CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 18 ottobre 2017
895.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-09793 Pinna: Contrasto al telemarketing selvaggio.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In relazione al quesito posto dagli Onorevoli Interroganti, il Ministero dello sviluppo economico è consapevole delle criticità degli attuali strumenti di contrasto alla pratica commerciale nota come «telemarketing selvaggio». Come abbiamo ribadito in altre occasioni, da ultimo accogliendo un ordine del giorno presentato a valle del disegno di legge Concorrenza, riteniamo che vi sia lo spazio per interventi normativi volti sia a rendere più incisive le attuali misure a difesa del consumatore, sia a estenderne l'ambito di applicazione per includere le numerazioni pubbliche e riservate.
  In particolare, sono tre le direttrici sotto le quali riteniamo utile intervenire. In primo luogo, occorre prevedere che l'iscrizione al Registro Pubblico delle Opposizioni comporti la revoca di tutti i consensi precedentemente espressi, con qualsiasi forma o mezzo e a qualsiasi soggetto, che autorizzano il trattamento delle proprie numerazioni effettuato mediante l'impiego del telefono per fini di pubblicità o di vendita ovvero per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
  Secondariamente, gli interessati devono poter revocare, in qualsiasi momento e anche per periodi limitati di tempo, la propria opposizione nei confronti di uno o più soggetti che intendano svolgere attività di marketing telefonico. Riteniamo sia ipotizzabile imporre agli operatori di telemarketing di verificare periodicamente (e comunque prima dell'avvio di una campagna pubblicitaria) la validità delle loro liste di contatto con il Registro Pubblico delle Opposizioni.
  Per quanto invece riguarda il tema dell'attività di call center, è opportuno introdurre la responsabilità solidale del titolare del trattamento dei dati personali per le violazioni delle disposizioni di cui al disegno di legge anche nel caso di affidamento a terzi dell'attività di call center per le chiamate telefoniche, in linea peraltro con le disposizioni di legge entrate recentemente in vigore (L. 232/2016) e che hanno introdotto l'obbligo per i soggetti che svolgono attività di call center di iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione.
  Come gli Onorevoli Interroganti ben sanno, è attualmente in discussione alla Camera un progetto di legge che muove proprio in tal senso, già approvato dal Senato, e che prevede tra l'altro la possibilità di iscrizione al Registro Pubblico delle Opposizioni anche a tutte le utenze pubbliche e riservate, indipendentemente dalla loro presenza negli elenchi telefonici. Ferma restando la sovranità del Parlamento, il Ministero dello sviluppo economico condivide i contenuti di tale provvedimento. Più in generale, siamo disposti a valutare ogni iniziativa, anche normativa, volta a contrastare i fenomeni oggetto dell'interrogazione.

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ALLEGATO 2

5-09852 Ricciatti: Pratiche anticoncorrenziali nella vendita dei biglietti per i concerti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione fa riferimento al fenomeno del cosiddetto «secondary ticketing», ovvero all'esistenza di un mercato della vendita di biglietti parallelo a quello autorizzato ed attivo particolarmente su internet, che offre in vendita tagliandi per ogni genere di evento ad un prezzo maggiorato rispetto a quello iniziale.
  Si sottolinea in primo luogo che l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato già in data 13 aprile 2017, aveva comunicato l'esito delle istruttorie avviate nel mese di ottobre 2016, al fine di verificare eventuali violazioni del Codice del Consumo in relazione alla vendita di biglietti per i principali concerti tenutisi in Italia negli ultimi anni. Le istruttorie si sono concluse con l'irrogazione di sanzioni pari a circa 1,7 milioni di euro, relative in particolare a violazioni del Codice del Consumo in merito alla vendita di biglietti per i principali concerti tenutisi in Italia negli ultimi cinque anni.
  Per quanto riguarda specificamente Ticketone, a cui l'interrogazione fa riferimento, l'Antitrust ha accertato l'adozione di pratiche inidonee a prevenire fenomeni di bagarinaggio, per esempio contrastando l'acquisto di biglietti attraverso procedure automatizzate, né ha previsto regole, procedure e vincoli diretti a limitare gli acquisti plurimi di biglietti, né ha effettuato controlli ex post diretti ad annullare tali acquisti plurimi. Pertanto l'azienda è stata sanzionata per circa un milione di euro.
  Altre quattro piattaforme online – Seatwave, Viagogo Ticketbis, e Mywayticket – hanno ricevuto sanzioni per circa 700 mila euro, a causa della carente o intempestiva informazione in ordine a diversi elementi di cui il consumatore ha bisogno per assumere una decisione consapevole di acquisto.
  Si fa infine presente che con la legge di bilancio 2017 sono già entrate in vigore delle norme volte a contrastare il fenomeno del «secondary ticketing».
  In tal senso, le disposizioni contenute nei commi 545 e 546, dell'articolo l, della citata legge hanno introdotto pesanti sanzioni per pratiche analoghe a quelle citate dagli Onorevoli Interroganti.
  In ragione di quanto precede, il Ministero dello Sviluppo Economico, per quanto di competenza, rileva che la problematica oggetto della presente interrogazione può trovare soluzione mediante una puntuale applicazione della disciplina sopra indicata, nonché del puntuale enforcement del diritto della concorrenza.

