CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 10 febbraio 2015
384.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 128

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 10 febbraio 2015. – Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.15.

DL 3/2015: Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
C. 2844 Governo.

(Parere alle Commissioni VI e X).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michele BORDO, presidente, interviene in sostituzione della relatrice, onorevole Berlinghieri, ricordando che, secondo quanto riportato nelle motivazioni del provvedimento, l'intervento normativo è finalizzato ad «avviare un processo di adeguamento del sistema bancario agli indirizzi europei per renderlo competitivo ed elevare il livello di tutela dei consumatori e di favorire lo sviluppo dell'economia del Paese, promuovendo una maggiore patrimonializzazione delle imprese italiane ed il concorso delle piccole e medie imprese nei processi di innovazione del sistema produttivo».
  Inoltre, il provvedimento contiene disposizioni volte a «favorire l'incremento degli investimenti, l'attrazione dei capitali e degli investitori istituzionali esteri, nonché lo sviluppo del credito per l’export».
  Evidenzia quindi che il decreto-legge si compone di 8 articoli.
  L'articolo 1 reca un intervento di riforma delle banche popolari, attraverso la modifica in più punti del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (TUB), che contiene la disciplina delle banche popolari (articoli da 28 a 32).
  La disposizione prevede:
   l'introduzione di limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l'obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro; Pag. 129
   la disciplina delle vicende straordinarie societarie (trasformazioni e fusioni) che si applica alle banche popolari, con lo scopo di introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per tali vicende societarie;
   l'introduzione della possibilità, per tali istituti, di emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto;
   l'allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario, con l'attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari;
   l'introduzione di limiti al voto capitario, consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci persone giuridiche più di un voto.

  Ai sensi del comma 2 dell'articolo 1, alle banche popolari è concesso un termine di diciotto mesi per adeguarsi alla nuova disciplina sui limiti all'attivo introdotta dall'articolo in commento, che decorre dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d'Italia.
  Le altre disposizioni introdotte dall'articolo, in assenza di specifiche prescrizioni sull'entrata in vigore, sono immediatamente applicabili.
  Intende evidenziare che il comma 1, lettera a) dell'articolo in esame – relativo al diritto di recesso a seguito di trasformazione societaria – riproduce il contenuto di una disposizione inserita nello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/36/UE, cosiddetta CRD IV. La direttiva in questione, il cui termine di recepimento è scaduto il 31 dicembre 2013, è inserita nell'allegato B della legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre (legge n. 154 del 2014), mentre all'articolo 3 della medesima legge sono contenuti i principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva CRD IV che, unitamente al connesso regolamento 2013/575/UE (cosiddetto, CRR), definisce un assetto organico di regolamentazione e controllo sulle banche e sulle imprese di investimento accogliendo i contenuti del terzo accordo di Basilea sul capitale.
  Segnala al riguardo che il 16 ottobre 2014 la Commissione europea ha inviato all'Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2014/0142) con il quale contesta il mancato recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.
  L'articolo 2 reca disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento. In particolare, gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di pagamento, devono dare corso al trasferimento senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente, entro i termini predefiniti dalla direttiva 2014/92/UE. In caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia risarcito per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento. Sono infine introdotti ulteriori adempimenti di trasparenza informativa da fornire alla clientela.
  Il provvedimento recepisce nell'ordinamento la disciplina procedurale del trasferimento dei conti di pagamento contenuta dalla citata direttiva 2014/92/UE.
  Rammenta che la direttiva 2014/92/UE disciplina la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, il trasferimento del conto di pagamento e l'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. In particolare, la direttiva 2014/92/UE fornisce la disciplina relativa alla trasparenza e alla comparabilità delle spese addebitate ai consumatori per i conti di pagamento detenuti nell'Unione, nonché la disciplina del trasferimento del conto di pagamento all'interno di uno Stato membro e le norme per agevolare l'apertura di un conto di pagamento transfrontaliero da parte dei consumatori. Inoltre viene fissato il quadro di riferimento di norme e condizioni in base al quale gli Stati membri devono garantire nell'Unione il diritto dei Pag. 130consumatori di aprire e utilizzare un conto di pagamento con caratteristiche di base.
  Al riguardo segnalo che l'articolo in esame provvede ad un recepimento parziale della direttiva, il cui termine per il recepimento a livello nazionale è fissato per il 18 settembre 2016.
  L'articolo 3 attribuisce alla SACE S.p.A. la competenza a svolgere l'attività creditizia, previa autorizzazione della Banca d'Italia e nel rispetto delle normative internazionali, europee e nazionali. Si tratta in sostanza delle norme previste dal testo unico bancario (d.lgs. n. 385 del 1993 – Testo Unico Bancario), nonché della normativa europea sulla vigilanza bancaria. Ai sensi del comma 1, la SACE è quindi autorizzata a svolgere l'esercizio del credito con l'obiettivo, da una parte, di rafforzare l'attività a supporto dell’export e dell'internazionalizzazione delle imprese italiane e, dall'altra, di aumentare la propria competitività rispetto alle altre entità che operano con le stesse finalità sui mercati internazionali. Alla SACE è rimessa la scelta delle modalità operative per l'esercizio del credito, in via diretta o mediante la costituzione di una società controllata (export import bank).
  L'articolo 4 introduce la definizione di «piccole e medie imprese innovative», che potranno accedere ad alcune delle semplificazioni, agevolazioni ed incentivi attualmente riservati alle startup innovative dalla legislazione vigente (decreto-legge n. 179 del 2012).
  L'articolo interviene inoltre sull'ambito di applicazione della normativa sulle startup innovative, con lo scopo di estendere la relativa disciplina agevolata a ulteriori soggetti.
  In particolare, il comma 1 introduce la definizione di PMI innovative inserendola nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazioni finanziarie (comma 5-undecies, articolo 1, decreto legislativo n. 58 del 1998, TUF).
  Per quanto riguarda le caratteristiche generali, possono essere qualificate innovative le PMI:
   residenti in Italia o in uno degli Stati Membri dell'Unione Europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;
   che abbiano l'ultimo bilancio certificato e l'eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili;
   non siano in possesso di azioni quotate; non siano iscritte al registro speciale previsto per le startup innovative e l'incubatore certificato.

