XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Martedì 17 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Sull'ordine dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Centinaio Gian Marco  ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Centinaio Gian Marco  ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Margiotta Salvatore  ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 4 

Audizione di rappresentanti dell'Ordine dei giornalisti:
Fico Roberto , Presidente ... 4 
Iacopino Enzo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 4 
Airola Alberto  ... 5 
Puppato Laura  ... 6 
Centinaio Gian Marco  ... 7 
Girotto Gianni Pietro  ... 7 
Anzaldi Michele (PD)  ... 8 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 8 
Anzaldi Michele (PD)  ... 9 
Iacopino Enzo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 9 
Fico Roberto , Presidente ... 9 
Iacopino Enzo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti di ENS – Ente nazionale per la protezione dei sordi Onlus:
Fico Roberto , Presidente ... 13 
Petrucci Giuseppe , presidente nazionale dell'ENS ... 13 
Del Vecchio Costanzo , segretario nazionale dell'ENS ... 14 
Fico Roberto , Presidente ... 15 
Del Vecchio Costanzo , segretario nazionale dell'ENS ... 15 
Margiotta Salvatore  ... 16 
Airola Alberto  ... 17 
Del Vecchio Costanzo , segretario nazionale dell'ENS ... 17 
Petrucci Giuseppe , presidente nazionale dell'ENS ... 18 
Del Vecchio Costanzo , segretario nazionale dell'ENS ... 18 
Petrucci Giuseppe , presidente nazionale dell'ENS ... 18 
Del Vecchio Costanzo , segretario nazionale dell'ENS ... 18 
Fico Roberto , Presidente ... 18 

Audizione di rappresentanti di ANICA – Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali:
Fico Roberto , Presidente ... 18 
Tozzi Riccardo , presidente dell'ANICA ... 19 
Airola Alberto  ... 21 
Margiotta Salvatore  ... 22 
Fico Roberto , Presidente ... 22 
Tozzi Riccardo , presidente dell'ANICA ... 22 
Medolago Francesca , responsabile ufficio studi e sviluppo relazioni associative ANICA ... 22 
Airola Alberto  ... 23 
Tozzi Riccardo , presidente dell'ANICA ... 23 
Fico Roberto , Presidente ... 25 
Tozzi Riccardo , presidente dell'ANICA ... 25 
Airola Alberto  ... 25 
Tozzi Riccardo , presidente dell'ANICA ... 25 
Fico Roberto , Presidente ... 26 

Audizione di rappresentanti di Appello donne e media:
Fico Roberto , Presidente ... 26 
Cims Gabriella , promotrice dell'Appello donne e media ... 26 
Manna Elisa , responsabile politiche sociali CENSIS ... 28 
Vaccari Gioia , Istituto nazionale scienze biosociali ... 30 
Cims Gabriella , promotrice dell'Appello donne e media ... 31 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 31 
Marazziti Mario (PI)  ... 31 
Anzaldi Michele (PD)  ... 32 
Fico Roberto , Presidente ... 32 
Manna Elisa , responsabile politiche sociali CENSIS ... 32 
Albanese Sonia , Zonta International ... 32 
Buzzetti Anna Maria , presidente sezione di Roma dell'Associazione giuriste italiane ... 32 
Airola Alberto  ... 33 
Fico Roberto , Presidente ... 33

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 10.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Comunico altresì che dell'audizione odierna sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Centinaio che intende intervenire sull'ordine dei lavori.

  GIAN MARCO CENTINAIO. Stiamo facendo delle audizioni sul Contratto di servizio 2013-2015, ma siamo a fine 2013. Penso quindi che la settimana prossima non andremo in votazione sul Contratto di servizio. Di conseguenza, la domanda che mi sto ponendo e che si stanno ponendo tutti coloro che seguono i lavori della Commissione di vigilanza Rai è quando voteremo questo Contratto di servizio, considerato che siamo in regime di prorogatio del vecchio. Altrimenti, dovremmo fare un Contratto di servizio 2014-2016 e, se andiamo avanti, 2015-2017 o quello che sarà.
  Ritengo che la Commissione di vigilanza debba chiudere le audizioni il più presto possibile e votare il Contratto di servizio perché stiamo prendendo in giro gli italiani. Questa è la mia opinione, che chiedo venga messa a verbale. Stiamo continuando ad audire più persone possibile. Mi scusi se faccio questa premessa, ma è doverosa. Ci stiamo avvicinando a fine anno. Il 2013 sta finendo, per cui ci chiediamo quando avremo il Contratto.

  PRESIDENTE. Le ricordo che dobbiamo compiere il percorso di audizioni. In caso contrario, prenderemmo davvero in giro i cittadini. Per quanto mi riguarda, la Commissione si dovrebbe riunire una volta al giorno, cinque giorni su sette. Tuttavia, sappiamo che una Commissione bicamerale, quando ci sono i lavori delle Assemblee, da Regolamento, non può essere convocata durante le votazioni. Anche io desidererei un processo più veloce, ma comunque chiaro e trasparente, per comprendere le posizioni di tutti gli attori che possono partecipare.

  GIAN MARCO CENTINAIO. A gennaio la gente paga il canone su un Contratto di servizio che non è ancora stato stipulato, quindi stiamo prendendo in giro gli italiani. Per meglio dire, forse la Rai sta prendendo in giro gli italiani.

  PRESIDENTE. Non penso che stiamo prendendo in giro gli italiani. Il Contratto di servizio è in prorogatio. Comunque, entro gennaio 2014 lo chiuderemo.

  SALVATORE MARGIOTTA. Non stiamo prendendo in giro gli italiani, anche perché stiamo svolgendo audizioni ogni volta che è possibile, compreso il Pag. 4lunedì, giorno in cui, in genere, in queste Commissioni non si è quasi mai lavorato. Peraltro, non mi pare che negli ultimi lunedì nei quali abbiamo fatto audizioni ci sia stata la presenza di chi protesta perché si faccia presto.

  PRESIDENTE. A parte questo, il Contratto di servizio è arrivato qui il 25 settembre, quindi non è un percorso lunghissimo. Parliamo di due mesi. Direi che per fare qualcosa di serio due mesi non sono molti. Comunque, andiamo avanti con le audizioni.

Audizione di rappresentanti dell'Ordine dei giornalisti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Ordine dei giornalisti, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Questa audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione ha avviato in relazione al nuovo Contratto nazionale di servizio 2013-2015.
  Do la parola al dottor Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine dei giornalisti, che riferirà, per i profili di proprio interesse, sul nuovo Contratto di servizio, con riserva per me e gli altri colleghi di rivolgere, al termine degli interventi, domande e richieste di chiarimento.

  ENZO IACOPINO, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Ringrazio lei, Presidente, e tutta la Commissione, che ha dimostrato, sui nostri problemi, una sensibilità che in precedenza non avevamo registrato. Mi riferisco, in particolare, a quanto è accaduto questa estate con la chiamata diretta di 35 ex allievi della scuola di Perugia già operativi all'interno dell'azienda Rai, vicenda che vi ha visto protagonisti con audizioni mirate del direttore generale e di altri soggetti che operano all'interno della Rai.
  Vorrei manifestarvi una preoccupazione legata più in generale al ruolo della vigilanza perché, avendo avuto modo di assistere alle audizioni che ho citato e di leggere qualche resoconto e qualche altra dichiarazione, è apparso quasi un certo fastidio da parte dei vertici della Rai per quella che consideravano un'interferenza della Commissione di vigilanza. Personalmente, ho un'idea non particolarmente diffusa sul ruolo dei giornalisti, che deve essere inteso come un dovere, non come un diritto.
  In tanti fanno riferimento all'articolo 21 della Costituzione, ritenendo che si riferisca ai diritti dei giornalisti. Ho l'idea, che debbo dire si sta facendo strada, che la Costituzione si occupa dei diritti dei cittadini, non di quelli dei giornalisti. L'articolo 21 dovrebbe quindi segnare un dovere specifico o maggiore dei giornalisti.
  Ascoltando tuttavia la registrazione delle audizioni cui mi riferisco, ho avvertito una sorta di fastidio, a tratti quasi evidente, per le domande che la Commissione, ovvero il Parlamento, poneva in relazione a una vicenda lacerante all'interno della categoria e devastante per le speranze di centinaia di giovani giornalisti che hanno frequentato le scuole con gravi sacrifici, non solo familiari: spesso infatti si tratta di giovani che lavorano per potersi permettere di frequentare quelle scuole e tale vicenda ne ha frustrato le speranze.
  Non so se nelle possibilità del nuovo Contratto di servizio ci sia anche quella di codificare una norma specifica non tanto per stabilire un controllo (idea che, francamente, troverebbe in me delle resistenze), ma per consentire al Parlamento di chiedere e soprattutto di avere risposte, che nel caso specifico mi pare non siano venute.
  Mi preme sottolineare un altro aspetto. Come tutti voi, custodisco il telecomando con un'idea di possesso, quindi mi capita di passare da un canale a un altro e di assistere a cose devastanti che mi domando se rientrino nei doveri di un servizio pubblico. Faccio un riferimento preciso. Il mese scorso – siamo genitori, nel mio caso sono perfino nonno – siamo rimasti tutti molto turbati per la vicenda delle due ragazzine dei Parioli che si prostituivano, più o meno incoraggiate da Pag. 5un familiare. Devo dire che la tv in particolare, ma anche i giornali, si sono ben esibiti, arrivando alla punta del Corriere della Sera che, come sapete, non riuscendo a «sbanchettare» completamente, ha pubblicato perfino l'indirizzo del luogo dove si prostituivano e i nomi delle due ragazze. A questo proposito, abbiamo aperto un fascicolo per dei procedimenti disciplinari.
  Riferendomi alla tv, saltando da un canale all'altro, abbiamo assistito a quanto di peggio sia stato possibile vedere nell'ultimo periodo. Per intenderci, non siamo arrivati ai livelli della vicenda di Sara Scazzi di Avetrana, ma ci siamo andati molto vicini. È possibile che l'informazione in tv venga gestita dalle soubrette ? Le vicende alle quali sto facendo riferimento coinvolgono persone degnissime, che però non hanno il dovere di rispettare regole che consentono all'Ordine di intervenire, sanzionando, come misura estrema, chi si dovesse rendere responsabile di questi comportamenti con la radiazione dall'Ordine professionale. Ho assistito con indignazione a un episodio in cui una soubrette domandava a un signore (che, per mio limite, non sapevo fosse il Garante per l'infanzia) se queste ragazzine saranno turbate nel loro futuro da questa vicenda. Il signore, che consideravo un esperto, uno dei tanti che ci dicono come vivere dalla tv, perentoriamente ha risposto: «Certamente, se si continuerà a parlare di loro», ma hanno continuato a farlo, lanciando una pubblicità immagino molto costosa. Se questo avviene in una tv commerciale è deplorevole; se però avviene nell'ambito di un servizio pubblico, ritengo sia ancora più colpevole.
  Questo ci porta ad affrontare un altro argomento. Sinceramente, non so se si può far qualcosa. In ogni caso, se si può, vi scongiuro di farlo, approfittando di tutti gli strumenti disponibili. L'informazione nei principali format – parlo di «Porta a porta», «Ballarò» e mi riferisco alla Rai perché di questa stiamo parlando – è costruita da giornalisti che non vengono trattati e retribuiti come giornalisti dalla Rai, la quale ha brevettato delle figure particolari, ovvero assistenti ai programmi, che fanno i giornalisti. Anche quelli che hanno intervistato molti di voi in tante occasioni non sono giornalisti, ma assistenti ai programmi o programmisti registi o, ancora peggio, partite Iva. Ecco, è un segnale positivo che l'azienda del servizio pubblico ricorra a questi espedienti per pagare di meno le persone ? Personalmente, credo di no.
  Tuttavia, sono centinaia. All'ultimo concorso interno che la Rai ha ritenuto di indire per regolarizzare quanti avevano particolari caratteristiche, hanno presentato la domanda in 190; si sono presentati in 170, ma ne hanno regolarizzati 40. A parte i 150 residui, ci sono poi tutti gli altri. Non credo che un servizio pubblico possa rispettare formalmente la legge, aggirandola con le norme a disposizione: insomma, non mi pare un bel segnale.
  Sentivo il bisogno di dire questo, ringraziandovi non tanto per questa audizione, ma – ripeto – per quanto avete ritenuto di fare quest'estate. Ringrazio, in particolare, il Presidente, che è stato cortese a ricevermi l'8 agosto e poi accogliendo i ragazzi di un gruppo delle scuole, ma anche voi tutti per le due audizioni che avete svolto quasi interamente su questo argomento.

  ALBERTO AIROLA. La ringrazio di essere venuto in audizione presso la Commissione vigilanza Rai. Sono capogruppo del Movimento cinque Stelle. In questa Commissione abbiamo portato avanti alcune battaglie per il rispetto dei lavoratori. Parto dall'ultimo punto che ha citato quindi nello specifico, dai giornalisti. Appartengo al settore perché facevo l'operatore, per cui ho conosciuto da vicino le problematiche dei lavoratori. Dico questo perché da parte nostra c’è la volontà che i lavoratori vengano rispettati, come è scritto nel Contratto di servizio pubblico, che si rifà ai valori della Costituzione, per cui il primo articolo riguarda proprio i lavoratori.
  Del resto, lo stesso direttore Gubitosi ha promesso qui in Commissione di vigilanza, per ben due volte di seguito, che Pag. 6non ci sarebbero più stati anticipi da parte di lavoratori inquadrati con partita Iva, che, tra l'altro, devono pagarsi le spese e le relative tasse. Dico questo solo per fare un esempio. Ciò accade, peraltro, a fronte di giornalisti che sono in servizio da molti anni e guadagnano moltissimo. Insomma, c’è un divario inaccettabile da un punto di vista etico.
  Il sensazionalismo giornalistico di cui parlava è un altro problema. Il servizio pubblico non deve rincorrere l’audience. Vi è però un problema basilare. Immagino che rileviate delle ingerenze della politica nell'attività giornalistica. Come può quindi l'Ordine pensare di collaborare al ripristino di una deontologia che avvertiamo sempre più evanescente nella gestione dell'informazione Rai ?
  Io stesso ho appena consegnato un esposto all'Agcom perché nei Tg Rai il nostro movimento, come altre forze politiche, è rappresentato in modo diseguale: questo è dimostrato dai dati dell'Osservatorio di Pavia. Premesso che l'informazione non è fatta a inviti, non è accettabile che si risponda che non si è stati contattati a un'interrogazione sul perché non si è presentata una troupe a un grosso evento di risonanza nazionale. Il lavoro del giornalista deve essere indipendente dalla politica, quindi dalle richieste e dalle telefonate dei politici.
  Chiudo con queste riflessioni, anche per lasciare spazio agli altri colleghi.

