliere.
  D'altra parte, la nostra popolazione tende a invecchiare e sappiamo già quali saranno i dati tra qualche anno. Nella popolazione aumenterà la domanda sanitaria. Allo stesso tempo, c’è anche un cambiamento della tecnologia medica e del tipo di medicina a disposizione dei pazienti, che sarà sempre più personalizzata, e quindi sempre più costosa. Dovremo capire come riuscire a fronteggiare i cambiamenti che stanno avvenendo anche a livello scientifico.
  Il pragmatismo – ce lo siamo detto molto chiaramente – risiede già nella considerazione che i precedenti due patti della salute sono stati attuati, a essere ottimisti, al 50 per cento. Questo deve essere un patto della concretezza, con un iter pragmatico che le regioni sono in grado e si impegnano a rispettare. Diversamente, il meccanismo non può funzionare.
  Quanto siamo riusciti a ottenere, ossia salvaguardare il fondo, dare una responsabilità alle regioni e credere in quella di riuscire a perfezionare il meccanismo, rischia di venire meno. C’è consapevolezza da parte di tutti di questo. Uno degli obiettivi che più riguarda questa Commissione, ovviamente, è quello di una grandissima attenzione ai LEA, che sono stati molto sacrificati in questi anni, e di porre in essere misure virtuose che tengano conto di meccanismi di controllo in capo anche al Ministero della salute, avendo presenti, da una parte, l'efficienza e la sostenibilità finanziaria dei sistemi, che non può essere più messa in discussione, dall'altra, parte, che l'efficienza deve essere messa a disposizione dell'obiettivo comune di garantire prestazioni sanitarie di altissimo livello in tutto il territorio nazionale.
  Credo che il lavoro che abbiamo cominciato sarà molto entusiasmante, anche con livelli di criticità che dobbiamo affrontare. Avere i costi standard già attuati Pag. 10è molto importante perché ci offre parametri da cui partire che ci tolgono anche da una certa nebulosità che c’è stata negli ultimi decenni. È la fine del lapis e l'inizio di una redistribuzione del fondo che si basa su parametri oggettivi, su criteri veramente non discrezionali, ma obiettivi, come spinta anche per tutte le regioni e le aziende a operare verso un livello di efficienza.
  Il vero punto, come ho soltanto accennato in questa relazione, ma ho detto molto chiaramente che c’è consapevolezza, è la governance, nelle realtà territoriali, nelle singole aziende, cioè capacità, direzioni generali, management della sanità in grado di attuare le norme esistenti e di metterle a sistema delle singole aziende. Verifichiamo in continuazione che, aziende che erano decotte, con un bravo management nel giro di sei-sette mesi sono state rimesse in piedi. Questo deve pur significare qualcosa.
  Ci stiamo, quindi, interrogando anche, nel patto, su sistemi più meritocratici e sicuramente premianti della capacità manageriale per cambiare la governance del sistema sanitario, che ha bisogno di un salto grande di qualità per gestire processi complessi, che devono tenere conto, da una parte, delle necessità scientifico-mediche dei LEA e, dall'altra, di un'imprescindibile esigenza di managerialità.
  Prima capiremo questo e riusciremo ad attuarlo con un vero e proprio patto collettivo, prima raggiungeremo non soltanto criteri di efficienza, ma anche la qualità, così come possiamo avere nel nostro sistema.

  PRESIDENTE. Ringrazio doppiamente il Ministro che, nonostante non sia al massimo per quanto riguarda l'aspetto della salute, ha voluto comunque essere presente.
  Effettivamente, credo che la sanità sia il primo terreno dove si sperimenta concretamente e si attua già tutto il lavoro degli anni scorsi, che viene da molto in là, ma il concetto fondamentale è che o portiamo responsabilità e competenza o i risultati non arriveranno.
  Do ora la parola agli onorevoli deputati e senatori che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO GIBIINO. Anche da parte mia arrivano i ringraziamenti al Ministro, che abbiamo visto sofferente dal punto di vista della salute fisica personale, ma particolarmente soddisfatta del lavoro che ci ha illustrato, come se ci fosse uno scollamento tra il Paese reale, che siamo abituati a vedere e che abbiamo visto nel passato, fatto di scandali, di una sanità che non funziona, di sprechi che non voglio qui citare, e quello che invece deve diventare il presente e il futuro.
  Mi piace sottolineare la parte finale del suo intervento e vorrei rivolgerle una domanda che riguarda la governance, che porta a una rivoluzione culturale e di approccio della politica verso la gestione di questa materia.
  Da una parte, porta all'efficienza perché dietro alla managerialità c’è la salute pubblica dei cittadini italiani, e, tuttavia, non possiamo nasconderci che la sanità è stata il luogo dove la politica ha gestito eccessivamente, magari per raccogliere, nella migliore delle ipotesi, il consenso elettorale che è servito a una certa forza politica piuttosto che a un'altra.