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ALLEGATO 3

5-11542 Cimbro: Tutela dei soci delle società cooperative.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione in parola concerne il «prestito soci» delle cooperative e le criticità legate ad un uso inappropriato ed imprudente dello strumento, verificatosi in taluni casi relativi ad alcune grandi cooperative di consumo e a cooperative edilizie come la Unacoop, citata dall'interrogante, per la quale è stata decretata la liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 14 dicembre 2016.
   Sotto un profilo generale, si è già avuto modo di rappresentare in risposta ad altri atti di sindacato ispettivo che la tematica del prestito sociale si inquadra nella più ampia esigenza di vedere garantita la condivisione e la trasparenza della gestione societaria. Tale esigenza è stata alla base dell'emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 18 settembre 2014, con il quale sono state varate misure atte a rafforzare il coinvolgimento dei soci nei processi decisionali della cooperativa e a garantire una maggiore trasparenza nelle gestioni mutualistiche, tra le quali la raccolta del prestito sociale, attraverso una maggiore informazione agli stessi in ordine alle attività sociali.
  Vorrei sottolineare, infatti, che il prestito sociale, considerato spesso dai soci come una forma di «investimento» costituisce per la cooperativa un sistema di finanziamento endosocietario, non equiparabile all'esercizio dell'attività bancaria, e del quale il socio può non percepire appieno i rischi che si assume con il conferimento di denaro.
  Ciò premesso è di fondamentale importanza che il socio acquisisca la consapevolezza che, da un lato, con l'adesione al prestito sociale finanzia l'attività di impresa della cooperativa di cui fa parte e si assume il relativo rischio e, dall'altro, che l'unica garanzia per le somme conferite è rappresentata dal patrimonio della società.
  Come noto, in seguito all'emergere delle suddette criticità, la Banca d'Italia è intervenuta sulla questione operando la revisione della regolamentazione in essere che si è conclusa con l'emanazione del provvedimento, «Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche» dell'8 novembre 2016.
  Scopo della rivista regolamentazione è quello di «rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specie con riferimento a forme di raccolta che coinvolgono un pubblico numeroso e prevalentemente composto da consumatori.» In particolare in tale ambito, con riferimento alla raccolta del risparmio presso i soci effettuata da società cooperative, l'Istituto, accogliendo anche alcune proposte provenienti dai soggetti che hanno partecipato alla consultazione pubblica sullo schema di provvedimento, ha dettato disposizioni in materia di schemi di garanzia dei prestiti sociali (che devono essere promossi dalle associazioni di categoria o direttamente dalle cooperative) allo scopo di aumentarne la credibilità, l'efficacia, la completezza della copertura e la tempestiva attivazione nel caso di bisogno.
  A tal proposito, informo che di recente la Direzione nazionale di Legacoop ha approvato il Regolamento quadro per l'utilizzo del prestito sociale da parte delle cooperative aderenti, nel rispetto dei principi generali dettati dalla normativa in materia di prestito sociale.Pag. 130
  La Banca d'Italia ha segnalato, inoltre, che sempre in sede di consultazione sono emerse ulteriori proposte di riforma che richiederebbero un intervento di rango legislativo, riferendosi in particolare alle richieste concernenti:
   le regole di trasparenza che impongano alle società cooperative un obbligo di pubblicazione sul proprio sito internet delle informazioni relative alle modalità di raccolta presso i soci e all'eventuale adesione a schemi di garanzia dei prestiti sociali;
   una complessiva revisione della normativa del «prestito sociale» volta, fra l'altro, a ricondurre la disciplina delle grandi cooperative a quella delle altre società, finalizzare la raccolta tra soci all'attività mutualistica, imporre vincoli di durata minima per tale forma di raccolta, separare l'attività finanziaria dall'attività non finanziaria svolte da una cooperativa.