  LAURA PUPPATO. Anch'io la ringrazio della partecipazione. Vorrei chiederle un'opinione su due questioni. La prima, a cui ha accennato in maniera piuttosto esplicita, è quella della ricerca, da parte della televisione pubblica, dello scandalismo sotto qualsiasi forma perché questo, nella cattiva cultura che si è creata in questi decenni nel Paese, è diventata una sorta di ossessione anche del pubblico. Bisognerà quindi capire, se e come riusciremo, come servizio pubblico, a far tornare indietro questo meccanismo in maniera tale che si ascoltino informazioni e non si ragioni in termini scandalistici o di scoop come unico elemento di valutazione dell'opportunità di rimanere davanti al video.
  In secondo luogo, non avendo noi elementi di comparazione più ampi, da una persona che proviene da altri Paesi europei mi è stato fatto osservare che la nostra televisione, al contrario, per esempio, di quella francese, tedesca o svizzera, si occupa di politica in modo non solo sistemico (il che potrebbe essere positivo dal mio punto di vista), ma scandalistico, ripetutamente e quasi esclusivamente per evidenziare i limiti, peraltro lampanti, della classe politica. Tuttavia, la continuità e la voglia di dare dell'untore, di fatto, sta demolendo le istituzioni del Paese. Questo è il tema sul quale oggi siamo chiamati a riflettere, visto che ciascuno di noi spera di riuscire a recuperare la credibilità delle istituzioni lavorandoci in maniera seria.
  Mi è stato fatto notare che le caratteristiche a cui accennava circa gli aspetti relativi, per esempio, a tematiche di carattere sociologico e ai danni che l'infanzia sta subendo – lei citava due casi rilevanti – si manifestano anche rispetto a cittadini adulti che certamente non rilevano lo stesso danno personale, ma subiscono un modello di spettacolo che si occupa di politica in maniera talmente sistemica da risultare ossessionante. Mi è stato fatto osservare come questo non accada affatto in altri Paesi, dove non ci sono talk show sistematicamente puntati sull'elemento politico e sulle elezioni. Pertanto, quello che riteniamo un elemento di democrazia, coniugato, prodotto e documentato in questo modo, potrebbe diventare, al contrario, un elemento di assuefazione al peggio. Nel contempo, questo modello sicuramente non forma e non aiuta a formare in termini positivi perché, se si punta esclusivamente allo scandalo, a valere non sarà la foresta che nasce, bensì l'albero che cade. E siccome avremo sempre alberi che cadono, accentuare l'interesse verso gli elementi totalmente negativi finisce per diventare un elemento di distruzione. Vorrei capire cosa si può fare in questo senso, visto che lei è persona informata sui fatti.

Pag. 7

  GIAN MARCO CENTINAIO. Sono totalmente d'accordo quando dice che è impossibile che l'informazione in tv sia gestita dalle soubrette. Purtroppo, questa è la sensazione che stiamo avendo tutti. Le soubrette stanno dando l'informazione televisiva, soprattutto quella pomeridiana, a una fascia di popolazione che è facilmente influenzabile. Bisognerebbe quindi evitarlo il più possibile.
  Ci domandiamo però chi sceglie le soubrette. A chi viene data la responsabilità di scegliere le soubrette ? Chi le paga ? Insomma, le soubrette vengono pagate con il servizio pubblico, quindi con il canone, oppure con la pubblicità ? Ecco, queste sono le domande che stiamo facendo e abbiamo fatto in più di un'occasione al direttore Gubitosi, senza avere risposte. Infatti, un conto è dire che un giornalista sta dando informazioni, anche errate o distorte, con la possibilità che – come lei ha detto poc'anzi – l'Ordine dei giornalisti intervenga, un altro è dare «potere» a persone che non sono titolate a dare informazioni e che quindi non vengono minimamente riprese. Mi duole, tuttavia, dover sottolineare che non sono solamente le soubrette a rincorrere gli scandali, gli scoop e molto spesso le informazioni distorte, anche perché il ruolo del giornalista dovrebbe essere di appurare la veridicità dell'informazione. Notiamo invece che purtroppo molto spesso le informazioni che non corrispondono alla realtà vengono date proprio nei telegiornali. Anche in questo caso, ci chiediamo se l'Ordine dei giornalisti interviene o meno.
  Mi è piaciuta la parte del suo intervento nella quale dice che dietro i volti noti ci sono le partite Iva. Su questo, abbiamo esortato il direttore Gubitosi a fare un concorso con cui assumere giornalisti secondo le necessità dell'azienda, evitando, appunto, il mondo delle partite Iva. In quest'Aula abbiamo chiesto a chi viene data la responsabilità di scegliere chi va in televisione, anche tra i giornalisti. La risposta è stata che la scelta viene fatta dai dirigenti, che quindi si assumono la responsabilità. Chi decide però se la responsabilità che si è assunta un dirigente sia giusta o sbagliata ? Ecco, chi dovrebbe deciderlo forse non lo sta facendo.
  Faccio un'ultima osservazione. Nel momento in cui vengono prese decisioni di questo tipo, non essendoci nessuno che dà delle indicazioni finali, si potrebbe persino mettere le soubrette di cui parlavamo a condurre il telegiornale. Chiediamo, allora, un concorso in cui chi ha meriti vince e chi non li ha resta fuori.

  GIANNI PIETRO GIROTTO. Presidente, nella sua relazione ha denunciato episodi di tv e stampa «scandalistici», cioè che mirano a fare notizia su fatti moralmente molto discutibili, sui quali bisognerebbe tacere e lasciare che siano le autorità competenti a procedere, anziché fare pubblicità solo per le solleticare i nostri pruriti e istinti peggiori.
  Avete aperto una procedura disciplinare su un caso specifico, cosa che mi fa molto piacere. Su questo vorrei sottolineare che se la politica, di fatto, ha fallito – come è evidente – nel creare le condizioni per una gestione dell'informazione, che dovrebbe essere corretta, etica e morale, ciò non significa che voi giornalisti, di cui lei rappresenta l'Ordine nazionale, non possiate autoregolamentarvi, autocensurarvi, autolimitarvi e autogestirvi meglio. Insomma, avete la concreta possibilità di fare meglio nel quadro che la legislazione ha creato.
  Su questo vi invito caldamente a intervenire perché siete autonomi e indipendenti, quindi potete operare al meglio. Se invece vi obbligano a essere scandalistici e immorali, se ricevete pressioni o ingerenze illegittime da parte di soggetti politici o di qualsiasi altro tipo, dovete denunciarlo: è un vostro dovere. Da parte nostra, come Movimento cinque Stelle, troverete una porta non aperta, ma spalancata perché sapete bene che la libera formazione è uno dei pilastri per cui ci stiamo battendo con tutti i mezzi possibili. Adesso siamo in Parlamento, quindi non siamo più dei semplici cittadini che possono solo protestare; adesso possiamo agire anche noi come parlamentari, per cui vi invito, se Pag. 8avete delle pressioni illegittime, a portarle alla luce e a denunciarle esplicitamente.

  MICHELE ANZALDI. Il presidente ha parlato di segnalazioni e aperture di fascicoli. Chiedo quindi se reputa utile, quando si verificano questi episodi che riguardano la Rai, di segnalarli anche alla Commissione di vigilanza.
  Inoltre, vorrei domandare se ha dei dati, o può aiutarci a ottenerli, sulla gestione delle trasmissioni di intrattenimento nelle altre principali tv. In particolare, mi chiedo se siano gestite anch'esse da soubrette o se invece, per assurdo, sulla tv commerciale siano condotte da un giornalista. Forse, potremmo arrivare anche a questo paradosso.
  Inoltre, parlava del concorso interno che, per quello che so, sta conoscendo altri problemi. Infatti, in primo luogo, i famosi 40 sono tutti residenti romani, mentre i posti di lavoro sono in giro per l'Italia; in secondo luogo, si parla di un ampliamento di altri 18 posti sotto la voce «idonei», quindi si sta creando un'altra riserva che non era prevista nel contratto, per cui ritorneremmo al problema di questa estate.
  Ancora, le riporto un aspetto che ci ha colpito durante l'audizione del Presidente Cardani dell'Agcom. Mi riferisco al caso di una trasmissione condannata perché non aveva rispettato determinati equilibri e che deve riparare in un tempo brevissimo, con grandi problemi di audience e anche di pubblicità perché è costretta a non seguire la cronaca. Il presidente Cardani ha detto che la legge è fatta male, ma lui è obbligato ad applicarla. Visto che ieri la direttrice dell'EBU ha detto che il fenomeno della par condicio c’è solo in Italia in maniera continuativa, dal momento che fuori dalla par condicio dovrebbe essere il giornalismo a fare da guida, mi chiedo se non sia il caso che l'Ordine prenda una posizione netta in materia per rivedere o chiarire le norme.

  GIORGIO LAINATI. Pur appartenendo a un altro schieramento, come il senatore Margiotta, non ho nessuna difficoltà a dirle che anch'io ritengo che il succedersi di audizioni sia prezioso, come è stato nelle precedenti occasioni di analisi del Contratto di servizio, per apprendere le situazioni in essere nel mondo dei media e nei mondi collaterali. Non a caso, sono in programma delle audizioni importanti. Ora, escluderei che queste si vogliano fare nel periodo natalizio. Per quanto mi riguarda ci sarei, qualora il Presidente volesse, anche se temo non sia lo stesso per il contesto generale. A ogni modo, dobbiamo audire Confindustria TV, Sky e tanti altri soggetti, per cui mi sembra che il percorso che il Presidente ha delineato sia totalmente condivisibile.
  Essendo iscritto all'Ordine giornalisti da quasi 25 anni (purtroppo per me, visto che il tempo passa), saluto l'amico Enzo Iacopino con particolare simpatia, amicizia e affetto. Al presidente Iacopino voglio ricordare che vi è un ripetersi di situazioni. Essendo qui da più di 10 anni, ho partecipato, in passato, a varie audizioni propedeutiche alla realizzazione del parere sui precedenti Contratti di servizio. Guarda caso, gli argomenti erano esattamente gli stessi. Una volta si parlava di Mara Venier, un'altra della Cuccarini, ma si tratta sempre di soggetti paragiornalistici o comunque di conduttrici di importanti fasce di programmazione del servizio pubblico che diventano degli opinion leader nel momento in cui intervistano segretari di partito, ministri, Presidenti del Consiglio. Non dico che questo non accada anche nelle televisioni commerciali. Tuttavia, in alcuni dei grandi network privati c’è un'attenzione maggiore affinché siano dei giornalisti a fare gli anchorman o le anchorwoman di turno.
  Il problema che il presidente ha ricordato si trascina irrisolto, per quanto mi riguarda, da più di 10 anni. Infatti, in ogni Contratto di servizio diciamo che bisognerebbe affidare questi ruoli alla professionalità dei giornalisti, ma poi non sappiamo se questo si realizzerà. Se non ricordo male – il presidente può aiutarci su questo – in passato la sensibilità di alcuni vertici della Rai produsse un'apertura di una finestra dentro i talk show, per esempio, Pag. 9della domenica pomeriggio, per cui venivano chiamati dei giornalisti a fare le interviste ai soggetti politici. Questa potrebbe essere una soluzione o comunque un'ipotesi da percorrere. Presidente Fico, mi permetto di richiamare alla sua attenzione questi accadimenti del passato della storia del servizio pubblico.
  Un'altra questione che abbiamo sempre dibattuto è quella della partita Iva, ovvero dei collaboratori giornalisti a tempo determinato che sono dentro decine di programmi. Anche questo è un problema che, in alcuni casi, si è affrontato e risolto con l'inserimento nei famosi bacini di alcuni di questi soggetti. Sotto questo aspetto, è un decennio che la Rai cerca di affrontare le problematiche relative ai precari storici, come ormai vengono chiamati, cercando di inserirli gradualmente con una contrattualità a tempo indeterminato. Mi risulta che questo riguardi anche alcuni colleghi giornalisti.
  Tuttavia, onorevoli colleghi, anche su questo dobbiamo cercare di essere molto realisti. Non possiamo pretendere che la Rai mandi via decine di giornalisti per sostituirli con quelli disoccupati: questo è oggettivamente difficile. Si può tentare di fare dei prepensionamenti o dei percorsi di questo tipo. Siccome però la domanda è purtroppo diminuita moltissimo e i giornalisti invece continuano ad aumentare, senza contare la concorrenza, oggettivamente, non possiamo pretendere che la Rai possa accogliere tutti coloro che, anche da molti anni, pur essendo giornalisti professionisti, sono dentro i programmi senza una contrattualità di questa natura. Questo è un problema che si trascina, ma non possiamo pretendere che sia risolto nell'arco dei prossimi tre mesi perché sarebbe veramente un fatto epocale.
  Vorrei sottoporre all'attenzione del presidente Iacopino un'altra questione che pure si ripete negli anni, nel succedersi dei nostri piacevoli incontri in sedi istituzionali come questa. Mi riferisco al problema dei problemi che la mia parte politica ha sollevato sia in passato dalla maggioranza, sia oggi dall'opposizione, ovvero la questione del pluralismo e del rispetto delle forze politiche. Vi è un problema generale e vastissimo che riguarda la questione della par condicio anche al di fuori del periodo strettamente di campagna elettorale, a cui si aggiunge una questione di protagonismo di certi conduttori televisivi. Faccio solo un esempio. Sentire una giornalista come la signora Annunziata, già presidente della Rai circa dieci anni fa, dare dell'impresentabile all'onorevole Alfano e agli esponenti dell'allora PdL, come l'onorevole D'Alessandro che è qui al mio fianco, è stata una banalissima, ma inquietantissima conferma della faziosità che è nel DNA di certi conduttori del servizio pubblico.

  MICHELE ANZALDI. Riguardo al fenomeno degli assistenti programmisti registi e così via, penso che ci sia un qualche vantaggio fiscale. A ogni modo, questo fenomeno è presente nelle tv commerciali ? Mi riferisco a Sky, Mediaset e La7, ovvero ai tre grandi gruppi. Chiedo questo perché, se così non fosse, sarebbe veramente un paradosso.
  Sotto un altro aspetto, capiterà anche a voi di sentire colleghi che, soprattutto in Parlamento, si lamentano di essere pagati abbondantemente, ma non fanno un pezzo da 6, 8 o 9 mesi, per cui stanno intraprendendo la via giuridica. L'Ordine è al corrente di queste vicende ? Siccome alla fine paga sempre il Paese, forse sarebbe il caso che anche noi, insieme all'Ordine, ci sforzassimo di capire cosa succede. Infatti, se vi è del semplice mobbing che si trasforma in un danno economico per il Paese, dovremmo valutarlo con attenzione.

  ENZO IACOPINO, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Lei si riferisce ai giornalisti Rai in Parlamento che si lamentano di non essere utilizzati dall'azienda.

  PRESIDENTE. Riprendo due questioni che ha citato. La prima riguarda la scuola di Perugia. Il segretario generale dell'USIGRAI ci ha detto in audizione che il bacino da cui hanno attinto era di 35 allievi della Scuola, per cui non c’è stata Pag. 10nessuna post-selezione. Infatti, ne servivano 35 e tanti ne hanno presi. Lei invece ha mandato una lettera alla Commissione, che tutti i commissari hanno ricevuto, in cui dice che gli ex allievi di Perugia erano più di 35. Siccome ho notato una contraddizione, vorrei comprendere bene quali sono le vostre fonti e perché sono discordanti. Chiedo questo perché abbiamo avuto due risposte totalmente diverse in merito al bacino da cui si attingono gli ex allievi di Perugia per le assunzioni.
  Inoltre, lei ha citato «Porta a Porta» e «Ballarò». Si tratta di trasmissioni che non sono sotto una testata giornalistica. Mi pare di comprendere che lo sono solo nel periodo elettorale. Allora, è questo il problema. Mentre il Tg1, il Tg2 e il Tg3 sono testate giornalistiche, per cui i direttori responsabili, se sbagliano, possono essere radiati dall'Ordine o subire una procedura disciplinare, nel momento in cui abbiamo informazione e intrattenimento insieme, come appunto in «Porta a Porta» e «Ballarò» e i contratti sono quelli di assistente ai programmi, programmisti registri o partite Iva, l'Ordine dei giornalisti non può intervenire sulla persona che fa un servizio giornalistico fazioso, sbagliato o non condivisibile dal punto di vista dell'Ordine stesso, perché ha, appunto, un contratto diverso.
  Allora, le chiedo se ipotizza di poter inserire nel Contratto di servizio una norma per evitare questa problematica che ritengo molto grave. Le chiedo quindi di esprimere alla Commissione il suo parere circa l'inserimento di norme che potrebbero consentirci di bypassare questi problemi che – come ha detto il collega – affrontiamo da anni. Insomma, cerchiamo di mettere un punto definitivo a questa situazione e aprire un nuovo scenario in cui informazione e intrattenimento siano separati.

