CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 30 luglio 2014
281.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per le autorizzazioni
COMUNICATO
Pag. 3

AUTORIZZAZIONI AD ACTA

  Mercoledì 30 luglio 2014. — Presidenza del Presidente Ignazio LA RUSSA.

  La seduta comincia alle 13.15.

Domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni nei confronti del deputato Francantonio Genovese (doc. IV, n. 7).
(Seguito dell'esame e conclusione).

  La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 23 luglio 2014.

  Gea SCHIRÒ (PI), relatore, ricorda che la Giunta è chiamata ad esprimersi sulla richiesta della pubblica accusa, accolta dal Giudice per le indagini preliminari di Messina, di utilizzare nel processo 193 conversazioni (peraltro la procura ne indica una in più, individuata con il numero 1140), avvenute tra il 25 ottobre 2011 ed il 28 giugno 2013, relative a comunicazioni di Genovese, su utenze di terzi.
  Il deputato Genovese ha trasmesso alla Giunta una memoria con cui invita a rigettare la richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle sue conversazioni, di cui ritiene opportuno preliminarmente dare conto.
  In analogia a quanto già affermato nelle memorie difensive prodotte nel diverso procedimento riferito alla richiesta di arresto, il deputato Genovese sostiene anche in questo caso che il sostrato indiziario che sorreggeva la richiesta di custodia cautelare derivava, in via pressoché esclusiva, dall'intercettazione di conversazioni telefoniche o ambientali, la cui modalità di esecuzione, era chiaramente rivelatrice di fumus persecutionis nei suoi confronti.
  In particolare, il deputato ha evidenziato l'illegittima captazione delle sue conversazioni, nonché la loro inutilizzabilità processuale in quanto eseguite dopo la scadenza dei termini delle indagini, e comunque disposte in un diverso procedimento, circostanza che ne inibisce l'uso nell'attuale giudizio ai sensi dell'articolo 270 del codice di rito.
  Non ritiene necessario soffermarsi su questo secondo aspetto, che ha un'evidente rilevanza prettamente processuale, mentre – in quanto attinente ai profili di stretta competenza della Giunta – rappresenta come l'onorevole Genovese abbia evidenziato Pag. 4che l'attività di captazione ha fatto da supporto ad una inchiesta che lo vedeva come principale obiettivo di indagine, in quanto – secondo quanto esplicitamente sostenuto dall'accusa – egli era capo e promotore di un'associazione a delinquere.
  Ne costituisce prova – a suo giudizio – la stessa affermazione contenuta nella richiesta di proroga delle intercettazioni formulata dalla Procura di Patti il 17 gennaio 2012 (nella memoria erroneamente datata 12 gennaio 2012), secondo cui «emerge comunque chiaramente che l'intero gruppo è al servizio dell'on. Genovese, per cui gestisce l’iter di approvazione dei progetti e da cui si reca frequentemente ».
  Che le indagini fossero direttamente a lui riferibili troverebbe ulteriore conferma esplicita in alcuni passaggi delle informative di Polizia giudiziaria del novembre 2013. Nell'informativa dell'11 novembre 2013 si legge infatti: «(...) la presente informativa è volta a evidenziare attraverso i risultati delle indagini il complesso sistema di illecita gestione di enti di formazione riconducibili in via diretta e indiretta all'on. Francantonio Genovese». Con parole simili si esprime l'informativa del 22 novembre 2013: «Il presente lavoro intende palesare la struttura, le articolazioni, gli uomini chiave del sistema della formazione riferibile all'on. Francantonio Genovese».
  Il deputato interessato ravvisa dunque la violazione della prerogativa costituzionale, dal momento che la Procura di Patti e, successivamente, quella di Messina, hanno richiesto di procedere alle intercettazioni di utenze della sua cerchia di familiari, collaboratori e amici nella piena consapevolezza che il parlamentare fosse un loro interlocutore tutt'altro che infrequente.
  Ulteriore censura è rappresentata dal deputato interessato in relazione alla circostanza che, nella richiesta di proroga delle attività di controllo delle utenze, formulata dalla Procura di Patti il 13 agosto 2012, si ometteva addirittura di rappresentare al giudice competente che egli stesso era da tempo iscritto nel registro degli indagati. E, dal canto suo, l'Autorità giudiziaria di Messina ha autorizzato, nell'agosto del 2013, il controllo sulle utenze del signor La Macchia, nonostante agli atti vi fossero già numerose loro interlocuzioni, fin dagli ultimi mesi del 2011.
  Infine, secondo l'onorevole Genovese – ma tale circostanza è smentita in modo perentorio nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari ed effettivamente non risulta agli atti – sarebbe stata controllata anche un'utenza (intestata ad una società) di cui aveva uso esclusivo.
  Ritiene che la deliberazione della Giunta sul caso di specie possa essere rigorosamente indirizzata e definita dai principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale.
  In primo luogo, occorre avere presente che l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione, nell'imporre la previa autorizzazione parlamentare per sottoporre i membri delle Camere ad intercettazioni, sancisce una guarentigia a tutela della funzione parlamentare.