  Per quanto concerne le attività di vigilanza, il Ministero dello sviluppo economico verifica il rispetto delle modalità e dei limiti della raccolta del prestito dai soci, vigila sulla salvaguardia della funzione sociale dell'istituto e quindi per la tutela del risparmio dei soci. I revisori, nello specifico, hanno il compito di controllare e relazionare nel verbale circa il rispetto di alcuni imprescindibili obblighi quali: la previsione statutaria, la raccolta del prestito solo con i soci e che tale raccolta sia finalizzata esclusivamente per il conseguimento dell'oggetto sociale, l'adozione di un Regolamento interno che regoli la raccolta del prestito approvato dall'Assemblea dei soci, la sottoscrizione di un contratto in forma scritta, il rispetto dei limiti massimi del deposito complessivo e da parte di ciascun socio e il limite massimo del tasso di interesse da corrispondere. In presenza di criticità i revisori diffidano l'ente a regolarizzare la posizione e attivano la segnalazione ad altre Amministrazioni, per quanto di loro competenza, anche in considerazione dei risvolti di natura tributaria.
  Per quanto espresso, nonché per quanto concerne la richiesta rappresentata dall'interrogante di istituzione di un fondo risarcitorio analogo a quello previsto con il decreto cosiddetto «salvabanche» che intervenga in caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa, vorrei segnalare che sono in corso approfondimenti a livello tecnico sulla tematica, con il coinvolgimento delle stesse associazioni nazionali delle cooperative interessate dal ricorso al prestito sociale, al fine della predisposizione di una proposta di rango legislativa tesa alla migliore regolazione di tale istituto a presidio della solidità patrimoniale degli enti cooperativi e a tutela degli interessi dei soci.
  Nello specifico delle vicende della cooperativa edilizia UNACOOP, l'interrogante chiede di sapere se sussistano i presupposti per aprire un tavolo di confronto per individuare soggetti che possano concretamente e seriamente percorrere la strada del risanamento della cooperativa con la proposta di un piano industriale di risanamento da presentare nelle forme previste e consentite nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa.
  A tal proposito, evidenzio come la procedura di liquidazione coatta amministrativa sia ad oggi nelle fasi preliminari di svolgimento: la formazione dello stato passivo, in particolare, risulta ancora in corso, in considerazione della complessità e numerosità delle posizioni creditorie da verificare e accertare. Tale adempimento, come noto, costituisce presupposto ineludibile per ogni successiva valutazione sulle più adeguate modalità di liquidazione o eventuale acquisizione o rilancio degli asset sociali.
  Il Commissario liquidatore, tuttavia, ha del tutto prontamente provveduto ad effettuare una puntuale ricognizione della situazione fattuale e del patrimonio della cooperativa, censendo ad oggi un passivo presunto pari a circa 75 milioni di euro, a fronte di un attivo ancora in corso di stima, costituito da circa 700 unità immobiliari e crediti, per lo più verso inquilini morosi.Pag. 131
   Nel passivo rileva in particolare la posta pari a circa 16 milioni verso i soci finanziatori-prestatori con libretti di risparmio (con circa 700 posizioni di credito, suddividendo i libretti con più intestatari).
  Non essendosi ancora concluse le operazioni di stima del patrimonio, il Commissario liquidatore non ha ancora avviato alcuna attività liquidatoria, potendosi al più configurare un avvio delle eventuali procedure competitive solo ad inizio 2018.
  In tale contesto, il Commissario liquidatore sta comunque dialogando con tutti gli interlocutori interessati e titolati al fine di valutare anche la prefigurabilità di una ipotesi di concordato ai sensi dell'articolo 214 della Legge Fallimentare, nel rispetto dei vincoli e dei tempi imposti dalla medesima normativa di settore.
  Giova infine evidenziare come la situazione all'interno della compagine sociale sia ad oggi improntata ad un clima di disponibilità, come attestato alla Direzione generale competente nella propria qualità di Autorità di vigilanza dal Commissario liquidatore.