  Se riuscissimo a svincolarci da tutto questo, ne otterremmo un beneficio economico e anche complessivamente politico del Paese, oltretutto riprendendo che in alcuni casi della spesa regionale la voce sanità è il 90 per cento. Non sembrerebbe possibile perché arrivare al 90 per cento significa arrivare e sottolineare gli sprechi, se non altro, ma vengo alla domanda.
  Nell'analisi di tutti i costi standard delle prestazioni effettuate, per alcune volte ci si imbatte in una sanità erogata dalle strutture sanitarie convenzionate private o anche dalla medicina del territorio delegata ai medici o ai laboratori di convenzioni esterne. Spesso, a valutare i DRG (Diagnosis Related Groups, Raggruppamenti omogenei di diagnosi) relativi alle singole prestazioni da parte delle strutture convenzionate private oppure delle prestazioni dei medici, ci rendiamo conto che il Pag. 11costo per la collettività, se la prestazione è effettuata dal privato, risulta un quinto, un quarto o un terzo in meno.
  Questo potrebbe determinare, se ragionassimo in larga scala e senza blocchi ideologici, magari la possibilità di erogare un buon servizio parametrato, ovviamente, ai livelli che la medicina e il Ministero impongono con un risparmio di spesa significativo.
  Contemporaneamente, registro – ma questa è una mia visione, può anche darsi che mi sbagli – un ostacolo a che si acceda a questo tipo di ragionamento. Vorrei chiedere, allora, al Ministro se esista una valutazione di questo sistema in termini positivi per un risparmio nel futuro.
  Lei è stata da poco in Sicilia, regione a statuto speciale, quindi in un territorio che esula sostanzialmente dalle competenze della nostra Commissione Bicamerale, in sostanza ci si ferma a Reggio Calabria; tuttavia la Sicilia è una regione che rientra tra gli sforamenti in campo sanitario. Da una parte, non ce ne occupiamo direttamente, ma ce ne interessiamo da un'altra: cosa sta accadendo oltre lo stretto ? In questo momento sono a Roma ma, se prendo un aereo e vado in Sicilia, dove abito, mi ritrovo un problema da risolvere.

  PAOLO ALLI. Ringrazio il Ministro per l'eccellente esposizione e mi complimento con chi, soprattutto nella presente legislatura, ha svolto un lavoro importante, potendo anche contare sulla collaborazione delle regioni, perlomeno di alcune.
  Ero dall'altra parte della barricata e ho visto compiere molti sforzi anche dal sistema regionale per arrivare alla definizione dei costi standard. L'avviamento di questo percorso è, certamente, molto positivo, ottima la prima realizzazione, anche se credo ci sia ancora molto da fare.
  La mia prima domanda è di carattere generale. Sulla base di quest'inizio, dove si pensa di arrivare in termini di diffusione e ampliamento di questa prima esperienza, che mi par di capire tenda a far risparmiare qualche miliardo di euro ? Che stime di prospettiva ha il Ministero ?
  Credo, però, che la parte più interessante per me del suo intervento sia stata quella relativa alla necessità della riforma del modello e al tema della governance. È chiaro che, in prospettiva, il fatto che cambi drasticamente la domanda di salute, come lei stessa ha riconosciuto, cambi l'anagrafe, ci sposti, ovviamente, su una fascia di popolazione sempre più vicina a quella di cui si è tradizionalmente occupato il sociale, con le case di riposo che diventano delle piccole cliniche e così via.
  A mio avviso, il problema non si risolve tenendo fermo il fondo sanitario nazionale e cercando altre risorse. Il costo complessivo aumenterebbe. Nella mia esperienza regionale, vivevo questo tema sulla mia pelle. Lo spostamento del bisogno verso la fase coperta dal sociale è un problema reale e nuovo e sempre più evidente: come si pensa di affrontare questa situazione, tra l'altro molto diversa anche tra i territori ?
  Credo, inoltre, che le situazioni infrastrutturali siano talmente differenziate tra i territori – mi riferisco, per esempio, alle strutture ospedaliere – da incidere pesantemente sui costi. Ospedali di vecchia concezione e realizzazione impattano pesantemente sui costi di gestione e in talune situazioni conviene buttarli giù e rifarli piuttosto che cercare più rappezzarli.
  Sotto questo profilo, credo che le regioni debbano anche essere aiutate sia come progettualità tecniche e tecnologiche sia come modelli organizzativi e gestionali. Mi riferisco, per esempio, al fatto che per un certo tempo si è andati tutti o in gran parte sul modello del project financing, salvo rendersi conto che questo modello presentava dei limiti.
  Quando, infatti, si fa pagare il 30-40 per cento dell'investimento da chi realizza con una concessione di 30 anni sui servizi non core, finisce inevitabilmente che questo soggetto ha problemi e non si controlla più la situazione, l'adeguamento tariffario è fonte di continui contenziosi. Bisogna capire se il modello del project financing o quello del leasing in costruendo siano tra quelli da indicare ai territori.Pag. 12
  Infine, quanto alla questione ricerca e sviluppo, penso che siano un elemento di cui tener conto in prospettiva anche attraverso il meccanismo dei costi standard o meccanismi federali come indici di premialità. Ritengo, infatti, che chi ha il coraggio di investire anche sulla ricerca renda un servizio anche agli altri.