  ENZO IACOPINO, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Prima di replicare, vi chiedo scusa se non sarò organico, ma non ho avuto il tempo materiale per assemblare le diverse questioni. Desidero però ugualmente rispondere a tutte i quesiti posti.
  Innanzitutto, non vorrei aver determinato un equivoco. Sono contrario al controllo politico dell'informazione. Non vorrei che le mie parole fossero state pronunciate male. Quando affronto alcuni argomenti, in particolare quello della schiavitù che c’è nel nostro settore – uso con consapevolezza questa parola – non riesco a essere freddo come dovrei. Sono però favorevole affinché la Commissione di vigilanza – ovvero il Parlamento e il Paese – possa controllare in maniera concreta come viene gestito il servizio pubblico.
  Siamo in una sede ufficiale; alcune parole non si possono usare. Tuttavia, vorrei dire che è un modo curioso di vigilare, se ci si può limitare a fare azione di denuncia senza intervenire.
  Ho seguito molti Presidenti della Repubblica (ho la barba bianca per età), quindi anche il Presidente Scàlfaro, che ha il brevetto della par condicio. Ho però un'idea particolare in proposito. Non è questo però l'argomento della discussione. Personalmente, sarei contrario alle norme, alle carte e ai codici, se si potesse contare sul buon senso, sulla buona fede, sul rispetto per la verità e per le persone. In quel caso, non servirebbero carte, né altro. Purtroppo però siamo un Paese molto divertente, quindi abbiamo una moltitudine di carte.
  Qualcuno di voi mi chiedeva se potessimo autolimitarci: lo abbiamo fatto. Con orgoglio, moltissimi anni fa abbiamo fatto la Carta di Treviso – «a casa» della senatrice Puppato – che ritengo l'unico patrimonio condiviso da tutto l'Ordine dei giornalisti, e che in particolare riguarda la tutela dei minori. Certo, ci sono degli episodi di violazione di quelle norme, ma sono, appunto, episodi. Abbiamo fatto anche altre carte. Abbiamo un codice deontologico che, se viene violato, prevede delle sanzioni. Un ex parlamentare è stato perfino radiato dall'Ordine. Dopodiché, la magistratura ha detto che non potevamo Pag. 11farlo, tuttavia è nel diritto dell'interessato ricorrere alla magistratura perché la legge prevede queste procedure.
  Partirei dalle ultime osservazioni del Presidente. Voi avete titolo per sapere quale delle due affermazioni – se quella del segretario Usigrai, che dice di averne presi 35 perché quelli risultavano i non occupati provenienti dalla scuola di Perugia, o l'altra – sia vera. Per fortuna, quando c’è un'assunzione, c’è un versamento contributivo, quindi credo che l'Inpgi sia in grado di documentare che, al momento dell'assunzione degli ex allievi della Scuola di Perugia, il numero di quanti non avevano posizione contributiva, ovvero non avevano contratto, era più alto di 35. Personalmente, ho fatto questa affermazione per iscritto: non ho mai avuto una risposta. Le uniche risposte che mi sono state date, in maniera stizzita, sostenevano che non ho titolo per fare questa richiesta. Se non avete titolo neppure voi, non so chi abbia titolo. Insomma, visto che nessuno ha titolo, non si riesce a sapere come sono andate le cose. Tuttavia, se chiedete all'Inpgi di fornirvi le posizioni contributive vedrete che, a quella data, (non so oggi perché non ho fatto un controllo stamattina), le posizioni sono più di 35.
  Ho citato «Porta a Porta» e «Ballarò» perché sono le trasmissioni più note. È evidente però che mi riferisco anche a tutte le altre trasmissioni. Quelle che mi inquietano di più, per l'impatto che hanno, sono i contenitori che si rivolgono a un pubblico meno appassionato, per cui penetrano molto più facilmente. Si tratta, in particolare, di quelle della domenica pomeriggio, che riguardano sia le grandi private sia il servizio pubblico. Mi sfugge il nome dell'ex giornalista che, su una delle reti Mediaset, fa un contenitore che è stato oggetto di alcune polemiche per alcune interviste, ma su quello non avete potere. Nell'ambito della valutazione del Contratto di servizio pubblico potete occuparvi solo di quanto concerne la Rai.
  Il collega Lainati è stato giornalista di Mediaset per tanti anni, peraltro anche lui per un periodo non veniva fatto lavorare.
  So che in Sky queste figure non ci sono. I giornalisti sono contrattualizzati come tali, forse con un livello retributivo non particolarmente soddisfacente, ma – ripeto – sono tutti contrattualizzati.
  L'idea di recuperare la sana abitudine, coltivata per un certo periodo, di inserire nei contenitori di spettacolo delle finestre gestite da giornalisti – come ricordava l'onorevole Lainati – è valida, tuttavia, se facciamo riferimento all'episodio che citavo e che mi ha indignato, in studio c'erano una soubrette e un giornalista molto noto. Stiamo parlando di una domenica pomeriggio. I riferimenti alle due ragazzine che si prostituivano furono però gestiti, in quell'occasione, non dal giornalista, bensì dalla soubrette; peraltro, siccome non bastava quello che stavano facendo e aveva la consapevolezza partecipatale dal Garante dell'infanzia, che forse dovrebbe riflettere un po’ di più, alla ripresa ha lanciato un servizio su alcune ragazze che facevano sesso nei bagni di una scuola di Milano più di un anno prima. Ecco, un po’ di responsabilità in più probabilmente aiuterebbe. I giornalisti non sanno tutto. Ho appresso oggi dal deputato Anzaldi che c’è la possibilità di allargare da 40 a 58 i posti a disposizione nel concorso che la Rai ha appena bandito. So, perché mi è stato comunicato formalmente (fa parte di quell'accordo del 28 giugno che ha portato alla chiamata diretta di 35 giornalisti), ma anche per le informazioni che mi ha dato recentemente il direttore Gubitosi, che desiderano fare un concorso «urbi et orbi» dedicato a tutti gli iscritti all'Ordine dei giornalisti. Hanno però delle difficoltà. Il direttore Gubitosi immaginava la partecipazione di 100.000 persone. I professionisti però sono 27.000, di cui qualcuno, per fortuna, lavora. Personalmente, credo che sia ragionevole ipotizzare 10.000 domande.
  Faranno, comunque, un concorso per tutti i giornalisti professionisti, senza limiti d'età, perché è vietato, rivolto a tutti i cittadini europei, come impongono le norme comunitarie. Mi sono preso la libertà di suggerire di mettere come clausola la perfetta conoscenza della lingua Pag. 12italiana scritta e parlata. Questo è un aspetto complicato, se consideriamo che nell'ultima sessione d'esame non abbiamo ammesso agli orali il 44,5 per cento degli aspiranti su una platea di 299 candidati. Il 77 per cento era laureato, ma erano venuti fuori errori come «nazisti» con due «z», «collegio» con due «g», espressioni come «fucilati nelle camere a gas» e così via. Tutto ciò ha portato all'esclusione dagli orali.
  Facciamo quello che possiamo. I giornalisti però aumentano a causa della legge del 1963 che non riusciamo a convincervi di cambiare. La legge prevede infatti almeno due sessioni d'esame all'anno. Per evitare di avere sessioni incivili con 800 persone, ne facciamo tre. In ogni caso, dobbiamo rispettare la legge.
  Leggo con fastidio molte cose: vi è la diffusa convinzione che ormai l'informazione debba rispondere non più alle «5 W» (a dire il vero, una non era nemmeno una W), bensì alle «5 S»: sport, spettacoli (che possono essere sani), sangue, sesso e soldi. Per questo vedete i plastici in tv o l'interruzione di un dibattito tra un sacerdote e un giovane omosessuale che parlavano dei problemi della Chiesa il giorno della vigilia della pubblicazione dell'ultimo libro di papa Ratzinger per collegarsi con Avetrana per importanti novità; dopodiché, il collegamento mostrava una collega che si stava perforando il timpano per mettersi l'auricolare e che non sapeva cosa dire. Il collega, a cui sono state richieste spiegazioni, ha detto che gli avevano fatto segno che in quel modo l’audience andava giù.
  Insomma, tutto viene comandato dall’audience, anche il servizio pubblico. D'altra parte, il servizio pubblico deve avere le risorse perché è l’audience che porta la pubblicità. Ecco, sono fortunato perché non sono io a dover provvedere a questo.
  Sono il primo a dire che ci siano disparità nella cronaca o un mancato rispetto del dovere di cronaca, ma non con riferimento al suo Movimento. Sono in Parlamento come giornalista dal 1981. Questa è una cosa ricorrente, con delle punte – sono consapevole che questa audizione andrà in circuito – di volgarità che trovo insopportabili. Penso mi si possa dare atto di aver pubblicamente denunciato i casi in cui qualcuno «maramaldeggia», più che dare informazioni, riguardo a varie forze politiche: non ho interesse per quel tipo di informazione.
  Vorrei concludere dicendo che è difficile denunciare i tentativi di condizionamento quando si è pagati 2 euro ad articolo. Non cerco di commuovervi, ma di rendervi partecipi. È impossibile farlo quando si è pagati, per chi lavora online, 50 centesimi, tasse e spese comprese. Ho un armadio pieno di lettere di colleghi di tutta Italia – gli editori sono stati bravissimi; su questo hanno fatto l'Unità d'Italia – con la premessa che si rivolgono a me solo per un atto di fiducia, perché sono gli unici 300, 400, 500 euro che riescono a mettere insieme. Mi si chiede di fare qualcosa senza però esporli, perché non possono perdere quei soldi.
  È difficile lottare quando a determinare questa situazione c’è il concorso colpevole e criminale anche di giornalisti iscritti all'Ordine. Parlo dei direttori e di quanti fanno parte della catena di comando (vicedirettori e capiredattori), che sanno di pagare 2 euro un pezzo che richiede tre ore. Sto cercando di mandarli sotto procedimento disciplinare e di fare in modo che certe cose non avvengano: recentemente hanno brevettato un nuovo sistema che provo a denunciare; voglio vedere se qualcuno mi denuncia a sua volta.
  Un'azienda editoriale utilizza i prepensionati a tempo pieno, persino in Parlamento, con forti costi a carico dell'Inpgi, che è l'unico istituto che paga gli ammortizzatori sociali in proprio, non a carico dello Stato, anche se adesso sono a rischio. Siccome però vi sono dei limiti di reddito poiché l'azienda può corrispondere loro al massimo circa 21.000 euro – non ho immunità, quindi so quello che sto dicendo – hanno brevettato un meccanismo particolare: vengono fatti, a nome delle mogli, dei mariti, dei figli, dei nonni e degli zii, delle società di consulenza alle quali vengono versati 60.000 euro l'anno: questo è legale.Pag. 13
  Di fronte a questo, possiamo chiedere a chi guadagna 300 euro al mese di fare l'eroe e denunciare le pressioni che riceve ? Dov’è la libertà di un giornalista che, se si ribella per l'impostazione di un articolo, rischia di perdere tutto quello che ha ?
  Nel nostro settore la situazione è questa. Non voglio coinvolgervi emotivamente. Tra l'altro, immagino che non vi rivelo fenomeni completamente sconosciuti.
  Vi potrei parlare di un'altra cosa devastante, ovvero della diffamazione, o delle liti temerarie che condizionano la vita e la libertà di informazione. Non vorrei però fare un comizio. Ho già approfittato troppo della vostra pazienza.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Iacopino e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ENS – Ente nazionale per la protezione dei sordi Onlus.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'ENS, Ente nazionale per la protezione dei sordi Onlus, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Questa audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione ha avviato in relazione al nuovo Contratto nazionale di servizio 2013-2015.
  Cedo quindi la parola al dottor Giuseppe Petrucci, presidente nazionale dell'ENS, Ente nazionale sordi Onlus che, avvalendosi di un interprete, riferirà per i profili di proprio interesse sul nuovo Contratto di servizio, con riserva per me e gli altri colleghi di rivolgere, al termine dell'intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GIUSEPPE PETRUCCI, presidente nazionale dell'ENS. Sono il presidente dell'Ente nazionale sordi. Rappresento e tutelo tutte le persone sorde secondo le leggi dello Stato. Sono anch'io sordo, quindi rappresento anche la mia disabilità. Ci sono tante altre associazioni di persone sorde, ma noi siamo protagonisti nel rappresentare, appunto, le persone sorde, quindi parlo a loro nome. Questo è l'aspetto più importante che ci distingue da tanti anni.
  Abbiamo sempre avuto difficoltà ad avere l'informazione. Abbiamo sempre protestato con delle nostre comunicazioni, come prevedeva il contratto Rai. Fino all'anno scorso circa il 70 per cento dei servizi non ci veniva prestato. Abbiamo fatto un monitoraggio, il cui esito vi è stato consegnato, per cui – ripeto – il 70 per cento dei servizi non ci veniva offerto. Cito, per esempio, Rainews, i programmi della Rai, i cartoni animati per bambini senza sottotitoli, gli incontri parlamentari e politici. Noi, interessati a queste trasmissioni, non riusciamo a percepire: per noi è come fare un buco nell'acqua perché non riusciamo a capire.
  Dal monitoraggio risulta che i programmi vengono sottotitolati o segnati al 40 per cento e la sottotitolazione non è di qualità. Le traduzioni in lingua dei segni, che per noi sono necessarie, ci sono solo una volta al giorno nel caso del telegiornale, quindi non riusciamo a seguire le informazioni che vengono date o le trasmissioni in diretta. Due giorni fa il Presidente della Repubblica ha fatto un comunicato, ma di che cosa parlava ? Ecco, noi non lo sappiamo.
  Viviamo questa crisi interiore perché non riusciamo ad avere accesso all'informazione, come previsto dalla Costituzione italiana. Dobbiamo essere autonomi e avere pari diritto di riuscire a capire quello che succede nella nostra Italia. Invece, abbiamo difficoltà a riuscire ad avere un'accessibilità che dovrebbe essere automatica. Abbiamo ancora una barriera alla comunicazione. Provvedo a consegnarvi la nostra documentazione.
  Negli altri Stati, per esempio a Londra, controllano che tutti i servizi che siano offerti al 100 per cento affinché le persone sorde abbiano pari diritti. Vi è persino la traduzione in lingua dei segni di trasmissioni in diretta. Alcuni, come accade in Israele, hanno i servizi di interpretariato Pag. 14in diretta, anche se si tratta di Paesi che vivono la povertà. Ecco, non riesco a capire perché in Italia non sia così.
  Lei è il presidente della Commissione di vigilanza. Conosco il suo viso, ma non riesco a capire quello che dice. Ho però diritto di sapere cosa dicono i nostri rappresentanti parlamentari. Quando alle persone anziane diminuisce l'udito, capite che hanno una difficoltà, anche se lieve. Il fatto più grave è che non riusciamo a sapere di cosa parlate.
  Vi faccio un esempio. Sono una persona sorda. Mia moglie è sorda. Ho tre figli. Il primo, che ha 21 anni, è sordo profondo; il secondo, che ha 17 anni, è sordastro; la terza, che ha 10 anni, è udente. A casa mia dobbiamo quindi comunicare a 360 gradi.
  Mio figlio maggiore è penalizzato quando esce di casa, quindi mia figlia piccola deve fare da assistente al fratello per fargli capire quello che succede al di fuori. Il secondo è sordastro, ma anche lui ha difficoltà. Mette le cuffie a volume alto; si sforza, ma ha delle difficoltà. Insomma, in famiglia vivo questa disabilità a 360 gradi.
  Ci sono altre associazioni simili di persone sorde, ma non sono protagonisti della propria disabilità, sono famiglie che rappresentano i figli sordi.
  Nel mio caso, il primo figlio ha gravi difficoltà; il secondo metà delle difficoltà; la terza è l'unica che non ha difficoltà nella comunicazione. Dico questo per farvi capire che sono arrivato a 40 anni, ma non sono riuscito ad avere accesso all'informazione a 360 gradi, compreso il diritto di sapere quello che succede nelle scuole, anche per i miei figli: insomma, siamo sempre penalizzati. Lo Stato dice che dobbiamo pagare il canone Rai. Noi lo paghiamo interamente, come lo pagano i cittadini udenti. Io però lo pago solo per mia figlia perché non riesco a seguire la televisione. Ricevere il 10 per cento dell'informazione non mi fa avere pari opportunità rispetto agli altri cittadini.
  Vi ringrazio di avermi invitato. In conclusione, vi chiedo di inserire i servizi di interpretariato anche nei programmi in diretta e i sottotitoli al 100 per cento per una pari accessibilità nel rispetto della Costituzione italiana perché abbiamo anche noi diritto all'informazione. In Italia, rappresento gli oltre 60.000 sordi, dai quali ricevo tutte le lamentele per la mancanza di informazione.