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ALLEGATO 4

5-12088 Crippa: Partecipazione delle regioni ai processi decisionali relativi alle concessioni dei titoli minerari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'articolo 38, comma 7 del decreto- legge cosiddetto «Sblocca Italia» ha demandato al Ministero dello sviluppo economico l'adozione di un disciplinare tipo per stabilire le modalità di conferimento del titolo unico, nonché le modalità di svolgimento delle relative attività.
  La Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 170 del 2017, ha tuttavia dichiarato illegittima la predetta disposizione normativa nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni per l'adozione del citato disciplinare.
  Il decreto ministeriale 9 agosto 2017, citato dagli onorevoli interroganti, interviene proprio sul conferimento del titolo unico, con l'obiettivo di aggiornare la disciplina alla luce della sentenza del Giudice Costituzionale. In tal senso, il decreto dà mandato alle competenti direzioni generali del Ministero dello sviluppo economico di adottare il disciplinare tipo con un adeguato coinvolgimento delle regioni.
  Il Ministero dello sviluppo ha pertanto chiesto l'avvio di un tavolo tecnico presso la Conferenza Stato Regioni, di cui si attende la convocazione.
  Diversamente da quanto sostenuto con l'atto in questione, nulla è stato disposto o modificato in merito alla partecipazione delle regioni nei processi decisionali per il conferimento dei titoli minerari.
  Come già accadeva prima dell'adozione di entrambi i decreti le Regioni, infatti, sono direttamente coinvolte nell'ambito del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dei titoli minerari, mediante il conferimento delle intese, per i titoli da rilasciare sulla terraferma e le modalità operative per tale conferimento non hanno subito modifiche né ne potranno subire sulla base dell'attuale assetto costituzionale che prevede la materia dell'energia come materia di competenza concorrente Stato-Regioni.
  Anche l'articolo 1 comma 7 lettera n) della legge n. 239 del 23 agosto 2004 specifica che le funzioni amministrative relative a prospezioni, ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma, ivi comprese quelle di polizia mineraria, sono svolte dallo Stato d'intesa con le Regioni interessate, secondo le modalità definite nell'Accordo del 24 Aprile 2001 tra l'allora Ministero dell'industria, le Regioni e le Province Autonome.
  Nello specifico del permesso di ricerca «Carisio» si evidenza che lo stesso è un titolo minerario già conferito nel 2006, sebbene sospeso nella relativa attività dal 2012. La realizzazione del pozzo esplorativo interviene invece in un momento successivo rispetto al conferimento del titolo minerario e necessita di un ulteriore provvedimento autorizzatorio rilasciato a seguito di un iter amministrativo che coinvolge nuovamente le Regioni, mediante l'intesa, ma anche i Comuni e le Soprintendenze interessate.
  Come previsto dalla Legge 239/2004, infatti, l'autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo alla costruzione degli impianti e delle infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione è concessa, previa valutazione di impatto ambientale, su istanza del titolare del permesso di ricerca, da parte dell'ufficio UNMG (Ufficio Nazionale Minerario per gli idrocarburi e le georisorse) territorialmente competente, a seguito di un procedimento unico al quale partecipano la regione e gli altri Enti locali interessati. Anche in questa fase viene richiesta, pertanto, l'intesa della regione.

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ALLEGATO 5

5-12112 Miccoli: Piano industriale della società farmaceutica Alfasigma e tutela occupazionale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alla interrogazione in oggetto, faccio presente che il Ministero dello Sviluppo Economico sta seguendo la vicenda della Alfasigma Spa con particolare attenzione, e che ha analizzato, accuratamente, i motivi che hanno spinto la società a palesare l'intenzione di avviare la procedura di licenziamento collettivo del personale in eccedenza, pari a 456 dipendenti tra impiegati, operai e quadri.
  Si tratta di un'azienda farmaceutica italiana che nasce dalla fusione per incorporazione delle società Alfa Wassermann e Sigma-Tau. Questa operazione ha determinato una consistente duplicazione di funzioni e di mansioni all'interno dell'azienda che ha colpito soprattutto la categoria degli informatori scientifici, i quali costituiscono gran parte del personale in esubero (274 su 456).
  La società ha risentito, inoltre, anche degli effetti derivanti dagli eventi che stanno caratterizzando l'attuale mercato farmaceutico italiano, quali l'adozione di misure di contenimento della spesa pubblica e l'aumento del consumo dei cosiddetti farmaci generici.
  Tutte queste vicende, sia interne che esterne all'azienda, hanno determinato una situazione congiunturale negativa che si è tradotta in un esubero di circa un quarto del personale addetto.
  Il Ministero del lavoro, a tal proposito, informa che in data 6 settembre risulta pervenuta la comunicazione aziendale di avvio della procedura di licenziamento collettivo, avente ad oggetto la riduzione di personale riguardante 20 dirigenti e 456 unità lavorative occupate presso le sedi aziendali dislocate sul territorio nazionale e che è pertanto in corso la fase aziendale della procedura. A tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro per l'esame della situazione occupazionale, né è pervenuta altra segnalazione a riguardo.
  Alla luce di quanto considerato, il Ministero dello sviluppo economico comunica di rendersi disponibile a convocare un tavolo per la gestione della crisi della Alfasigma Spa, previa richiesta delle Organizzazioni Sindacali o delle istituzioni interessate.
  La struttura dell'Ufficio gestione vertenze del Ministero dello sviluppo economico, riferisce che è necessario, tuttavia, far presente che le richieste dovranno pervenire in breve tempo, non solo per la delicatezza e l'importanza della questione, ma anche per evitare la scadenza del termine di cui all'articolo 4, comma 6, legge 23 luglio 1991, n. 223, previsto per il raggiungimento di un accordo utile ad evitare il licenziamento collettivo. Incardinata la gestione della vertenza presso il Ministero dello sviluppo economico, si procederà alle necessarie analisi e approfondimenti tecnici, con il coinvolgimento dell'azienda, delle parti sociali e delle istituzioni interessate, al fine di promuovere e verificare le ipotesi di soluzioni della crisi.