  NERINA DIRINDIN. Ringrazio anch'io il Ministro che, nonostante la salute non in perfette condizioni, ha svolto una relazione molto completa.
  Proverò a formulare una serie di considerazioni. Non riuscirò a formularle tutte perché non voglio perdere troppo tempo. Anche a me ha stupito che il Ministro affermi che alcune regioni spendono il 90 per cento delle risorse per la sanità. Non mi pare che qualcuno arrivi al 90 per cento, ma mi preoccupa soprattutto il fatto che si affermi che, se la spesa è così elevata, questo significa che c’è bisogno di razionalizzazione. Bisogna stare molto attenti.
  È la principale funzione che svolgono le regioni, non solo le regioni a statuto speciale, e quindi si tratta di un settore ad alta intensità di lavoro, che costa tanto. Di per sé, il rischio è di creare equivoci di cui di questi tempi, soprattutto per il settore del welfare, non abbiamo bisogno, come abbiamo più volte con il Ministro anche in altre occasioni detto.
  A parte questa curiosità, ci ha fatto presente l'applicazione per la prima volta dei costi standard e dei parametri standard e delle statistiche che si stanno mettendo a punto sempre più. Questo è un percorso lunghissimo compiuto dalla sanità. Ricordo che i primi parametri standard risalgono al 1985 sulla dotazione di strutture e sul personale. D'altra parte, la Corte dei conti negli ultimi tempi ha più volte richiamato il lungo percorso di graduale razionalizzazione del settore sanitario.
  A me interessa cercare di capire nell'ottica di quanto può fare questa Commissione: a partire dal Titolo V, abbiamo accelerato il processo di razionalizzazione e miglioramento della qualità dell'assistenza sanitaria o abbiamo avuto degli intoppi e degli ostacoli sui quali adesso possiamo formulare delle osservazioni ? Questo è il vero problema.
  In realtà, la sanità è stata regionalizzata prima del Titolo V, che ha semplicemente sancito una situazione che per il 95 per cento era già molto decentrata. Nutro qualche preoccupazione. Come abbiamo già avuto modo anche in Commissione sanità del Senato di discutere a lungo con il Ministro, lei giustamente ci ha fatto vedere il riparto per il 2013, ma con grande franchezza devo dire che non ricordo negli ultimi dieci anni quante volte il riparto è stato fatto nel dicembre dell'anno in corso.
  In un processo di responsabilizzazione delle autonomie, se ci si occupa a dicembre dei soldi che possono essere spesi nell'arco dell'anno, certamente non si può pensare di responsabilizzare gli enti locali. Questa è una grande questione sulla quale si è molto dibattuto. È necessario spostare l'operazione al dicembre dell'anno precedente. Restando a dicembre dell'anno in corso, le modifiche possibili sono minime. Ovviamente, infatti, ormai i servizi che per di più sono tutelati dalla Costituzione sono stati garantiti.
  So benissimo che la responsabilità non dipende, ovviamente, dal Ministro in carica in questo momento, ma da una serie di complicazioni, ma su questo forse dobbiamo interrogarci: come mai siamo arrivati così in ritardo nel fare il riparto del 2013 ?

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della Salute. Perché mancavano i costi standard approvati dalle regioni.

  NERINA DIRINDIN. Mi perdoni, Ministro, ma non la considero una risposta. In realtà, adesso li chiamiamo costi standard, ma la quota capitaria per i tre livelli di assistenza esiste dalla fine degli anni Novanta. Che fossero o meno approvati, avevamo già quelli che allora non si chiamavano costi standard perché non c'era la terza terminologia introdotta con il federalismo, ma che erano quasi la stessa cosa.Pag. 13
  O si sapeva, quindi, che comunque si sarebbe arrivati a un riparto simile a quello che è arrivato adesso, le regioni erano già allertate, avevano già fatto delle previsioni e hanno tentato comunque di stare dentro, o come si può dire a una regione che perde 100, 70 milioni di euro, lo 0,5 e l'1 per cento, e a un'altra si riconosce l'1 e lo 0,5 per cento in più, a prescindere da quali siano le regioni ?
  Se, però, quest'operazione avviene a fine dicembre, ovviamente il rischio è che non le si responsabilizzi, ma le si induca semplicemente a trovare motivi per avvantaggiarsi nel riparto dell'anno successivo affinché non siano ulteriormente penalizzate. È la storia che ce lo insegna.