  COSTANZO DEL VECCHIO, segretario nazionale dell'ENS. Il presidente ha rappresentato la qualità della vita che vivono quotidianamente le persone sorde. A me spetta il compito – o perlomeno il tentativo – di entrare nel merito del Contratto in discussione in questa onorevole Commissione.
  Innanzitutto, bisogna partire dal presupposto che la disabilità dei sordi è complessa, che investe diversi aspetti della vita quotidiana. L'accesso ai programmi audiotelevisivi riflette, evidentemente, questa complessità, che riguarda la percezione di ciò che viene trasmesso e quindi comunicato e la comprensione dei concetti che vengono enunciati.
  Il primo aspetto, ovvero la percezione del messaggio, può essere superato con la sottotitolazione; per il secondo aspetto, cioè la comprensione concettuale, non sempre è sufficiente la sottotitolazione, ma più spesso può risultare utile la traduzione in LIS, come oggi ha fatto con l'interprete che traduce per noi nei confronti del presidente.
  L'Ente Nazionale Sordi, insieme ad altre associazioni, ha avviato un confronto con la Rai e, attraverso l'Agcom, con le altre emittenti televisive. La Rai, di cui ci occupiamo oggi, sostiene di aver rispettato il vecchio Contratto di servizio e di aver raggiunto il 70 per cento di sottotitolazione. Tuttavia, come mostrano i documenti che vi ha consegnato il presidente Petrucci, abbiamo fatto una campionatura di due settimane e questa soglia non ci risulta raggiunta. Tuttavia, ammesso e non concesso che fosse stato raggiunto il 70 per cento, oggi, l'Ente nazionale sordi chiede di raggiungere il 100 per cento. Ricordiamo che nel vecchio Contratto di servizio la sottotitolazione veniva indicata come sperimentale. Dopo una precedente sperimentazione Pag. 15e la seconda con il Contratto scaduto nel 2012-2013, riteniamo che la sperimentazione possa considerarsi conclusa, per cui dobbiamo passare a uno step successivo, ovvero il raggiungimento del 100 per cento della sottotitolazione, innanzitutto delle tre reti generaliste.
  È utile ribadire che con il digitale terrestre, quindi con l'ampliamento della piattaforma dei canali Rai, non ci si può fermare soltanto ai tre canali (Raiuno, Raidue e Raitre), ma bisogna provvedere anche alla sottotitolazione degli altri canali appartenenti alla Rai. Inoltre, bisognerebbe fare linee guida, come avviene dal 1999 in Gran Bretagna. Oggi, la sottotitolazione è rimessa al prudente apprezzamento della società incaricata dalla Rai. Allora, se la società è buona e ha operatori molto capaci, la qualità del sottotitolo è apprezzabile. Se invece la società incaricata – come negli ultimi tempi, a detta dei soci o delle persone sorde che usufruiscono del servizio – non è qualitativamente buona, il servizio è scadente. Non possiamo però rimetterci al giudizio di questa o quella persona. Sarebbe bene delineare linee guida che gli operatori che effettuano la sottotitolazione debbono seguire. La Rai, che ha un Contratto di servizio pubblico, dovrebbe cercare di rispettare integralmente o comunque avvicinarsi il più possibile a queste linee guida. Questo sarebbe utile perché sarebbe anche uno sprone nei confronti delle altre emittenti. Insomma, se abbiamo un canovaccio, quindi delle linee guida, sappiamo se la Rai si discosta o meno dagli obiettivi minimi.
  Peraltro, questo incide molto anche sulla qualità, per cui occorre uno schema di come deve essere tradotto un programma. Faccio un esempio banale per i sordi, ma non per gli udenti. Se vediamo la traduzione dei sottotitoli di un programma di approfondimento televisivo in diretta, come «Ballarò» e «Porta a Porta», notiamo che spesso ci sono esponenti politici che si accavallano nel parlare. In questo caso, il sottotitolo è confuso per la persona sorda, ma lo sarebbe anche per la persona udente che, se fa una prova empirica e toglie l'audio, non riesce a comprendere bene ciò che viene detto. Occorre quindi uno studio, ma soprattutto una modalità di sottotitolazione che possa aiutare a dare delle indicazioni per capire cosa deve essere sottotitolato per rendere meglio comprensibile ciò che viene detto.

  PRESIDENTE. Chi dovrebbe fare queste linee guida ?

  COSTANZO DEL VECCHIO, segretario nazionale dell'ENS. Dovrebbero essere inserite nel Contratto di servizio. Bisognerebbe incaricare un gruppo di studio, sotto la direzione della Commissione di vigilanza e dell'Agcom, con le associazioni dei sordi e degli utenti, ma penso anche ad altri disabili sensoriali, come i ciechi, che non rappresentiamo. In un discorso del genere dovrebbero essere coinvolte anche associazioni che rappresentano altre disabilità sensoriali, anche se hanno diversi tipi di difficoltà di accesso. Immagino però che sono state o saranno ascoltate anche loro.
  L'ENS fa anche un'altra richiesta. Abbiamo notato e apprezzato che nel nuovo Contratto di servizio viene inserito una sorta di gruppo di lavoro per cercare di capire i risultati raggiunti. Non vengono però fissati gli step. Se vogliamo raggiungere il 100 per cento – sempre che la Commissione vorrà dare questo indirizzo, come speriamo – chiediamo che la Rai concordi gli step. Di conseguenza, bisogna dire che, per esempio, entro un anno e mezzo raggiungeremo l'80 per cento ed entro la fine del servizio, o entro due anni, il 100 per cento. In caso contrario, non abbiamo elementi di controllo. La Commissione stessa non avrà quindi elementi per poter effettuare le valutazioni e verificare se la Rai abbia effettivamente raggiunto questi step.
  Un'ulteriore richiesta riguarda un comitato di controllo sulla realizzazione gli impegni presi dalla Rai con il Contratto di servizio, nel quale vi siano rappresentanti di questa onorevole Commissione, dell'Agcom e degli utenti, che sia istituzionalizzato e inauguri un confronto aperto Pag. 16perché non possiamo avere il confronto con la Rai soltanto in sede di rinnovo del Contratto servizio, ma non durante l'esecuzione del contratto.
  Non penso di dover aggiungere altro. Siamo, tuttavia, a disposizione della Commissione per rendere ulteriori spiegazioni. Riteniamo però che questi siano i punti nevralgici che possano segnare il salto di qualità e quindi marcare la differenza tra il vecchio contratto e il nuovo. Dobbiamo cercare di «copiare» dagli altri Paesi che hanno un'esperienza migliore della nostra per offrire un servizio alle persone con difficoltà con un accesso pieno.
  Mi preme sottolineare un ultimo aspetto, che forse è il più importante di tutti. La Rai deve raggiungere la traduzione in LIS di tutti i telegiornali. Non è possibile che ci sia un telegiornale la mattina, uno a mezzogiorno e uno al pomeriggio, su tre canali differenti. Le persone sorde, come quelle udenti, hanno un'articolazione di vita normale. Vanno al lavoro; hanno una famiglia; escono e rientrano. Hanno quindi il diritto di seguire il telegiornale delle 20,00, delle 19,30 o delle 21,00, tradotto in LIS. Dico il telegiornale più di altre trasmissioni perché esso, insieme alle trasmissioni di approfondimento, consente l'accesso agli eventi socio-politici della nazione, ma rispetto a questo i sordi sono quotidianamente discriminati. Infatti, chi si perde il telegiornale delle 12,00 o delle 16,00 (che, peraltro, non è particolarmente seguito), perde l'informazione sui fatti più importanti della giornata. Il sordo non può formarsi una propria opinione; viene messo ai margini della società. Quindi, deve informarsi su internet o sui giornali, pur pagando un canone per servizi che non ha. In ogni caso, il Contratto di servizio non consente, come dovrebbe, il pieno accesso alle persone con disabilità uditiva. Quindi, almeno per i telegiornali, chiediamo da subito la traduzione in LIS di tutte le edizioni, per poi progressivamente allargarla anche alle trasmissioni di approfondimento sociale e politico. Chiediamo, inoltre, la traduzione in LIS degli spot istituzionali. Per esempio, i messaggi di campagne istituzionali del Governo o dei vari ministeri o le comunicazioni sociali non sono tradotte in LIS, quindi il sordo non le percepisce.
  Banalmente, gli spot con l'indicazione di come si vota non sono tradotti in LIS. La sottotitolazione non è sufficiente. Non devo spiegarlo a voi che siete eletti, quindi parte attiva del processo politico, ma se vi è difficoltà per la persona anziana udente a esprimere il voto, a prescindere se sia per elezioni politiche, regionali o amministrative, immaginate cosa può significare per una persona sorda. È un sistema molto complesso, quindi la persona sorda anche nell'esercizio del voto è tagliata fuori rispetto ad altre categorie, prima di tutto a quella degli udenti.

  SALVATORE MARGIOTTA. Intervengo molto rapidamente perché avete detto tutto e molto bene. Vorrei solo rassicurarvi, sia in quanto relatore, sia a nome dell'intera Commissione, che gli aspetti che avete posto oggi con enorme chiarezza sono fortemente alla nostra attenzione. Abbiamo ascoltato anche altre associazioni, quindi altri mondi che si occupano degli stessi problemi. Io stesso ho posto il tema al direttore Gubitosi. Per fare altri due altri esempi, oltre a quelli che avete riportato, penso che Rainews debba avere una totale copertura a favore dei sordi, visto che un canale all news ha anche un compito sociale, quello di informare in tempo reale, quindi non si vede perché alcune categorie di persone debbano essere escluse da questa informazione.
  Spesso facciamo anche l'esempio dei canali dedicati ai bambini, come Rai Yo-Yo e Rai Gulp. È giusto che i bambini più sfortunati possano fruire come i loro coetanei della visione, per esempio, di Peppa Pig o di un qualsiasi altro cartone.
  L'argomento che voi ponete e che mi convince molto – su questo dobbiamo stare molto attenti – è quello di fissare delle deadline. Dobbiamo sapere da quando si parte. Il direttore Gubitosi ci ha assicurato che su Rai Yo-Yo si parte subito. Tuttavia, nel contratto dobbiamo scrivere in quale data si ottiene la copertura totale. Insomma, dobbiamo stabilire Pag. 17delle date cogenti, altrimenti rimanere solo ad affermazioni di principio non ci aiuta.
  Ieri abbiamo avuto la presidente dell'associazione che riunisce le tv che fanno servizio pubblico in Europa. Anche a lei abbiamo chiesto come funziona il servizio nella restante parte d'Europa, avendo le risposte che già conoscete: BBC è un punto d'eccellenza. Mi pare anche molto intelligente la proposta, che non avevo sin qui ascoltato, di stabilire delle linee guida chiare su come fornire un prodotto, altrimenti si rischia di fornire un prodotto magari costoso, ma non efficiente.
  Infine, c’è stata una discussione – su questo mi pare che la pensiate come me – sul Contratto di servizio perché, a un certo punto, è scritto «sottotitoli o linguaggio dei segni». Un'altra associazione insiste per «sottotitoli», invece credo che ci debba essere «sottotitoli e linguaggio dei segni». Infatti, servono tutte e due perché, per un certo tipo di pubblico e un certo tipo di programmi, è certamente più giusto avere l'uno e, per altri tipi di pubblico, l'altro. Se si riesce ad avere entrambi per tutto, faremo un servizio senza dubbio positivo. Ci lavoreremo, ma credo che su questo ci sarà davvero la compattezza della Commissione.

  ALBERTO AIROLA. Anch'io, naturalmente, confermo l'attenzione e la sensibilità per i vostri problemi. Sulla questione LIS e sottotitoli, mi chiedevo, dei vostri 60.000 soci, quanti conoscono il linguaggio dei segni e quanti preferirebbero una sottotitolazione. In quanto ex lavoratore del settore, vorrei ricordare che un eccessivo carico di informazioni sull'immagine, per esempio di un telegiornale, può distrarre.
  Occorre poi un protocollo corretto per i sottotitoli perché serve una mediazione tra la comprensione e la rapidità nel seguire dell'evolversi dibattito. Ci sarebbe utile se ci deste qualche appunto in più su questi due sistemi e sulle vostre reali esigenze.