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ALLEGATO 6

7-01356 Galgano: Iniziative a favore del «made in» dei prodotti di consumo non alimentari.

RISOLUZIONE APPROVATA

   La X Commissione,
   premesso che:
    libera circolazione delle merci è la più sviluppata delle quattro libertà del mercato unico ed è essenziale per il successo di migliaia di imprese. La sua creazione è stata possibile grazie al raggiungimento di un accordo a livello europeo sugli standard minimi di sicurezza dei prodotti che circolano nell'Unione europea. Disposizioni efficaci in tale settore possono essere adottate solo a livello europeo, sia per assicurare un'adeguata tutela degli interessi dei consumatori che per impedire agli Stati membri di adottare disposizioni differenti che determinerebbero la frammentazione del mercato unico;
    la direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti (DSGP) contiene le principali disposizioni in materia di sicurezza che devono essere rispettate per molti prodotti di consumo. Tale direttiva dispone infatti che i prodotti di consumo siano sicuri, regolamenta la formazione, impone obblighi agli Stati membri e alle autorità nazionali di vigilanza del mercato e stabilisce procedure per lo scambio di informazioni e per l'intervento rapido relativo ai prodotti non sicuri;
     la direttiva 2001/95/CE andrebbe modificata per aggiornare le disposizioni sulla sicurezza dei prodotti. In particolare, gli obblighi degli operatori economici (soprattutto le disposizioni in tema di identificazione e tracciabilità) andrebbero rivisti e rafforzati al fine di dare alle autorità di vigilanza del mercato gli strumenti necessari per svolgere le loro attività in modo efficace;
    in Commissione europea è stata proposta una nuova normativa, denominata «Pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato»: si tratta di un insieme di misure per semplificare e rendere più omogenee le norme di sicurezza applicabili ai prodotti non alimentari, per razionalizzare le procedure e per migliorare il coordinamento e il monitoraggio delle attività di vigilanza del mercato nell'Unione europea. Questo provvedimento è costituito da due regolamenti relativi alla sicurezza dei prodotti e alla vigilanza del mercato. Nel primo regolamento figura l'articolo 7 (che introduce l'obbligo di indicazione di origine per i prodotti di consumo non alimentari), in relazione al quale si sono manifestate le principali difficoltà che hanno ostacolato l'approvazione dell'intero dossier. In particolare, c’è stata l'opposizione della Germania, alla quale si sono associati altri 16 Stati membri. I tedeschi hanno motivato la loro contrarietà ponendo l'attenzione sulla mancata valutazione d'impatto che l'adozione dell'articolo 7 comporterebbe;
    nel 2015 la Presidenza del Consiglio dell'Unione ha richiesto alla Commissione europea uno studio di analisi sull'impatto dell'articolo 7 della citata proposta di regolamento «Pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato». Nel gennaio 2015, è stato avviato lo studio con l'individuazione di due differenti questionari da parte della società di consulenza, inoltrate dalla Commissione alle autorità Pag. 135di vigilanza degli Stati membri ed alle associazioni di riferimento dei settori indicati: giocattoli, elettrodomestici, elettronica di consumo, tessile, calzature. Il primo questionario ha lo scopo di valutare i costi ed i benefici per le imprese; il secondo di analizzare gli oneri connessi alla vigilanza e le opportunità per gli Stati membri;
    allo stato attuale la proposta relativa al «pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato» è bloccata in Consiglio. Nonostante i tentativi fatti dalle Presidenze di turno (soprattutto quella italiana del 2014 e quella olandese del 2015) nella ricerca di un compromesso, continua ad esservi una frattura fra gli Stati membri del Nord (più orientata sulla grande distribuzione) e quelli del Sud (manifatturiero) Europa;
    lo studio «Trade in counterfeit and pirated goods» del 2016, a cura dell'Ocse e dell'Ufficio per la proprietà intellettuale dell'Unione europea, stima che il 2,5 per cento degli scambi mondiali sia costituito da beni contraffatti, per un valore corrispondente di 461,85 miliardi di dollari, cifra che è pari al prodotto interno lordo dell'Austria o alla somma del prodotto interno lordo di Irlanda e Repubblica Ceca;
    nel rapporto del Censis La contraffazione: dimensioni, caratteristiche ed approfondimenti, del giugno 2016, si stima che il fatturato della contraffazione in Italia nel 2015 ammonti a 6,9 miliardi di euro, con un incremento del 4,4 per cento rispetto ai 6,5 miliardi di euro stimati per il 2012. La perdita di gettito fiscale conseguente a tale giro d'affari illecito è stimata in 5,7 miliardi di euro (1,7 miliardi di euro per la produzione diretta e 4 miliardi di euro per la perdita di gettito sulla produzione indotta in altri settori connessi), con un valore aggiunto sommerso di 6,7 miliardi di euro ed oltre 100.000 posti di lavoro in meno. Un'eventuale immissione sul mercato di un equivalente di merci legali al valore di quelle contraffatte sarebbe suscettibile di determinare un incremento della produzione interna pari a 18,6 miliardi di euro (lo 0,6 per cento del totale), con aumento del valore aggiunto del Paese di 6,7 miliardi;
    l'indicazione di origine sui prodotti importati porrebbe i consumatori e le imprese europee allo stesso livello dei loro maggiori partner commerciali (Stati Uniti, Giappone, Cina e Canada) che hanno già introdotto questa misura. Infatti, oltre a favorire la trasparenza del mercato, offrendo informazioni più chiare e univoche ai consumatori, questa misura consentirebbe di esercitare un più incisivo controllo sui prodotti importati e rappresenterebbe un utile strumento di lotta alla contraffazione,

