CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 aprile 2015
424.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
COMUNICATO
Pag. 131

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 14 aprile 2015. – Presidenza del presidente Cesare DAMIANO. – Interviene la sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali Teresa Bellanova.

  La seduta comincia alle 14.05.

Schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Atto n. 157.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Cesare DAMIANO, presidente, nel dare la parola alla relatrice per lo svolgimento di un intervento introduttivo sul provvedimento in esame, avvertendo che dopo l'avvio della discussione nella seduta odierna avrà luogo lo svolgimento di un ciclo di audizioni informali al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione sul provvedimento. Avverte, quindi, che la discussione sul provvedimento riprenderà al termine del ciclo di audizioni informali, ai fini dell'espressione del parere di competenza della Commissione.

  Giovanna MARTELLI (PD), relatrice, osserva che lo schema di decreto in esame è volto a dare parziale attuazione all'articolo 1, commi 8 e 9, della legge n. 183 del 2014, il quale dispone, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali, la revisione e l'aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Si tratta di tematiche strettamente connesse alla promozione del lavoro femminile, che devono essere affrontate con decisione dal nostro Paese e non possono essere più eluse. Ricorda che la recente Raccomandazione del Comitato della CEDAW rivolta all'Italia, invita, anche in previsione dell'elaborazione del VII Rapporto periodico che dovrà essere emanato entro luglio 2015, ad accrescere sforzi ed energie per il «sostegno alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro e facilitare la riconciliazione tra famiglia e lavoro». Fa presente che il Comitato continua a essere «preoccupato per la situazione delle donne nel mercato del lavoro, caratterizzata, nonostante l'alto livello di istruzione delle donne, da un persistente alto tasso di donne disoccupate». Il Comitato desidera attirare l'attenzione dello Pag. 132Stato parte sulla situazione di svantaggio delle donne che interrompono la propria carriera per ragioni familiari e le relative conseguenze sulla pensione e sulla pensione di anzianità, nonché sulla concentrazione delle donne in aree lavorative poco remunerative, sulla differenza salariale tra uomo e donna e sul fatto che un numero significativo di donne lascia la forza-lavoro dopo la nascita dei figli e che solo il 10 per cento dei congedi parentali viene richiesto dai padri. A tal fine, rileva che il Comitato invita lo Stato parte ad adottare un piano nazionale di riforma che preveda, entro il 2020, un aumento del 12 per cento dell'impiego delle donne nel mercato del lavoro, oltre ad introdurre degli incentivi per un lavoro stabile. A tale proposito, osserva che il Comitato sottopone all'attenzione dello Stato-parte l'obbligo di assicurare l'uniformità di risultato di una tale riforma su tutto il territorio nazionale. Come risulta chiaro dalle indicazioni riportate, ritiene ci sia molto lavoro da fare. Si augura, pertanto, che lo schema di decreto in discussione possa rappresentare un primo importante passo per la creazione di condizioni vantaggiose per l'occupazione femminile.
  Venendo al decreto in esame, segnala preliminarmente che i principi e i criteri direttivi contenuti nel richiamato comma 9 ai quali fare riferimento riguardano, in particolare: la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell'indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici (lettera a)); l'estensione alle lavoratrici madri «parasubordinate» del diritto alla prestazione di maternità anche in assenza del versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, sulla base del cosiddetto principio di automaticità della prestazione (lettera b)); l'incentivazione di accordi collettivi intesi a facilitare la flessibilità dell'orario di lavoro e dell'impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l'esercizio delle responsabilità di genitore, l'assistenza alle persone non autosufficienti e l'attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro (lettera d)); la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione, per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese (lettera g)); l'introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere certificati dai servizi sociali del comune di residenza (lettera h)).
  Come evidenziato nella relazione illustrativa che accompagna lo schema, il provvedimento non opera un riordino dell'intera normativa in materia, ma ha inteso privilegiare, anche in considerazione dei vincoli di carattere finanziario, una impostazione «settoriale e minimale ma efficace», perseguendo l'adozione di soluzioni tese ad intervenire nei settori socialmente più «sensibili», nonché volte a superare delicate questioni interpretative ed applicative.