  COSTANZO DEL VECCHIO, segretario nazionale dell'ENS. Questo è un tema che è stato affrontato anche nell'ambito del Consiglio nazionale degli utenti con l'Agcom. Oggi, fortunatamente, la tecnologia ci consente di sopperire alle sovrapposizioni di immagine per non distrarre dalla notizia il pubblico udente. In realtà, a meno che non vediamo la telecronaca di un bombardamento o di un atto di guerra, in cui è evidente ciò che accade, la persona sorda che vede soltanto l'immagine di un avvenimento (come la riunione di questa Commissione) non si concentrerà tanto sui singoli componenti, bensì sull'interprete che dà il messaggio, che è la cosa principale del telegiornale.
  Oggi però ci sono diverse tecniche. Mi riferisco, per esempio, all'EPG. Nei decoder digitali abbiamo un tastino tramite il quale possiamo far mettere in sovrapposizione una finestra, per cui l'utente udente, che non ha bisogno della finestrella con la traduzione o la sottotitolazione, guarda l'immagine normalmente; invece, l'utente sordo può inserire il sottotitolo o far apparire una finestrella, con un interprete che traduce.
  Sotto questo aspetto, le linee guida ci aiutano a capire che cosa l'interprete deve tradurre. Infatti, come giustamente osservava lei, diventa difficoltoso tradurre tutto il telegiornale. Tuttavia, i servizi video che sono pronti prima possono essere sottotitolati, mentre la notizia che viene letta dal giornalista in studio può essere tradotta in LIS.
  In realtà, non vi sarebbe sovrapposizione di immagini o quantomeno sovraccarico di informazioni. Con questa tecnica noi riusciremmo ad avere, nella finestrella, la traduzione in LIS della notizia letta dal giornalista in studio, il video e il sottopancia del giornalista che parla fuori campo. Lo sviluppo tecnologico c’è.
  Proprio oggi, mentre attendevamo di entrare in Commissione, discutevamo di una nota azienda, la Apple, che nei nuovi dispositivi ha la possibilità di inserire e di «flaggare» una funzione, per cui se vedo un video su YouTube provvisto di sottotitolo, questo viene automaticamente letto. Pag. 18Insomma, la tecnologia c’è, quindi bisogna solo vedere come inquadrare e bypassare alcune di queste problematiche.
  Quanto alla percentuale dei sordi, i soci dell'ENS sono prevalentemente segnanti. Buona parte sono bilingui, cioè segnano e utilizzano il metodo oralista. Il Presidente stesso preferisce segnare, come in queste circostanze, ma riesce anche riesce a parlare.

  GIUSEPPE PETRUCCI, presidente nazionale dell'ENS. Parlo bene. Si sente ? Tuttavia, ho difficoltà a leggere il labiale. La maestra di storia, a scuola, raccontava di schiavi, ma io scrissi «chiavi». La maestra diceva di mettere la «s» perché era sbagliato. Ho studiato, ma non potevo capire queste cose. L'abbattimento delle barriere della comunicazione deve essere completo. Non si può limitare solo all'oralismo o solo alla lingua dei segni, che da due o tre metri non è visibile.

  COSTANZO DEL VECCHIO, segretario nazionale dell'ENS. Il presidente ha fatto un esempio scolastico. Un conto è la correzione dell'alunno udente che sbaglia l'ortografia di una parola; un altro è l'errore indotto dalla disabilità. Ha fatto l'esempio di «chiavi» e «schiavi», ma ce ne sono tanti altri. La lingua dei segni aiuta a superare queste difficoltà.
  Peraltro, l'ENS, da due anni a questa parte, ha sposato il principio della libertà della comunicazione della persona sorda. Mentre nel passato c’è stato un grosso dibattito tra associazioni, anche all'interno dell'ENS, su quale metodo di comunicazione sposare, oggi l'ENS ritiene di salvaguardare il principio della libertà di scelta della persona sorda. Pertanto, il sordo segnante ha diritto a segnare; quello oralista a leggere il labiale; il bilingue invece ha maggiori possibilità. Tuttavia, bisogna approfondire il discorso dell'oralismo perché in televisione, non è sufficiente solo il sottotitolo. Se parlo normalmente, per noi udenti parlo piano, ma per la persona sorda il mio modo di parlare, che è comunque pacato e nella media, risulta eccessivamente veloce. Se non c’è l'interprete che supporta con la traduzione, c’è il rischio che la persona sorda percepisca meno della metà di quello che dico. Insomma, ci sono vari aspetti da tenere in considerazione.
  Visto che è emerso il discorso sulla lingua dei segni, mi piacerebbe sottolineare che nella Convenzione ONU sui diritti della disabilità – tra l'altro, recepita anche dall'Italia, ma purtroppo non applicata – vi è un incentivo non solo al riconoscimento della lingua dei segni negli Stati aderenti all'ONU, ma anche alla sua diffusione e al suo utilizzo. Bisogna quindi considerare per cosa è utilizzata. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei sordi in Italia è sicuramente segnante.

  GIUSEPPE PETRUCCI, presidente nazionale dell'ENS. Le persone sordocieche utilizzano la lingua dei segni tattile. In Italia nessuno riesce a capire questa disabilità, che è difficile da superare.

  COSTANZO DEL VECCHIO, segretario nazionale dell'ENS. Apprezziamo quanto affermato dal senatore Margiotta e dagli altri componenti della Commissione. Ci auguriamo che la lingua dei segni sia contenuta nel nuovo Contratto di servizio e che, anche in riferimento a questo metodo di comunicazione, sia previsto di fornire servizi in tal senso, altrimenti la discriminazione nei confronti delle persone sorde sarebbe ulteriormente marcata.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANICA – Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'ANICA, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Questa audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione Pag. 19ha avviato in relazione al nuovo Contratto nazionale di servizio 2013-2015.
  Do quindi la parola al dottor Riccardo Tozzi, presidente dell'ANICA, che riferirà, per i profili di proprio interesse, sul nuovo Contratto di servizio, con riserva per me e gli altri colleghi di rivolgere, al termine degli interventi, domande e richieste di chiarimento.

  RICCARDO TOZZI, presidente dell'ANICA. Abbiamo presentato un documento concepito su due livelli. Il secondo tenta di essere operativo e si riferisce all'articolato; il primo livello è più concettuale: le notazioni che abbiamo fatto si riconducono a due temi principali. Il primo tema è la sistematizzazione delle informazioni; il secondo riguarda le questioni attinenti ai diritti.
  Siamo in un'epoca in cui le distinzioni sono cadute quindi come ANICA, rappresentiamo in prima istanza gli interessi del cinema, ma tutti i produttori realizzano anche fiction e produzioni per il web. L'audiovisivo è diventata una realtà, quindi questo tipo di distinzioni è piuttosto teorico sul piano industriale, ma è concreto sul piano dei linguaggi. Infatti, i linguaggi del cinema, della fiction generalista o della fiction per la pay-tv o per il web sono diversi, mentre le strutture industriali sono e devono essere unificate.
  Ormai, ognuno di noi è produttore di audiovisivo, anche se con accentuazioni che cambiano nel tempo. Per esempio, per quanto mi riguarda, nel 2014 dovrei essere in teoria rappresentato dall'APT di Fabiani perché come produttore ho un fatturato più televisivo che cinematografico. Facciamo pertanto le nostre considerazioni in primo luogo nel nome del cinema, ma anche più in generale, in funzione degli interessi dell'industria audiovisiva nel suo complesso.
  Sul piano più operativo, vi sono due temi, declinati nei confronti dell'industria di produzione audiovisiva. In primo luogo, abbiamo l'esigenza di ricevere dalla Rai informazioni più costanti e chiare sulle politiche di investimento. Con questa consiliatura c’è stato un miglioramento rispetto a prima perché c’è molta più chiarezza, soprattutto per quel che riguarda la fiction dato che nel cinema il rapporto è sempre stato abbastanza esplicito e relazionale.
  Tuttavia, da questo punto di vista, l'articolato del Contratto di servizio potrebbe essere migliorato, anche per non limitare le informazioni soltanto ai soggetti istituzionali come Agcom, bensì estendendo l'accesso anche alle associazioni rappresentative dei produttori e degli autori sia per un confronto sia perché è essenziale – come accade nella BBC – che vengano dichiarate le intenzioni editoriali della RAI aiutando l'industria a orientare la proposta nella direzione desiderata. Più chiare sono queste scelte, più facile e aperto è l'accesso, quindi minore il tasso di errore nella proposta. Oltre a fornirle preliminarmente, dovrebbero essere accompagnate anche da uno scambio di informazioni a posteriori su ciò che effettivamente si è fatto l'anno precedente, anche in funzione del controllo degli obblighi di investimento.
  Un piano di annotazioni agisce quindi sul livello della chiarezza e dello scambio di informazioni e del controllo dei dati. Un altro livello tenta di agire sulla questione dei diritti, su cui vorrei dire qualche parola di chiarimento.
  Il sistema audiovisivo sta attraversando un grande cambiamento estremamente interessante per tutta l'industria culturale nazionale. Lo sviluppo delle nuove piattaforme, delle piattaforme di rete, delle televisioni a pagamento e del video on demand è preziosissimo non solo per l'industria delle comunicazioni, ma anche per quella di produzione audiovisiva e in generale per l'industria culturale: è nostro interesse che i mezzi si sviluppino tutti, ma per questo occorre che chi è detentore di contenuti abbia un'autonomia di gestione dei diversi diritti di sfruttamento economico. In particolare, la titolarità e la disponibilità dei diritti di video on demand è essenziale per lo sviluppo dei nuovi mezzi, dell'offerta legale in rete e delle nuove piattaforme, che oramai si avviano a essere anche grandi soggetti produttori.Pag. 20
  Pensiamo che la serie televisiva più importante dello scorso anno, «House of Cards», è stata prodotta da Netflix. Tra l'altro, riguarda l'ambiente politico, per cui consiglio a tutti la visione. È una serie – dicono – da 60 milioni di dollari: io l'avrei fatta con 30. In ogni caso è la più grossa serie televisiva dello scorso hanno ed è prodotta da un «over the top». Dunque, il diritto su cui opera è quello di video on demand.
  Nelle negoziazioni con la Rai – parliamo della Rai ma sapendo che questo dove avere un riflesso su tutto il sistema televisivo perché quello che vale la Rai vale anche per gli altri – è molto importante che i diritti di sfruttamento siano considerati singolarmente, così che non ci si trovi in una situazione in cui lo scambio è per tutto il pacchetto dei diritti per una certa somma complessiva. Il tutto andrebbe infatti articolato diritto per diritto e prezzo per prezzo. Dovrebbe poi restare la libertà negoziale al produttore indipendente di decidere di non dare tutti i diritti all'emittente televisiva.
  Il Contratto di servizio non è forse uno strumento sufficiente per ottenere questo, anche perché interveniamo a lavori avanzati. Alcune notazioni che abbiamo inserito si ispirano però a questa finalità, cioè prevedere una negoziazione separata dei diritti e il più possibile una libertà di gestione dei medesimi: mi riferisco essenzialmente a diritti pay e video on demand.
  I gruppi televisivi stanno diventando gruppi multimediali, ma è anche vero che nessuno è interamente multimediale. Ognuno ha la sua reason of the business, ovvero il suo business principale, e ciò che sta attorno spesso viene acquisito non tanto per valorizzarlo, bensì per impedire che lo valorizzi qualcun altro. Da questo punto di vista, pensiamo che non si possa fare tutto il multimediale in una sola azienda. Vorremmo che le aziende sviluppassero una propria specificità, quindi che la pay sviluppasse la pay e così via. Gli operatori di rete, che al momento sono pochi e ancora fragili – vediamo dall'esperienza degli altri Paesi quello che succederà – saranno dei player molto importanti e avranno un fattore molto propulsivo.
  È importante, proprio in questa prospettiva, che ci sia una certa autonomia dei produttori nel gestire i singoli diritti. Non abbiamo un atteggiamento aggressivo nei confronti della Rai, cui riconosciamo di aver fatto molto su questo piano. Vorremmo, tuttavia, aprire un confronto con l'azienda su questo terreno, quindi l'esistenza di qualche piccola nota nel Contratto di servizio ci può aiutare ad andare in questa direzione.
  La questione fondamentale è quella dei volumi di investimento. Possiamo dire che, anche se il flusso dei dati finora non è stato molto chiaro, l'intenzione di questa nuova consiliatura sembra procedere verso una maggiore trasparenza. Su questo, l'Agcom ha preso una posizione più attiva, quindi pensiamo che le cose andranno meglio, ovvero che almeno ne sapremo di più.
  Comunque, la nostra impressione è che la Rai adempia all'obbligo di investimento prevista in origine dalla legge n. 122 del 1998 e successive modifiche.
  Non credo di uscire dal seminato dicendo che un tema fondamentale evidenziato nella Conferenza nazionale del cinema del novembre scorso, assunto anche nel documento finale del ministro Bray, è che la ragione per cui in Italia un sistema televisivo così grande (tre grandi player che fanno 10 miliardi di fatturato, quindi una grande dimensione) esprime un livello di investimento complessivo più basso di quello dei nostri competitor paragonabili, come la Francia e l'Inghilterra, è nel disegno stesso del sistema televisivo italiano, che ha una forte patologia, ovvero un eccesso di televisione generalista.
  Abbiamo 7 reti generaliste, situazione che non ritroviamo in nessun altro Paese. Mercati che hanno una dimensione maggiore del nostro dal punto di vista sia della pubblicità sia del canone, come quello francese e quello inglese, hanno 4 tv generaliste. L'esistenza di 7 emittenti generaliste rende poco economico l'esercizio della televisione generalista (vediamo infatti Pag. 21in quali condizioni economiche si trovano tutte) e tende a rendere più difficile e meno redditizio l'esercizio delle altre attività, come quella della pay o, in prospettiva, quella degli operatori del web.
  Sky Italia fa parte di un grande gruppo internazionale, il gruppo Murdoch. L'unico Paese dove Murdoch guadagna poco è l'Italia, ma non perché quelli che stanno in Italia siano meno bravi quanto per la struttura del sistema televisivo italiano che genera una situazione di scarsa redditività per tutti i player, quindi presumibilmente anche di quelli non lineari che arriveranno.
  Questo ritarda lo sviluppo di tutto il sistema, l'articolazione di mezzi e lo sviluppo dell'industria di produzione nazionale, che, in questi anni, ha dato prova di essere estremamente vitale perché l'Italia è uno dei Paesi in cui – tralasciando Stati Uniti, Cina e India – la produzione nazionale di fiction e cinema ha più successo.
  Nel cinema, quest'anno abbiamo una quota di mercato del 33-34 per cento. Ora, considerato che secondo gli standard internazionali è considerata cinematografia nazionale forte quella che ha una quota di mercato costante sopra il 20 per cento, tolti i grandi Paesi che ho menzionato, solo quattro Paesi al mondo si trovano in questa situazione (Francia, Italia, Corea del sud e Giappone).
  Pertanto, abbiamo un'industria cinematografica nazionale che ha dato dimostrazione di forza. Altrettanto vale per quel che riguarda la fiction. Questo potenziale di crescita ha anche grandi riflessi sull'occupazione. Infatti, il nostro mestiere è a bassa intensità di capitale, vale a dire che un milione investito nella nostra attività genera più posti di lavoro che in qualsiasi altra. Il settore sarebbe quindi strategico per una politica dell'occupazione.
  Tuttavia, l'investimento totale nella produzione è basso, non per la cattiva volontà delle aziende che vi operano. Tra l'altro, da una parte vogliamo che ci siano le quote, ma, dall'altra, non vorremmo che si forzassero le aziende, bensì che ci fosse un movimento spontaneo di investimento dovuto alla redditività del sistema, che al momento però non c’è per un'estensione eccessiva dell'area della televisione generalista.