impegna il Governo:

   a) ad adoperarsi nelle opportune sedi europee affinché la proposta recante il «Pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato» sia posta rapidamente in discussione in Commissione europea, cercando in particolare di far convergere il maggior numero possibile di delegazioni sull'esigenza di salvaguardare la disposizione di cui all'articolo 7 relativa al made in dei prodotti di consumo non alimentari;
   b) ad adoperarsi affinché l'emananda normativa europea relativa alla tutela del made in dei prodotti di consumo non alimentari sia notificata dalla Commissione europea alla membership dell'OMC a Ginevra in ossequio all'accordo Technical Barriers to Trade (TBT), per favorire l'adozione di politiche e procedure utili all'introduzione di un generale obbligo dell'indicazione di origine sui prodotti di consumo non alimentari, al fine di tutelare la qualità dei manufatti offerti ai consumatori ed evitarne la contraffazione.
(8-00264) «Galgano, Menorello, Quintarelli, Catalano, Mucci, Molea».

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ALLEGATO 7

7-01361 Ricciatti: Iniziative a favore del «made in» dei prodotti di consumo non alimentari.

RISOLUZIONE APPROVATA

  La X Commissione,
   premesso che:
    la libera circolazione delle merci è la più sviluppata delle quattro libertà del mercato unico ed è essenziale per il successo di migliaia di imprese. La sua creazione è stata possibile grazie al raggiungimento di un accordo a livello europeo sugli standard minimi di sicurezza dei prodotti che circolano nell'Unione europea;
    disposizioni efficaci in tale settore possono essere adottate solo a livello dell'Unione, sia per assicurare un'adeguata tutela degli interessi dei consumatori che per impedire agli Stati membri di adottare disposizioni differenti che determinerebbero la frammentazione del mercato unico;
    al fine di semplificare e rendere più omogenee le norme di sicurezza applicabili ai prodotti non alimentari, la direzione generale del mercato interno, dell'industria, dell'imprenditoria e delle piccole e medie imprese della Commissione ha presentato, il 13 febbraio 2013, un pacchetto che include una comunicazione e due proposte di regolamenti sulla sicurezza dei prodotti di consumo e la vigilanza di mercato;
    a seguito del voto nella Commissione parlamentare per il mercato interno e la protezione dei consumatori nel dicembre 2013, la plenaria del Parlamento europeo ha approvato, il 15 aprile 2014, la risoluzione sulla proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti. In particolare, i deputati europei hanno lasciato invariato l'articolo 7, che introduce l'obbligatorietà dell'indicazione di origine e prevede per i produttori la possibilità di apporre sull'etichetta la dicitura «made in EU» oppure il nome del proprio Paese. Inoltre, gli europarlamentari hanno approvato alcune altre importanti modifiche: la reintroduzione del principio di precauzione, previsto dalla direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti ed eliminato con la proposta, considerato come un elemento orizzontale fondamentale per garantire la sicurezza dei prodotti e dei consumatori; l'applicazione anche ai