XVII Legislatura

Commissioni Riunite (VII Camera e 7a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 6 agosto 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capua Ilaria , Presidente ... 2 

Seguito dell'audizione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Massimo Bray, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Capua Ilaria , Presidente ... 2 
Valente Simone (M5S)  ... 2 
Capua Ilaria , Presidente ... 2 
Piccoli Nardelli Flavia (PD)  ... 2 
Marcucci Andrea , Presidente della 7 Commissione del Senato della Repubblica ... 4 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 5 
Valente Simone (M5S)  ... 7 
Costantino Celeste (SEL)  ... 9 
Bossa Luisa (PD)  ... 11 
Capua Ilaria , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ILARIA CAPUA

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Massimo Bray, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Massimo Bray, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
  Saluto il Ministro e i colleghi del Senato. Dopo aver ricordato che la presente seduta dovrà aver termine entro le 15 – considerati i lavori dell'Assemblea – do la parola ai colleghi iscritti a parlare che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SIMONE VALENTE. Scusi, presidente. Svolgo un intervento sull'ordine dei lavori.
  Vorrei semplicemente osservare che noi avevamo esaminato le linee programmatiche esposte dal Ministro Bray nella seduta del 23 maggio 2013 – da allora sono trascorsi alcuni mesi – e che ci eravamo anche preparati a illustrare la nostra posizione, come Movimento 5 Stelle. Da quel giorno a oggi, però, molte cose sono cambiate. È stato presentato anche il cosiddetto decreto cultura e, quindi, forse, molte questioni non risulterebbero più attuali. Volevamo avanzare, pertanto, la proposta di impiegare questo tempo a disposizione per capire meglio dal ministro i contenuti del citato decreto ed eventualmente per riformulare le nostre posizioni rispetto alle linee programmatiche.

  PRESIDENTE. Poiché il punto da lei sollevato avrebbe dovuto essere discusso in sede di Ufficio di presidenza e il decreto non è stato ancora pubblicato, direi comunque di proseguire secondo l'ordine degli interventi già stabilito.
  Do quindi la parola ai colleghi iscritti a parlare che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Caro Ministro, come le è noto, le Commissioni cultura sia della Camera sia del Senato sono state recentemente impegnate nell'espressione del parere al decreto-legge n. 69 del 2013, concernente «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», il cosiddetto «decreto del fare», nell'avvilente situazione per cui i beni culturali non avevano avuto – o quasi – una presenza all'interno degli 86 articoli del provvedimento.
  Gli emendamenti proposti allo stesso erano stati pesantemente falcidiati, anche quando riguardavano proposte a costo zero e di grande urgenza per il settore, come, per esempio, quella di inserire nell'Agenda Pag. 3digitale il patrimonio culturale, fra i temi di diretto interesse del Governo.
  Vediamo, oggi, con grande soddisfazione che lei ha colto alcune di queste proposte, ritrasferendole nel nuovo decreto «valore cultura». Alcune delle misure contemplate nel decreto, che studieremo con grande attenzione, intervengono, ci sembra, con lungimiranza su biblioteche, archivi e istituti culturali, introducendo la dimensione del digitale e aprendo all'idea di utilizzi più ampi del patrimonio culturale attraverso aiuti diretti e indiretti.
  L'incarico a 500 giovani studiosi per digitalizzare il patrimonio, soprattutto quello archivistico, Ministro, relativo alla storia del XX secolo attualmente a rischio di dispersione vanno, ci sembra, in questa direzione, così come il provvedimento che mette a disposizione gratuitamente in rete le opere frutto di ricerche cofinanziate dallo Stato e soprattutto il collegamento fra le diverse banche dati che raccolgono il patrimonio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Durante la depressione degli anni Trenta ai giovani fu proposto di costruire con pala e piccone le strade, che erano allora le infrastrutture del XX secolo. Per superare la crisi attuale ai giovani dobbiamo forse chiedere di costruire le infrastrutture di questo secolo, fatte di contenuti digitali da mettere a disposizione di tutti.
  Apprezziamo gli interventi previsti nel decreto e proponiamo alcune riflessioni di ampio respiro. È necessario porsi il problema di dare stabilità attraverso interventi strutturali rivolti a un patrimonio, come quello italiano, ampiamente diffuso sul territorio, fatto appunto di biblioteche, di archivi, di istituti culturali e di piccoli e meno piccoli musei.
  Negli anni passati si riteneva che il finanziamento pubblico per queste realtà fosse l'unico, imprescindibile e irrinunciabile strumento per mettere in moto meccanismi di valorizzazione. Al contributo pubblico si cercava di associare il privato, con sponsorizzazioni mirate su progetti compatibili, procurandosi su più livelli le risorse per la sopravvivenza. Condivido, dunque, la misura che prevede facilitazioni nelle sponsorizzazioni fino a 5.000 euro, Ministro, primo avvio apprezzabile di una politica di maggior apertura a forme di defiscalizzazione più facili.
  Oggi, seppure consapevoli che la buona salute di tali istituzioni culturali continua a dipendere in parte dal volano del finanziamento pubblico, noi riteniamo che le criticità che affliggono il settore richiedano un approccio più articolato, con misure che tengano conto della tipicità del lavoro in tale settore, sulla base di una riflessione generale sul patrimonio culturale e sul territorio, capace di raccordare la programmazione delle strategie politiche al quadro europeo.