  ALBERTO AIROLA. Innanzitutto vi ringrazio della presenza. Recentemente, come lavoro di vigilanza, ci siamo concentrati maggiormente sulla questione fiction perché riguarda un ampio ambito per la Rai. Dovremmo recuperare, tuttavia, anche sulla questione film perché la Rai, con Rai Cinema, produce e acquista prodotti.
  Il primo problema che abbiamo incontrato e che cercheremo in tutti i modi di risolvere con il nuovo Contratto di servizio è la trasparenza. Ci troviamo di fronte a una Rai che non sappiamo come sceglie. Sappiamo che ha un bacino di produttori che sono sempre gli stessi e che propongono progetti più o meno sempre simili. Insomma, non abbiamo visto in Rai grandi rilanci o sperimentazioni, cosa che potrebbe essere invece molto utile.
  Stiamo quindi lavorando su questi aspetti che riteniamo giusti, come per esempio aumentare la concorrenza e la possibilità di fare verifiche sugli appalti, rispettando la differenza tra produttore e appaltatore. Purtroppo infatti alcuni produttori si comportano da appaltatori, cioè non adducono nessun plusvalore al prodotto, ma si limitano a realizzarlo su determinate linee guida, magari chiedendo anche i diritti. Viceversa, per premiare la qualità servirebbe un bacino più ampio, delle gare d'appalto o qualcosa di simile.
  Abbiamo inoltre lottato contro la delocalizzazione, che riteniamo gravissima e che è stata compiuta per troppo tempo da produttori che, con soldi pubblici (fossero stati privati, non ci sarebbe stato problema), andavano all'estero. Sembra però che il fenomeno si stia contraendo. Tra le ultime andate in onda, ricordo «Olivetti», ma vi sono tantissimi altri casi famosi. Invece, vista la potenzialità occupazionale del settore, che conosciamo, e la possibilità di rilanciare un Paese come il nostro ci sembra opportuno girare fiction e film in Italia. Anche questo principio è contenuto nel Contratto di servizio. Poi, ci si può anche trovare di fronte a una sceneggiatura Pag. 22che richiede un trasferimento, ma non ci riferiamo a queste eccezioni, che si possono accettare, quanto alla pratica consolidata di portare il lavoro all'estero.
  Mi interesserebbe conoscere le percentuali di lavoro che ANICA ha rispetto a Rai, Mediaset e altri committenti o acquirenti di prodotti.
  Sulla trasparenza e sulle altre questioni, vi chiediamo un aiuto, visto che ci troviamo di fronte a situazioni anomale, che non possono essere risolte che con questa strada o tramite la procura, quando vi sono dei reati. Spesso però non vi sono reati, bensì problemi di etica comportamentale o di deontologia. Se parenti o ex dirigenti aprono delle società può essere lecito; non c’è niente di male, ma se le produzioni le fanno solo questi potrebbe risultare anomalo. Insisteremo quindi anche sulla proposta di prodotti innovativi in vista di una trasformazione della Rai, che sicuramente dovrà affrontare le nuove piattaforme.
  Su internet la Rai è estremamente sguarnita. I prodotti che ha proposto non sono minimamente adeguati. Per esempio, «Una mamma imperfetta» non è un vero e proprio prodotto web. Occorre dunque dare spazio a nuove idee, a nuovi autori e a una sperimentazione che la Rai si può permettere perché fa servizio pubblico, mentre altri devono per forza essere legati ad altri fattori.
  Speriamo però che nell’entertainment vi sia una risposta in relazione ai prodotti. Infatti, in Italia, al cinema, ma anche alla Rai, molti prodotti vengono fatti perché si incassano soldi pubblici, dopodiché restano due settimane nelle sale e poi svaniscono. Insomma, non c’è un tentativo di recuperare con gli incassi, come dovrebbe essere nel lavoro di un imprenditore vero e proprio.

  SALVATORE MARGIOTTA. Ho sempre ritenuto che i piani della fiction e del cinema siano abbastanza mescolati. Vorrei parlare particolarmente del cinema, ma ho sempre pensato che tanto la fiction della Rai quanto, in particolare, Rai Cinema siano due punti di eccellenza dell'azienda. Ne sono testimonianza, per quando riguarda il cinema, i premi vinti. Penso, per esempio, all'ultimo alla Mostra di Venezia, ma anche, per alcuni prodotti di fiction, la qualità che ci viene riconosciuta.
  Esiste però una questione che non vorrei declinare in termini di trasparenza, a cui faceva riferimento il collega, né tantomeno giudiziari, che pure il collega richiamava, neppure in relazione agli appalti perché, come ricordava il presidente, si tratta di fattispecie differenti. Vorrei invece declinare questo tema sulla questione della necessità di abbattere alcuni monopoli e di mettere in campo più soggetti, più società di produzione, più competitor.
  Credo che questa sia una questione che interessi molto questa Commissione e che immagino debba interessare anche la sua Associazione che, come ogni associazione, deve tutelare l'esistente, ma anche consentire ad altri di crescere e ai piccoli di diventare più grandi. Questo è un tema che non mi stanco di porre perché se è vero, come diceva (affermazione che ho trovato molto interessante), che attraverso le vostre attività si possono produrre posti di lavoro è anche giusto che crescano piccole nuove aziende e piccoli imprenditori che, magari, nel tempo diventeranno grandi. Ecco, ritengo che questo sia un compito precipuo di un'azienda pubblica, che tra i suoi obiettivi deve anche avere quello di far crescere impresa nel nostro Paese. Vorrei quindi sapere qual è la vostra opinione in merito.

  PRESIDENTE. Conferma il dato che ci ha fornito qualche minuto fa, ovvero che un milione investito in questo settore genera molti più posti di lavoro rispetto ad altri ? Da dove deriva questo dato ?

  RICCARDO TOZZI, presidente dell'ANICA. Non so se ciò accada rispetto a ogni altro settore: tuttavia, ci sono state delle ricerche su questo aspetto.

  FRANCESCA MEDOLAGO, responsabile ufficio studi e sviluppo relazioni associative ANICA. Sul tema vi è una recentissima Pag. 23elaborazione di un professore di economia aziendale della LUISS, portata alla Conferenza nazionale. Si è trattato di un evento sollecito e avviato dal Ministro Bray per mettere a confronto gli operatori del cinema e dell'audiovisivo su tematiche rilevanti, legate al mercato, alla regolamentazione e anche alle proposte politiche da attuare anche attraverso il suo dicastero. In quell'occasione, abbiamo presentato questa elaborazione che è un confronto diretto tra il costo dell'occupazione e la capacità di sviluppare valore aggiunto e quindi investimenti in posti di lavoro. In particolare, abbiamo paragonato il settore del cinema e dell'audiovisivo nel suo complesso con quello della moda, che è il settore italiano dell'area dell'industria creativa – non si può infatti paragonare l'occupazione in settori manifatturieri e nell'industria pesante con quella nei settori creativi, come definiti dall'Unione europea in relazione ai programmi che partono nel 2014 – a maggiore redditività di tutto il made in Italy.
  Confrontando il sistema industriale della moda con quello audiovisivo, la sua capacità di creare valore e quindi offrire occupazione è di circa due terzi. In sostanza, a parità di capitale, la moda è in grado di dare occupazione a circa due terzi degli individui a cui può dare lavoro il cinema.
  È anche vero che non si è soliti ragionare sull'audiovisivo in termini economici. Questa è una carenza molto forte del nostro settore. Infatti, si pensa sempre in termini di cultura, che è un elemento fondante, ma quando si lavora sulle statistiche o sui dati che si portano anche alle istituzioni si dispone sempre di poche fonte pubbliche ufficiali perché non sono aree di analisi particolarmente sviluppate. Per questa ragione, tra l'altro, è stata realizzata anche l'analisi sull'occupazione presentata proprio in occasione della Conferenza nazionale.

  ALBERTO AIROLA. Ogni anno realizzate un annuario in cui raccogliete i dati del settore. Ho letto quello dell'anno scorso e ritengo che sia uno dei settori trainanti per l'Italia. Vi chiedo quindi di fornirlo alla Commissione perché potrebbe essere utile.

  RICCARDO TOZZI, presidente dell'ANICA. La prima domanda tocca molti temi. Non vorrei essere preso da un attacco di sciovinismo cinematografico, ma, dal punto di vista operativo, per quel che riguarda il cinema, la situazione è diversissima rispetto a quella della fiction.
  Dire a chi fa cinema che ha lavorato in appalto equivale a offenderlo gratuitamente. Il produttore infatti vuole essere il padrone di ciò che fa perché realizza un prodotto a cui tiene molto. Mai nella vita accetterei una posizione d'appalto: tutti i colleghi, peraltro, lo considererebbero contro natura. In effetti, in termini economici e contrattuali, la prova di ciò è che nessun film finanziato – «prodotto» è un termine che non usiamo riguardo ai finanziatori del settore televisivo – da Rai Cinema lo è interamente. Nella mia esperienza non è mai capitato, si cedono sempre solo quote di proprietà che, per quanto mi riguarda, sono decrescenti nel tempo.
  Oggi, salvo alcune eccezioni, anche per i film commerciali – rispondo a una sua osservazione che tocca un punto cruciale di questo momento – il finanziamento della Rai è minoritario. Penso a un film commerciale come quello di Siani, che costa 8 milioni, rispetto al quale l'apporto finanziario di RaiCinema è stato di 3,5 milioni. Lo stesso è accaduto anche per un film d'autore come quello di Salvatores. Altri produttori, forse, cedono quote maggiori su film meno ambiziosi, ma non si ha mai un finanziamento totale, quindi non c’è mai, né la forma, né la sostanza dell'appalto.
  Diversamente, una rete televisiva può essere in grado di dare delle indicazioni precise sulle fiction da realizzare perché è un prodotto destinato sul suo pubblico diretto, a cui deve vendere pubblicità, sebbene sia servizio pubblico (questo è un altro dato problematico di fondo perché il Pag. 24servizio pubblico dipende dall'ascolto, ma tralascio la questione poiché si aprirebbe un tema che non posso toccare).
  A ogni modo, la fiction può essere fortemente orientata dalla rete; nel cinema invece la rete può dare delle indicazioni di massima, ma non potrà mai commissionare un certo film perché non conosce e controlla tutti i fattori della produzione o il ciclo completo della distribuzione. Quello del cinema è un processo più complicato perché il film deve andare in sala e sul mercato internazionale, è un prodotto più complesso, da tutti i punti di vista, ma soprattutto da quello della catena dei diritti, quindi del montaggio finanziario costruito a monte.
  La fiction, attualmente, è monoutente, anche se non dovrebbe esserlo. Se riusciamo a modificare il panorama dei media, con lo sviluppo dell'offerta non lineare e a pagamento, la situazione cambierà: al momento però è monoutente. Il cinema non è mai monoutente perché deve andare in sala, on demand, in rete, in home video, in pay, in free, all'estero, è un oggetto più complesso. Di conseguenza, ciò che è legittimo pensare e sospettare per quel che riguarda la fiction non si trasferisce automaticamente nel cinema, se non altro perché i meccanismi sono diversi e forse più sani perché non si dipende mai da un solo finanziatore: chi co-finanzia non è mai il padrone assoluto.
  Ciò detto, vi sono due elementi che aiutano a capire la situazione di Rai Cinema. La prima è che Rai Cinema non è una grande azienda. L'investimento in produzione di Rai Cinema può raggiungere al massimo 50 milioni di euro. È un'azienda media, con risorse limitate, quindi non può fare più di tanto. Inoltre, non sento mai parlare di un aspetto che ha cambiato tutti gli equilibri. Nel corso degli ultimi anni, Mediaset ha smesso di investire nel cinema. Mediaset è stato in passato un grande investitore nel cinema, fino a 4-5 anni fa addirittura più grande della Rai nel cinema. Nel corso degli ultimi anni, per problemi di bilancio, ha smesso di investire nel cinema o comunque ha ridotto moltissimo il suo investimento. Di conseguenza, la naturale destinataria dei film più commerciali, cioè il braccio distributivo della televisione commerciale, non assorbe più questi film. Pertanto, Rai Cinema, che aveva quel budget e come missione quella di fare cinema d'autore, di qualità e di sperimentazione si è trovata a dovere far fronte all'esistenza di un cinema commerciale in cerca di distributore. Questo fattore, unito al fatto che il consiglio d'amministrazione della Rai ha dato a Rai Cinema l'indicazione di mantenere in attivo il distributore 01, ovvero che la distribuzione doveva essere finanziariamente autonoma, ha fatto sì che Rai Cinema modificasse il suo line-up in una direzione più commerciale, sia perché deve andare in attivo con 01, cosa che non accade con i film sperimentali bensì con quelli commerciali, sia perché ci sono molti film commerciali disponibili che non sono assorbiti più da Mediaset e da Medusa.
  Se vogliamo restituire a Rai Cinema la funzione di spingersi maggiormente nella direzione della ricerca, dobbiamo affrontare il problema che non può fare due lavori contemporaneamente, soprattutto se ha a disposizione sempre gli stessi 50 milioni. Bisogna dunque ripristinare le condizioni di investimento in Mediaset. Bisogna che qualcuno, anche attraverso l'Agcom, analizzando il tema delle quote di investimenti e programmazione, ripristini un'attività di investimento in Mediaset, altrimenti, come accade attualmente, siamo costretti a concentrare quasi tutta l'offerta cinematografica su 01, cosa che rende la situazione difficilissima. L'azienda, invero, ha cercato di trovare un equilibrio. Se si vede il listino di 01, si nota che l'offerta va dall'estremamente commerciale al cinema di ricerca («Sacro Gra», «La mafia uccide solo d'estate» sono film di 01, come quello di Pieraccioni che è in uscita attualmente). Questa situazione tuttavia non è sana perché con risorse estremamente ridotte Rai Cinema si trova a dover far fronte a tutta la progettazione nazionale. Infatti, ormai Medusa assorbe solo 5-6 film all'anno, di cui un paio comprati direttamente da Pag. 25Mediaset, ma questo è niente rispetto a quando investiva 100 milioni all'anno, vale a dire il doppio della Rai. Si tratta di un tema importantissimo che abbiamo cominciato a sollevare in sede Agcom. Non vogliamo ovviamente essere aggressivi con un'azienda che ha problemi di bilancio, ma non si può far finta di niente e pensare che tutto sia come prima se spariscono dal mercato più della metà delle risorse della distribuzione. Mediaset Medusa – ripeto – ha sempre investito più della Rai nel cinema.

  PRESIDENTE. In quanto tempo è accaduto questo ?

  RICCARDO TOZZI, presidente dell'ANICA. È un processo che si è avviato circa tre anni fa. Feci una dichiarazione su questo al Festival di Cannes proprio tre anni fa per la quale fui coperto di insulti: però dicevo la verità. Si stavano ritirando dall'investimento nel cinema per problemi di budget (nessuno dice che sono impazziti all'improvviso). Non si può far finta di niente. Quando si analizza Rai Cinema bisogna perciò considerare che è stata messa in una situazione di grandissima difficoltà e di conseguenza, siamo stati messi in difficoltà anche noi. Di fatto, Rai Cinema è quasi in una posizione di operatore unico, ma non per sua volontà (credo non ne abbia nemmeno piacere, visto che è sommersa). Questo ha provocato un aumento del numero dei film fatti da Rai Cinema e un abbassamento dell'investimento unitario, situazione che, tendenzialmente, abbassa la qualità complessiva della realizzazione perché il cinema va fatto con mezzi adeguati. Noi facciamo film al costo medio di 3-3,5 milioni che competono con film americani a costo medio di 50 milioni. È giusto fare piccoli film e opere prime, ma in Italia se ne fanno troppi. Su 130 film, 65 sono opere prime.