prodotti armonizzati delle disposizioni del regolamento per gli aspetti e i rischi o le categorie di rischi che non sono coperte dalla normativa di armonizzazione applicabile; l'auspicio che i produttori tengano conto automaticamente della sicurezza dei prodotti già nella fase di progettazione; l'obbligo per le autorità nazionali di tener conto delle caratteristiche di un prodotto che, pur non essendo destinato ad essere utilizzato da bambini, assomiglia in qualche modo a un altro oggetto normalmente riconosciuto attraente per i bambini; la quantificazione delle sanzioni da parte delle autorità nazionali in base al fatturato dell'impresa ed al numero di dipendenti, ma prestando particolare attenzione alle piccole e medie imprese;
    tuttavia, rispetto al testo votato nella Commissione competente, vista la comparazione costi-benefici rivelatasi non soddisfacente, è stato eliminato l'articolo 6 relativo al marchio «EU Safety Tested», complementare a quello esistente, da applicare Pag. 137ai prodotti testati da un soggetto terzo e indipendente e considerati sicuri da un organismo competente;
    allo stato attuale la proposta di regolamento è bloccata in Consiglio. Nonostante i tentativi fatti dalle presidenze di turno (soprattutto quella italiana del 2014 e quella olandese del 2015) nella ricerca di un compromesso, continua ad esservi una frattura fra Nord (più orientata sulla grande distribuzione) e Sud (manifatturiero) Europa. La proposta legislativa della Commissione non è stata ritirata, neanche dal programma della Commissione per il 2017, ma allo stato attuale appare molto improbabile che possano essere fatti passi avanti, e ciò, nonostante le molteplici prese di posizione del Parlamento europeo (da ultimo, nella risoluzione sulla Strategia per il mercato interno);
    in tale contesto, appare particolarmente rilevante la posizione italiana in merito all'introduzione del contrassegno «made in Italy» sui prodotti non alimentari a maggiore potenzialità in termini di export e diffusione sui mercati internazionali,

impegna il Governo:

   a) a rafforzare la propria iniziativa politico-diplomatica, nell'ambito della partecipazione dell'Italia all'Unione europea, al fine di procedere tempestivamente alla conclusione dell’iter normativo volto all'introduzione del regolamento sulla sicurezza dei prodotti non alimentari;
   b) valutare, di concerto con gli altri Stati membri interessati, se sussistano gli estremi per l'applicazione dell'istituto della cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20 del Trattato sull'Unione europea e agli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di costituire un quadro giuridico comune con l'obiettivo di introdurre l'obbligo dell'indicazione di origine per i prodotti del settore calzaturiero, dell'artigianato e degli arredi.
(8-00265) «Ricciatti, Epifani, Ferrara, Simoni, Franco Bordo, Martelli, Giorgio Piccolo, Zappulla, Stumpo, Quaranta, Piras, Lacquaniti, Nicchi, Duranti, Sannicandro, Zaratti, Kronbichler, Albini, Carlo Galli, Murer, Zoggia».

ALLEGATO 8

Schema di decreto legislativo per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1025/2012 alla direttiva (UE) 2015/2012 (AG. n. 459).