  La crisi segna probabilmente il passaggio obbligato dal vecchio al nuovo, dove solo il nuovo riuscirà a crescere e a espandersi. Il vecchio sparirà. Il patrimonio culturale italiano, se vuole essere sostenibile, deve diventare risorsa di crescita, rivedere profondamente il suo modello e diventare la base sulla quale costruire una vera e propria industria culturale. In particolare, in relazione agli istituti culturali, le chiediamo, Ministro, di prendere atto che, per farli diventare una risorsa, occorre investire su una nuova forma di industria, frutto dell'incontro tra un patrimonio senza eguali e le potenzialità delle tecnologie informatico-digitali. Se questa saldatura non si realizzerà, l'Italia rischierà di ridursi a fornitrice di materia prima culturale, valorizzata da altri che ne ricaveranno i benefìci in termini economici, di occupazione e di innovazione.
  Da ciò deriva l'importanza del collegamento con il programma Horizon 2020, non tanto per la tradizionale componente di conservazione e di restauro, quanto per il ruolo che ha il progetto nello spingere l'innovazione di questa nuova industria culturale, trovando modelli di fruizione che riportino al centro l'uomo cittadino, e non più l'opera, e che l'associno a nuovi modelli che permettano gli investimenti innovativi necessari per questa rinascita del patrimonio culturale.Pag. 4
  Concludo brevemente, Ministro. Vorrei soltanto ricordare ancora a noi stessi che la capacità dei nostri concorrenti internazionali di utilizzare il nostro patrimonio culturale per i loro fini è, fuori di dubbio, crescente. Il made in Italy – del quale il cultural heritage è parte fondamentale – è già copiato e venduto nel mondo a nostra insaputa. Se non vogliamo che anche al nostro patrimonio succeda lo stesso, dobbiamo disegnare una politica industriale in cui innovazione e nuovi modelli di fruizione e sostenibilità siano fattori centrali.
  Nella nuova programmazione europea 2014-2020, per la ricerca e l'innovazione, le piattaforme tecnologiche rivestiranno un ruolo sempre più importante nel favorire la traduzione dei risultati della ricerca in prodotti da immettere sul mercato, ragion per cui sono state espressamente indicate come fonte di input e la Commissione europea consulterà regolarmente i soggetti interessati per la definizione dei futuri programmi di lavoro.
  Per raggiungere questo obiettivo l'Italia ha due strade: o restare soltanto fornitrice di materia prima culturale, utilizzata da soggetti non italiani capaci di creare valore economico a beneficio di altri Paesi, oppure creare il proprio valore aggiunto in tutte le forme possibili.
  Noi chiediamo, Ministro, di poter lavorare insieme, affrontando le criticità di questo comparto con trasversalità e giovandoci delle molteplici competenze disponibili al fine di sfruttare la grande opportunità offerta dai finanziamenti europei per l'incentivazione delle risorse digitali, il potenziamento delle infrastrutture culturali, lo sviluppo delle politiche volte all'incremento dell'occupazione giovanile e, infine, il sostegno alla competitività del nostro sistema imprenditoriale.

  ANDREA MARCUCCI, Presidente della 7 Commissione del Senato della Repubblica. Come ci veniva ricordato dal collega all'inizio di seduta, sono passate molte settimane, alcuni mesi, dall'intervento programmatico del ministro. Io sono, in realtà, felice di poter intervenire proprio oggi, a poco tempo di distanza da quando lei, signor Ministro, e il Presidente del Consiglio avete annunciato l'emanazione di un importante decreto che riguarda proprio le attività del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Reputo importante, in termini di discontinuità, il fatto che il Governo abbia deciso di fare un decreto ad hoc, un'iniziativa che da molto tempo non si realizzava e che, forse, non si è mai realizzata in queste dimensioni. Lo reputo importante perché le nostre Commissioni congiunte, in maniera trasversale e unita, avevano chiesto più volte che la cultura – in senso ampio – tornasse a essere una priorità dell'azione di governo. Con questo provvedimento noi vediamo almeno iniziato un processo virtuoso che va esattamente in questa direzione.
  Con riferimento al contenuto di questo decreto, reputo molto positivamente come è stata affrontata la questione legata alle fondazioni lirico-sinfoniche, vista come un progetto sistemico che porti a un risanamento costante e progressivo del settore, e che ponga alcuni obblighi affinché si consideri la buona gestione come uno dei fulcri essenziali anche dell'azione culturale.
  Va molto bene anche il cosiddetto tax credit cinematografico. Più volte noi avevamo richiesto prima la reintroduzione e poi il finanziamento con questa finalità, almeno a livello pari rispetto agli anni precedenti, nonché l'opportunità che tale finanziamento fosse effettuato su base non annuale, ma almeno su base trimestrale.
  Vanno bene anche i molti altri interventi – di diversa natura – inseriti nel decreto, incluso quello, già ricordato, dei 500 giovani in questo supporto particolare per la cultura, seppure in uno sforzo a tempo determinato, ma sicuramente molto rilevante.