  Inoltre, in questi anni, osserviamo tutti, a prescindere veramente dall'appartenenza ai partiti politici, che le differenze tra regioni siano aumentate nell'erogazione dei LEA non soltanto perché esiste un problema di mobilità interregionale, che c’è sempre stato e in qualche caso è diminuito, in qualche caso aumentato, ma soprattutto perché nelle regioni sottoposte a piano di rientro alcuni servizi non sono garantiti ai cittadini o sono garantiti con dei ticket molto più alti che in altre.
  Lei lo ha detto e condivido in pieno, ma dobbiamo porci il quesito su come affrontare – forse voi avete già in mente una strada – il problema di rafforzare la capacità di monitorare non dopo tanti anni e non soltanto su alcuni elementi i livelli essenziali di assistenza che sono garantiti davvero nelle singole regioni.
  Oltretutto, la sua attenzione alla governance è assolutamente condivisibile, ma – lo dico con molta franchezza, così come l'ho detto in precedenza ad altri Ministri, quindi assolutamente consapevole che questo Ministro sta facendo tutto il possibile per sottolineare l'importanza di alcuni temi – è mancata in questa fase di federalismo la capacità del livello centrale di svolgere un ruolo diverso da quello che svolgeva prima nei confronti delle regioni, che avevano già prima competenze nel settore sanitario e rispetto a cui il livello centrale deve monitorare, dare linee di indirizzo, ma monitorare in maniera efficace incisiva, sostituendosi tutte le volte che risulti necessario o anche usando semplicemente la moral suasion.
  Come lei sa, su alcuni aspetti abbiamo avuto tante volte occasione di incontrarci e l'impressione è che queste regioni sfuggano di mano, cioè che il livello centrale non sia in grado di monitorare, di sapere come stanno procedendo su alcune questioni. Lo dimostrano le varie questioni che abbiamo sempre bisogno di rinviare, tra cui alcuni aspetti molto importanti anche nel decreto Milleproroghe, che servirebbero per razionalizzare, ottenere risparmi di spesa. La fatica di questo sistema molto complesso porta a tempi molto lunghi e qualche volta anche a risultati estremamente poco soddisfacenti.
  Credo che valga la pena usare il tema della sanità che, come lei ha sottolineato, è il banco di prova, ma per tentare con grande serenità un'analisi critica. Abbiamo accelerato il processo di razionalizzazione grazie al Titolo V o abbiamo scoperto che esistono ostacoli importanti ai quali cercare di far fronte ?
  Mi soffermerò solo su un ultimo aspetto forse un po’ più tecnico, ma su cui mi farebbe piacere sentire le osservazioni del Ministro. Credo che per il 2013 l'applicazione dei costi standard sia ancora avvenuta con quel criterio previsto nella fase iniziale del decreto legislativo n. 68, secondo il quale i costi standard servono a definire la quota di accesso rispetto all'ammontare complessivo delle risorse e che soltanto in una fase a regime sarebbe servita per definire anche l'ammontare complessivo delle risorse. Mi pare che sia esattamente così. Questo mi preoccupa molto.
  Nel momento in cui i costi standard servono a definire l'ammontare complessivo delle risorse definite per il Servizio sanitario nazionale, questo mi farebbe pensare che la ragione per cui non sappiamo che fine facciano i famosi 2 miliardi, o perlomeno non l'abbiamo ancora scritto da nessuna parte, è che forse si immagina che si sia già arrivati alla situazione a regime, ma non so se sia così oppure no.Pag. 14
  In ogni caso, per il 2014, pensa che saremo in grado di fare il riparto in tempi rapidi, in modo che le regioni sapranno che non potranno spendere più di una certa cifra e si attrezzino perché non si spenda di più ? Il riparto del 2014 sarà fatto ancora con il principio della quota di accesso o con il sistema a regime in cui, prima, si definisce il fondo complessivo sulla base dei costi standard e, dopo, si attribuiscono le risorse ?

  DANIELE MARANTELLI. Prendo spunto per il mio intervento da quanto affermato questa mattina dal Ministro Delrio nel corso dell'audizione presso la Commissione bicamerale per la semplificazione, in merito all'intenzione del Governo di effettuare una revisione del Titolo V, con particolare riferimento alla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni. A detta del Ministro è necessario rovesciare completamente il modello attuale: oggi, attraverso gli elenchi delle funzioni, spesso contenenti evidenti sovrapposizioni, il permanere dei principi fondamentali della legislazione statale e la trasversalità di alcune materie di competenza esclusiva, si è determinato un intreccio di competenze e di funzioni. La riforma del Titolo V che si andrà a definire, secondo il Ministro Delrio, dovrà mantenere necessariamente una forte flessibilità. Vorrei pertanto avere un orientamento complessivo del Governo su questo punto. Se, infatti, è ben vero che a 12 anni di distanza si può ragionevolmente pensare che forse l'attribuzione alle regioni di competenze come il turismo e le energie in un mondo cambiato completamente possono essere messi in discussione, non vorrei che questa fosse un'operazione che permetta di buttare in un indistinto contenitore voragini di bilancio accumulate da alcune regioni nel campo della sanità. È un sospetto e una richiesta. Questo non sarebbe giusto alla faccia di tutte le discussioni affrontate finora, appunto, sulla virtuosità, sulla necessità muoverci con molto rigore.