  Destinatari della prerogativa costituzionale non sono i parlamentari uti singuli ma l'Istituzione nel suo complesso. Il bene protetto dalla Costituzione si identifica infatti nell'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giudiziario nei confronti dei membri del Parlamento, a protezione della funzionalità delle Camere rispetto ad indebite interferenze del potere giudiziario (sentenza n. 390 del 2007).
  Le disposizioni che sanciscono siffatte immunità e prerogative per i parlamentari non possono essere interpretate in modo estensivo, costituendo esse una deroga al principio di uguaglianza, declinato come parità di trattamento davanti alla giurisdizione, «principio che si pone alle origini dello Stato di diritto» (sentenza n. 24 del 2004).
  Venendo ai principi della giurisprudenza costituzionale invocabili nel caso di specie, ricorda che, ai fini dell'operatività del regime dell'autorizzazione preventiva stabilito dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione, l'unico criterio da prendere in considerazione – esplicitato dalla Pag. 5fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007 – è rappresentato dalla «direzione dell'atto d'indagine».
  Pertanto, non assume rilevanza decisiva la circostanza che i magistrati abbiano disposto le intercettazioni su utenze di terzi, nella consapevolezza dell'elevata probabilità che nel caso di specie sarebbero incorsi in comunicazioni cui partecipa un parlamentare. La Corte ha infatti chiarito, anche nella sentenza da ultimo citata, che la prerogativa non si estende certamente agli interlocutori – anche se abituali – del parlamentare. E le comunicazioni del deputato casualmente captate in tale contesto non richiedono la preventiva autorizzazione parlamentare, essendo comunque casuali (sentenza n. 390 del 2007).
  Tuttavia, merita ricordare anche un altro paradigma interpretativo fissato dalla Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 114 del 2010, secondo cui, se nel procedimento anche il parlamentare risulti già sottoposto alle indagini, «è indubbio che la qualificazione dell'intercettazione come casuale richieda una verifica particolarmente attenta (...). Ma è altrettanto vero che, nella fattispecie considerata, il sospetto dell'elusione della garanzia è più forte e che, comunque, l'ingresso del parlamentare – già preventivamente raggiunto da indizi di reità – nell'area di ascolto evoca con maggiore immediatezza, nell'autorità giudiziaria, la prospettiva che la prosecuzione dell'attività di intercettazione su utenze altrui servirà (anche) a captare comunicazioni del membro del Parlamento, suscettibili di impiego a suo carico: ipotesi nella quale la captazione successiva di tali comunicazioni perde ogni “casualità”, per divenire mirata».
  Tale principio ermeneutico è sicuramente aderente al caso di specie. A partire, infatti, dal 12 dicembre 2011, il parlamentare – a suo dire peraltro tardivamente – è stato formalmente iscritto nel registro degli indagati. Pertanto, occorre verificare se il giudice abbia motivato adeguatamente sulla natura casuale delle intercettazioni avvenute successivamente a tale data, tenendo conto degli indici significativi enunciati nella sentenza n. 113 del 2010 ovvero: «i rapporti intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione, avuto riguardo al tipo di attività criminosa oggetto di indagine»; «il numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare»; «l'arco di tempo durante il quale l'attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare».
  Rileva come su questi elementi non vi sia una plausibile e circostanziata motivazione nell'ordinanza volta a giustificare la prosecuzione di intercettazione che, in primo luogo, riguardavano soggetti i cui rapporti con il parlamentare erano evidentemente strettissimi; si consideri altresì che lo stesso Francantonio Genovese è stato iscritto nel registro degli indagati anche per la fattispecie di associazione a delinquere, quindi in relazione ad un'attività di indagine che aveva come obiettivo un sodalizio criminoso di cui evidentemente il deputato era partecipe. Quanto agli altri due indici sintomatici delineati dalla Corte costituzionale, basti evidenziare come il numero di conversazioni sia estremamente elevato in termini assoluti – circa 300 – anche se il magistrato ne rileva la scarsa incidenza sul piano percentuale (su 21.000 telefonate di La Macchia, pari a circa l'1 per cento) e copra un arco di tempo di quasi due anni.
  Alla luce di ciò, ritiene che sia possibile individuare negli atti una precisa data in cui è possibile collocare – senza incertezze – un mutamento dell'obiettivo dell'indagine, a partire dal quale le motivazioni fornite dall'ordinanza a giustificazione della loro casualità appaiono poco plausibili: tale data corrisponde al momento di formale iscrizione del deputato nel registro degli indagati, ovvero il 12 dicembre 2011.
  A partire da quella data non solo era «prevedibile» che altre comunicazioni del parlamentare sarebbero state assunte (circostanza di per sé non decisiva), ma soprattutto, è inverosimile ritenere che l'organo inquirente non abbia spostato la sua Pag. 6attenzione anche sul ruolo di Francantonio Genovese in vicende in cui era obiettivamente coinvolto in prima persona.