  Le Commissioni di Camera e Senato e il Parlamento nel suo complesso sono – ovviamente – disponibili a lavorare su questo provvedimento nei tempi previsti e a portare un proprio contributo al fine di un miglioramento del testo.
  Ci auguriamo che – così come è avvenuto nella stesura iniziale, dove abbiamo Pag. 5certamente apprezzato il fatto che le indicazioni emerse dalle Commissioni, in più occasioni, siano state raccolte dal signor Ministro e dagli uffici legislativi del Ministero – si possa migliorare il decreto stesso e si possa ragionare sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS). Il FUS non è solo una questione di fondazioni lirico-sinfoniche. Ricordiamo che finanzia tante altre attività considerate minori, ma che – in realtà – minori non sono e che hanno bisogno, in questa fase, di un contributo.
  Abbiamo provato a inserire nel cosiddetto «decreto del fare» un'interessante misura che aiutasse – e semplificasse – il settore della musica dal vivo, anche in locali diversi da quelli istituzionali. Su questo aspetto, forse, si può lavorare insieme, così come su tanti altri temi che ci stanno a cuore, seguendo l'approccio e i metodi dimostrati dal signor Ministro in queste settimane e in questo mese.
  Ci sta molto a cuore anche – e lo sottolineo – capire qual è la direzione che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sta prendendo nella riorganizzazione della sua struttura ministeriale, seguendo gli obblighi di legge rispetto ai numeri e alla riduzione dei dirigenti di prima e di seconda fascia. Complessivamente ci farà piacere capire, o nella replica, o in un'occasione successiva che il Ministro deciderà, quali siano l'indirizzo e la filosofia di fondo sui quali il Ministero si stia muovendo.
  In conclusione, aggiungo un'annotazione che le apparirà banale, signor Ministro. Lei è stato, con noi parlamentari della 7 Commissione del Senato, presso Pompei. A Pompei è emerso nella sua chiarezza, secondo me, un errore che nella storia aveva alcune motivazioni forti e che oggi, forse, non le ha più. Esso riguarda sia il costo dei biglietti dei nostri poli museali più visitati, che è decisamente inferiore al costo medio europeo dei grandi musei – su questo tema credo che una riflessione vada fatta – sia la logica degli incentivi e delle gratuità. Il fatto, ad esempio, che le decine di migliaia di americani – magari miliardari – che vengono a visitare Pompei e che mediamente hanno tutti oltre sessantacinque anni, non si possano permettere di pagare il biglietto, a me appare un'anomalia. Capisco che la volontà iniziale di questa norma fosse quella di incentivare le fasce dei giovani sotto i diciott'anni e degli anziani, concedendo loro alcune agevolazioni; poi, però, il contesto si è evoluto, e anche il panorama di riferimento dell'utenza si è profondamente e radicalmente modificato.
  Poiché noi abbiamo bisogno di risorse, io credo che questa logica complessiva dei prezzi medi – e della tipologia di approccio che si ha nei confronti delle gratuità – debba essere rivista dal Ministero, e anche celermente, perché da quel fronte si possano reperire risorse immediate e, ritengo, quanto mai utili per tutelare e valorizzare il nostro patrimonio.

  MARCO DI LELLO. Noi abbiamo un'opportunità in più, poiché possiamo interloquire con lei dopo l'annuncio del decreto, il quale sicuramente offre alcuni spunti positivi, come affermava anche – da ultimo – il presidente Marcucci. Penso, ad esempio, alle fondazioni lirico-sinfoniche e a Pompei, che finalmente è ritornata ad avere una sua specialità. Considero positivamente anche l'accorpamento di Caserta al Polo museale di Napoli. Ritengo inoltre che sia apprezzabile l'approccio alla riqualificazione dei contesti urbani. Finalmente si comincia a dare attuazione all'articolo 112 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cosiddetto codice Urbani, sulla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica.
  Mi piace pensare a un'inversione di tendenza, ma – mi consenta la franchezza, Ministro – siamo davvero solo all'inizio. Il nostro straordinario patrimonio culturale ha bisogno, a mio avviso, di maggiori risorse e di più riforme.
  Noi continuiamo ad avere un problema fondamentale di spesa corrente, che lei conosce bene. Io ho avuto per otto anni l'onore di dirigere l'assessorato ai beni culturali nella regione Campania, che considero un grande privilegio. Noi ci siamo occupati, in quegli anni, di pagare anche le bollette della corrente elettrica alle strutture Pag. 6museali e ai siti culturali di quel territorio. Poi, negli ultimi anni, non c’è stato più chi le ha potute pagare. Come possiamo pensare di incentivare e aumentare la spesa per investimenti, se non siamo capaci di trarre alcun giovamento da quelli che dovrebbero essere fondi di investimento ? Semplifico. Ho visto con piacere che lei è già stato – durante le prime settimane del suo insediamento – a Pompei e a Caserta. Il 2 marzo del 2001 – sembra davvero un'altra era geologica – il ministro dell'epoca Melandri e il presidente della regione sottoscrissero un accordo di programma del valore di 753 miliardi di lire: fu un fatto all'epoca straordinario. Tale accordo concerneva, peraltro, oltre che le risorse – in gran parte regionali – anche la sperimentazione gestionale.