  Venendo all'esame del contenuto dello schema di decreto legislativo, che si compone di ventisei articoli, segnala in primo luogo che l'articolo 1 definisce oggetto e finalità del provvedimento specificando che il decreto è volto a introdurre misure per la tutela della maternità delle lavoratrici e per favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei lavoratori. Il decreto opera essenzialmente attraverso una serie di modifiche al testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, recando misure che, come specificato nel comma 2 dell'articolo 25, sono applicabili al solo 2015, con l'eccezione delle misure volte alla promozione della conciliazione tra vita e lavoro, di cui all'articolo 24, valevoli per il triennio 2016-2018. L'eventuale riconoscimento dei benefici previsti dal decreto in anni successivi al 2015 è, infatti, condizionata alla entrata in vigore di decreti legislativi attuativi dei Pag. 133criteri di delega di cui alla legge 10 dicembre 2014, n. 183, che individuino adeguata copertura finanziaria.
  A tale riguardo, auspica il superamento del carattere di sperimentalità delle misure contenute nel provvedimento, non espressamente richiesto dalla delega, grazie al reperimento delle risorse necessarie a rendere strutturali i benefici previsti. In ogni caso, sotto il profilo della formulazione del testo, ritiene debba valutarsi se la previsione di novelle rispetto al contenuto del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 sia coerente con la sperimentalità delle misure. Qualora, infatti, non fossero confermate le misure previste, o parte di esse, si renderebbe necessario intervenire nuovamente sul testo unico prima della cessazione della sperimentazione ripristinando il testo attualmente vigente. Sul piano sostanziale, poi, considerata anche la natura delle tutele previste dal provvedimento, sembrerebbe opportuno garantire la loro estensione anche dopo la fine del 2015 al fine di non limitarne la portata innovativa. Pensa, in particolare, alle disposizioni che consentono di fruire dei congedi parentali in un periodo di tempo più ampio, che avrebbero evidentemente un effetto limitato se non estese anche agli anni successivi.
  Osserva, in ogni caso, che, anche alla luce dei dati contenuti nella relazione tecnica allegata al provvedimento, non si rende necessario prevedere il carattere sperimentale di diverse disposizioni dello schema in esame, che non presentano carattere oneroso e, pertanto, potrebbero sin d'ora applicarsi in via permanente a decorrere dall'anno 2015. Per talune disposizioni, peraltro, non risulta immediatamente comprensibile la portata di un'applicazione limitata al solo anno 2015. In tal senso, segnala in particolare l'articolo 21, che espunge dall'elenco dei provvedimenti che permangono in vigore di cui all'articolo 85 del decreto legislativo n. 151 del 2001 disposizioni già abrogate, inserendovi altresì un nuovo decreto ministeriale. In particolare, non sembra rendersi necessaria la previsione del carattere sperimentale per le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), e agli articoli 4, 6, 11, 12, 21 e 22, così come quelle degli articoli 14 e 17, che modificano due rubriche, legandosi tuttavia a innovazioni della normativa sostanziale. Parimenti, osserva che la relazione tecnica non ascrive effetti onerosi alle disposizioni di cui agli articoli 17, 18, 19 e 20 «nell'ipotesi di adeguamento da parte degli enti delle relative contribuzioni» per le libere professioniste.
  Rileva, inoltre, che la stessa relazione tecnica indica come le disposizioni dell'articolo 3 siano volte a recepire quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 405 del 2001. La nuova formulazione dell'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2001 non appare quindi sostanzialmente innovativa rispetto a quanto previsto a legislazione vigente per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 405 del 2001. Non si comprende, pertanto, la ragione della previsione di una specifica copertura finanziaria della disposizione né pare giustificarsi il suo carattere sperimentale, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 25, comma 2. Non sembrerebbe, infatti, che per effetto della mancata conferma di quanto previsto dall'articolo 3 possa venir meno quanto stabilito dalla richiamata sentenza n. 405 del 2001.
  Potrebbe quindi ipotizzarsi una modifica dell'articolo 25, comma 2, dello schema, al fine di integrare l'elenco delle disposizioni escluse dalla sperimentalità.