  In altre parole, da quella data si deve ritenere che sia sopravvenuto – per usare le parole della sentenza n. 114 del 2010 della Corte costituzionale – «nell'autorità giudiziaria, un mutamento di obbiettivi: (...). Quando ciò accadesse, ogni “casualità” verrebbe evidentemente meno: le successive captazioni delle comunicazioni del membro del Parlamento, lungi dal restare fortuite, diventerebbero “mirate” (...), esigendo quindi l'autorizzazione preventiva della Camera».
  Pertanto, ha maturato il convincimento di proporre il diniego dell'autorizzazione quantomeno, con riferimento alle comunicazioni captate a partire dalla data di iscrizione del deputato nel registro degli indagati, potendo affermare con un sufficiente grado di certezza che le intercettazioni avvenute dopo siano state assunte eludendo il dettato costituzionale.
  In tal senso avrebbe formulato la sua proposta già nella scorsa seduta, nel corso della quale ha ritenuto, però, opportuno svolgere un supplemento di riflessione sulle comunicazioni precedenti a quella data, acquisite durante le indagini svolte dalla procura di Patti.
  Ha quindi compreso lo spirito con il quale è stata avanzata la richiesta, approvata dalla Giunta il 23 luglio 2014, volta a ricevere le informative di polizia giudiziaria acquisite dalla procura nel periodo antecedente l'iscrizione dell'onorevole Genovese nel registro degli indagati. Essa muove da un'oggettiva esigenza istruttoria, legata al peculiare sviluppo dell'inchiesta di Patti.
  Effettivamente, la Giunta non disponeva – né dispone adesso – dell'intero fascicolo processuale relativo all'inchiesta che si è sviluppata su iniziativa degli organi inquirenti di Patti.
  Dagli atti trasmessi da Messina si è infatti appreso che a Patti era stata avviata un'articolata attività investigativa in relazione a false attestazioni di residenza per partecipare alle competizioni elettorali svoltesi a Patti nel maggio del 2011.
  Da questa originaria indagine si sono sviluppati due filoni investigativi, uno dei quali riguarda la formazione professionale e vede il coinvolgimento dell'onorevole Genovese, i cui atti sono confluiti alla procura di Messina mediante il deposito di due informative del 19 agosto e 4 settembre 2013. Non è indicata una data precisa in cui dall'originario procedimento sono germogliati i due filoni investigativi.
  È possibile però riscontrare due richieste di proroga delle attività di captazione per l'interlocutore pressoché unico di Genovese, La Macchia, avanzate dalla procura di Patti, entrambe accolte dal Giudice per le indagini preliminari.
  La prima, del novembre 2011, è motivata dagli organi inquirenti in ragione dell'indagine sull'attività del gruppo legato a La Macchia. Si informa l'autorità giudiziaria di un «incontro a cui deve che partecipare anche l'onorevole Genovese».
  La seconda, del 9 dicembre 2011 è più esplicita. Si legge «quanto poi alla posizione di La Macchia Salvatore, questi mostra di essere il vero motore della distribuzione di finanziamenti regionali per la formazione, anello di congiunzione tra l'assessore Centorrino e l'on. Genovese, che gli impartisce le direttive da seguire a livello regionale; questi è in grado di intervenire nelle cooperative assegnatarie di fondi per l'assunzione di personale (...) e nel contempo, organizza gli incontri politici fondamentali per la gestione dei fondi».
  Aggiunge che dagli atti che erano già in possesso della Giunta si evince che l'autorità giudiziaria ha formulato le suddette richieste anche sulla base di numerose note e informative del 2011 del Commissariato di PS di Patti, datate 6 maggio, 3 e 18 giugno, 28 settembre, 3 ottobre, 17 novembre e 7 dicembre.
  L'autorità giudiziaria di Patti ha risposto in modo tempestivo, tuttavia inviando alla Giunta esclusivamente due comunicazioni di notizie di reato della Polizia Giudiziaria datate 26 novembre e 26 dicembre 2011, «quest'ultima riguardante attività tecnico investigativa svolta antecedentemente alla iscrizione dell'onorevole Francantonio Genovese nel registro degli indagati». Pag. 7Da contatti informali è emerso che la suddetta documentazione assume il valore di ‘informative finali’ a compendio delle precedenti attività di indagine.
  Da tali atti emerge che – mentre nessun riferimento alla posizione dell'onorevole Genovese compare nella prima comunicazione – la seconda riferisce degli esiti di un'attività investigativa risalente a diversi mesi prima l'iscrizione del deputato nel registro degli indagati, riportando anche conversazioni tra uno degli indagati e il parlamentare, qualificato come referente politico del primo, del maggio e del giugno 2011.
  Ritiene, quindi, che tale ulteriore documentazione acquisita costituisca un'ulteriore conferma del convincimento precedentemente espresso.
  Formula quindi la proposta di concedere l'autorizzazione all'uso processuale di tutte le comunicazioni del parlamentare precedenti al giorno della sua iscrizione nel registro degli indagati; ne consegue che non sarebbero processualmente utilizzabili quelle assunte a partire dal 12 dicembre 2011.