  Quale risultato ha avuto oggi, a distanza di dodici anni, l'impiego di quelle risorse, che sono state spese tutte e alle quali, poi, se ne sono aggiunte ulteriori ? Le sale museali sono chiuse. Penso al Museo archeologico nazionale di Napoli: intere aree che sono state ristrutturate sono chiuse, perché non c’è il personale necessario a renderle aperte al pubblico.
  Lei conosce bene Pompei e anche le decine di domus che sono chiuse, non fruibili, e che pure sono state ristrutturate sia con fondi europei sia con fondi statali.
  Ci sono siti archeologici chiusi. Lei sa che fu espropriata ai privati un'area in cui sorgeva lo stadio di Antonino Pio a Pozzuoli, il cui sito è stato scavato e non è minimamente fruibile. Nessun cittadino italiano, forse solo lei, che è il ministro, può avere il privilegio straordinario di visitarlo.
  Lo stesso discorso vale per il complesso dei Campi Flegrei, siti monumentali chiusi, e per la Certosa di San Lorenzo a Padula, in provincia di Salerno, dove l'estro e il genio di Achille Bonito Oliva portò grandi artisti contemporanei ad affrescare e riempire le salette dei monaci con opere di arte contemporanea: sono siti chiusi, non fruibili e potrei continuare a lungo nell'elencazione.
  Signor Ministro, che senso ha continuare a parlare di spese di investimento, se non risolviamo il nodo della spesa corrente ?
  Poiché sono molto contento di avere visto al suo fianco il Presidente del Consiglio Letta, vorrei che, una volta tanto, la cultura fosse una problematica dell'intero Governo e non solo una questione affidata al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Nel 2003 – le racconto un'esperienza – avendo sempre pensato che i privati potessero dare una mano sul terreno della gestione, noi abbiamo avviato un processo per la creazione di una società mista. Lei, oggi, sta utilizzando quella società mista, immaginata nel 2003 con una procedura di evidenza pubblica internazionale. Si tratta dell'unica società mista sopravvissuta nel carrozzone delle società di questo tipo, in cui non si fecero assunzioni clientelari e che noi immaginammo come una grande testa con un corpo agile, che avrebbe dovuto servire a supportare il lavoro delle soprintendenze e provare ad attuare quella sperimentazione gestionale contenuta nell'accordo di programma. Quella società è la Scabec, che, tra l'altro, oggi gestisce il Museo Madre di Napoli e il circuito dell'Artecard, che è, credo, la tessera più venduta in Italia. Quel percorso, che avrebbe dovuto vedere anche il trasferimento di alcuni siti – sotto il punto di vista della gestione – fu poi bloccato. Il risultato qual è ? Quello che ho appena elencato.
  Per evitare di commettere sempre gli stessi errori, signor Ministro, va bene il Grande Progetto Pompei – abbiamo questa megalomania, tutta italiana, per cui quello che facciamo noi è tutto grande –, ma dopo che avremo speso questi 100 milioni di euro, che avremo scavato e messo in sicurezza, che cosa facciamo ? Apriamo le nuove domus ? Che cosa succederà ? Faremo nuove assunzioni ? Possiamo avere l'ambizione di prevedere che finalmente il Ministero potrà assumere migliaia di giovani laureati ? Possiamo dirlo ?Pag. 7
  Io ho visto che nel decreto si fa un riferimento al partenariato pubblico-privato un po’ confuso, me lo lasci dire, Ministro. Tra i privati ci sono, infatti, le imprese e le associazioni. È difficile mettere insieme nella categoria dei privati le associazioni e le imprese. Mi consentirà di coltivare qualche dubbio.
  Vanno benissimo i 500 e poi 1.000 tirocinanti. Li utilizziamo dodici mesi, ma poi ? Non vorrei che creassimo nuove aspettative frustrate. Forse è il caso che cominciamo a pensare a una nuova politica – mi lasci passare il termine forte – industriale, con incentivi mirati alle imprese culturali, che oggi hanno un'IRAP altissima e un'IVA non detraibile. Penso ai concessionari dei servizi ex legge Ronchey.
  Ministro, occorrono risorse e riforme. Abbia davvero il coraggio di osare e di innovare. A essere sinceri, credo che difficilmente potremo peggiorare. Se continueranno a essere pochi i fondi pubblici, noi dovremo avere il coraggio di aprire la disponibilità a fondi privati. Non ci illudiamo del mecenatismo, perché non è con quello che – io penso – potremo risolvere i problemi del nostro patrimonio culturale.
  Separando sempre di più la tutela, rigorosamente ed esclusivamente nelle mani pubbliche, e le attività di valorizzazione e di gestione che possono produrre ricchezza, specialmente se includiamo nei processi di riqualificazione anche i contesti urbani, io credo che noi potremo pensare di attirare nuove risorse e provare così a sopperire a una fase storica in cui, ahimè, è difficile chiedere altri fondi allo Stato.

  SIMONE VALENTE. Signor Ministro, nel suo intervento illustrativo delle linee programmatiche che il suo ministero seguirà lei ha, condivisibilmente, fatto riferimento alla concezione della cultura quale bene comune. Noi condividiamo il riferimento all'opportunità di un miglioramento della sussidiarietà orizzontale e verticale, con il maggior coinvolgimento degli enti locali, soggetti cui, di conseguenza, dovranno essere garantiti gli strumenti, soprattutto economici, per ottemperare a tali impegni.
