CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 15 giugno 2017
839.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-09504 Prodani: Sulla difformità di erogazione dei proventi dell’Art Bonus alle regioni.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'onorevole Prodani, unitamente ad altri Onorevoli colleghi, chiede di conoscere le ragioni della disomogeneità delle erogazioni liberali su base regionale.
  Vorrei premettere che lo strumento del credito fiscale introdotto con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con la legge n. 106 del 2014, comunemente definito Art Bonus, è stato molto apprezzato sia dagli Enti Pubblici gestori del patrimonio culturale sia dai privati cittadini, nel loro ruolo di mecenati, che dalle imprese e dalle fondazioni bancarie.
  Premesso questo dato fondamentale, va certamente rilevata la diversa velocità di adesione a tale meccanismo da parte dei territori.
  Il Sud è stato particolarmente penalizzato se si escludono alcune eccezioni. Va infatti segnalato soltanto l'esempio virtuoso della raccolta FAI per l'Abbazia di Santa Maria di Cerrate in provincia di Lecce.
  Le ragioni di tali differenze sono dovute prevalentemente a fatti strutturali, quali la minore propensione al mecenatismo da parte di imprese e fondazioni bancarie o la carenza di competenze specifiche circa la modalità di raccolta dei fondi da parte degli enti pubblici.
  D'altra parte, al fine di promuovere l'Art Bonus, a livello nazionale sono state attuate e pianificate numerose azioni da parte del Ministero, è stato allestito un servizio di assistenza telefonico e di un indirizzo di posta elettronica dedicato: pubblicità istituzionale attraverso la RAI, documentario con RAI 5, passaggi nei tele giornali, istituzione del concorso Art Bonus dell'anno, numerosi convegni con commercialisti ed industriali.
  È stato inoltre sviluppato un programma di presentazioni sul territorio nazionale per illustrare la norma ed i suoi benefici.
  All'interno della stessa Amministrazione è stato avviato un apposito programma conoscitivo/formativo rivolto ai responsabili degli Istituti e dei luoghi della cultura.
  E devo dire, per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, che lo stesso Soprintendente sul territorio ha organizzato o personalmente partecipato a convegni su erogazioni liberali, Art Bonus e sponsorizzazioni proprio con un intento chiarificatore.
  Vorrei sottolineare infatti che specie tra alcune categorie di potenziali mecenati c’è una, per molti versi comprensibile, confusione tra i diversi istituti dell'erogazione liberale e della sponsorizzazione. Ed un altro, anch'esso comprensibile, timore di possibili complicazioni burocratiche e di adempimenti amministrativi legati alla volontà di donare.
  Un prossimo convegno sul tema si terrà ad Udine ad iniziativa della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e dell'Assessorato alla cultura della Regione Friuli Venezia Giulia, ed è in programma un convegno itinerante che toccherà i capoluoghi di provincia ed altre realtà significative della Regione quali Aquileia, San Vito al Tagliamento, Cividale e altre.Pag. 83
  Altre azioni, infine, mirate all'applicazione dell'Art Bonus alle biblioteche sono in corso di avvio con il Centro per il Libro.
  Il processo è quindi stato intrapreso, la nostra Direzione generale Bilancio segue ed analizza i dati con regolarità ma per valutarne pienamente la riuscita è indubbiamente necessario analizzarne la portata su un arco temporale più ampio.
  Mi impegno a riferire in questa sede ogni eventuale successivo aggiornamento dei dati al riguardo.

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ALLEGATO 2

5-11180 Agostinelli: Sull'archivio parrocchiale-abbaziale delle parrocchie dei Santi Biagio e Martino e di San Vito della casa canonica di San Lorenzo in Campo (Pesaro-Urbino).