  Mariano RABINO (SCpI) concorda con la proposta del relatore.

  Vincenzo CASO (M5S) richiama la recente sentenza della Corte costituzionale, n. 74 del 23 aprile 2013 in tema di utilizzazione delle intercettazioni a carattere «casuale» od «occasionale» effettuate nei confronti di un membro del Parlamento, che ha chiarito i limiti della prescrizione normativa di cui all'articolo 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140.
  La suddetta pronuncia, precisando i contenuti della sentenza n. 390 del 2007 di parziale illegittimità, e la sentenza n. 188 del 2010, individua il criterio di «necessità» come parametro di bilanciamento tra l'esigenza investigativa e la disciplina costituzionale di protezione delle comunicazioni dei parlamentari.
  Essa recita: «la Camera deve poter rilevare, dall'esame della richiesta (e degli eventuali allegati), che sussistono sia il requisito, per così dire, “negativo” dell'assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della richiesta, sia quello, per così dire, “positivo” della affermata “necessità” dell'atto, motivata in termini di non implausibilità».
  Con ciò la Corte ha voluto, quindi, chiarire che la «necessità», sul piano della sostanza e su quello della motivazione, non può e non deve essere confusa con la «decisività» della prova di cui viene chiesta l'utilizzazione.
  Venendo al caso di specie, ricorda che alla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina sono state depositate una richiesta (il 28 febbraio 2014) e due richieste integrative (il 1o e il 24 aprile 2014) di utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali coinvolgenti il deputato Genovese. Il magistrato richiedente ha puntualmente motivato tali istanze, come previsto dalla sentenza del 2010 precisando, da un lato, la «rilevanza e necessità» di tutte le conversazioni intercettate e soprattutto chiarendo ogni aspetto in merito alle eccezioni sollevate della difesa del deputato mostrando così di aver vagliato con attenzione la ragionevolezza delle richieste.
  Con riferimento alla «mancata casualità delle intercettazioni», lamentate dalla difesa del deputato, l'ordinanza precisa che: «obiettivo della captazione non era, neanche in termini di mera eventualità il deputato, bensì le attività poste in essere dai soggetti direttamente sottoposti ad intercettazione».
  La puntualizzazione appare convincente sotto il profilo dell'attenzione che la magistratura ha riservato alla questione dell'occasionalità dell'intercettazione, rispettosa del principio della prescritta tutela delle garanzie costituzionali riservate ai parlamentari.
  Sotto altro profilo, si deve evidenziare che la richiesta di autorizzazione appare adeguatamente motivata anche in tema di necessità dell'utilizzo dell'intercettazione argomento sul quale il Parlamento deve limitarsi a verificare la sussistenza del requisito dell'adeguata motivazione non Pag. 8avendo il potere di sostituire una propria valutazione a quella del magistrato procedente.
  Il sindacato parlamentare ha, pertanto, come punto di riferimento la motivazione dell'atto giudiziale, e la sua capacità di illustrare la «necessità» dell'invocata autorizzazione in «termini di non implausibilità» come stabilito dalla citata sentenza n. 188 del 2010.
  Anche sotto tale profilo la richiesta dell'autorità giudiziaria competente si è espressa con convincente motivazione, rilevando, tra l'altro che «a norma dell'articolo 268 comma 6 c.p.p. va disposta l'acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti che non appaiono manifestamente irrilevanti». Sulla base di tale preciso assunto, mostrando attenzione e precisione nell'operato, la procura ha richiesto l'acquisizione solo di una serie di conversazioni che sono puntualmente richiamate, quanto alla rilevanza, alle circostanze descritte nelle varie informative di atti.
  Conclusivamente, osserva come la prerogativa parlamentare in discussione costituisca una importante deroga al principio generale dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed è per questo che gli organi parlamentari devono porre massima attenzione nell'evitare l'illegittima strumentalizzazione di tale prerogativa, affinché non diventi un mero privilegio.
  Solo questa è, e deve essere, la ratio dell'indagine circa l'eventuale sussistenza del fumus persecutionis; nel caso di specie, non appare in alcun modo che a carico del deputato Francantonio Genovese sia stato perpetrato, da parte della magistratura, un trattamento persecutorio o anche solo poco responsabile, anzi, dagli atti – ivi compresi quelli da ultimo acquisiti – si può tranquillamente desumere che non vi sia da temere alcun abuso della funzione giudiziaria.
  Per quanto detto annuncia il voto contrario del suo gruppo alla proposta del relatore.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, replicando all'intervento del deputato Caso, precisa che l'attività della Giunta non può configurarsi come volta a riconoscere privilegi, ma solo e soltanto a definire l'ambito di operatività di una prerogativa costituzionale. Se è ammissibile discuterne la ratio, non è invece certamente corretto invocare la disapplicazione di una norma di rango costituzionale che differenzia la posizione dei membri delle Camere e quella dei cittadini per ragioni ben note e che costituisce la ragion d'essere di questo organo parlamentare.

  Anna ROSSOMANDO (PD) desidera svolgere tre considerazioni che reputa essenziali al fine di motivare la posizione del suo gruppo in relazione alla domanda in esame.
  In primo luogo, in linea con quanto sottolineato dal presidente La Russa, osserva in via generale che i destinatari delle prerogative previste dall'articolo 68 della Costituzione non sono i parlamentari uti singuli, ma l'Istituzione nel suo complesso, al fine di garantirne la funzionalità e porla al riparo da illecite ingerenze. Esprime, pertanto, il suo disaccordo rispetto alle affermazioni del collega del MoVimento 5 Stelle. Nell'esaminare i singoli casi, tenendo conto della copiosa giurisprudenza costituzionale, è necessario operare un bilanciamento tra i diversi interessi tutelati a livello costituzionale: in questo contesto il principio di uguaglianza, a suo avviso, serve a delucidare l'ambito di applicazione delle prerogative parlamentari, evitando così il rischio che queste si trasformino in un indebito privilegio.
  In secondo luogo, richiama alcuni elementi di fatto della vicenda in esame che assumono un particolare significato ai fini della decisione della Giunta. Segnala innanzitutto che la domanda di autorizzazione all'utilizzo delle conversazioni telefoniche del Genovese si riferisce solo ad una parte delle captazioni, vale a dire quelle effettuate a partire dal 25 ottobre 2011, nonostante dagli atti processuali risulti l'esistenza di ulteriori intercettazioni disposte nei suoi confronti antecedentemente a tale data. Evidenzia poi la peculiare rilevanza della data di iscrizione del Pag. 9Genovese nel registro degli indagati, avvenuta il 12 dicembre 2011, poiché da quel momento in poi, si verifica un mutamento dell'obiettivo delle indagini. Sottolinea infine il fatto che sebbene l'onorevole Genovese sia stato iscritto nel registro degli indagati per un reato associativo, non vi è una assoluta coincidenza fra i soggetti coindagati dei due diversi filoni di indagine delle procure di Patti e di Messina, ad eccezione del La Macchia che funge da elemento di collegamento fra gli appartenenti al sodalizio criminoso.
  Rispetto alle argomentazioni addotte dal collega Caso, osserva che, nel caso di specie, il criterio dirimente ai fini della valutazione della legittimità della richiesta dell'autorità giudiziaria, è rappresentato non tanto dall'acquisizione delle conversazioni che non appaiono manifestamente irrilevanti, quanto dalla direzione degli atti di indagine, che è un aspetto sul quale l'ordinanza del GIP non appare adeguatamente motivata. Ricorda, a tal proposito, che le indagini sono state avviate dalla procura di Patti in relazione ad una serie di trasferimenti di residenza sospetti avvenuti in coincidenza con una tornata elettorale. Prendendo spunto da tali indagini, incentrata in modo particolare sulla figura del La Macchia, la procura di Messina è giunta a disvelare il sistema di malaffare legato ai corsi di formazione e il ruolo di primo piano in esso svolto dal Genovese, che ha portato alla iscrizione di quest'ultimo nel registro degli indagati per un reato associativo.
  In relazione a tali aspetti osserva che le intercettazioni effettuate dal 25 ottobre 2011 e fino alla data di iscrizione nel registro degli indagati appaiono semplicemente volte a documentare i contatti tra La Macchia e Genovese, senza che le stesse assumessero una rilevanza tale da indurre i magistrati a mutare l'indirizzo dell'azione investigativa. Al contrario, le intercettazioni disposte successivamente al 12 dicembre 2011, tenuto conto in primis della natura associativa del reato contestato al Genovese, appaiono consapevolmente indirizzate dai magistrati verso la captazione di sue conversazioni. A tal proposito, ritiene che il dato concernente il limitato numero di intercettazioni riguardanti l'onorevole Genovese, calcolato sul totale delle intercettazioni disposte dalla procura, non possa essere considerato un elemento probante dell'asserita natura casuale delle intercettazioni.
   In conclusione, per le motivazioni sin qui esposte, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo alla proposta del relatore.