  Eppure il suo ripetuto richiamo alla necessità di aprire a sinergie tra pubblico e privato, alle sponsorizzazioni e alle esigenze di tali soggetti, in quanto portatori di interessi, sia pure collettivi e diffusi, non ci pare vada nella stessa direzione espressa in premessa. Non vediamo, infatti, come l'apertura all'intervento privato possa giovare alla crescita, alla tutela e alla diffusione del tessuto culturale italiano, rendendolo fulcro di una crescita civile, sociale ed economica. Uso consapevolmente le sue stesse parole.
  Intendiamoci, però: non siamo talmente miopi da non renderci conto che, a causa delle ridicole e colpevoli politiche intraprese nel settore della cultura, nelle ultime legislature, le risorse per il nostro comparto sono davvero ridotte e prossime all'inconsistenza. Siamo, quindi, consapevoli che l'intervento privato sia una sorta di necessaria corvée cui rimettersi.
  Non è tanto sul «se» che noi obiettiamo, quanto piuttosto sul «come» i privati debbano intervenire nella cultura. Di sicuro – secondo noi – non come sponsor, termine che lei ha utilizzato nel riferirsi agli interventi privati, e certamente non come compartecipi della gestione del nostro patrimonio. La nostra visione verte, invece, verso un sano intervento di sostegno attraverso l'introduzione di opportuni incentivi fiscali, che impedisca – alla radice – forme di commistione tra gestione del patrimonio e interessi privatistici.
  Pertanto, rammentando le parole che lei stesso ha pronunciato a seguito della sua nomina a Ministro, con cui sottolineava l'importanza di mantenere un controllo centralizzato del patrimonio culturale e artistico, impedendone lo sfruttamento commerciale, noi evidenziamo questo cambio di rotta, che desta la nostra attenzione.
  Passo ora ad affrontare un tema collaterale a quello appena trattato e, tuttavia, assai importante. Noi riteniamo di condividere – come già detto in merito al sostegno alla tutela e alla valorizzazione Pag. 8del patrimonio culturale e artistico – le previsioni di una fiscalità di vantaggio e di un regime IVA agevolato, collegati alla manutenzione delle dimore storiche. Questo meccanismo avrà di certo un impatto positivo sulla conservazione di tali strutture, nonché sull'indotto di tipo economico. Ci riferiamo al settore dei professionisti e della manodopera specializzata, che di sicuro trarranno slancio da tale misura.
  È quantomeno discutibile, però, in questo momento l'idea di un ritocco verso il basso dell'IMU su tali dimore. È, infatti, evidente che ne trarrebbero giovamento soprattutto i ceti sociali che, più di altri, sono in grado di sostenere lo sforzo che in quest'epoca stiamo richiedendo a tutti i nostri cittadini. Non vediamo, dunque, alcuna ragione per intervenire in tal senso, se non altro perché non sarebbe un bel segnale nei confronti di tutte quelle classi sociali che sopportano a malapena la pressione cui sono sottoposte.
  Passando, invece, al Grande Progetto Pompei, al di là delle parole e dei fondi stanziati in fase emergenziale – in pieno stile italiano, purtroppo – le cronache ci restituiscono immagini di sfacelo e abbandono. Tra crolli e ribassi nelle aste per l'assegnazione degli appalti, Pompei ha occupato le testate giornalistiche con titoli tristi, che ci lasciano sgomenti. Ci auguriamo, in questo caso, che il Governo, oltre a prenderne atto, metta in moto interventi tesi a rendere effettivo il Grande Progetto Pompei, finora – per usare un eufemismo – opera incompiuta.
  Merita, invece, approvazione l'accento da lei posto sull'importanza delle botteghe tradizionali nei centri storici, da tutelare in quanto aspetto caratterizzante dei tessuti cittadini. Riteniamo che esse siano testimoni di una cultura artigiana che in Italia vanta un passato illustre.
  In tal senso, pensiamo che un approccio organico e lungimirante affronterebbe il riordino degli istituti professionali con la creazione di percorsi privilegiati per chi voglia apprendere un antico mestiere e di congrui incentivi per gli artigiani, che ne trarrebbero benefìci in termini di visibilità, nonché a livello economico. Pensiamo, per esempio, alla previsione di agevolazioni fiscali per le assunzioni di apprendisti. In tale ottica, pertanto, non può che essere avversata una politica che apra la presenza di centri commerciali all'interno dei centri storici, rendendo involucri svuotati – del loro contenuto – le innumerevoli costruzioni di pregio dei nostri paesaggi rubati e utilizzandole come belle scatole da riempire con ogni sorta di offerta al consumatore.
  Va, invece, incentivata la piccola distribuzione, per gli innumerevoli vantaggi – trasversali e diversi nei vari settori – che tale politica avrebbe, tra cui occupazione, perseguimento di una filiera breve a chilometro zero e coesione sociale, attraverso il recupero di una dimensione più a misura d'uomo.