  ALBERTO AIROLA. Sicuramente manca una produzione di genere.

  RICCARDO TOZZI, presidente dell'ANICA. Sono d'accordo, essendone un praticante.
  Questo è il contesto. L'invito è a non sovrapporre le categorie della fiction a quelle del cinema perché sono mondi completamente diversi. Tuttavia, occorre vedere anche quali problemi specifici ci sono. Insomma, non si può guardare solo a Rai Cinema, se non si considera anche il contesto della sua competizione perché è ovvio che subisce il riflesso della situazione di Mediaset.
  Credo che il discorso valga ugualmente per la seconda osservazione. Rai Cinema ha un listino abbastanza vario. Tuttavia, una politica di innovazione, propulsione e creazione di nuovi talenti è molto difficile da realizzare con quei mezzi e dovendo far fronte a tutta l'offerta cinematografica italiana. Uscirne demagogicamente sostenendo di aver fatto 10 opere prime con 10 piccoli produttori non è una soluzione. Come giustamente diceva il senatore Margiotta, il problema non è far lavorare i piccoli, ma è farli diventare grandi.
  Sotto questo aspetto, oggi il nostro cinema ha due patologie. La prima è l'eccesso di opere prime e seconde. La metà del numero di film prodotti in Italia sono opere prime e seconde, un dato che non esiste in nessuna parte del mondo. La seconda è la frammentazione del tessuto produttivo. Ci sono 500 società di produzione per produrre 130 film all'anno. Anche questa quindi è una patologia. Dobbiamo lavorare perché i piccoli diventino grandi e perché chi ha fatto le prime e seconde faccia un'opera terza importante, dobbiamo lavorare per farli crescere. Se invece lavoriamo per evitare il problema, facendogli fare un «filmetto», possiamo fare una bella conferenza stampa, ma siamo in mala fede.
  Si pone quindi il tema delle risorse e della concorrenza. Una società che ha 50 milioni e si ritrova senza concorrenza – ripeto, non per sua volontà – come fa a svolgere tutte queste funzioni ? Tenderà a farlo abbassando i livelli di investimento e riuscendo, nella migliore delle ipotesi, a fare una politica difensiva, ma non certo di crescita, di sviluppo e di ricerca perché non è nelle condizioni.

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  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Appello donne e media.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di Appello donne e media, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Questa audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione ha avviato in relazione al nuovo Contratto nazionale di servizio 2013-2015.
  Cedo quindi la parola alla dottoressa Gabriella Cims, promotrice dell'Appello donne e media, che riferirà, per i profili di proprio interesse, sul nuovo Contratto di servizio, con riserva per me e gli altri colleghi di rivolgere, al termine degli interventi, domande e richieste di chiarimento.

  GABRIELLA CIMS, promotrice dell'Appello donne e media. Saluto il Presidente, i membri della Commissione e tutti i presenti. Ringrazio anche le rappresentanti dell'Appello donne media che sono presenti oggi con me, in particolare Elisa Manna, responsabile delle politiche sociali del Censis; Annamaria Buzzetti, esponente dell'Associazione giuriste italiane; Sonia Albanese, esponente di Zonta International; Gioia Vaccari, avvocato ed esponente dell'Istituto nazionale delle scienze biosociali. Comincio con una breve presentazione.
  Non siamo un'associazione, ma una rete di associazioni nazionali e internazionali, di rappresentanze professionali e di organismi di parità nazionali e territoriali, che, quattro anni fa, proprio di questi tempi, si sono ritrovate con il desiderio di cambiare il modo di rappresentare, a livello di media, la realtà femminile nel nostro Paese.
  Partiamo da alcuni fotogrammi: 145 donne ammazzate ogni anno, più del 20 per cento di gap occupazionale tra uomini e donne, remunerazioni più basse a parità di incarichi, ragazzine che si prostituiscono con il desiderio di imitare e sembrare simili ai modelli femminili vincenti o almeno raccontati come tali dai media, bambine e ragazzine che usano violenza ai danni di loro coetanee.
  Un ragazzino può nascere con il desiderio di stupro violento o di omicidio nei confronti di una coetanea ? Una ragazzina nasce con il desiderio di prostituirsi con la semplicità con cui lo raccontano i media ? Io credo di no. Ritengo che vi sia qualcosa di sbagliato nel racconto mediatico e nell'educazione nel nostro Paese. Credo che chi, come noi, si pone come classe dirigente abbia degli obblighi ben precisi per correggere la rotta.
  Nel 2009, quando ero responsabile dell'Osservatorio sul recepimento della direttiva europea presso il Ministero dello sviluppo economico, ho raccolto centinaia di email che arrivavano al mio indirizzo per segnalare il disagio che le donne provavano nel non vedersi più rappresentate. È come ci si guardasse nello specchio senza vedere la propria immagine. Dove sono le professioniste, le magistrate, le avvocate, le ingegnere, le scienziate, le ricercatrici, ovvero tutte le donne che si impegnano, lavorano e vivono nel nostro Paese ? Sembrano quasi rimosse, pur se conosciamo ogni emozione e ogni singolo cambiamento delle molte professioniste (o sedicenti tali) dello spettacolo.
  Non promuoviamo la censura perché non è nella nostra storia e nella nostra cultura, ma senz'altro per cambiare sono utili le riforme. Proprio per questo oggi siamo a proporre alla Commissione la nostra proposta di riforma del contratto. Nella lettura della bozza di contratto all'esame della Commissione di vigilanza, abbiamo notato troppa timidezza, un annebbiamento e un annacquamento della prima riforma di genere che la rete dell'Appello donne media ha promosso nel 2010, in occasione del contratto precedente, con 13 inserimenti meno timidi di quelli che leggiamo oggi, nonostante una profusione maggiore in numero di parole.
  Crediamo che il punto siano i contenuti. Se vogliamo veramente cambiare e dare avvio a un nuovo corso nella rappresentazione Pag. 27dell'immagine e della realtà femminile, il giro di volta è quello di immettere nuovi contenuti nelle strade convergenti delle diverse tecnologie mediali. Il messaggio mediatico è diventato molto più potente proprio per la diffusione dell'innovazione tecnologica. Lo stesso contenuto può viaggiare su diverse piattaforme: questo ci deve rendere consapevoli che lo stesso contenuto ha un'incidenza molto più maggiore.
  Non posso non cogliere l'occasione di dire che il documento di policy di genere emanato dalla presidente Tarantola, che recepisce le istanze che le abbiamo fatto pervenire, nonché a tutte le istituzioni, fin dall'inizio del loro mandato, è ben più avanti dell'attuale contratto tra l'azienda e il Governo. Non possiamo non cogliere l'occasione di chiederle, con grande passione, di poter utilizzare la sua prerogativa per emanare un atto di indirizzo finalizzato a mettere al centro dell'attenzione il merito quale criterio selettivo di contenuti e di protagonisti dei contenuti nei servizi televisivi. Rimettendo il merito al centro dei contenuti e delle scelte dei contenuti che vanno sulle diverse piattaforme, opereremo un superamento automatico e più agevole degli stereotipi.
  Comincio quindi con l'illustrare i nostri «compitini». Abbiamo infatti proposto diversi inserimenti che vanno proprio nella direzione di una minore timidezza e di un maggiore coraggio in merito alla questione della programmazione.
  Iniziando dal preambolo, abbiamo pensato che alla lettera c), là dove la Rai si impegna a veicolare corretti principi rivolti a formare una cultura di legalità, occorre inserire anche «una cultura della diversità di genere per la promozione delle pari opportunità», proseguendo poi con il restante testo attualmente in Commissione.
  Nell'articolo 2, là dove il Contratto di servizio sancisce gli obblighi, nel comma 1, lettera d) per la programmazione dei generi predeterminati, nel punto in cui viene menzionata la formazione, essendo i generi predeterminati esiziali nel monitoraggio che dovrà essere compilato con l'allegato 2), non possiamo fare a meno di chiedervi che entri nella formazione anche quella finalizzata a diffondere la cultura della diversità di genere e a contrastare ogni tipo di violenza, ivi compresa quella contro le donne, se veramente il servizio pubblico si vuole impegnare a migliorare quel dato orrendo di 145 donne ammazzate ogni anno.
  Sempre nel comma 1, alla lettera g), là dove sono menzionati i programmi dedicati ai minori, inseriamo la dicitura «la Rai realizzerà contenuti, rivolti ai ragazzi e agli adolescenti, che promuovano la cultura, la lettura, la formazione informatica e l'utilizzo consapevole delle nuove tecnologie, nonché l'educazione di genere e del rispetto delle persone contro ogni forma di violenza».
  Alla lettera h), per l'accesso alla programmazione, dove si parla e dei gruppi etnici e linguistici, inseriamo anche le associazioni rappresentative in sede nazionale delle donne e dei gruppi femminili di rilevanza nazionale operanti nel settore donne e media: non credo che occorra spiegare la motivazione di questa richiesta.
  Per quanto riguarda la lettera s), per la promozione, direi sostituire a «uguaglianza di genere» l'espressione «parità di genere» per il semplice motivo che non siamo uguali, quindi tendiamo alla parità, non all'uguaglianza. Credo sia un refuso. Qui inseriamo «Rai si impegna a garantire la trasmissione nelle reti generaliste e mediante canali tematici – questa è una proposta alla quale teniamo, che impone un giro di volta e un superamento di quella timidezza sui contenuti di cui parlavo prima – anche nelle fasce di maggiore ascolto di contenuti destinati a promuovere una rappresentazione plurale della realtà femminile, valorizzando il ruolo delle donne nei diversi settori della società». Poi l'articolo continua con la frase che c'era, ovvero «a garantire pari accesso alle donne e agli uomini, evitando di trasmettere immagini e ruoli stereotipati e di usare espressioni discriminatorie», inserendo «e/o che possono incitare la violenza di genere». Abbiamo poi aggiunto «a improntare la programmazione sul Pag. 28rispetto della dignità umana, culturale e professionale delle donne e dell'immagine femminile; a promuovere anche attraverso seminari interni – come ha promesso la Tarantola nel documento di policy di genere – la formazione di genere tra i propri operatori, autori, giornalisti e registi». Credo che sia necessario un cambio di volta anche negli operatori protagonisti, appunto, della formazione e della formulazione di contenuti.
  All'articolo 3, comma 3, abbiamo reinserito la previsione di ulteriori codici analoghi che fossero emanati durante il vigore del presente contratto. Questo punto c'era nel contratto precedente ed era stato inserito perché al Ministero dello sviluppo economico c’è un tavolo per la formulazione di un codice deontologico condiviso con le industrie. Occorre capire quindi perché questo elemento è stato stralciato quando il completamento del codice è più vicino.
  Per quanto riguarda poi l'articolo 4, sulla qualità dell'offerta e sul valore pubblico, proponiamo che al comma 1, lettera e), nel capoverso che indica di superare gli stereotipi culturali, si aggiunga a «per contribuire alla crescita sociale e culturale e al rafforzamento dei valori etici, Rai si impegna a valorizzare il merito emergente nei settori della società, a privilegiare il merito nella scelta dei protagonisti dell'informazione e dell'intrattenimento – credo che con il merito si possano superare gli stereotipi femminili e maschili – a fornire una rappresentazione più veritiera e completa delle identità valoriali, rispettosa delle diverse sensibilità», «superando gli stereotipi di genere nel rispetto dell'immagine femminile e promuovendo la parità attraverso una rappresentazione plurale delle donne».
  Prima di dare la parola a Elisa Manna, finisco con il capoverso f), là dove è scritto «nella produzione di contenuti che favoriscono un miglior radicamento del senso civico, del rispetto e della dignità» proponiamo di inserire «del rispetto della diversità di genere contro ogni forma di violenza».
  Tutta la nostra attenzione è concentrata sul superamento dell'uso e della descrizione della violenza anche in un'ottica poco sensibile dal punto di vista di genere. Inoltre, un particolare impegno è dedicato a valorizzare il merito nella scelta della produzione dei contenuti e nella selezione dei protagonisti.

  ELISA MANNA, responsabile politiche sociali CENSIS. Proseguo rapidamente con le piccole integrazioni a cui teniamo moltissimo. Prima però vorrei richiamare due elementi. Innanzitutto, l'influenza dei contenuti mediatici – in questo caso parlo da ricercatore – sui comportamenti, in particolare, delle giovani generazioni è un fatto verificato e su cui c’è una condivisione a livello scientifico internazionale da almeno cinquant'anni. Tra l'altro al Censis abbiamo realizzato un Libro bianco per le autorità, quindi si tratta di un tema che sentiamo molto.
  In secondo luogo, anche nell'attività dei comitati, in particolare del Comitato media e minori, ma anche presso del Consiglio nazionale degli utenti, che si interessano del rapporto tra utenti e media, sono emersi moltissimi reclami da parte di genitori e insegnanti che riguardano proprio la rappresentazione della donna, ovvero l'abuso della mercificazione della figura femminile.
  In questo senso, nell'ambito dell'esperienza che sto facendo al MISE presso il citato tavolo interministeriale nel tentativo di sollecitare le emittenti a produrre un codice di autoregolamentazione donne media, abbiamo visto l'intervento della presidente Tarantola con grande conforto. Infatti, la presidente è intervenuta dicendo che è una battaglia di civiltà, per cui si è detta totalmente dalla nostra parte; purtroppo, non abbiamo riscontrato la stessa disponibilità da parte di altre realtà. Speriamo però di portare avanti questo tavolo che, peraltro, era stato già attivato precedentemente durante il Governo Monti.
  Passando agli articoli, l'articolo 5, comma 1, là dove si parla di qualità dell'informazione, ci piacerebbe che venisse aggiunto, quando si dice che la Rai Pag. 29garantisce la qualità dell'informazione, «assicura altresì la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne». Aggiungeremmo poi un comma in cui si dica: «la Rai è tenuta a improntare la propria programmazione di informazione e approfondimento al rispetto e alla diffusione della cultura di genere, assicurando spazi idonei a contrastare la violenza sulle donne, la prostituzione e la violenza sessuale minorile».
  Come sapete, recentemente è stata ratificata la Convenzione di Istanbul, in cui un articolo tratta proprio del rapporto tra un'immagine poco dignitosa della donna e il ricorso alla violenza sulle donne stesse, cosa peraltro sottolineata precedentemente dall'Unione europea in una direttiva in cui si diceva in maniera inequivocabile che le donne non potranno mai raggiungere le pari opportunità nel mondo del lavoro e sociale finché l'immagine resterà quella distorta, reificata, strumentale e decorativa (per usare un eufemismo).
  All'articolo 6, che riguarda l'offerta, il comma 2, lettera f), verte sui programmi per i minori. Questo è un tema che ci sta particolarmente a cuore perché la battaglia per la tutela dei minori rispetto ai contenuti nocivi dei media è difficilissima e ha visto impegnato un manipolo di persone nelle istituzioni nell'arco di dieci anni. Riteniamo, per il momento, di aver perso alcune battaglie, ma non disperiamo perché il tema è di importanza cruciale.
  Per quanto riguarda la lettera f) suggeriamo questa articolazione: «programmi di tutti i generi televisivi dedicati ai bambini delle diverse fasce di età, compresa quella inferiore ai 3 anni; agli adolescenti e giovani che abbiano finalità formativa, informativa o di intrattenimento; trasmissioni finalizzate – qui abbiamo inserito un concetto diverso – a promuovere i valori prosociali, quali rispetto dell'altro, la tolleranza, la coesione, l'educazione all'affettività, l'educazione civica e di genere, il contrasto alla violenza; a promuovere la conoscenza dell'Unione europea nel rispetto del diritto dei minori alla tutela della loro dignità e dello sviluppo fisico, psichico ed etico». In particolare, l'educazione all'affettività è importante perché viviamo in una società che sta diventando afasica, incapace di esprimere l'affettività. Probabilmente, alla base di tanti episodi di violenza c’è proprio questa incapacità di trovare le parole per dirlo. A ogni modo, il comma è stato articolato per spiegare meglio i valori che si vuole promuovere.
  Inseriremmo poi un'altra lettera circa i programmi per la promozione della cultura di genere. Questo è fondamentale, in altri Paesi si fa. È vero che bisogna tutelare l'immagine femminile, ma se non si propone in positivo una cultura delle pari opportunità non si riesce ad avviare una nuova fase. Quindi, aggiungeremmo: «programmi di informazione, di approfondimento e di intrattenimento volti a comunicare al pubblico una più completa e realistica rappresentazione dei diversi ruoli che le donne svolgono nella vita sociale, culturale ed economica del Paese, nelle istituzioni e nella famiglia, valorizzandone le opportunità, l'impegno e i successi conseguiti nei diversi settori». Non stiamo censurando qualcosa, ma proponiamo una rappresentazione più ampia dei diversi ruoli che le donne svolgono.
  All'articolo 7, che riguarda l'offerta radiofonica, proponiamo un ulteriore comma, «Pari opportunità», con «rubriche dedicate al tema delle pari opportunità e al ruolo che le donne svolgono nella società per la diffusione della cultura delle differenze di genere, volte a contrastare la prevaricazione di un genere sull'altro e l'uso della violenza». Per quanto riguarda la radiofonia, credo davvero si possano valorizzare le caratteristiche del mezzo per fare questo percorso di approfondimento e di influenza sottile.
  Abbiamo poi l'articolo 9, «programmi televisivi per i minori», al comma 3, lettera c), «promuova modelli di riferimento femminili e maschili» vorremmo utilizzare il termine «paritari», sottolineando il discorso non dell'uguaglianza bensì della parità, e aggiungere «non stereotipati, attraverso contenuti che educhino al rispetto della diversità di genere e contrastino la violenza». Infine, al comma 6, vorremmo articolare la frase in Pag. 30questo modo: «evitare programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o programmi che possano indurre a una fuorviante percezione dell'immagine femminile e della violenza sulle donne».