  Credo che dai dati non si sfugga e, tra tante incertezze, ci sia un punto fermo che mi pare contenuto nella relazione sull'età media della popolazione, dato che porta con sé nuove patologie, anche facilmente individuabili, di lungodegenza, quindi la necessità anche di rivedere, come sottolineava l'amico e collega Alli, l'organizzazione della sanità, privilegiando più ospedali di comunità, che costano meno, rispetto a ospedali che comportano specialità molto costose.
  In questo senso, è evidente come sia importante conoscere un po’ la funzione e il ruolo del Governo. È facile, infatti, a dirsi, ma più complicato da realizzare perché richiede la chiusura di alcuni ospedali.
  Mi permetto di chiederlo perché sono rimasto colpito da una vicenda recentissima, di questi giorni, per cui nella regione più popolosa, certamente tra le cinque indicate, la Lombardia, la mia regione, l'assessore regionale alla sanità si è recato nel pronto soccorso di una città capoluogo e ha affermato quel pronto soccorso è pressappoco una vergogna.
  Penso che il compito di un assessore – sintetizzo il giudizio, che forse andrebbe articolato un po’ meglio – come di chi ha funzioni di Governo, secondo il principio di responsabilità, sia trovare risposte ai problemi, non denunciarli. Siccome dalla relazione sono emersi dati estremamente interessanti, mi piacerebbe davvero conoscerne di più.
  Credo che abbia fatto bene il Ministro a ricordare che, in prospettiva, ci sarà comunque probabilmente non soltanto una mobilità tra regioni, ma tra Stati. C’è già da tempo come nel caso dei problemi legati alle cure dentarie, ma non sono gli unici ed è un rischio, ma anche un'opportunità per noi.
  Vengo a quella che giudico l'affermazione impegnativa sulla sinergia tra NSIS e Anagrafe nazionale assistiti, se ho capito bene. La assumo davvero come un'opportunità enorme per tutti noi. Questa conoscenza è assolutamente indispensabile considerato che continua a essere sacro il diritto alla tutela della salute e, per quel che mi riguarda, credo che continui a essere modernissimo il nesso previsto nella Pag. 15legge tra prevenzione e cura e riabilitazione. Ho l'impressione che l'esistenza di un primario ogni sette-otto posti-letto abbia poco a che fare con il diritto alla salute ma, con ogni probabilità, col privilegio di quel signore ad avere la seconda villa al mare o in montagna.
  È importante, al di là degli aspetti puntuali che sono stati posti, disporre anche di questi dati. Credo che la Commissione possa svolgere anche una funzione positiva su un tema che, ingiustamente, a mio giudizio ci vede spesso agli onori delle cronache per fatti poco belli. In fin dei conti, la sanità italiana, con tutti i suoi guai, è sempre tra le migliori del mondo.
  Questo, però, a maggior ragione deve obbligarci a garantire quel contributo per intervenire nelle realtà che obiettivamente hanno manifestato livelli assolutamente non accettabili di prestazioni in relazione a risorse che con fatica sono raccolte chiedendo sacrifici ai cittadini.

  PRESIDENTE. Restituisco ora la parola al Ministro Lorenzin per la replica.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della Salute. Eventualmente, fornirò anche delle risposte per iscritto perché tra dodici minuti devo andare via, mentre le domande poste meriterebbero una conferenza in quanto estremamente interessanti e articolate e per le quali vi ringrazio.
  A mio avviso, questa Commissione potrebbe svolgere un ruolo più forte anche di aiuto al Governo nella determinazione delle politiche sanitarie. Uno dei motivi per cui sulle cronache si parla sempre e solo di malasanità è che, purtroppo, la sanità, per qualche motivo misterioso, nel nostro Paese non è nell'agenda politica. È fuori dall'agenda mass-mediatica nonostante abbia 110 miliardi di euro di fondo, riguardi la vita di tutti i cittadini e sia uno degli aspetti della spesa pubblica più importanti e anche più qualificati. Intorno alla sanità, oltretutto, gira il 12 per cento del prodotto interno lordo italiano.
  Misteriosamente, non si riesce ad affrontare e a rendere anche nel dibattito politico attuale quello sul sistema sanitario, se non condito con banalità di vario genere o con discorsi molto depauperati e spesso totalmente disancorati dalla realtà. È molto più facile che si parli di sanità solo per il caso di cronaca, che purtroppo statisticamente avviene e a volte anche per motivi di oggettive inefficienze, piuttosto che condurre un'analisi e anche rendere i nostri cittadini consapevoli fino in fondo di quanto hanno rispetto a Paesi a noi confinanti.