  Osserva che gli articoli 2 e 4 intervengono sulla disciplina del congedo di maternità, modificando quanto disposto in materia, rispettivamente, dagli articoli 16 e 26 del decreto legislativo n. 151 del 2001. In particolare si prevede che nel caso di parto anticipato rispetto alla data presunta, i giorni di maternità obbligatoria che la lavoratrice non ha goduto prima del parto possano essere aggiunti a quelli successivi alla nascita, anche se la somma dei due periodi supera il limite complessivo dei cinque mesi. Attualmente, infatti, tale possibilità è concessa, ma non si può superare il limite dei cinque mesi (articolo Pag. 1342, comma 1, lettera a). Come evidenziato nella relazione illustrativa e nella relazione tecnica, la disposizione dovrebbe riferirsi ai casi di parti fortemente prematuri, in cui il bambino nasca prima della ventinovesima settimana di gestazione.
  In proposito, dovrebbe peraltro valutarsi se la disposizione in esame trovi comunque applicazione in caso di opzione per il congedo flessibile, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 151 del 2001. Non è peraltro chiarito se il meccanismo si applichi anche ai casi di estensione del periodo di congedo obbligatorio oltre la durata di cinque mesi, ai sensi dell'articolo 17 del medesimo decreto n. 151.
  Nel caso in cui il neonato sia ricoverato in una struttura pubblica o privata nel periodo previsto per l'astensione obbligatoria, la madre può chiederne una sola volta per ogni figlio la sospensione e goderne, in tutto o in parte, dalla data di dimissioni del neonato, previa presentazione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell'attività lavorativa (articolo 2, comma 1, lettera b)). Tale ultima facoltà può essere esercitata anche nel caso di congedo di maternità per adozione o affidamento (articolo 4). Al riguardo, rileva che – come indicato nella relazione illustrativa allegata allo schema – la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), recepisce quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2011, estendendo tuttavia la portata della decisione del giudice costituzionale anche ai casi di ricovero del neonato dopo un parto a termine, mentre la richiamata sentenza si riferiva esclusivamente ai casi di parto prematuro con ricovero del neonato.
  Fa notare che gli articoli 5 e 6 intervengono sulla disciplina del congedo e di indennità di paternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 28 e 31 del decreto legislativo n. 151 del 2001.
  In particolare si prevede che il padre lavoratore dipendente possa usufruire del congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre, di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, anche se la madre è una lavoratrice autonoma con diritto all'indennità di maternità (articolo 5, comma 1, lettera a), capoverso 1-bis). Si prevede inoltre che nei medesimi casi al padre lavoratore autonomo sia riconosciuta, previa domanda all'INPS, che provvede d'ufficio agli accertamenti necessari all'erogazione, l'indennità di maternità spettante alle lavoratrici autonome per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua, anche qualora la madre sia lavoratrice dipendente (articolo 5, comma 1, lettera a), capoverso 1-ter).
  Dal punto di vista sistematico, potrebbe valutarsi l'opportunità di inserire tale ultima disposizione, relativa a lavoratori autonomi, nell'ambito dell'articolo 66 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001.
  All'articolo 6 si stabilisce inoltre che il congedo di maternità non retribuito riconosciuto alla lavoratrice per il periodo di permanenza all'estero richiesto in caso di adozione internazionale, possa essere utilizzato dal padre anche se la madre non è una lavoratrice. La normativa vigente riconosce, invece, questa possibilità al lavoratore solo nel caso in cui la madre sia una lavoratrice.
  Per quanto riguarda la disciplina del congedo e dell'indennità di paternità le norme dello schema, pur ponendosi l'obiettivo di una maggiore condivisione, oltreché della flessibilizzazione dei compiti di cura all'interno della coppia (di qui il riferimento alle «cure parentali»), sono strutturate in modo tale che il congedo paterno sia in sostituzione di quello materno. In sostanza, confermandosi l'impostazione del decreto legislativo n. 151 del 2001, la cura rimane una questione essenzialmente «femminile». Al riguardo, occorre considerare che l'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge n. 92 del 2012 ha previsto in via sperimentale, per Pag. 135gli anni 2013-2015, l'obbligo per il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, di astensione dal lavoro per un giorno. Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore dipendente può astenersi per ulteriori due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima. Si potrebbe procedere a un «monitoraggio» relativo al biennio trascorso per verificare il numero di padri che hanno usufruito della misura e per valutare eventualmente un suo rifinanziamento per il 2016, anche prevedendo una ulteriore estensione dei giorni di copertura (dall'unico giorno attualmente previsto a due o tre giorni). Si tratterebbe di un segnale culturale davvero importante per far comprendere che se non si concepisce come «vicariale» il congedo continuerà a essere considerato di pertinenza materna.