  GIOIA VACCARI, Istituto nazionale scienze biosociali. Rivolgo molti ringraziamenti al Presidente e ai membri della Commissione per averci consentito di illustrare, anche se sommariamente (com’è giusto che sia), le modificazioni operative che vorremmo apportare a questo Contratto di servizio.
  Concludo brevissimamente parlando dell'articolo 10, sulla rappresentazione non discriminatoria, in cui vorremmo introdurre un comma, che abbiamo denominato 1-bis, affinché sia effettivamente chiarito cosa significa rappresentazione non discriminatoria, con un impegno della Rai, sia nella programmazione attuale, sia attraverso la diffusione di nuovi programmi, a veicolare contenuti volti a valorizzare il ruolo delle donne nei diversi settori della società; a diffondere una pluralità di modelli femminili e a prevenire e contrastare l'uso della violenza sulle donne.
  Vi sono poi altre piccole modificazioni, per le quali rinvio al documento che abbiamo depositato oggi e che mi auguro abbiate voglia di leggere.
  Un altro aspetto importante riguarda una modifica in relazione all'offerta per l'estero. Mi riferisco all'articolo 12, a cui aggiungeremmo «per una programmazione che rispetti l'immagine femminile, la dignità culturale e professionale delle donne».
  Altre due piccole modifiche riguardano i programmi dell'accesso alla tv pubblica, in cui si sono dimenticati di mettere le associazioni rappresentative in sede nazionale delle donne e i gruppi femminili di rilevanza nazionale operanti nel settore di donne media. Lo stesso vale per l'articolo 20: la sede permanente di confronto sulla programmazione non può dimenticare che esistono le organizzazioni senza scopo di lucro di rilievo nazionale, ma anche i gruppi femminili di rilevanza nazionale operanti nel settore di donne media. In caso contrario, il confronto diventa estremamente generico e non si capisce con quali organismi possa essere attuato.
  Concludo con un aspetto che ritengo irrinunciabile nello sforzo che bisogna fare per cercare di rendere concreto e operativo il contratto. Infatti, la concretezza e l'operatività di un contratto si verificano soltanto quando esiste uno strumento di controllo del contratto stesso. Per questo, l'articolo 21 del Contratto di servizio parla della vigilanza e dei controlli che devono essere svolti, citando alcune norme irrinunciabili.
  Quanto alla vigilanza, il contratto si riferisce all'articolo 6, comma 2, e all'articolo 7, comma 2, e quindi ai programmi televisivi e radiofonici, ma anche a un altro profilo, ovvero quello della qualità dell'offerta. Ecco, questi punti per noi sono irrinunciabili.
  Infatti, all'articolo 6, comma 2, abbiamo introdotto un comma che consente di programmare e di diffondere dei programmi e delle trasmissioni, generaliste o meno, che siano effettivamente di carattere paritario, rispettose della donna, con tutti i valori che poco prima sono stati rappresentati. All'articolo 7 abbiamo operato un'introduzione di un comma, a proposito della programmazione radiofonica. Anche all'articolo 4, sull'offerta di qualità secondo gli specifici punti di questa norma, abbiamo introdotto elementi essenziali non tanto e non solo per farli entrare in un contratto che potrebbe restare lettera morta (la Rai avrà molta voglia di dare realizzazione agli impegni che le vengono imposti con un contratto per la concessione del servizio), ma per avere l'occasione della vigilanza. Se perdiamo questa occasione – cosa che segnalo anche a voi – il contratto può restare lettera morta, ovvero una bella tavola di riferimento, delle belle parole dette, mentre in realtà non succede nulla.
  Questa è la vera chiave di realizzazione di un contratto che possa effettivamente dare un segnale positivo e propulsivo a Pag. 31tutti questi valori che sono stati enunciati e ritengo siano fondamentali per migliorare il nostro servizio pubblico.

  GABRIELLA CIMS, promotrice dell'Appello donne e media. Da ultimo, rivolgo un invito ai membri della Commissione e al cittadino presidente perché il diritto alla cittadinanza è connotato non soltanto attraverso la rappresentanza, ma anche attraverso la rappresentazione. Pertanto, credo che rimuovere completamente il contributo delle donne che vivono e si impegnano nel nostro Paese, dando un grande contributo di crescita a tutta la società, sia una riduzione non soltanto per noi donne, ma per l'intera società.

  GIORGIO LAINATI. Con la dottoressa ci conosciamo da molti anni perché anche nei precedenti contratti abbiamo avuto l'opportunità di audire importanti associazioni come quelle che rappresentate. Il collega vicepresidente relatore si è assentato per un momento, ma è chiaro che abbiamo grande sensibilità per il vostro impegno nelle sedi proprie, ma anche per le proposte emendative che avete presentato poc'anzi.
  Sono certo che saremo tutti impegnati nel recepirle, per quanto mi riguarda, anche in toto perché sono condivisibili e fanno riferimento a emergenze sociali che sono state evidenziate in tutti i vostri interventi. Da questo punto di vista, il servizio pubblico e tutte le reti televisive devono assolutamente dimostrare la più assoluta sensibilità per le tematiche che sono state esposte proprio perché sono emergenziali e appartengono alla società nella sua interezza. Una società moderna e democratica non può accettare che ci siano forme discriminatorie, ma ancor meno si può tollerare il fenomeno allucinante del femminicidio. È quindi giusto il riferimento che è stato fatto alla Convenzione di Istanbul, che rappresenta un punto di riferimento storico per queste tematiche.
  Non voglio fare altro che ribadire e interpretare anche il sentimento del Presidente e dei colleghi presenti nel dire che c’è un impegno oggettivo da parte di tutti noi affinché si recepiscano le vostre richieste che sono pienamente veritiere. Soprattutto, dovremmo poi incalzare il servizio pubblico perché questi atti formali si trasformino da forma in sostanza.
  È stato citato il punto di vista della presidente del consiglio di amministrazione della Rai sul ruolo delle donne nel servizio pubblico e sull'immaginario dello stereotipo femminile che ne deriva. Ci sono lacune che, denunciate da anni, non sono però mai state colmate.

  MARIO MARAZZITI. Mi scuso per il ritardo, ma, purtroppo, abbiamo delle coincidenze tra il Comitato dei diritti umani, la Commissione esteri e i lavori di questa Commissione. Vorrei dire però che sono a conoscenza delle vostre proposte. Peraltro, quasi in doppia veste di presidente del Comitato dei diritti umani, membro della Commissioni esteri e di questa, devo dire che i temi da voi sollevati trovano una profonda consonanza naturale, culturale e politica.
  Ecco, penso che sia fondamentale costruire mentalità. Infatti, tutto il resto è sempre un riparare ai danni già subiti. In questo senso, siamo a uno snodo, ovvero quanto il servizio pubblico è sé stesso nell'aiutare. Non ci riconosciamo nell'idea di una tv pedagogica, ma un ethos sociale condiviso nel servizio pubblico è un punto di forza.
  Il fatto che nella prima bozza di Contratto di servizio pubblico che abbiamo cominciato a discutere siano già contemplate linee-guida significa che c’è un'attenzione a monte che non è sempre vi è stata in passato, quindi è un buon punto da cui partire. Peraltro, oggi la situazione è peggiore che nel passato. C’è la crisi sociale, la crisi identitaria; potremmo parlare di debolezza del ruolo maschile che quindi si scarica in maggiore discriminazione e violenza femminile o dei grandi tempi di crisi o anche del fatto che c’è più consapevolezza e più pubblicità di un comportamento antico, ma che forse oggi scopriamo con più forza.Pag. 32
  Potremmo anche fare un'analisi più articolata. Tuttavia, detto questo, credo che quello della prevenzione sia un tema chiave. Mentre come Parlamento abbiamo lavorato, tra i primi atti, proprio all'approvazione della legge sul femminicidio e alla ratifica della Convenzione di Istanbul, oggi siamo impegnati ad aiutare il Paese, come legislatori e come cittadini, a individuare anche meccanismi pratici più concreti e più spicci proprio sul terreno della prevenzione. Infatti, la nostra grande e buona legge ha bisogno di alcune pratiche che incoraggino un preallarme o un premonitoraggio. A ogni modo, la Rai sicuramente può aiutare nella valorizzazione di modelli femminili drammaticamente coraggiosi che fanno le scelte giuste nel momento più difficile. Garantisco quindi da parte nostra un sostegno in questa direzione. Credo, peraltro, che non avremmo difficoltà a lavorare con i colleghi in grande consonanza.

  MICHELE ANZALDI. Vorrei chiedere alle dottoresse se hanno percezione di un fenomeno che alcune persone mi dicono stia prendendo sempre più piede. Mi riferisco al fatto che nei talk show o anche nei TG, per motivi di audience, si cerca sempre di avere la persona non con maggiori conoscenze del problema, ma con maggiori caratteristiche estetiche: il problema è se la cultura dell'immagine entra in campo giornalistico.
  Se la relatrice su una legge è una donna oppure quell'emendamento è di quella donna, ma, per motivi di immagine, lo spiega una donna più avvenente che però non sa di che parla, è un problema per il servizio pubblico. Se è vero questo fenomeno che mi dicono va sorgendo sempre più per motivi di audience, il servizio pubblico dovrebbe fare attenzione.

  PRESIDENTE. Nel documento che ci è stato consegnato, vi è infatti la parte nel merito che supera tutte queste questioni.

  ELISA MANNA, responsabile politiche sociali CENSIS. La sua impressione è del tutto esatta. Al Censis abbiamo fatto ricerche estensive e analisi del contenuto della programmazione nel corso degli anni ed emerge chiaramente come una percentuale molto alta delle donne, anche nel ruolo di opinioniste, quindi non soltanto le ballerine o le donne dello spettacolo, siano selezionate sulla base di caratteristiche di avvenenza che dovrebbero rispondere a dati di ascolto. Per questo abbiamo sottolineato molto l'aspetto del merito perché è la chiave di volta per superare questa difficoltà.

  SONIA ALBANESE, Zonta International. Quello che lei mette in rilievo è l’appeal, che non è soltanto legato al genere, bensì alla necessità di apparenza della persona. La Rai ha però il dovere di rappresentare un contenuto, anche perché la società civile anela ad avere un contenuto. Nella rappresentanza dobbiamo quindi scegliere la vera realtà sociale e civile italiana, anche nella scelta delle donne che parlano, che rappresentano le professioni e la vita civile: bisogna uscire dall'immaginario e dall'idea che l'apparenza prevalga sulla sostanza.
  Si tratta semplicemente del rispetto del diritto della persona di essere e di essere rappresentata per quello che esercita giornalmente. Questo vale anche per i talk show.

  ANNA MARIA BUZZETTI, presidente sezione di Roma dell'Associazione giuriste italiane. Bisogna cercare di lavorare sulla cultura dell'immagine. Ho insegnato tanti anni e negli ultimi tempi – sono andata in pensione nel 2009 – notavo che i ragazzi, dopo aver visto una trasmissione televisiva, facevano affermazioni del tipo «quanto era brutta, ma parlava bene». Era difficilissimo fare capire che la bruttezza non c'entrava nulla con quello che si doveva dire o si doveva loro trasmettere. Poi, magari, c'era un'oca che parlava malissimo, ma dicevano «quant'era brava».
  Bisogna quindi lavorare non soltanto sulla Rai, ma sulle famiglie, sulla scuola: la Rai però deve dare degli esempi, che spesso sono pessimi. Personalmente, la vedo il meno possibile perché mi sento male: siccome mi occupo di casi penali, dico le cose come le sento.Pag. 33
  Vi siete dimostrati molto sensibili, ma vorrei che a questa sensibilità corrispondesse una sostanza. Ho visto qualche disinteresse: scusate se ve lo dico. Molto probabilmente sarà stato per altri impegni, ma c'era qualcuno che appariva poco interessato (non parlo dei presenti), come se pensasse che le donne parlano sempre delle stesse cose. La ringrazio invece della sensibilità perché ho trovato in lei un uomo sensibile quasi quanto una donna. Quindi, mi congratulo, ma vorrei che all'apparenza corrispondesse la sostanza. Speriamo che la presidente, che è una donna, ci aiuti in questo. Dobbiamo lavorare insieme, altrimenti non raggiungiamo nessun risultato.

  ALBERTO AIROLA. È ovvio che le parole spesso restano sulla carta. Lo abbiamo verificato parecchie volte, anche per il decreto sul femminicidio e in altre situazioni. Per cui l'attività che dovremmo svolgere come commissione di vigilanza è continua, soprattutto sulle segnalazioni. Noi faremo pressioni: sono qui da poco, ma ho capito che l'unico modo per ottenere qualche risultato è mantenere il fiato sul collo costante e reiterato. Se un problema non viene risolto, deve essere di nuovo affrontato, stimolandone la soluzione. In questo senso, avrete sicuramente una sponda.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.