  Quanto alla programmazione turistica, seppure una maggiore collaborazione con regioni e ANCI sia auspicabile, noi pensiamo che essa vada estesa anche oltre la tutela delle botteghe tradizionali, collegandola anche a un migliore coordinamento tra lo Stato e gli enti locali, finalizzato a una programmazione integrata del turismo declinato in senso culturale, ma anche tradizionale. Occorre, dunque, incentivare percorsi turistici alternativi, che integrino itinerari culturali della tradizione italiana, da quella culinaria a quella artigianale.
  Passando al capitolo relativo all'arte contemporanea, ribadiamo la nostra perplessità sul modello partenariale di museo-fondazione e intendiamo richiamare, invece, il modello di museo pubblico che si può dedurre dalla nostra Costituzione. Esso deve essere capace di diffondere il pensiero critico e di farsi promotore di inclusione sociale e di opportunità di impiego qualificato.
  Si pone, dunque, una netta inversione di tendenza da parte dello Stato, che deve affrancarsi dalle innumerevoli e onerose partnership in cui è invischiato, per concentrare i propri sforzi nei confronti di pochi centri di arte contemporanea distribuiti – secondo un criterio geografico – su tutto il territorio, capaci di diventare poli Pag. 9di ricerca e formazione. Il museo di arte contemporanea deve essere un laboratorio di innovazione contiguo all'industria creativa del design, dell'amministrazione digitale e della smart city. Deve smettere di essere mero promotore di mostre dispendiose e poco significative per trasformarsi, invece, in una fonte di servizi creativi per la comunità. In tal senso, decisivo sarebbe il ruolo del rapporto tra museo, ricerca e università. Deve, infine, essere messo in mani competenti, scevre da insipienti condizionamenti politici, per recuperare quella funzione di stimolo e di guida al gusto e all'osservazione, componenti fondamentali di una società più matura e civile.
  Passando ai Piani paesaggistici regionali, come lei stesso ha riconosciuto, essi sono stati attuati pienamente solo in pochissime regioni. Noi crediamo che, oltre al perseguimento dell'obiettivo di estendere tale modello di copianificazione alle regioni rimaste indietro, vada anche posto l'accento sugli aspetti della tutela delle caratteristiche ambientali – con un occhio di riguardo alle biodiversità –, sul contrasto alla desertificazione – che in alcune regioni è oggi un rischio concreto e attuale – e sul connesso rischio idrogeologico, che ogni anno puntualmente risucchia risorse pubbliche per fronteggiare le emergenze.
  Sempre in tema di tutela paesaggistica, nella sua relazione lei ha fatto riferimento all'importanza di una seria programmazione della collocazione delle infrastrutture dedicate alla produzione dell'energia rinnovabile. L'assenza di essa ha creato, come lei ha detto, la disseminazione – a macchia di leopardo – di impianti, in tal modo intaccati nel loro stesso potenziale. Si è detto anche che l'assenza di una progettualità e di una regolamentazione politica in materia è uno dei fattori che hanno favorito la speculazione delle mafie nel settore.
  Atteso che lei ha posto l'accento sulla necessità di sfruttare adeguatamente le energie rinnovabili, destano preoccupazioni le dichiarazioni del Ministro dell'ambiente Orlando, il quale ha, invece, espresso posizioni che suonano come qualcosa di più di un'apertura alla realizzazione di inceneritori in Campania. Ci limitiamo a ricordare che – nel panorama internazionale – l'Italia è l'unico Paese a considerare energie interamente rinnovabili quelle prodotte dai termovalorizzatori.
  Dal canto nostro, noi rimarchiamo con forza la necessità di mettere definitivamente fine alla strada degli inceneritori. In secondo luogo, ci pare semplicemente ovvio che, in un clima come quello che caratterizza la nostra penisola e prima che le emissioni compromettano definitivamente l'equilibrio ambientale, vadano sfruttate al massimo tutte le fonti energetiche alternative, integrandole con oculatezza con il territorio.
  Per quanto riguarda lo specifico aspetto del consumo del suolo, fenomeno che ha assunto proporzioni allarmanti e ha prodotto «ecomostri» e periferie urbane desolanti, ci auguriamo che venga aperto un serio e sereno confronto in Parlamento, senza fughe in avanti ed evitando il ricorso alla decretazione d'urgenza.
  In merito al completamento della riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche, preoccupano alcuni passaggi dello schema di regolamento di riforma che perverrà alla Camera prossimamente. Dietro la cortina del principio di razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse, esso cela misure che finiranno per sottrarre tutela ai lavoratori del settore. In questa fase, ci limitiamo a sottolineare come in questo specifico settore, più che in altri, si possa intervenire sulle opulente consulenze esterne o sui corposi emolumenti dei suoi vertici, piuttosto che sui già tartassati lavoratori, riservandoci un più puntuale esame nel momento in cui tale provvedimento passerà al vaglio delle Camere.

  CELESTE COSTANTINO. È stato sottolineato anche da altri che dalla sua relazione è passato parecchio tempo e che, quindi, diventa difficile fare riferimento a quell'intervento. Forse dovremmo parlare direttamente del nuovo decreto.
  Purtuttavia, io voglio rimanere a quella relazione e da essa voglio partire. Come è stato ricordato prima, dal collega del Movimento Pag. 105 Stelle, nella sua relazione lei poneva al centro, in discontinuità rispetto agli altri Governi, al Governo Monti e al Governo Berlusconi, un'espressione a noi molto cara, quella di cultura intesa come bene comune.