  Con questa nostra esterofilia, vediamo sempre che tutto va meglio negli altri Paesi, ma vi assicuro che il livello di accesso alla salute in Italia è veramente di tutto rispetto. Il problema è che abbiamo aree territoriali a macchia di leopardo, dove si verificano fatti come con una buona governance non accadrebbe.
  Quanto ai rapporti tra sanità pubblica e privata e al costo delle prestazioni, è uno degli elementi sul tavolo sia del Ministero sia della Conferenza Stato-Regioni. Risponderò solo per flash dicendo che, ovviamente, in Italia abbiamo, proprio per la sua strutturazione regionale, modelli diversi. In alcune regioni esistono alcune problematiche nel rapporto di integrazione pubblico-privato più sentite che in altre, dove il tema quasi non sussiste. Ecco perché è molto delicato da affrontare, ma ce ne stiamo occupando in Conferenza nel Tavolo degli assessori della sanità e anche nel rapporto col ministero.
  Per quanto riguarda i DRG, ha perfettamente ragione. Nel patto, il Ministero della salute sta lavorando a un nuovo modello di configurazione dei DRG. Neanche i DRG sono intoccabili e, oggettivamente, alcune equazioni sono state preparate e abbiamo appurato che, di fatto, l'equazione non corrisponde all'effettivo costo della prestazione. Su questo si sta lavorando. Ovviamente, è un tema estremamente tecnico, delicatissimo, ma che ho voluto affrontare e che stiamo affrontando. Presto, avremo anche nuove proposte sui DRG.
  Quanto al ruolo del commissariamento dei piani di rientro, ero qui in Commissione bicamerale quando ce lo siamo inventato: Pag. 16è un meccanismo un po’ rozzo, ma fu determinato dall'urgenza. Era fuori di dubbio, infatti, che la spesa sanitaria fosse andata totalmente fuori controllo, ma abbiamo anche potuto verificare sul campo che, laddove si spendeva di più, purtroppo si spendeva anche peggio. Questa spesa sanitaria fuori controllo non corrispondeva a una effettiva prestazione. Ci si aspetterebbe che, laddove è stato speso tantissimo, si abbia una qualità del servizio erogato di grandissimo livello, ma purtroppo non è così.
  Inoltre, i commissariamenti sono stati decisi, anche con tante problematiche, in una fase in cui l'Italia doveva rendere conto di una diminuzione della spesa in tempi reali. Come ho sempre ricordato, siccome quella sanitaria è una delle poche spese pubbliche conosciute, è quella più aggredibile e su dobbiamo mettere un argine, razionalizzare. Non si può, dato che è l'unica che si conosce, non mettere mano anche agli altri comparti che riguardano tutto il resto della fetta.
  Stiamo valutando il ruolo dei commissari, ma ovviamente dobbiamo trovare un accordo con il MEF. Il controllo del livello centrale sulla sanità nei confronti delle regioni è entrato, infatti, finora nel piano economico-finanziario. Non c’è stato, invece, come avrebbe dovuto, sul piano dei livelli essenziali di assistenza. Sotto un certo aspetto, ciò è molto comprensibile ed è dovuto al fatto che abbiamo avuto e ancora abbiamo l'emergenza economico-finanziaria, per cui si è privilegiato quest'aspetto. Oltretutto, in mancanza di un equilibrio dei conti, era difficile fare tutto il resto.
  Dall'altra parte, c’è anche stato un totale e oggettivo depauperamento del ruolo del Ministero della salute. Ricordo a tutti che a un certo punto il Ministero della salute era scomparso, come se la salute non fosse un asset nazionale. La gestione della sanità è regionale, come è giusto che sia, così rispondendo al Titolo V, ma non si può pensare che non sia un asset nazionale.
  Esiste tutto il tema dell'epidemiologia, quello della ricerca: si tratta di temi nazionali in tutti i Paesi del mondo avanzati. È necessario ricentralizzare i controlli in modo più forte nel Ministero della salute. È una richiesta venuta da tutte le regioni e nel patto abbiamo anche delle risposte. In realtà, abbiamo sempre avuto gli strumenti, ma forse non c’è stato abbastanza coraggio e anche abbastanza volontà di attuarli.
  Da parte mia, tra tanti difetti, non c’è la mancanza di coraggio. Avanzeremo delle proposte, anche dando la possibilità di intervenire, ma sempre a beneficio dei pazienti e delle regioni. Una regione, infatti, che riceve un intervento dal livello centrale per rimettere in piedi un livello essenziale, alla fine ci guadagna perché eroga una prestazione più adeguata.
  Quanto alla riforma del Titolo V, è impossibile che si possa tornare indietro sulla sanità. Vorrebbe dire smontare di nuovo il meccanismo del sistema che ci è costato 100 miliardi di euro implementare. Dopo 12 anni, però, possiamo anche non avere tabù e riconoscere che, se alcune cose non hanno funzionato e hanno bisogno di essere aggiustate, possiamo farlo.