  Con riguardo all'individuazione del contenuto innovativo dell'impresa, è inoltre necessaria la presenza di almeno due dei seguenti requisiti: volume di spesa in ricerca e sviluppo; personale qualificato; titolarità di privative industriali.
  L'articolo 5 modifica la disciplina del regime opzionale di tassazione agevolata nella misura del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzo e/o dalla cessione di opere dell'ingegno, da brevetti industriali, da marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (cosiddetto patent box), introdotta dalla legge di stabilità 2015 (commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014).
  In primo luogo i marchi commerciali sono inclusi tra le attività immateriali per le quali viene riconosciuto il beneficio fiscale. Viene inoltre ampliato il campo di applicazione oggettiva del patent box, includendo, entro limiti prestabiliti, le attività di valorizzazione della proprietà intellettuale gestite e sviluppate in outsourcing e con le società del gruppo. Vengono inoltre affidati alla Fondazione Istituto italiano di tecnologia – IIT compiti di servizio in favore del sistema nazionale della ricerca, tra cui la raccolta dei risultati della ricerca svolta negli enti pubblici e la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici.Pag. 131
  L'articolo 6 estende il regime di esenzione della ritenuta alla fonte del 26 per cento degli interessi e degli altri proventi corrisposti a fronte di finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese da parte di enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europea, anche ai finanziamenti effettuati dagli investitori istituzionali esteri costituiti in Paesi inseriti nella white list (decreto legislativo n. 239 del 1996) e soggetti a forme di vigilanza negli Stati in cui sono istituiti. Mediante la soppressione del riferimento agli organismi di investimento collettivo del risparmio «che non fanno ricorso alla leva finanziaria», possono accedere all'agevolazione anche enti che fanno ricorso alla leva finanziaria (ad esempio, fondi speculativi) ancorché privi di soggettività tributaria e purché costituiti nei Paesi white list. Rispetto alla normativa previgente, la disposizione sembra allargare l'ambito soggettivo di operatività dell'agevolazione anche a enti non residenti in paesi UE o aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo.
  L'articolo 7 dispone che il Governo promuova l'istituzione di una società per azioni per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese con sede in Italia il cui capitale sarà interamente sottoscritto da investitori istituzionali e professionali. Lo scopo è la ristrutturazione, il sostegno e riequilibrio della struttura finanziaria e patrimoniale di imprese caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di mercato. La società per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese sostituisce il Fondo di servizio per la patrimonializzazione delle imprese, istituito dall'articolo 15 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto, Sblocca Italia) con lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane, a patto che fossero in «equilibrio economico positivo» e che necessitassero di adeguata patrimonializzazione. Si tratta pertanto di uno strumento caratterizzato da natura e finalità diverse rispetto al Fondo, che era tenuto ad investire in aziende non solo prospetticamente, ma anche correntemente in utile.
  Segnala che il comma 4 dell'articolo 7 si occupa degli azionisti che si avvalgono della garanzia dello Stato per apportare capitale nella Società e che il comma 7 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico – subordinato all'autorizzazione dell'Unione europea ai fini della disciplina sugli aiuti di stato – l'individuazione delle caratteristiche e la quota massima di coperture della garanzia, i criteri e le modalità di concessione ed escussione della garanzia stessa e gli obblighi verso lo Stato dei soggetti che si avvalgono della garanzia.
  Sotto il profilo della formulazione del testo, occorrerebbe valutare l'opportunità di precisare la clausola di salvaguardia in materia di aiuti di stato contenuta nell'ultimo periodo del presente comma, esplicitando che l'efficacia della disposizione è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  L'articolo 8, infine, modifica il meccanismo dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo (cosiddetta, nuova legge Sabatini). La modifica consiste nel ricorso facoltativo e non più obbligatorio all'apposito plafond costituito presso Cassa depositi e prestiti, da parte delle banche e degli intermediari finanziari che erogano i finanziamenti alle piccole e medie imprese per le suddette finalità di investimento. Le banche e le società di leasing potranno dunque concedere i finanziamenti alle PMI, su cui verranno riconosciuti i contributi in conto interessi dello Stato, utilizzando anche provvista autonoma.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.25.

Pag. 132

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Martedì 10 febbraio 2015. – Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.25.

Comunicazione della Commissione europea: Un piano di investimenti per l'Europa.
COM(2014)903 final.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013.
COM(2015)10 final.

(Parere alla V Commissione).
(Esame congiunto e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame congiunto degli atti dell'Unione europea in titolo.

  Michele BORDO, presidente e relatore, evidenzia innanzitutto come il Piano europeo per gli investimenti costituisca forse il più importante snodo della attuale fase del processo di integrazione europea. Dalla effettiva capacità di stimolare – attraverso il Piano – la crescita e l'occupazione dipende la soddisfazione della forte domanda di rinnovamento dell'UE che i cittadini europei rivolgono all'Unione, come dimostra il risultato delle ultime elezioni europee. Domanda di rinnovamento che – pur confermando una fiducia di fondo nelle prospettive della costruzione europea – rivela una profonda insoddisfazione per le politiche sinora perseguite dall'Unione e postula, in particolare, una risposta efficace alla crisi economica.
  Una prima analisi del Piano, e della proposta di regolamento istitutiva del Fondo europeo per gli investimenti che ne costituisce la principale misura di attuazione, suscita una duplice e contrastante impressione.
  Per un verso, la presentazione stessa del Piano è un dato di estrema rilevanza in quanto costituisce il riconoscimento, sia pure tardivo, di un intervento di stimolo della domanda aggregata da parte dell'Unione europea. La Commissione motiva infatti la presentazione del piano rilevando l'urgente bisogno di rilanciare gli investimenti nell'UE il cui livello, a causa della crisi economica e finanziaria, ha registrato un calo pari al 15 per cento circa rispetto al picco del 2007. Il calo è stato particolarmente pronunciato in Italia (-25 per cento), Portogallo (-36 per cento), Spagna (-38 per cento), Irlanda (-39 per cento) e Grecia (-64 per cento).
  Sotto questo profilo, il Piano può essere considerato come il risultato più significativo della linea seguita costantemente dal Governo italiano negli ultimi anni e, in particolare, nel semestre di Presidenza, volta a combinare la sostenibilità delle finanze pubbliche con il rilancio di crescita e occupazione. Risultato tanto più apprezzabile in quanto conseguito dopo una dura trattativa in cui il nostro Paese, con il sostegno della Francia e di altri Paesi mediterranei, è riuscito sia pure in parte a superare la rigida opposizione della Germania e di altri Paesi dell'Europa centrale e settentrionale all'adozione di misure di sostegno pubblico agli investimenti.
  In altri termini, il Piano Juncker segna per la prima volta una attenuazione dell'approccio sinora seguito dall'Unione nella risposta alla crisi economica, imperniato essenzialmente sul perseguimento della stabilità delle finanze pubbliche e su misure dal lato dell'offerta, quali le riforme strutturali. Questo parziale mutamento di prospettiva è confermato peraltro dalla adozione, contestualmente alla proposta di regolamento istitutiva del FEIS, di una comunicazione della Commissione europea che, in via interpretativa, sfrutta pienamente i margini di flessibilità del Patto di stabilità e crescita in modo da favorire gli investimenti pubblici a livello europeo e nazionale.
  Per altro verso, la lettura del Piano e soprattutto della proposta di regolamento istitutiva del FEIS suscitano – come si dirà nel prosieguo della relazione – numerose Pag. 133e forti perplessità in merito alla adeguatezza dell'impianto complessivo del Piano e, soprattutto, delle risorse finanziarie che potranno essere effettivamente mobilizzate per sostenere gli investimenti.
  L'esame del Piano da parte della Camera dovrà contribuire ad approfondire questi profili di criticità affinché nel corso del negoziato sulla proposta di regolamento – che dovrebbe concludersi entro giugno – siano apportati gli opportuni correttivi.
  Quanto ai suoi contenuti e obiettivi, il Piano per gli investimenti, presentato dalla Commissione europea lo scorso 16 novembre con la comunicazione COM(2014)903, si articola in tre pilastri:
   a) la mobilitazione di almeno 315 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nei prossimi tre anni;
   b) iniziative per garantire che questi investimenti aggiuntivi soddisfino i bisogni dell'economia reale;
   c) misure volte a rafforzare la prevedibilità normativa e a rimuovere gli ostacoli alla realizzazione degli investimenti, per rendere l'Europa più attraente e moltiplicare, di conseguenza, gli effetti del Piano.

  Il primo pilastro verrebbe attuato con la creazione del FEIS prevista nell'apposita proposta di regolamento (COM(2015)10) presentata dalla Commissione europea il 13 gennaio scorso.
  Il Fondo avrebbe un duplice obiettivo. Il primo – cui saranno destinati i tre quarti delle risorse del FEIS (240 miliardi di euro), avvalendosi in particolare della garanzia di 16 miliardi fornita dal bilancio dell'UE – è quello di coprire il rischio associato agli investimenti strategici di rilevanza europea a lungo termine nelle infrastrutture, e in particolare:
   sviluppo delle infrastrutture nel settore dei trasporti, specialmente negli agglomerati industriali, nel settore dell'energia, soprattutto in termini di interconnessioni energetiche, e nel settore digitale;
   investimenti nei settori dell'istruzione e formazione, sanità, ricerca e sviluppo, tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e innovazione;
   espansione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica e delle risorse;
   progetti infrastrutturali nei settori dell'ambiente, risorse naturali, sviluppo urbano e società.

  Il secondo obiettivo è quello di agevolare l'accesso ai finanziamenti del rischio per le PMI e le imprese a media capitalizzazione (con un numero di dipendenti compreso tra 250 e 3000), avvalendosi per gli aspetti operativi del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), che fa parte del gruppo BEI. A questo obiettivo è riservata la garanzia di 5 miliardi della BEI. Un quarto delle risorse del FEIS strategiche sarà utilizzato per questo tipo di attività, generando, secondo le stime della Commissione, circa 75 miliardi di euro di investimenti.
  La proposta di regolamento non provvede direttamente ad istituire il Fondo, ma ne rinvia la creazione ad un successivo accordo tra la Commissione europea e la BEI. Il FEIS si configurerebbe come fondo fiduciario in seno alla Banca europea per gli investimenti (BEI), gestito in regime di separazione patrimoniale e contabile; la BEI, pertanto, non sarebbe responsabile patrimonialmente per gli obblighi del fondo stesso.
  Il punto di maggiore criticità ed oscurità dell'intero meccanismo riguarda la dotazione finanziaria del fondo e la sua effettiva capacità di promuovere la mobilitazione dei 315 miliardi di euro stimati nel Piano.
  La questione presenta una forte complessità sul piano tecnico e si rinvia pertanto per una illustrazione dettagliata alla documentazione predisposta dall'Ufficio per i rapporti con l'UE della Camera.
  In questa sede, possono essere evidenziati, in estrema sintesi, i principali elementi del Piano e i profili di criticità più evidenti.Pag. 134
  In primo luogo, va sottolineato che il Piano prevede che l'UE metta a disposizione appena 21 miliardi, a titolo di garanzia: la BEI vi contribuirebbe con 5 miliardi; il bilancio dell'Unione europea stanzierebbe 16 miliardi nell'ambito delle risorse già previste per il Meccanismo per collegare l'Europa (nella misura di 3,3 miliardi), per il programma Orizzonte 2020 (2,7 miliardi) e utilizzando inoltre la riserva di bilancio (2 miliardi), derivante dall'utilizzo del margine di flessibilità del bilancio dell'Unione (margine disponibile tra il massimale delle risorse proprie e quello delle spese). Peraltro, solo 8 dei 16 miliardi a carico del bilancio Ue saranno effettivamente versati di qui al 2020 e destinati ad un apposito fondo di garanzia distinto dal FEIS. Entro il 31 dicembre 2018 e successivamente ogni anno, la Commissione europea esaminerebbe l'adeguatezza del livello del Fondo di garanzia tenendo conto delle eventuali riduzioni delle risorse dovute all'attivazione della garanzia.
  Avvalendosi di questa garanzia, il FEIS dovrebbe generare ulteriori investimenti della BEI e del FEI per un importo di 60 miliardi di euro, capaci di generare, a loro volta, investimenti pubblici e privati per 315 miliardi di euro nel triennio dal 2015 al 2017, con un effetto leva pari dunque a 1 a 15.
  È evidente da quanto sopra riferito che il compito di provvedere alla dotazione finanziaria del FEIS sembrerebbe demandato interamente e in via del tutto discrezionale agli Stati membri (che potrebbero corrispondere il contributo in contanti o sotto forma di garanzia accettabile per la BEI), alle banche di promozione nazionale e ai privati (che potrebbero contribuire solo in contanti).
  Per incentivare i conferimenti degli Stati membri, nella comunicazione presentata il 13 gennaio 2015 dalla Commissione europea, relativa all'applicazione del Patto di stabilità e crescita, si afferma che i contributi nazionali versati al FEIS non saranno computati nella valutazione dell'aggiustamento di bilancio, a prescindere dal fatto che gli Stati interessati (tra cui l'Italia) si trovino nel braccio preventivo o in quello correttivo del Patto.
  In particolare, per quelli che sono nel braccio preventivo del Patto di stabilità (e dunque non sono soggetti a procedure di disavanzo eccessivo), la Commissione potrebbe ammettere una deviazione temporanea dall'obiettivo del pareggio a medio termine entro il limite dello 0,5 per cento del PIL (per l'Italia, si tratterebbe di circa 8,5 miliardi di euro), garantendo un margine di sicurezza adeguato in modo da rispettare il valore di riferimento del 3 per cento. Per i Paesi che sono nel braccio correttivo (e dunque sono oggetto di una procedura per i disavanzi eccessivi), la Commissione potrebbe raccomandare al Consiglio la concessione di un termine più ampio per il rientro dal disavanzo.
  Con riguardo ai conferimenti, appare tuttavia necessario chiarire tre punti di importanza cruciale per il successo del Piano ma di non agevole comprensione dalla lettura della proposta di regolamento.
  Anzitutto, andrebbe valutato se la costituzione di un fondo quale il FEIS ad hoc, privo inizialmente di capitale, sia preferibile rispetto a soluzioni più lineari e già sperimentate in passato (come la ricapitalizzazione della BEI), posto che, in entrambi i casi, alla provvista di capitale del fondo dovrebbero far fronte gli Stati membri.
  In secondo luogo, andrebbe considerato con attenzione se possa ritenersi plausibile che soggetti privati effettuino conferimenti nel fondo, in ragione della rischiosità elevata degli investimenti che si dovrebbero realizzare e della incertezza quanto alla loro redditività.
  In terzo luogo, andrebbe verificato se e quale incidenza potrebbe avere, nella disponibilità da parte degli Stati membri ad apportare risorse per il finanziamento del fondo, l'assenza, nel testo del regolamento, di criteri che assicurino a ciascuno Stato la possibilità di avvalersi di una quota proporzionalmente almeno corrispondente di investimenti finanziati dal fondo medesimo nel proprio territorio. Pag. 135
  Nel caso specifico dell'Italia, la più ridotta capacità progettuale rispetto ad altri Paesi, come evidenziato dall'esperienza dei fondi strutturali, potrebbe costituire una remora forte a contribuire al fondo, in assenza di garanzie sul giusto ritorno delle risorse messe a disposizione.
  Forti perplessità suscita quindi, come già preannunciato in precedenza, anche l'effetto moltiplicatore che il FEIS produrrebbe in ragione della sua capacità di rischio iniziale, pari secondo la Commissione europea a 1 a 15 in termini di investimenti nell'economia reale. L'effetto stimato sarebbe, a giudizio della Commissione, una media prudente, basata sull'esperienza acquisita nel tempo nell'ambito dei programmi dell'UE e delle attività della BEI. Appare indispensabile verificare se questa stima sia realistica, considerando che gran parte dei fondi sarebbero destinati, come già detto, a progetti infrastrutturali a lungo termine la cui redditività è di per sé incerta e dunque può risultare poco attraente per gli investitori privati.
  La comunicazione in esame fornisce alcune indicazioni rilevanti anche in merito agli altri due pilastri del Piano, che sono illustrate nella documentazione predisposta dall'Ufficio RUE. Merita richiamare in questa sede alcuni elementi di particolare importanza relativi al secondo pilastro del Piano, vale a dire le iniziative volte a garantire che i finanziamenti aggiuntivi generati dal FEIS (nonché dai fondi strutturali) siano destinati «a progetti redditizi con un reale valore aggiunto per l'economia sociale di mercato europea».
  A questo scopo, si prevede anzitutto l'individuazione di una riserva di progetti di rilevanza europea per 300 miliardi di euro che potrebbero usufruire delle fonti di finanziamento aggiuntive di cui al primo filone del Piano. La riserva – compilata in base a criteri economici semplici e riconosciuti e costantemente modificata con l'aggiunta o la cancellazione di progetti – sarebbe pubblicata su un sito internet accessibile a tutti, in particolare agli investitori pubblici e privati, e a sua volta potrebbe essere collegato a elenchi analoghi a livello nazionale e regionale.
  Una lista preliminare di 2000 progetti, per un valore complessivo potenziale attorno ai 1300 miliardi di euro, è stata predisposta dalla «task force per gli investimenti» composta da BEI e Commissione, insieme agli Stati membri. Si tratta di una lista meramente indicativa che non determina impegni di finanziamento da parte della Commissione, della BEI o di qualsiasi Stato membro per i progetti in essa inclusi. La decisione finale sull'assegnazione dei finanziamenti spetterà alla BEI e alla Commissione europea previa valutazione accurata dei singoli progetti.
  Dal processo relativo alla costituzione e all'aggiornamento della riserva potrebbe scaturire un sistema di certificazione europea dei progetti di investimento validi che soddisfano determinati criteri, utilizzato dalla BEI e dalle banche di promozione nazionali per attirare gli investitori privati. In sostanza, il sistema attribuirebbe un «marchio di credibilità» per i progetti di investimento europei, tenendo conto del fatto che per molti dei soggetti interessati il problema più grave non è la mancanza di finanziamenti, ma la sensazione che manchino progetti validi, determinata dalla mancata conoscenza del potenziale di progetti esistenti.
  Facendo quindi riferimento a questioni evidenziate anche dai colleghi del M5S, rileva come il processo di selezione dei progetti prospettato dalla Commissione desti non poche perplessità. Se è innegabile l'esigenza di una rigorosa valutazione dei requisiti minimi di fattibilità e redditività dei progetti, appare discutibile la scelta di affidare a organismi tecnici e non politici la decisione finale sui progetti da finanziarie effettivamente e in via prioritaria. Si possono a questo riguardo formulare due considerazioni.
  Anzitutto, va considerato che la necessità di attirare investimenti privati – imprescindibile per il successo del Piano – non vale di per sé ad escludere una valutazione politica sui progetti che meritano Pag. 136più di altri la prestazione della garanzia pubblica, a carico del bilancio europeo e della BEI.
  In secondo luogo, non si può ignorare che ove si selezionassero i progetti esclusivamente in base a parametri tecnici (peraltro anch'essi opinabili, come dimostra l'esperienza), verrebbe messa a rischio la finalità stessa del Piano: quella mobilizzare investimenti aggiuntivi in grandi infrastrutture. In altri termini, si finirebbe probabilmente per promuovere progetti che, per il minore tasso di rischio e la maggiore redditività attesa a medio termine, sarebbero probabilmente stati finanziati dal settore pubblico o privato anche senza la garanzia prevista dal Piano Juncker. Peraltro, a questo rischio se ne aggiunge uno ulteriore: la concentrazione di parte significativa dei progetti da sostenere in Paesi dell'Europa centrale e settentrionale dotati generalmente di una migliore capacità progettuale ma non afflitti da una caduta della domanda aggregata e del PIL paragonabile a quella di Italia o Spagna.
  In conclusione, si può sin d'ora rilevare la necessità che nella proposta di regolamento istitutiva del FEIS siano stabiliti con chiarezza criteri di selezione dei progetti che contemplino anche i requisiti della addizionalità e della distribuzione territoriale più favorevole ai Paesi e alle regioni afflitte da un calo più pronunciato degli investimenti e sia assicurato ad organi politici, quali il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, un effettivo coinvolgimento nella scelta delle priorità di investimento.
  Nell'ambito del secondo pilastro è prevista altresì la creazione di un Polo europeo di consulenza sugli investimenti (European investment advisory hub, EIAH), sportello unico di assistenza per l'individuazione, la preparazione, lo sviluppo e il finanziamento dei progetti e la consulenza sull'uso di strumenti finanziari innovativi e sul ricorso a partenariati pubblico-privato.
  Una particolare attenzione merita infine il forte accento posto dalla Commissione sull'esigenza di un utilizzo efficace dei 450 miliardi di euro (630 miliardi di euro se si includono i cofinanziamenti nazionali) disponibili per gli investimenti nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento 2014-2020.
  La Commissione suggerisce, in particolare, agli Stati membri, in luogo delle tradizionali sovvenzioni, di destinare una percentuale specifica delle allocazioni previste nei rispettivi accordi di partenariato per ognuno dei principali settori di investimento mediante strumenti finanziari innovativi, secondo la seguente proporzione: 50 per cento per il sostegno alle PMI, 20 per cento per le misure di riduzione delle emissioni di CO2, 10 per cento per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, 10 per cento per i trasporti sostenibili, 5 per cento per il sostegno a ricerca, sviluppo e 5 per cento per l'ambiente e l'uso efficiente delle risorse.
  L'uso degli strumenti di microfinanza per la concessione di prestiti agevolati potrebbe inoltre contribuire a promuovere il lavoro autonomo, l'imprenditoria e le microimprese. Nella programmazione 2014-2020, questo approccio permetterebbe, secondo la Commissione, di impegnare quasi 30 miliardi a favore di strumenti finanziari innovativi con un effetto leva diretto, generando tra 40 e 70 miliardi di investimenti aggiuntivi e producendo un effetto moltiplicatore addirittura superiore nell'economia reale.
  Per favorire questi ulteriori investimenti, nella richiamata comunicazione sull'applicazione del Patto di stabilità, si prevede un trattamento favorevole per le risorse nazionali destinate al cofinanziamento di interventi sostenuti dai fondi strutturali.
  Tale trattamento si applica peraltro per i Paesi che già fruiscono della cosiddetta «clausola sugli investimenti», adottata dalla Commissione Barroso nel luglio del 2013; la clausola consente, in particolare, di deviare temporaneamente dall'obiettivo di bilancio a medio termine e dall'aggiustamento fiscale da realizzare alle seguenti condizioni:
   a) la dinamica del PIL sia negativa ovvero il PIL rimanga significativamente Pag. 137inferiore alla crescita potenziale (lo scarto deve risultare maggiore dell'1,5 per cento del PIL). L'Italia soddisfa questa condizione: infatti la Commissione europea, nel documento di lavoro che accompagna il parere sul progetto di bilancio per il 2015, ha stimato per l'anno di riferimento un output gap pari a -3,4 per cento (nel 2014 era pari a -4,5 per cento). La Commissione, peraltro, proprio in ragione dell'elevato output gap, ha ritenuto che l'Italia non fosse tenuta all'aggiustamento strutturale verso l'obiettivo di bilancio a medio termine (0,5 per cento del PIL);
   b) la deviazione non comporti un superamento della soglia del 3 per cento e sia garantito un adeguato margine di sicurezza. Nella comunicazione del 13 gennaio non sembra invece più richiesto, quale condizione per beneficiare della clausola il rispetto della regola del debito, elemento di grandissima importanza per l'Italia;
   c) il volume degli investimenti risulti effettivamente incrementato;
   d) gli investimenti riguardino progetti cofinanziati dall'UE nell'ambito dei fondi strutturali (inclusa l'Iniziativa per l'occupazione giovanile), delle reti transeuropee e del Connecting Europe, nonché progetti cofinanziati dal FEIS;
   e) la deviazione venga corretta entro il termine previsto dai Programmi di stabilità presentati dai Paesi membri.

  Rileva in conclusione che l'esame parlamentare del Piano, come già sottolineato in premessa, presenta una particolare rilevanza in quanto può contribuire a verificare la validità del suo impianto e delle misure di attuazione e quindi a migliorarne l'efficacia, in particolare in vista del negoziato sulla proposta di regolamento istitutiva del FEIS. Secondo gli auspici del Consiglio europeo di dicembre, il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero adottare tale proposta entro giugno. È pertanto necessario definire in tempi rapidi la posizione negoziale del nostro Paese.
  A questo scopo, la Commissione Bilancio – che ha competenza primaria sui documenti in esame – intende avviare già la prossima settimana un'indagine conoscitiva articolata in numerose audizioni. I componenti della XIV Commissione potranno prendere parte a tali audizioni in modo da acquisire elementi di conoscenza e di valutazione utili alla formulazione del parere che occorrerà esprimere alla stessa Commissione Bilancio.

  Filippo GALLINELLA (M5S) esprime perplessità circa la dotazione complessiva delle risorse previste dal Piano Juncker e circa il presunto effetto moltiplicatore che queste dovrebbero generare. Non appare infatti chiara la dinamica di tale meccanismo, anche in considerazione del fatto che i progetti di investimento non potranno prescindere dalla intermediazione bancaria.
  Ritiene inoltre necessario valutare con attenzione la destinazione dei fondi, e semplificarne i criteri di assegnazione, al fine di evitare che restino escluse proprio le aree più deboli dell'Unione.
  Auspica infine che a questi profili critici sia dato adeguato rilievo nel parere che la Commissione sarà chiamata ad esprimere.

  Paolo TANCREDI (AP) osserva, con riferimento agli atti in discussione, che la critica più frequentemente rivolta al Piano Juncker è che le risorse a disposizione costituiscono una leva troppo piccola per stimolare gli ingenti investimenti previsti. Richiama tuttavia l'attenzione dei colleghi sul fatto che l'Unione europea ha esigue risorse a disposizione, e che il reperimento di 16 miliardi di euro già richiede uno sforzo non indifferente !
  Alla domanda se sia preferibile la proposta del piano Juncker o una lineare ricapitalizzazione della BEI, occorre rispondere, a suo avviso, che è meglio la proposta in esame: un tentativo, forse spericolato ma coraggioso, e per certi aspetti rivoluzionario, per mettere a disposizione dei paesi europei risorse aggiuntive, sottraendone il computo dal patto di stabilità.Pag. 138
  Quanto al fatto che vi sia difficoltà a immettere liquidità nell'economia reale, non si può sempre attribuirne la responsabilità al sistema bancario, ma piuttosto al fatto che non vi è merito di credito e che – soprattutto in Italia – i meccanismi di vigilanza sono particolarmente rigidi e astratti. Per questi motivi il meccanismo di garanzia qui prospettato può svolgere un effetto moltiplicatore e rappresentare uno stimolo e comunque un impulso per una necessaria inversione di tendenza. Il progetto presenta certamente delle debolezze, ma i suoi detrattori non hanno sinora proposto alternative credibili ed efficaci.
  Auspica in conclusione che sugli atti in esame si svolga una discussione ampia e approfondita, anche mediante la partecipazione ai dibattiti e alle audizioni che si svolgeranno presso la Commissione di merito.

  Rocco BUTTIGLIONE (AP) giudica l'architettura del Piano Juncker molto ben costruita, ma purtroppo carente di risorse, come – per usare una metafora – un pugile molto agile ma senza forza nelle braccia. Ricorda infatti che il bilancio dell'Unione europea ammonta a complessivi 140 miliardi di euro annui, peraltro vincolati nella loro destinazione. Occorre dunque comprendere – e si tratta a suo avviso di una ricerca che può andare a buon fine se vi è la volontà politica – dove reperire le risorse necessarie. Richiama in proposito la grande quantità di denaro del Fondo Salva-Stati (ESM) e lo studio della Commissione Monti sulle risorse proprie dell'Unione, chiedendosi se queste possano divenire risorse aggiuntive per la politica di sviluppo. Si tratta di una domanda di carattere politico che il Parlamento ha il dovere di rivolgere al Governo. Occorre anche dedicare una riflessione agli atti in esame alla luce di quanto avvenuto con il quantitative easing e con il crollo del prezzo del petrolio: si assiste infatti una crescita dell’output gap che offre spazi di manovra interessanti.
  Qualche perplessità esprime invece sulla possibilità di un finanziamento del progetto «La Buona Scuola», di ristrutturazione degli edifici scolastici pubblici, con gli investimenti previsti dal Piano Juncker, in quanto questi sarebbero privi dei requisiti minimi di redditività previsti per gli investimenti privati.

  Adriana GALGANO (SCpI) ritiene opportuno, con riferimento alla lista preliminare di 2000 progetti cui saranno assegnati finanziamenti, acquisire informazioni su quelli italiani e comprendere sulla base di quali parametri siano stati individuati.
  Richiama quindi l'attenzione dei colleghi sull'effetto indiretto che potrebbero determinare ingenti risorse – pari a 8,8 miliardi di euro – destinate ad investimenti nel settore dell'edilizia scolastica pubblica.

  Michele BORDO, presidente e relatore, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.