  Marco DI LELLO (Misto-PSI-PLI), nell'apprezzare le articolate valutazioni espresse dal relatore e dall'onorevole Rossomando, manifesta comunque i propri dubbi sulla reale direzione delle indagini anche nel periodo precedente all'iscrizione di Francantonio Genovese nel registro degli indagati. Sono, infatti, agli atti documenti della procura ed informative di polizia giudiziaria le cui date andrebbero attentamente valutate per comprendere l'effettivo andamento dell'azione investigativa.
  Si chiede, infine, se i passaggi citati nella memoria difensiva del deputato Genovese e correttamente replicati nell'intervento del relatore non debbano indurre a ritenere elusa la prerogativa costituzionale anche nei mesi precedenti la sua iscrizione nel registro degli indagati.
  Per tali ragioni preannuncia il suo voto di astensione.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, precisa che le informative cui la memoria dell'onorevole Genovese fa riferimento compendiano un'attività investigativa che si è svolta in un ampio arco di tempo, ma risultano comunque trasmesse all'autorità giudiziaria nel novembre 2013.
  Pone, quindi, in votazione la proposta del relatore di concedere l'autorizzazione all'uso processuale di tutte le comunicazioni del parlamentare precedenti al giorno della sua iscrizione nel registro degli indagati. Precisa che – in caso di approvazione della proposta – ne consegue la scelta di non rendere processualmente utilizzabili quelle assunte a partire dal 12 dicembre 2011.

Pag. 10

  La Giunta approva la proposta con 10 voti favorevoli, 3 contrari ed un astenuto, conferendo altresì alla deputata Schirò il mandato di predisporre in tal senso la relazione per l'Assemblea.

Domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Luigi Cesaro (doc. IV, n. 9).
(Esame e rinvio).