  Segnala che gli articoli da 7 a 10 intervengono sulla disciplina dei congedi parentali, modificando quanto disposto in materia dagli articoli da 32 a 34 e dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 151 del 2001. In particolare, il periodo entro il quale possono essere fruiti i congedi viene esteso dall'ottavo al dodicesimo anno di vita del bambino (articolo 7, comma 1, lettera a)). Lo stesso termine si applica anche in caso di prolungamento del congedo parentale in presenza di figlio minore portatore di handicap (articolo 8) e di adozione e affidamento (articolo 10, comma 1, lettera a)). In quest'ultimo caso i dodici anni decorrono dall'ingresso del minore in famiglia.
  Viene esteso, anche nei casi di adozione e affidamento, dal terzo al sesto anno di vita del bambino (o al sesto anno dall'ingresso del minore in famiglia) il periodo entro il quale si può fruire dell'indennità pari al 30 per cento della retribuzione in caso di utilizzo del congedo parentale (articolo 9, comma 1, lettera a) e articolo 10, comma 1, lettera b)). Resta, in ogni caso, fermo che l'indennità può essere fruita per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. Contestualmente, si interviene sulla norma secondo cui la suddetta indennità può essere percepita per periodi ulteriori a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, specificando che tale indennità può essere riconosciuta non oltre l'ottavo anno di vita del bambino (articolo 9, comma 1, lettera b)). Si inserisce, quindi, una norma di chiusura del sistema, ai sensi della quale, in caso di mancata regolamentazione della modalità di fruizione su base oraria da parte dei contratti collettivi anche aziendali, è riconosciuta a ciascun genitore la facoltà di scegliere tra la fruizione giornaliera o oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. È esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi previsti dal testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (articolo 7, comma 1, lettera b)). Attualmente, infatti, non è prevista una disciplina per il caso di mancata disciplina della materia da parte della contrattazione collettiva e, nella relazione tecnica allegata al provvedimento, si evidenzia come la modifica introdotta si è resa necessaria in quanto ad oggi solo pochi contratti collettivi hanno provveduto a disciplinare la fruizione del congedo parentale su base oraria, con ciò determinando un ostacolo al concreto esercizio del diritto riconosciuto ai lavoratori.
  A suo avviso, sarebbe opportuno specificare se le disposizioni operanti in caso di mancanza della regolamentazione contrattuale si applicano anche al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, per i quali, in base a quanto disposto dall'articolo 32, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 151 del 2001, la disciplina collettiva deve prevedere, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo, «al fine di tenere conto delle Pag. 136peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali».
  Viene, inoltre, ridotto il termine minimo di preavviso per la richiesta del congedo: dai 15 giorni attualmente previsti si passa a 5 per il congedo giornaliero e a 2 per quello su base oraria (articolo 7, comma 1, lettera c)).
  Rileva che l'articolo 3 e gli articoli da 13 a 20 intervengono sulla disciplina dell'indennità di maternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 24, 64, 66, 67, 70, 71 e 72 del decreto legislativo n. 151 del 2001.
  Per quanto riguarda, in primo luogo, le lavoratrici dipendenti, l'articolo 3 prevede che l'indennità di maternità venga corrisposta anche nel caso, attualmente escluso dall'articolo 24 del decreto legislativo n. 151 del 2001, di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa, derivante da colpa grave della lavoratrice, che si verifichi durante i periodi di congedo di maternità. Come già anticipato la disposizione si limita a recepire quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 405 del 2001.
  Le altre modifiche riguardano la disciplina vigente per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole, per le libere professioniste e per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata presso l'INPS, non iscritte ad altre forme obbligatorie.
  In particolare, si riconosce alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata un'indennità di maternità in caso di adozione e affidamento per i cinque mesi successivi all'ingresso effettivo del minore in famiglia, secondo condizioni e modalità stabilite dal decreto ministeriale adottato ai sensi dell'articolo 69, comma 16, della legge n. 449 del 1997 (articolo 13, comma 1, capoverso Art. 64-bis). Si sancisce quindi il principio dell'automaticità dell'indennità di maternità e di paternità anche nel caso di mancato versamento dei contributi da parte del committente (articolo 13, comma 1, capoverso Art. 64-ter). Con riferimento a tale ultima previsione, la relazione illustrativa evidenzia che la delega faceva espresso riferimento alle sole lavoratrici subordinate, ma in sede di attuazione si è ritenuto necessario estendere il principio dell'automaticità anche ai lavoratori padri, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della norma.