  Noi pensiamo che questa espressione e questo concetto così forte si debbano mutuare dalle esperienze che si sono sviluppate negli ultimi anni, legate ai teatri occupati e autogestiti, che hanno rimesso proprio al centro il tema della cultura come bene comune. Faccio riferimento, evidentemente, al Teatro Valle di Roma, al Teatro Garibaldi di Palermo, alla Balena di Napoli. Queste sono solo alcune delle realtà che hanno svolto un ruolo di supplenza nei confronti dello Stato, attivandosi nel campo delle attività e contribuendo alla creazione e alla diffusione di saperi, oltre che alla protezione e alla valorizzazione dei beni culturali.
  È proprio dal sistema dei teatri che vorrei partire. Nel suo decreto «valore cultura» lei ha stabilito che i teatri stabili pubblici non potranno più effettuare tagli orizzontali sulle spese relative a pubblicità e tournée, come previsto dalla spending review. Noi pensiamo che ciò non basti. Da decenni in questi teatri vengono realizzate produzioni sovradimensionate, che si collocano decisamente fuori dal mercato, in quanto possono essere acquistate solo ed esclusivamente da altri teatri pubblici analoghi.
  Questo sistema – a oggi – ha portato a una precipitosa diminuzione della produzione, a danno sia dell'indotto, sia dell'occupazione in generale. Il mercato si è – in sostanza – ridotto a chi può avere grossi introiti e, quindi, a una ristrettissima cerchia di teatri stabili pubblici e a qualche teatro stabile di innovazione: parliamo di meno di 30 teatri su tutto il territorio nazionale.
  Tutto il resto del teatro italiano, invece, si sorregge grazie a iniziative di singoli comuni volenterosi e di alcuni enti regionali, nonché di privati e di tanti giovani che mettono a disposizione le loro professionalità accettando di lavorare precariamente, sottopagati, semplicemente per poter fare curriculum.
  Noi crediamo che non si possa più rimandare una legge specifica sui teatri stabili, che non sia però la solita legge quadro, che si ripete in quasi tutti i Governi degli ultimi vent'anni senza riuscire a risolvere il problema.
  Vado per punti. Sul cinema va bene la creazione degli Stati generali. È un buon punto di partenza per riflettere su tutti i problemi che in questo momento si ritrovano sull'industria cinematografica in Italia. Ci piacerebbe, però, che questo fosse un momento partecipato e aperto anche a tutte le maestranze, dai costumisti ai tecnici, dai grandi registi agli studenti delle scuole sperimentali. Pur con modalità che immaginiamo diverse, vorremmo che anche loro avessero la parola e potessero partecipare a questo momento.
  Un ragionamento a parte andrebbe dedicato anche alla legge sul cinema e a come sono stati distribuiti, in questi anni, i finanziamenti pubblici alle produzioni. Ci sembra che i criteri che sono stati utilizzati finora non diano la possibilità, soprattutto a produzioni emergenti, di riuscire ad avere il giusto sostegno. Avviene anzi una situazione un po’ strana, ossia l'inverso: l'applicazione attuale della legge predilige molto di più i produttori esperti, con un miglior curriculum, in sostanza chi ha già esperienza, rispetto a chi, invece, deve farsela e, quindi, a tutto il panorama emergente, che avrebbe bisogno del sostegno statuale.
  Da questo punto di vista, è bene che nel decreto ci sia la garanzia dei 90 milioni di euro per il tax credit a partire proprio dalle richieste che il settore aveva già avanzato.
  Un punto della sua relazione che ho molto apprezzato è il riferimento alle periferie e alla necessità che, nelle aree degradate, di disagio sociale del nostro Paese, ci sia un incremento e non, invece – come è stato in questi anni – un taglio dei progetti culturali, che dovrebbero andare proprio ad arricchire queste aree del Paese.Pag. 11
  Notiamo, però, che, al di là dei buoni propositi, ancora non si interviene su un punto centrale, quello del lavoro culturale, che dovrebbe essere impiegato anche a sostegno di queste aree e di questo sviluppo culturale. Il lavoro culturale è in assoluto quello più precarizzato, quello in cui esiste una forte precarizzazione. Anche se è del tutto evidente che anche a noi fa piacere che vengano inserite nuove occupazioni per i giovani, il fatto che si tratti di contratti a tempo determinato continua a riempire la larga sacca di lavoro precario che investe i giovani stessi. In questo senso noi pensiamo che occorra un intervento molto forte per stabilire regole comuni per le tipologie di lavoro non subordinato e, da questo punto di vista, ci sembra veramente paradigmatico l'esempio degli archeologi nel nostro Paese. Questa categoria è in assoluto una delle più precarie. Gli archeologi sono sottopagati, senza diritti e tutele nei luoghi di lavoro e rappresentano una fetta del popolo delle cosiddette partite IVA. Infatti, il 71 per cento del totale svolge attività in forma autonoma o parasubordinata. Solo il 28 per cento va affermandosi come professionista autonomo vero e proprio; la parte restante lavora in una condizione di oligo-committenza, con prestazioni a progetto.