  Ignazio LA RUSSA, presidente e relatore, ricorda preliminarmente che il termine per riferire all'Assemblea scade il prossimo venerdì 22 agosto 2014 e che, nell'Ufficio di Presidenza di martedì 29 luglio 2014, si è anche discusso sull'opportunità di definire un calendario dei lavori e, eventualmente, formulare una richiesta di breve proroga del termine.
  Prima di avanzare proposte in tal senso, che si riserva eventualmente di formulare nella prossima seduta, rappresenta che, da un lato, il deputato Luigi Cesaro ha manifestato l'intenzione di fornire i propri chiarimenti alla Giunta, ma ha chiesto di poter disporre di tempi adeguati, in ragione della necessità di approfondire i contenuti dei voluminosi atti giudiziari in corso di acquisizione. Dall'altro lato, ai fini della determinazione sui tempi di prosecuzione dell'istruttoria, occorre valutare l'esigenza di acquisire ulteriori elementi conoscitivi. Preannuncia, infatti, che è – a suo avviso – opportuno richiedere all'autorità giudiziaria gli atti posti a fondamento della richiesta cautelare in titolo.
  Preliminarmente allo svolgimento della relazione introduttiva, ritiene di dar conto delle difficoltà da lui incontrate nel conferire l'incarico di relatore su questo documento. I colleghi Bragantini, Leone e Daniele Farina – da lui contattati – hanno infatti espresso valide motivazioni per essere esonerati da tale compito. Ed anche il collega Di Lello, richiamando il suo ruolo nella Commissione Antimafia, ha mostrato perplessità sull'opportunità di svolgere le funzioni di relatore.
  Ha, inoltre, preso atto che i rappresentanti dei gruppi Scelta Civica e Per l'Italia, onorevoli Rabino e Schirò, sono stati designati come relatori per gli ultimi due documenti all'attenzione della Giunta.
  Non ha invece ritenuto di affidare le funzioni di relatore all'unico rappresentante in Giunta del gruppo cui appartiene il deputato Luigi Cesaro.
  Conseguentemente, allo scopo di evitare dilazioni nell'esame della domanda, assume in prima persona la qualifica di relatore, riservandosi tuttavia di delegarne le funzioni ad altro membro della Giunta, ove ciò risulti utile e possibile, nella misura in cui questi ritenga di far propri gli atti istruttori posti in essere dal relatore fino a quel momento, così da non generare alcuna forma di ritardo.
  Venendo al caso di specie, ricorda che esso deriva dalla richiesta del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, dottoressa Alessandra Ferrigno, di autorizzare l'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti del deputato Luigi Cesaro.
  Il titolo cautelare è stato adottato per violazioni inerenti le fattispecie di concorso esterno in associazione di stampo camorristico (articolo 416-bis, terzo comma, c.p.), turbata libertà degli incanti (articolo 353, commi 1 e 2, c.p.) ed illecita concorrenza con minaccia o violenza (articolo 513-bis, commi 1 e 2, c.p.) con l'aggravante di avere agito per «agevolare il clan denominato dei casalesi, fazione bidognettiana» (aggravante prevista dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991).
  L'ordinanza del GIP tratta la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere proposta dall'organo inquirente, concedendola per nove indagati, tra cui il deputato Luigi Cesaro (e i suoi due fratelli) e rigettandola invece per altri sette indagati; anche la richiesta di arresti domiciliari per uno degli indagati è stata altresì rigettata.
  Essa ricostruisce le vicende relative ad alcuni appalti espletati nel Comune di Lusciano (Caserta), ed in particolare Pag. 11quello afferente il Piano Insediamenti Produttivi, denominato PIP 2, e quello relativo ai lavori per la realizzazione del Centro Natatorio Polivalente.
  I fatti analizzati concernono un arco di tempo che va dal 1999/2000 fino al 2009, incentrandosi sulle complessive modalità di aggiudicazione di quegli appalti, caratterizzate da irregolarità che ne evidenzierebbero «l'anomalo indirizzo», in un perverso intreccio tra interessi della criminalità organizzata, della amministrazione comunale e della imprenditoria, a favore di una determinata ditta gradita al clan dei casalesi: la Cesaro Costruzioni Generali, direttamente riconducibile ai fratelli del deputato Cesaro.
  Si legge nell'ordinanza testualmente: «Lo spaccato che ne emerge è ancora una volta la fotografia di quel mortale intreccio tra camorra, politica ed imprenditoria che, nel caso in esame, assume una connotazione tanto peculiare che in alcuni passaggi diviene quasi difficile stabilire quale tra i tre poli indicati (tra i quali si gioca la partita) assuma l'iniziativa e tenga effettivamente in mano i “fili” degli accordi».
  I fatti oggetto del procedimento sono così riassumibili.
  L'ordinanza ricorda che già da epoca antecedente a quella dei fatti in esame, la realizzazione dei lavori del Piano di Edilizia Economica e Popolare, cosiddetto PEEP era affidata ad una ditta riconducibile al signor Emini.
  Allo scopo di superare le difficoltà per l'approvazione, da parte del Comune di Lusciano, di uno specifico strumento urbanistico cui era subordinata la realizzazione dei lavori (difficoltà dovute alla individuazione di un'area da destinare ad un impianto di distribuzione carburanti e della modifica della destinazione urbanistica da agricolo ad edificabile di un appezzamento di terra) il titolare ha quindi stretto rapporti con amministratori e funzionari comunali, anche di tipo corruttivo, subendo altresì estorsioni da parte del clan camorristico capeggiato da Bidognetti. Rileva, peraltro, che i rapporti con l'imprenditore non sembrano configurarsi solo in termini estorsivi, essendovi un evidente interesse anche di quest'ultimo.
  In virtù di tali rapporti, riteneva di poter godere di pieno appoggio nell'aggiudicazione dell'appalto – di notevole importanza, essendo la base d'asta di oltre 63 milioni di euro, salvo ritocchi in sede di varianti – concernente il PIP 2, che il Comune di Lusciano intendeva varare nel 2004. Ed infatti tale appoggio gli venne assicurato in un incontro con il reggente del sodalizio camorristico, tale Luigi Guida, avente ad oggetto le tangenti estorsive che era tenuto a versare al clan.
  La possibilità di aggiudicarsi l'appalto appare invece ad Emini compromessa quando viene escluso dalla procedura di gara per i lavori del Centro sportivo Natatorio Polivalente, per mancanza del requisito del capitale sociale richiesto. I lavori sono quindi aggiudicati alla ditta dei fratelli Cesaro, nei primi mesi del 2004.
  Tale segnale viene interpretato come sintomatico del fatto che la parte politica e la parte camorristica, interessate al grosso affare costituito dal PIP 2, avevano trovato un accordo diverso.
  In effetti, ciò trova riscontro: il funzionario comunale, fino a quel momento in stretti rapporti con Emini, viene revocato dall'incarico nell'ottobre del 2003; lo stesso Emini, riceve un rappresentante del clan che – in occasione del ritiro della solita tangente – lo avvisava che per il PIP 2 doveva farsi da parte, rappresentandogli che quella era la volontà dei bidognettiani.