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'onorevole Agostinelli chiede notizie in merito all'archivio parrocchiale-abbaziale della parrocchia dei Santi Biagio e Martino e di San Vito della canonica di San Lorenzo in Campo.
  Vi anticipo che la necessaria trattazione analitica della questione renderà la mia risposta piuttosto lunga e permettetemi, preliminarmente, di chiarire che nella dizione sopra riportata, e contenuta nell'atto parlamentare, si fondono in realtà tre diversi archivi. L'archivio della soppressa Abbazia di San Lorenzo in Campo, l'archivio storico della parrocchia dei Santi Biagio e Martino in San Lorenzo in Campo e l'archivio storico della parrocchia di San Vito sul Cesano. Le due parrocchie dipendono dalla diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli, Pergola.
  Il primo, ovvero l'archivio abbaziale, si trova in massima parte presso l'Archivio di Stato di Pesaro (voll. 77 e bb 99, 1346-1910).
  Con il Regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866 fu tolto il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, alle corporazioni, e alle congregazioni religiose regolari, ai conservatori ed ai ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico. I beni di proprietà degli enti soppressi furono incamerati dal demanio statale. Per la gestione del patrimonio immobiliare fu creato il Fondo per il culto (oggi Fondo Edifici di Culto). Anche i beni immobili degli enti non colpiti dal provvedimento dovevano essere iscritti nel libro del debito pubblico e convertiti in rendita, al tasso del 5 per cento. Gli introiti erano gestiti dal Fondo per il Culto. Fu inoltre sancita l'incapacità, per ogni ente morale ecclesiastico, di possedere immobili, fatte salve le parrocchie, le sedi episcopali, i seminari e gli edifici destinati al culto. In questo modo, «una grande quantità di fondi rurali fu messa all'asta pubblica in tutt'Italia; moltissime chiese non parrocchiali furono chiuse al culto e convertite in usi civili;». Con la Legge n. 3848 del 15 agosto 1867 vennero soppressi indistintamente tutti gli enti ecclesiastici, sia quelli morali sia quelli per scopo di culto: diocesi e istituti di vita consacrata, ed anche i capitoli delle chiese cattedrali e di quelle collegiate. Da tale provvedimento restarono esclusi seminari, cattedrali, parrocchie, canonicati, fabbricerie e gli ordinariati. Agli enti sopravvissuti venne imposta una tassa straordinaria del 30 per cento, che aggravò pesantemente la loro condizione finanziaria.
  Dopo la presa di Roma, il primo ministro Giovanni Lanza estese l'esproprio dei beni ecclesiastici anche ai territori appartenenti all'ex Stato Pontificio e, quindi, anche a Roma, la nuova capitale dello Stato unitario (legge 1402 del 19 giugno 1873).
  I fabbricati conventuali incamerati dallo Stato furono alienati oppure concessi ai Comuni e alle Province (R.d.3036/1866 cit., articolo 20), previa richiesta di utilizzo per pubblica utilità entro il termine di un anno dalla presa di possesso. Complessivamente, furono immessi sul mercato e ceduti alla grande borghesia terriera a prezzi stracciati oltre 3 milioni di ettari Pag. 85(2,5 soltanto nel Sud) con modalità che sono state criticate sia dagli storici che dai giuristi.
  Con l'emanazione del R.d. 27 maggio 1875, n. 2552, primo intervento organico sugli Archivi, venne disposto che gli archivi ex claustrali fossero raccolti negli Archivi di Stato:
  «Art. 3. Gli atti delle magistrature giudiziarie e delle amministrazioni non centrali del Regno che più non occorrono ai bisogni ordinari del servizio, e quelli delle magistrature, amministrazioni, corporazioni cessate, sono raccolti nell'archivio esistente nel capoluogo della provincia nella quale le magistrature, le amministrazioni, le corporazioni hanno o avevano sede. (...)».

  Il nucleo documentario dell'Abbazia di S. Lorenzo in Campo conservato a Roma è anch'esso in Archivio di Stato, Corporazioni religiose soppresse maschili, Miscellanea. Si tratta, in questo come in altri casi, di documentazione reperita per ragioni non chiare presso la sede della Casa generalizia in Roma.
  Sessanta unità archivistiche (1470-1836) del medesimo archivio abbaziale sono, infine, presenti nell'archivio diocesano di Pergola. Si trovavano, probabilmente, già nell'archivio della Curia di Pergola prima delle cosiddette «leggi eversive», ma presumibilmente a seguito della soppressione dell'Abbazia nel 1836, con la bolla «Unum Pastorem» di Gregorio XVI che unì San Lorenzo in Campo, Sant'Andrea di Suasa e Montalfoglio, soggette all'Abbazia, alla nuova Diocesi di Pergola.
  L'archivio dell'Abbazia, anche nel caso si volesse porre in dubbio la collocazione di questo ultimo nucleo (cosa proponibile solo dopo una accurata ricognizione della natura della documentazione e della sua storia archivistica), non ha in alcun caso come destinazione a termini di legge il Comune di S. Lorenzo in Campo ma l'Archivio di Stato.
  Nell'interrogazione si fa riferimento (a giustificazione della richiesta di riportare l'archivio dell'abbazia presso il comune di San Lorenzo in Campo) a un «decreto del Ministro di Grazia e Giustizia e dei culti del 31 luglio 1836, n. 3671», in forza del quale l'Abbazia sarebbe stata ceduta al Comune. Nell'anno 1836 la regione era parte dello Stato pontificio e non esisteva all'epoca un «Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti», che fu istituito, come Ministero di grazia e giustizia solo nel 1847, con motu proprio di Pio IX, per essere soppresso nel 1853.
  Presumibilmente quindi ci si riferisce a un decreto del 1876, che tuttavia riguarda esclusivamente l'edificio abbaziale e non l'archivio, la cui destinazione era, come già esposto, stabilita da altra normativa.
   Mette conto sottolineare, inoltre, che negli anni tra il 1870 e il 1880: «rivendicazioni comunali sui beni provenienti dai propri territori si hanno anche per gli archivi, specie se già provvisoriamente loro consegnati. Lo Stato respinse sistematicamente non solo le richieste comunali di archivi ancora da devolvere, ma addirittura quelle di archivi già in deposito, anche quando la devoluzione all'Archivio di Stato comportava il loro trasferimento dal luogo d'origine della casa religiosa produttrice al capoluogo della provincia o, addirittura, di altre province.»
  Per quanto riguarda il secondo archivio, ovvero l'archivio storico della parrocchia dei Santi Biagio e Martino (seconda metà sec. XVI-prima metà sec. XX), si precisa che esiste un inventario dello stesso, redatto nel 2015, del quale la competente Direzione generale Archivi conserva copia.
  In relazione al trasferimento dell'archivio presso l'archivio storico diocesano di Fano, occorre in primo luogo rammentare la normativa che regola la tutela degli archivi ecclesiastici.
  La materia è regolata dall'articolo 12 del Concordato, commi 1 e 3: «1. La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico (...) 3.La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti».Pag. 86
  In attuazione di quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 12, è stata stipulata, in data 18 aprile 2000, l'Intesa fra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza episcopale italiana, relativamente alla conservazione e alla consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche.
  L'Intesa prevede all'articolo 1, comma 2 che: «Il Ministero e la C.E.I., fermo restando quanto previsto dalla normativa civile vigente, concordano anche sul principio per il quale i beni culturali di carattere documentario e archivistico di interesse storico appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche devono rimanere, per quanto possibile, nei luoghi di formazione o di attuale conservazione» ma, al comma 4 del medesimo articolo specifica che. «Per agevolarne la conservazione e la consultazione, gli archivi di cui al comma 1 vengono depositati, quando necessario, presso l'archivio storico della diocesi competente per territorio.»
  Gli interventi dello Stato sono definiti all'articolo 3, («Interventi dello Stato»), comma 1: «1. Il Ministero fornisce agli archivi di cui all'articolo 1, comma 1, per il tramite delle proprie soprintendenze archivistiche, collaborazione tecnica e contributi finanziari, alle condizioni previste dalle leggi vigenti, per la dotazione di attrezzature, la redazione di inventari, il restauro di materiale documentario, la dotazione di mezzi di corredo, nonché per le pubblicazioni previste da apposite convenzioni, lo scambio di materiale informatico (software) relativo a programmi e progetti di inventariazione, la formazione del personale.» e all'articolo 4, (“Interventi in collaborazione fra la Chiesa cattolica e lo Stato”), comma 1: «La collaborazione tra autorità ecclesiastiche e civili è finalizzata ad assicurare la conservazione e la consultazione degli archivi di cui all'articolo 1, comma 1».
  La regolamentazione delle modalità di conservazione e consultazione è demandata alla Chiesa cattolica, come specificato all'articolo 2, («Interventi della Chiesa cattolica»), comma 1: «Ferme restando le disposizioni pertinenti contenute nella normativa civile vigente, l'autorità ecclesiastica competente si impegna ad assicurare la conservazione e a disporre l'apertura alla consultazione degli archivi degli enti e istituzioni ecclesiastiche di cui all'articolo 1, comma 1.».
  Il Decreto legislativo n. 42 del 2004 (ovvero il Codice dei beni culturali e del paesaggio) richiama questa ed altre Intese all'articolo 9:
  «1. Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità.
  2. Si osservano, altresì, le disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'articolo 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, ovvero dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione.».

  Le condizioni di conservazione e apertura degli archivi ecclesiastici sono, pertanto, definite di intesa con le autorità ecclesiastiche, ma in base alle disponibilità di spazi e personale di queste ultime.
  Esse sono oggetto del can. 381 § 2 del Codice di diritto canonico che investe il Vescovo dell'autorità di vigilare affinché: «gli atti e i documenti degli archivi delle chiese cattedrali, collegiate, parrocchiali e delle altre chiese, che sono presenti nel suo territorio, vengano diligentemente conservati e si compilino inventari o cataloghi in due esemplari, di cui uno sia conservato nell'archivio della rispettiva chiesa e l'altro nell'archivio diocesano».
  La Pastorale del 2 febbraio 1997, 2.1 prevede che: «Nel rispetto delle competenze canoniche e civili va anche prevista l'ipotesi di concentrare taluni archivi minori non sufficientemente tutelati in sedi centrali, sia pure a vario titolo (deposito, estinzione o soppressione della persona Pag. 87giuridica ecclesiastica, ecc.). Tale concentrazione mira a salvaguardare la conservazione stessa del materiale al fine di fruirlo e di difenderlo. I vescovi diocesani e gli altri legittimi responsabili devono prendere provvedimenti quando i documenti rischiano di trovarsi in sedi improprie o di fatto si trovano in sedi non più tutelate, come parrocchie e chiese prive di sacerdoti o di addetti».
  L'archivio storico della parrocchia dei Santi Biagio e Martino di San Lorenzo in Campo, con fondi aggregati, si trova conservato presso la sede dell'archivio storico Diocesano di Fano, poiché ivi trasferito, con autorizzazione rilasciata dall'allora Sovrintendente archivistico per le Marche, durante i lavori di ristrutturazione della casa parrocchiale dove in precedenza era conservato l'archivio in oggetto.
  Diverse sono le motivazioni poste alla base della richiesta di deposito della suddetta documentazione presso la sede dell'archivio storico diocesano di Fano.
  In primo luogo la necessità di continuare a conservare i suddetti fondi archivistici in depositi costruiti a norma di legge e regolarmente attrezzati, come quelli allestiti presso l'archivio diocesano di Fano, che dispone di sale di deposito con scaffalature metalliche, porte taglia fuoco, impianto antintrusione, impianto antincendio, impianto di deumidificazione e climatizzazione, che possono assicurare una maggiore conservazione e tutela rispetto al precedente luogo di conservazione, in San Lorenzo, costituito da un armadio posto in una stanza della casa parrocchiale sguarnita di qualsiasi sistema di sicurezza (impianto di antincendio, antintrusione e deumidificazione).
  La mancanza di una sala di consultazione attigua ai depositi, come anche di personale o semplici volontari addetti all'archivio, pregiudicano l'accesso alla documentazione e la conseguente fruizione delle carte d'archivio, a meno di consentire l'accesso dell'utenza senza alcuna sorveglianza o supervisione. Infatti il parroco, titolare di più parrocchie, dovendo seguire, da solo, i molteplici impegni di un'area tanto vasta come quella di San Lorenzo in Campo, è impossibilitato a vigilare, seguire e rendere fruibile l'archivio stesso.
  Pertanto alla luce di queste considerazioni, in pieno accordo con il parroco, è stata presa la risoluzione di continuare a conservare, permanentemente, i suddetti fondi archivistici presso la sede dell'archivio diocesano di Fano, ubicato in via Roma 118, nell'attuale nuovo Centro Pastorale Diocesano (palazzo dell'ex seminario pontificio e regionale delle Marche), ove, al piano seminterrato, dal vescovo Armando Trasarti, sono stati recentemente creati i nuovi spazi attrezzati, a norma di legge, ospitanti l'archivio storico diocesano di Fano, della biblioteca diocesana di Fano e del museo diocesano di Fano. Questi spazi, oltre ad assicurare una corretta e funzionale conservazione del patrimonio archivistico, consentiranno la sua normale e regolare fruizione grazie al personale interno dell'archivio e alla presenza della capiente sala di consultazione annessa ai depositi.
  Per quanto, infine, riguarda l'archivio storico parrocchiale di San Vito, lo stesso è stato rinvenuto dal parroco don Federico Tocchini in una stanzetta presso i locali parrocchiali di San Vito sul Cesano. La documentazione (registri di battesimi, matrimoni, morti e stati di anime, vacchette delle messe, certificati di matrimonio, carteggi e documenti amministrativi vari) unitamente agli archivi confraternali della suddetta parrocchia, è stato conservato in 7 scatoloni, trasportati presso la canonica della parrocchia dei Santi Biagio e Martino. L'archivista diocesano, contattato dalla Soprintendenza, ne redigerà un inventario analitico.

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ALLEGATO 3

5-09642 Pannarale: Sui docenti precari di seconda fascia.
5-11037 Ginefra: Sui docenti precari di seconda fascia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Le interrogazioni cui si risponde vertono entrambe sul personale docente precario della scuola, incluso rispettivamente nelle graduatorie ad esaurimento ed in quelle d'istituto di seconda fascia, in favore del quale viene sollecitata l'adozione di misure finalizzate alla loro stabilizzazione ed immissione in ruolo, in considerazione sia della necessità di ricoprire tutte le piante organiche sia dell'opportunità di non reiterare i contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi di servizio, già oggetto di procedura di infrazione in sede comunitaria.
  Si evidenzia che la legge n. 107 del 2015 ed il recente decreto legislativo n. 59 del 2017 definiscono un quadro normativo organico teso a superare il così detto precariato storico e a ripristinare il principio dell'assunzione tramite concorso, come previsto dalla nostra Carta costituzionale.
  Si ricorda che a conclusione delle operazioni relative al piano straordinario di assunzioni previsto dalla «Buona scuola» la consistenza delle GAE si è ridotta significativamente. La legge n. 107 ha, altresì, confermato che le GAE continueranno a permanere in vigore fino al loro completo esaurimento e che continuerà ad applicarsi il cosiddetto «doppio canale», secondo quanto espressamente previsto dall'articolo 1, comma 109, lett. c), della legge n. 107 del 2015 (il 50 per cento del reclutamento avverrà per concorso, l'altro 50 per cento per scorrimento delle GAE).
  In aggiunta, il sopra citato decreto legislativo n. 59 del 2017, con il quale il MIUR ha esercitato la delega prevista dalla legge n. 107 del 2015 in materia di reclutamento e formazione iniziale dei docenti, ha introdotto una previsione transitoria volta a consentire l'immissione in ruolo attraverso percorsi semplificati dei precari di tutte le graduatorie di istituto e non solo delle GAE.
  È stato previsto che, accanto allo strumento ordinario del concorso a regime, in via transitoria si entrerà in ruolo nella scuola secondaria mediante procedure che serviranno ad esaurire oltre che le GAE anche tutte le altre graduatorie. In particolare, per settembre 2017 si attingerà anzitutto dalla graduatoria del concorso 2016 assumendo anche i cosiddetti idonei in deroga al limite percentuale del 10 per cento, di cui al testo unico della scuola, entro il termine di validità triennale delle graduatorie medesime e fatto salvo il diritto dei vincitori all'immissione in ruolo.
  Nel corso del prossimo anno, mediante apposita procedura concorsuale semplificata costituita da un esame orale, tutti i docenti già abilitati – cosiddetta seconda fascia d'istituto e GAE – saranno inseriti in una graduatoria di merito regionale, da cui si attingerà con cadenza annuale. Questi docenti svolgeranno un anno di servizio con valutazione finale di immissione in ruolo. Appositi concorsi, anch'essi semplificati e con uno scritto e l'orale, sono poi riservati ai precari non abilitati con almeno tre anni di servizio – cosiddetta terza fascia d'istituto – ai fini dell'avviamento al percorso di formazione e tirocinio con cadenza biennale.
  Riguardo agli altri punti evidenziati nell'interrogazione a prima firma dell'On. Pannarale, Pag. 89è noto che l'articolo 1, comma 108, della legge n. 107 ha previsto per l'anno scolastico 2016/2017 un piano straordinario di mobilità su tutti i posti disponibili e in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia. Si è trattato di una misura straordinaria introdotta dal legislatore nel presupposto che la disponibilità aggiuntiva, conseguente all'organico del potenziamento, giustificasse regole altrettanto straordinarie per la mobilità.
  Rientrando la questione nell'ambito della contrattazione, per l'anno scolastico 2017/2018, il contratto nazionale integrativo per la mobilità, siglato in via definitiva con le Organizzazioni sindacali di comparto, in data 11 aprile 2017, ha disposto la deroga al vincolo triennale.
  Infine, relativamente alle previsioni assunzionali per il prossimo anno scolastico, il 9 maggio scorso è stata raggiunta l'intesa tra Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze sull'attuazione della norma inserita nella legge di bilancio per il 2017 che prevede la trasformazione di circa 15.000 posti dell'organico di fatto, assegnati ogni anno a supplenti, in altrettanti posti dell'organico di diritto da coprire con docenti di ruolo con contratti a tempo indeterminato.
  A questi si aggiungeranno i posti rimasti liberi a seguito dei pensionamenti (circa 21.000) e i posti già vacanti e disponibili (circa 16.000). In tutto, quest'anno, saranno dunque disponibili circa 52.000 posti per le assunzioni a tempo indeterminato che serviranno a garantire maggiore continuità didattica e a dare precise risposte alle aspettative del personale precario.
  Tutto ciò posto, si può affermare che, per mezzo delle specifiche previsioni contenute nel decreto legislativo descritto, nonché grazie all'attenzione che il Ministero sta assicurando alle necessarie attività preparatorie all'avvio del prossimo anno scolastico, si riuscirà a garantire una soluzione effettiva e completa a tutte le problematiche concernenti il precariato nella scuola, valorizzandone le specificità secondo i titoli posseduti e le esperienze professionali maturate, e ad assicurare alle studentesse e agli studenti un avvio regolare delle lezioni.

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ALLEGATO 4

Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale. (Nuovo testo C. 4220 Governo).

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione,
   esaminato il nuovo testo del disegno di legge C. 4220 Governo recante «Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale;»
   udita la relazione della deputata Manzi nella seduta del 13 giugno 2017;
   udito il dibattito nelle sedute del 13, 14 e 15 giugno 2017, cui integralmente si rinvia;
   condiviso l'obiettivo di rafforzare la tutela penale del patrimonio artistico e culturale della nazione;
   apprezzato il ruolo del Governo italiano nelle sedi internazionali, di promozione di un consenso intorno alla necessità di apprestare più efficaci strumenti investigativi, preventivi e repressivi per stroncare il traffico illecito di beni culturali;
   compreso l'obiettivo di innalzare le pene per le fattispecie criminose che hanno a oggetto i beni culturali, onde consentire diversi effetti sul piano applicativo, quali per esempio la possibilità di svolgere le intercettazioni telefoniche e ambientali, di disporre le misure di custodia cautelare e di ottenere tempi più lunghi nella prescrizione dei reati;
   considerato, altresì, con favore l'obiettivo di sottrarre al regime delle circostanze del reato l'innalzamento delle sanzioni penali;
   valutato, nondimeno, che la tecnica legislativa della novellazione, in questo caso, è apparsa a taluni membri della Commissione eccessivamente dettagliata, con una descrizione troppo minuta delle diverse fattispecie di reato,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 5

Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale. (Nuovo testo C. 4220 Governo).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO DEI DEPUTATI NICCHI, BOSSA, SCOTTO

  La VII Commissione,
   visto il nuovo testo del disegno di legge C. 4220 Governo recante «Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale» e ritenuto condivisibile lo scopo di rafforzare la tutela del patrimonio artistico e culturale della nazione;
   compreso l'obiettivo di alzare le pene in questo settore, volto ad ottenere risultati pratici, sul piano sia investigativo, sia sanzionatorio, più efficaci nella repressione dei fatti che danneggiano il patrimonio culturale italiano;
   ritenuto, tuttavia, che la tecnica redazionale adoperata consista in una indiscriminata lievitazione delle fattispecie penali, duplicandole dal Codice penale, spesso incorrendo in evidenti errori tecnici;
   a quest'ultimo riguardo, si pensi per esempio alla previsione congiunta della ricettazione di beni culturali (vedi articolo 518-quater) e l'illecita detenzione di beni culturali, reati che evidentemente si sovrappongono, per lo meno in parte;
   si pensi, altresì, al reato di riciclaggio di beni culturali, che appare perlomeno bizzarro, considerato che generalmente il riciclaggio ha a che fare con beni fungibili, laddove non lo sono i beni culturali;
   ritenuto, inoltre, che la nozione stessa di bene culturale a fini penalistici, risulta non del tutto conforme ai princìpi di tipicità e determinatezza dell'incriminazione penale, rilievo cui solo in parte può ovviarsi valorizzando la giurisprudenza già formatasi sugli articoli 733 e 734 del Codice penale, mediante il richiamo all'articolo 10 del Codice dei beni culturali;
   osservato, altresì, che nel disegno di legge sulla concorrenza è prevista una disposizione «pericolosa» per l'integrità del patrimonio culturale italiano, che consente, mediante una mera autocertificazione, di aggirare le autorizzazioni all'esportazione e che, pertanto, contrasta decisamente con l'intenzione di rafforzare la tutela per i beni culturali,

  esprime

PARERE CONTRARIO.