PARERE APPROVATO

  La X Commissione,
   esaminato lo Schema di decreto legislativo recante l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1025/2012 alla direttiva (UE) 2015/2012 (AG. n. 459);
   premesso che:
    lo schema di decreto legislativo è stato predisposto in attuazione della delega prevista dall'articolo 8 della legge di delegazione europea 2015 il quale dà mandato al Governo di provvedere all'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1025/2012 e della direttiva UE 2015/1535;
    secondo l'analisi di impatto della regolazione (AIR) effettuata dal Governo, tra gli obiettivi più specifici ed immediati dello schema di decreto vi sono quelli di aggiornare, semplificare e razionalizzare le disposizioni concernenti il finanziamento degli organismi nazionali di normazione italiani, per garantire la possibilità di adempiere agli obblighi posti a loro carico dalle norme in questione, nonché di aggiornare e chiarire il quadro normativo nazionale, con particolare riferimento alle autorità e amministrazioni nazionali competenti sia relativamente alla procedura di comunicazione delle regole tecniche allo stadio di progetto, sia relativamente alla vigilanza sugli organismi nazionali di normazione italiani;
    il regolamento (UE) n. 1025/2012 sulla normazione europea, che ha semplificato e adeguato il quadro normativo previgente in materia non richiede recepimento, ma solo misure di attuazione essendo direttamente applicabile nell'ordinamento dei singoli Stati a decorrere dal 1o gennaio 2013;
    l'obiettivo principale della normazione consiste nel definire specifiche tecniche o qualitative volontarie alle quali prodotti, processo di produzione o servizi possono conformarsi; la normazione può riguardare le diverse categorie o le diverse dimensioni di un particolare prodotto o specifiche tecniche in mercati di prodotti o di servizi in cui la compatibilità o l'interoperabilità con altri sistemi sono essenziali;
    la normazione europea contribuisce a promuovere la competitività delle imprese agevolando in particolare la libera circolazione dei beni e dei servizi, l'interoperabilità delle reti, i mezzi di comunicazione, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, svolgendo un ruolo sempre più importante nel mercato interno e nell'ambito del commercio internazionale;
    come sottolineato nella Relazione illustrativa, è indispensabile che la Commissione europea disponga, prima dell'adozione di disposizioni tecniche nazionali, delle necessarie informazioni utili a valutare le condizioni per assicurare il buon funzionamento del mercato interno fondato sulla libera circolazione delle merci può essere ostacolato dalla presenza di regolamentazioni tecniche specifiche di singoli Stati;
    il Ministero dello sviluppo economico, attraverso la propria Unità centrale di notifica, rimane organo tecnico volto a garantire il corretto svolgimento della procedura come punto di contatto unico nazionale con la Commissione e gli altri Stati membri dell'Unione europea;
   preso atto del parere favorevole espresso nella seduta del 5 ottobre 2017 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
   sottolineato che:
    all'articolo 1, comma 1, lettera i), capoverso «Art. 5-bis», con riferimento agli adempimenti delle amministrazioni pubbliche italiane ai fini dell'adozione di regole tecniche, il Ministero dello sviluppo economico, attraverso la propria unità centrale di notifica, rappresenta l'organo tecnico strumentale a garantire il corretto svolgimento della procedura come punto di contatto unico nazionale per la Commissione europea e gli altri Stati membri dell'Unione europea;
    all'articolo 1, comma 1, lettera m), capoverso «Art. 8», relativo al contributo agli organismi nazionali di normazione italiani da parte del Ministero dello sviluppo economico si prevede un contributo annuo determinato forfettariamente nei limiti delle disponibilità di cui al comma 2 del medesimo articolo, suddiviso in misura pari al 67 per cento di tali disponibilità per l'UNI-Ente nazionale italiano di unificazione, e al 33 per cento per il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano); questo contributo mantiene il carattere di cofinanziamento rispetto alle entrate proprie per ricavi da vendite delle norme e per contributi privati ed eventualmente da parte dell'Unione europea; il contributo non può comunque eccedere il 50 per cento dei costi iscritti nel bilancio di UNI e CEI nell'esercizio precedente relativamente allo svolgimento delle funzioni istituzionali;
    all'articolo 1, comma 1, lettera o), capoverso «Art. 9-bis», comma 7, sono disciplinate le comunicazioni dell'Unità centrale di notifica al Ministro per i rapporti con il Parlamento, per la trasmissione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nel caso di progetti di regole tecniche contenuti in proposte o disegni di legge all'esame del Parlamento;
    sarebbe opportuno che Parlamento disponesse tempestivamente di un quadro aggiornato di tutti i progetti di regole tecniche comunicati dal Governo alle istituzioni europee al fine di valutare eventuali interventi legislativi,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente condizione:
   all'articolo 1, comma 1, lettera o), capoverso «Art. 9-bis», comma 7, sostituire il primo periodo con il seguente: «Le comunicazioni dell'Unità centrale di notifica di cui ai commi l, 2, 3, 5 e 6 all'amministrazione che ha trasmesso il progetto di regola tecnica sono inviate anche al Ministro per i rapporti con il Parlamento che, entro quindici giorni dalla ricezione, le trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica»;

  e con la seguente osservazione:
   all'articolo 1, comma 1, lettera m), capoverso «Art. 8», valuti il Governo la possibilità di integrare il testo con la previsione di una relazione annuale al Parlamento che illustri l'utilizzo da parte di UNI e CEI delle somme ricevute a titolo di contributo da parte del Ministero dello sviluppo economico.