  Dal punto di vista meramente formale, segnala che si dovrebbe fare riferimento ai lavoratori e alle lavoratrici «iscritti» e non «iscritte».
  In analogia a quanto previsto dall'articolo 5 per il lavoro dipendente, con riferimento all'indennità di maternità per le lavoratrici autonome, si è previsto che, in caso di morte o di grave infermità della madre, di abbandono, nonché di affidamento esclusivo del bambino al padre, al padre lavoratore autonomo o libero professionista sia riconosciuta, previa domanda all'INPS, corredata da certificazione attestante le condizioni previste, (articoli 16, comma 1, lettera a), e 19) l'indennità cui hanno diritto le lavoratrici autonome e le libere professioniste, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre o per la parte residua (articoli 15 e 18).
  Viene, inoltre, esteso alle lavoratrici autonome e imprenditrici agricole e alle libere professioniste il diritto all'indennità di maternità anche nel caso di adozione e affidamento con le stesse regole e condizioni previste per le lavoratrici dipendenti e sulla base di idonea documentazione (articoli 16, comma 1, lettera b), e 20, comma 1, lettera a)). Specifiche modalità di presentazione della relativa domanda sono disposte per le libere professioniste (articolo 20, comma 1, lettera b)). Attualmente, la disciplina relativa all'indennità di maternità per le lavoratrici autonome in caso di adozione e affidamento è diversa rispetto a quella prevista per le altre lavoratrici: in caso di adozione o di affidamento, infatti, la lavoratrice autonoma ha diritto all'indennità di maternità per tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che il bambino non abbia superato i 6 anni di età, mentre tale limitazione non opera nel caso di lavoratrice dipendente, alla quale il congedo di maternità in caso di adozione sia nazionale che internazionale, spetta per un periodo di cinque mesi a Pag. 137prescindere dall'età del minore all'atto dell'adozione. Nel caso di affidamento di minore, il congedo può essere fruito per un periodo massimo di tre mesi entro cinque mesi dall'affidamento.
  Al riguardo, ricorda che tali disposizioni tengono conto anche degli orientamenti della giustizia costituzionale. Segnala, infatti, che la sentenza della Corte costituzionale n. 257 del 2012, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 64 del decreto legislativo n. 151 del 2001 nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l'indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi. La sentenza n. 371 del 2003 ha invece dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non prevede che nel caso di adozione internazionale l'indennità di maternità spetta alla libera professionista nei tre mesi successivi all'ingresso del minore adottato o affidato, anche se abbia superato i sei anni di età. Segnala altresì che la sentenza n. 385 del 2005 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima, precisando che rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un'adeguata tutela.
  Per quanto riguarda gli articoli relativi all'indennità di maternità, osserva che l'architettura dei congedi sembra procedere nel senso della esclusiva tutela della maternità, senza che ci sia traccia di un'inversione di rotta. Occorre considerare, peraltro, che la storia del diritto del lavoro nel nostro Paese insegni che quanto più si tutela e irrigidisce la garanzia della maternità – con norme indubbiamente meritevoli di apprezzamento e di considerazione, come quelle contenute nel decreto – tanto più il mercato del lavoro fatica ad assorbire le giovani donne perché per le imprese il lavoro femminile continua a rappresentare un costo sociale e non un'opportunità di crescita e sviluppo. A conferma di questo discorso ricorda come il decreto legislativo n. 151 del 2001 ha continuato a coesistere con la pratica diffusa delle cosiddette «dimissioni in bianco», contrastata nella XV legislatura con l'adozione della legge n. 188 del 2007, in seguito abrogata dal Governo Berlusconi con l'articolo 39, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008. Ricorda che nel 2012 la ministra del lavoro e delle politiche sociali del Governo Monti, Elsa Fornero, affrontò nuovamente la questione con le disposizioni contenute nell'articolo 4, commi da 16 a 23-bis, della legge n. 92 del 2012 che non hanno dato i risultati sperati. Potrebbe valutarsi quindi se già in questo decreto sia possibile dare attuazione al criterio direttivo di cui all'articolo 1, comma 6, lettera g), che – riprendendo quanto disposto dall'articolo 4, comma 18, della «legge Fornero» – richiede l'adozione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore. Potrebbe quindi essere questa l'occasione per affrontare la questione e contrastare una pratica ancora troppo diffusa che, oltre a rappresentare una manifestazione di palese mancanza di equità sociale, costituisce anche un freno agli investimenti nel «capitale sociale» femminile, come del resto ci ricorda anche la già menzionata Raccomandazione del Comitato della CEDAW, che «esorta lo Stato parte ad adottare tutte le misure appropriate per abolire la pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”».
  Segnala che l'articolo 11 amplia la categoria di lavoratrici che non possono Pag. 138essere obbligate a svolgere lavoro notturno, prevista dall'articolo 53 del decreto legislativo n. 151 del 2001, inserendo tra queste anche la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa.
  A tale riguardo, fa presente che l'articolo 18-bis del decreto legislativo n. 66 del 2003 stabilisce che sia punito con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 516 euro a 2.582 euro chi, nelle fattispecie richiamate dall'articolo 53 del decreto legislativo n. 151 del 2001, adibisca lavoratrici al lavoro notturno nonostante il loro dissenso espresso in forma scritta e comunicato al datore di lavoro entro 24 ore anteriori al previsto inizio della prestazione. Al riguardo, occorre valutare se sia possibile estendere la sanzione penale anche alla nuova fattispecie introdotta dalla disposizione in esame.
  L'articolo 12, attraverso una modifica dell'articolo 55 del decreto legislativo n. 151 del 2001 dispone che, in caso di dimissioni volontarie, l'obbligo di preavviso viene meno nel solo caso in cui le dimissioni sono presentate durante il periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento, ossia – come previsto dall'articolo 54, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2001 – dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti in caso di congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Resta invece l'obbligo di preavviso per i casi di cui al comma 4 dell'articolo 55, relativi alla risoluzione consensuale del rapporto o alla richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o nei primi tre anni, in caso di adozione internazionale.
  Fa notare che l'articolo 21 opera una risistemazione testuale dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 151 del 2001, al fine di aggiornare l'elenco dei provvedimenti che permangono in vigore a seguito dell'adozione del testo unico, tenendo conto delle disposizioni abrogate successivamente all'entrata in vigore del testo unico medesimo.
  Rileva che l'articolo 22 introduce benefici per i datori di lavoro privato che facciano ricorso al telelavoro per motivi connessi ad esigenze di cure parentali in forza di accordi collettivi: in questi casi i lavoratori ammessi al telelavoro sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti dalle leggi e dai contratti per l'applicazione di particolari normative o istituti.
  Osserva che l'articolo 23 dispone che le dipendenti, pubbliche e le dipendenti di datori di lavoro privati con la qualifica di imprenditore, nonché le collaboratrici a progetto inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati, possono astenersi dal lavoro, per motivi legati al suddetto percorso, per un periodo massimo di tre mesi, fruibile anche su base oraria o giornaliera, senza alcuna decurtazione della retribuzione. Con riferimento alla certificazione del percorso di protezione, la disposizione fa riferimento, oltre che ai servizi sociali del comune di residenza, espressamente richiamati nella delega, anche ai centri antiviolenza e alle case-rifugio. Il periodo di astensione è comunque computato ai fini dell'anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del TFR.
  Sul punto, occorrerebbe acquisire un chiarimento con riferimento alla limitazione del beneficio, per le lavoratrici private, alle sole dipendenti di datori di lavoro qualificabili come imprenditori, anche in considerazione della circostanza che le stime della relazione tecnica appaiono riferiti all'intera platea delle lavoratrici dipendenti.
  L'articolo 24 destina, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, alla promozione della conciliazione tra lavoro e vita privata, una quota pari al 10 per cento del Fondo per il finanziamento di sgravi Pag. 139contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, secondo criteri e modalità fissati con apposito decreto interministeriale. Il decreto interministeriale è chiamato a definire anche ulteriori interventi in materia di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, anche attraverso l'elaborazione di linee guida, volte a favorire la stipula di contratti aziendali, a cui provvede un'apposita cabina di regia, presieduta da un rappresentante del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e composta da rappresentanti delle amministrazioni competenti, con l'ulteriore compito di coordinare le attività di monitoraggio dei suddetti interventi.
  Con riferimento allo strumento delle linee guida, ritiene che sia particolarmente opportuno individuare, anche nella norma in esame, meccanismi adeguati ad assicurarne la cogenza, in modo da indirizzare in modo efficace le risorse che sono stanziate e destinarle a interventi in grado di raggiungere obiettivi concreti e monitorabili.
  Da questo punto di vista occorre che le linee guida che verranno elaborate operino in modo complementare rispetto alle altre disposizioni del provvedimento, con particolare riferimento a quelle in materia di congedi parentali, favorendo le esigenze di conciliazione tra vita lavorativa e famiglia, attraverso una maggiore flessibilità dei tempi e delle modalità di lavoro, attraverso il ricorso a modelli ben noti in ambito scientifico quali lo smart working e le banche delle ore. In questo contesto, dovrebbero peraltro responsabilizzarsi maggiormente anche le parti sociali, prevedendo ad esempio la possibilità di utilizzare una programmazione negoziata con le aziende in merito ad esigenze legate alla flessibilità negli orari di lavoro, nell'organizzazione del lavoro.
  Gli assi portanti su cui impostare le linee guida dovranno, in sintesi, ispirarsi a tre obiettivi fondamentali: accrescere i livelli di capacitazione (empowerment) delle persone tramite strumenti di funzionalizzazione e razionalizzazione dei tempi di lavoro (penso all'adozione del telelavoro, anche nella forma del telelavoro misto, nonché alla sperimentazione di forme di co-working e smart-working) all'interno di un percorso che punti sulla conciliazione famiglia-lavoro vista come una forma di investimento da parte delle aziende e come un criterio di scelta del lavoro da parte delle famiglie; far convergere i reciproci interessi tra le esigenze delle imprese e quelle delle lavoratrici e dei lavoratori, sviluppando relazioni reciprocamente sussidiarie e solidali in cui le misure di conciliazione sono volte non a una netta separazione e specializzazione funzionale tra famiglia e lavoro, ma ad una loro integrazione entro un welfare di tipo societario e plurale; valorizzare la contrattazione di «secondo livello» (tramite anche incentivi fiscali e altre agevolazioni) per favorire percorsi di costruzione di un welfare aziendale visto come investimento produttivo per l'azienda e come strumento per il lavoratore e la lavoratrice di miglioramento di sé, del proprio futuro professionale e della propria vita familiare, la quale non è vista in antitesi all'impegno lavorativo, ma come un diverso momento del proprio progetto di vita.
  Ora se è vero che questo modello è stato finora adottato dalle imprese multinazionali più competitive sul piano internazionale, ossia quelle più globalizzate, la sfida, considerato il modello produttivo italiano caratterizzato da una cospicua presenza di piccole e medie imprese, è quella di delineare linee guida applicabili in ambiti più ristretti, mostrando come l'adozione di un modello di conciliazione ispirato alla capacitazione (cioè all'investimento economico in senso ampio e alla relazionalità sussidiaria fra impresa e famiglia) apporti vantaggi sia per l'azienda in termini, ad esempio, di diminuzione del turn over e abbattimento dei costi di formazione del personale, sia per la lavoratrice e il lavoratore, aumentandone il benessere percepito e favorendo meccanismi di fidelizzazione. Si tratta di temi sui quali da tempo c’è attenzione anche da parte del legislatore. Ricorda ad esempio la proposta di legge C. 2014, di cui è prima firmataria la collega Mosca, che reca disposizioni Pag. 140finalizzate alla promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro. Segnala, inoltre, che l'articolo 10 della legge delega in materia di pubblica amministrazione, all'esame dell'Assemblea del Senato (S. 1577-A) prevede che le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, additano misure organizzative per il rafforzamento dei meccanismi di flessibilità dell'orario di lavoro, per l'adozione del lavoro ripartito, orizzontale o verticale, tra dipendenti, per l'utilizzazione delle possibilità che la tecnologia offre in materia di lavoro da remoto anche al fine di creare le migliori condizioni per l'attuazione delle disposizioni in materia di fruizione del congedo parentale, fissando obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro, anche nella forma del telelavoro misto, nonché per la sperimentazione di forme di co-working e smart-working che permettano entro tre anni almeno al 20 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Sul punto sarebbe importante assicurare un coordinamento tra le diverse iniziative al fine di individuare soluzioni analoghe per i lavoratori pubblici e per quelli privati.