  Come gruppo Sinistra Ecologia Libertà abbiamo presentato una proposta di legge per la ratifica della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, aperto alla firma a La Valletta il 16 gennaio 1992, cui anche lei aveva accennato nella sua relazione. A vent'anni dalla firma l'Italia è l'unico Paese, insieme a San Marino, a non aver ancora ratificato questa Convenzione, accumulando un ritardo nella modernizzazione dell'archeologia, mortificando le competenze del settore e mettendo fortemente in discussione il suo ruolo di leadership nel campo della tutela, che era, invece, un tempo riconosciuta in ambito internazionale.
  Un ultimo passaggio che per noi diventa importante, anche proprio nell'ottica del finanziamento, cioè di come cerchiamo di risollevarci dalla mortificazione della cultura, è legato alle «archeomafie», anche questo un tema che lei ha affrontato.
  Non bisogna dimenticare che il nostro patrimonio artistico e culturale è anche il più saccheggiato del mondo dalle mafie, principalmente, dalla grande e dalla piccola criminalità. Stiamo parlando, infatti, delle archeomafie, dei predatori d'arte, il cui giro d'affari è da capogiro e, anche se sottovalutato, rappresenta il quarto business del crimine mondiale, dopo droga, armi e riciclaggio. Secondo l'Istituto per i beni archeologici e monumentali del CNR la perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto percentuale di PIL, e parliamo solo di una stima economica; quella culturale è ovviamente inestimabile. Nel nostro Paese avvengono tre furti al giorno. Il Rapporto Ecomafia 2013, presentato alcune settimane fa dall'Osservatorio legalità e ambiente di Legambiente, ci dice che è molto più facile riuscire a rubare un quadro nel nostro Paese che un paio di jeans. Di recente è uscito un inserto allegato del Corriere della Sera che ha dedicato molto spazio a questo tema. Noi, in Italia, non abbiamo censito l'esistente e, quindi, questa è la prima proposta che avanziamo, ossia che ci sia un censimento. La seconda richiesta è che ci sia un inasprimento delle pene. Le norme italiane sono troppo benevole. Come denuncia Legambiente, è più facile finire in carcere per il furto di un paio di jeans che per un vaso trovato in uno scavo.
  Chiediamo, inoltre, che ci sia una cabina di regia transnazionale per spezzare la rete dei professionisti del settore, che ha basi solide all'estero.

  LUISA BOSSA. Molte riflessioni sono state ben svolte dall'onorevole Marco Di Lello, ragion per cui non le ripeto. Entro, invece, per un attimo, nel merito del decreto-legge n. 76 del 2013, nel quale è stato istituito, durante l'esame al Senato – al comma 5-bis dell'articolo 2 – il «Fondo mille giovani per la cultura», la cui copertura finanziaria è relativa al 2014. Si tratta di una misura che risponde alla richiesta dei nostri giovani interessati e motivati a un lavoro nei beni culturali.Pag. 12
  Lei ha elaborato un decreto chiamato «valore cultura». È davvero un bel titolo, soprattutto se si valorizza la cultura al tempo della crisi, ma le preoccupazioni espresse restano tutte. Non è una misura temporanea, anzi, stavo per dire «tampone» ? Che cosa si può ottenere in termini di fruizione di siti introducendo stage formativi così limitati nel tempo ?
  Se non possiamo pensare a un Piano di assunzioni per il nostro patrimonio, pur utilizzando tutti gli strumenti normativi flessibili che sono stati introdotti – in questi anni – sul tema dell'occupazione, possiamo pensare, per esempio, a un Piano di sponsorizzazione del patrimonio umano, vale a dire di beni non materiali, come i monumenti, quadri, libri, pietre; parlo di beni immateriali, cioè della creatività. In questo senso, lei ricorderà il programma «La scuola adotta un monumento» promosso dalla Fondazione Napoli Novantanove di Mirella Barracco: in quel modello il riferimento era la scuola. Possiamo cercare di lavorare intorno a quest'idea, per cui il monumento stabile, fisso e immobile sia, invece, un bene vivo, che parla, che lavora, che si muove ? Riguardando eventualmente la stessa normativa delle sponsorizzazioni, si può pensare che, quando si ottiene per un sito culturale una sponsorizzazione, si possa chiedere che a lavorare in quel progetto vi siano due, tre o anche uno solo dei nostri giovani laureati ? Vogliamo provarci ?
  Io sono stata dieci anni sindaco di Ercolano e ho avuto il piacere, l'onore e anche l'onere di guidare il processo di sponsorizzazione di Packard. Ebbene, la sponsorizzazione di quel sito ha introdotto elementi di novità straordinaria e perfino l'istituzione di una fondazione, il Packard Humanities Institute, che ha promosso l’Herculaneum Conservation Project, in cui finalmente cominciano a vedersi un po’ di azioni per far lavorare i giovani archeologi.
  Possiamo pensare di replicare questo piano, questo progetto, quest'idea ? Possiamo pensare di cominciare a lavorare su questi temi innovativi ?

  PRESIDENTE. Purtroppo dobbiamo rinviare il seguito dell'audizione ad altra data, perché il Senato ha seduta in Assemblea alle 15.
  A seconda delle disponibilità del Ministro concorderemo un'altra seduta.
  Ringrazio il Ministro Bray, il presidente della 7 Commissione del Senato Marcucci, e tutti voi.
  Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.55.