  Il risultato è stato che Emini non partecipa alla procedura di appalto relativa al PIP 2, lamentando la previsione di requisiti non congrui e pregiudizievoli per una corretta concorrenza. Unica ditta a partecipare alla ‘prequalifica’ e poi alla gara era la Cesaro Costruzioni Generali srl, a favore della quale si addiveniva, in data 10 novembre 2004, alla aggiudicazione provvisoria.
  L'ordinanza rileva carenze sui controlli, previsti dalla normativa vigente, nei confronti dell'unica ditta partecipante per verificarne i requisiti. L'indagine avrebbe invece dimostrato che al momento della presentazione degli atti per la partecipazione Pag. 12alla gara essa non era in possesso di uno dei requisiti richiesti a pena di esclusione: non aveva infatti il capitale sociale richiesto. L'ordinanza attribuisce significato decisivo al fatto che l'omesso controllo riguarda lo stesso requisito per il quale la medesima amministrazione aveva escluso da una diversa gara l'unico concorrente della ditta Cesaro, solo pochi mesi prima.
  Nel maggio del 2009 la ditta Cesaro rinunziava alla aggiudicazione provvisoria; rinunzia che interveniva allorquando il Comune di Lusciano (già commissariato perché sciolto per infiltrazioni camorristiche), in concomitanza con l'avvio di indagini specifiche (gennaio 2009), comunicava alla Cesaro l'avvio del procedimento, in autotutela, di annullamento della delibera di aggiudicazione provvisoria lavori per il PIP 2.
  L'ordinanza si sofferma, in particolare, sugli elementi di riscontro in ordine ad un incontro a cui – secondo il GIP – ha partecipato il deputato Cesaro.
  Si tratta di un punto significativo della ricostruzione degli organi inquirenti, in quanto testimonierebbe l'interessamento del deputato all'attività di impresa dei fratelli e la sua piena partecipazione all'accordo con il clan camorristico.
  Le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Guida e Vassallo, entrambi partecipanti a quell'incontro, convergono nell'indicare il luogo, la presenza di Bidognetti, uomo di vertice dell'organizzazione camorristica, i motivi di quell'appuntamento (estranei alle vicende dell'indagine) e, infine, il fatto che sopraggiungeva uno dei fratelli Cesaro, con il quale il Vassallo aveva anche uno scambio di battute.
  Fin qui non emerge alcun elemento certo riguardante Luigi Cesaro.
  Uno dei due suindicati collaboratori di giustizia, il Vassallo, riferisce che l'appuntamento riguardava anche l'appalto del PIP 2, per il quale l'impresa Cesaro era stata prescelta dal clan perché si era dimostrata più «generosa» sull'appalto già aggiudicato per il centro natatorio, assicurando una tangente pari al 10 per cento dell'importo dell'opera al sodalizio criminale.
  La loro testimonianza diverge invece sulla indicazione del nome del membro della famiglia Cesaro, atteso che uno dei collaboratori, il Guida, aveva in un primo momento riconosciuto – non il deputato ma – uno dei fratelli minori, ovvero Raffaele Cesaro, per poi correggersi in una successiva deposizione del dicembre 2009.
  L'ordinanza si sofferma quindi sul tema dell'identificazione del soggetto che aveva partecipato a quel summit camorristico. Attesa la rilevanza di questo elemento, il GIP riporta dunque numerose argomentazioni volte a asseverare l'identificazione di Luigi Cesaro alla riunione oggetto di attenzione, desumibili sia dalle due deposizioni citate sia da quella resa dall'avvocato di uno di loro, poi tratto in arresto in quanto anch'egli affiliato al clan, l'avvocato Santonastaso.
  Ad avviso del giudice, dovendo discutere la quantificazione della quota spettante al clan, occorreva un incontro speciale. Qui il giudice fornisce una valutazione logica, che non è detto sia pienamente confortata dalle risultanze investigative, ma appare comunque coerente, salvo l'esigenza per la Giunta di svolgere ogni valutazione di sua competenza. Osserva, infatti, il magistrato che, se, da un lato, vi erano i maggiorenti del clan Bidognetti, con il figlio del capo in persona, «è del tutto logico che intervenisse in rappresentanza della controparte interessata all'affare, come si fa nelle trattative commerciali ed imprenditoriali serie, l'esponente di maggior “calibro” della impresa Cesaro, Luigi Cesaro, il parlamentare che, dunque, in tale delicata trattativa poteva spendere il proprio peso politico ad attestare l'importanza dell'affare in quella duplice veste di imprenditore e politico che può accomodarsi a quel famoso “tavolino a tre” di cui si è detto».
  Ne consegue che quell'incontro, ancorché unico per quanta riguarda Luigi Cesaro, viene interpretato dal magistrato come «espressione della sinergia tra i tre fratelli Cesaro nella gestione degli affari di Pag. 13famiglia e dunque nella gestione della vicenda in esame. È l'incontro che dà l’imprinting al successivo evolversi dei fatti».
  A suggello di quest'intesa vi sarebbe lo speculare comportamento di Aniello Cesaro, che utilizzava gli uffici della Camera dei Deputati del fratello maggiore Luigi per fissare incontri di affari con altri imprenditori o, addirittura, spacciandosi per il fratello parlamentare in un colloquio con un designatore arbitrale della lega Basket.
  Ricorda, quindi, i quattro capi di imputazione formulati nei confronti di Luigi Cesaro.
  Il primo afferisce al reato di cui all'articolo 416-bis, terzo comma, del codice penale, in ragione del suo contributo per assicurare al clan dei casalesi il sistematico controllo e gestione degli appalti di maggior rilievo banditi nel Comune di Lusciano, garantendo inoltre alla medesima organizzazione un notevole introito economico ed ottenendo egli stesso notevoli utilità economiche.
  In particolare, al deputato Cesaro ed ai suoi fratelli, questi ultimi imprenditori di rilievo nel settore edile, viene addebitato di essersi accordati con esponenti del clan promettendo il 7 per cento di quanto corrisposto alla ditta in quanto aggiudicataria – in modo illecito e quale impresa di riferimento del clan Bidognetti – dei lavori per il Piano Insediamenti Produttivi (PIP 2) e per la costruzione del Centro Sportivo Natatorio Polivalente.
  Tale imputazione riguarda condotte poste in essere in modo perdurante dal 1999 fino al 20 maggio 2009, data in cui l'impresa di famiglia rinuncia, dopo l'aggiudicazione, all'appalto per i lavori relativi al PIP 2 e dunque all'accordo con il clan.
  Il secondo capo di imputazione configura il reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza (articolo 513-bis c.p.), aggravato dalla finalità di agevolare l'attività di un'associazione di stampo camorristico (di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991).