  Vi dicevo che uno degli aspetti che dobbiamo valutare è quello epidemiologico. Lo verifico in un altro comparto, che non è quello della salute delle persone, ma quello della salute animale. Ricordiamo, a tale proposito, che il Ministero della salute gestisce la sicurezza agroalimentare, che è il controllo di uno dei nostri comparti di maggiore valore economico nel Paese.
  Le epidemie, l'aviaria, la peste suina, i virus tutti non stanno dietro alle regole delle amministrazioni delle burocrazie o ai rimpalli di responsabilità tra funzioni centrali o periferiche. Nell'affrontare, ad esempio, la questione dei virus, le questioni epidemiologiche, credo che debba esserci assolutamente un rafforzamento del coordinamento centrale, importantissimo. In questi casi, anche un giorno, nel settore animale, vuol dire qualche miliardo di euro buttato; nel settore umano, vuol dire vite perse. Questo è uno degli aspetti funzionali.
  Un altro tema è sicuramente la ricerca scientifica. C’è stata un'interpretazione, in Pag. 17questi anni, a mio avviso troppo larga del federalismo. Non possiamo immaginare che si attuino, nelle regioni, sperimentazioni fuori dalla legge nazionale. Ho posto e porrò questo tema in modo molto forte. Dobbiamo imparare dagli errori. Errare è umano, perseverare è diabolico.
  I subcommissari, però, avrebbero per norma già oggi – parlo dei piani di rientro – possibilità di agire sulle aziende. In realtà, i ruoli sono stati abbastanza confusi tra subcommissari e commissari, gli stessi governatori. Se dobbiamo immaginare un sistema più veloce ed efficiente anche di rafforzamento, bisogna capire bene qual è il compito dei subcommissari e quale quello del commissario di governo per agire sul livello di governance. Se chiediamo, infatti, a un subcommissario di una regione in piano di rientro di mettere in piedi un sistema efficiente, dobbiamo anche fare in modo che possa agire sui livelli di governance.
  Immagino un sistema di commissariamento molto più snello. Oggi, è difficile che possa uscirne una regione che entra in piano di rientro. Non va bene, blocca gli investimenti e anche la capacità di autoresponsabilizzazione dei livelli di governo locale. Su questo, dobbiamo trovare un modo più raffinato, passare dall'idea di commissariamento iniziale un po’ più rozza a un livello più raffinato che ci viene anche dall'esperienza che abbiamo maturato sul campo.
  Il sistema di monitoraggio che stiamo mettendo su in atto dal punto di vista informatico, sempre fermo restando che le regioni ci forniscano le informazioni, ci permette di agire in modo tempestivo anche dal punto di vista dei LEA, dei livelli essenziali di assistenza.
  Immaginerei una specie di task force di management informato che interviene laddove esiste il problema e poi va via. È anche un modo diverso di concepire il rapporto tra Stato centrale e regioni, tra ministero e assessorati, un rapporto di collaborazione e costruttivo e non soltanto di forza.
  È vero che esiste un livello di differenziazione dei LEA. Non si può negare che in alcuni territori c’è un minore accesso ai livelli essenziali di assistenza, tant’è vero che nel patto questi saranno aggiornati. Bisogna trovare un modo continuo di aggiornamento dei LEA, che vuol dire anche sfoltirli. Non è detto che tutto rimanga sempre immobile. L'obiettivo del Ministero è, per i prossimi anni, superata questa fase di emergenza, di mettere a regime le best practice, ma anche di migliorare ancora di più il nostro sistema e le nostre prestazioni.
  Sul riparto, la questione è tecnicamente abbastanza complessa. È vero che negli anni ci si è regolati in questo modo, cioè si arrivava alla fine dell'anno e poi col famoso lapis erano attribuiti fondi e fondini. L'idea dei costi standard è proprio quella di superare, eliminare il lapis.
  Prima era oggettivamente impossibile, il Governo è stato insediato a maggio. Abbiamo approvato i costi standard il 25 giugno come Ministero, dopodiché alle regioni abbiamo dato il tempo di scegliere e valutare. Ovviamente, parliamo in questo caso veramente di una svolta epocale. Oltretutto, senatrice Dirindin, avevano già effettuato i loro calcoli.
  Stamattina, abbiamo deciso di effettuare il riparto del 2014 nel mese di febbraio, quindi di anticipare i tempi. Le regioni hanno chiesto, però, un accordo per cambiare alcuni dei parametri. Questo sarà oggetto di valutazione anche con il Ministero dell'economia per dare una valutazione e trovare un accordo tra le regioni, ma anche con un placet.
  Non si tratta tanto di un problema dal punto di vista sanitario, quanto dal punto di vista del Ministero dell'economia, ma credo che i costi standard siano una base di partenza imprescindibile. Abbiamo messo un punto fermo con una stagione e ne abbiamo iniziata un'altra. Siccome stiamo cominciando una nuova stagione, incontriamo anche nuovi problemi che prima non c'erano. Speriamo che almeno non ci siano i vecchi. Questo è un buon auspicio.
  Un altro obiettivo fondamentale riguarda le infrastrutture sanitarie: o investiremo sulle infrastrutture sanitarie o Pag. 18avremo grossissimo problemi. Gli investimenti sulle infrastrutture, cioè il famoso articolo 20 della legge n. 67 del 1988, è fermo da troppo tempo.
  Ho trattato – vediamo se riusciremo fino in fondo – con il Ministro Trigilia per portare un buon contributo da quel capitolo di spesa sulle infrastrutture sanitarie e tecnologiche, ma oggi la medicina si muove su due punti: tecnologia e risorse umane. È cervello, ricerca e tecnologica. Dobbiamo riuscire a stare al passo su questo. Tra l'altro, investire su infrastrutture e tecnologia significa investire su asset strategici del Paese e avere una ricaduta economica sui territori di circa 10-20 volte superiore alla quota investita, quindi è veramente un investimento.
  L'altro aspetto è quello del socio-sanitario. È evidente che il cambiamento di domanda che ci sarà sempre di più richiederà un maggiore coinvolgimento del territorio, che già oggi è carente, ma non possiamo permettere che il Fondo sanitario nazionale soddisfi le esigenze del sociale, come oggi avviene. Oggi, molti assessorati tolgono da una parte e danno all'altra.
  Questo, purtroppo, impedisce alla sanità di migliorarsi, cioè alla salute di fare prevenzione. Sulla prevenzione primaria e secondaria, sul medio termine, risparmieremmo miliardi di euro, non poche cifre. Si tratta, infatti, di non far ammalare le persone, quindi di ottenere un risparmio effettivo sul costo non solo ospedaliero, ma anche farmaceutico. Dall'altra parte, se non investiremo anche in ricerca e in implementazione, il sistema sanitario non andrà avanti.
  Dobbiamo pensare a un fondo sul settore sociale e fare in modo che le due funzioni si parlino in modo integrato. È un dialogo di cui avremo sempre più bisogno, considerando anche che la non autosufficienza è un tema fortissimo che abbiamo in questi anni cercato di tamponare, ma che sarà sempre più presente nelle nostre politiche pubbliche e di welfare.
  Dobbiamo anche provare a immaginare sistemi integrativi per il futuro, che si accompagnino al servizio pubblico. È importante per poter immaginare anche una terza gamba nel sistema sanitario, come nel sistema previdenziale. È un modo di progettare anche le esigenze che cambieranno nei prossimi anni.
  Mi sembra molto difficile che si possa ottenere un boom demografico per norma, ma in realtà dovremmo immaginare di riuscire ad aumentare la popolazione: o lavoriamo, infatti, sulla natalità, su una cultura della qualità, o sarà veramente difficile far reggere il sistema nelle sfide prossime future. Tra 30 anni avremo una popolazione invecchiata.
  Noi saremo anziani tra 30 anni, io avrò 72 anni, e avremo una pensione sicuramente inferiore rispetto a quella che percepiscono gli anziani oggi, quasi tutti avranno situazioni monofamiliari, con meno figli, per cui non ci sarà la famiglia a occuparsi della persona anziana. Questo comporterà delle profonde trasformazioni del tessuto sociale, ma anche urbano. È già così ora, ma pensate a come sarà tra 30 anni. Dobbiamo cominciare a immaginare anche questo scenario e trovare soluzioni sostenibili.
  Se, inoltre, immaginiamo una sanità più efficiente, che va per hub&spoke e ospedalizza solo le acuzie, dobbiamo rafforzare il territorio, che non passa soltanto attraverso la domiciliarizzazione delle cure sanitarie, ma anche attraverso l'assistenza. Si tratta di modelli che richiedono anche alcuni cambiamenti nei parametri organizzativi degli stessi livelli di governance locali.
  Dico senza retorica che questa Commissione, di cui ho fatto parte per anni, ha in sé competenze diverse, si ragiona di finanza pubblica e di organizzazione, e insieme anche di sanità, quindi può offrire una lettura duplice, che è quella che serve oggi a un sistema complesso come quello sanitario nella realizzazione di modelli che devono essere ispirati alla concretezza. I modelli astratti non si riescono a realizzare e rimangono lettera morta all'interno delle aule parlamentari prima e della Conferenza Stato-Regioni poi.
  Spero che nei prossimi mesi potrete aiutarmi anche in un'operazione di analisi Pag. 19del patto della salute e di quelli che saranno i vari livelli di criticità che sicuramente emergeranno.

  PRESIDENTE. Il punto è la concretezza.
  Ringrazio davvero, credo a nome di tutta la Commissione, il Ministro per averci dedicato il suo tempo nonostante le condizioni di salute. Ringraziamo anche per la fiducia nel ruolo dell'attività della Commissione. Ci terremo sicuramente in contatto.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal Ministro (vedi allegato).
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.25.

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ALLEGATO