  Segnala che l'articolo 25 dispone che agli oneri derivanti dalle misure sperimentali per il 2015 contenute negli articoli da 2 a 23 del decreto in esame, valutati in 104 milioni di euro per il 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo costituito nella legge di stabilità per il 2015 per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della legge delega di riforma del mercato del lavoro. Per l'eventuale estensione dei benefici ad anni successivi al 2015 si fa rinvio ai decreti legislativi attuativi dei criteri di delega di cui alla legge 10 dicembre 2014, n. 183, che dovranno individuare una adeguata copertura finanziaria.
  Fa notare che l'articolo 26, secondo quanto richiesto dall'articolo 17, comma 12, della legge di contabilità e finanza pubblica, reca una clausola di salvaguardia da attivare qualora, a seguito del monitoraggio degli effetti finanziari delle misure previste dallo schema di decreto svolto dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche attraverso l'utilizzo del sistema permanente di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2012, si verifichino o stiano per verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa di cui al precedente articolo 25. In tal caso, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, alla rideterminazione dei benefici ivi previsti, con particolare riferimento a quelli di cui agli articoli da 7 a 10.
  Da ultimo, sembrerebbe opportuno precisare in modo espresso che il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, conformemente a quanto previsto dall'articolo 1, comma 15, della legge n. 183 del 2014 e in linea con quanto stabilito al riguardo nei primi due decreti legislativi attuativi della delega di cui alla medesima legge.

  Gessica ROSTELLATO (Misto-AL) si dichiara delusa dall'impianto complessivo del provvedimento in esame, dal quale si sarebbe aspettata ben altre misure, sottolineando come la logica sottesa alle disposizioni recate dal testo sia meramente «risarcitoria» nei confronti delle donne, a favore delle quali si dispone un ampliamento delle tutele, senza che siano prese, tuttavia, in considerazione misure strutturali a sostegno dell'occupazione femminile. Evidenzia, piuttosto, che le norme tese a favorire la conciliazione dei tempi tra vita e lavoro e ad estendere i periodi di congedo, paradossalmente, se non accompagnate da politiche di più ampio respiro, rischiano di ritorcersi contro le donne, disincentivandone l'occupazione, considerato che i datori di lavoro potrebbero Pag. 141essere scoraggiati ad assumere donne a causa della valutazione dei possibili disagi recati da una lunga assenza della lavoratrice. Stigmatizza, quindi, la mancanza di una visione moderna che ponga l'uomo e la donna sullo stesso piano nell'ambito dei compiti di cura nella coppia, prevedendo una loro equa ripartizione, ad esempio attraverso una significativa estensione della durata del periodo di astensione obbligatoria del padre, oggi limitato ad un solo giorno, ai sensi di quanto dispone la legge n. 92 del 2012. Rileva, inoltre, l'assenza di una programmazione degli interventi, desumibile dal carattere transitorio e sperimentale delle misure, di cui è prevista la copertura finanziaria solo per il 2015. Pur valutando positivamente talune misure, come quelle riguardanti la possibilità di beneficiare del congedo su base oraria o tese a coprire ipotesi, che giudica comunque eccezionali, di morte o grave malattia della madre, esprime, quindi, un giudizio negativo sul provvedimento, soffermandosi, in particolare, sulle norme che riducono il termine di preavviso per la comunicazione al datore di lavoro della volontà di fruire del congedo, misura che giudica suscettibile di determinare problemi all'organizzazione aziendale. Valutate come insufficienti anche le misure in materia di telelavoro, che, a suo avviso sarebbe da incentivare maggiormente, auspica che vi siano margini per una modifica sostanziale del testo, che, allo stato, valuta in termini fortemente critici.

  Cesare DAMIANO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.30.

ERRATA CORRIGE

  Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 420 del 9 aprile 2015, a pagina 213, seconda colonna, ventiseiesima riga, e a pagina 226, sesta riga, sostituire il numero «2977» con il seguente: «2796».