  Il riferimento, anche in questo caso, è all'appoggio del clan dei Casalesi, fazione Bidognetti, per l'assegnazione dell'appalto PIP 2 di Lusciano, e nel compimento di atti di concorrenza illecita diretti a turbare la procedura di gara, in particolare volti a escludere l'impresa di costruzioni EMINI, cui veniva imposto di rinunciare a partecipare alla gara.
  Tale condotta è collocata in epoca antecedente al 20 maggio 2009.
  Il terzo capo di imputazione riguarda il delitto di turbata libertà degli incanti (articolo 353, comma 1, c.p.), con la duplice aggravante della finalità di agevolare l'attività di un'associazione di stampo camorristico e di aver concorso con persone preposte ai pubblici incanti. Il riferimento, anche in questo caso, è all'appalto denominato PIP 2, per il quale si ottiene l'esclusione della impresa EMINI.
  Tale condotta risale fino al 10 novembre 2004.
  Il quarto capo di imputazione addebita il reato di turbata libertà degli incanti con la duplice aggravante della finalità di agevolare l'attività di un'associazione di stampo camorristico e di aver concorso con persone preposte ai pubblici incanti. Il riferimento è invece all'appalto del «Centro sportivo polivalente polifunzionale».
  Tale addebito riguarda condotte poste in essere fino al 18 maggio 2004.
  Quanto alle esigenze cautelari, l'ordinanza premette che il reato principale per il quale si procede (concorso esterno in associazione camorristica) rientra tra quelli per i quali l'adeguatezza della custodia in carcere risulta presunta ex lege. In presenza di gravi indizi di colpevolezza, il giudice non può quindi decidere per l'applicazione di una misura cautelare diversa, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
  Al riguardo, il magistrato afferma che i fatti sono connotati di significativa gravità e di notevolissimo allarme sociale e che sussistono le esigenze di cautela a carico di tutti e tre i fratelli Cesaro.
  L'ordinanza non reputa rilevante la circostanza che il deputato non rivesta Pag. 14cariche nella ditta, mentre attribuisce rilevo assoluto alla presenza di Luigi Cesaro all'incontro con i vertici del sodalizio bidognettiano, presumibilmente avvenuto tra il maggio ed il novembre del 2004.
  Si legge nell'ordinanza che: «questo significa che ha inteso spendere in quella sede il proprio peso politico, la propria immagine pubblica; la sua presenza a quell'incontro non può avere alcuna altra plausibile spiegazione e perciò con la sua presenza ha inteso indirizzare i termini dell'accordo collusivo con la criminalità. D'altra parte se così non fosse non si vede per quale motivo un parlamentare della Repubblica Italiana si sia prestato ad un incontro del genere. Se è estraneo alle attività imprenditoriali dei fratelli perché rischiare tanto, nel suo ruolo istituzionale. Tale dato, che in questo caso si coniuga con un permanere di ruoli istituzionali e di significativo peso politico, esprime un pericolo concreto e attuale di reiterazione di reati».
  Il magistrato evoca, ad abundantiam, anche la vicinanza di Cesaro con Raffaele Cutolo come rappresentazione plastica di legami, contatti, conoscenze disinvolte e pericolose intessute negli anni dall'indagato.
  Si richiama al riguardo il messaggio che questi intendeva trasmettere al parlamentare in epoca relativamente recente, in un colloquio svolto il 10 gennaio 2011 con la nipote, al fine di interessarsi alla posizione lavorativa di un altro membro della famiglia. Il contenuto delle conversazione è stato oggetto di registrazione essendo Cutolo soggetto al regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'Ordinamento penitenziario.
  Nell'ordinanza si richiama peraltro anche il coinvolgimento del parlamentare in un processo – sempre per il reato di cui all'articolo 416-bis – per il quale era stato arrestato nel 1984, essendosi spontaneamente consegnato dopo quindici giorni di latitanza, e condannato in primo grado a cinque anni, per poi essere assolto in appello per favoreggiamento di Raffaele Cutolo ed altri nel 1986.
  L'ordinanza in più occasioni precisa di voler operare uno scrupoloso confronto delle dichiarazioni testimoniali assunte dall'accusa e rese a vario titolo – ed anche, da ultimo, in qualità di collaboratori di giustizia – di imprenditori, amministratori e esponenti della criminalità organizzata.
  Ad avviso del magistrato, l'esito di tale verifica conduce a ritenere che le fonti dichiarative, a partire dall'imprenditore Emini e dai principali collaboratori di giustizia Guida e Vassallo «non sono solo convergenti tra loro, ma sono coerenti con circostanze enucleabili da atti e determine amministrative» afferenti le procedure di appalto oggetto dell'inchiesta.
  Per le valutazioni della Giunta per le autorizzazioni è comunque utile riepilogare anche gli elementi cronologici della vicenda giudiziaria in esame.
  L'appalto per il centro natatorio è stato aggiudicato il 18 maggio 2004.
  L'appalto dei lavori per il PIP 2 è aggiudicato il 10 novembre 2004.
  L'incontro, cui avrebbe partecipato il deputato Cesaro, per definire il patto corruttivo e con esponenti del clan camorristico è datato quindi nell'arco di tempo che va da maggio a novembre 2004.
  La Giunta non è allo stato in grado di conoscere in che data è stata richiesta dal Pubblico ministero l'ordinanza di custodia cautelare. Fonti giornalistiche – che riportano le parole del capo della sezione GIP del tribunale, dottor Giustino Gatti – riferiscono che essa risale a più di due anni or sono e che una decisione in merito sia stata oggetto di sollecitazione da parte dello stesso nei confronti del magistrato presso cui la richiesta pendeva.
  Conclusivamente, ricorda che l'organo parlamentare ha ricevuto la sola ordinanza. Ritiene, invece, opportuno proseguire il dibattito dopo aver acquisito, quanto meno, gli atti depositati dagli organi inquirenti e menzionati nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, quali, in particolare, la richiesta di adozione di misura cautelare nei confronti Pag. 15del deputato Luigi Cesaro avanzata dalla Procura e la informativa conclusiva del 6 aprile 2010.
  In ogni caso, allo scopo di assicurare un ordinato svolgimento dell'istruttoria, propone alla Giunta di richiedere direttamente fin d'ora all'autorità giudiziaria la trasmissione di tutti gli atti di indagine posti a fondamento della suddetta richiesta cautelare, depositati presso la cancelleria ai sensi dell'articolo 291 c.p.p. e seguenti, che lo stesso giudice richiedente si è riservato di trasmettere alla Camera, ai fini delle deliberazioni di competenza parlamentare.

  La Giunta approva all'unanimità la proposta di integrazione documentale formulata dal presidente La Russa.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, rinvia il seguito dell'esame alla prossima seduta che convoca fin d'ora per martedì 5 agosto 2014 alle ore 13.

  La seduta termina alle 14.45.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

ELEZIONE DI UN SEGRETARIO

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI