CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 18 maggio 2017
820.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-11387 Laffranco: Chiarimenti in merito alle vicende economico – gestionali che hanno portato al commissariamento di Banca Marche.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Si risponde all'interrogazione immediata in Commissione concernente la situazione economico-gestionale di Banca Marche. In particolare, gli interroganti fanno riferimento ai criteri di valutazione del rischio di credito la cui applicazione ha determinato le rettifiche di valore – e le conseguenti perdite – registrate nei bilanci 2012 e 2013, all'evoluzione della situazione patrimoniale della banca nel periodo di amministrazione straordinaria ed alle ricapitalizzazioni previste nei piani industriali della gestione pre-commissariamento.
  Al riguardo, la Banca d'Italia, sentita in proposito ha fatto presente che la situazione aziendale della Banca Marche era da tempo all'attenzione dell'istituto, già nella fase antecedente al commissariamento. In particolare, su richiesta della Vigilanza, l'intermediario, a partire dal 2012, ha intrapreso un percorso di rinnovamento degli organi sociali che, in discontinuità con il passato, avevano adottato un approccio di maggiore prudenza nell'esame del portafoglio creditizio, facendo emergere una sottostima dei crediti deteriorati e delle rettifiche di valore, dovuta al debole ruolo del precedente organo amministrativo nella definizione delle policy in materia creditizia.
  Gli accertamenti ispettivi condotti tra il 2012 e il 2013, mirati, tra l'altro, a verificare l'adeguatezza delle rettifiche sul portafoglio deteriorato (provisioning), hanno evidenziato gravi lacune nel processo creditizio, riconducibili alla precedente gestione, con conseguenti riflessi sul corretto apprezzamento del rischio di credito.
  I parametri di valutazione, utilizzati per individuare il valore di recupero dei crediti e di realizzo delle garanzie, hanno tenuto conto nel tempo delle modifiche al quadro economico in cui la banca operava, connotato da sempre maggiori difficoltà di rimborso da parte dei prenditori.
  Per quanto concerne la valutazione dei crediti, la Banca d'Italia ha osservato che l'emersione progressiva delle perdite, realizzata a partire dal 2012, è derivata dall'esame analitico delle prospettive di recupero dei crediti erogati dalla banca, esteso a partire da quelli classificati come maggiormente problematici fino ad essere realizzato sull'intero portafoglio.
  Le consistenti rettifiche di valore nette su crediti, iscritte nel bilancio consolidato 2012 e nel primo semestre del 2013, hanno comportato la discesa del Total Capital Ratio a livello consolidato al di sotto dei limiti regolamentari. Di conseguenza è stato adottato un provvedimento di gestione provvisoria a seguito del quale è stato disposto il commissariamento dell'intermediario.
  Le attività svolte dagli organi straordinari nel corso dell'amministrazione straordinaria sono state volte all'accertamento della situazione aziendale ed alla rimozione delle irregolarità alla base del commissariamento. In particolare, sul fronte creditizio, è stato completato l'accertamento della corretta classificazione di una rilevante porzione del portafoglio prestiti, non ricompresa nei campioni ispettivi, e dell'adeguatezza del provisioning.
  È stato così progressivamente acclarato il deterioramento di un ulteriore considerevole ammontare di posizioni di rischio, Pag. 419che ha comportato l'esigenza di accantonamenti aggiuntivi di notevole entità, quantificati sulla base della policy già applicata dagli Organi di gestione ordinaria nella redazione del bilancio 2012 e nella successiva semestrale; ciò ha determinato l'ulteriore aggravamento dei profili tecnici dell'intermediario, con il sostanziale azzeramento dei mezzi propri al termine della procedura di amministrazione straordinaria.
  Con riferimento alle ricapitalizzazioni previste nei piani industriali pre-commissariamento, la Banca d'Italia ha osservato che il 12 luglio 2011 il Consiglio di amministrazione di Banca Marche ha deliberato un aumento di capitale fino a un massimo di 212 milioni di euro. L'operazione era finalizzata ad innalzare i margini patrimoniali del gruppo per allinearli ai più alti livelli richiesti da «Basilea 3» e ridurre il costo del funding.
  Il 19 ottobre 2011 la Banca d'Italia ha preso atto dell'aumento di capitale e ha rilasciato il provvedimento di accertamento delle connesse modifiche statutarie; nella lettera di trasmissione del benestare, richiedendo all'intermediario di essere costantemente informata sullo stato di realizzazione dell'operazione nonché delle altre iniziative previste nel nuovo piano industriale. Ciò al fine di valutarne gli effetti sui profili tecnici consolidati, con particolare riferimento all'evoluzione della situazione di liquidità ed al rispetto degli obiettivi prefissati sul piano patrimoniale. Con lettera del 9 gennaio 2012, la Banca d'Italia ha inoltre richiesto all'intermediario di effettuare, tra l'altro, una complessiva revisione dell'Area Crediti, intervenendo anche sulle metodologie di misurazione del rischio di credito. Successivamente è stato disposto l'avvio degli accertamenti ispettivi sopra citati.

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ALLEGATO 2

5-11388 Marco Di Maio: Chiarimenti circa il regime di accisa applicabile all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e consumata da imprese di autoproduzione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito al trattamento tributario riservato all'energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile e utilizzata per uso proprio con particolare riferimento alle ipotesi in cui un consorzio di imprese produca l'energia che consuma per mezzo di un impianto centralizzato.
  Gli Onorevoli lamentano che l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli avrebbe adottato una nuova e più restrittiva interpretazione della definizione di auto-produttore rispetto a quella contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (cosiddetto decreto Bersani), e ha sostenuto nella nota 130439 del 2013, indirizzata alle proprie articolazioni periferiche, l'assoggettamento ad accisa dell'energia elettrica prodotta dall'unico impianto di cui si avvalgono le imprese associate in consorzio.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, si rappresenta quanto segue.
  Giova preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento, in cui si inscrive la questione interpretativa prospettata dagli Onorevoli interroganti.
  In relazione all'energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, l'articolo 52, comma 3, lettera b) del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo Unico Accise), prevede l'esenzione dal pagamento dell'accisa.
  Ai fini dell'applicazione del beneficio, la nozione di autoproduttore è contenuta nel successivo articolo 53 del citato Testo unico accise, che annovera tra i soggetti obbligati «gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio» distinguendoli dai «soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali».
  L'Agenzia delle dogane e dei monopoli nelle disposizioni di prassi ha posto in rilievo che il soggetto auto-produttore è tale rispetto al consumo per uso proprio dell'energia elettrica da lui stesso prodotta per soddisfare le proprie necessità, mentre per l'energia prodotta in eccedenza rispetto ai propri fabbisogni e per tale effetto ceduta a terzi, non può essere considerato autoproduttore né tanto meno l'energia elettrica può ritenersi «auto consumata».
  Pertanto, ai fini dell'esenzione di che trattasi, risulta inconferente la definizione di auto-produttore contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (cosiddetto decreto Bersani), il cui campo di applicazione, comunque, è estraneo alla materia tributaria rispondendo a finalità di regolazione del mercato interno dell'energia elettrica.
  L'accesso a tale definizione farebbe venir meno la stretta interdipendenza tra l'attività di produzione dell'energia elettrica e l'utilizzo della stessa per i fabbisogni della propria attività che è connaturata al riconoscimento dell'agevolazione in questione.
  In conseguenza, si determinerebbe una dilatazione della platea dei soggetti fruitori Pag. 421del trattamento agevolato, in quanto verrebbero inclusi anche consumatori finali che acquistano l'energia elettrica in qualità di soci di consorzi o società consortili appositamente costituiti.
  Ciò, oltre a non essere coerente con l'impianto del testo unico delle accise in materia di energia elettrica, che distingue nettamente gli operatori del mercato elettrico in relazione all'attività di vendita, di produzione o di autoproduzione di energia elettrica, rispetto ai consumatori finali, determinerebbe rilevanti oneri per l'Erario, in quanto si ridurrebbe l'ambito di applicazione dell'accisa relativa ai consumi di elettricità in luoghi diversi dall'abitazione, il cui gettito è pari a circa 1 miliardo e 700 milioni su base annua (dati 2015).
  Per completezza, si fa presente che, comunque, l'esenzione di cui al richiamato articolo 52, comma 3, lettera b), è stata estesa, con il comma 911 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2016, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), anche all'energia elettrica consumata, in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione di energia elettrica individuate dall'articolo 4, n. 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, ovverosia le cosiddette Cooperative storiche con rete propria, costituite tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, nell'ambito di comunità montane dell'arco alpino, al fine di utilizzare locali disponibilità di risorse idroelettriche, per le peculiarità proprie di queste realtà rigidamente circoscritte a determinati ambiti territoriali.

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ALLEGATO 3

5-11389 Paglia: Dati circa le società che hanno aderito al regime tributario del Patent box.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante fa riferimento al nuovo speciale regime fiscale introdotto dall'articolo 1, commi da 38 a 45 delle legge 23 dicembre 2014, n. 190 e conosciuto con il nome di Patent Box.
  Detto regime agevolativo, cui è possibile aderire attraverso apposita opzione, è stato previsto al fine di garantire lo sviluppo e la crescita del patrimonio intangibile ed immateriale delle imprese e si concreta attraverso un sistema di detassazione della quota di reddito delle società ascrivibile all'utilizzo di software protetto da copyright, da brevetti industriali, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
  Tanto premesso, l'Onorevole interrogante evidenzia che la scelta di «premiare» il reddito derivante dai beni intangibili ha riscosso un certo interesse da parte delle imprese e, pertanto, chiede di conoscere i dati di dettaglio attualmente disponibili in relazione all'adesione al regime cosiddetto di Patent Box da parte delle società.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate riferisce quanto segue.
  Giova premettere che, ai fini dell'accesso al regime agevolativo, per i primi due anni di applicazione, la norma prevede il necessario esercizio dell'opzione telematica. Per gli anni a partire dal 2017 l'opzione viene comunicata direttamente nella dichiarazione dei redditi.
  Negli anni 2015 e 2016 sono state presentate in via telematica circa 8.000 opzioni.
  Inoltre, ai fini dell'accesso al regime in argomento, è prevista, oltre all'opzione, la presentazione di un'istanza d accordo preventivo agli Uffici competenti dell'Agenzia delle entrate per definire in contraddittorio i metodi ed i criteri di determinazione del reddito agevolabile. La presentazione di tale istanza è obbligatoria nella sola ipotesi di utilizzo diretto del bene immateriale.
  Tanto premesso, con riferimento alle istanze presentate l'Agenzia rappresenta che al 31 dicembre 2015 sono state presentate dai contribuenti n. 4473 istanze di accesso alla procedura di accordo preventivo connessa all'utilizzo di beni immateriali.
  L'Agenzia delle entrate ha rigettato n. 63 istanze a seguito del riscontro della mancanza dei requisiti soggettivi e degli elementi obbligatori richiesti dalla disciplina del regime agevolativo di cui si discute.
  In relazione alle istanze non rigettate, l'attività istruttoria è proseguita con l'esame della documentazione prodotta dalle imprese ai fini della definizione dei metodi e dei criteri di calcolo del contributo economico dei beni intangibili alla produzione del reddito d'impresa.
  Nel corso della menzionata istruttoria sono poi decadute n. 2523 istanze per mancata presentazione della documentazione integrativa richiesta.
  Pertanto, l'Agenzia delle entrate fa presente che il numero delle istanze presentate Pag. 423al 31 dicembre 2015 ammesse e non decadute è pari 1.887.
  Ai sensi del decreto del 30 luglio 2015, emanato dal Ministro dello Sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, l'ambito oggettivo di applicazione del regime agevolato viene circoscritto all'utilizzo di cinque categorie di beni: il software protetto da copyright, i brevetti industriali, i marchi d'impresa, i disegni ed i modelli giuridicamente tutelabili, le informazioni aziendali giuridicamente tutelabili (know-how).
  Nella tabella che di seguito si riporta viene individuato il dato per l'anno 2015, fornito dall'Agenzia delle entrate sulla base delle indicazioni contenute nelle istanze presentate e non decadute, delle categorie di beni immateriali per il cui utilizzo è richiesta l'agevolazione, quantificato sia in valore assoluto, cioè in termini di numero di istanze, sia in termini percentuali.

Software Brevetti Marchi Disegni e Modelli Know-how Totale
304 687 1518 445 742 3696
8,23% 18,59% 41,07% 12,04% 20,08% 100%

  Si precisa che, a causa della presenza di più categorie di beni immateriali indicato nella stessa istanza il totale indicato nella suddetta tabella non coincide con il numero delle istanze presentate e non decadute.
  In merito al reddito agevolabile richiesto dai contribuenti l'Agenzia ritiene opportuno segnalare che detto reddito sarà poi determinato, o rideterminato sulla base dei metodi e dei criteri di calcolo oggetto di contraddittorio nell'ambito dell'istruttoria con i competenti Uffici dell'Agenzia delle entrate e soggetto ai successivi controlli da parte degli stessi Uffici.
  L'Agenzia delle entrate rileva che in alcuni casi nelle istanze presentate non è stato indicato alcun reddito agevolabile. È il caso delle istanze presentate da micro piccole e medie imprese che non hanno l'obbligo di illustrare i metodi ed i criteri di calcolo del reddito agevolabile, in quanto è previsto a tal fine, come anzidetto, un apposito contraddittorio con l'Agenzia.
  Nel 2016 il numero delle istanze di accesso al regime agevolativo, ammesse dall'Agenzia delle entrate e non decadute è pari a 1.819.
  Nella tabella che di seguito si riporta viene individuato il dato per l'anno 2016, desunto dalle indicazioni contenute nelle istanze presentate e non decadute, delle categorie di beni immateriali per il cui utilizzo è richiesta l'agevolazione, quantificato sia in valore assoluto, cioè in termini di numero di istanze, sia in termini percentuali.

Software Brevetti Marchi Disegni e Modelli Know-how Totale
485 572 1260 329 619 3265
14,85% 17,52% 38,59% 10,08% 18,96% 100%

  Come sottolineato in precedenza, a causa della presenza di più categorie di beni immateriali indicato nella stessa istanza il totale indicato nella suddetta tabella non coincide con il numero delle istanze presentate e non decadute.

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ALLEGATO 4

5-11390 Ruocco: Dati relativi a due strumenti derivati di swaption rinegoziati dal Tesoro.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Si risponde all'interrogazione a risposta immediata in Commissione concernente taluni aspetti dell'attività di gestione di strumenti derivati nel 2016.
  Al riguardo si rappresenta che l'obiettivo perseguito nel 2016 con tale attività è stato quello di ridurre l'incremento di debito conseguente all'applicazione della classificazione adottata da Eurostat a partire dal settembre 2014, in concomitanza con l'introduzione del nuovo schema contabile armonizzato europeo SEC 2010, riguardo alla partenza di swap off-market originati dall'esercizio di swaption.
  Nel primo caso si è agito contestualmente su un cross currency swap ed una receiver swaption, in essere con una medesima controparte bancaria. In dettaglio, si è utilizzato il mark-to-market positivo di un cross currency swap, con scadenza 12 giugno 2017, per riacquistare un'opzione in portafoglio e venderne una nuova con strike più contenuto. Il cross currency swap, di cui si parla, è uno swap dollaro/euro, attraverso il quale un titolo (emesso a suo tempo in formato Global) da 2 miliardi di dollari con cedola del 5,375 per cento era stato trasformato via derivato in una passività in euro con tasso fisso del 3,10 per cento. L'intervento compiuto è consistito nel riportare a mercato il nozionale della gamba in euro (modificando il tasso di cambio dollaro/euro di riferimento), passando da euro 1.482.250.000 ad euro 1.799.694.052.
  Per effetto di questa rideterminazione del nozionale della gamba in euro, il valore di mercato dello swap è diminuito considerevolmente, pur senza annullarsi completamente (è rimasto positivo per il Tesoro per circa 30 milioni di euro), ed il differenziale di mark-to-market ante e post ristrutturazione, pari a circa 300 milioni, è stato utilizzato per intervenire sull'opzione presente in portafoglio.
  In concreto, è stata riacquistata la swaption con strike pari al 3,5 per cento e swap trentennale sottostante da 1 miliardo di euro, che presentava un mark-to-market negativo di oltre 600 milioni di euro. La nuova opzione ha ad oggetto uno swap con le medesime caratteristiche, ad eccezione del tasso fisso da corrispondere da parte del Tesoro, che è stato ridotto di 130 punti base, passando dal 3,50 per cento al 2,2285 per cento. Con l'esercizio di questa swaption si è avuto un incremento di debito, in termini puramente contabili, di poco superiore a 300 milioni di euro, quindi circa la metà di quello che si sarebbe verificato in caso di non intervento. Da non trascurare, inoltre, che il nuovo swap trentennale contribuisce ad allungare la duration dell'intero portafoglio del debito e costituisce una protezione contro il rialzo dei tassi d'interesse.
  Anche la seconda ristrutturazione è intervenuta su una receiver swaption, che aveva nozionale pari a 4 miliardi di euro, strike pari a 4,225 per cento e sotteso swap a 7 anni. Anche in questo caso, l'esercizio della swaption e la conseguente partenza del sottostante off-market swap avrebbero dato origine ad un considerevole incremento di debito, sempre puramente contabile, superiore a 1 miliardo di euro.
  La strategia perseguita, mirando ad evitare l'esercizio della swaption che avrebbe dato origine al debito contabile (secondo le regole fissate da Eurostat) Pag. 425corrispondente al mark to market dello swap sottostante, ha comportato la sostituzione dell'opzione con una nuova operazione; più precisamente un interest rate swap trentennale a mercato abbinato ad una nuova opzione. Il nuovo IRS trentennale, sul quale il Tesoro riceve semestralmente l'Euribor 6 mesi e paga il tasso fisso dell'1,11646 per cento, è stato contratto per 4 miliardi di euro di nozionale. A questo swap è stata affiancata una swaption, esercitabile dalla banca al sesto anno. In caso di esercizio, lo swap risulterebbe nella sostanza cancellato: l'esercizio dell'opzione darebbe luogo, infatti, a uno nuovo swap (mirror swap) con flussi uguali ma opposti a quello di partenza e quindi risulterebbe in una sostanziale cancellazione dello swap originario.
  Ove l'opzione non fosse esercitata, lo swap resterebbe in vita fino alla scadenza, ma con un meccanismo di resetting semestrale del tasso da corrispondere.
  Il premio della nuova swaption venduta non è stato però sufficiente per garantire il riacquisto totale di quella originariamente in portafoglio. Per la parte rimanente è stato concordato il pagamento alla controparte in cinque rate, dal 2016 al 2020: la prima rata di 49 milioni di euro, le successive di poco inferiori ai 115 milioni, senza aggravio di interessi aggiuntivi.